L’ESOTERISMO DI DANTE ALIGHIERI

L’esoterismo di Dante Alighieri (di Alberto Canfarini)

PROMA PARTRE

La nascita di Dante Alighieri è incerta, viene indicata tra maggio e giugno del 1265, morì esule a Ravenna il 14-settembre-1321.

Nacque in una famiglia fiorentina degli Alighieri legata ai guelfi, che si opponevano ai ghibellini.

Il padre di Dante, Alighiero di Bellincione, esercitava l’attività di cambiavalute senza aspirazioni politiche pur essendo un guelfo.

Quando i ghibellini vinsero la battaglia di Montaperti non lo esiliarono perché lo giudicarono non pericoloso.

Il poeta sposò a 20 anni Gemma figlia di messer Manetto Donati, che apparteneva ad una importante famiglia fiorentina, che più tardi si schierò con i guelfi neri fazione avversa a quella del poeta.

Studiò le discipline previste dalle scuole e dalle università medievali, teologia, filosofia, fisica, astronomia, grammatica e retorica.

L’apprendimento di Dante avvenne nello Studio Generale di S. Croce. La persona che cambiò la vita del giovane Dante, fu Brunetto Latini, il quale riconobbe in lui il genio e gli donò la sua conoscenza. Dante lo ricorda nei famosi versi:

(Che n’la mente m’è fitta ed or m’accora,
la cara e buona immagine paterna,
di voi, quando nel mondo ad ora ad ora,
M’insegnavate come l’uom s’etterna).

Don Vincenzo Borghini afferma che i veri maestri di Dante sono stati i libri, infatti nel quarto canto dell’Inferno elenca quasi tutti gli uomini colti e i grandi filosofi dell’antichità, dai quali il poeta ha tratto conoscenza e saggezza.

Possiamo affermare con certezza che la sua cultura esoterica era completa ed ebbe la fortuna di essere stato cooptato dai Fedeli D’Amore che lo introdussero nell’infinito mondo dell’esoterismo.

Quasi tutti i ricercatori hanno ritenuto la società dei Fedeli d’Amore d’estrazione templare e di conseguenza in forte sospetto d’eresia per la chiesa.

C’è una forte similitudine fra il pensiero di questa scuola e la mistica persiana Sufi, in particolare quella dei Rumi, fondata da Jalal al Din Rumi, poeta persiano.

I Fedeli d’Amore erano una organizzazione tradizionale iniziatica, nata dalla realtà medioevale del tredicesimo secolo.

In quel periodo storico il potere dell’imperatore si era affievolito in Italia ed al suo posto nella complessa situazione politica italiana, s’infiltrava il potere temporale della chiesa, che con il suo dogmatismo, la tortura e i roghi dell’inquisizione, s’impadroniva del potere.

Alcuni accademici hanno messo in dubbio l’esistenza dei Fedeli d’Amore, ma lo stesso Dante ne parla in Vita Nova.

Nonostante l’indifferenza dei critici accademici d’estrazione clericale, si sono dedicati allo studio di questa associazione personaggi come Ugo Foscolo, Maria Filelfo, Antonio Maria Biscione e poi Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Luigi Valli, Gabriele Rossetti e René Guenon.

Questa associazione si è avvalsa del Dolce Stil Novo, movimento poetico italiano, che si è sviluppato verso la fine del 1200, divenendo una ricerca raffinata che si differenzia dall’italiano volgare, portando la tradizione verso un linguaggio ricercato ed aulico.

La poetica stilnovista acquista un carattere intellettuale e si avvale di metafore e simbolismi dal doppio significato.

I Fedeli d’amore come traguardo sociale si proponevano di riportare la Chiesa all’insegnamento del Cristo ed il clero ad una morale e spiritualità che ormai giudicavano decaduta ed infangata.

Contribuirono ad occultare nel linguaggio del Dolce Stil Novo un messaggio esoterico, Jacopo da Lentini, Pier della Vigna, Guido Guininzelli, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Cecco d’Ascoli e Dante.

René Guenon è stato un convinto assertore della radice templare dei Fedeli d’Amore, ricorda che si fregiavano dei stessi colori e del titolo di Kadosch, (Santo), che veniva conferito agli alti gradi dell’istituzione.

Inoltre fa notare che dietro le apparenti diversità dottrinali emerge una unità essenziale che si sostanzia nel pensiero metafisico, il quale non è pagano, ne cristiano, ne è una esclusiva di nessuna altra tradizione, é universale, infatti é contenuto anche nei Veda indiani.

Definire il pensiero di Dante eretico, come fece la Chiesa, è pura ottusità, egli era in possesso di quella sapienza esoterica che valica il tempo e lo spazio, è eterna.

I Fedeli d’Amore erano esposti all’intransigenza della Chiesa dell’epoca, da qui la necessità di celare il loro pensiero con un linguaggio criptato, che era stato scelto con quello degli innamorati, perché ritenuto idoneo ad esprimere il loro pensiero.

Questo linguaggio trovò i suoi natali in Provenza, creato da Roman de la Rose per proteggere gli Albigesi dalle persecuzioni di Innocenzo terzo.

A Firenze dette impulso a questo linguaggio criptato Guido Guininzelli, che apportò delle modifiche perché ormai alcune parole come fiore e rosa erano state comprese dall’inquisizione e le modificò con nomi di donna come Beatrice, che inoltre dovevano trovare riscontro nella realtà della vita sociale dell’epoca.

Beatrice significava la sapienza iniziatica, donna per definire gli iniziati, piangere significava simulare fedeltà alla Chiesa cattolica, pietra o pietra nera per definire la chiesa corrotta, saluto per definire l’atto dell’iniziazione, sono solo alcuni nomi di un lessico molto vasto.

Il Cavalcanti si distinse in questa società iniziatica, fu colui che iniziò Dante e scrisse poesie e sonetti di alto contenuto esoterico.

Sembra che questa scuola iniziatica avesse sette gradi come le arti liberali. Dante scrisse sonetti e canzoni di grande valore iniziatico per i Fedeli d’Amore, il suo migliore talento lo espresse in Vita Nova, dove descrisse la sua seconda nascita, quella iniziatica.

Il poeta a causa del suo carattere ribelle ebbe delle incomprensioni con i capi di questa organizzazione e fu abbandonato, noi diremo assonnato. Per farsi riaccettare scrisse la canzone “Donne che avete intelletto d’Amore”, che entusiasmò per il suo alto valore esoterico, fu risvegliato e posto fra gli alti gradi dell’istituzione.

In seno alla società emersero due tendenze di pensiero, la prima quella conservatrice del Cavalcanti, che riteneva la Sapienza iniziatica di natura razionale. La seconda quella che faceva capo a Dante, la quale faceva scaturire la Sapienza dal connubio delle potenzialità umane, la ragione, la spiritualità e l’intuizione superiore.

Col prevalere della teoria del poeta, il Cavalcanti si ritirò ed avvenne una scissione che portò l’istituzione vicina alla chiusura.

Dante cercò di dare nuovo impulso alla società, ma nonostante i suoi sforzi ed anche a causa delle aumentate pressioni della chiesa i Fedeli d’Amore cessarono di operare ed il poeta la definì “La morte di Beatrice”.

Dante per lenire il suo dolore si dedicò al sociale, s’iscrisse nella società degli speziali ed entrò in politica.

In seguito Dante fece altri tentativi di ridare vita alla società dei Fedeli d’Amore ma sembra con poco risultato.

La delusione fece nascere nell’animo del poeta la necessità di lavorare esotericamente in solitudine. Concepì l’idea ed iniziò la sua più grande opera, il suo capolavoro, “La Divina Commedia”.

L’esistenza di Dante è stata legata e fortemente condizionata dagli avvenimenti politici di Firenze. Nel 1250 un governo di borghesi ed artigiani mise fine all’autorità della nobiltà fiorentina.

Il conflitto fra guelfi fedeli al papa e ghibellini fedeli all’imperatore divenne una guerra fra borghesi e nobili.

Nel 1252 a Firenze vennero coniati i primi fiorini d’oro, che divennero i dollari dell’Europa commerciale dell’epoca.

Dante fu nel consiglio del popolo dal 1295 al 1296, fece parte del Concilio dei cento e fu inviato come ambasciatore a S. Giminiano.

Nel 1266 la città fu ripresa dai guelfi ed i ghibellini furono esiliati.

Il partito dei guelfi in seguito si divise in due fazioni, bianchi e neri.

Dante, quando la lotta fra le fazioni opposte si fece più aspra, si schierò con i bianchi che cercavano di difendere la città dall’egemonia della chiesa e da papa Bonifacio ottavo.

Nel 1300 fu Priore dal 15 giugno al 15 agosto, osteggiò sempre la politica della Chiesa e in particolare fu acerrimo nemico di Bonifacio VIII.

Dante si trovò a Roma in qualità d’ambasciatore, fu trattenuto con l’inganno dal papa mentre Firenze fu messa a ferro e fuoco il 9-novembre-1301 da Carlo di Valois.

Il 27-gennaio e il 10-marzo 1302 fu condannato due volte in contumacia al rogo ed alla confisca delle sue case.

Il poeta fu costretto all’esilio e si rifugiò in diverse corti della Romagna come gli Ordelaffi signori di Forlì.

Il poeta in qualità di capitano dell’esercito degli esuli, insieme a Scarpetta Ordelaffi, tentarono di riprendere Firenze ma persero nella battaglia di Castel Pulciano.

Dante fu un personaggio scomodo per il suo pensiero politico e filosofico, l’appartenenza del poeta alla società segreta dei Fedeli d’amore, ormai è stata accettata quasi da tutti.

Dante fu ritenuto dalla Chiesa un eretico perché rifiutava di riconoscere le delibere del Concilio di Vienna del 1311, con le quali Clemente quinto aveva formalizzato l’abolizione dell’Ordine del Tempio.

Il poeta con la teoria dei due soli, papato ed impero, entrambi necessari per l’umanità ed autonomi l’uno dall’altro, contrastava la bolla di Bonifacio settimo che pretendeva di sottoporre qualsiasi autorità terrena alla preminenza della Chiesa.

Tentarono d’implicarlo in un processo per magia nera, che indagava sul tentato assassinio di papa Giovanni ventiduesimo.

Dante terminò le sue peregrinazioni a Ravenna dove trovò asilo presso Guido Novello da Polenta, signore della città. Rimase sempre in contatto con la città di Verona dove si recò per illustrare la sua ultima opera scritta in latino “Quaestio de aqua et terra”. Andò a Venezia in qualità d’ ambasciatore e nel viaggio di ritorno passando per le paludose valli di Comacchio contrasse la malaria e morì a Ravenna il 14 settembre 1321.

Pochi anni dopo la morte del poeta il cardinale Beltrando del Poggeto, nipote di papa Giovanni ventiduesimo, in una pubblica cerimonia fece bruciare il libro di Dante “De Monarchia”ed era sua intenzione fare disseppellire la salma del poeta per farla bruciare insieme al libro.

Questa barbara dissacrazione fu evitata per l’intervento del signore di Ravenna Ostasio da Polenta, successore di Guido Novello, così Dante si salvò dal rogo sia in vita, sia dopo la morte, cosa che non avvenne per Cecco d’Ascoli e tanti altri martiri vittime dell’integralismo della Chiesa.

I funerali furono solenni, ufficiati nella chiesa di S. Francesco a Ravenna e nello stesso convento furono composte le sue spoglie.

La sua salma fu spostata più volte per evitare che venisse trafugata dai guelfi neri, ora riposa nel tempietto settecentesco vicino al convento.

Dante condivise il pensiero dei filosofi dell’antichità, di non divulgare l’insegnamento esoterico a tutti, nel senso che certi concetti altamente spirituali non possono essere dati in pasto a chi non può comprenderli.

Già Omero diceva: (Il maestro non deve buttare le proprie parole). Esse devono cadere solo dentro le orecchie di persone capaci d’assumersi le proprie responsabilità, che il Vero comporta.

Platone nella settima lettera dice: (Ogni uomo serio deve con grande cura evitare di dare mai in pasto le cose serie, scrivendo su di esse, all’invidia ed all’incapacità di capire degli uomini….…ma non penso che il mettere mano, come si dice a questi argomenti sia un bene per gli uomini, se non per un numero limitato di persone capaci d’arrivare da se stesse attraverso una minima indicazione).

Aristotele ha chiarito che la filosofia antica non mira ad una saggezza rivolta alle cose di questo mondo che sono mutevoli, ma ad una suprema saggezza, la Sofia, contemplazione delle cose eterne e invita chi la cerca a tendere verso l’acquisizione di una saggezza quasi divina.

Da questo concetto nasce la considerazione che questo insegnamento non è per tutti, perché in definitiva pochi sono interessati a questo sublime traguardo, non facile da realizzare, che richiede tutta la propria intelligenza, il proprio coraggio ed il risveglio dell’intuizione superiore.

Si narra che un seguace della scuola pitagorica Ippaso fu condannato a morte da Pitagora per aver divulgato la scoperta dei numeri irrazionali; che secondo il maestro minacciavano l’armonia della matematica e non ne accettò mai l’esistenza.

Questa estrema riservatezza nel medioevo cambia di poco, era consentito scrivere di queste cose ma solo tramite un codice che funzioni da filtro per i lettori.

Questo metodo fu applicato anche per la magia, l’alchimia e l’astrologia.

Dante nella tredicesima lettera indirizzata a Cangrande della Scala afferma, che nella Divina Commedia non vi è un solo senso per interpretarla.

Essa può dirsi polisema: (1)

(O voi ch’avete li’ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto il velame delli versi strani.)

Dante in modo esplicito ci dice che sotto il velo si nasconde, per chi è capace di svelarlo, un senso nascosto propriamente dottrinale: (2)

(Aguzza qui, Lettor, ben gli occhi al vero,
che il velo è ora ben tanto sottile,
certo, che il trapassar dentro è leggero).

Nella seconda strofa il poeta ci spiega, che procedendo sulla via dell’iniziazione cadono gli ostacoli ed il candidato acquisisce gradualmente la capacità di vedere la Verità.

Molti commentatori delle opere del poeta hanno espresse le loro convinzioni, ma Dante chiarisce nel Convivio, che le scritture sacre possono essere comprese ed interpretate con quattro sensi di lettura che non si contrastano, ma devono completarsi ed armonizzarsi fra loro.

Sarà il caso d’ascoltarlo perché sicuramente è il più qualificato a farci comprendere il suo pensiero.

Dante parlando a Cangrande dice: (Abbiamo un primo senso letterale, che funziona da velo e narra il viaggio immaginario del poeta attraverso l’Inferno, il Purgatorio, ed il Paradiso, non va oltre le parole fittizie come fanno i poeti nelle favole).

Un secondo allegorico che svela il senso che si nasconde sotto il manto di queste favole. Dante dice: (E’ una verità nascosta sotto una bella menzogna). Il poeta porta l’esempio di Ovidio che illustra l’opera d’Orfeo, che ammansiva le fiere con la cetra. Questa favola allude alla capacità e saggezza D’Orfeo di convertire l’animo di coloro che si possono redimere.

Un terzo morale che riguarda il significato etico, studiando le sacre scritture l’umanità può pervenire alla felicità.

In questo terzo senso, Dante ricorda anche la necessità della riservatezza, e porta l’esempio di Cristo che quando salì sul monte della trasfigurazione lo fece con tre apostoli e non con dodici, perché le cose segrete vanno fatte con poca compagnia.

Un quarto senso analogico, scaturisce quando si cerca nelle scritture il livello spirituale usando il metodo “metafisico ed iniziatico”, che porta alla comprensione delle supreme cose. Il poeta porta l’esempio del Profeta che narra l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto:

(All’uscita d’Isdrael dall’Egitto,
della casa di Giacobbe
di fra un popolo barbaro,
la Giudea diventa un santuario,
Isdraele e il suo dominio).

Se questi versi vengono letti in modo letterale, ci viene comunicato l’uscita dei figli d’Israele dall’Egitto al tempo di Mose.

Se vengono letti in modo analogico s’intende l’uscita dell’anima, la sua conversione dalla corruzione e dal peccato, il ritorno dell’anima alla gloria, alla purificazione, alla libertà e all’eternità. Questo quarto senso è il più difficile a comprendersi perché è riservato a chi è stato iniziato, esso coordina ed unifica gli altri sensi e porta alla comprensione più alta dell’Opera divina.
Guenon fa una digressione storica che riguarda i viaggi extraterreni nelle differenti tradizioni.
In quella musulmana si evidenzia l’identità del viaggio dantesco con quello descritto da Mohyiddin Ibn Arabi che è il più grande dei maestri spirituali dell’Islam e che a suo avviso sembra abbia ispirato Dante.

Il sommo poeta è stato influenzato anche dalla tradizione “Una”che iniziò in occidente con Ermete Trismegisto “E siccome tutte le cose sono e provengono dall’Uno, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica per adattamento” poi questa tradizione raggiunse il suo massimo splendore con la filosofia metafisica di Platone.

La descrizione della struttura del cosmo che si articola in tre mondi è conforme con la tradizione, il sovramondo, il mondo terreno ed il mondo infero.

Questi mondi appartengono alla stessa struttura cosmica, che sembra fondare l’universo intero sulla legge dell’equilibrio ternario.

Compare subito con forza la narrazione della struttura cosmica, il tempo e lo spazio, il mondo minerale, vegetale ed animale.

Nella Commedia compaiono prepotentemente i numeri che emergono in chiave simbolica, carichi di un messaggio iniziatico, il poeta è stato un profondo conoscitore del simbolismo numerico.

Dante espone dei paralleli con tradizioni come il pitagorismo, che fondò la sua sapienza sulla proporzione dei numeri, che considerava il fondamento di tutto.

Vi sono stati degli studi che hanno evidenziato che Dante nella Divina Commedia non usa mai meno di 115 e non più di 160 versi per ogni canto.

L’altra curiosità è che Dante pur scrivendo in terzine non impiega mai un numero divisibile per tre, il numero finale di ogni canto è pari ad un multiplo di 3 più 1.

Nella cultura egiziana 111 rappresenta il divino, se a 111 togliamo un uno resta 11 il male.

Nei canti dell’inferno compaiono tre numeri 1-4-7, il numero 1 indica Dio creatore; il numero 4 simboleggia i quattro elementi terra, acqua, aria, fuoco, dove l’adepto viene iniziato; il numero 7 l’unione dell’uomo con Dio, dopo la purificazione dei peccati.

Il poeta conduce i lettori in quell’universo spirituale dove prende vita e si dipana l’opera dantesca,

nelle opere minori di Dante si ravvisa lo stesso contenuto analogico come in “Vita nova” dove emergono visioni, presagi, sogni e rivelazioni.

