UN’OCCASIONE DA NON PERDERE

UN’OCCASIONE DA NON PERDERE
di
Sebastiano Scarfato
E’ apparso subito chiaro, all’indomani della fuga dell’ex Gran Maestro Di Bernardo, che la legge fondamentale del nostro Ordine aveva bisogno di una profonda revisione.
L’ultima riforma voluta dal Gran Maestro Armando Corona fu infatti frettolosa, perché incalzata dagli storici avvenimenti legati alla vicenda della P2, disordinata e confusa e per ciò stesso contraddittoria in alcune sue parti.
Non che quella operazione sia stata inutile o che gli elementi ambientali che la suggerirono siano stati superati (non lo sono tutt’ora), ma il bisogno della revisione si impose all’attenzione di molti perché, per effetto di quella riforma, si erano prodotte, o così sembrò, zone di legislazione non propriamente tradizionali entro le quali il comportamento di qualcuno parve ispirato più a pratiche profane che a consuetudini iniziatiche.
Questa valutazione assai diffusa ispirò i programmi di tutti gli ultimi candidati alla Gran Maestranza che inserirono al centro della propria proposta la revisione della Costituzione.
Il programma elettorale dell’attuale Gran Maestro incentrava l’iniziaûva revisionista sul recupero pieno della Tradizione muratoria, esaltando il ruolo centrale della Loggia, vero pilastro iniziatico della Comunione massonica e cardine insostituibile della propria struttura organizzativa.
Ora, il tentativo concreto di porre mano alla riforma costituzionale attraverso l’apertura del dibattito nelle Logge avviato sul documento approntato dalla commissione speciale all’uopo istituita, appare riduttivo riguardo alle aspettative della stragrande maggioranza dei fratelli, per cui ha prodotto una sorta di generalizzata levata di scudi.
Che cosa è in effetti successo?
In primo luogo il materiale sul quale ha lavorato la commissione speciale non rappresentava il campione più significativo delle elaborazioni delle Logge italiane, poiché molte di queste avevano preferito ritirare le proprie proposte allorché, nella Gran Loggia straordinaria del dicembre 1994, non fu possibile, oggettivamente, svolgere il benché minimo lavoro intorno a queste tematiche.
In secondo luogo, la stessa commissione speciale non rispondeva alle caratteristiche intrinseche proprie di qualsiasi commissione costituente, poiché difettava della necessaria autorevolezza che solo il chiarissimo mandato popolare conferisce a istituzioni similari.
Il voto del “popolo massonico” emendato dall’opzione del Gran Maestro, seppure, quest’ultimo, autorizzato dal massimo organismo deliberativo della Comunione (la Gran Loggia),ha contribuito a limitare la considerazione di tutti sul lavoro svolto, alimentando la facile polemica di chi ha costruito strumentalmente l’immagine di una commissione di parte, asservita alla volontà di pochi soggetti.
Per cui una commissione a “rappresentatività limitata”, lavorando su un materiale non propriamente rispondente alle autentiche attese della maggioranza dei fratelli, ha elaborato un prodotto incompleto, divergente dalle tendenze elettorali vincenti e per ciò stesso non condiviso.
In qualsiasi forma sociale organizzata unitariamente mettere assieme delle regole di condotta ha il solo scopo di assicurare all’interno di quella forma sociale organizzata, la pacifica convivenza dei propri membri. Tuttavia è fondamentale, per il raggiungimento dello scopo, che tra i membri della forma sociale organizzata si consolidi il convincimento collettivo della necessità della regola e più ancora della sua osservanza.
Questo convincimento sarà tantopiù collettivo quanta più collettività parteciperà alla formazione della regola, ovvero il grado di rappresentatività dei soggetti interessati sarà il più alto e legittimo possibile.
Ora all’interno del Grande Oriente d’Italia va aperta, dopo aver azzerato la situazione attuale, una vera e propria “fase costituente”.
Tale fase è bene che sia costretta in limiti temporali adeguati all’importanza del lavoro da svolgere e soprattutto sia confinata in un ambito operativo blindato: refrattario sia alle strumentalità rinvenienti
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dall’attività amministrativa quotidiana, che alle pericolose tendenze di determinare l’evoluzione e lo sviluppo.
Occorre innanzitutto individuare e attivare, salvaguardando il principio della legittimità e della rappresentatività, gli strumenti di studio, approfondimento e realizzazione del progetto ipotizzare un percorso virtuoso di confronto e dibattito che investa nel momento dell’approvazione tutto il popolo massonico.
La commissione eletta dall’assemblea dei maestri è – a mio avviso – lo strumento operativo che, con alcuni correttivi, può raggiungere l’obbiettivo di raccogliere le migliori risorse a nostra disposizione, selezionando finalmente le potenzialità professionali occorrenti, unitamente alle capacità iniziatiche indispensabili per un lavoro che, riorganizzando un articolato normativo rispondente alle necessità di un moderno ordinamento giuridico, renda visibili i contenuti autenticamente tradizionali del Grande Oriente d’Italia.
Una commissione, infine, che tragga direttamente dal popolo la forza della sua rappresentatività non può che trarre dal popolo stesso la valutazione finale del proprio operato; sottoporre al referendum dei maestri massoni la nuova legge fondamentale dell’Ordine costituisce – a mio modo di pensare non solo un atto di democrazia sostanziale, ma la esaltazione del lavoro massonico inteso come sforzo individuale e solitario di espansione della propria coscienza fino agli stadi più elevati dell’Essere.
La Gran Loggia, in ossequio al suo potere legislativo, potrebbe ratificare il documento finale, imprimendogli il sigillo formale della sua effettualità.
Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.v
Sebastiano Scarfato
Rappresentante del Consiglio dell’Ordine nella Giunta esecutiva del Grande Oriente d’ Italia

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APPUNTI PER UNA TEORIA ED ETICA DELLA CONOSCENZA MASSONICA


di
Giuseppe Schiavone
La conoscenza, il suo senso
La conoscenza, unitamente alla conazione e all’affezione , è uno dei tre aspetti o funzioni fondamentali della vita dell’uomo. La conoscenza intellettiva — raccogliendo ed elaborando i dati provenienti dall’attività materiale dei sensi — consiste nell’appercezione di essi, nella loro complessa catalogazione e rielaborazione mentale; quindi nella loro trasformazione in concetti e nel definitivo
Inclinazione o sforzo ad agire in modo finalizzato, sostenuti dalla propria base istintuale e dall ‘impianto dei propri desideri. Impulso diretto alla conservazione del proprio essere. Il funzionamento conativo si distingue da quello cognitivo che è sorretto dalla percezione, dal pensiero e dal giudizio, e da quello emotivo retto dall’impianto emozionale. Secondo Spinoza (per il quale tutte le cose sono animate) non v’è conato per l’autodistruzione (Ethica, III, 4, cfr. anche IV, 20 scol. ec.).), ma solo l’istinto di ogni essere alla propria conservazione; il conato si riferisce soprattutto al potere di esistenza di una cosa, all’amor di sé (Breve trattato, app. II).
Con questo termine si intendono due significati diversi e tra loro irrelati. l) Condizione in cui viene a trovarsi chiunque subisca un’azione o una modificazione. La modificazione di un ente (affectiones entis, nella
possesso cosciente dei concetti medesimi; infine nell’archiviazione mnemonica degli stessi, per essere poi utilizzati al momento del bisogno. Pertanto, il concetto coscientemente posseduto dalla mente può dirsi essere il verbum mentis : la formazione specifica di un’idea nel corso del processo conoscitivo dell’uomo.
La conoscenza è la facoltà attraverso la quale la realtà esterna al soggetto viene assimilata o, meglio, ri-assimilata e ricreata in simboli mentali (le idee), quindi posseduta dal soggetto medesimo, costituendo un patrimonio interiore disponibile per ogni utilizzo, sempre, perennemente (anche nell’arco di tutte le vite possibili). Quanto più ampio è siffatto patrimonio, tanto più ampia è la possibilità del soggetto di dare risposte adeguate ai problemi che l’esperienza quotidiana gli pone.
Individuiamo, quindi, innanzi tutto, nel processo conoscitivo: l) un’attività di apprensione, dall’esterno all’interno, attraverso l’utilizzo dei sensi e della mente (e di tutti gli strumenti che cultura e scienza mettono a disposizione); 2) ed un’attività evocatoria, dall’interno all’esterno, che attinge all’intimo patrimonio di conoscenze personali accumulato nel corso del tempo.
L’esperienza umana non si disperde (come invece accade negli animali), proprio perché, secondo quanto s’è già detto, è rielaborata e conservata per mezzo del processo d’apprendimento e d’acculturamento, costituendo così una memoria storica che non si disperde mai, radicandosi organicamente nell’essere d’uomo. In tal modo si struttura una memoria profonda (al di là di quella riguardante il passato prossimo, al di là della mneme: la semplice ricordanza) che si colloca permanentemente alla radice della vita. Dagli antichi greci fu personificata in Mnemòsine: la Memoria dei tempi che furono e delle opere degli Dei e degli uomini, colei che è il principio del ricordo, che contiene e custodisce l’intero passato; dalla quale, per impulso di Zeus, che giacque con lei per nove notti, sono nate le Muse ispiratrici di tutte le arti. Per cui, la radice della memoria ci porta alla radice dell’umanità (e viceversa) e dell’intenzionalità originaria. La memoria primigenia, così, si pone come archetipo e come fondazione storica della razionalità e del processo conoscitivo, dal quale è comunque alimentata e sollecitata, interagendo in un rapporto dialettico.
Globalmente, tale processo evolve continuamente e stimola, com’è evidente, la crescita storicoculturale dell’uomo, cioè la sua trasformazione (o trasmutazione) attraverso l’ampliamento progressivo dei suoi poteri conoscitivi e, quindi, operativi. Per il tramite del processo conoscitivo la ragione s’appropria “idealmente” della cosa conosciuta, delle sue qualità e dei suoi poteri. Sussumendo intellettivamente la cosa, acquisisce (se non totalmente, almeno in parte) la capacità di ri-produrla, di ri-crearla. L’idea della cosa complessivamente conosciuta si fissa in mente hominis; e così la mente può, con un atto di volontà produttiva (poiesis) dispiegato nella prassi (praxis), attuarla in concreto, riprovocarla.
La ragione, nell’atto conoscitivo, non è mera ricezione passiva dell’oggetto che sta conoscendo; essa esplica un com-prehendere, cioè un afferrare e penetrare intelligendo. Conosce e capisce, da cui la scienza e la coscienza.
Le proprietà della cosa, acquisite conoscitivamente, diventano proprietà della mente, perciò del soggetto conoscente. Il conosciuto arricchisce il conoscente, gli conferisce poteri. Quando ciò non avviene è perché la cosa non è ancora adeguatamente conosciuta, in quanto qualcosa ancora si nasconde al conoscente, poiché evidentemente permane un deficit di conoscenza che dev’essere colmato. In ogni caso la mente è capace di contenere l’archetipo della res (della cosa).
In linguaggio iniziatico, potremmo dire che il soggetto (cioè l’adepto) è in grado di possedere l’Arte o Scienza reale (cioè l’Arte o Scienza della cosa). La mente assume in sé, attraverso la conoscenza, le proprietà dell’oggetto conosciuto, ampliandosi progressivamente. La mens è l’ente-ragione-uomo: è la potenzialità divina nell’uomo, I ‘ espressione della sua intrinseca spiritualità. Nel processo totalmente dispiegato è la Ragione-Dio. E la ragione totalmente dispiegata (o anche sino al livello storico in cui è

Scolastica) da parte di un agente, interno od esterno. Alle affezioni del corpo, cioè alle sue modificazioni (affectiones) si riducono per Spinoza le passioni (affectus). 2) Legame emotivo persistente di diversa intensità verso una o più persone, in genere di natura non sessuale.
Verbum mentis, la parola della mente, il linguaggio proprio della mente, linguaggio ideativo, simbolico, universale.
In verità non può darsi una realtà esterna in sé, totalmente scissa dal soggetto, visto che ogni uomo in quanto ente di natura partecipa della medesima sostanza di cui è fatta la natura stessa. La coscienza la (ri)apprende,
(ri)portando dentro di sé ciò che le appare fuori, in un processo conoscitivo progressivo, graduale. E nel fare
dispiegata) non è più solo ricerca e conoscenza, ma è conoscenza e potere, potere ri-creativo.
Emerge qui, dunque, il concetto della mente come facoltà umana che riflette più d’ogni altra la «somiglianza» divina indicata in Genesi (1, 26-27; 5, 1)5 . Per cui, sulla base di queste premesse, l’uomo — come insegna il metodo iniziatico — sviluppando il processo conoscitivo, integrato da una contestuale rigorosa purificazione fisica ed etica, può pervenire alla divinità, può diventare come Cristo, procedendo per gradi, esperienza dopo esperienza, stato di coscienza dopo stato di coscienza, vita dopo vita, sino alla “perfezione”; che certamente non si conquista in modo “improvviso”, ma in un lungo divenire, in cui si sperimenta la perfettibilità umana.
Secondo il principio metodologico della conoscenza liberomuratoria, non basta l’intelligenza per comprendere concettualmente, ma occorre in modo previo un livello coscienziale (cioè morale) adeguato. E necessaria, propedeuticamente, una maturazione etico-spirituale che consenta lo sviluppo della capacità cognitiva. Il Verbum, o Logos, si disvela per gradi ai buoni. E così progressivamente s’ incarna, diventa storia, parola universale, messaggio che s’ annunzia (che può annunziarsi) a tutti gli uomini. Diventa conoscenza e coscienza, quindi cultura e norma etica.
Il nascondimento della Ragione nella natura inconscia è il mysterium magnum (per usare l’espressione di Bôhme) che dev’essere svelato dall’uomo medesimo; cioè da quell’essere che ha in sé la capacità di riscattare la materia portandola allo stato di coscienza
La conoscenza, quindi, passando attraverso l’intellezione dei fenomeni di natura (con l’ausilio della ragione scientifica e dell’illuminazione intuitiva), costituisce un’esperienza di compenetrazione, parziale ma progressiva, nella divinità, che avvolge e pervade intimamente tutte le forme dell’esistente, visibile ed invisibile, come in basso così in alto. Pertanto, è nel contempo indagine scientificosperimentale, indagine teologica e indagine iniziatico-misterosofica. In questa prospettiva l’esperienza globale (estesa anche alle forme di vita precedenti del soggetto), razionalmente e coscientemente vissuta, è la conoscenza autentica del vero secondo il grado di maturità Gica e cognitiva raggiunto dalla creatura.
La scienza dell’evoluzione umana (che passa, come già detto, attraverso lo sviluppo della conoscenza e della coscienza) conferisce all’uomo la chiave della propria essenza e l’arché del mondo, sino alla comprensione di Dio, il Grande Architetto dell’Universo, la Ragione di tutto. Perciò, essendo Egli in modo così pieno in ognuno, ogni singolo lo può conoscere per “via interiore” e per “via esterna”, combinando insieme le due vie e assumendo l’una come prova dell’altra, e viceversa. La via interiore consiste nell’analisi del proprio io profondo, esplorandone le radici, sino alla Luce ch’è alla base dell’essere; mentre la via esterna, partendo dal presupposto che il G.A.D.U. — come s’è visto — è pure in tutte le cose di natura, oltre che nell’uomo, consiste nella possibilità di conoscerlo anche indagando “sulle” e “nelle” cose stesse, con metodo scientifico-sperimentale.
In questa complementarità, il termine unificante, il G.A.D.U., dalla Massoneria è significativamente pensato come Ragione di tutto l’universo: Ragione immanente e, nel contempo, trascendente. Ed essa, proprio perché Ragione, è decodificabile dalla scienza, come strumento per penetrare nella sua intima luce. E attingibile, perciò, attraverso il suo analogo, la ragione dell’uomo. Inoltre, può essere sviluppata da parte dell’iniziato (ma anche da parte d’ogni individuo) in un processo di progressiva attuazione della propria genetica «somiglianza» a Dio . Un processo non simbolico, non virtuale, ma che realmente trasforma il corpo e lo spirito del singolo, rendendo possibile ad ognuno di nascere due volte, ovvero di ri-nascere, cioè di trasformarsi radicalmente come Cristo e d’essere pienamente figlio di Dio .v

