ANTISEMITISMO: IL “MEA CULPA” DEL CARDINAL MARTINI

ANTISEMITISMO: IL “MEA CULPA” DEL CARDINAL MARTINI

di

Silvio Nascimben

Col tempismo di uno scattista olimpionico, il cardinal Martini, precedendo di qualche giorno il solenne gesto con cui i vescovi di Francia – avvenimento senza precedenti – hanno fatto pubblica autocritica del deprecabile atteggiamento indifferente, tenuto durante la Shoah, lo sterminio dei milioni di ebrei nei lager nazisti, ha esortato i cristiani ad inginocchiarsi dinanzi alle vittime di tanto odio, e a chiedere perdono dell’ antico peccato dell ‘ antiebraismo e dell ‘ antisemitismo.

Proprio a Darcy, il centro di raccolta degli ebrei francesi, da cui partivano i convogli verso i campi di sterminio, i vescovi di Francia percuotendosi pubblicamente il petto, hanno fatto atto di contrizione, chiedendo al buon Dio perdono, per non essersi opposti alle persecuzioni antisemitiche e, come di certo è stato, di averle vissute con la complicità del silenzio. Ma, tornando al cardinale Martini, che tra l’altro è un noto biblista, particolare significato riveste la citazione dell ‘invettiva di san Paolo – piuttosto lontana dall’ insegnamento cristico – che certamente è stata la causa dell’atteggiamento ostile dei cattolici nei confronti degli israeliti: “I Giudei non godono delle simpatie di Dio perché sono nemici di tutti gli uomini ed hanno impedito a noi apostoli, di predicare ai pagani la parola di Cristo, per la loro salvazione”.

 

Nonostante l’accorato appello, a non fare processi al passato ma a volgere, anzi, lo sguardo agli avvenimenti odierni, lo storico cardinale ha voluto ricordare, chissà perché poi, l’opposizione di sant’ Ambrogio alla ricostruzione della sinagoga distrutta dai cristiani e, dulcis in fundo, la lettera di Costantino: “Non dobbiamo avere niente in comune col popolo ebraico, gli assassini di Cristo”.

“Quel che interessa oggi – ha aggiunto il cardinale Martini – è la conversione. La “teshuvà “, il ritorno sui propri passi dei peccatori, in altri termini, il pentimento”.

L’ arcivescovo di Milano, poi, ha concluso evidenziando quanto importante sia il Giubileo, inteso come ecumenico appuntamento fra le grandi religioni, per il superamento di quei pregiudizi e di quelle incomprensioni, che da secoli hanno diviso i credenti.

E’ veramente strano, questo fine secolo! Sembra essere caratterizzato, più che mai, da atti di contrizione eclatanti, pentimenti lacrimevoli, esternazioni plateali di sensi di colpa, portati avanti da secoli, che certo non riabiliteranno, ahimè, le migliaia e migliaia di vittime immolate, con accanita efferatezza, nel nome di Dio, proprio da coloro che indegnamente si ritenevano, come ancor’ oggi, suoi seguaci.

L’ odore delle carni arse vive sui roghi dell ‘ inquisizione, così come I ‘ acre tanfo di morte che proveniva dai forni dei lager, l’orrore dei saponi e delle suppellettili ottenute da ossa e da pelle umana, sono ricordi ancora troppo vivi e non possono che suscitare, ancora oggi, sdegno e ribrezzo.

Coloro che, partecipi e non, ma di sicuro vigliaccamente, nulla hanno fatto per impedire il compimento del più grave peccato che l’uomo possa compiere – sopprimere un essere umano – chiedano piuttosto perdono a Dio.

La misericordia divina saprà valutare, con equità, i veri pentimenti, e non quelli esternati per ben altri scopi. Il buon Dio, statene certi, saprà soprattutto tener conto della dignità – si, proprio quella – che fu compagna, oltre al terrore, di coloro che, “le povere stelle di David’, si avviarono, silenziosamente, verso i

campi di morte.