Compare subito Beatrice figura luminosa, che poi riappare nella Divina Commedia trionfalmente nei canti finali del purgatorio e del paradiso, dove Dante la descrive come donna angelica, si evidenzia in modo chiaro che non si riferisce a una donna reale, ma come simbolo di sapienza paragonabile a quella di Salomone. Il Dolce Stil Nuovo usato dai Fedeli d’amore va interpretato in chiave analogica.

Il messaggio criptato nelle opere di Dante era reso necessario oltre alle considerazioni già esposte di non dare l’insegnamento a chi non è in grado di capirlo, anche considerando con quale durezza la Chiesa condannava le teorie che giudicava eretiche.

I Fedeli d’Amore fingevano di sospirare per le loro donne, rese angeliche come Beatrice di Dante, Laura di Petrarca e Fiammetta di Boccaccio, che segretamente simboleggiavano i loro ideali politico-religiosi indirizzati ad un progetto di rinnovamento della Chiesa.

Dante sostiene che il 1300 si colloca a metà di un ciclo completo, che gli antichi consideravano come equidistante fra i due rinnovamenti del mondo.

Continua dicendo che situarsi al centro di un ciclo significa situarsi in un luogo divino, i mussulmani dicono:

(La dove si conciliano i contrasti e le antinomie).

Il centro secondo la tradizione indù, è simboleggiato dal centro della ruota dove il movimento della maia s’arresta e si può percepire l’armonia delle sfere.

Il viaggio di Dante si compie secondo l’asse spirituale del mondo, soltanto di la si possono vedere tutte le cose che non cambiano, perché anche noi una volta pervenuti colà, siamo non più soggetti al cambiamento ed si ottiene una visione sintetica e totale.

I commentatori del poeta parlano del museo di Vienna, dove vengono conservate due medaglie, una con l’effige di Dante, l’altra con l’immagine del pittore Pietro da Pisa, sul rovescio delle medaglie sono incise le lettere “F.S.K.I.P.F.T.” Fidei, Sanctae, Kadosch, Imperialis, Principatus, Frater, Templarius.

Da questa testimonianza nasce la convinzione che Dante era uno dei vertici della società segreta della Fede Santa equivalente ai Fedeli d’Amore, infatti Dante nella parte finale del paradiso prende come guida S. Bernardo di Chiaravalle, colui che ispirò la regola dei templari.

La Divina Commedia è un testo iniziatico con il quale Dante codificò le sue conoscenze.

Il poeta descrive un percorso iniziatico dove l’uomo s’avventura alla ricerca delle sue origini, è un ritorno al punto dove partono tutte le cose, descritto con un linguaggio pregno di simboli ed allegorie che velano i segreti iniziatici.

Virgilio guida l’adepto su quella strada in salita che lo conduce alla trasmutazione della propria coscienza.

Dante compie il viaggio durante l’equinozio di primavera, quando gli adepti delle società degli antichi Misteri praticavano il rito della morte e della rinascita, decantando la parte pesante della materia e conducendo l’adepto verso la ripresa di coscienza della sua componente divina.

Chi intraprende questo percorso si trova gravato dalla materia e dalle passioni, il poeta rappresenta questa condizione con tre bestie che sbarrano la strada, e simboleggiano la natura pesante dell’uomo che deve compiere una trasmutazione totale, che si realizza subendo il rito della morte iniziatica.

Enea nel sesto canto dell’Eneide scende agli inferi e Maometto, solo ottanta anni prima del poeta, percorre il viaggio all’inferno prima di salire verso le sfere celesti.

Ricordiamoci che anche Cristo dopo la morte scende all’inferno per poi salire alla destra del Padre, così Dante secondo la tradizione, deve scendere verso il basso, all’ inferno ed affrontare le energie negative che si oppongono alla risalita.

Chi è sulla via dell’iniziazione si deve rende consapevole della sua parte oscura, deve compiere l’opera di decantazione, di purificazione della propria anima che prelude all’avverto della Luce iniziatica che dissolverà le tenebre nella propria coscienza.
FINE I° PARTE

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IL 27 GENNAIO É LA GIORNATA DELLA MEMORIA.

IL 27 GENNAIO É LA GIORNATA DELLA MEMORIA. LA SHOAH É UN LUTTO INCANCELLABILE PER L’UMANITÁ TUTTA
25 Gennaio 2024 Dario Seglie

Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche dell’Armata Rossa fecero irruzione nel campo di Auschwitz e per la prima volta fu alzato il sipario sull’immenso ed inimmaginabile orrore dei lager nazisti. Ogni anno dal 2005 (in Italia dal 2000) sulla base di una risoluzione delle Nazioni Unite si celebra in quella data la Giornata della Memoria, per ricordare le vittime dello sterminio attuato dalla Germania nazista e dai suoi alleati: miilioni di persone, ebrei, zingari, omosessuali, disabili, massoni, rom, sinti, jenish, testimoni di Geova, pentacostali, minoranze slave delle regioni occupate nell’Europa orientale. Un lutto incancellabile per il mondo intero.

Il valore della pace

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l’Occidente si impegnó solennemente a fare il possibile per evitare che quell’ Olacausto potesse ripetersi. Si impegnó a mai dimenticare. Una promessa che oggi sembra vacillare dinanzi ai conflitti che infuriano non troppo lontano da noi, dinanzi alla loro insensata brutalitá, alle stragi di civili, ai massacri di innocenti, alla scia inarrestabile di sangue. Il mondo sembra aver dimenticato il valore della pace. Quel valore che é intrinseco nella Giornata della Memoria, ne rappresenta il significato autentico attraverso l’ immane dolore, di cui é espressione, che deve farci riscoprire il senso vero della fratellanza, solo antidoto ai razzismi.

Le pietre d’inciampo
E se a Roma finalmente nascerá il Museo della Shoah, Empoli si è fatta avanti proponendosi come sede del Progetto delle Pietre d’Inciampo, che prevede la realizzazione di un archivio in cui saranno raccolte foto, storie e testimonianze delle vittime dell’Olocausto, e di una mappa interattiva dove si potranno vedere le ubicazioni di tutte le targhe incastonate nelle strade del territorio per ora della Toscana. Un patrimonio che sarà disponibile sia online che in formato cartaceo. La speranza è che altre cittá seguano l’esempio e si mettano in rete. Le pietre di inciampo sono piccoli blocchi quadrati di pietra (10×10 cm), ricoperti di ottone lucente, posti davanti la porta della casa nella quale ebbe ultima residenza un deportato nei campi di sterminio nazisti: ne ricorda il nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione, la data della morte. In Europa ne sono state installate già oltre 70.000, la prima a Colonia, in Germania, nel 1995 su iniziativa dell’artista Gunter Demnig (nato a Berlino nel 1947) come reazione a ogni forma di negazionismo e di oblio, al fine di ricordare tutte le vittime del nazifascismo, che per qualsiasi motivo siano state perseguitate: religione, razza, idee politiche, orientamenti sessuali. Grazie a un passa-parola tanto silenzioso quanto efficace, oggi si incontrano Pietre d’Inciampo in oltre 2.000 città in Austria, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Lussemburgo Norvegia, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ucraina e Ungheria.

I massoni nei lager
Duecentomila si stima finora siano stati i liberi muratori che nei paesi occupati dalla Germania il regime di Hitler perseguitò e deportò, a partire dal 1934, distruggendone le logge, sequestrando beni e documenti, gran parte dei quali oggi sono stati ritrovati a Poznan in Polonia, dove gli studiosi li stanno catalogando e riordinando. Per mettere in atto la repressione massonica il Terzo Reich costituì una sezione speciale ad hoc, la II/111 del Servizio di sicurezza delle SS, sotto la direzione di Heinrich Himmler. Nei lager i massoni, al pari degli altri detenuti politici dovevano indossare un triangolo rosso mentre la stella di Davide era riservata agli ebrei, il triangolo rosa agli omosessuali, quello viola ai testimoni di Geova…quello marrone agli zingari. Ma oggi il simbolo che commemora quei fratelli martiri è il Non ti scordar di me, fiore che in Germania durante gli anni delle persecuzioni veniva utilizzato dai liberi muratori che operavano in clandestinità come segno di riconoscimento. Recentemente è stato scoperto che all’interno della Baracca 6 del campo di concentramento nazista di Emslandlager VII, in Bassa Sassonia, si era costituita il 15 novembre del 1943, la loggia Liberté chérie, Amata Libertà. A fondarla in quel momento così drammatico erano stati sette liberi muratori detenuti politici. Il bellissimo nome che le fu dato riecheggia le parole della Marsigliese. La leggendaria officina apparteneva all’obbedienza massonica del Grande Oriente del Belgio, con il numero d’immatricolazione 29bis.
24 Gennaio 2024

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LA POTENZA DELLA LUCE DELLE IDEE

LA POTENZA DELLA LUCE DELLE IDEE

Il tema della Gran Loggia 2024 scelto dall’attuale Giunta del Grande Oriente d’Italia guidata dal Gran Maestro Stefano Bisi, sarà: “La luce delle idee nella bellezza delle azioni”. Cogliendo lo spunto dal filo conduttore della massima assise massonica italiana, che si terrà a Rimini il 5 e 6 aprile prossimi venturi e Venerabilissimo Gran Maestro Antonio Seminario vorrei riportare, in questo mio scritto, alcune brevi riflessioni sulla potenza che la luce delle idee può portare nelle nostre azioni. Il nostro Ordine, specie negli ultimi anni, si è spesso ritrovato a dover riflettere ed agire diviso tra alcuni concetti apparentemente distanti fra loro, se non addirittura,
contraddittori. Mi riferisco alla memoria del nostro passato, alla necessaria lettura ed interpretazione del presente ed alla progettazione delle azioni per il futuro. Inoltre, è stato più volte chiamato a dover sciogliere una ambivalenza importante fra due diverse visioni. Una, di matrice prettamente illuminista, laica e laicista della Società, intesa nel senso più profondo del termine, quale autonomia culturale e politica contro ogni forma di clericalismo e di confessionalismo. L’altra, che si rifà, invece, ad una tradizione rituale e simbolica che si richiama alle sue più antiche e profonde radici iniziatiche e spirituali.
Se vogliamo veramente lavorare per il bene dell’Umanità, se desideriamo operare per la realizzazione di un latomismo mondiale, di un’unica grande Patria di tutti i Liberi Muratori, una patria trasversale, transnazionale, capace di coagulare, armonizzare ed utilizzare le differenti sapienze figlie dei diversi luoghi della Terra, dobbiamo, nel prossimo futuro, affidarci allaforza delle nostre idee, le quali, come fari nella notte, ci hanno sempre indicato e continuano a mostrarci la strada da percorrere.
Dobbiamo guardare al nostro futuro ricordando e facendo tesoro del nostro passato, perché una progettualità senza memoria è il progetto di una casa costruita sulla sabbia.
Dovremo esprimere il meglio di noi stessi, tutti assieme, in una fraterna, grande catena di unione, in un egregore universale che isoli ciò che divide, per cogliere il bene presente in tutte le diverse istanze. Dovremo creare un “athanor” ideale che, con il fuoco rappresentato dalle idee fondanti il nostro Ordine, permetta di estrarre la Pietra Filosofale della nuova Massoneria del XXI secolo. E il fuoco di tale opera alchemica per il nostro ordine non può che venire dalla potenza delle nostre idee. II nostro passato, la nostra tradizione non sono affatto concetti statici e cristallizzati, bensì organismi viventi, forze dirompenti in continua evoluzione che ci forniscono le chiavi per aprire le porte del futuro, che ci aiutano a risolvere le grandi sfide che si parano davanti a noi per i prossimi anni.
I nostri antichi simboli, nati per superare la mediazione e le limitazioni del linguaggio logico deduttivo, strumenti per creare un imprevedibile, a priori, nuovo intreccio di pensieri ed idee ci dovranno supportare, ancor di più che nel passato, per creare la Massoneria dei prossimi anni, alla ricerca della pietra oscura nascosta all’interno di ciascuno di noi, che dovremo continuare, incessantemente, a sgrossare.
Così facendo, una volta ritrovata la nostra vera anima, le antiche idee potranno unirsi alle nuove istanze; la libertà del singolo,
all’interno delle regole dell’Ordine, diverranno la libertà di tutti noi. Perché ogni Tempio interiore deve, necessariamente,
aprirsi al mondo esterno, ma deve, altresì essere costruttori spettando ferree norme iniziatiche. La luce delle nostre idee deve illuminare le zone d’ombra della nostra Società, non concorrere a rendere la notte ancora più lunga e impenetrabile! Noi Massoni, costruttori di ponti, mai di steccati, dovremo ritornare ad essere un faro per la Società, e non, come a volte, purtroppo, avviene, un mero specchio del degrado profano. Dobbiamo ritornare ad essere l’avanguardia laica e spirituale del consesso civile, riprendendo e rafforzando secolare. Solo così si potrà diventare esempio per il Mondo civile; solo così il sogno dei nostri Padri fondatori che tutti noi abbiamo condiviso al momento della nostra iniziazione, potrà diventare il sogno della Massoneria Universale. Tutti i Fratelli,
ciascuno con le proprie diversità, peculiarità ed eccellenze, uniti in egregore, con la condivisa volontà di operare per il
nostro rinnovamento interiore e per il bene dell’Umanità. E’ questa la riflessione che io consegno alla Comunione Massonica, la vera potenza delle nostre idee che dovrà guidare le nostre azioni future

STEFANO BISI Grenn Maestre del G.O.I.

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ESOTERISMO DEL QUADRO DI LOGGIA