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IL FLAUTO MAGICO “2 PARTE

IL FLAUTO MAGICO: Una Favola “Egiziana” di
Francesco Rampini
Tamino, temporaneamente abbandonato dalle tre Dame, al suo risveglio vede avanzare una figura coperta di piume che porta una gabbia di legno sulle spalle destinata ad accogliere gli uccelli catturati: è Papageno l’uccellatore della Regina della Notte. Nel dialogo, abbastanza surreale e divertente che ha con Tamino, Papageno si mostra nella sua essenza: un povero uomo, bravo ma anche scaltro, che campa del proprio umile lavoro e che (come verrà esplicitato meglio andando avanti nell’Opera) per vivere bene gli basta un buon bicchiere di vino e, se possibile, anche una bella Papagena con cui dividere le notti fredde.
Papageno rappresenta l’uomo ordinario, l’uomo che vuole vivere in santa pace la vita di tutti i giorni, che vuole crearsi una famiglia e, soprattutto, per garantirsi la sua tranquillità, non vuole porsi troppe domande.
Per ingraziarsi il Principe appena riavutosi dall’aggressione Papageno sparahddirittura una colossale
bugia: si vanta con lui di aver ucciso il serpente. Con le proprie mani.
Questi due uomini, così diversi tra loro – l’uno un Principe di sangue Reale, l’altro un modesto cacciatore d’uccelli -, si troveranno poi insieme per affrontare lo stesso cammino anche se poi vedremo che l’impresa avrà per loro esiti molto differenti. L’uno, Tamino, è il predestinato, l’eroe, il futuro Adepto; l’altro, Papageno, è l’uomo comune, in fondo buono e generoso, ma che non vuole troppi problemi e che, durante il “cammino”, si rende conto di essersi messo dentro un qualcosa più grande di lui e quindi non esita a ridimensionare il tutto ed ad accontentarsi di una sana, tranquilla vita normale. L’essere eroico non fa per lui.
Presto ritornano le tre Dame della Regina che sentendo Papageno vantarsi di un’impresa che non ha compiuto gli chiudono la bocca con un lucchetto d’oro. Consegnano quindi a Tamino il ritratto di una fanciulla, Pamina, figlia della loro Regina, e spiegano allo stesso (che, nel frattempo si è subito innamorato di quell’immagine), che la fanciulla del ritratto è prigioniera di Sarastro, definito come un “demonio”. Tamino giura che la salverà, ed in quel momento tre colpi di tuono annunciano l’arrivo proprio della Regina.
Questa si presenta con un fragore di tuoni ed inizia con un canto straziante (con un tempo di 3/4), di povera madre a cui hanno rapito la figlia. Poi, cambiando il tempo in 4/4 intona un imperioso invito a Tamino a ritrovare sua figlia e, se tornerà vincitore, la potrà avere in sposa. E qui siamo in presenza di una delle arie più belle, difficili -ed anche famose- che Mozart abbia mai scritto.
Andata via la Regina le tre dame consegnano a Tamino un Flauto che dicono essere magico (a fine Opera si apprende la natura alchemica di questo mezzo che utilizza l’elemento aria per far vibrare i propri suoni, che è stato ricavato dalla radice di una quercia secolare, quindi di legno -elemento terrain una notte di tempesta – elementi acqua e fuoco) flauto che lo aiuterà a “superare la sventura”.
Dopo aver liberato Papageno dal lucchetto, le Dame gli impongono di assistere Tamino nell’impresa e gli consegnano un altro strumento particolare: un Carillon d’argento. Ad onor del vero Papageno non è molto contento dell’incarico ricevuto, anzi, dimostra di avere un vero e proprio terrore solo del nome
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Cosa hanno voluto dirci con questo gli autori dell’opera?
Forse che la vita, gli avvenimenti, gli uomini, le donne, e tutto ciò che compone questo nostro immenso universo non va preso così come APPARE ma che in realtà tutto ciò che ci circonda è, come dice la tradizioni indiana, Maia, è illusione.
In realtà, la Regina della notte e Sarastro non rappresentano, come dice qualche musicologo con delle conoscenze massoniche, la contrapposizione tra la massoneria femminile e maschile, quanto, piuttosto che gli stessi stanno a significare la contrapposizione delle due grandi forze che pervadono l’universo: la forza Negativa e la forza Positiva.
La Regina della Notte, come già prima accennato, rappresenta la forza terrestre, conservante, potenzialmente ostile, mentre Sarastro è la forza solare, illuminante, fecondante; ma attenzione: l’una senza l’altra non possono esistere e solo insieme consentono l’affermazione della vita nell’universo. Per ciò che riguarda l’aspetto più sottile, spirituale, si può qui solo accennare che è attraverso la corretta comprensione e sintesi di queste due forze, che l’iniziato può realizzare e far vivere in sé quel principio vivificante e trasmutante, che è il frutto di una iniziazione vissuta in senso reale e non ricevuta solo in modo virtuale.
Nel nostro Tempio Massonico abbiamo numerosi esempi di queste due forze; basti solo citare il tappeto a scacchi e le due colonne, la complementarietà a due a due dei quattro elementi; quindi già a livello di Camera d’Apprendista viene proposto lo studio della legge delle polarità contrarie: il bianco senza il nero non può esistere; non ci può essere giorno se non c’è la notte, il caldo senza il freddo, e così via.
Sappiamo già dall’inizio che Pamina è figlia della Regina della Notte (e quindi anche Lei è un elemento di Natura), ma abbiamo appreso poi che Sarastro non la tiene prigioniera, almeno nel senso che comunemente viene dato al termine, in quanto Pamina, oltre che stare della Saggezza per essere difesa proprio da sua madre, è la carta vincente che Sarastro utilizza per far venire al suo Tempio Tamino, il Principe predestinato.
Come è possibile che un grande Iniziato come Sarastro faccia una cosa così, diciamolo pure, meschina? Quale spiegazione possiamo dare a questo fatto?
Per comprendere questo paradosso occorre interpretare in un modo un po’ più “sottile” la figura della Figlia della Regina della Notte.
Questa, come elemento di natura (che andrà nel finale dell’Opera a ricongiungersi con Tamino) non rappresenta altro che l’anima dell’lniziato. E qui, se vogliamo comprendere meglio il tutto, è necessario fare un attimo di attenzione. La nostra religione ci dice che tutti noi abbiamo un’anima e ciò è senz’altro vero, ma l’anima di cui qui si parla non è l’anima “animale” -sintesi e sômma di tutte le esperienze vegetative di natura dell’individuo- ma piuttosto quella che in Alchimia viene chiamata Mercurio.
Il Mercurio è quel quid di esperienze che solo l’iniziato, proprio perché è riuscito a conglobare le due forze dell’universo di cui abbiamo parlato, è riuscito a sviluppare formando un’anima molto individualizzata, ha realizzato, il altri termini, quella che viene anche chiamata “coscienza vigile”.
D’altro canto anche molte religioni antiche e filosofie moderne hanno una molteplice distinzione dell’anima; vediamo solo qualche breve esempio, solo per chiarire meglio di cosa stiamo parlando:
a) Egizi ackh, principio di vita assoluto, rappresentato da un ibis ka, il doppio del fisico, molto legata alla sfera animale, rappresentata da due braccia alzate ba, l’anima sottile, aerea, rappresentata, a volte, da un uccello con la testa umana
La sopravvivenza dell’anima avviene solo se il Ba riesce a non dissolversi
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di Sarastro, ma ben presto scopre, dietro non troppo velate minacce, di non essere in condizioni di rifiutare. Le Dame annunciano infine che Tre Fanciulli “dolci e teneri” li scorteranno, poi, nel loro viaggio.
Questi tre fanciulli stanno a rappresentare la saggezza pura che sta in noi quando ancora siamo innocenti e che, se ci prestiamo orecchio, può ancora guidarci nelle giuste scelte. Dopo il cambiamento di fronte (cioè dopo che si apprende che tutto il clan Regina della Notte è dalla parte dei “cattivi”) i Fanciulli restano comunque dalla parte dei “buoni”. Questa contraddizione viene spiegata proprio dalla loro natura fresca ed innocente. Esiste un “momento” in noi in cui la contrapposizione bene-male è un non senso, in cui le polarità contrarie sono riequilibrate e quindi si è aldilà di ciò che comunemente si intende per Bene e per Male.
I fanciulli tengono in mano una palma d’argento: questa sta a rappresentare (per il metallo ancora non perfetto, cioè l’oro), che la saggezza di natura, seppure trasmutatrice, ha un limite oltre il quale, se si vuole procedere, non può essere efficace, da quel momento in poi occorre utilizzare ulteriori “strumenti”.
Comincia così l’avventura di Tamino .
Questa avventura, che come vedremo ancora nel corso dell’opera, è naturalmente un’avventura iniziatica e come tale essa deve avere una finalità, uno scopo.
Qui lo scopo dichiarato, come abbiamo ripetutamente detto, è la liberazione di una fanciulla, prigioniera di un uomo malvagio. Chi sia realmente Pamina, però lo vedremo un po’ più avanti; per ora ci soffermiamo solo a rilevare che la vera Forza che spinge Tamino ad iniziare questa avventura non è il desiderio di gloria: è l’amore.
In questo senso l’amore che spinge il nostro Principe non è solo l’amore per Pamina, ma è quell’amore “che move il sole e l’altre stelle”, è l’amore che spinge l’uomo, non più corribne, alla ricerca della propria identità, di quell’io più profondo che nasconde la Verità ed il Sacro.
Torniamo ora di nuovo alla nostra storia.
Mentre Tamino inizia il suo viaggio verso il palazzo di Sarastro (che è in realtà il Tempio di Iside e Osiride di cui Sarastro è Gran Sacerdote) vediamo che tre schiavi agli ordini del “moro” Monostatos luogotenente e tuttofare di Sarastro- tengono prigioniera Pamina.
Papageno arriva, per proprio conto, al Castello di Sarastro e scopre Pamina svenuta, in quanto Monostatos, tradendo la fiducia del suo padrone, le ha fatto delle profferte, quanto meno audaci.
Monostatos è certamente un personaggio ambiguo: carico di lussuria per Pamina, non esita a tradire la fiducia che il proprio padrone ripone in lui pur di appagare i propri desideri istintuali. E per di più, al momento della verità -e cioè quando la Regina della Notte decide di dare l’assalto al Castello di Sarastro- passa, rovinosamente per lui, dalla parte avversa, arruolandosi nelle file di Astrifiammante. Come i Fanciulli che provengono dalla negatività sono portatori di fresca saggezza anche qui abbiamo che dal Regno della Positività si stacca una scheggia di Male. Un continuo rammentare quante interrelazioni ci siano tra Luce e Tenebre e come sia difficile pensare ed ottenere la realizzazione dell’ Assoluto.
Papageno si incontra con Monostatos e vedendosi si spaventano a vicenda ed ognuno fugge dall’altro. Quando Pamina si sveglia, Papageno, che le è rimasto accanto, le confida di essere mandato dalla Regina della Notte e che un giovane che l’ama, senza averla ancora vista, verrà a salvarla.
Tamino intanto guidato dai tre Fanciulli (che gli raccomandano Tenacia, Pazienza e Silenzio) giunge ad un bosco sacro e si trova, davanti a sé, tre templi, rispettivamente quello della Sapienza, quello della Ragione e quello della Natura.
Questa volta coraggiosamente Tamino decide di entrare nei templi, e bussa quindi alle porte che si trova di fronte, ma per due volte una voce che proviene dall’interno.. gli vieta rispettivamente l’accesso
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al tempio della Ragione ed a quello della Natura. Quando Tamino bussa alla porta del tempio della Sapienza gli viene consentito di entrare e qui trova subito il Fratello Oratore che inizia a conversare con lui.
Il Sacerdote vuole sapere cosa ha condotto Tamino alla soglia del Tempio, al che, quest’ultimo risponde: “possedere l’Amore e la Virtù”.
Confortato da questa affermazione il Sacerdote ribatte che a lui sembra invece che solo vendetta e morte lo conducano; al che Tamino precisa che si tratta solo di vendetta per l’iniquo”.
A questo punto tutto il colloquio diventa estremamente ambiguo: l’Oratore gioca molto sulle parole e si rifiuta di rispondere direttamente alle domande di Tamino, adducendo vincoli di giuramento sul Silenzio, limitandosi solo ad informarlo che Pamina è prigioniera e rifutandosi di dirgli se è ancora viva.
Sotto un profilo musicale, abbiamo degli accordi di settima diminuita tenuti uno dietro l’altro in modo serrato sino ad essere quasi insopportabile; poi, all’improvviso, con una settima semplice, risolutiva, di Tamino che formula una domanda molto insidiosa: “Quando sparirai oh Eterna Notte, quando il mio occhio troverà la Luce ? ” l’Oratore pone fine al colloquio rispondendo: “Presto o mai, oh giovane” Al che spegne la luce e se ne va, lasciando Tamino solo.
A questo punto delle voci veramente provvidenziali avvertono lo sconsolato Tamino che Pamina è viva e questi, venuto a conoscenza che l’oggetto del suo amore è ancora raggiungibile ha, come comprensibile, un’esplosione di felicità ed esterna con il flauto la propria gioia. Al suono di questo Flauto Magico intorno a Pamino accorrono molteplici animali -domestici e fèoci- e tutti partecipano a questo vero e proprio inno alla vita ed alla gioia.
Come con Orfeo, quindi, anche qui abbiamo uno strumento che addolcisce gli animali, che li domina; e se gli animali sono le passioni interiori dell’Uomo, si scopre subito che un primo utilizzo del Flauto è quello di porre un dominio sulla “animalità” presente in noi.
Papageno, che nel frattempo è riuscito a sottrarre Pamina a Monostatos, ode il suono del Flauto Magico e prontamente gli risponde suonando il proprio flauto di Pan (attenzione: non suona il. carillon avuto in dotazione che utilizzerà, invece, in un prosieguo dell’Opera, per togliersi, a dir poco, da gravi impicci). Monostatos cattura Tamino.
A questo punto, annunciato da una solenne marcia e da un coro trionfale appare un corteo che precede il carro di Sarastro, il Gran Sacerdote, carro trainato da sei leoni; quando Papageno chiede a Pamina che cosa deve dire, qualora interrogato, lei risponde “la venta
In merito a quanto successo con il “moro”, Pamina spiega al Gran Sacerdote che ha cercato non di fuggire dal Tempio ma di aver tentato di sottrarsi alle proposte di Monostatos. Questi chiamato in causa fa entrare Tamino, causa, a suo dire, della pseudo fuga della fanciulla. Questi riconosce subito Pamina. E’ subito amore a prima vista e grande abbraccio tra i due (Tamino: “…non è un sogno” Pamina: “…lo credo appena”).
Sarastro capito come si sono svolti i fatti, non crede nelle colpe che Monostatos vuole addossare a Tamino e Pamina ma, piuttosto, con un senso dello humor alquanto originale, chiama a sé il servo e gli comunica che vuole ricompensarlo e, subito dopo, troncando i ringraziamenti di Monostatos, ordina che lo stesso venga punito per le molestie a Pamina con settantasette frustate e che Tamino e Pamina vengano condotti al tempio delle prove iniziatiche.
Finisce qui la storia relativa a tutto il primo atto; vediamo ora di analizzare in maniera analogica ed iniziatica gli avvenimenti che si sono sin qui susseguiti.
La prima cosa che appare ai nostri occhi è un completo ribaltamento di ruoli. Sarastro non è l’uomo malvagio come era stato dipinto dalla Regina della notte, ma risulta essere un iniziato saggio e sapiente.
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b) Baluba
À, mujanji, veicolo grossolano che guida la vita animale, mukishi, veicolo dei sentimenti e dell’intelligenza inferiore m’vidi veicolo dell’intelligenza superiore e dell’intuizione
La reincarnazione è possibile solo quando si riuniscono tutti i tre corpi
c) Cinesi
kuei, l’anima più pesante resa tale dai desideri della vita shen, il genio, la particella divina presente nell’essere umano
Questo dualismo si intreccia, ovviamente, con il grande dualismo della cosmogonia Tao fondata sull’opposizione-complemento dei principi Jin e Yang.
Anche il nostro Mercurio, quindi, per sua natura è duplice: da una parte è indifferenziato (anima di natura che contiene in sé il principio di vita comune a tutti gli esseri ed a tutte le cose) quindi patrimonio di tutti, mentre dall’ altra ha un aspetto “personalizzato” cioè un qualcosa che gli può essere dato solo attraverso l’ “incisione” nello stesso di principii di valori universali ed assoluti.
Tamino quindi (l’Uomo che è giunto attraverso una lenta maturazione ad uno stato evolutivo tale da poter comprendere i Misteri – e quindi diventa un “predestinato” -) è pronto per iniziare il cammino Regale – da qui il fatto che è un Principe -.
Ma tale cammino per poter iniziare deve ricevere come impulso determinante, come catalizzatore essenziale, solo un forte richiamo da parte della propria anima la quale trova nel Tempio dello Spirito (al sicuro dalle influenze dei principi inferiori) e vuole che la parte “bassa-animale” dell’individuo possa salire a Lei.
In altri termini: se la nostra anima non è pronta e non ci chiama non può avvenire nulla e noi restiamo necessariamente allo stato semi-profano.
Tamino è accompagnato nel suo viaggio da tre Fanciulli, che, come già prima accennato, portano in mano una palma d’argento: la palma è generalmente considerata simbolo d’iniziazione ed associata al maschile, mentre l’argento, come metallo, è associato alla luna e quindi alla femminilità. Forse la fusione di questi due simboli vuol alludere proprio al fatto che questi Fanciulli agiscono da tramite tra due mondi che nella storia dell’opera sono apparentemente separati in modo netto, ma che in realtà si fondono e si compenetrano continuamente.
Il Flauto Magico che viene donato a Tamino è uno strumento, come abbiamo già visto, che permette di addomesticare animali feroci: è come la lira di Orfeo, è cioè uno strumento che permette di sottomettere quelle forze proprie della natura che altrimenti l’uomo non saprebbe dominare da solo.
E’ chiaro che ciò è l’espressione simbolica di quella forza che Tamino troverà nella sua iniziazione e che saprà farlo passare da uomo comune a UOMO.
All’inizio del secondo atto, in un palmeto presso il tempio, Sarastro annuncia ai Sacerdoti lì riuniti che un giovane si è presentato alla porta del Nord del Tempio e che egli “possiede virtù, discrezione e che sa fare del bene”.
Molto bella è la frase che Sarastro utilizza per definire le qualità di Tamino. Un Sacerdote domanda a Sarastro se Tamino, quale Principe, sarà in grado di superare le prove; questi risponde: “Di più! è un Uomo”. Da rilevare che questo testo è stato scritto qualche anno prima della Rivoluzione Francese.
Tamino e Papageno vengono quindi accompagnati al sagrato del Tempio e là vengono avvertiti che la “conquista dell’amicizia e dell’amore” può essere per loro fatale. Papageno non esita a dichiarare che vorrebbe solo una Papagena ma, tutto sommato, è disposto a procedere al rito di iniziazione.
La prima prova è quella del silenzio. Rimasti soli nell’oscurità i due si trovano di fronte alle Tre Dame che appaiono dalle profondità della terra e, denigrando i sacerdoti, cercano di spezzare il loro silenzio. Inutile dire come Papageno cerchi di instaurare subito un dialogo êon le Dame, prontamente redarguito
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in ciò da Tamino che, invece, fieramente, resiste a qualsiasi provocazione. In un immediato prosieguo le cose continuano a non andare troppo bene per Papageno; lamentatosi di non avere nemmeno un po’ d’acqua gli appare una vecchia molto brutta che nell’offrirgli da bere dice di avere un amante di nome…Papageno. Il poveretto è così terrorizzato da questo annuncio che butta addirittura via l’acqua ricevuta. Ed ecco che appaiono i tre Fanciulli che offrono una tavola imbandita con a fianco gli “strumenti” magici a disposizione dei nostri due Eroi: il Flauto ed il Carillon.
Come è facilmente prevedibile Papageno incomincia subito a mangiare quanto trova mentre Tamino si limita a prendere solo il suo Flauto. Ed ecco la prova più ardua: arriva Pamina e, nonostante le sue suppliche, Tamino non le rivolge la parola e quindi entra dentro il Tempio. Pamina disperata vuole suicidarsi con un pugnale ma i tre Fanciulli intervengono e le impediscono l’insano gesto, promettendo l’arrivo di un regno di luce e di amore.
La simbologia di tutto ciò è estremamente chiara ed in linea con la tradizione Massonica: le prove propedeutiche da superare creano una frattura tra il Predestinato -ovvero l’uomo pronto per la sua realizzazione- che dimostra fermezza e coraggio, e quindi è in grado di procedere oltre, mentre l’uomo ancora non pronto cede facilmente ai richiami di una profanità tutto sommato accattivante e carica di tranquillità, con i suoi valori ampiamente accettati e condivisi da tutti.
I percorsi dei nostri due Amici, quindi, sembrano proprio destinati a dividersi: Tamino potrà infatti “andare avanti” nella via dell’iniziazione mentre il buon Papageno troverà una sua degna e sicura collocazione nel mondo profano.
Prima però di assestarsi ad un livello a lui consono, preso dalla disperazione di una solitudine feroce quanto iniqua, Papageno vuole suicidarsi. In uno straziato addio al Mondo, quando è tutto pronto, con una terribile corda sulle mani ed un albero di fronte, ecco che arrivano i tre fanciulli che suggeriscono a Papageno di suonare il Carillon.
Appare allora una deliziosa Papagena (anche lei ricoperta di piume) – chehltri non era che la vecchia