Agorà settembre – ottobre 1997                                                                                                                                           53

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L’ORDINE DEI CAVALIERI TEUTONICI IN PUGLIA

L’ORDINE DEI CAVALIERI TEUTONICI IN PUGLIA

 di

Francesco Guida

Uno dei riferimenti tradizionali della Massoneria, in particolare quella di Rito Scozzese Antico e Accettato, sono gli Ordini Cavallereschi. In questo ambito si suole trattare, esclusivamente, dell’ Ordine dei Cavalieri del Tempio, per via del loro esoterismo.

Ma il complesso panorama cavalleresco non si esaurisce con i Templari, abbracciando nei secoli XII-XIII anche altri due Ordini di altrettanto grande importanza nella storia europea: i Cavalieri Ospedalieri o Giovanniti ed i Cavalieri Teutonici.

Questi ultimi, poi, si sa che sono esistiti ma per quanto si sia scritto, non si conosce gran che se non che combatterono in Terra Santa e furono i fondatori dell’embrionale Stato prussiano. Ancor meno si sa che l’ Ordine Teutonico visse in Puglia una rigogliosa stagione nella prima metà del XIII.

I Cavalieri Teutonici differivano da tutti gli altri Ordini Cavallereschi per la loro sensibilità alle identità del gruppo d’ origine, al radicamento dell’ idea nazionale, contro la dimensione universale degli altri Ordini Cavallereschi. Templari e Giovanniti accoglievano solo uomini e di diverse nazionalità, i Teutonici uomini e donne di puro ceppo germanico. Le donne, infatti, escluse da altri Ordini, erano presenti ed attive, quali benefattrici, nei ranghi teutonici, per l’assistenza a feriti e malati in Germania. Il G. M. Ermanno di Salza Varie sono le ipotesi sulla nascita dell ‘ Ordine.

Per qualche autore l’esigenza di costituire l’Ordine è sorto dalle difficoltà incontrate dai cavalieri tedeschi nell’ entrare negli ordini Templari e Ospedalieri, formati in numero predominante da francesi ed italiani. Per altri autori l’ Ordine sorse nel 1127-1128 durante la Prima Crociata, quando un tedesco iniziò a curare a casa propria i connazionali, casa che poi trasformò in Ospedale, sito accanto ad una cappella dedicata a Maria Vergine. Per qualche altro autore il fondatore fu Federico Barbarossa. Per altri ancora l’ Ordine nacque nel 1189 durante l’ assedio di S. Giovanni d’ Acri, l’ antica Tolemaide da alcuni tedeschi di Brema e Lubecca, dedicati alla cura dei connazionali. Per qualche altro, infine, l’Ordine fu fondato da Federico di Svevia, figlio del Barbarossa.

Si è appurato, comunque, con certezza documentale che ai tempi del Barbarossa, intorno al 1214, esisteva in Gerusalemme l’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici. Tanto, infatti, si ricava dai privilegi riconosciuti e confermati da Federico II. Alcuni di questi privilegi furono emanati a Catania nel 1214, a Taranto e Catania nel 1221, a Barletta nel 1229, a Foggia nel 1230.

Come ogni Ordine monastico-cavalleresco quello dei Cavalieri Teutonici doveva far riferimento ad una Regola. Secondo un autore (Sanson) inizialmente i Cavalieri Teutonici adottarono la Regola dei Templari, scritta da Bernardo di Chiaravalle, ma successivamente essa fu abbandonata per seguire quella dei canonici dello Spirito Santo, che si occupavano di Ospedale, ed ancora più tardi in Prussia adottarono la Regola dei domenicani della provincia polacca.

Secondo altro autore inizialmente adottarono la Regola degli Ospitalieri di S. Giovanni, che in seguito abbandonarono per seguire quella dei Templari, cui apportarono alcune modifiche. Secondo altro autore adottarono la Regola di S. Agostino come ordine monastico, e quella degli Ospitalieri e Templari come ordine cavalleresco.

Tali ipotesi, ognuna parziale in termini temporali, si integrano senza difficoltà, a partire da quelle  del Coco, privilegiato rispetto agli altri come formazione e fonti (frate dell’ Ordine dei Minimi), in quanto i periodi temporali risultano diversi.