ESOTERISMO DEL QUADRO DI LOGGIA

Perché esiste una legge naturale per tutti gli ini-
ziati, che li spinge a non negare a nessun vero aspi-
rante la conoscenza che gli è dovuta. Ma vi è pure
un’altra legge altrettanto naturale, che inibisce
che venga comunicato alcunché della conoscenza
occulta a chi non ne sia degno. E un iniziato tanto
più è perfetto, quanto maggiore severità pone
nell’osservare queste due leggi.”
Rudolf Steiner
Introduzione
Il quadro di Loggia è sicuramente e senza al-
cun dubbio, il cuore della Loggia e ne costituisce
l’elemento simbolico e vitale, il centro generale,
sia quando posto sul pavimento per essere illu-
strato, sia quando posto davanti al tavolo del 2°
sorvegliate all’attenzione dei fratelli ad indicare il
grado in cui si lavora.
Nella storia il Quadro di Loggia è sempre stato
interpretato e costruito come traduzione grafica e
per immagini del rituale, ovvero della disposizio-
ne materiale di persone e simboli all’interno del
Tempio, rappresentandone in una singola visione
le diverse parti dello stesso altrimenti visibili solo
parzialmente.
Questo testo e questa raccolta di riflessioni,
per i fratelli della Loggia di Ricerca Antonello da
Messina della Gran Loggia Regolare D’Italia vo-
gliono essere spunto di critica e analisi su defini-
zioni, simboli, segni e spazi rituali che troppo
spesso, a nostro dire, sono visti, riportati e defi-
niti in maniera superficiale, perdendo quanto di
misterico ed esoterico essi racchiudono e tra-
mandano.
Ci soffermeremo con attenzione anche alle
terminologie legate al quadro di Loggia del I°
grado, poiché riteniamo che in esso sia tracciato il
cammino di tutta la vita massonica sia in termini
di comportamento ideale dell’iniziato sia come
profondo legame mistico con l’obbedienza e la
scelta di vita di essere “massone”.
Il richiamo storico
I quadri di Loggia, come sottolineavamo già
all’inizio del scritto sono stati per anni la manife-
stazione geometrico-sinottica della Loggia e han-
no permesso, quindi a chi aveva il compito di al-
lestire il Tempio di poter disporre correttamente
tutti gli elementi e le posizioni in modo corretto.
Nel tempo il Quadro di Loggia è sempre stata una
raffigurazione schematica della Loggia stessa e-
spressa principalmente in forma simbolica, ovve-
ro associata agli strumenti e ai materiali del me-
stiere di tagliapietre o di costruttore indicando il
livello di competenza (ruolo nella Loggia), la ca-
pacità (grado nella Loggia) e l’organizzazione
(rango nella Loggia). Ogni posizione era indivi-
duata in forma simbolica e tratta pedissequamen-
te dal rituale che fino all’inizio del 1800 erano
principalmente i rituali Francesi tra cui il Rito
Scozzese Antico e Accettato.
In Italia l’arrivo del Rito Emulation è molto più
tardivo rispetto alla sua concezione e risale ai
primi anni settanta del XIX sec. Venne introdotto
ad opera di Fratelli provenienti ovviamente dalla
ritualità scozzese, e fu conseguentemente pratica-
to in Templi massonici concepiti e arredati in ori-
gine per il rituale scozzese. Questi due fatti hanno
determinato un curioso effetto: per quanto esi-
stano ormai moltissimi Fratelli italiani assai com-
petenti riguardo all’esecuzione del rito Emula-
tion, pochi tra loro sono in grado di distinguere
esattamente i supporti simbolici strettamente
pertinenti alla sua ritualità e distinti da quelli
scozzesi. Essendo stato iniziato in una Loggia
Emulation ma avendo partecipato a lavori in ritu-
alità “scozzese” ne ho percepito le differenze e
spesso, anzi spessissimo in alcune Logge italiane
ad alcune mie riflessioni o domande sul perché di
abitudini non propriamente “ortodosse” rispetto
al rito Emulation mi veniva sempre risposto sem-
plicemente “reminescenza del rito scozzese” a si-
gnificare che lo stesso non è mai stato abbando-
nato del tutto da tutti i Fratelli Italiani o che co-
munque praticano e seguono il rito Emulation.
Voglio precisare, più che come richiamo stori-
co, come sistema di approccio di studio, che esi-
Esoterismo e simbologia del quadro di Loggia
Interpretazione dello spazio rituale e della visione architettonica
di Armando Rossi sono due modi per analizzare il simbolismo di un
rituale massonico. Studiarlo rapportandolo al
simbolismo massonico tradizionale seguendo un
percorso davvero impervio che necessita di una
conoscenza profonda e fortemente “esperienzia-
le” nei diversi riti e nelle loro differenti declina-
zioni che ovviamente io ritengo di non possedere
poiché sono certo di non aver ancora accumulato
sufficiente “esperienza” per affrontare tale cam-
mino. Il rituale Emulation è il prodotto di un lavo-
ro immenso e profondo di rielaborazione che per
analizzarlo, anche soltanto in minima parte, è ne-
cessario un livello di conoscenza della storia della
Massoneria che pochi fuori dall’Inghilterra pos-
sono vantare.
Pertanto, così come per altre ricerche, mi limi-
terò ad analizzare il quadro di Loggia di I° grado
attraverso un’analisi esegetica attraverso il sim-
bolismo esoterico in generale ma anche rappor-
tandolo a quello più squisitamente architettonico
per il quale sento, da Architetto e docente di Sto-
ria dell’arte nella vita profana, di essere più por-
tato al fine di analizzare aspetti peculiari insiti nel
Quadro ma molto spesso non colti proprio perché
non appartenenti a questo “mestiere”. Il fascino
della “massoneria” (cito un fratello) è proprio
quello di intuire l’esistenza di una verità assoluta
riservata agli iniziati, che si cerca di raggiungere
tramite un percorso esteriormente oggettivo ma
interiormente estremamente personale e singolo.
Riportando una delle tante definizioni presenti
nei nostri rituali partirò da quella che troviamo
nel secondo grado (la cito senza timore di com-
mettere alcun danno poiché essa è comunque
presente sotto altra forma già nell’esortazione di
I grado). La Massoneria è “un peculiare sistema di
morale, velato da allegorie e illustrato da simboli”
e il quadro di Loggia ne è sempre stato la sua ful-
gida materializzazione. Se è vero che per noi del-
la GLRI l’intero cammino massonico è tutto sinte-
tizzato nei tre Gradi, il rituale messo a punto nel
1823 dalla ELOI (Emulation Lodge Of Improve-
ment) ne ha tirato fuori con sapiente capacità
l’essenza, concentrando il meglio delle diverse
tradizioni in pochi tratti fondamentali.
Altro riferimento storico importante per defi-
nire la linea ideale del quadro di Loggia è
l’organizzazione della stessa Massoneria dalla sua
pratica iniziale all’attuale ritualità, come riporta il
nostro I.V.G.M. fr. Fabio Venzi nel testo Origine
ed evoluzione della ritualita’ libero muratoria
inglese ..
“essendo la ritualità massonica differente da
luogo a luogo e, nello stesso luogo, persino
tra Loggia e Loggia, l’unico iniziale comune
denominatore tra esse fosse un generale ri-
ferimento alle abitudini e tradizioni ispirate
alla Massoneria operativa medievale e, so-
prattutto, un aspetto conviviale, basato sulla
recitazione e rappresentazione di tale tradi-
zione, una sorta di ‘gioco di ruolo’ teatraliz-
zato”
egli sottolinea e avvalora la necessità di poter
avere una sorta di schema comune e condiviso
per la disposizione di ogni figura all’interno della
ritualità/rappresentazione.
Questa logica è perfettamente calzante con i
Quadri di Loggia che nella storia hanno caratte-
rizzato e caratterizzano ancora oggi molte obbe-
dienze tra cui quelle che si rifanno all’Antico Rito
Scozzese poiché particolarmente articolato, com-
plesso che oserei definire “barocco” nella sua
manifestazione.
Questo articolato sistema di posizioni, movi-
menti, rappresentazioni necessitava una guida,
una traccia da seguire e il quadro di Loggia, cosi
come le rappresentazioni dei progetti architetto-
nici che spesso troviamo in alcuni quadri ne rap-
presentava l’unitarietà delimitando gli spazi, or-
ganizzando la rappresentazione e definendo i
ruoli di ogni attore.
La massoneria anglosassone usa due espres-
sioni per definire il quadro di Loggia “Trestle
board” o “Tracing board” che sembrano indicare
due modi differenti di concepire il Quadro di Log-
gia. La prima richiama la posizione del quadro
poiché formata dalle parole “cavalletto” e “tavola”
e non sembra fare alcun riferimento al suo conte-
nuto ma prende il nome solo dalla sua disposi-
zione. La seconda che ha la parola “tracciato o
tracciatura” fa esplicito riferimento al disegno a
terra della Loggia, come si faceva un tempo, op-
pure alla sua disposizione generale dal punto di
vista organizzativo.
La tavola risulta essere quindi l’elemento certo
sul quale organizzare la Loggia, come anche indi-
cato sulla pubblicazione della Loggia Quatur Co-
ronati di Londra del 1982 “Die arbeitstafel in der
Freimaurerei”, la tavola serve a organizzare la
Loggia nella sua struttura.
Sottolineiamo inoltre, citando ancora il nostro
I.V.G.M. fr. Fabio Venzi nel medesimo testo citato
precedentemente come:
“Negli anni si procedette quindi alla modifi-
ca rituale per mezzo di aggiunte e aggiu-
stamenti, graduali ma sistematici, operazio-
ne che ebbe la sua fase finale con il rituale
prodotto dalla Loggia di Riconciliazione tra
il 1813 e il 1816. Le fasi di questa ‘trasfor-
mazione’ e ‘uniformazione’ rituale possono
essere sostanzialmente ricondotte a quattro
importanti documenti: Masonry Dissected di
G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE
Prichard (1730), Illustration of Masonry di
Preston (1772), il Rituale della Loggia di R
conciliazione (1813-1816) che
nell’Emulation ha una delle sue forme più
fedeli, la ritualità dell’Arco Reale”
Quadro di Loggia della seconda metà del XVIII sec.
Quadro di Loggia, Londra, 1800
Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII
Prichard (1730), Illustration of Masonry di
Preston (1772), il Rituale della Loggia di Ri-
1816) che
nell’Emulation ha una delle sue forme più
fedeli, la ritualità dell’Arco Reale”
Quadro di Loggia della seconda metà del XVIII sec.
Quadro di Loggia, Londra, 1800
Quadro di Loggia, Londra, 1776
Quadro di Loggia, Londra, XVIII sec.
Pagina | 30
Quadro di Loggia, Londra, 1776
Londra, XVIII sec.
Pagina | 31 Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII G.L.R.I
Il richiamo artistico compositivo
Essendo possibile anche la lettura Allegorica,
oltre che simbolica, del Quadro di Loggia, quello
che che adotta il rituale Emulation lascia la forma
simbolico-dispositiva e si affida, grazie alla capa-
cità artistica di William Preston alla forma Allego-
rica-filosofica. Infatti le Tavole di Tracciamento a
cui si fa riferimento e presenti nel Rituale Emula-
tion, appartenenti alla Emulation Lodge of Im-
provement, sono state disegnate ed eseguite dal
1815 in poi, per suo ordine e nella loro forma at-
tuale pubblicate nel 1845.
Sembra davvero importante la coincidenza
della pubblicazione delle tavole da parte di Pre-
ston con l’arrivo del rituale della Loggia di Ricon-
ciliazione 1813-1816. Il contenuto del quadro di
Loggia cambia radicalmente e non rappresenta
più lo spazio fisico organizzato dei precedenti
quadri ma lo spazio allegorico filosofico di un
tempio interiore, ma, se vogliamo, un cammino
che il Massone realizza durante tutto il suo per-
corso iniziatico. Le successive non hanno questa
caratteristica che rimane peculiare solo della
prima.
La tavola diventa l’espressione del tempio sia
fisico che metafisico con al suo interno sia gli e-
lementi simbolici di riferimento, la squadra, il
compasso, l’ulivella, la colonne ma evidenzia an-
che l’obiettivo che la ritualità, il tempio, il catechi-
smo dovranno permettere di raggiungere.
Lo spazio in bidimensionalità delle tavole pre-
cedenti diventa quadridimensionale incorporan-
do oltre lo spazio (con le sue tre dimensioni) an-
che il tempo che ne rappresenta la quarta. La ta-
vola contiene gli elementi di riflessione e cono-
scenza speculativa ma anche gli elementi stru-
mentali operativi per la crescita interiore. Le due
colonne del tempio rappresentate nelle tavole
precedenti identificate con J e B diventano tre e
rappresentano Forza, Saggezza e Bellezza lo spa-
zio diventa prospettico e gli elementi sono real-
mente posti in esso. Non più una visione generale
ma una visione prospettica da un determinato
punto, senza alcun dubbio: l’ingresso della Loggia
ideale.
Al centro la tavola di tracciamento diventa un
progetto architettonico. Il progetto del tempio
dove nuovamente, come già posti in basso a de-
stra, ritroviamo squadra e compasso. La pietra
grezza, l’ulivella e la pietra squadrata sono i sim-
boli dei sorveglianti.
Ma la prima riflessione che questa visione fa
nascere è quella che ha come riferimento la diffe-
renza tra Simbolo e Allegoria nel catechismo cri-
stiano la palma è il simbolo che rappresenta il
martirio dei santi il pesce disegnato sulle cata-
combe stava per ICTYS, cioè Gesù Cristo, figlio di
Dio Salvatore (l’acronimo che si materializza per-
ché a sua volta identifica altro). Ma quante perso-
ne erano in grado di interpretare il simbolo della
palma e quante di “leggere” il significato esoteri-
co del pesce?
Posto che ciò che è esoterico è riservato solo a
pochi, ai discepoli o agli iniziati, è innegabile il va-
lore esoterico degli elementi presenti nella prima
tavola di tracciamento. Essi sono carichi di un si-
gnificato particolare, esprimono, rendono mani-
festo un messaggio che è necessario sia reso evi-
dente, seppure a pochi, a coloro che sono in grado
di coglierlo. Come la parola è necessaria per ren-
dere concreto, percepibile un pensiero, allo stes-
so modo questi elementi veicolano nella Loggia,
un messaggio che deve essere conosciuto e tra-
mandato.
Proprio per questo troviamo la definizione di
“velato da allegorie” e “illustrato da simboli” per-
ché le prime costituiscono “il velo” ovvero la rap-
presentazione di quei concetti astratti che vengo-
no espressi attraverso un’immagine concreta, in-
visibili agli occhi ma resi tali solo con l’ausilio di
un “velo”. Esempio mirabile e artistico di questo
concetto lo ritroviamo nel Cristo Velato di Giu-
seppe Sanmartino nella Cappella Sansevero a Na-
poli. L’allegoria è il racconto di una azione che
dev’essere interpretata diversamente dal suo si-
gnificato apparente. I Simboli sono quelli capaci
di “unire” e indirizzare la visione di chi, “già a co-
noscenza” perché iniziato, deve lasciarsi guidare.
Per un iniziato i simboli illustrano proprio perché
gli sono stati illustrati al momento della sua ini-
ziazione, poi passaggio e infine elevazione.
Sullo sfondo la scala di Giacobbe che principia
dall’ara, dove è posto il volume della legge sacra,
sulla stessa le tre figure della Fede, Speranza e
Carità ci conducono alla Stella Fiammeggiante
posta in cima.
Dal nostro rituale ed in particolare dalla spie-
gazione della tavola di Tracciamento si legge:
“Permettetemi, anzitutto, di indirizzare la vostra
attenzione sulla forma della Loggia: un parallele-
pipedo di lunghezza da E ad O, di larghezza da N a
S, di ampiezza dalla superficie della terra al suo
centro e alto come il cielo”
Analisi e descrizione perfettamente calzanti
con la Tavola che possiamo definire tridimensio-
nale e concreta.
Si legge ancora: Le nostre Logge sono sostenu-
te da tre grandi colonne, denominate Saggezza,
Forza, e Bellezza: la Saggezza per concepire, la
Forza per sostenere, la Bellezza per ornare. La
Saggezza per guidarci in tutte le nostre azioni, la
G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII Pagina | 32
Forza per sostenerci in tutte le nostre difficoltà e
la Bellezza per ornare l’uomo interiormente.
L’Universo è il Tempio della Divinità che noi ser-
viamo; Saggezza, Forza e Bellezza sono intorno al
Suo Trono come colonne delle Sue opere, poiché
la Sua Saggezza è infinita, la Sua Forza è onnipo-
tente e la Bellezza brilla nell’intero creato in or-