brutta prima rifiutata, ovviamente opportunamente travestita – che, nel duetto più simpatico e famoso dell’opera, gli promette amore ed una schiera molto congrua di piccoli Papageni.
Seguiamo ora però il cammino di Tamino.
La scena cambia radicalmente ed assume delle connotazioni decisamente alchemiche: ci sono due grandi montagne, da una scende una cascata d’acqua scrosciante; dall’altra erutta il fuoco (ancora l’unione dei contrari). Le rocce fanno da scenario ed ogni scena si chiude con una porta di ferro (l’accesso alla “via” non è tra i più agevoli).
Tamino è senza sandali ed è scortato da due guerrieri sul cui elmo arde un fuoco. Si fermano davanti ad una piramide ed i Guerrieri leggono a Tamino la seguente frase:
“Chi cammina su questa terra piena di dolori, fuoco, acqua, aria e terra lo purificano; se vincerà il terrore della morte si librerà dalla terra al cielo.
Illuminato, egli potrà votarsi interamente ai misteri di Iside”
I Quattro elementi Alchemici, le quattro prove rituali vengono chiaramente menzionate e ci si attende che Tamino sia in grado di superarle; questi infatti dichiara subito:
“Nessuna morte mi spaventa. Nessuna morte mi impedisce di agire come un uomo, e di proseguire la via della virtù.
Apritemi le porte del terrore, l’arduo sentiero io rischierò, sereno”
Tutto sembra pronto. Come oramai ci aspettavamo lui, non ha dubbi: vuole andare avanti, costi quel che costi, pur di proseguire sulla via della virtù.
Tamino è quindi deciso ad affrontare, come si conviene, le prove quando un grido si leva: “Tamino,
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fermati! Voglio vederti”.
E’ Pamina che, seppure edotta dei pericoli cui andrà incontro, lo supplica di portarla con sé. Tamino è entusiasta dell’idea e chiede il permesso in tal senso ai Guerrieri i quali, incredibilmente non hanno nulla da eccepire; anzi, testualmente rispondono in questo modo:
“Entrar nel Tempio, lieti, mano nella mano. La donna che non teme la notte né la morte è degna di essere iniziata.
Tamino e Pamina, confortati dalle note del Flauto Magico (“Con la potenza del suono attraversano lieti la notte tetra della morte” aggiungono gliArmigeri), suonato da Tamino, procedono per il sentiero iniziatico da cui usciranno vittoriosi.
Qui si pone il problema dell’effettivo ruolo di Pamina che, si ritiene, possa prestarsi a due chiavi di lettura; come sopra già accennato la figura femminile è sicuramente un affermare la necessità dell’armonia delle polarità contrarie, premessa questa indispensabile per il compimento dell’Opera Alchemica-Ermetica. E quindi poiché Tamino è il Vero Iniziato che dovrà portare Legge ed Armonia nella Terra (ed in ciò deve superare lo stesso Sarastro il quale, invece, è in lotta con l’altra polarità, simboleggiata dalla Regina della Notte) deve necessariamente avere in sé la propria polarità contraria: quella lunare. In termini alchemici: senza le “nozze Chimiche” e senza il matrimonio tra il Re e la Regina l’Opera non può essere compiuta. Da non trascurare, inoltre il fatto che Pamina NON DEVE superare alcuna prova prima di affrontare il decisivo confronto con il Fuoco e con l’Acqua (ricordiamoci cosa hanno detto gli Armigeri: prova mortale). E questo perché? Come mai Tamino deve fare tutta una serie di passaggi propedeutici alla prova finale (onde avere qualche speranza di successo), mentre Pamina arriva armata solo del suo Amore e, insieme all’amato ed al Flauto, riesce comunque vittoriosa? Il tutto, poi, con la benedizione dell’Ufficialità, rappresentata dai due della Soglia? La risposta può essere solo una: a Pamina non servono le prime prove in quanto ciò che dovrebbe sviluppare in sé per avere poi maggiori garanzie di successo è già presente in Lei, cioè a dire, in altri termini: la donna, per sua costituzione, ha una qualche “qualificazione” in più rispetto all’uomo che le consente di “abbreviare” alcuni passaggi del suo cammino.
L’altra chiave di lettura è sicuramente un riferimento alla coesistenza della figura femminile nelle Logge Massoniche. Ricordiamoci solo per qualche attimo dell’Ouverture e diamo una chiave di lettura della stessa un poco più approfondita. Già all’inizio dell’opera Mozart dichiara le sue intenzioni di una apertura alla figura femminile: gli accordi di apertura sono cinque, o meglio 3 + 2, proprio a significare l’unione tra la massoneria maschile, di cui il 3 è il simbolo “ufficiale” e l’inserimento della Donna, lunare, recettiva, il cui simbolo numerico è sempre stato il 2. A metà dell’ouverture Mozart riequilibra il tutto in una pregevole sintesi: ferma la musica (sembra che l’overture sia terminata…. ma non è vero!) e, dopo una pausa, fa eseguire 9 accordi. Ritengo che non serva soffermarci su questo numero che è noto a tutti.
Questo atteggiamento “ereticale” di Mozart (e qui ci si vuole, ovviamente, riferire a quelle Massonerie che non prevedono l’accesso della Donna ai propri misteri) è stato lungamente dibattuto. In questa Sede non si ritiene di dover approfondire la giustezza o meno della proposta iniziatica che il nostro

Fratello passato ci ha voluto così abilmente tramandare. Di certo, almeno personalmente, la trovo estremamente interessante e degna di essere esaminata in tutti i suoi aspetti: etici, storici, tradizionali ed iniziatici. L’Opera termina con il trionfo dei nostri due Iniziati che, superate le prove, ricevono l’omaggio del coro dei Sacerdoti:
“O iniziati, salute a voi!
La notte avete attraversato.
Grazie a te Osiride!
Grazie a te, Iside!
Ha vinto lo spirito forte! Qui la bellezza e la saggezza siano in premio coronate con una ghirlanda immortale ”
La favola è finita.v
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IL FLAUTO MAGICO 1* PARTR