Come organizzazione I ‘ Ordine era composto in tre classi, a parte vi erano i monaci onorari, che erano i benefattori, i cavalieri, i preti ed i serventi, in maggior parte di bassa estrazione sociale. I cavalieri, classe dominante, col tempo furono privilegiati nelle attività pratiche rispetto alle contemplative, dispensati da vari obblighi religiosi per dedicarsi alla guerra ed alla amministrazione. I primi Cavalieri Teutonici erano spesso ignoranti, con l’obbligo di recitare a memoria il Pater Noster entro un anno a pena di espulsione. Il Gran Maestro, eletto a vita, era il capo sia dell’Ordine che della Comunità della sede principale, ma non aveva potere assoluto.

La decisione era assemblea della comunità del suo castello per fatti di amministrazione locale, e del Capitolo generale per fatti dell’ Ordine. Non era quello I ‘ unico sistema di controllo. Per il tesoro, urgeva la Gran Maestro e cavaliere dell’Ordine teutonico di S. Maria di Gerusalemme segretezza per il suo ammontare, ma per il sigillo, contenuto in un forziere, a tre serrature era prevista la presenza dei tre possessori delle chiavi per aprirlo, il Gran Maestro, il Commendatore, il Tesoriere. Nel mese di settembre di ogni anno il Capitolo generale si riuniva per l’ approvazione dei conti, per accettare dimissioni e procedere col G.M. alla nomina dei nuovi dignitari.

Qual era la spiritualità dell ‘Ordine Teutonico?

“I Cavalieri Teutonici si distinsero per una loro quasi morbosa tensione al sacrificio, una vocazione incontrollabile a ricercare la morte in combattimento, retaggio di una tradizione pagana che la conversione al cristianesimo non aveva del tutto espurgato dai suoi miti. Tra i quali sopravviveva la propensione a considerare il Paradiso stesso come qualcosa di simile al Walalla di Odino, un asilo di guerrieri e di eroi, al quale la gente comune non poteva aver accesso. Ne derideva la convinzione che la beatitudine celeste fosse qualcosa di assolutamente incompatibile con lo spirito di pace, esasperando la diffusa mistica della morte violenta, inflitta o subita ” (Cuomo).

Un esempio della ferocia in battaglia dei Cavalieri Teutonici ci viene data da una cronaca dei monaci di Oliwa in Pomerania, quando fu catturato un nobile pruteno, Pipino, al quale “gli vennero estratte le budella, che furono inchiodate ad un albero, ed egli fu costretto a correre finché non cadde morto”.

  La fortuna dell’ Ordine fu costituita da due alte figure del medioevo, l’imperatore Federico II e il Gran Maestro dell’Ordine Ermanno di Salza (Hermann von Salza), le cui vicende storiche ed umane procedono intrecciate per trent’ anni.

Federico influenzò l’ Ordine, come l’ Ordine influenzò Federico. Ad esempio, Federico trasmise ai cavalieri le sue conoscenze magiche ed esoteriche. Tali influssi culturali vennero poi esportati dai cavalieri nello stato prussiano. D’ altra parte si è riscontrato nei castelli federiciani il modello di quelli dell ‘ Ordine Teutonico in Prussia, che hanno tutti lo stesso impianto e lo stesso stile, servendo agli scopi stessi del

mezzogiorno d’Italia. Tanto ai castelli prussiani quanto a quelli italiani mancava l’elemento pittorico sacrificato ad una monumentalità severa di una struttura rigidamente disegnata, mirante alla semplicità geometrica.