dine e simmetria. Egli ha disteso i Cieli a forma di
volta;
Il riferimento allegorico-filosofico è costante e
continuo e non ha alcun nesso con
l’organizzazione fisica del Tempio ma bensì con la
Loggia che ogni Massone è chiamato a costruire
dentro di se.
La tavola è quindi, il sistema allegorico di co-
noscenza per ogni massone, la cui interpretazione
e comprensione è per tutti, ovvero per tutti colo-
ro che siano iniziati e ammessi al rito. La tavola
quindi non ha un esoterismo simbolico necessa-
riamente da interpretare, ma, un mistero ideolo-
gico da custodire. L’esoterismo sta nella rappre-
sentazione e composizione dello spazio e non nel
singolo oggetto. Essendo il rito destinato a “tutti”
gli iniziati esso non necessita di conoscenza me-
diata ma può mostrasi liberamente proprio per-
ché chi è ammesso è un iniziato e non un profano.
John Harris decide di realizzare tavole di trac-
ciamento non per mero spirito di servizio ma per
definire e tracciare un percorso di conoscenza in-
teriore definito non dagli ornamenti “fisici” della
Loggia ma dalla sua concezione metafisica mate-
rializzando gli astratti concetti e le allegorie degli
insegnamenti.
Materializzando la forza, la saggezza e la bel-
lezza, indica nella scala il percorso da seguire e le
virtù che possono e devono sostenerlo, identifica
l’obiettivo da raggiungere che materializza e in-
dividua con la stella fiammeggiante.
La tavola diventa il tracciamento del tempio di
ogni fratello/iniziato da perseguire. La ricerca in-
teriore ma anche la ricerca esteriore per il miglio-
ramento di se stessi. Cercare e ri-cercare.
Perché le porte del miracoloso si aprono solo
ed esclusivamente per chi cerca e mai per chi a-
spetta. La ricerca non arriva mai dall’esterno e
non è legata a nessuna ritualità o strutturalità, è
personale, è assolutamente unica e definisce, in-
frangendoli i limiti di ogni uomo giorno per gior-
no, quando questa è praticata. Nella Tavola tro-
viamo gli strumenti, dentro di noi le nozioni e nel-
la Loggia le motivazioni.
Mi permetto un piccola divagazione su questo
tema poiché di diretta ispirazione della Tavola di
Tracciamento ma anche di tutta l’esperienza
massonica e profana di vita vissuta finora, la Co-
noscenza o Ricerca Esoterica non può essere
concessa semplicemente a coloro che cercano,
ma dovrà essere concessa la possibilità di com-
prenderla (senza mai illustrarla per intero) sol-
tanto a coloro che la cercano con una certa con-
sapevolezza, cioè con la comprensione di quanto
differisca dalla conoscenza ordinaria e di come
possa esser trovata. Ma la cosa straordinaria e
spesso sottovalutata è che questa conoscenza
preliminare può essere ottenuta con mezzi co-
muni, dalla Letteratura conosciuta ed esistente,
facilmente accessibile a tutti. E l’acquisizione di
questa conoscenza preliminare può esser consi-
derata come la Prima Prova.
Mi sono trovato spesso a chiedere a persone a
me care e addentro alla Massoneria cosa potessi
leggere per avere maggiore conoscenza e consa-
pevolezza, la risposta costante, continua e quasi
sempre pronunciata come una litania fu “tutto,
devi leggere tutto”.
Istruzione massonica
incisione su rame, Vienna, 1791.
Il 2° Sorvegliante spiega agli Apprendisti i simboli
rappresentati sul Quadro di Loggia.
Il centro dello specchio riflette il raggio di luce con le
iscrizioni in latino: “La luce splende nell’oscurità e
l’oscurità non l’ha capito”
Pagina | 33 Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII G.L.R.I
Soltanto coloro che superano questa prima
prova, coloro, cioè, che acquisiscono la conoscen-
za e la consapevolezza necessaria dal materiale
accessibile a tutti, possono sperare di intrapren-
dere il passo successivo, per il quale un diretto
aiuto individuale sarà loro accordato o concesso
sotto forma di “casualità”. Un uomo può sperare
di proseguire un percorso iniziatico (passare ol-
tre le colonne e gli strumenti e intraprendere la
ascesa sulla scala) se ha acquistato una giusta
comprensione della conoscenza comune, ovvero
deve saper trovare la sua vita in un labirinto, sen-
za uscita in uno spazio senza dimensioni, di Si-
stemi, Teorie e Ipotesi contraddittorie, e com-
prenderne il loro contenuto e significato generale
affinché sia esso stesso (l’iniziato) l’uscita del la-
birinto.
Il richiamo architettonico metafisico
Essendo ormai saltato lo schema descrittivo
bidimensionale delle tavole di tracciamento pre-
cedenti Preston disegna uno spazio metafisico
con alcune caratteristiche peculiari che lo rendo-
no particolarmente mistico.
Innanzitutto mi preme ritornare sulla defini-
zione e distinzione della parole esoterico e miste-
rioso. Il linguaggio della tavola di tracciamento è
essenzialmente esoterico ma potremmo definirlo
assolutamente “acroamatico” ovvero la base per
l’insegnamento a viva voce di un maestro e alla
trasmissione orale di una dottrina come lo furono
le lezioni di Pitagora o Aristotele basate essen-
zialmente su un’unica figura di riferimento, la te-
trakis pitagorica per esempio. La spiegazione del-
la tavola di tracciamento che leggiamo in Loggia
aperta al neo iniziato ne è la dimostrazione. Non
spieghiamo com’è organizzata la Loggia ma ne
sottolineiamo gli aspetti esoterici e misterici.
La tavola è anche misterica poiché permette a
coloro che la conoscono (o meglio che ne sono a
conoscenza) di comprendere gli elementi della ri-
tualità. I Misteri dell’antichità, Orfici, Dionisiaci,
Eleusini ecc ecc non erano misteriosi perché to-
talmente sconosciuti lo erano perché noti solo a-
gli iniziati e non ai profani. Mistero è termine
proveniente dal latino mysterium, e dal greco
μυστήριον, proprio nell’uso greco originario, il
termine, usato per lo più al plurale, indicava la ce-
lebrazione di riti d’iniziazione, in particolari culti
segreti (come quelli già citati), e per estensione i
culti stessi (religioni di mistero) e i loro oggetti; di
qui anche, più genericamente, segreto, verità reli-
giosa rivelata da Dio. Nel greco degli scrittori cri-
stiani il termine (passato poi in latino: mysterium,
ma anche sacramentum) conserva sostanzialmen-
te questi significato, essendo usato per indicare
un rito segreto, gli oggetti sacri del rito, e in gene-
re una realtà o verità nascosta, sacra, e in alcuni
casi rivelata da Dio; designa anche un senso ripo-
sto poi reso manifesto e quindi, più ampiamente,
le realtà che costituiscono e manifestano il piano
divino della Redenzione e che sono esemplar-
mente contenute nella Bibbia (ma anche nei riti
della liturgia).
La tavola quindi è la rappresentazione globale
del “mistero” della ritualità.
“Lo spazio metafisico ha un’ulteriore peculia-
rità, perché le sue caratteristiche possono essere
espresse e descritte in diversi modi, in quanto è
allo stesso tempo spazio fisico ed essenza, con-
creto e astratto insieme. L’aggettivo metafisico
indica, infatti, CIÒ CHE STA ALDILÀ DI CIÒ CHE È
FISICO, CONCRETO, TANGIBILE, REALE; esso ri-
manda, pertanto a qualcosa che non ha alcuna de-
limitazione fisica. Numerosi filosofi, infatti hanno
tentato fin dall’antichità di dare dello spazio fisico
una precisa definizione in tal senso. Platone, ad
esempio, nel “Timeo” fa questo tentativo, ma si
trova davanti alla nozione di luogo e più in gene-
rale di estensione spaziale dei luoghi intellegibili.
Lo spazio potrebbe non avere limiti ma a sua
volta essere delimitato da elementi terzi, il pavi-
mento ne delimita lo spazio inferiore e la volta ce-
leste ne delimita quello superiore. Lateralmente
nulla delimita lo spazio che è infinito ma anche i
limiti apparentemente presenti nella tavola non
precludono il loro superamento. Se guardiamo
con il giusto spirito speculativo ci potremo ren-
dere conto che il pavimento rappresenta rettitu-
dine di comportamento e l’equilibrio. Il pavimen-
to rappresenta quell’aspirazione propria
dell’iniziato che aspira alla maestria (ascesi) e
non può ignorare che la ricerca del Vero sarebbe
vano esercizio accademico se non fosse costan-
temente accompagnata dalla pratica del Giusto,
che le due virtù devono stare in perenne equili-
brio fra loro, che, infine, l’equilibrio personale e
interiore, se raggiunto, è il riflesso dell’equilibrio
generale ed esteriore che ci fa intuire l’esistenza
di un Principio universale dal quale tutto provie-
ne ed è retto. Rammento che il vocabolo greco ko-
smos, da cui l’italiano ‘cosmo’, (da cui presero il
nome i Cosmati ovvero gli appartenenti
all’ordine) aveva invece quale primo significato
proprio quello di ‘ordine’. Il Pavimento diventa
quindi un apparente limite fisico il cui ruolo è
proprio collegato al concetto di “superamento”. Il
limite della volta celeste è del tutto collegabile al-
la vita “terrena” dell’iniziato attraverso la quale
passerà ascendendo dopo la morte e una vita giu-
sta e perfetta.
G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII Pagina | 34
Avendo comunque un limite fisico al basso e
all’alto sulla tavola di tracciamento lo spazio defi-
nito dal pavimento a scacchi e dalla volte celeste,
con le tre colonne è un ambiente aperto e indefi-
nito che rimanda ad una linea di orizzonte infinita
sui lati dove convergono le linee di-segnate dal
pavimento a scacchi, che perde la sua caratterista
di “quadrilungo” e diventa infinitamente grande
(largo). Il pavimento identifica un orizzonte che
non ha un centro ma un linea virtuale posta sullo
sfondo.
Questo ideale orizzonte tracciato e definito dal
pavimento a scacchi ha un punto in particolare di
visualizzazione ovvero quello in cui è posta l’ara e
il Volume della Legge Sacra. Da questo punto par-
te la scala di Giacobbe che non “rispetta” la pro-
spettiva del pavimento ma ne definisce una se-
conda che ha come culmine la stella fiammeg-
giante. La stella a sua volta è posta sulla volta
stellata dove sono visibili anche il sole e la luna.
La spiegazione della tavola fa più volte riferi-
mento al cielo stellato o alla volta celeste e questa
sembra essere presente al termine della scala.
Si definiscono quindi in questo spazio metafi-
sico tre visione spaziali differenti.
Lo spazio ideale della Loggia, come lo spazio
ideale ritagliato e avulso dal contesto, dello stu-
diolo di San Gerolamo che Antonello da Messina
incastona in un ideale costruzione religiosa di-
venta il primo grado di conoscenza. La scala di
Giacobbe che prospetticamente tende alla stella
fiammeggiante rappresenta l’ascesa interiore
dell’iniziato, la volta celeste che sovrasta con ul-
teriore e differente prospettiva completa il per-
corso identificando l’empireo governato dal
Grande Architetto.
Il riferimento all’autore del quadro che abbia-
mo nello stemma della Loggia di Ricerca non è
casuale poiché lo spazio metafisico, ampiamente
illustrato dagli autori del XIX-XX secolo come De
Chirico, Carrà, Morandi, ha come primissimi in-
terpreti proprio gli autori fiamminghi e in Italia
principalmente Antonello Da Messina che ha de-
finito uno spazio “sospeso” adornato da simboli e
allegorie dalla pernice al leone, dal vaso cristalli-
no ai gradini dello studiolo.
All’orecchio attento fanno da richiamo anche
le parole di Dante Alighieri nelle prime due terzi-
ne del Paradiso:
La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
Dove il riferimento a Grande Architetto
dell’Universo è chiaro nel primo versetto e
nell’ultima parte: “vidi cose che ridire né sa né
può chi di là sù discende”
Colui che è ammesso ai misteri iniziatici Mas-
sonici è ammesso alla “visione” del suo intero
percorso ma giura solennemente di non riportare
alcun segreto a lui confidato nè su carta né su al-
tro elemento posto sotto la volta celeste, in parti-
colare:
“sinceramente e solennemente prometto e mi
impegno a tacere, celare e giammai a rivela-
re alcuna parte o parti, punto o punti dei mi-
steri propri o riguardanti i Liberi e Accettati
Muratori nella Muratoria, che io abbia cono-
sciuto in passato, o che mi vengano adesso o
in qualsiasi momento del futuro comunicati,
salvo che a uno o più Fratelli veri e regolari e
neppure a lui o a loro, se non dopo adeguata
prova, severo esame, o sicura informazione,
da parte di un Fratello ben conosciuto, che
egli o essi siano degni di tale confidenza; op-
pure in seno ad una Loggia, giusta, perfetta
e regolare di Antichi Liberi Muratori. Inoltre,
prometto solennemente di non scrivere tali
misteri, né di porli su carta, scolpirli, dise-
gnarli, inciderli o altrimenti delinearli; né di
tollerare che ciò sia fatto da altri, se in mio
potere di prevenirlo, su qualsiasi cosa, mobi-
le o immobile, sotto la volta del cielo, attra-
verso o mediante cui alcuna lettera, caratte-
re o figura, o la minima traccia di una lette-
ra, carattere o figura possa divenire leggibile
o intellegibile a me stesso o a chiunque altro
al mondo, cosicché i nostri misteri nascosti
possano essere impropriamente conosciuti a
causa della mia imprudenza”.
La triplice prospettiva dello spazio metafisi-
co della tavola corrisponde esattamente allo spa-
zio della loggia interiore ma definisce anche lo
spazio vitale di ogni iniziato massonico, che
cammina su un pavimento a scacchi, risalendo la
scala della conoscenza per ascendere alla volta
celeste sotto la quale vive in armonia. La triparti-
zione dello spazio allude metaforicamente al gra-
do e allo stesso tempo alla forza, alla bellezza e al-
la saggezza, allude alla triplice forma sostanziale
dell’uomo: corpo, anima e spirito poiché il primo
percorre gli infiniti spazi del mondo e allo stesso
tempo ascende animisticamente lungo la scala
per giungere in solo spirito alla volta celeste, at-
Pagina | 35 Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII G.L.R.I
traversando la purificazione delle tre virtù poste
sulla scala.
L’iniziato ha tutto il percorso davanti a se,
sempre, in ogni incontro in Loggia, quando questa
è aperta e in ogni momento della sua vita attra-
verso la sua reminiscenza. Attraverso il Quadro
potrà sempre Ri-Conoscere il percorso, poiché
rappresenta una conoscenza che non significa
semplicemente pensare, studiare, apprendere,
ma significa “Essere”.
Poiché il quadro stesso, abbandonando la sua
forma “manualistica” per la disposizione del tem-
pio e per la sua ritualità e descrivendo un tempio
interiore per ogni iniziato ci indica anche che
qualsiasi forma di dialogo, scambio o intelligibili-
tà delle conoscenze di ognuno non dovrà esclusi-
vamente riferirsi ai soli momenti rituali poiché la
Massoneria è si, una “scuola iniziatica ritualisti-
ca”, ma resta officina di conoscenza, che forgia il
ferro dell’esperienza profana, nel crogiuolo della
sacralità rituale anche quando la Loggia è chiusa.
Bibliografia minima di riferimento:
Percy John Harvey, Anatomia dei quadri di Loggia
(2014) Edizioni Mediterranee
Ruggiero Di Castiglione, Corpus massonicum
(1984), Atanòr Editrice
Enrico Marcia, La Tavola di tracciamento del pri-
mo grado (2020), Edizioni Tipheret
Fabio Venzi, Origine ed evoluzione della ritualita’
libero muratoria inglese. Allocuzione del Gran
Maestro nella Gran Loggia di Roma 15 Dicem-
bre 2018
Renè Guenon, Iniziazione e realizzazione spiritua-
le (1952), Luni Editrice
S. Farina, Il libro dei rituali del Rito Scozzese An-
tico e Accettato (1988), I Dioscuri edizioni
Domenico V. Ripa Montesano, Vademecum di
Loggia, (2009) Edizione gran loggia Phoenix
N. M. di Luca, La massoneria. Storia, miti e riti,
(2000) Atanòr Editrice
Renè Guenon, La Metafisica orientale (1939), Lu-
ni Editrice
Saverio Battente, Massoneria Illustrata, (2010)
Betti Editrice Siena
Domenico Marfia, Geometrizzazione della Loggia
(n10/2012) De Homines Dignitate GLRI
Renè Guenon, Considerazioni sull’iniziazione
(1946), Luni Editrice
Marcello Fagiolo, Architettura e Massoneria
(2006) Gangemi editore
T.di Tr. Dipinta da J. Bowring 1819
T.di Tr. Disegnata da J. Harris 1825