IL FLAUTO MAGICO: Una Favola “Egiziana” di
Francesco Rampini
Una delle arie più famose del Flauto, “die Strahlen der Sonne”, verso la fine dell’Opera, recita quanto segue
“La Luce del Sole ha scacciato la notte, distrutto il Potere carpito dagli ipocriti.
Oh Iniziati, salute a Voi!
La notte avete attraversato.
Grazie a te, Osiride! Grazie a Te, Iside!
Ha vinto lo spirito forte! qui la bellezza e la saggezza siano a premio coronate con una ghirlanda immortale!”
Come si può ben rilevare da queste poche parole, si può facilmente dedurre che tutto il contenuto dello Zauberfloete si impernia su: un’iniziazione
• un concetto di contrapposizione tra Luce e Tenebre
• un Premio per aver compiuto “l’Opera”; forse, il raggiungimento dell’Immortalità.
E’ quindi evidente che ci si trova di fronte ad un’opera molto complessa, che, nella migliore tradizione di tutti i racconti iniziatici, si presta a molteplici chiavi di lettura.
Vediamo pertanto di capire di cosa parla lo Zauberfloete, e, in questo nostro excursus ci soffermeremo ad esaminare, in pratica, solamente gli aspetti massonici dell’Opera, tralasciando altri importanti elementi, quali quelli riguardo il Teatro, la Musica ed il contesto Storico-Sociale che pure hanno avuto un’importanza elevatissima sulle fortune della stessa.
Nel 1600 in Germania, e più precisamente nel Palatinato, venne allo scoperto un movimento che è poi divenuto la vera e propria pietra angolare di tutto il sistema iniziatico occidentale: la Confraternita dei Rosa+Croce.
Questi signori pubblicarono due manifesti, la Confessio e la Fama Fraternitatis, con i quali resero pubblici i loro intenti di costruire una nuova civiltà, fondata su valori diversi risptto a quelli sino ad allora vigenti: volevano un modo in cui ci fosse, tutto sommato, più uguaglianza e dove gli individui fossero valutati per ciò che valgono, piuttosto per ciò che socialmente rappresentano. Fino ad arrivare al concetto di realizzare una comunità di Terapeuti i quali, in possesso della Medicina Ermetica, fossero in grado dare all’Umanità quel sollievo, materiale e spirituale che, anche in quei tempi, non le avrebbe di certo nuociuto. Numerose pubblicazioni fecero seguito a questi manifesti (tanto per ricordare un titolo: “le Nozze Chimiche di Valentino Andreae) nelle quali venivano, seppure in modo allegorico e simbolico, sviluppati gli stessi temi e proposte anche vie “operative”.
Queste idee “rivoluzionarie” trovarono ampio consenso in tutta la migliore cultura Europea (dal precursore Paracelso, all’ alchimista inglese John Dee) e sfociarono, uscendo dalla Torre di Avorio di estrema riservatezza in cui sino ad allora si erano arroccate, in una corporazione di mestiere che, come tutte le corporazioni, all’epoca stava praticamente morendo: la corporazione dei Muratori. E da ciò è nata la moderna Massoneria, almeno come oggi viene comunemente intesa.
Il concetto base di tutta la filosofia Rosa+Croce era insito in una “lettura” attenta ed articolata di tutta la Tradizione Occidentale, e quindi spaziava da una reintepretazione del Cristianesimo ad una valutazione diversa, più esoterica, del movimento templare, ad un utilizzo di tutta la terminologia errnetica del Rinascimento (Ficino, Leonardo), unitamente all’uso di “chiavi” alchemiche care alla tradizione medioevale, fino ad uno studio dell’antico Egitto, considerato come la base dell’edificio iniziatico su cui, poi, tutti gli altri hanno costruito. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che a noi interessa.
La Massoneria del 1700 non era “giovane” come una superficiale analisi storica potrebbe indurci a credere.
Il 1717 rappresenta solo la formalizzazione di un atto amministrativo; la Gran Loggia d’Inghilterra, costituitasi in quell’anno, poteva finalmente parlare in nome e per conto di tutte le logge Inglesi, cosa ben diversa, questa, dal possedere un deposito tradizionale che risale a tempi ben anteriori . Un interesse sempre crescente per la cultura misterica riferita all’Antico Egitto e molte pubblicazioni in materia portano la firma di grandi Massoni dell’epoca.
Il Barone Ignaz Edler von Born, che è utile citare come esempio in quanto fondatore e Maestro Venerabile della Loggia “Zur Waharen Eintracht” -alla Vera Concordia- che Mozart frequentò sin dal 1784, pubblicò su una rivista massonica un saggio intitolato “Sui Misteri Egiziani”, che mirava, in breve, a ricondurre le origini della Massoneria ai riti arcani delle confraternite sacerdotali dell’Antico Egitt0 .
In Inghilterra, nel 1783, il Gran Maestro della contea del Kent, parlava diffusamente di tutta la conoscenza egiziana e, nello stesso periodo, Giuseppe Balsamo, Conte di Cagliostro, fondava a Parigi un ramo Massonico ispirato ad Iside; poco dopo ripete l’iniziativa a ove la presenza del Vaticano gli risulta fatale: viene arrestato ed imprigionato a San Leo, ove muore prematuramente, prima che Napoleone fosse andato personalmente a liberarlo, non senza prima aver dovuto subire una campagna diffamatoria ed infamante .
Già nel 1731 1’Abate Jean Terrasson pubblica a Parigi “Sethos” e nelle logge Massoniche questo romanzo sarà uno dei testi studiati con attenzione per tutti i significati connessi con i segreti iniziatici dell’Antico Egitto.
Il romanzo, che si sviluppa attraverso una trama molto complessa e ricca di significati simboilici, si inserisce con forza nel contesto della cultura europea sia come fonte di ispirazione per la Massoneria, che all’Egitto già riconduceva molti dei suoi Riti, sia per quei compositori, come Mozart nel suo Zauberfloete, che espressero con una o più opere il proprio affascinamento ed interesse per l’antica civiltà egizia.
Il problema vero, in tutto questo contesto di valorizzazione dell’Antico Egitto come fonte di sapienza millenaria, è di capire come questa corrente di profondi e, certamente, anche seri studiosi, potesse affermare qualcosa circa la cultura iniziatica egiziana; basti pensare che le prime informazioni certe pervenute riguardo al tutto sono relative agli studi di Champollion, effettuati durante e dopo la prima campagna napoleonica in Egitto, studi che, come noto, hanno portato alla completa traduzione della scrittura geroglifica e quindi alla comprensione certa almeno della cultura egiziana
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Poiché esistono numerose corrispondenze tra quanto effettivamente risultato dall’esame storico scientifico dell’antico Egitto e quanto non si sarebbe potuto sapere (ma che comunque si affermava) è ragionevole presupporre che esista una tradizione orale, tramandata nei secoli in parte “da bocca a orecchio” e, per altri versi, anche da complicati e, spesso, oscuri rituali, che ha conservato lo scheletro di determinati insegnamenti e che ha consentito, quindi, ad una cultura millenaria di sopravvivere, nella coscienza collettiva, attraverso i secoli.
E’ in questa corrente di pensiero, sviluppatasi in un’epoca relativamente poco conosciuta, anche

all’interno della stessa Massoneria, che, quasi certamente, un gruppo di persone non del tutto ben identificate, hanno scritto un libretto fantastico, quasi una fiaba: lo Zauberfloete.
E’ infatti difficile credere a quanto viene indicato sul frontespizio dell’opera “…libretto di Emanuel Shikaneder”.
Questi è un massone, seppure certi suoi atteggiamenti un po’ troppo disinvolti lo abbiano fatto allontanare anzitempo dall’Istituzione. Shikaneder non risulta essere mai stato un intellettuale né prima del suo incontro con Mozart (a cui deve tutta la celebrità che nel corso dei secoli si è guadagnato), né tantomeno dopo la morte dell’Amico, in quanto ha finito la sua carriera nel più modesto dei modi, rappresentando e cantando opere sempre di scarso valore, e per di più completamente al di fuori da ogni corrente di pensiero iniziatico dell’epoca.
Lo stesso Mozart non sembra avere -almeno leggendo le numerosissime lettere che ci ha lasciato e facendo riferimento a quanto traspare dalla puntigliosa e dettagliata biografia che Paumgartner ci ha consegnato- quello “spessore” inziatico e capacità di concepire dettagli di estrema complessità che l’Opera invece contiene. Mozart è entrato in Massoneria nel dicembre del 1784 e pochi mesi dopo ha avuto il passaggio a Maestro. E’ difficile, quindi, pensare che, ionostante l’indubbio ed incredibile genio musicale, abbia potuto in pochi anni assorbire una mole di conoscenze tali da consentirgli la realizzazione della struttura narrativa e la manipolazione della simbologia nel Flauto.
Sappiamo, però, per certo, che il von Born, Maestro Venerabile della Loggia cui Mozart appartiene, è un uomo di profonda cultura sia per quanto riguarda l’Egitto, sia per ciò che attiene alla tradizione Ermetico-Alchemica, di cui il libretto del Flauto è ampiamente intriso. E’ quindi molto probabile che la stesura del testo sia avvenuta a più mani, in modo da farne un qualcosa di “perfetto”, che fosse un vero e proprio testo massonico da lasciare in eredità ai propri Fratelli.
Lo stesso Mozart, dopo la rappresentazione del Don Giovanni a Praga, aveva promesso ai Fratelli di questo Oriente, per ringraziarli di quanto avevano fatto per lui, un’opera ad alto contenuto massonico.
Promessa, a quanto pare, ampiamente mantenuta.

Il Flauto Magico è l’ultima opera compiuta che Mozart abbia scritto.
Iniziato nel 1791, lo ha portato a termine, dopo interruzioni, ripensamenti ed entusiasmi di ogni genere (basti ricordare solo la Clemenza di Tito rappresentata a Praga nell’Agosto e l’indimenticabile Requiem, lasciato incompiuto) nello stesso anno, pochi mesi prima della sua morte.
Tutto il Flauto rappresenta, almeno a prima vista, tutto un collage di elementi testuali, scenici e musicali legati al mondo massonico, ma in un prosieguo vedremo come questa sia solo una prima chiave di lettura e che altre cose sono contenute in questa Opera.
Prima di analizzare però lo svolgersi della vicenda, diamo una breve occhiata all’Overture, che presenta alcuni aspetti degni di nota.
Contrariamente a quanto fatto per il Don Giovanni, in cui l’overture è stata scritta alla fine dell’opera (e quindi riprende in modo quasi pedissequo il tema della scena finale), nel nostro caso la stessa è un vero e proprio proemio, un’anticipazione di ciò che ci attenderà in tutto il corso del Flauto. Anzitutto la tonalità: Mi bemolle, tonalità preferita da Mozart per tutte le composizioni massoniche.
L’attacco è significativamente solenne: cinque accordi ritmati con il tempo:

0 – 00 – 00 (uno – uno/due – uno/due)
La ritmazione del tempo è tipica della Massoneria e, nella fattispecie, sta a rappresentare una unità inserita in un doppio binario, cioè un principio maschile, attivo, che viene messo in relazione con un principio doppio femminile, ottenendo così il numero 5, che è il numero tradizionalmente assegnato all’uomo, inteso come unità vivente, pensante, attiva.
A metà dell’Ouverture, avviene poi un fatto unico: un accordo pone apparentemente fine alla stessa ma, subito dopo, attaccano tre accordi che vengono ripetuti per tre volte (in totale abbiamo quindi 9 accordi distribuiti in sei battute). Dal cinque, quindi, si passa al nove. Dall’uomo inteso come essere pensante (e per questo caduco), si passa all’Uomo inteso come iniziato, come realizzato, come Illuminato.
Vediamo adesso di inquadrare la Storia nella sua stretta essenza.
Come in tutti i libretti ed i romanzi di appendice degni della migliore tradizione, anche qui abbiamo tutta una serie di Personaggi-Chiave, che sono:
Lui, l’Eroe e Lei, la fanciulla rapita, e quindi necessariamente da salvare la Madre di Lei, che soffre perché non ha più la figlia e il Rapitore, cioè il Cattivo i Personaggi “Minori” che ruotano attorno ai Protagonisti e la Storia, in sé, è quella di Lui che, sollecitato dalla Madre, deve salvare la Fanciulla dalle grinfie del Rapitore.
All’apparenza, quindi, siamo immersi nella più trita e scontata banalità.
All’inizio del secondo atto, però, ci accorgiamo che il Cattivo, non è in reâltà tale e che la la Cattiva (vera) è in effetti.Madre della Fanciulla rapita
Quindi: un vero e proprio rovesciamento di fronte!
Immaginiamoci il povero Eroe in che guaio si è andato a mettere, in che situazione complicata si trova ove niente è certo e scontato, ove le Tenebre diventano Luce ed il Perfido diventa il modello di una perfetto comportamento.
Che le cose però non siano cosi semplici, ce ne rendiamo subito conto all’inizio dell’Opera, senza dover attendere il Secondo Atto: l’Eroe, messo di fronte alla prima difficoltà reagisce in maniera poco ortodossa.
Non trova meglio da fare che svenire.
Ma procediamo con ordine.
L’opera inizia con T’amino, il nostro eroe-protagonista, che si trova in un bosco, tra rocce e terreni accidentati, abbigliato “con un costume giapponese”; ha con sé un arco, peraltro privo di frecce, e sta cercando di sfuggire ad un enorme serpente.
Inseguito dal rettile, il povero Tamino sembra molto spaventato e, in effetti, come sopra accennato, dopo aver invocato l’aiuto degli dei, sviene. Subito dopo, tre Dame (che ben presto si scoprirà appartengono all’entourage di Astrifiammante, la Regina della Notte) armate ciascuna di un giavellotto d’argento, uccidono, molto provvidenzialmente, il serpente; poi, un poco dispiaciute di lasciare un giovane così bello (con un po’ di civetteria ciascuna di esse avrebbe gradito di restare lì, nel luogo dell’uccisione del Serpente, a “proteggere” il Principe svenuto), vanno tutte insieme ad avvisare la loro Regina dell’accaduto.
Chi è Tamino? L’Opera lo definisce come un Principe, ma se giudichiamo da come ci si presenta, il nostro Tamino non fa certo, svenendo in questo modo, senza nemmeno accennare ad una difesa d’ufficio, la figura dell’eroe, almeno come questo viene comunemente inteso e siamo abituati a vedere.
Ed è proprio da questo sconcertante inizio che la nostra vicenda Incomincia a delinearsi.
Proprio in questo momento si intuisce un “percorso simbolico” che ha sempre affascinato l’Umanità, ma che solo pochi uomini hanno avuto il coraggio di percorrere fino in fondo.
Tamino da uomo comune diverrà, infatti, nel prosieguo dell’opera, un iniziato e come tutti gli iniziati deve innanzi tutto “morire” per rinascere ad una nuova vita e questa nozione della morte, come
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momento determinante nella propria evoluzione, che la Massoneria applica a diversi avanzamenti di grado, è anche parte integrante di ogni religione (sembra che nemmeno il Cristianesimo ne sia escluso, se correttamente interpretiamo le parole di San Paolo, quando dice “Voi siete morti e la vostra vita rinasce in Gesù Cristo”).
Tamino, però, in questa fase, non riesce a reggere all’angoscia del pericolo e quindi non ha apparentemente un grande successo nella prima inconsapevole prova che ha dovuto superare. Con questo svenimento, comunque, Tamino, ci segnala il momento della sua trasformazione.
In questo momento Tamino rappresenta l’uomo comune che di fronte alle forze della natura e quindi di fronte alla vita stessa (simboleggiata dal serpente) si trova impreparato, non ha i mezzi e le capacità di reazione. Ma Tamino è anche il Predestinato; è l’uomo che vive per i suoi dubbi, per le sue incertezze ma che ha chiaro dentro di sé un ideale di perseguimento del Bene, del Vero e del Bello. E’ l’uomo disposto a sacrificarsi per un nobile ideale ed a sacrificare tutto per il raggiungimento di un suo obiettivo.
Le tre Dame della Regina della Notte rappresentano, con la Regina stessa, che ne è la figura emblematica, l’aspetto più complesso e completo proprio delle forze della natura, e le tre Dame riescono a controllare ed a neutralizzare con facilità il Serpente in quanto appartenenti alla stessa forza operante.
In questo inizio dell’Opera così singolare veniamo quindi subito in contatto con le realtà della vita che tutti i giorni incontriamo e che nella loro complessità mettono l’uomo in situazioni spesso difficili affinché lo stesso sappia trovare, da sé stesso, quella forza e quell’amore che saprà portarlo fuori dai pericoli, dalle difficoltà, in breve: fuori da quella che Dante chiama ” la Selva Oscura”.•
(Fine I parte)

Oggi perdono a tutti coloro che mi hanno offèso.
Dono il mio amore a tutti i cuori assetati, sia a quelli che mi amano… che a quelli che non mi amano. Sarò un pescatore di anime.
Prenderò l’ignoranza degli altri nella rete della mia saggezza e la offrirò al DIO degli dèi… perchè la trasformi.
Voglio irradiare Amore e Benvolere verso gli altri per aprire un alveo che consenta all’amore di Dio, Grande Architetto dell’Universo, di giungere a tutti.
So di essere tutt’uno con la luce della tua bontà.
Concedimi di essere un faro per coloro che sono sballottati sul mare della sofferenza.
Sono un semplice servitore, pronto a porgere il mio aiuto a tutte le menti in difficoltà col mio modesto consiglio… col dono di una verità che risana e… con l’umile saggezza raccolta nel santuario del silenzio.
La mia massima ambizione è quella di erigere in ognuno che incontro …. il TEMPIO …del silenzio dell’anima.
( Yogananda Paramahansa )

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UN ” OPHALOS” DA SALVARE E USARE

UN “OMPHALOS” DA SALVARE E DA USARE di
Francesco De Nicolo
Dalle favole egizie e greche ai miti d’Oriente ed Occidente, dalle Sacre Scritture ai racconti nordici, s’è conservata, come in uno scrigno, quel che rimaneva d’una Saggezza e d’una Conoscenza non di questo mondo, di questo “Eone”.
Questo scrigno è un piccolo luogo, a nord di Bari, e può raccontare storie molto antiche. E’ uno di quei rari punti geografici in cui forze telluriche, magnetiche, geoelettriche, lasciano nella loro maglia un’anomalia: anomalia individuata e scelta già dal paleolitico inferiore quale ” luogo per l’incontro” tra Uomo, Madre-Terra e Padre-Cosmo.
Il neolitico vide questo sito meta di “sacerdoti” che, da un villaggio oggi chiamato Pulo (Molfetta) sito vicino al mare, risalendo un fiume sacro nato da polle sorgive, si dirigevano dalla foce verso l’ansa più calma -ad Oriente – per raggiungere un luogo di culto, il “Luogo Sacro” dove la polla formava un lago d’acqua fresca e dolce.
Nel 111 0 e 11 0 millennio a.C., popoli venuti da molto lontano – dalle isole Cicladi, Cipro, Creta – cercarono ” il Posto”, che forse conquistarono dopo aspre battaglie e che abitarono per un certo periodo di tempo.
Ogni opera costruita andò perduta, tranne le tombe, come il grande agglomerato di Dolmen, formato da una trentina di camere – anche se in parte distrutte dai contadini del luogo – che rappresentano la testimonianza più evidente risalente all’età del Bronzo (18 0 – 12 0 sec. a. C).
Poi, un periodo di abbandono, dalla nascita della vicina Ruvo (Magna-Grecia) al crollo dell’impero romano.
Una leggenda narra che per un certo periodo in questo luogo venne temito nascosto il Santo Graal, a lungo cercato invano dai Bizantini, e ritrovato ed “usato” dai Templari, stabilitisi quì per “caricarsi di energie”
Il luogo, utilizzato nel periodo Angioino come zona di riferimento di scambi commerciali di Puglia e Lucania, di per se insignificante agli occhi del visitatore distratto e poco competente, si trova a Km.3 circa a sud-est di Terlizzi (Bari). La stratificazione inclinata del suolo passa da 5 0 a 15 gradi in direzione sud e degna di nota è la declinazione magnetica di questo sito è 0000′ (oggi è di + 00 03).
A Sovereto, questo il nome del villaggio, meta di villeggiature estive ed abitato d’inverno soltanto da tre famiglie, vi è una chiesetta che racchiude l’Omphalos: l’ombelico, o meglio il “corridoio” che collega l’uomo al “transfinito”
Misteriose ed inspiegabili, anche se in apparenza, coincidenze hanno fatto si che Bitonto e Ruvo, due importanti centri dell’antichità, venissero edificate (casualmente?) alla stessa distanza da Sovereto, e cioè a 8 Km., mentre la via Appia- Traiana, importantissima arteria per i traffici commerciali tra Roma e l’Oriente, consente di percorrere una carrareccia che dopo Km. 1.620 (l .618 numero aureo) si collega a Sovereto.
Una strana pace, una intensa serenità, meglio, un silenzio interiore pervade il visitatore attento tanto da lasciarlo a volte turbato.
Vi era nel passato un allineamento di Menhir che oggi non è più rilevabile con continuità, rimane sul suolo solo una parte della vetusta figura geometrica denotante quelle linee di Hartmann che i Sacerdoti più sensitivi avevano tracciato per comprendere e controllare le anomalie geomagnetiche del “Luogo dell’incontro”
Ritornando alla chiesetta, ricca di indizi templari, notiamo che custodisce nel suo ventre una grotta nella quale, si dice, sia stata trovata una lampada eterna ed una effige della Madonna. Dalla porta murata della grotta si dovrebbe accedere in un regno sotterraneo, luogo di meditazione, in cui sono celati segreti e strabilianti rivelazioni. Più in là, nella chiesetta, nascosto sotto le panche, una serie di tre quadrati concentrici, che simbolicamente stavano ad indicare I’OMPHALOS, così come vuole la Tradizione, cioè il centro del Mondo, nel quale ha avuto inizio la Tradizione.
Questo arcano punto di riferimento spazio-temporale, •che appartiene al misteriosofico mondo spirituale dell’uomo, potrebbe, in un immediato prossimo futuro, essere oggetto di una

speculazione edilizia da parte di una Società Immobiliare fortemente interessata all’acquisto globale dell’intera località.
Sorge fortemente un: possibile che un luogo così fortemente caratterizzato da caratteristiche Templari, possa essere degradato ad un volgare e banale insediamento edilizio? Sovereto, luogo tanto caro ai ricercatori delle antiche leggende ad esso legate, situato nella antica Peucetia, non deve essere distrutto ma restituito a coloro che Iniziati agli Antichi Misteri, ne hanno il pieno diritto d’uso.•

Bello e gradevole, o fratelli, è vivere e restare uniti è sostenere con ardore le fatiche comuni, fedeli al nostro legame.
Prezioso è I ‘amore fraterno.
Come il profumo dei fiori…
…con la loro fragranza pervadono l’aria.
Restiamo liberi dalla contaminazione della colunnia, dal respiro velenoso della malignità, sempre pronunziando parole gentili di verità e di luce.
Se un fratello si perde o cade, tendiamogli la nostra mano soccorritrice: così miglioreremo sempre, così uniti rimarremo.
(Testo di Samuli Savio)
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UNA OCCASIONE DA NON PERDERE

La riforma della Costituz.ione del Grande Oriente
UN ‘OCCASIONE DA NON PERDERE
di
Sebastiano Scarfato
E’ apparso subito chiaro, all’indomani della fuga dell’ex Gran Maestro Di Bernardo, che la legge fondamentale del nostro Ordine aveva bisogno di una profonda revisione.
L’ultima riforma voluta dal Gran Maestro Armando Corona fu infatti frettolosa, perché incalzata dagli storici avvenimenti legati alla vicenda della P2, disordinata e confusa e per ciò stesso contraddittoria in alcune sue parti.
Non che quella operazione sia stata inutile o che gli elementi ambientali che la suggerirono siano stati superati (non lo sono tutt’ora), ma il bisogno della revisione si impose all’attenzione di molti perché, per effetto di quella riforma, si erano prodotte, o così sembrò, zone di legislazione non propriamente tradizionali entro le quali il comportamento di qualcuno parve ispirato più a pratiche profane che a consuetudini iniziatiche.
Questa valutazione assai diffusa ispirò i programmi di tutti gli ultimi candidati alla Gran Maestranza che inserirono al centro della propria proposta la revisione della Costituzione.
Il programma elettorale dell’attuale Gran Maestro incentrava l’iniziativa revisionista sul recupero pieno della Tradizione muratoria, esaltando il ruolo centrale della Loggia, vero pilastro iniziatico della Comunione massonica e cardine insostituibile della propria struttura organizzativa.
Ora, il tentativo concreto di porre mano alla riforma costituzionale attraverso l’apertura del dibattito nelle Logge avviato sul documento approntato dalla commissione speciale all’uopo istituita, appare riduttivo riguardo alle aspettative della stragrande maggioranza dei fratelli, per cui ha prodotto una sorta di generalizzata levata di scudi.
Che cosa è in effetti successo?
In primo luogo il materiale sul quale ha lavorato la commissione speciale non rappresentava il campione più significativo delle elaborazioni delle Logge italiane, poiché molte di queste avevano preferito ritirare le proprie proposte allorché, nella Gran Loggia straordinaria del dicembre 1994, non fu possibile, oggettivamente, svolgere il benché minimo lavoro intorno a queste tematiche.
In secondo luogo, la stessa commissione speciale non rispondeva alle caratteristiche intrinseche proprie di qualsiasi commissione costituente, poiché difettava della necessaria autorevolezza che solo il chiarissimo mandato popolare conferisce a istituzioni similari.
Il voto del “popolo massonico” emendato dall’opzione del Gran Maestro, seppure, quest’ultimo, autorizzato dal massimo organismo deliberativo della Comunione (la Gran Loggia),ha contribuito a limitare la considerazione di tutti sul lavoro svolto, alimentando la facile polemica di chi ha costruito strumentalmente l’immagine di una commissione di parte, asservita alla volontà di pochi soggetti.
Per cui una commissione a “rappresentatività limitata”, lavorando su un materiale non propriamente rispondente alle autentiche attese della maggioranza dei fratelli, ha elaborato un prodotto incompleto, divergente dalle tendenze elettorali vincenti e per ciò stesso non condiviso.
In qualsiasi forma sociale organizzata unitariamente mettere assieme delle regole di condotta ha il solo scopo di assicurare all’interno di quella forma sociale organizzata, la pacifica convivenza dei propri membri. Tuttavia è fondamentale, per il raggiungimento dello scopo, che tra i membri della forma sociale organizzata si consolidi il convincimento collettivo della necessità della regola e più ancora della sua osservanza.
Questo convincimento sarà tantopiù collettivo quanta più collettività parteciperà alla formazione della regola, ovvero il grado di rappresentatività dei soggetti interessati sarà il più alto e legittimo possibile.
Ora all’interno del Grande Oriente d’Italia va aperta, dopo aver azzerato la situazione attuale, una vera e propria “fase costituente”.
Tale fase è bene che sia costretta in limiti temporali adeguati all’importanza del lavoro da svolgere e soprattutto sia confinata in un ambito operativo blindato: refrattario sia alle strumentalità rinvenienti
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dall’attività amministrativa quotidiana, che alle pericolose tendenze di determinare l’evoluzione e lo sviluppo.
Occorre innanzitutto individuare e attivare, salvaguardando il principio della legittimità e della rappresentatività, gli strumenti di studio, approfondimento e realizzazione del progetto ipotizzare un percorso virtuoso di confronto e dibattito che investa nel momento dell’approvazione tutto il popolo massonico.
La commissione eletta dall’assemblea dei maestri è – a mio avviso – lo strumento operativo che, con alcuni correttivi, può raggiungere l’obbiettivo di raccogliere le migliori risorse a nostra disposizione, selezionando finalmente le potenzialità professionali occorrenti, unitamente alle capacità iniziatiche indispensabili per un lavoro che, riorganizzando un articolato normativo rispondente alle necessità di un moderno ordinamento giuridico, renda visibili i contenuti autenticamente tradizionali del Grande Oriente d’Italia.
Una commissione, infine, che tragga direttamente dal popolo la forza della sua rappresentatività non può che trarre dal popolo stesso la valutazione finale del proprio operato; sottoporre al referendum dei maestri massoni la nuova legge fondamentale dell’Ordine costituisce – a mio modo di pensare non solo un atto di democrazia sostanziale, ma la esaltazione del lavoro massonico inteso come sforzo individuale e solitario di espansione della propria coscienza fino agli stadi più elevati dell’Essere.
La Gran Loggia, in ossequio al suo potere legislativo, potrebbe ratificare il documento finale, imprimendogli il sigillo formale della sua effettualità.
Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.v
Sebastiano Scarfato
Rappresentante del Consiglio dell ‘Ordine nella Giunta esecutiva del Grande Oriente d’Italia

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IL RUOLO DELLA MASSONERIA NEL XXI SECOLO


V Conferenza Mondiale delle Grandi Logge
Madrid 24-27 maggio 2001

Il ruolo della Massoneria nel XXI secolo: tradizione, etica e nuovi valori

Sin dalle sue origini la Massoneria ha contribuito in modo sostanziale al bene dell’uomo con le sue idee e le sue azioni che sono state recepite e poste a fondamento delle società democratiche.
Il lavoro muratorio, svolto nelle Logge, ha infatti permesso nel passato ai fratelli di elevare la propria conoscenza e coscienza e li ha così forgiati per costruire un’umanità migliore.
La Massoneria, ancora oggi, è indubbiamente il solo luogo in cui uomini, legati dal vincolo di fratellanza, possono accrescere la loro spiritualità, affinare la loro conoscenza esoterica, rinsaldare la loro morale e prepararsi a vivere socialmente in forza di quei valori massonici che costituiscono per ogni persona le linee guida per poter essere liberi ed esprimere le proprie potenzialità nel pieno rispetto delle diversità.
Nel loro percorso storico i massoni si sono sempre posti come punto di riferimento per gli uomini che avvertono l’urgenza di un proprio perfezionamento e si pongono come obiettivo di essere liberi e di cooperare al miglioramento della condizione umana. Anche oggi la Massoneria può fornire un contributo essenziale all’umanità mettendo in campo nuovi valori e storicizzando quelli tradizionali e perenni, cioè applicandoli in modo originale alle condizioni attuali dell’umanità. Nell’epoca del villaggio globale e della globalizzazione insorgono problematiche che non possono essere superate solo in base a mere soluzioni economico-finanziarie, ma facendo sempre riferimento ai valori che guidano l’umanità.
In questo contesto la Massoneria può svolgere un ruolo primario e centrale perché propugna i valori fondamentali della dignità, della libertà e del rispetto del singolo nella diversità, che sono a fondamento della convivenza civile e democratica che deve ruotare intorno alla centralità dell’Uomo, con esclusione di ogni forma di intolleranza e discriminazione.
È fondamentale a questo punto sottolineare un aspetto peculiare della Massoneria: essa non ha interessi materiali da difendere, né posizioni di potere e di privilegio, di qualsiasi natura esse siano, per questo è l’unica istituzione di uomini che si può adoperare liberamente e spassionatamente per la felicità dell’uomo.
Con riferimento in particolare alla globalizzazione è necessario svolgere un’attenta riflessione. È indubbio che questo fenomeno può dare luogo a risultati positivi per l’uomo, ma non può essere considerato come un processo indipendente dalle condizioni di vita dell’uomo nella sua duplice dimensione materiale e spirituale.
Al contrario, noi massoni riteniamo che anch’esso debba essere guidato e reso compatibile con i valori, in modo che possa essere uno strumento di benessere e di elevazione e non solo una macchina che mira a soddisfare gli interessi di una parte privilegiata e minoritaria dell’umanità a scapito di altre. Nonostante i grandi risultati riferiti alla qualità della vita che si sono raggiunti nel mondo occidentale, non possiamo sottacere che sia in esso che nel resto dell’umanità sono presenti squilibri che preoccupano l’animo umano verso i quali non v’è né sufficiente attenzione, né un’adeguata volontà di porre rimedio.
Al fine di superare queste condizioni è necessario collocarsi in un’ottica diversa che non sia ristretta e legata ad interessi di parte, ma abbia un orizzonte più vasto che pone al centro l’Uomo e che sia in grado di cogliere i trends globali senza mai dimenticare le condizioni specifiche dei singoli, anche nelle forme associate, delle collettività e degli Stati. Questa apertura d’orizzonte, peculiare dei massoni, ci deve portare a considerare tutte le problematiche attuali in riferimento al bene concreto dell’umanità piuttosto che a quello di una sola parte: in ciò consiste la nostra universalità fondata sul valore della fratellanza fra tutti gli uomini. Purtroppo lo scenario mondiale suscita diverse inquietudini. La violenza esplosa in diverse parti del pianeta, le pulizie etniche, i genocidi nei continenti africano ed asiatico, il terrorismo dei fondamentalismi religiosi e l’ossessione nazionalista denotano un malessere profondo che deriva da squilibri sociali, provocati anche dal tramonto delle ideologie, e che viene avvertito sia dagli individui, sia dalle collettività.
Al contempo, le diversità della qualità della vita e delle condizioni economiche tra Nord e Sud non può che suscitare preoccupazione per il benessere dell’umana famiglia, nonché per le possibili conseguenze anche conflittuali che possono derivare. Anche nel mondo occidentale, ricco ed opulento, nonostante una diffusa ed alta qualità della vita, non sono assenti contraddizioni che minacciano l’armonia e la stabilità sociale; ingiustizie economiche e sociali, discriminazioni di diversa natura, le povertà nuove e vecchie, il degrado ambientale, i disagi psicologici ed esistenziali, nonché conflitti interetnici appaiono come un male dell’Occidente a cui si deve prestare un’ampia attenzione che sia fondata sui valori che proclamano la dignità della persona.