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FEDE E CONOSCENZA

FEDE E CONOSCENZA

G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII
Nel libro delle Costituzioni della GRLI, a pagina
6, si legge: “La prima condizione per essere am-
messo all’Ordine è la credenza in un Essere Su-
premo”. Tale concetto ritorna in diversi passi del
rituale Emulation ed è enfatizzato laddove si dice
di riporre in Lui la propria fiducia.
Credere e fare affidamento in un Essere Su-
premo è ciò che comunemente si chiama fede. La
tavola di tracciamento di 1° grado ce lo ricorda ad
ogni tornata rituale con i simboli della scala di
Giacobbe e delle figure che su di essa si muovono
a rappresentare, per l’appunto, la fede e le sue
“compagne” speranza e carità.
L’Emulation, inoltre, richiama più volte la no-
stra attenzione sull’importanza dell’istruzione e
dello studio. L’apprendista appena iniziato riceve
lo strumento relativo all’istruzione (lo scalpello)
ed è invitato a servirsene, usando su di esso la
forza della volontà, rappresentata dal maglietto.
Il compagno di mestiere è sollecitato ad ap-
profondire i “misteri occulti” della natura. I liberi
muratori devono, secondo la propria inclinazione,
coltivare le “arti liberali”: queste danno gli stru-
menti immateriali con i quali ampliaree condivi-
dere la conoscenza.
Anche in ragione di questi richiami del rituale,
ho sempre pensato che fede e conoscenza debba-
no essere in certo qual modo collegate, almeno
dal punto di vista massonico. D’altronde, perché
mai il pensiero della creatura non dovrebbe avvi-
cinarla al suo Creatore? Perché accettare il pre-
giudizio, oggi diffusissimo, che il pensiero non
possa andare al di là dell’apparenza o del mero
fenomeno1? Che cosa, se non questo, tentavano di
fare i grandi pensatori del passato, coloro che
hanno posto le basi della nostra cultura edella
nostra civiltà, da Pitagora in avanti?
Certamente tale collegamento non è così evidente
nel mondo profano. Che Dio esista o no può sog-
gettivamente sembrare cosa di poco conto. La vi-
ta di un ateo può essere molto simile a quella di
un credente: entrambi nascono e muoiono, gioi-
scono e soffrono, possono aver fortuna o sfortu-
na.
Il mondo va come va tra una guerra e un ter-
remoto, una crisi economica e un disastro am-
bientale. Nessuna entità superiore sembra volerlo
dirigere, nessuna provvidenza sembra volersene
occupare. E poi la scienza è del tutto agnostica
(almeno finora) e la filosofia ha da tempo abban-
donato ogni tentativo di inoltrarsi nella metafisi-
ca della “cosa in sé” kantiana.
La fede sembra, al giorno d’oggi, completa-
mente scollegata dalla conoscenza della natura
(la “fisica”secondo Aristotele); essa è, piuttosto,
chiusa nell’ambito esclusivo della religione; se ne
può certamente discutere con un sacerdote, ma
non con uno scienziato. La filosofia, d’altronde,
sembra aver gettato la spugna rispetto
all’indagine sull’esistenza di Dio o di un’anima
immortale. Forse non a torto, considerato che il
pensiero filosofico ha raggiunto nel corso dei se-
coli risultati diversi e inconciliabili, esemplificati
in modo efficace dalle tre principali e tradizionali
tendenze del pensiero occidentale – materialismo,
scetticismo e idealismo – ognuna delle quali nega
convintamente le altre.
Tuttavia, fidando in quel collegamento, vorrei
proporre un tentativo di affrontare con spirito
massonico (cioè usando le arti liberali e lo studio
dei misteri occulti della natura e della scienza) le
questioni inerenti all’Essere Supremo, a costo di
andare controcorrente rispetto al mainstream
della mentalità odierna; anche perché quegli
strumenti sono in perfetta armonia con le radici
del pensiero occidentale.
Inizierò da quelle arti del quadrivio che meno
sono cambiate nelle loro basi e nel loro metodo
durante la loro storia ormai plurimillenaria:
l’aritmetica e la geometria, unitariamente intese
come matematica. Nei quattromila anni che ci se-
parano dai primi testi di matematica dell’antico
Egitto, come il papiro di Rhind2, c’è stato un note-
vole progresso in questo campo, tuttavia gli as-
siomi3 di base non sono per niente cambiati.
Erano e restano assunti non dimostrabili, ma
riconoscibili come evidentemente veri. Su di essi
c’è – e c’è stata – universale concordanza. Su tutto
Fede e Conoscenza
ovvero le nevi del Kilimangiaro
di Cesare Pirozzi
Pagina | 59 Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII G.L.R.I
il resto gli esseri umani sono in disaccordo ma su
questo no. La matematica è l’unica costruzione
mentale comune all’intera umanità indipenden-
temente dall’area geografica e dagli orientamenti
culturali, filosofici, religiosi o politici. Essa si è au-
tonomamente sviluppata in culture diverse e in
diverse parti del mondo, sempre arrivando a ri-
sultati identici4. Il suo linguaggio simbolico è uni-
versale, quasi fosse sopravvissuto alla confusione
della biblica torre di Babele. Sembra, per certi
versi, connaturata alla mente umana se non, addi-
rittura, alla neurofisiologia umana. O, forse, agli
archetipi di una mente universale o ad innate ca-
tegorie.
Io non so se si possa sviluppare una matemati-
ca diversa, ma non c’è nessun interesse a tentare
di farlo, poiché il linguaggio matematico del tipo
tradizionale si è dimostrato in grado di esprimere
perfettamente le leggi che governano i fenomeni
fisici. Con un’equazione possiamo conoscere la
traiettoria del proiettile di un cannone
(y=ax2+bx+c: la parabola cartesiana) oppure la
traiettoria di un oggetto che, lanciato dalla terra,
colpisca il piccolo nucleo di una cometa dopo un
viaggio nello spazio durato 12 anni (la sonda Ro-
setta dell’ESA); come pure il moto dei pianeti
(x2/a2+y2/b2=1: l’ellisse di Keplero), il rapporto
tra energia e materia (il famoso E=MC2 della rela-
tività) o la probabilità che un ago, cadendo su un
foglio a righe, ne colpisca una, posto che sia di
lunghezza pari all’intervallo tra le righe (tale pro-
babilità è funzione di π, un numero irrazionale
ma anche trascendente5). Vi è, in altre parole, una
corrispondenza tra gli astratti calcoli matematici
e gli eventi del mondo fisico a tutti i livelli: da
quelli più accessibili a quelli meno immediati co-
me la cosmologia e la meccanica quantistica.
Einstein ha dimostrato la duplice natura cor-
puscolare ed ondulatoria della luce, senza altro
mezzo che carta e matita e, ovviamente, con l’uso
del pensiero logico-matematico6. Con gli stessi
strumenti ha elaborato la teoria della relatività.
Le conferme sperimentali sono venute successi-
vamente7 ed hanno corroborato l’idea che
l’accoppiata mente umana/matematica possa
trovare le leggi che regolano i fenomeni della fisi-
ca, cioè della natura nella sua più ampia accezio-
ne: non possiamo, dunque, non pensare che la na-
tura e la mente umana usino il medesimo lin-
guaggio. È chiaro che il nostro pensiero procede
per successive approssimazioni – ad esempio, dal
modello di Keplero, a quello newtoniano, a quello
relativistico dell’universo – accostandosi sempre
più alla realtà delle cose. Esso individua le fun-
zioni matematiche che meglio esprimono la realtà
e, talvolta, anticipano quel che troverà conferma
nella concretezza della rilevazione o della speri-
mentazione scientifica in un secondo tempo.
La nostra mente, che ha creato (o, forse, sco-
perto) la matematica, dai “conti della serva” ai più
sofisticati teoremi, è per così dire in perfettibile
sintonia con l’universo. E l’universo si muove con
le stesse regole matematiche, cui noi progressi-
vamente ci accostiamo.
Un aspetto ancor più curioso della matematica
è che alcune sue espressioni, elaborate quasi per
gioco o per risolvere problemi speciosi – come la
serie di Fibonacci o il rapporto estremo e medio
di Euclide, più noto come rapporto aureo – si rive-
lano utili a risolvere problemi concreti dopo seco-
li o millenni dalla loro invenzione (o, forse, sco-
perta). Per esempio, Euclide non poteva sapere
che il disegno delle spirali galattiche è perfetta-
mente costruibile con la sua “proporzione estre-
ma e media”. Proporzione che, essendo espressa
da un numero irrazionale, non potrà mai essere
definita, perché la serie infinita dei suoi decimali
richiederebbe l’eternità per essere enumerata;
ma può, al contrario, essere trovata con il solo
uso di squadra e compasso, cioè con gli strumenti
più tipicamente “muratori”. Cartesio, dimostran-
do che quel tipo di spirale è “equiangolare8“, non
sapeva che il falco pellegrino disegna una perfetta
spirale di tale tipo quando piomba sulla preda,
perché così, mantenendo sempre lo stesso angolo
tra la sua direzione e la preda, non la perde mai di
vista9. Eulero non poteva immaginare che la sua
più famosa equazione sarebbe servita, più di due
secoli dopo, come modello matematico per la teo-
ria delle stringhe10.
Per tali motivi alcuni ritengono che il mondo
non potrebbe esistere, se una mente matematica
non lo avesse messo in opera. E che la matemati-
ca non sia propriamente un’invenzione
dell’uomo, ma la scoperta delle leggi che il Grande
Geometra ha imposto al creato. O ancora che la
matematica rappresenti il punto di contatto tra la
realtà sensibile e gli eterni archetipi di cui
quest’ultima è l’ipostasi o, per dirla con Platone,
l’ingannevole ombra.
È interessante, a questo proposito, la storia di
Srinivasa Aiyangar Ramanujan, un bramino tamil
vissuto tra il 19° e il 20° secolo. Questi divenne
così famoso per il suo genio matematico da essere
chiamato – giovanissimo – a insegnare al Trinity
College di Cambridge ed essere nominato mem-
bro della Royal Society, pur essendo soltanto un
autodidatta, privo di titoli accademici, provenien-
te dalla lontana India. Le sue intuizioni erano fol-
goranti e geniali e, spesso, la loro dimostrazione
veniva faticosamente ottenuta solo in un secondo
G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII Pagina | 60
tempo. Ma apparivano giuste da subito in ragione
della loro “bellezza matematica”11.
I suoi teoremi sono applicati oggi in aree diffi-
cilmente immaginabili quando era in vita. Ebbe-
ne, egli asseriva che la dea Namagiri, cui era de-
vota la sua famiglia, gli apparisse durante i riti e
gli mostrasse la soluzione scritta di complessi
problemi matematici. A lui non restava che leg-
gerli. «Un’equazione per me non ha senso, se non
rappresenta un pensiero della Dea» soleva dire12.
Prima di sorridere di queste sue affermazioni,
forse è bene comprenderne il senso profondo:
che vi è una facoltà intuitiva pronta ad agire
quando la nostra coscienza si collega alla più ele-
vata sfera dello spirito. Ramanujan lo otteneva
mediante il rito: il che è, a ben guardare, la fun-
zione propria ed essenziale del rito.
In sostanza la matematica, antica arte del qua-
drivio ed oggi base irrinunciabile del progresso
scientifico, ci porta a pensare che l’uomo non sia
soltanto ciò che mangia, ma appartenga anche ad
una dimensione superiore; rivela che l’intera u-
manità, indipendentemente dal tempo e dallo
spazio, condivide la stessa capacità intellettiva,
basata su comuni categorie; e suggerisce che sia
capace di parlare lo stesso linguaggio del Grande
Architetto dell’universo.
Ecco come lo studio delle arti liberali (la ma-
tematica, in questo caso) puòfarci avvicinare alla
“credenza di un Essere Supremo” e dell’anima
immortale. Ancor più interessanti nei confronti di
queste riflessioni sono i risultati della fisica mo-
derna e le ipotesi che ne derivano.
Negli ultimi anni, nella sua costante ricerca dei
costituenti fondamentali della materia,il progres-
so scientifico si è trovato di fronte a un parados-
so: che la materia non esiste come tale, ma è co-
stituita da elementi di natura evanescente, capaci
di comportarsi come onde di pura energia e di
avere comportamenti che annullano il tempo e lo
spazio, ma dipendono dalla presenza di un osser-
vatore13.
D’altronde, già dalla prima metà del secolo
scorso, il concetto tradizionale di materia era sta-
to messo in discussione da alcuni tra i più grandi
scienziati dell’epoca. Ecco alcune loro significati-
ve affermazioni:
“Gli stessi atomi o le particelle elementari
non sono reali. Essi formano un mondo di
potenzialità o possibilità, piuttosto che un
mondo di cose o di fatti”
Werner Heisenberg14
“Non esiste la materia come tale. Tutta la
materia ha origine ed esiste soltanto in virtù
di una forza. Dobbiamo presupporre dietro
questa forza l’esistenza di una mente conscia
ed intelligente. Questa mente è la matrice di
tutta la materia”
Max Planck15
Come si vede, i padri della fisica moderna era-
no perfettamente consci che l’apparenza fenome-
nologica della materia è molto diversa dalla sua
realtà essenziale, la quale è tutt’altro che materia-
le; ma anche che tale realtà è accessibile alla
scienza, cioè al pensiero umano.
Sembrerebbe che stia venendo meno la vec-
chia e tranquillizzante ipotesi materialista (da
Democrito in avanti) secondo la quale la materia
esiste di per sé ed è eterna. Come pure più mo-
derne ipotesi16, per le quali la conoscenza si ap-
plicaesclusivamente al fenomeno (ciò che cade
sotto la nostra osservazione per mezzo dei sensi
o degli strumenti), mentre il noumeno è per sua
(o, piuttosto, nostra) natura inconoscibile.
La scienza sta vieppiù superandoi suoi tradi-
zionali confini; partendo da una ricerca
nient’affatto filosofica ma ancorata al metodo
scientifico e sperimentale, sta progressivamente
andando oltre i limiti fenomenologici della realtà.
Essa, infatti, inizia ad avere conoscenze sulla cosa
in sé, addentrandosi – involontariamente – nel
campo della metafisica.
Proprio così, voglio ripeterlo a scanso di equi-
voci: negli ultimi decenni la fisica (sia con teorie
sostenute da una inappuntabile coerenza mate-
matica, sia con dati sperimentali) ci avvicina a
comprendere proprio l’essenza, la cosa in sé sot-
tostante ai fenomeni.
Già si sapeva che la materia non è, semplicemen-
te, fatta di atomi, cioè delle particelle materiali
indistruttibili ed eterne care a Democrito, padre
del materialismo. Si sapeva altresì che i classici
costituenti dell’atomo – protoni, neutroni ed elet-
troni – non sono ancora particelle elementari,
bensì a loro volta composte da quark, che non
hanno esistenza autonoma: esistono soltanto nel
contesto degli adroni17, non sono se non in quan-
to parti di un insieme.
Poi, una serie di esperimenti basati sul metodo
sperimentale della “doppia fenditura” ha dimo-
strato che i corpi materiali non sono per niente
diversidalle onde. Non soltanto i fotoni (bosoni
privi di massa, di cui è fatta la luce) possono
comportarsi sia come corpuscoli sia come onda,
come già dimostrato da Einstein; ma anche ogget-
ti più decisamente materiali, dotati di massa e vo-
lume noti – come gli elettroni18, i neutroni19 e ad-
dirittura intere complesse molecole (fullarene20,
porfirine e ftalocianine21) con massa fino a 1298
Pagina | 61 Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII G.L.R.I
AMU22- presentano la duplice natura di corpi e
di onde. I fisici si sono divertiti a coniare il termi-
ne “wavecles” (una buffa crasi tra waves e parti-
cles, che potremmo tradurre “onduscoli”) per in-
dicare questa diversa realtà così lontana dal sen-
so comune.
Come non bastasse, sembra proprio che questi
“onduscoli” possano scegliere se essere onda o
corpo materiale (sempre che “materiale” abbia
ancora un senso) in relazione alla presenza o
all’assenza di un osservatore. E che possano al-
tresì orientare la scelta di un “onduscolo” gemello
istantaneamente, qualunque sia la distanza che li
separa, come annullando il tempo e lo spazio. Ta-
le fenomeno di “entanglement” è stato più volte
inoppugnabilmente dimostrato con complessi e-
sperimenti non soltanto a livello subatomico23,
ma anche su corpi macroscopici, ben più grandi e
complessi24.
Inoltre, nella ricerca di una teoria unificante
tutte le diverse interazioni e forze della natura –
da quelle su scala cosmica, come la gravità e
l’elettromagnetismo, a quelle su scala subatomica
tipiche della meccanica quantistica – si è giunti a
ipotizzare che i costituenti ultimi della materia al-
tro non siano che vibrazioni, onde di energia non
materiali nel senso classico del termine: le cosid-