27 Maggio 2001

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ALLOCUZIONE DEL GRAN MAESTRO GUSTAASO RAFFI 2006

Gran Loggia 2006 “Laicità è libertà”
Gran LogGIa 2006
“Laicità è libertà”
Allocuzione del Gran Maestro Gustavo Raffi

Gentili Autorità intervenute, Signore e Signori, Carissimi Fratelli,

il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani è lieto di accogliervi nel tempio dei Liberi Muratori per l’annuale allocuzione che si tiene nel quadro delle manifestazioni connesse alla Gran Loggia, evento per noi estremamente importante ed il cui impianto mostra con patente evidenza il consolidamento di una scelta culturale intrapresa dalla più importante e numerosa Obbedienza regolare liberomuratoria italiana, ovvero quella di essere istituzione trasparente, aperta e dialogante con e, soprattutto, nella società civile italiana ed europea. Il nostro modo di intendere l’esperienza massonica, infatti, ci fa sentire soggetti a pieno titolo della modernità e non cultori di una dimensione occulta e sfuggente, di cui il mondo esterno non comprenderebbe il senso. Al contrario, come esplicitato negli statuti del G.O.I., è nostro fermo desiderio che le finalità della nostra appartenenza libero-muratoria siano pienamente comprensibili da parte dell’opinione pubblica e di tutte le istituzioni in essa attive, giacché il nostro intento è quello di contribuire in modo costruttivo al-l’edificazione di una coscienza di pace, tolleranza e libertà, al pieno servizio, quindi, degli altissimi ideali contenuti nella Carta Costituzionale. Proprio per tale ragione, in questa come in molte altre occasioni, desideriamo rivolgerci al Paese per contenuti, valori, princìpi, ma anche riflessioni e suggerimenti che sono emersi nel corso dei nostri lavori durante l’anno passato e che continueranno in quello presente con ulteriori contenuti, sebbene essi si ispirino alla ininterrotta tradizione iniziatica e spirituale della Massoneria europea nata agli albori del secolo dei Lumi. La Libera Muratoria è un’officina di libertà, innanzitutto intellettuale e spirituale; essa costituisce un luogo di ricerca esoterica, perché, attraverso simboli e riti, i singoli cittadini iniziati all’Arte latomistica sono chiamati a mettersi in continua discussione ed a procedere su di un cammino di inesauribile perfezionamento interiore. La Massoneria si propone esplicitamente come una sorta di palestra per spiriti liberi, che da punti di vista diversi hanno trovato nel dialogo uno strumento di mutua educazione permanente. Da questo punto di vista, la Libera Muratoria aspira a dare un contributo forte, ma non dogmatico, alla costruzione dell’autonomia critica dei singoli, i quali non sono chiamati ad eseguire ordini o ad aderire ad un punto di vista unico, ma a confrontarsi tra loro e con il mondo reale, esaltando i valori dell’eguaglianza, della fratellanza e della libertà, che insieme fondano i presupposti intangibili della moderna democrazia. Il progetto massonico non ha, pertanto, velleità cospirative o ambigue, né agisce nell’ombra per scopi incomprensibili. Esso mira esplicitamente, lo ripeto, a formare ed educare un cittadino maturo, capace di affrontare le sfide poste dalla complessità sociale in quest’epoca di angosce e conflitti, che sempre più emergono nella postmodernità, mettendo spesso in crisi la sicurezza e l’equilibrio del mondo. Quali sono, allora, questi particolari valori su cui i Massoni si ritrovano, pur così diversi tra loro per lingua, cultura, religione, opinioni politiche e filosofiche? Qual è il mistero che tiene insieme, in una secolare catena d’unione, così tanti fratelli, che, altrimenti, mai si sarebbero incontrati nella vita profana? Quale il vero segreto di questa unione? Nella tradizione alchemica, il vero iniziato non cerca l’oro profano ma la trasmutazione profonda della sua ipseità più vera e intima, per liberarla e sanarla dalle incrostazioni e delle contaminazioni che altrimenti trascinerebbero l’umanità verso percorsi oscuri e tenebrosi. Così, il vero massone percorre la sua strada cercando la luce, perché è mosso dalla certezza che egli non detiene la conoscenza assoluta e che, quindi, gli altri, anche i più diversi, sono per lui interlocutori indispensabili e preziosi al fine di potersi avvicinare ad essa. Egli sa, infatti, che l’Ordine massonico non possiede affatto una verità rivelata – ed a tal proposito non smetteremo mai di ribadire che la Massoneria non è né una religione né una setta che possieda una sapienza teologica propria da imporre agli altri -, ma sa anche che la Massoneria, grazie al suo “saper di non sapere”, offre uno spazio di dialogo per avvicinarsi, senza paraocchi e steccati irremovibili o dogmatici, alla verità. Il primo segreto massonico si rivela, allora, nella capacità di ascoltare, la virtù fondamentale richiesta all’apprendista libero muratore che, arrivato dalla vita profana carico di tutte le sue conoscenze, è invece obbligato al silenzio, affinché apprenda ad ascoltare gli altri e, quindi, solo successivamente a dialogare con essi. Infatti, in loggia, non si deve convincere, non si deve convertire, non si deve uniformare nessuno. Ciascuno espone, dopo averlo prudentemente meditato, il suo punto di vista, proposto agli altri come un vero e proprio dono di sé, che egli offre alla sua comunità e non come soluzione finale e definitiva nel cammino della conoscenza.

La parola, l’ordine del discorso, intesi come estrinsecazione di una propria intuizione, sempre superabile, criticabile, falsificabile se necessario, ossia come pensiero fecondo in movimento ed in un continuo processo di evoluzione, costituiscono, pertanto, il secondo segreto della nostra esperienza.
Ciò serve non solo a garantire la libertà individuale del singolo, ma anche a sottolinearne la responsabilità ineliminabile. L’iniziato ascolta, interviene, suggerisce, si corregge, procede nelle sue riflessioni e finalmente agisce secondo la sua coscienza, plasmata attraverso un metodo dialogico, critico e aperto. È così che, a partire dal ‘700, uomini di estrazione e formazione differente hanno appreso la prima grande lezione della modernità, quella della autonomia soggettiva di pensiero e giudizio, praticata tra eguali, nonostante le allora radicate differenze di censo e di religione. Tale prassi ha fondato e scolpito in modo indelebile la nostra concezione della laicità, vissuta non come antagonismo alle fedi, ma come terreno comune di dialogo e di sociabilità condivisa nonché condivisibile tra soggetti diversi, ma non per questo antagonisti. Andare d’accordo quando si è tutti della stessa opinione è molto facile; è un esercizio che non costa fatica, ma che allo stesso tempo non porta grandi meriti. Costruire un territorio di mutua riconoscibilità, di reciproca legittimità, di identità trasversale, di rispetto interculturale ed interreligioso, questo è stato lo sforzo ed allo stesso tempo il successo straordinario realizzato dalla Massoneria nei suoi esiti migliori ed autentici. Tale risultato ha scatenato ostilità e persecuzioni di ogni tipo, sia da parte di quelle religioni che vi hanno ravvisato non solo un pericolo per le proprie teologie (nonostante il fatto che la Libera Muratoria nascesse in Inghilterra come istituzione strettamente ispirata dalle dottrine cristiane), ma anche per motivi molto concreti, ossia di natura politico-sociale e politico-economica e non prettamente spirituale, giacché le prime logge costituivano, come la moderna storiografia ha messo definitivamente in luce, un fecondo laboratorio della democrazia moderna, del parlamentarismo, del superamento delle classi sociali e dell’intolleranza religiosa. Non è un caso, quindi, che le più importanti e significative carte costituzionali dei paesi occidentali, oppure che la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo”, si siano ispirate tutte in modo più o meno diretto a princìpi palesemente massonici e che siano state redatte con il concorso determinante dei Liberi Muratori attivi sulla scena internazionale tra ‘700 e ‘800. Per questi motivi, la profonda attenzione dedicata dalla Massoneria universale, ed in particolare da quella italiana, riguardo al tema della laicità è rimasta sempre viva, anche se oggi, in modo quasi paradossale, tale costante viene ad assumere un’attualità molto più scottante e pregnante che nei decenni passati. Abbiamo, infatti, tutti assistito, ed in modo sempre più evidente attraverso i vorticosi cambiamenti indotti dalla globalizzazione, ad un violento ritorno del peso assunto dalle religioni non per i profondi valori etico-morali e spirituali ad esse connessi, ma per il loro sempre più frequente voler agire sul piano prettamente giuridico e istituzionale. Da più parti, anche tra laici pentiti dell’ultim’ora, si afferma che la laicità moderna stia cantando il canto del cigno. Fondamentalisti di diversa ispirazione e tradizione hanno già preparato un ampio repertorio bandistico per questo funerale. Ciò risulta preoccupante, poiché, una volta finito il funerale, le diverse bande smetteranno di suonare insieme ed inizieranno, come già avvenuto in passato, ad intonare roboanti marce di battaglia, sempre ed immancabilmente in nome di Dio, nella vana certezza di riuscire a trionfare l’una sull’altra. Ma se, di fatto, si estinguesse la tanto esecrata laicità, lo stesso dialogo interreligioso si tramuterebbe in un braccio di ferro non tanto tra teologi ed intellettuali, ma tra istituzioni politico-religiose, che finirebbero per negoziare i propri spazi reciproci in modo proporzionale alle proprie forze. In questo senso, noi vogliamo sottolineare un concetto fondamentale: la laicità intesa come spazio di tutti, condiviso e sicuro, garantito e garantista, e non come una sorta di terra di nessuno, posta tra due linee di trincea, dove tutto può accadere con inaudita violenza, è e resta al servizio non solo dei cittadini, ma anche e soprattutto delle Chiese e delle comunità religiose. Essa, infatti, attraverso la neutralità dello Stato, rimane uno strumento di salvaguardia per tutti ed impedisce che una visione fondamentalista della propria verità si tramuti in un argomento per legittimare l’oppressione o l’eliminazione dell’altro. Parliamo di laicità e non di laicismo fondamentalista, né di estromissione delle religioni dallo scenario sociale e culturale della postmodernità. La nostra concezione della laicità si oppone apertamente ad ogni riesumazione dello Stato Etico, in qualsivoglia versione, iper-razionalista, materialista o confessionale. In una società aperta, il contributo critico delle teologie, dei valori religiosi e comunitari, rappresenta senza dubbio una risorsa importante, giacché nessuno vuole cancellare la storia e la tradizione dei diversi paesi. Allo stesso tempo, però, la pretesa di uniformare e subordinare le leggi dello Stato ad una visione teologale esclusiva costituisce un pericolo molto serio ed alquanto evidente.

La funzione della laicità moderna non è quella di scardinare le leggi o i sacramenti di questa o quella fede, ma di stabilire, in modo equidistante, una serie di norme che salvaguardino la libertà indelebile dell’individuo dall’interferenza di altri poteri non pubblici e statali al contempo miranti ad orientare il diritto secondo princìpi che non scaturiscono affatto dalla dialettica interna ad una società aperta, ma da una fonte esterna allo Stato stesso, la quale, invece, deterrebbe, nella sua infallibilità, un’autorevolezza divina e, quindi, indiscutibile. Quanto accaduto nel campo della bioetica e soprattutto della fecondazione eterologa, con particolare riguardo per la discutibile determinazione dello statuto ontologico dell’embrione che ne è scaturita, ci sembra molto discutibile. La legislazione del paese si è trovata a doversi conformare a princìpi fondamentalmente di carattere teologico, senza che opzioni filosofico-religiose, etiche e giuridiche di altra natura ispirativa avessero un qualche ascolto; e ciò, nonostante le circostanziate denunce di ampia parte della comunità scientifica, che ha sottolineato l’oscurantismo in cui veniva condannata tanto la nostra società sul piano dei diritti individuali, ma anche la stessa ricerca scientifica, che, di fatto, è stata imbrigliata ben al di là di quella serie di minima moralia che erano ampiamente condivisi tra le parti in causa. I diritti delle donne e dei nascituri sono stati così anteposti ad una sacralizzazione a priori dell’embrione, mentre la negazione della fecondazione eterologa si è fondata su criteri moralistici, rispettabili, forse anche condivisibili da parte dei singoli, ma non per questo imponibili per legge a tutta la società civile. Riteniamo che vi siano temi sui quali la scelta degli individui, difficile, dolorosa, contraddittoria, debba trovare garanzie e non soluzioni dogmatiche di natura religiosa, valevoli per una fede, ma non per altre o per coloro che si ispirano ad altre opzioni di carattere etico-filosofico. Non si dica o pensi, a seguito di tali riflessioni, che la Massoneria non difenda la vita e non la tuteli. Una tradizione secolare di martiri caduti a difesa dei diritti umani e civili, contro la tortura, la pena di morte, l’intolleranza, l’ineguaglianza, incarnata dalla Libera Muratoria, lo dimostra ampiamente. Noi abbiamo intrapreso questo cammino, quando altri inquisivano chi parlava di libertà di stampa e di ricerca, di libertà sindacali e sociali, ma anche semplicemente di autonomia della propria coscienza. Il problema è come e con quali strumenti un valore fondamentale come quello della vita e della felicità debba essere garantito e, soprattutto, con quali priorità. Ritorniamo, allora, anche se obtorto collo, sul tema del relativismo, che da più parti viene invocato come atto d’accusa nei confronti della laicità, della modernità, ed ovviamente della Massoneria, che di tale malsana dottrina sarebbe stata l’ispiratrice. Noi Massoni non ci sentiamo affatto relativisti, sia perché ciascuno di noi ha le proprie concezioni religiose, etiche e filosofiche, sia perché il relativismo inteso come assoluto rifiuto di dedurre princìpi generali e fondativi del nostro operare è lontanissimo dal nostro modo di vedere la realtà. L’indiscutibile impegno nella difesa dei diritti umani e civili, il continuo operare a tutela della democrazia e della libertà, la diffusione dei princìpi della fratellanza e del dialogo, la centralità della ricerca interiore del cammino iniziatico e, quindi, la sacralità dell’uomo e della vita, sono fatti e valori che distinguono la storia della Libera Muratoria universale ed in particolare quella del nostro paese. Ma l’accu-sa di relativismo cela molte ambiguità. Cosa è in realtà il relativismo di cui ci si accusa e si accusa la modernità? È in sostanza il non voler sottostare all’assolutismo di questa o di quella dottrina teologica, ossia il tessuto connettivo o, se si vuole, il sale della democrazia moderna, della libertà di coscienza contro l’intolleranza ed il fondamentalismo. Riconoscere che la storia e la scienza, quindi, il cammino continuo della conoscenza, hanno offerto all’umanità nuove opportunità di benessere e di salute, scardinando visioni infondate della realtà ed aprendo scenari nuovi, non ci sembra affatto una colpa. E se questo è un peccato, di esso sono cariche tutte le istituzioni religiose e le Chiese che, di epoca in epoca, hanno cambiato il loro giudizio, la loro interpretazione teologica della natura, a seguito dell’ineludibile evidenza prodotta da scoperte scientifiche rivoluzionarie. Galileo era relativista? Ed Einstein? E le nuove generazioni di fisici, biologi, etc.? Forse il relativismo è qualche cosa di differente e tale termine merita senza indugi di essere meglio definito e circostanziato. In questo sforzo ci aiutano le rimarchevoli considerazioni avanzate da due grandi filosofi del secolo scorso. Penso a Karl Popper ed a Karl Jaspers. Per vie diverse, entrambi hanno sottolineato che il relativismo non coincide affatto con la disponibilità culturale e spirituale ad accettare la sfida del nuovo, che eventualmente falsifica e nega quelle che avevamo ritenuto verità acquisite, ma si identifica piuttosto con la pretesa di disporre di una conoscenza assoluta ed indiscutibile, a cui subordinare, ed in cui coartare, ogni nuova acquisizione scientifica o storica.

Relativisti sono, pertanto, coloro che ritengono, nel nome di una pretesa verità assoluta, di avere risposte a priori per ogni quesito e che non si sottopongono né al criterio scientifico di falsificabilità dei loro presupposti, né che si mettono in discussione dinanzi alla sfida rappresentata da schemi concettuali differenti. Le scoperte di Galileo erano inaccettabili dal punto di vista di una determinata cornice teologico-filosofica del mondo e, quindi, da condannarsi. Chi lo condannò era relativista, e non Galileo o coloro che hanno ritenuto e ritengono in fieri il cammino della conoscenza, pronti a mettere in dubbio le proprie verità qualora l’evidenza mostri che esse sono fondate su presupposti errati o contraddittori. Il relativismo è, quindi, quel tipo di dogmatismo che considera esaurita la ricerca critica, che si ritiene superiore ad ogni verifica scientifica, storica o filosofica, che reputa di essere esente da critiche e pertanto non più perfettibile, perché autoreferenzialmente già perfetto e concluso. Nella sua cornice, nel suo hortus conclusus, il relativista, ossia il dogmatico, si ritiene perfetto, o perlomeno assume il proprio punto di vista come tale. Può solo porsi dinanzi agli altri in termini di superiorità spirituale e concettuale, può solo illuminare coloro che ancora dimorano nelle tenebre, ma non può essere illuminato dagli altri. Se mai, qualora qualcuno, o qualche dottrina scientifica, mettesse in crisi i propri theologoumena, egli dovrà rifiutare tale evidenza e, se possibile, vietarla o censurarla. Queste riflessioni, apparentemente astratte, hanno riflessi concreti nel drammatico scenario internazionale, dove una nuova ventata di fondamentalismo nega alla radice la separazione tra Stato laico e religione. Il tentativo di mettere in crisi la laicità, nel contesto della globalizzazione e della trasformazione multietnica del sociale, viene a sottrarre alla società occidentale uno strumento fondamentale per governare i conflitti interreligiosi e per arginare forme inaccettabili di intolleranza. Soprattutto in questo quadro spinoso, se non drammatico, il Grande Oriente d’Italia ribadisce la sua fortissima attenzione per la difesa della qualità e della centralità della Scuola Pubblica, luogo primario ed essenziale di formazione del cittadino, che non si sottrae alla complessità sociale, ma che, anzi, vi può maturare la propria coscienza civica e democratica, aperta e tollerante. L’enfasi smodata per la privatizzazione del sistema scolastico a detrimento di quello pubblico crea il rischio fondato di potenziare scuole prettamente religiose, che formino non cittadini di una società aperta, ma fedeli appartenenti a comunità separate ed in prospettiva antagoniste. Vorremmo veder realizzare una scuola dell’accoglienza, dotata pienamente dei mezzi necessari per affrontare una sfida secolare, quella di un’integrazione rispettosa delle culture di provenienza, ma non subordinata agli estremismi intolleranti, educante alla pace ed alla conoscenza dell’altro e dei suoi valori: insomma, una comunità educante e non un ghetto di lusso o per poveri, a seconda dei casi. A questo proposito, dobbiamo rilevare che anche le recenti proposte di volere introdurre l’insegnamento della religione islamica nelle scuole italiane – perseverando nell’errore commesso in precedenza a favore di quella maggioritaria nel nostro paese – destano in noi profonde inquietudini. Al di là delle questioni tecniche (ad esempio, quale forma teologica di Islam bisognerebbe insegnare, visto che ce ne sono diverse? Chi designerebbe il docente, se come per la religione cattolica, occorrerà il placet di una autorità religiosa?), rimane una obiezione di fondo: la scuola pubblica non è e non deve essere un luogo dove si devono impartire catechismi di sorta, e per questa ragione noi crediamo che di per sé stesso ogni insegnamento confessionale sia in tale sede inappropriato e inopportuno. Infatti, a lungo andare, il risultato non sarebbe altro che quello di creare per comodità classi chiuse, basate sull’appartenenza religiosa, nuovi ghetti istituzionali e non classi multiculturali e multireligiose unite da valori comuni, quali quelli della Costituzione e dell’appartenenza ad una società libera. Quando, al contrario, si pone il problema di inserire nei programmi scolastici uno studio serio e articolato della storia delle religioni, che permetta di conoscere culture e società diverse ma sempre più in mutuo contatto, sì da creare i percorsi della coesistenza, del dialogo e della conoscenza dell’altro. Come si vede, anche in questo caso, non siamo affatto relativisti, ma abbiamo in mente un modello, certamente perfettibile e migliorabile, del processo di costruzione di un equilibrio sociale, che garantisca la laicità dello Stato, una laicità non pensata contro qualcuno, ma a favore di tutta la collettività, affinché essa possa vivere in pace ed armonia e non in una sorta di tregua armata. Gentili Autorità intervenute, Signore e Signori, Carissimi Fratelli, vi ringrazio per la pazienza e per l’attenzione con cui avete seguito le molteplici considerazioni che, in questa solenne occasione, attraverso la voce del Gran Maestro, il Grande Oriente d’Italia rivolge, per tramite delle vostre persone, al paese nel quale ci onoriamo di vivere, lavorare ed operare.

Speriamo di aver mostrato come la nostra Istituzione viva con intensità la sua adesione a quelli che reputiamo essere valori centrali della democrazia e di un modo equilibrato di vivere ed interpretare la postmodernità, mossi da un prudente ottimismo e da fede profonda nella centralità dell’uomo e della sua grandezza. Se, infatti, non avessimo questa convinzione e questa speranza, non ci troveremmo ancora insieme dopo due secoli di esistenza. Chi si attendeva dal Gran Maestro indicazioni di voto, scelte di campo (destra o sinistra), per le prossime tornate elettorali, sarà di certo rimasto deluso, ma la Libera Muratoria del Grande Oriente d’Italia non intende, né può svolgere un indebito ruolo politico che non le compete, in quanto è rispettosa dell’autonomia decisionale e politica dei cittadini. Essa esprime, promuove grandi valori, agita problemi, stimola coscienze e soprattutto opera per evitare una conflittualità tra Stato e Chiesa. Ma questo non significa che debba assistere silente alle pesanti ingerenze del Presidente della Conferenza Episcopale italiana, che con l’appello al voto ha inteso orientare quello dei cattolici, fissando il criterio per decidere per chi votare, anche se non ha indicato nomi e cognomi e partiti. Vogliamo chiarire che non ci doliamo del fatto che l’alto prelato abbia ribadito posizioni che la Chiesa sostiene da tempo sulla procreazione, l’aborto, le questioni di fine vita, i diritti delle coppie non sposate, perché ha il diritto di manifestarle, ma ciò che è grave è che le abbia riproposte nel corso di una campagna elettorale; il che suona come chiamata alle armi o come richiesta di un impegno futuro a tradurre in leggi principi religiosi da parte di quelle forze politiche e/o di coloro che intendono beneficiare del voto confessionale. Maggiori sensibilità e cautela avrebbero dovuto consigliare il silenzio e il rispetto dell’autonomia politica dei cittadini cattolici e, soprattutto, l’astenersi dal favorire politici subalterni. Abbiamo da poco concluso proprio le celebrazioni dei duecento anni di vita e di attività massonica della nostra Obbedienza nella nostra amatissima patria, ma non ci siamo limitati al ricordo ed al compiacimento per i meriti acquisiti dai padri fondatori. Le diverse manifestazioni che hanno scandito il bicentenario del G.O.I. hanno, infatti, voluto senza timori offrire una rivisitazione, anche critica, della storia libero-muratoria italiana. Si sono evidenziati gli straordinari meriti di coloro che, messi nella condizione profana di poterlo fare, hanno voluto il suffragio universale, la parità tra i cittadini, l’eguaglianza tra i sessi ed i censi ed il voto alle donne, la scuola pubblica e gratuita, il riconoscimento del diritto di sciopero e di organizzazione sindacale, la costituzione delle società operaie e di mutuo soccorso, la fondazione di opere di solidarietà e di risparmio, il rispetto dei diritti umani e l’abolizione di leggi inique come, ad esempio, la pena di morte. Abbiamo avuto la forza morale di denunciare, ancora una volta, i pericoli insiti nell’abuso della denominazione “massoneria”, utilizzata per mascherare miseri fini affaristici, di carriera e ancor peggio, sì da stravolgerne i principi: fenomeno, che nel piduismo trovò la sua peggiore estrinsecazione e di cui siamo stati le prime vittime. Al riguardo abbiamo formulato condanne senza appello. Oggi in Italia opera una Libera Muratoria vivace, intelligente, al passo coi tempi, in grado di interrogarsi sui grandi problemi dell’umanità, sulle sfide aperte, sensibile alle sofferenze che da più parti della società emergono attraverso nuove forme di povertà e di emarginazione, solidale con i più umili e con coloro che sono indifesi. Essa rappresenta per la società un valore aggiunto. I grandi temi che sono stati toccati, però, mostrano che la società ha ancora bisogno di noi, dei valori della laicità, ma anche di una cultura spirituale tollerante e critica, princìpi di cui, peraltro, siamo già stati portatori nei secoli precedenti. Chi riteneva che la nostra funzione storica si fosse ormai esaurita è ora costretto a ricredersi. La Massoneria resta pienamente luogo di libera aggregazione spirituale, capace di coniugare la moderna laicità con la ricerca della verità, ambito di confronto e di riflessione, che educa i diversi a stare insieme, ad essere fratelli pur nelle rispettive posizioni culturali, e, quindi, uniti nell’inesauribile cammino di ricerca che abbiamo intrapreso. Non siamo uomini perfetti, altrimenti non avremmo bisogno di questa istituzione che parte proprio dalla necessità di un mutuo perfezionamento. Non siamo uomini pieni di certezze assolute, anzi siamo spessi attanagliati dai dubbi, da mille interrogativi. In un mondo che vende facili soluzioni, come gadget al supermarket, ma che conosce un disagio sempre crescente, in particolare tra i giovani, noi proponiamo un percorso apparentemente arcaico, ma allo stesso tempo modernissimo, quello che ci mette sempre e comunque dinanzi allo specchio e che ci induce a superare le nostre paure, le nostre debolezze, ma anche a mitigare la superficialità, l’aggressività, la voglia di chiuderci in noi stessi.
In una società che è cambiata e che cambia vorticosamente, anche la Massoneria è cambiata, pur restando fedele a se stessa, agli Antichi Doveri, che oggi professiamo con serenità, come una Istituzione che ha molto da dare ancora alla costruzione di un mondo più giusto, ed in cui il diritto alla felicità sia un fine collettivo e non un privilegio di pochi.
Noi non dobbiamo nasconderci, perché nulla abbiamo da nascondere. La luce deve brillare e con essa il dialogo con tutti coloro che lo vogliano. Ma, se possibile, noi riteniamo che si debba cercare di dialogare anche con coloro che stentano a farlo. È un impegno difficile e, talora, arduo, ma il percorso massonico è sempre irto di ostacoli. Soprattutto quando si vuole essere interpreti critici della modernità senza prevaricare nessuno. La laicità è un dono costruito con grande fatica, anche dai Massoni. Difendiamolo con saggezza, con il dialogo, con la forza della ragione, ma anche con equilibrio e chiarezza. Perdere o sminuire la centralità della dimensione laica significa aprire le porte a nuove forme di dispotismo e di illiberalità. Compito della Libera Muratoria è senza dubbio stato ed è ancora anche quello di educare, con l’esempio e con la testimonianza, alla laicità ed alla tolleranza. Poiché non ci riteniamo depositari del vero, riconosciamo che ci sono molti uomini liberi e aperti che Massoni non sono e che, però, si comportano come tali. Aiutiamo queste voci, da qualsiasi parte provengano, a costruire un dialogo vero, che insegni all’umanità a superare gli schemi ed i preconcetti, a non accecarsi nel nome di certezze assolute. Noi cercheremo di essere sempre lì dove questa voce di saggezza, di pace e di tolleranza sarà necessaria, perché la Laicità è il sale di una società aperta, il respiro della Libertà. Significa tolleranza, capacità di credere nelle proprie idee senza restarne succubi: mantenere una capacità critica ed emanciparsi dal culto di sé.