dette “stringhe”25.
In altre parole, i concetti di materia, spazio e
tempo hanno perso il loro significato tradizionale.
L’esperienza che ne abbiamo quotidianamente è
del tutto ingannevole, rispetto ad una soggiacente
e diversa realtà, ormai scientificamente provata
al di là di ogni dubbio.
La scienza, ricercando i “segreti occulti della
natura” con l’aiuto del rigore matematico, ha sco-
perto ciò che era teorizzato da alcune scuole filo-
sofiche: che la nostra vita ordinaria si svolge
nell’ingannevole rete dell’apparenza, e che questa
è ben diversa dalla vera realtà, che sfugge alla no-
stra diretta osservazione. Ma anche che
l’intelletto può vedere al di là dell’apparenza e
scoprire tale più vera essenza: il noumeno di Pla-
tone, la natura delle cose secondo la fortunata e-
spressione di Lucrezio, das Ding an sich secondo
la definizione di Kant.
“Credo che la fisica moderna ha definitamen-
te deciso in favore di Platone. Infatti, le più
piccole unità di materia non sono oggetti fi-
sici in senso ordinario; sono forme, idee che
possono essere espresse non ambiguamente
soltanto nel linguaggio matematico”:
ecco come un grande scienziato esprime il senso
filosofico delle moderne scoperte scientifiche26
Inoltre, si sta facendo strada un’ipotesi piutto-
sto sconcertante: che il modello teorico che me-
glio si adatta alle nuove prospettive sui costituen-
ti ultimi della materia (le “stringhe”) sia quello di
una simulazione, cioè di una realtà virtuale basa-
ta su un codice binario come lo 0/1 dei nostri
computer.
L’ipotesi, secondo alcuni studiosi, è l’unica
possibile sulla base delle conoscenze attuali: il
mondo, la natura, la vita altro non sarebbero che
un’immensa simulazione, un immenso program-
ma informatico di portata cosmica27.
Nasce da qui la necessità imprescindibile di
ipotizzare l’esistenza di un “Grande Informatico
dell’Universo”, cioè di qualcuno che abbia svilup-
pato la simulazione: perché si può pensare, con
Democrito, che la materia sia eterna, ma non che
un programma – oltretutto di indicibile comples-
sità – si faccia da sé. Che lo si chiami Grande Ar-
chitetto o Essere Supremo, la sua esistenza è di-
ventata inevitabile conseguenza di una teoria
scientifica, non di un costrutto filosofico né, tan-
tomeno, di una tradizione religiosa: vi è un punto
di vista rigorosamente scientifico che porta alla
necessità di un’intelligenza creatrice, che faccia
esistere l’universo, la materia, gli esseri viventi.
Corollario altrettanto importante è la presenza
di un testimone, senza il quale le possibilità non
si coagulano in realtà concreta. D’altronde, nes-
suna realtà virtuale esiste senza i due elementi:
chi l’ha creata e chi ne fruisce. Come possiamo
constatare nella nostra esperienza quotidiana,
nessuna realtà virtuale esiste senza un suo “svi-
luppatore” né senza un suo utilizzatore, come
nessun videogioco si fa da solo né si gioca da solo.
In sostanza, dalla ricerca di una teoria che uni-
fichi tutte le forze che agiscono in natura e spie-
ghi come funziona la materia, siamo arrivati ad
ipotizzare l’esistenza dell’Essere Supremo non
più per fede, ma per la necessità logico-
matematica di un modello scientifico che, al mo-
mento, sembra essere assai convincente. Cioè a
partire dallo studio dei “misteri occulti della na-
tura” (la fisica delle particelle subatomiche) con
gli strumenti delle arti del quadrivio (la matema-
tica).
Come corollario della “simulation hypothe-
sis28” (così è denominato il modello teorico su e-
sposto), emerge una concezione molto interes-
sante dell’uomo e del suo ruolo. Infatti, coloro che
prendono parte ad un gioco di simulazione lo
modificano ad ogni mossa: sebbene il campo di
gioco sia – in qualche misura – predeterminato,
esso si modifica continuamente per effetto del
comportamento dei giocatori. Al giocatore com-
pete comunque un ampio margine di libertà di
G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII Pagina | 62
movimento tra le molteplici alternative che il gio-
co propone ed alle quali corrisponde l’aprirsi di
scenari alternativi. Si deve concludere, quindi,
che vi sia una costante (e determinante) intera-
zione tra tutti partecipanti al gioco tra di loro e
con la realtà virtuale che va sotto il nome di mon-
do, vita, fenomeno o come altro lo si voglia chia-
mare.
Ecco come le arti del “quadrivio” e la scienza
moderna forniscono indizi ed ipotesi favorevoli a
quella “credenza nell’Essere Supremo” di cui par-
la il rituale e, in più, un’interessante ipotesi sul
ruolo dell’uomo nel creato: è la sua presenza di
osservatore che determina l’apparenza del mon-
do fisico; è la sua interazione col mondo che ne
determina l’evoluzione.
Tuttavia, il riconoscimento concettuale
dell’esistenza dell’Essere Supremo non equivale
alla fede. Questa è credenza più affidamento, vo-
lendo usare la terminologia “emulation”. Ha, per
così dire, una connotazione esistenziale. È per
questo che molte persone, sebbene l’esistenza di
Dio possa apparire come un’ipotesi probabile dal
punto di vista scientifico, preferiscono credere
all’improbabile. Il motivo di tale contraddizione
non ha nulla di assurdo, è anzi ben comprensibile.
Cercherò di spiegarmi con alcune metafore.
In linea di principio, il nostro io cosciente può
essere paragonato allo spot di luce che inquadra
un attore sul palcoscenico.
Non è un paragone peregrino, perché lo stesso
termine “persona” ha a che vedere con il teatro;
deriva, infatti, dalla maschera che gli attori del te-
atro romano indossavano per caratterizzare il lo-
ro “personaggio”: dal latino per-sonare (parlare
attraverso) o dall’etrusco persu (personaggio
mascherato)29. Secondo il senso etimologico del
termine, la mia “persona” altro non è che la mia
maschera, cioè il mio ruolo nella scena della vita:
il personaggio che incarno – provvisoriamente –
vivendo.
Attorno a quel cerchio di luce più intensa, si
diceva, c’è un buio che gli occhi dell’attorenon
riescono a penetrare. Ma, in realtà, al di fuori del
cerchio c’è tutto il resto del mondo. Più di un se-
colo di studi nell’ambito della psicologia e della
neurofisiologia hanno dimostrato che la mente
umana ordinaria conosce solo una parte esigua di
sé stessa. Tutto il resto, che chiamiamo inconscio,
è invisibile ma del tutto reale e si manifesta ir-
rompendo nel più piccolo cerchio di luce della co-
scienza sotto forma di sogno, lapsus, nevrosi, os-
sessione, allucinazione; ma anche come intuizio-
ne, idea improvvisa, ispirazione, creatività.
L’inconscio non è solo sub-conscio, costituito
cioè da elementi inferiori, dimenticati e rimossi.
È, piuttosto, un insieme profondo e vasto, che
circonda la nostra mente conscia da ogni parte,
come il “buio” attorno al riflettore d’un teatro.
Come non siamo consapevoli del nostro inconscio
“freudiano”, così pure non siamo consapevoli del-
la nostra anima: il contatto si è perso con la nasci-
ta o, forse, con il consolidarsi della ragione.
Non stupisce, dunque, che chi non ha mai avu-
to esperienza al di fuori del ristretto spot di lu-
cein cui vive (la consapevolezza ordinaria) non
riesca ad accettare quella realtà che i suoi occhi
non vedono e considera irreali le esperienze di
chi, invece, è riuscito ad andare oltre.
Nel 1848, Johannes Rebmann fu il primo euro-
peo ad osservare che il monte Kilimangiaro,
nell’Africa equatoriale, era ammantato di neve.
Nessuno gli credette, soprattutto tra i geografi
e nell’ambiente accademico; anzi, lo dileggiarono
e lo umiliarono. Tutti sapevano perfettamente
che all’equatore fa caldo e non può esserci la ne-
ve. Ci vollero 14 anni ed ulteriori esplorazioni
perché una verità così banale ed empiricamente
evidente venisse finalmente accettata.
Il pregiudizio è forte e, in fondo, gli increduli si
sentono sicuri di sé, dalla parte del buon senso e
della buona fede.
Ma le terre sconosciute non esistono soltanto
materialmente, nel nostro o in altri pianeti. Per
certi versi, anche l’uomo è una terra incognita.
Chi siamo, qual è la nostra origine, perché siamo
quel che siamo: queste ed altre domande hanno
così tante risposte diverse, che non possiamo non
ammettere la nostra ignoranza. È abissale il diva-
rio tra chi sostiene che siamo quel che mangiamo,
frutti mal cresciuti di un’evoluzione basata sul ca-
so e sulla selezione naturale (che, poi, è come dire
sulla crudeltà e sulla sopraffazione) e chi sostiene
che abbiamo un’anima immortale e che la nostra
evoluzione è frutto di un disegno divino. In fondo,
tutto ciò assomiglia al vecchio dibattito sulle nevi
del Kilimangiaro: chi le ha viste giura che esisto-
no, gli altri sostengono che è impossibile. Solo che
la discussione sulla natura umana dura da mil-
lenni e non è destinata a finire presto, per quanto
ne sappiamo.
Voglio dire che la fede non può, alla fine, na-
scere dalla sola ragione, sebbene questa possa
indicarci una strada. Nasce, in ultima analisi,
dall’aver avuto un contatto, anche se fuggevole,
con la propria realtà spirituale: dall’aver visto,
almeno da lontano, le metaforiche nevi equatoria-
li. Anche questo richiede una ricerca, che è simbo-
licamente rappresentata nel rituale Emulation
dall’elevazione a maestro muratore. Quella morte
simbolica esprime, a mio modo di vedere, il con-
tatto con la realtà oltremondana dello spirito.
Pagina | 63 Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII G.L.R.I
Quel simbolico rinascere con l’aiuto dei fratelli
rappresenta la nuova consapevolezza della pro-
pria essenza spirituale che il rito aiuta a ritrovare,
un po’ come un rito aiutava Ramanujan a prende-
re contatto con l’intelligenza superiore intuiti-
va.Tale consapevolezza è il risultato della via ini-
ziatica, ma non certo la sua conclusione; è, anzi,
l’inizio di una vita nova sempre in attesa di ulte-
riore perfezionamento.
Vi è, dunque, una complessa via massonica che
può guidare – o, per lo meno, indurre – l’adepto ad
una più profonda ricerca del sacro, qualunque sia
la sua confessione religiosa. Non vi è, in questo,
alcun sincretismo né alcuna pretesa di privilegia-
re alcuna delle diverse vie religiose. Si tratta, in-
fatti, di un invito ad usare il pensiero, sia come ri-
flessione personale che come approfondimento
scientifico e culturale;e a scoprire nel profondo
del cuore quella scintilla spirituale che il continuo
lavorìo della mente, costantemente attratta e in-
vasa da mille diversi pensieri e necessità, tende a
rendere invisibile e dimenticata.
E’ questa la conoscenza di sé promessa dagli
antichi riti misterici e solennemente dichiarata
nel “Γνώθι σαυτόν”, scritto sul frontone del tem-
pio di Apollo a Delfi.
Ma un quarto elemento sta a fondamento di
questa “via massonca”, ed è costituito dall’etica.
Senza un comportamento morale è assai diffi-
cile che ci si possa accostare ad una personale e-
sperienza spirituale o che, comunque, si possa
volgere verso l’alto lo sguardo dell’intelletto. È,
questa, quasi una legge di natura ed è la necessa-
ria premessa a tutte le vie iniziatiche o spirituali,
in tutte le culture. D’altronde, se la massoneria è
una via per uomini liberi, nessuno è più schiavo
di chi sia succube di inclinazioni immorali, di ten-
denze inferiori ed egotiche.
In questa prospettiva, l’etica non è soltanto il
fondamento necessario della vita sociale e civile,
ma diventa la premessa necessaria a qualunque
esperienza di gnosi.
Essa acquista, inoltre, cruciale importanza in
una “simulation hypothesis”, dove la vita sembra
essere la risultante dell’interazione tra lo “svilup-
patore” (il Creatore) e i “giocatori” (le creature).
In virtù di tale interazione, diventa ancor più evi-
dente come le azioni ed i comportamenti umani
siano centrali e determinanti per la realtà in cui
viviamo.
1In filosofia, ciò che appare, che è conoscibile attraver-
so i sensi, e che può non corrispondere alla realtà og-
gettiva
(http://www.treccani.it/vocabolario/fenomeno/)
2è il più esteso papiro egizio di argomento matematico
giunto fino a noi. Contiene tabelle di frazioni e 84 pro-
blemi aritmetici, algebrici e geometrici con le relative
soluzioni. (Carl B. Boyer, Storia della matematica, O-
scar Saggi Mondadori, 1990)
3verità o principio che si ammette senza discussione,
evidente di per
sé(http://www.treccani.it/vocabolario/assioma/)
4J. Mazur: Storia dei simboli matematici. Il potere dei
numeri da Babilonia a Leibniz, Il Saggiatore, 2015
5numero reale o complesso che non è soluzione di al-
cuna equazione algebrica irriducibile a coefficienti in-
teri (http://www.treccani.it/enciclopedia/numero-
trascendente_%28Enciclopedia-della-
Matematica%29/)
6La scoperta gli valse il Premio Nobel nel 1905; fu ot-
tenuta “a tavolino”, senza il supporto di un laboratorio
sperimentale
7La prima “prova provata” della relatività generale fu
l’osservazione della deflessione della luce attorno al
sole, avvenuta tre anni dopo la pubblicazione di quella
teoria(F. W. Dyson, Eddington, A. S., Davidson C., A de-
termination of the deflection of light by the Sun’s gra-
vitational field, from observations made at the total e-
clipse of 29 May 1919, in Philos. Trans. Royal Soc.
London, 220A, 1920, pp. 291–333)
8Una spirale logaritmica, spirale equiangolare o spirale
di crescita è stata descritta la prima volta da Descartes.
In natura si trova nei bracci delle galassie, nei bracci
dei cicloni, nella forma delle conchiglie nautilus, nella
fillotassi.(da
https://it.wikipedia.org/wiki/Spirale_logaritmica)
9I falchi si avvicinano alla loro preda secondo una spi-
rale logaritmica: il loro angolo di vista migliore forma
un certo angolo con la loro direzione di volo, e questo
angolo è l’inclinazione della spirale. M. Livio, La sezio-
ne aurea, BUR 2002
10Particelle, stringhe e altro di Warren Siegel, Di Renzo
Editore (2008)
11«Perché i numeri sono belli? È come chiedere perché
la Nona Sinfonia di Beethoven sia bella. Se tu non capi-
sci il perché, non te lo può dire qualcun altro»(K. De-
vlin: Do Mathematicians Have Different Brains? in The
Math Gene: How Mathematical Thinking Evolved And
Why Numbers Are Like Gossip, Basic Books 2000)
12RobertKanigel, The Man Who Knew Infinity: A Life of
the Genius Ramanujan. Washington Square Press,
1991
13L. M. Lederman, C. T. Hill: Fisica quantistica per poe-
ti, Bollati Boringhieri, 2013
14Heisenberg, 1994, citato in: Effetto Heisenberg: la ri-
voluzione scientifica che ha cambiato la storia
a cura di Anna Ludovico. 2001, Armando Editore
15Citazione da un discorso tenuto da Max Planck a Fi-
renze nel 1944, dal titolo “Das Wesen der Materie”.
Fonte: Archiv zur Geschichte der Max-Planck-
Gesellshaft, Abt. Va, Rep. II Planck, N. 1797.
16Carlo Sini, La Fenomenologia. Garzanti, 1965
17http://www.treccani.it/enciclopedia/quark/
G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII Pagina | 64
18“L’esperimento più bello di sempre” (The double-slit
experiment, in Physics World, 1º settembre 2002)
19H. Rauch, W. Treimer, U. Bonse, Test of a single
crystal neutron interferometer, in Physics Letters A,
vol. 47, nº 5, 22 aprile 1974
20A. Zeilinger, M. Arndt, L. Hackermüller, S. Uttentha-
ler, K. Hornberger, E. Reiger, B. Brezger, Wave Nature
of Biomolecules and Fluorofullerenes, in Physical Re-
view Letters, vol. 91, nº 9, 28 agosto 2003
21AA.VV., Real-time single-molecule imaging of
quantum interference, «Nature Nanotechnology», 7,
2012, pp. 297-300
22unità di massa atomica unificata (amu, dall’inglese
atomic mass unit), detta anche dalton (Da), pari a 1/12
della massa dell’atomo di carbonio
(https://it.wikipedia.org/wiki/Unit%C3%A0_di_mass
a_atomica)
23Aczel Amir D., Entanglement. Il più grande mistero
della fisica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004.
24 K. C. Lee, M. R. Sprague, B. J. Sussman et al.: Entan-
gling Macroscopic Diamonds at Room Temperature.
Science 02 Dec
2011, pp. 1253-1256
25 “String Theory”, J. Polchinski, Cambridge University
Press (1998).
26Werner Heisenberg: Das Naturgesetz und die Stru-
ktur der Materie, 1967
27Bostrom, Nick (2003). “Are You Living in a Computer
Simulation?”. Philosophical Quarterly. 53 (211): 243–
255.
28Illustrata in modo rigoroso e convincente
nell’omonimo documentario visibile su:

29http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/person

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GlLI APPCRIFI DI TOMMASO

Gli Apocrifi di Tommaso
Se c’è un testo, tra quelli scoperti nella biblioteca gnostica di Nag Hammadi che ha rimesso in discussione tutto il sistema esegetico del Nuovo Testamento quello è, senza alcun dubbio il Vangelo di Tommaso che sembra corrispondere alla ipotetica
fonte palestinese Quelle di almeno tre dei quattro Sinottici.
1 Tuttavia, benché l’assenza della narrazione della Passione e Resurrezione, oltre che una consistente documentazione, lo collochino tra i testi più utilizzati nel Manicheismo, esso presenta solo vaghe esposizioni della dottrina gnostica (astinenza sessuale, rifiuto dei beni materiali, vegetarismo etc.) tanto che molti studiosi, pur ammettendone la diffusione in quella sede, ne individuano le origini nell’encratismo
protocristiano e lo considerano un generico prototipo della corrente religiosa evangelica raccolta da Taziano il Siro nel Diatessaron.2
Altro discorso è invece per gli Atti di Tommaso, opera conosciuta fin dall’antichità e giuntaci in parecchi codici siriaci e greci, ma probabilmente redatta ad Ed essa agli inizi del III secolo. Divisi in tredici capitoli e chiusi da un inno da cantare a voci alterne3
espongono il viaggio dell’Apostolo nelle Indie, gli
episodi inerenti alla evangelizzazione di quei popoli
e il suo martirio. Nel racconto, le cui scene sono
collegate con conseguenzialità narrativa, si alternano
lunghi brani omiletici in cui Tommaso espone la sua
dottrina basata su riferimenti biblici ed evangelici, ma
soprattutto sul dualismo encratitico tra spirito (bene)
1 Composto certamente sul modello dei Logoi, tra il 90 e il
130 d. C.) come dimostra il confronto del testo siriano con i
frammenti greci ritrovati ad Ossirinco, precede per datazione
la stesura dei Sinottici. Cfr. Nicholas Perrin, Tommaso,
l’altro vangelo, Queriniana, Brescia 2008. Per la cosiddetta
fonte Quelle sulla quale sarebbero stati elaborati i Vangeli
si veda: Santiago Guijarro, I detti di Gesù, Carocci, Roma
2016.
2 Cfr. Nicholas Perrin, Tommaso, l’altro vangelo, op. cit.
Sull’argomento si veda anche: Eliana Stori, Vangelo di
Tommaso e Diatessaron : traiettorie parallele. Il Diatessaron
e i problemi della ricerca, in Adamantius (Annuario di
Letteratura Cristiana Antica e di Studi Giudeoellenistici) n.
18, Morcelliana, Brescia 2012.
3 Ad un versetto aperto da “Lode al Padre” segue sempre
uno che inizia con “Gloria al Figlio”. Per gli Atti di Tommaso
si veda: Luigi Moraldi, Apocrifi del Nuovo Testamento,
vol. II, op. cit.
e materia (male), sulla astinenza sessuale e sul rifiuto
del matrimonio, sulle nozze mistiche dell’anima con
Dio (il simbolismo figurato della camera nuziale), ed
infine sul disprezzo dei beni terreni.4
Curioso, ma attinente al gusto fantastico della letteratura
medio-orientale è il modo con cui l’Apostolo si
ritrova missionario in India, terra verso la quale non
si sentiva portato: “Non ho forza sufficiente; sono debole.
Inoltre io sono Ebreo e come posso istruire gli
Indiani?”5
Ad inviarcelo, con uno stratagemma, è Gesù stesso
(con il quale Tommaso ha un rapporto esclusivo poiché
ne è il “gemello – δίδυμος”, tanto da essere spesso
scambiato nell’apparenza fisica con Lui) che, profittando
dell’arrivo in Siria (la regione meridionale negli
Atti) di un mercante indiano che cerca un abile
costruttore, glie lo vende come schiavo.6
***
L’inno della Perla
All’interno degli Atti e precisamente al capitolo IX,
tra i versetti 108 e 114, è inserito l’Inno della Perla o
Canto dell’apostolo Giuda Tommaso nella terra degli
Indiani, componimento lirico in 105 strofe che narra,
con un linguaggio simbolico e figurato, l’avventura di
un giovane principe che, giunge dall’Oriente in Egitto
per trovare una preziosa perla, sepolta in fondo al
mare, da riportare al re suo padre, al fine di condivi-
4 Riguardo gli Encratiti (continenti) si veda: Ugo Bianchi
(a cura di), La Tradizione dell’enkrateia: motivazioni ontologiche
e protologiche (Atti del Colloquio Internazionale,
Università cattolica del Sacro Cuore, Milano, 20-23 aprile
1982), edizioni dell’Ateneo, Roma 1981.
5 Atti di Tommaso, I,1, op. cit.
6 “Nostro Signore lo vide camminare per la strada e gli
domandò: ‘Vuoi tu acquistare un costruttore?’ Quello gli
rispose: ‘Sì’. Nostro Signore gli disse: ‘Ho uno schiavo
che è costruttore. Te lo vendo!’. Gli mostrò Tomaso, che si
trovava alquanto distante, si accordò con lui sul prezzo di
venti pezzi d’argento e scrisse l’atto di vendita, così: ‘Io,
Gesù, figlio del falegname Giuseppe, del paese di Betlemme,
in Giudea, certifico di aver venduto il mio schiavo
Giuda Tomaso a Habban, commerciante del re Gudnafar’.
Terminato l’atto di vendita, Gesù prese Giuda e lo condusse
al commerciante Habban. Appena lo vide, Habban gli
domandò: ‘Costui è il tuo padrone?’. Giuda gli rispose:
‘Sì, è il mio padrone’. Allora il commerciante Habban gli
disse: ‘Egli ti ha venduto a me completamente’. E Giuda se
ne restò zitto” Atti di Tommaso, I,2, op. cit. .
L’inno della Perla
o l’esoterismo iniziatico della ricerca del sé
di Maria Concetta Nicolai
19
Inno della Perla
dere con lui il regno. Molti studiosi, tra cui Mircea
Eliade, basandosi sul lirismo descrittivo della composizione,
avanzano l’ipotesi che esso sia un testo gnostico
precristiano di origine iranica, riutilizzato negli
Atti in un secondo tempo.7
Al riguardo però è appena il caso di far notare che
anche altri brani dell’apocrifo sono intrisi di vena eligiaca
come l’accorato discorso che il principe Carisio
rivolge alla sua sposa Migdonia che, convertita da
Tommaso, ha deciso di vivere castamente e rifiutare
i rapporti sessuali inerenti il matrimonio, e che qui si
riporta a modo di esempio: “Ti prego, Migdonia, la
tua vista non torturi più la mia anima, non affliggere
oltre il mio cuore con l’affanno per te. Io sono Carisio,
lo sposo della tua giovinezza, sono il tuo vero
sposo, onorato e temuto da tutto il paese. (…) In cuor
mio ricorderò la tua bellezza e tacerò. Dovrò pensare
alla tua casta condotta e non dire nulla? E chi è colui
che si lascia privare di un così divino ed eccellente
tesoro? Posso forse sopportare la perdita delle tue
amabili bellezze, che furono sempre con me? La tua
dolce fragranza è tuttora nelle mie narici, il tuo bel
colorito è tuttora davanti ai miei occhi! Anima mia,
che mi vogliono sottrarre! Mio occhio splendente con
il quale io vedo, che mi vogliono cavare e portare via!
Mio corpo gentile, di cui ero fiero, che essi maltrattano
e vogliono portarmi via! Mio braccio destro, che
vogliono amputarmi! Mia bellezza che viene distrutta!
Mio conforto, con il quale essi mi tormentano!
Mia gioia che viene mutata in tristezza! Mia pace,
che mi è diventata afflizione! Mia vita, che si è mutata
in morte! Mia luce che si è tinta di tenebre! (…) Oh,
se qualcuno mi privasse di tutte queste mie glorie e
delle mie ricchezze, purché mi desse un’ora dei tuoi
anni passati Migdonia! Oh, se qualcuno mi accecasse
un occhio, purché i tuoi occhi si posassero su di
me come una volta! Oh, se qualcuno mi amputasse il
braccio destro, purché io ti potessi abbracciare con il
sinistro! (…) Figlia mia, mia diletta Migdonia, ricorda
che tu mi piacesti più di tutte le donne dell’India,
ch’io ti scelsi quando avrei potuto prenderne tante
altre di classe più elevata della tua. Veramente, non
mento, Migdonia, no! Per me in tutta l’India non c’è
una donna come te. Quale bellezza e quale ornamento,
quale eleganza e quali nobili qualità io perdo!”8
***
A favore della tesi che l’Inno della perla sia un te-
7 Mircea Eliade ne ipotizza l’origine iranica, durante
l’impero partico e pertanto ne fissa la composizione intorno
al 225 d. C. nella lingua locale che proprio in quegli anni
assumeva un carattere letterario. Cfr. Mircea Eliade, Mito e
realtà, ed. Borla, Torino, 1993
8 Atti di Tommaso, X, 113-114, op. cit.
sto precedente, riutilizzato in questo contesto, gioca
anche il fatto che esso è collegato al racconto solo
da due brevi frasi esplicative poste all’inizio ed alla
fine, e che non contenga nessun accenno al Cristianesimo.
9 Per il resto riassume tutti caratteri principali
9 L’inno che è introdotto dalla frase: “Tutti quelli che
erano in prigione, vedendolo pregare, lo supplicarono
di pregare anche per essi. Dopo aver pregato,
Giuda, si sedette e prese a cantare quest’inno”
(IX,108) e chiuso da “L’inno dell’apostolo Giuda
Tomaso, pronunciato quand’era in prigione, è terminato”.
20
athanor
del simbolismo gnostico a cominciare dal viaggio che
il giovane principe intraprende partendo “dall’Oriente,
nostra casa” dove vive “lieto della ricchezza e del
fasto dei genitori”. Suo padre lo equipaggia di tutto
quello che può occorrergli durante il cammino, un fardello
prezioso ma adeguato alle sue forze.10 Si tratta,
fa notare Hans Jonas, delle qualità pneumatiche che
lo collegano all’Uomo primordiale (Nous) al quale lo
accomuna anche la veste e il prezioso mantello di porpora
che ha momentaneamente dismesso. La meta da
raggiungere è l’Egitto, terra, nell’immaginario ebraico
e persiano, dedita al culto dei morti, alla magia e pertanto
simbolo di mondo materiale e di ignoranza.11
La stessa metafora negativa hanno il serpente e il mare,
il primo rappresentazione del tempo (kronos) connesso
alla materia, il secondo visto come luogo oscuro e
privo di luce. Il dragone che si morde la coda “rettile
figlio di un rettile, danneggiatore figlio di un danneg-
10 “Oro di Beth-Ellaye e argento della grande Gazak/
rubini d’India e agate di Beth-Cashan,/ mi provvidero di
diamante che può frantumare il ferro”. (Inno della Perla,
6-7-8)
11 “Tutti gli ignoranti sono Egiziani’, proverbio gnostico,
citato da Ippolito di Roma, Philosophumena, V, 16, 5.
giatore. Sono figlio di colui al quale è stato dato il
potere su tutte le creature, che egli tormenta” aveva
già fatto la sua apparizione negli Atti, scontrandosi
con Tommaso che lo soggioga e lo obbliga a restituire
la vita ad un giovane vittima del suo veleno.12
Il mare delle acque nere, in questo caso è il Mar Rosso
che “rappresenta il mondo multiforme della generazione
mortale nel quale è affondato il dio uomo e dalla
cui profondità egli invoca il Dio supremo, l’Uomo Primordiale,
il suo modello originale non caduto”.13
Giunto in Egitto, terra “in comunione con l’impuro” il
giovane, nonostante le precauzioni adottate, indossa le
loro vesti, beve il loro vino e cade nel torpore, nel sonno
e l’ebrezza, dimenticando lo scopo per cui è giunto
fin là. Il passo esprime alcuni principi fondamentali
della gnósi: innanzi tutto la condizione di straniero
(ma in un modo o in un altro essi si accorsero ch’io
non ero un loro compatriota) e la mimesi che il giovane
subisce indossando un abito che non è suo (indossai
le loro vesti affinché non mi avessero in avversione),
quindi l’alienazione del proprio sé ottenebrato
dalla dimenticanza (Io dimenticai che ero figlio di re)
e dal cambiamento di status (e fui al servizio del loro
re). Il richiamo di fondo è però “la necessità sacrificale
imposta al salvatore di rivestirsi dell’afflizione dei
mondi per esautorare i poteri del mondo, cioè come
parte del meccanismo stesso della salvezza”.14
Il giovane Principe, che ha iniziato il suo viaggio nella
parte attiva di salvatore della perla, a questo punto
si trova nella condizione passiva di essere salvato. Il
Salvator salvandus, proprio della visione docetista,
straniero ed esiliato nel mondo, in cui rischia di dimenticare
persino la sua anima, è salvato dalla Lettera,
variante del Messaggero e della “chiamata dal
di fuori”, temi tra i più diffusi nella letteratura e nella
liturgia gnostica.15
La scena è immersa in una dimensione solenne: “Nel
12 Atti di Tommaso, III, 30-33.
13 Ippolito di Roma, Philosophumena, V, 8, 15. op. cit.
14 Hans Jonas, Lo gnosticismo, op. cit.
15 A titolo di esempio si riporta un passo delle Odi di
Salomone, apocrifo gnostico giudaico vetero testamentario
del II secolo, giuntoci in siriaco: “Il suo pensiero divenne
come lettera;/ il suo volere scese dall’alto. / Esso fu inviato
come freccia dall’arco, / scoccata con vigore./ Molte mani
verso la lettera si affrettarono, / per afferrarla, prendere e
leggerla./ Ma essa fuggì via dalle loro dita/ e furon di essa
intimoriti e del sigillo su essa, / poiché non avevano nessun
potere di sciogliere il suo sigillo. /La forza sul sigillo era
a loro superiore. /Dietro la lettera però andarono quelli
che l’avevan veduta, / per sapere dove si sarebbe posata, /
chi l’avrebbe letta o chi l’avrebbe ascoltata”. (Ode XXIII,
6 -109. Cfr. Paolo Sacchi, Apocrifi dell’Antico Testamento,
Utet, Torino 2013.
21
Inno della Perla
nostro regno fu fatto un proclama affinché tutti venissero
alla nostra porta/ re e prìncipi dei Parti e tutti
i dignitari dell’Oriente”. Viene redatto un piano di
intervento, sottoscritto da tutti i dignitari presenti, e
l’incipit del messaggio ha un tono ufficiale: “Da tuo
padre, re dei re, e da tua madre, signora dell’Oriente,/
da tuo fratello, nostro secondo, a te nostro figlio, che
sei in Egitto, salute!” per poi toccare, via via, altre
sfumature, dall’esortazione perentoria “Su, alzati, dal
tuo sonno e ascolta le parole della nostra lettera!”
all’ammonimento “Ricordati che sei figlio di re! Considera
la schiavitù a cui sei sottoposto!”, alla esplicitazione
dell’autorità “Questa è una lettera che il re ha
sigillato con la sua destra/ per custodirla dai malvagi,
dai figli di Babel, e dai selvaggi demoni di Sarbug”,
fino alla affettuosa blandizie “Pensa alla tua veste e
ricordati dell tuo magnifico mantello/ che porterai e
che ti adornerà. Il tuo nome fu letto nella lista degli
eroi/ e con tuo fratello, nostro viceré tu sarai nel nostro
regno!”.
La lettera – messaggero, che assume le sembianze di
un’aquila e pronuncia il suo discorso, diviene il perno
su cui gira tutto l’Inno. Con il nome di suo padre,
di suo fratello e di sua madre, di cui essa è latrice,
il giovane principe addormenta il serpente nero e si
riprende la perla nascosta negli abissi marini. Il dualismo
che oppone la “luce che conosce” alla “tenebra
che non sa”, altrove descritto in un immenso scontro
cosmico di alterne vittorie, qui è sinteizzato in pochi
cenni determinanti (sonno mortale inflitto al nemico
e il gesto della mano che si riappropria di quello che
gli appartiene), a riprova che l’inno intende cantare
il simbolismo del Messaggero, nella doppia figura di
lettera, testimone dell’autorità paterna, e del principe,
inviato dall’Oriente a recuperare il tesoro della perla
in fondo al mare, sulla cui riva, però, si è seduto da
straniero dimentico.16
Anche alla perla l’inno dedica solo poche ed essenziali
parole poiché nel sistema gnostico essa è la metafora
condivisa dell’anima soprannaturale. In questa
concezione rilegge l’imperativo evangelico “Non
date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle
davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro
zampe e poi si voltino per sbranarvi”.17
La perla, ossia la scintilla della conoscenza sepolta
nell’oscurità materiale dell’ignoranza, custodita
in questa prigione dal Uroboro del tempo, rivela
16 Il passo del recupero della perla, quasi fosse un dato del
tutto naturale e scontato, una volta che la lettera ha ricordato
al giovane le parole di suo padre e la sua identità, è
ridotto ad un unico gesto espresso con due parole: “afferrai
la perla”.
17 Matteo 7,6.
la sua natura santa solo quando viene riconquistata.
“In altre parole – scrive Han Jonas – il destino del
messaggero ha tirato a sé tutte le caratteristiche che
potrebbero adeguatamente descrivere il destino della
Perla, mentre nell’inno la Perla stessa rimane un
puro oggetto e come tale non è punto descritta. Qui
essa è talmente solo simbolo di un compito dalla cui
esecuzione dipende il destino stesso del messaggero,
che essa è quasi del tutto dimenticata nella storia del
suo ritorno, e della sua consegna al Re si fa appena
cenno”.18
Come si è detto, infatti, il punto focale di tutto il racconto
è il Messaggero nelle sue varie accezioni: Giovane
principe, Straniero, Salvatore, tanto che la perla
acquista una varietà di valori a seconda dello status e
delle azioni del primo. È lo scopo del suo pericoloso
viaggio quando si avvia verso l’Egitto, è sepolta in
18 Hans Jonas, Lo gnosticismo, op. cit.
22
athanor
fondo al mare, quando egli giace intorpidito, è infine
la sua anima ritrovata e ricongiunta alla sua immagine
spirituale dopo che l’ha sottratta al serpente-tempo.
Compiuta la sua missione, dietro la sua guida luminosa,
il giovane eroe riprende il viaggio di ritorno: “La
mia lettera, la mia destatrice, trovai davanti a me sul
cammino/ e come essa mi destò con la sua voce così
la sua luce mi guidava./Essa che abita nel palazzo
con la sua forma irradiò la sua luce davanti a me,/
con la sua voce e con la sua guida mi spinse ad accelerare
il passo, / e con il suo amore mi sospinse”.
Il suo compito finisce con l’arrivo dei due tesorieri
che recano la veste e il mantello con i quali il re vuole
che sia rivestito suo figlio che ha risposto alla chiamata
ed ha superato la prova. “Io più non ricordavo il
suo modello avendo fin dall’infanzia abbandonato la
casa di mio padre,/ma subito, non appena lo ricevetti,
mi parve che l’abito fosse diventato uno specchio di
me stesso./ L’osservai molto bene e con esso io ricevetti
tutto/ giacché noi due eravamo distinti e tuttavia
avevamo un’unica sembianza”.
La veste è dunque il doppio trascendentale dell’uomo
pneumatico, l’aspetto che l’eroe ha recuperato, scendendo
nella oscurità e strappando la perla al serpente
nero. La sua descrizione è fantastica e su ognuna delle
gemme e dei colori citati, si potrebbe trarre un riferimento
simbolico: “la mia veste ricamata, adorna di
splendidi colori,/ di oro e berilli, di rubini e agate,/ di
sardonici dai colori diversi. A casa sua su,
in alto, fu abilmente lavorata/ con fermagli
di diamante erano unite tutte le giunture,/
l’immagine del re dei re era interamente ricamata
e dipinta su di essa,/ e come pietre di
zaffiro rilucevano le sue tinte”.
A questo primo ritorno all’unità del pleroma
si associano anche i due tesorieri inviati
ad incontrarlo: “erano due, ma in un’unica
sembianza poiché lo stesso segno del re su
di loro era tracciato”. Questo doppio speculare,
è “il contributo più profondo della religione
persiana allo gnosticismo e alla storia
delle religioni in genere”. Esaminando i
vari significanti semantici dei fonemi con i
quali il concetto è indicato nella letteratura
religiosa iranica, ritrova il medesimo significato
trascendente dell’anima in Paolo di
Tarso che lo esprime con il termine pneuma
(lo spirito in noi, l’uomo interiore, l’uomo
nuovo).19
“È significativo – aggiunge Jonas – che Paolo,
il quale scriveva in greco e non ignorava
certamente la terminologia greca, non usi
mai in questo senso il termine psyche, che
pure fin dal tempo degli Orfici e di Platone
aveva significato il principio divino in noi.
(…) Evidentemente il significato greco di psyche, nonostante
tutta la sua dignità, non era sufficiente ad
esprimere la nuova concezione di un principio che
trascende ogni associazione umana e cosmica”.20
In altre parole il doppio speculare che l’Inno introduce
è applicabile anche all’uomo pneumatico che,
come alter-ego cosmico del Salvatore, recupera le
“corazze di luce” date in pasto agli Eoni durante il
combattimento primordiale, per ricostituire la sua
identità orignaria. Il concetto, con tutta evidenza, si
presta alla interpretazione analitica che ne daranno
Sigmund Freud e la Scuola junghiana. Per il primo la
discesa nel mare oscuro è l’immagine della regressione
fetale, con la quale il paziente cerca di ripristinare
lo stato psichico precedente il fenomeno patologico,
mentre il doppio è il residuo perturbante di un tempo
19 Tra i significanti semantici presi in esame da Jonas si
citano: Daena nell’Avesta con il significato di religione,
essenza interna, io spirituale. Nel Kephalaia, Grev, che può
tradursi con il sé vivente, persona metafisica e vero soggetto
trascendente della salvezza. In mandeo Mana esprime il
nome della divinità suprema e dell’ego spirituale, detto anche
Adamo nascosto. I Naasseni chiamano Uomo o Adamo
sia il dio supremo sia ovviamente il suo corrispondente
caduto nel mondo. Cfr. Hans Jonas, Lo Gnosticismo op. cit.
20 Ibidem.
23
Inno della Perla
psico-mitologico “in cui vigevano
l’onnipotenza dei pensieri,
e il subitaneo appagamento
dei desideri”, che l’inconscio
reclama per superare una realtà
in cui ha smesso di credere.21
Per Carl Gustav Jung la riunificazione
del sé ad un modello
originario unico diviene “l’unicità
dell’individuo imperituro
che esiste sempre”, concetto
in cui sintetizza varie accezioni
del pensiero gnostico, che
considera un sistema adatto a
sostenere l’equilibro spirituale
dell’individuo.22 Nel simbolismo
della conquista della
perla “quella cosa minuscola,
quell’individuo unico, quel
piccolo sé, che è piccolo come
la punta di un ago eppure, proprio
perché è così piccolo, è
anche più grande del grande”,
legge, infine, il processo di ricomposizione
del sé attraverso
il superamento della immobilità
(torpore) imposta dalla
adesione alle convenzioni sociali.
23
Ritornando al racconto dell’Inno
della Perla, il momento
della rivelazione (gnósi) è
rappresentato dalla veste, che
una volta indossata, si anima e
parla: “Vidi che in tutto il suo
essere pulsavano i moti della
conoscenza/ e che si preparava
a parlare,/ udii il suono degli
accenti che bisbigliava con se
stesso”. Il discorso che segue,
pronunciato in prima persona, ha il tono del racconto
in cui l’anima del giovane principe dichiara le proprie
origini e le proprie qualità: “Io sono colui che è
operoso nelle azioni, quando mi educavano presso il
padre/ io mi compresi e percepii che la mia statura
21 Cfr. Sigmund Freud, L’Io e l’Es, in Opere, vol. IX, Bollati
Boringhieri, Torino 1989
22 Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Tea edizioni,
Milano 2007. Per la speculazione di Jung sullo gnósicismo
si rimanda al capitolo I sette sermoni dei morti, in Ricordi
sogni e riflessioni, Rizzoli, Milano, 1992.
23 Carl Gustav Jung, Libro Rosso (Novus liber), Bollati
Boringhieri, Torino 2010.
cresceva in proporzione del suo lavoro”; considera
la veste la forma con cui si è presentato dinanzi al
re suo padre: “Mi adornai con la bellezza dei suoi
colori/ e mi avvolsi interamente nella mia toga, dalle
tinte sgargianti,/ l’indossai e mi recai su alla porta./
Chinai il capo e adorai la maestà del padre mio che
mi aveva mandato/ ed egli mantenne quanto aveva
promesso”, ed infine narra la scena di letizia che ha
accolto il suo ritorno: “alla sua porta mi associai con
i suoi prìncipi:/egli si rallegrò di me e mi accolse ed
io fui con lui, nel suo regno,/mentre lo lodava la voce
di tutti i suoi servi”.
24
athanor
Quando ero bambino e abitavo nel regno
della casa di mio Padre e mi dilettavo della
ricchezza e dello splendore di coloro che mi
avevano allevato, i miei genitori mi mandarono
dall’oriente, nostra patria, con le provviste
per il viaggio. Delle ricchezze della
nostra casa fecero un carico per me: esso era
grande eppure leggero, in modo che potessi
portarlo da solo.
Mi tolsero il vestito di gloria che nel loro
amore avevano fatto per me, e il manto di
porpora che era stato tessuto in modo che si
adattasse perfettamente alla mia persona, e
fecero un patto con me e lo scrissero nel mio
cuore perchè non lo potessi scordare: “Quan

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LA BEFFA DI PORTA PIA

LA BEFFA DI PORTA PIA
Porta Pia rappresenta una soluzione di continuità nella cinta muraria aureliana (voluta dall’imperatore Aureliano nel III secolo) e un tempo era il monumentale accesso alla città di Roma e allo Stato Pontificio.
Sì tratta di un’opera d’arte di gran pregio, realizzata dal grande Michelangelo Buonarroti (1561-1565) che si è poi arricchita da tutta la carica emotiva degli avvenimenti del settembre 1870 quando il processo di unità nazionale si stava completando a detrimento dell’autonomia territoriale dello Stato Pontificio, ormai ridotto alla sola città romana.
Tale opera fu commissionata da Pio IV, nato Giovanni Angelo Medici (di Marignano) che, nonostante l’altisonante (e fuorviante) cognome, Pio IV nulla aveva a che spartire con i Medici fiorentini.
Egli apparteneva ai Medici milanesi, famiglia di umili origini che millantava una parentela non meglio specificata (né documentata) con i più noti nobili toscani.
In pratica questo pontefice di Santa Romana Chiesa, eletto nel 1559, discendeva da una famiglia di barbieri.
Due anni dopo, nel 1561, Pio IV commissiona a un ottantacinquenne Michelangelo la realizzazione di Porta Pia, l’accesso alla città al termine della omonima via.
Verosimilmente l’artista fiorentino ha curato personalmente il disegno, lasciando la sua realizzazione vera a propria ai propri assistenti, non tanto per l’età (Michelangelo è morto a 89 anni praticamente con lo scalpello in mano) ma piuttosto per la scarsa considerazione che aveva di questa opera che, difatti, venne anche realizzata piuttosto in fretta.
E come poteva Michelangelo farsi sfuggire l’occasione di sottolineare le umili origini del Pontefice, la cui famiglia si era addirittura impossessata dello stemma della casata Medici, a lui tanto cara?
Ed ecco che tre elementi circolari, armonicamente disposti e simili fra loro, attirano l’attenzione dello spettatore.
Di cosa si tratta?
Scudi militari?
Preziosi arredi sacri?
Simboli dall’intrinseco e profondo significato religioso?
Macché: molto più semplicemente (e prosaicamente) si tratta di tre scodelle da barbiere circondate da un asciugamano.
E in posizione centrale e con dovizia di particolari Michelangelo ha inserito anche un bel pezzo cubico di sapone da barba.
E i Romani, popolo di grande fantasia, ha individuato nel mascherone sghignazzante scolpito sopra il portone lo stesso Michelangelo intento a prendersi gioco del Papa Re.
Ma papa Pio IV se la sarà presa? Le cronache non riportano alcunché in merito; tuttavia, possiamo affermare con certezza di essere davanti allo scherzo più riuscito nel tempo, in corso da ben cinque secoli!

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LO DICE LA SCIENZA: DARE SPAZIO ALLA CREATIVITÀ FA BENE AL CERVELLO

LO DICE LA SCIENZA: DARE SPAZIO ALLA CREATIVITÀ FA BENE AL CERVELLO

Ora le conferme arrivano dal mondo scientifico; la creatività fa bene al nostro cervello ed è assolutamente necessaria per il nostro benessere

Che dedicare momenti alla creatività fosse salutare per il nostro sistema psicofisico, già lo sapevamo… ma ora le conferme arrivano dal mondo scientifico; la creatività fa bene al nostro cervello ed è in grado di modificarne capacità e anatomia fino all’ultimo giorno della nostra vita. Creativi non si nasce, si diventa! Ad affermarlo è in particolare Estanislao Bachrach, uno dei maggiori esperti di neuroscienze al mondo, nel suo libro “Il cervello geniale”. In passato si credeva che neuroni e sinapsi non potessero più essere modificati dopo lo sviluppo del cervello, ora invece è provato che possiamo continuare ad apprendere per tutta la vita, e così facendo modifichiamo fisicamente il nostro cervello e la sua rete di connessioni.
Siamo abituati a considerare creativi solo coloro che hanno una propensione all’arte, alla musica, alla pittura, infatti chi intraprende studi scientifici viene tipicamente considerato “quadrato” e poco creativo. Ma creatività è invece, secondo Bachrach, la capacità di connettere idee e concetti lontani tra loro e creare combinazioni inedite di cose già note attraverso la combinazione di concetti ed esperienze che già avevamo immagazzinato nella nostra memoria. Quando queste combinazioni emergono a livello cosciente, “vediamo” l’idea. Perciò tante più idee abbiamo, tanto maggiore sarà la possibilità che tra esse ci siano idee nuove, originali e creative, è questione di probabilità. Grandi aziende basate sull’innovazione, adottano il sistema “100 idee in un’ora”, spingendo i propri dipendenti a produrre in un breve lasso di tempo quante più idee possibili utili a risolvere una sfida creativa. Le prime idee saranno scontate e banali, mano a mano che si procederà le idee saranno sempre più nuove e complesse e aumenterà la possibilità che tra esse ci possa essere la soluzione al problema.