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LA MASSONERIA. ORDINE INIZIATICO

LA MASSONERIA, ORDINE INIZIATICO
di
Sigfrido Hôbel
Talvolta capita che ad alcuni Fratelli la natura e le finalità dell ‘Ordine Massonico non appaiano del tutto chiare e che anche all ‘ interno dell ‘Istituzione circolino delle idee vaghe e superficiali, se non del tutto erronee. Capita quindi che in alcuni casi si parli addirittura di crisi di identità e si invochi la necessità di una riflessione su noi stessi e sul carattere del nostro Ordine.
In realtà, i documenti ufficiali della Massoneria Italiana sono sufficientemente chiari ed esaurienti, se ci si prende la briga di rileggerli e di riflettere su quanto vi è scritto.
Né possono esservi molti dubbi per i Fratelli che vivono in modo profondo ed effettivo la loro esperienza iniziatica, e che, coscienti di cosa significhi una tradizione iniziatica, hanno sviluppato un certo livello di conoscenza del linguaggio dei simboli e delle dottrine esoteriche.
Consideriamo dunque, in primo luogo, quanto è scritto nei nostri documenti.
Negli Antichi Doveri del 1723, ai quali fa riferimento la nostra Costituzione, si legge, al Capo l : “Un Muratore è tenuto, per sua condizione, ad obbedire alla legge morale … la Muratoria diviene il Centro d ‘Unione, e il mezzo per conciliare sincera amiciziafra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distantî’
La Costituzione della Massoneria Italiana, nel definire la natura dell ‘Istituzione, afferma quanto segue: “La Massoneria è un Ordine universale iniziatico di carattere tradizionale e simbolico. Intende al perfezionamento dell ‘Uomo e dell ‘Umana Famiglia (Art. l)
“La Comunione Massonica Italiana, fatti propri gli Antichi Doveri, persegue la ricerca della verità ed il perfezionamento dell ‘Umana Famiglia; opera per estendere a tutti gli Uomini i legami d’amore che uniscono i Fratelli; propugna la tolleranza, il rispetto di sé e degli altri, la libertà di coscienza e di pensiero” (Art. 4: Principi e finalità)
Per quanto poi riguarda il “metodo” del lavoro massonico, la Costituzione afferma che la Massoneria “Segue il simbolismo nell ‘insegnamento e I ‘esoterismo nell ‘Arte Reale” (Art. 5 : Metodi). Per quanto riguarda il Simbolismo seguito nell ‘insegnamento, è ovvio che ci si riferisce, in primo luogo, alla Simbologia massonica: Simbolismo del Tempio (Colonne, Volta stellata, Delta, Sole e Luna, Pavimento a Scacchi, Quadro di Loggia, Nappa a frastagli, ecc.)
Simbolismo della Pietra Grezza e della Pietra Cubica e del Lavoro Muratorio
Simbolismo degli Strumenti dell’Arte (Squadra, Compasso, Maglietto, Perpendicolare, Livella) Simbolismo dei Rituali.
Per quanto riguarda le finalità dell ‘Istituzione, nel Rituale di Apertura dei Lavori in Camera di Apprendista, quando il M. Ven. chiede: “A quale scopo ci riuniamo?” il I Sorv. risponde: “Per edificare Templi alla Virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio, e lavorare al bene e al progresso delI ‘Umanità”
Nell’iniziazione al Grado di Apprendista, dopo aver invitato il candidato a riflettere profondamente su se stesso nel Gabinetto di Riflessione, meditando sulla scritta VITRIOL, il M. Ven. gli spiega che la Libera Muratoria può aiutare a sciogliere la benda, simbolo delle tenebre nelle quali è immerso I ‘uomo, dominato dalle passioni e immerso nell ‘ignoranza e nella superstizione. Il profano afferma quindi di cercare la Luce.
In seguito il M. Ven. accenna ai principi della LM, comuni a tutti i FF., affermando che sono immutabili e perfetti, e dicendo che la tolleranza è uno di questi principi. Parla poi dei Doveri: il primo è il silenzio, il secondo è di praticare la virtù e di soccorrere i Fratelli, il terzo è di conformarsi alle Leggi dell ‘Ordine e ai Regolamenti della Loggia.
Nell’lniziazione al Grado di Maestro, i simbolici segreti del Grado sono racchiusi nella Leggenda di Hiram:
Hiram, il Maestro Costruttore del Tempio di Salomone, rifiuta di rivelare la Parola ai tre cattivi Compagni (identificati con l’ignoranza, il fanatismo e I ‘ambizione) che lo colpiscono rispettivamente con il Regolo, la Squadra e il Maglietto.
“Hiram è morto… La Parola è perduta… Profonde regnano le tenebre”.
Tre Luci (collegate alle Virtù Massoniche Forza, Bellezza, Saggezza) sono necessarie per annullare l’opera degli assassini, ritrovare la Parola e riprendere la costruzione del Tempio.
I passi citati sono in effetti già sufficienti per definire la natura dell ‘Ordine e le finalità dei suoi Architettonici
Lavori. Naturalmente, dato il loro carattere “simbolico”, gli insegnamenti massonici vanno interpretati.
Facciamo dunque riferimento, in primo luogo, all ‘autorevole Interpretazione in chiave morale degli insegnamenti e del Lavoro Massonico data dal Lenhoff (Il Libero Muratore), facendo riferimenti alle Costituzioni del 1723, e ad autori massonici come Fichte e Lessing:
L’Arte Reale è, secondo il Lenhoff, un’arte di vita per il Massone, basata sulla conoscenza di se stesso, I ‘autoeducazione e I ‘amore, è I ‘arte di edificare la propria anima, come I ‘umanità intera, a dimora dell ‘Eterno.
Il Segreto, incomunicabile ed incomprensibile per i profani, cui manca I ‘esperienza del senso etico delle usanze massoniche, consiste nell ‘accordo spirituale dei FF., nella loro capacità di penetrare nel più intimo santuario dell ‘Arte Reale.
La Massoneria, afferma ancora il Lenhoff, non è il santuario dei Cavalieri del Graal, come taluni vogliono credere, e l’Arte reale non è mistica, non possiede alcuna istruzione segreta, alcuna chiave per i misteri del mondo. Quello che distingue la Massoneria dalle antiche società misteriche è il suo contenuto: I ‘ideale dell ‘Umanità.
Va ora osservato che il linguaggio simbolico tradizionale non si presta ad una lettura univoca, ma va interpretato a vari livelli: secondo i Cabalisti, vi sono quattro modi per interpretare le Sacre Scritture, e questi quattro gradi interpretativi della Torah (la Legge) sono espressi dal termine Pardes (Giardino), composto dalle iniziali di ognuno di essi:
Peshat è il significato letterale della Torah e riguarda gli eventi storici narrati;
Remez è il significato allegorico che illumina le formulazioni filosofiche delle Scritture; Derash è I ‘interpretazione morale;
Sod, infine, è il significato simbolico e mistico che rivela gli aspetti occulti della Divinità, le leggi cosmiche e le loro connessioni con la vita umana.
La stessa suddivisione esegetica verrà ripresa dalla tradizione cristiana e Dante, nel Convivio, enumera i quattro sensi dell ‘interpretazione: letterale, allegorica, morale e anagogica.
L’interpretazione allegorica ci dice qualcosa di più e di “altro”: l’allegoria (da allos Iogein: dire altro) utilizza le immagini per esporre dei concetti astratti secondo un linguaggio codificato dalla consuetudine di un impiego secolare.
Dal discorso allegorico deriva il significato morale, nel momento in cui le allusioni e le analogie evocate dalle immagini vengono riferite a virtù morali ed a modelli di comportamento.
L’Anagogia indica invece l’elevazione a livelli sublimi e trascendenti, e quindi il senso simbolico, mistico e metafisico delle Scritture.
Le motivazioni sociali e umanitarie attribuite alla Libera Muratoria, e le interpretazioni etiche del suo simbolismo, per quanto giuste e universalmente condivise, non colgono però, se non parzialmente, I ‘essenza della Massoneria, e ne danno una rappresentazione che solo in parte testimonia la sua qualità di Ordine iniziatico e di carattere simbolico e tradizionale, come recita la nostra Costituzione.
L’antica formula “Conosci te stesso” iscritta sulla soglia dei Templi, non alludeva infatti solo ad un processo introspettivo e di autocoscienza di tipo psicoanalitico finalizzato al miglioramento dei comportamenti umani e delle relazioni sociali, ma voleva piuttosto indicare la necessità che l’uomo giungesse a conoscere la natura più intima, profonda e divina del suo vero essere.
Pitagora, Platone, i Neoplatonici, gli scritti ermetici, parlavano, in tal senso, della pratica filosofica come conoscenza delle leggi che regolano l’Armonia cosmica, del destino delle Anime, del Demone (o Intelletto) toccato in sorte ad ogni uomo, e facevano riferimento alla reminiscenza delle passate esistenze. E malgrado l’impegno al silenzio osservato dagli iniziati, sappiamo che gli antichi culti misterici avevano il fine di condurre I ‘uomo alle soglie dell ‘Altro Mondo, mettendolo in condizione di percepire un ordine di realtà diverso da quello fisico e terreno.
L’equilibrio psicofisico, la pratica delle virtù, la dimensione etica, il sentimento di fratellanza, la solidarietà e l’impegno politico e sociale non costituiscono se non lo stadio preliminare, la pratica dei Piccoli Misteri, ed hanno lo scopo di perfezionare la natura umana per consentire all ‘uomo di raggiungere, in una condizione di perfetto equilibrio, la sua centralità, e quindi, la rinascita, o meglio, la rigenerazione del Maestro ucciso.
Questo stato è simboleggiato dal punto al centro della circonferenza (simbolo del Sole) o, in chiave diversa, con riferimento alla triplice costituzione dell’uomo, dall’Occhio nel Delta (l’Unità, punto di
partenza e compimento della Tetraktis), e corrisponde alla condizione dell ‘uomo che ha sgrossato e levigato la Pietra, ed ha reso armonica la sua personalità e le componenti del suo essere (la circonferenza orientata in rapporto alle quattro Virtù Cardinali, il Triangolo compreso fra le tre Luci).
Una volta raggiunto questo stato, l’iniziato è in grado di entrare nella sfera dei Grandi Misteri, il che comporta il suo distacco (temporaneo o definitivo) dal mondo del divenire e della manifestazione materiale, e dalla sua stessa personalità: grazie alla conoscenza e alla pratica iniziatica, raggiungendo uno stato di equilibrio e distacco, l’uomo può ritrovare il centro, immobile e immutabile, del suo essere, il luogo metafisico attraverso il quale passa l’asse invisibile che collega i vari stati dell’essere.
L’lniziazione non è pertanto qualcosa che riguarda semplicemente la sfera morale e sociale, ma è il punto di partenza di un percorso volto alla piena realizzazione spirituale dell ‘essere. Come sottolinea Guenon, I ‘Iniziazione consiste nella trasmissione di un’influenza spirituale (Luce, Verbo, vibrazione iniziale) che si imprime nella Materia Prima allo stato caotico, e la illumina. Da ciò l’importanza della regolarità iniziatica fondata sull ‘origine non umana di tale influenza spirituale e sulla sua ininterrotta trasmissione.
Per quanto riguarda il termine di Arte Reale, per comprenderne pienamente il significato, lo si deve mettere in rapporto all’altra definizione di Arte Sacra, in quanto i due termini, che possono essere messi in relazione al simbolismo delle due Colonne, riguardano due aspetti diversi e complementari dell’esperienza iniziatica, il primo dei quali è riferito alla sfera umana, naturale e terrestre, propria dei Piccoli Misteri, e quindi, alla realizzazione orizzontale della perfezione umana, corrispondente al ripristino dello stato dell’Uomo Primordiale. L’Arte Sacra riguarda invece la sfera trascendente dei Grandi Misteri, la realizzazione verticale dell ‘Uomo, la sua Ascesa attraverso i Cieli e la sua reintegrazione nello stato di Uomo Universale.
Allo stesso tempo, I ‘Arte Sacra è quella del Sacerdote, concepito come colui che, avendo raggiunto il suo Centro, è in grado di operare come mediatore fra il mondo invisibile e quello visibile, e, nel nostro caso, è I ‘ Arte del Maestro che, avendo raggiunto uno stato di perfetto equilibrio, ed in possesso delle chiavi per la retta interpretazione dei simboli, è in grado di trasmettere ad altri I ‘Influenza Spirituale della Tradizione massonica, di iniziare al Lavoro iniziatico e di “insegnare”.
Il tanto discusso “segreto massonico” non è infine che il simbolo di uno stato di Silenzio interiore, nel quale ci si separa dal mondo profano e si interrompe ogni comunicazione col mondo esterno e anche con se stesso (cessazione del dialogo interiore). Il Silenzio che gli iniziati agli antichi Misteri giuravano di osservare, il Segreto da custodire gelosamente, riguarda infatti esclusivamente I ‘esperienza iniziatica in quanto esperienza vissuta e reale acquisizione di una conoscenza sovrarazionale, sublime e ineffabile: pertanto è solo in senso esemplificativo o simbolico che I ‘impegno al Silenzio e al Segreto è stato riferito ad altre forme di segretezza, come quella sui segreti di mestiere, sui riti o sull ‘appartenenza ad un Ordine iniziatico.•

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IL CASO DI BELLA. RAGIONI E SENTIMENTO

Il caso Di Bella: ragioni e sentimento
di
Giuseppe Cecere
Un mite medico catanese, laureatosi a Bari, con studio a Modena sperimenta dal 1963 un metodo di cura anticancro che in un certo numero di casi ha dato risultati migliori dei metodi approvati ufficialmente.
Questa nuova terapia, si basa sull ‘utilizzazione di un “cocktail” di tre diverse specialità medicinali: somatostatina, retinoidi e bmmocriptina, associate amelatonina, ciclofosfamidi a piccole dosi ed altre vitamine.
Ma la Commissione Unica nazionale per il farmaco (CUF) non ha mai riconosciuto come efficace tale terapia, perché priva di una seria sperimentazione clinica, eseguita secondo canoni tradizionali.
Tuttavia, data la particolare patologia interessata, il Ministero invita il prof. Di Bella a concordare un piano sperimentale ed a consegnare le cartelle cliniche dei casi trattati; inizialmente questo non avviene e di conseguenza migliaia di malati che affidano le loro speranze di guarigione alla terapia “Di Bella” lo fanno a spese proprie. C’è grande incertezza e sofferenza tra loro, soprattutto tra quelli che, non potendo affrontare senza alcun sostegno della Sanità Pubblica I ‘onere economico della terapia, si vedono costretti a rinunciare. Sarà un Pretore di provincia a farsi carico delle loro rimostranze e con la sua azione a far crescere un movimento d’opinione che ritiene sia giusto assicurare ad ogni malato la cura nella quale egli o il suo medico credono, poiché il diritto alla salute è sancito dall’art. 32 della Costituzione. E’ altrettanto giusto, però, che per curarsi debbono esserci delle regole serie.
A breve partirà la sperimentazione della terapia coordinata tra Ministero della Sanità e il prof. Di Bella, seppur tra mille polemiche.
La terapia “Di Bella”, diventa l’alternativa alla chemioterapia pura che viene accusata di essere devastante nella sua azione: essa colpisce sia le cellule tumorali che quelle sane. Elevati, poi, sono gli effetti collaterali quali la nausea, il vomito, le anemie, la depressione, la perdita di capelli: in definitiva, un sensibile peggioramento della qualità della vita.
C’è, però, un altro aspetto della terapia “Di Bella” che colpisce I ‘opinione pubblica: il recupero del rapporto “medico-malato”.
Oggigiorno il medico, spesso, perde il ruolo di colui che da uomo di scienza privilegia il malato e non la malattia, che con calore umano studia il malato nei suoi problemi e nei suoi malanni; che diagnostica il male e propone la sua terapia necessaria secondo scienza e coscienza e non secondo le regole burocratiche del prontuario farmaceutico, con atteggiamento gelido, al paziente considerato con un numero sanitario e lasciato solo col suo dolore e la sua disperazione.
Soprattutto nel campo oncologico, dove la medicina non è in grado di dare certezza e le terapie, anche se efficaci, sono nel contempo dannose, il medico ha il dovere di vagliare con grande oculatezza scientifica ed umana rischi e benefici, ed informare il paziente degli uni e degli altri.
Il prof. Di Bella dà subito l’impressione di essere un uomo di altri tempi, cura i malati senza chiedere alcun compenso; gli si può attribuire, però, il solo torto di aver lasciato intendere a molti, di possedere le chiavi per penetrare nella fortezza del “cancro” e di poter distruggere il male.
Egli stesso dice che invece di “pugnalare” il cancro, la sua terapia lo accarezza, lo blandisce, lo induce al suicidio rafforzando le difese dell’organismo che lo ospita, per rendergli la vita sempre più difficile.
E’ giusto, pertanto, che venga fatta una seria sperimentazione clinica’ che valuti la efficacia e la sicurezza del metodo Di Bella, al fine di tutelare la salute dei pazienti.•
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