Ma la creatività non si può attivare a comando, è una capacità collegata al contesto, per essere creativi bisogna essere immersi in un ambiente stimolante privo il più possibile di stress. Lo stress, secondo Bachrach, è causato dal nostro desiderio di controllo, che quando viene disatteso crea in noi ansia e nervosismo. Quando cioè non possiamo controllare il tempo atmosferico, il traffico, la mente delle altre persone e così via, siamo frustrati e non facciamo altro che incrementare il nostro livello di ansia e stress senza rimedio. Inoltre la delusione dall’impossibilità di soddisfare desideri indotti, quali l’acquisto di nuovi prodotti alla moda, la nuova casa, la nuova auto, la nuova tecnologia, costituisce un’ulteriore fonte di stress. Infine siamo individui abitudinari, questo ci porta a vivere in modo automatico, senza chiederci se potremmo impiegare meglio il nostro tempo, ma il tempo in realtà è più flessibile di quanto si pensi! La soluzione sta nell’abbandonare le consuetudini e le “risposte automatiche” alle problematiche quotidiane e ragionare invece su modi di vivere più consoni ai nostri ritmi personali. Per farlo è però necessario volerlo ardentemente.

La creatività è favorita da momenti di calma e relax che “abbassino il volume” della parte del nostro cervello dominante, quella razionale e logica, per poter ascoltare la debole voce della parte del nostro cervello legata ad intuizioni ed emozioni, quella in grado di generare idee creative. Per farlo esistono svariate tecniche di meditazione, ma aiutano in questo senso anche attività di svago e gioco, lo sport, lo stare in mezzo al verde e ai fiori, stare in silenzio, ma anche spingere un bambino sull’altalena, lavare i piatti, giocare con il proprio cane! Per ritrovare il benessere mentale e stimolare la creatività può essere utile riscoprire la dimensione del gioco anche tra gli adulti. Il sistema educativo del XX secolo si è basato sull’analisi logica e sul ragionamento deduttivo, ma per conquistare il XXI secolo sono invece necessarie capicità empatiche e creative. Imprese, governi e organizzazioni, richiederanno ai propri membri creatività, e saranno gli individui creativi ad emergere e fare la differenza nella società, nel commercio e nell’economia, promuovendo il progresso. Scrive Bachrach “la creatività è il motore principale del processo evolutivo e culturale della nostra società contemporanea”

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LA LIBERAZIONE DELLA GRECIA NEL 1821 IL CONTRIBUTO Dl ALCUNI LIBERI MURATORI ITALIANI

LA LIBERAZIONE DELLA GRECIA NEL 1821
IL CONTRIBUTO Dl ALCUNI LIBERI MURATORI ITALIANI
di
Stephanos Colaghis
La Massoneria, sin dai suoi primi passi, non ha mancato mai di far riferimento a determinate ricorrenze strettamente legate alla identità nazionale dei singoli popoli.
Esse ci fanno sempre ricordare quei momenti e quegli atti che hanno consacrato il mantenimento dei più alti e fondamentali diritti dell’uomo.
La ricorrenza del giorno della celebrazione del Risorgimento ellenico è ancora vicina.
Sono passati dal 1821 ben 176 anni e molti documenti, nonostante il cammino del tempo, sono venuti alla luce. Questi documenti ci conducono sempre verso un determinato punto d’ arrivo: “La Libertà ”
Non vi è verità “più vera” di quella che afferma l’efficace e prezioso sostegno da parte della Massoneria.
Così, anche per noi, non può passare inosservata la ricorrenza del 25 marzo 1821.
In questi giorni ci viene spontanea la necessità di rievocare, ancora una volta, i nostri sentimenti di profonda gratitudine a tutti quelli che hanno contribuito con ogni mezzo, anche sacrificando la propria vita, per la liberazione del nostro paese da una schiavitù tirannica.
Si rende necessario per noi che siamo membri di questa fratellanza italiota di ricordare, in questa circostanza, i nostri Fratelli liberi muratori italiani che hanno lottato nella nostra terra, in quell’epoca, così dolorosa e cruenta.
Molti dei nostri Fratelli venuti in Grecia a combattere al fianco dei Greci, specialmente dopo lo sfortunato sollevamento del Piemonte contro gli Austriaci, nel 1815.
Essi trovarono in Grecia una nuova e accogliente patria come quella che avevano lasciato, allo stesso modo oppressa dalla tirannia.
Tutti insieme poterono lottare per rianimare la sacra fiamma della libertà.
Permettetemi di evidenziare alcuni “curriculum vitae” di alcuni, fra i tanti, Fratelli italiani, dei quali sono in possesso di informazioni documentate e di rapporti scritti che testimoniano la loro indiscutibile statura massonica.
Abbati Joseph (1780-1850)
Nato a Bonifacio di Corsica ha combattuto nel Piemonte insieme a Santarosa. E’ stato uno dei più eccellenti massoni stranieri.
Il generale Charles Nicolas Fabrier o Faviero, il noto colonnello greco, lo stimava e molto lo apprezzava. La sua partecipazione attiva da militare combattente copre tutto il periodo della rivoluzione greca. Sottotenente della compagnia del genio del corpo ordinario di Tarela nel 1822, combatté eroicamente nella battaglia di Pétta, ove conquistò la bandiera turca. Si salvò miracolosamente durante l’assedio della fortezza di Palamidi a Nafplio.
Già “capitano ” nel 1823, come risulta dall’Archivio Generale Hellenico, venne promosso col grado di “maggiore” dell’esercito ordinario di Faviero. Il generale Faviero, dovendo partire per Atene allo scopo di preparare la spedizione di Evia, lo lasciò al comando del 20 Battaglione dell’esercito ordinario, a Nafplio, e nello stesso tempo anche capo della guarnigione.
Il 30 novembre 1826, insieme a Faviero e ad altri 530 ordinari riuscì ad entrare nell’assediata Acropoli di Atene, portando munizioni militari.
Il .1827 venne elevato al grado di luogotenente colonnello e, dopo una lunga sosta, promosso al grado di colonnello.
Il 1850 muore ad Atene all’età di 70 anni.
Nell’archivio Generale Hellenico si trovano molti dei suoi scritti e ordini che portano la sua firma con la distinzione di tre punti e le curve massoniche.
Bassano Antonio e Bassano Pasquale
I fratelli Antonio e Pasquale Bassano erano, come Abbati, combattenti piemontesi di origine corsicana.
Per Pasquale non abbiamo molte informazioni. Prese parte alle battaglie del Peloponneso e cadde a Tre Tori-Koliàs ‘Acra (l’odiema Faliron), il 24 aprile 1827.
Il suo nome è scritto sulla colonna monumentale dei caduti filo-elleni di Ilar Touret a Nafplio.
Di Antonio Bassano, invece, sappiamo che ha vissuto una vita piena di peripezie. Il 1821 lasciò la corte di Alì Passas di Jannina, ove si trovava, per passare dalla parte dei rivoluzionari greci rendendo alla causa grandi servigi. Nel 1822 a capo di due navi fu di grande aiuto con le spedizioni di Mavrokordatos a Peta e Suli.
I Turchi, dalla Fortezza di Prevesa, riuscirono a colpire ed affondare le sue navi e la barca su cui aveva trovato scampo. Venne così catturato dai turchi. Omer Vrionis riusci a fargli evitare l’esecuzione capitale. La moglie, in seguito, riuscì a liberarlo dietro pagamento di 60.000 grossia.
Nel 1824 scrisse da Ancona a Mavrokordatos comunicando il suo rientro in Grecia tornando a prestare i suoi servigi nella marina greca.
Nel settembre del 1828 Antonio Bassano venne nominato dal Governatore Ioannis Kapodistrias “capo della flottiglia” di Amvrakikos, costituita dalle navi a vapore “Karteria” e “Epichirissis”, con lo scopo di aiutare dal mare il Generalissimo Tzourts che combatteva nella Grecia occidentale.
Antonio Bassano morì in Grecia nel 1836.
Gallina Vincenzo
Liberale e giurista di grande fama, Vincenzo Gallina trovò in Grecia una seconda patria.
Partecipò a molte commissioni costituzionali e legali nonché alla compilazione dello Statuto Costituzionale Ellenico di Epidavros, che in sostanza è tutto opera sua.
Il “Corpo dei Deputati di Gracia “, riconoscendo i suoi preziosi servizi, gli conferì la medaglia di partecipazione all’Assemblea Nazionale con la seguente dedica: “Il Corpo dei Deputati onora la virtù dell’uomo
Poco più tardi, il Corpo dei Deputati gli conferì la cittadinanza greca come poi fece anche con altri filo-elleni (Mayer, Rainer, ecc.). Nel 1873 Vincenzo Gallina venne inviato in Russia.
Nell’Archivio Generale Hellenico venne ritrovata una sua lettera scritta dalla città di Kaffa, in Crimea, datata 6 agosto 1823 e indirizzata a Mavrokordatos contenente speciali informazioni sui rapporti esistenti tra Russia e Turchia, nonché altre notizie riservate di vari paesi europei.
De Gubernati
De Gubernati era di origini piemontesi. Nato nel 1780, aveva prestato il servizio militare col grado di capitano, nella Guardia Italiana di Napoleone.
Nell’estate del 1821, venuto nel Peloponneso col grado di “maggiore sotto-comandante ebbe l’incarico di addestrare i soldati del corpo militare di Balest, sostenuto economicamente da Demetrio Ypsilantis.
Nel dicembre del 1821 prese parte allo sfortunato attacco di Nafplio e nel 1822 nominato “luogotenente-colonnello” e sottocomandante del Corpo Militare Ordinario del comandante Tarella. Ammalatosi a Pétta, prese parte, ciò nonostante, alla omonima battaglia, salvandosi per miracolo. Subentrato a Tarella, assunse il comando del Corpo Ordinario Militare col grado di colonnello e combatté a Etoliko, Agrinio, Sàlona, Gravia, Athene, Dervenia, Epidavros e Nafplio.
Grande fu il suo contributo per la presa della Fortezza di Palamidi, il 30 novembre 1822.
Dopo molte pressioni e tanti sforzi presso il Consiglio Nazionale di Gracia, riuscì ad ottenere da esso il sovvenzionamento del suo Corpo Militare e la sua riorganizzazione.
Venne sostituito nel 1824 dal comando di questo Corpo, denominato “Reggimento della Fanteria” e addolorato partì per l’Egitto entrando a far parte dell’esercito di Mohamet Alì come ufficiale ma con l’assicurazione che non avrebbe combattuto contro la Grecia.
Visantios, Anninos, Kokkinos e Barth, esaltarono il contributo offerto da De Gubernati nella guerra della Grecia contro la Turchia.
Chiappe Giuseppe
Giuseppe Chiappe, dottore in legislatura, si era specializzato a Parigi. Studioso e conoscitore della lingua greca, liberale e bonapartico, lasciò Parigi dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo e rimase a Livorno fino al 1820. Prese parte ai moti del Piemonte e di Napoli nel 1820, passando poi alle isole dello Ionio e nel giugno del 1821 nel Peloponneso e poi ancora nell’isola di Ydra ove collaborò con Kunduriotis e Tsamados, distinguendosi nella lotta dei Greci contro i Turchi.
Quando nel 1823 il Colonnello Stanhop portò a Ydra le macchine tipografiche, acquistate dall’Associazione Filellenica di Londra, Giuseppe Chiappe curò l’edizione giornalistica “Amico della Legge” (1824-1827). Questo giornale, oltre al notiziario uficiale del Consiglio Nazionale Hellenico,

comprendeva anche articoli che si riferivano alla libertà giornalistica, all’ordine costituzionale, alla giustizia sociale, all’istruzione ecc. Pubblicò in lingua francese, inoltre, il periodico “Ape hellenica’ mediante il quale rese note in Europa le motivazioni della lotta tra greci e turchi.
Chiappe prestò servizio come segretario sulla nave da guerra “Agamemnon” di A. Tsamados e scrisse un diario edito il 1866 ad Athene da N. D. Patras, intitolato “Diari storici dei combattimenti navali del 1821 ”
Ottenuta la cittadinanza greca, rimase ad Athene fino alla sua morte nel 1841. Lasciò figli e nipoti che combatterono anch ‘essi contro i turchi, nelle guerre balcaniche e in Asia Minore.
Suoi discendenti vivono tuttora in Athene. Un suo bisnipote, mio collega di professione, laureatosi in medicina veterinaria presso l’Università di Milano, ha diretto, fino alla sua morte avvenuta il 2 novembre 1980, una Clinica in Via Filellinon, ad Athene, nei pressi della Chiesa Anglicana di San Paolo.
Lo storico Kokkinos e l’Archivio Generale Hellenico fanno spesso specifici riferimenti al prezioso contributo di Giuseppe Chiappe dato alla lotta per la liberazione della Grecia. •

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ANALISI E SINTESI NELL’UOMO MODERNO E NELLA CIVILTÀ’ CONTEMPORANEA

ANALISI E SINTESI NELL’UOMO MODERNO E NELLA CIVILTÀ’ CONTEMPORANEA
di
Paolo Caradonna Moscatelli
Alle soglie del “terzo millennio ” e dell’età dell’Acquario, l’uomo moderno appare lacerato da contraddizioni individuali e collettive che lo rendono sul piano animico e spirituale una “.monade stanca ”
Tutti i punti fermi della vita, capisaldi dell ‘esistenza dell’uomo antico e della sua visione del mondo “per ordini”, sono sconvolti.
E’ quindi venuta meno quella visione piramidale del mondo sensibile e sovrasensibile che aveva la sua pietra angolare nel “principio di autorità” che scendeva “per li rami” da un Essere Supremo, fino alla intima essenza di ogni materia e di ogni manifestazione della Forza.
La caduta di questo principio solare di autorità che dava una sanzione e un ordine agli eventi naturali e permetteva una profonda proiezione dell’uomo sul piano spirituale (anticamera della comprensione della legge di analogia), da un lato permette di vivere una materialità sempre più tesa ai bisogni di comodità a lungo repressi nei secoli, dall’altro identifica l’uomo con i suoi bisogni, facendo obliare la citata legge di analogia, estraniando l’uomo da se stesso, dalla sua intima essenza.
Da ciò il rifugio della scienza, intesa come “summa analisi” per procacciarsi il bisogno materiale sempre più raffinato, a scapito talora del godimento pieno ed interiore del bene conquistato.
La parcallizzazione propria della scienza moderna può essere considerata come la esasperazione del la analisi che si approfonda nei vari campi del sapere, creando specialisti sempre più preparati e sempre più settoriali.
Ne deriva un tumultuoso divenire che espropria l’ uomo comune da una dimensione e da una comprensione globale del suo tempo; e questo accade proprio mentre i mezzi di comunicazione in real-time dilatano lo spazio a livelli planetari.
Ma il tempo dell’uomo moderno appare frazionato in tanti tempuscoli seguendo una serie infinita e randomizzata di rapporti causa-effetto che annulla il senso di unità personale, di unità naturale e cosmica, e, in definitiva, il senso del sacro.
L’ ascolto costante di una messe infinita di notizie, di nozioni, di fatti spiccioli, privi del necessario tempo di elaborazione (fase del silenzio) e della critica consapevole, ci rende simili a radio che propagano nell’etere vibrazioni altrui senza ritenerne alcuna e, peggio, senza conoscere la natura sovrasensibile della parola e del pensiero come creazione.
Né va taciuto che la mancanza di una formazione critica e la diffusione di mode massificanti sempre più effimere, permette il facile dominio delle folle e il plagio di un orientamento collettivo.
L’effetto amplificante della rivoluzione industriale prima, e della rivoluzione tecnologica poi, ha fuorviato l’ uomo moderno da se stesso inteso come soggetto/oggetto di unità donandogli, in compenso, una presunta onnipotenza sul mondo del sensibile, inteso come riproducibile e misurabile.
La prima conseguenza è lo scotoma del non visibile, con la negazione del sacro vissuto come tessuto connettivo dell’esistenza dentro e fuori di sé.
In campo medico, per esempio, una miriade di specialisti, si affanna intorno ad uovo, studiandolo nei dettagli consentiti dalle possibilità tecnologiche, ma negandogli al contempo l’unità della mente e la dignità dell’uomo.
Con ciò non si vuole negare l’indagine diagnostica approfondita ma se ne contesta la freddezza disumanizzante.
La diffusione ormai epidemica delle malattie psicosomatiche conferma le mie parole.
In campo militare, la possibilità di una distruzione a distanza del nemico, nega la necessità del coraggio del singolo, della solidarietà nella compagine e in definitiva la scoperta in sé di quei valori etico-esotericomilitari che avevano forgiato la Cavalleria, giunta a noi come galateo essoterico.
Emerge quindi prepotente la necessità della sintesi quale antidoto allo stato delle cose, perché la sintesi presuppone e tende all’unità (anche senza raggiungerla) e quindi necessita di ben precise direttive logiche attuabili dall ‘ iniziato con metodo analogico.
ORDO AB CHAO. E alla sintesi UNO si perviene attraverso una riappropriazione della unità fondamentale di tutto ciò che esiste, della Causa, della Forza e della Azione, per noi iniziati, e con la profonda consapevolezza fra uomo e macrocosmo.
La legge analogica di Ermete Trismegisto spiega tutto questo con dovizia.
Ma occorre anche modificare ” nella secreta camera dello core” la dimensione e la percezione dello spazio-tempo.
Si dovrebbe intuire che il tempo non è una dimensione verticale di eventi in successione ma una dimensione orizzontale di un presente eterno i cui limiti alla comprensione sono solo nella natura umana del lettore. Questo riporterebbe all’unità in quanto totale ed immanente compresenza del G.’.A .’.D .’.U.’
Lo spazio sarebbe invece una dimensione verticale, in una successione ordinata di piani più o meno sottili di cui riappropriarsi in ordine crescente.
Questo creerebbe comunque una tensione verso l’ alto, verso l’ ombelico di Brahama in termini di legge di analogia tra uomo e macrocosmo.
Per parlare in linguaggio-jiunghiano, si avrebbe allora una compressione dell’ Io individuale, oggi ipertrofico perché unica ancora e pesante limite dell’uomo moderno, e la riappropriazione del Sé inteso come percezione logica di una essenza comune a tutti gli esseri umani.
E dalla ambizione di questa conquista e dalla necessaria umiltà con cui accingersi a conseguirla che si può evincere l’intimo significato della LIBERTÀ ‘, della UGUAGLIANZA e della FRATELLANZA.•

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