Ermanno di Salza apparteneva ad una famiglia di “ministeriales” privilegiata dal Papa e dall ‘Imperatore. Fu il regista del matrimonio, celebrato a Brindisi, con una folta rappresentanza teutonica nel novembre 1225, tra Federico e Jolanda, figlia di Giovanni di Brenne, che fruttando all’Imperatore la corona di re di Gerusalemme, maturò altri privilegi per l’Ordine. Nel 1224 era alla corte Papale dove veniva colmato di onori. Rese ancora servigi a Federico nella mediazione con re Valdemaro di Danimarca, in tal circostanza intuì la possibilità di uno Stato Teutonico in Europa e legò la sua realizzazione alla abilità diplomatica tra il Papa e Federico. Infatti iniziò a realizzare il suo disegno ambizioso riuscendo ad ottenere nel 1220 il privilegio dell ‘ indipendenza dell ‘ Ordine dal potere temporale, nel contempo insediò I ‘ Ordine in Transilvania fondando città ed inserendo coloni tedeschi. Godendo di esenzione tributaria riuscì a far approvare dal Papa il progetto di porre sotto tutela della Curia romana i teutonici occupati. Quindi divenne padrone del Baltico ed occupò la Prussia, ove l’Ordine svolse esclusivamente funzioni amministrative. Eppur Ermanno di Salza non fu il primo Gran Maestro, carica ricoperta da Enrico Walpot di Basenheim, cui si deve l’insegna dell ‘ Ordine della croce nera su manto bianco, bensì il quarto, venendo unanimemente considerato il vero fondatore dell’ Ordine. Morì a Salerno nel 1239 e venne sepolto nella Chiesa dell’ Ordine a Barletta.

Dopo la sua gestione, il livello morale dell ‘ Ordine degradò rapidamente. Una dispensa concessa da Papa Alessandro IV al G.M. Pappo di Osterna consentiva all ‘ Ordine di ricevere nuovi membri, esonerandoli dal noviziato di sei mesi imposto dalla regola, del resto non molto esigente; concesse ai sacerdoti dell’ Ordine la facoltà di assolvere gli autori di incendi e saccheggi, che dopo l’ingresso nell’Ordine per liberarsi dalle loro responsabilità, fossero tornati alle loro case ed avessero ripreso il loro antico modo di vivere lasciando all ‘ Ordine il frutto delle loro rapine.

Lo Stato Teutonico finì nel 1561, ma l’Ordine ha perpetuato la sua esistenza sino ad oggi. Il G. M. risiede ancor oggi a Vienna ed oltre alle attività religiose l’ Ordine coordina una missione culturale e si dedica allo studio del proprio passato. Comunque, l’Ordine cessò di avere un ruolo nella storia europea nel XVI secolo quando non ci fu più spazio per una istituzione fondata sull ‘ideologia cavalleresca.

Gli Insediamenti in Puglia

La presenza dei Cavalieri Teutonici in Puglia è attestata ancor prima della Costituzione dell’ Ordine. Infatti, nel 1197 vi è traccia di tali presenze nell’Ospedale di San Tommaso presso Barletta. Lì si costituì la casa principale, tanto che vi furono trasferite ed inviate le spoglie del Gran Maestro Ermanno di Salza.

Quando l’Ordine incorporò l’abbazia agostiniana Sita su una collina presso Siponto, l’odierna Manfredonia, il centro degli interessi si spostò a nord di Barletta. Il periodo di fondazione risalirebbe a cavallo dei secoli XI-XII ad opera dei monaci agostiniani. Verso la fine del 1200 1’abbazia fu ceduta ai Cavalieri Teutonici, che l’ottennero senza difficoltà in quanto a quell’epoca questi avevano adottato la regola agostiniana. Col tempo l’ abbazia si arricchì di beni immobili al punto tale da essere considerata la più ricca d’Italia. La sua decadenza iniziò nella seconda metà del XIV secolo per poi concludersi nel 1809, soppressa da Gioacchino Murat che donò i beni immobili all’Ospedale di Foggia. Con concessione del 1231 di Federico II l’ Ordine ricevette una vasta area in territorio di Corneto, ove nel XV secolo fu edificato un castello, di cui è residuata una Torre, chiamata Alemanna o Torre La Manna. Di questo genere di case torri, edificate a scopo difensivo, esistono altri esempi in Capitanata.

Altra importante presenza teutonica prima della fondazione dell’Ordine è attestata a Brindisi nel 1191-92, essendo questo uno dei porti più affollati per le Crociate, e quindi meta anche di Tedeschi. Da questa intensa presenza derivò l’ esigenza di un Ospedale. Tale edificio non fu fondato dagli Svevi bensì dal loro avversario Tancredi, venendo ben presto incorporato nell’ Ordine. Così nel 1191 il Maestro Guinaldo chiese all’arcivescovo Pietro di sistemarsi accanto alla Chiesa di S. Maria sul porto. Quindi fu costruito l’Ospedale, con l’autorizzazione di Enrico VI, amico dell’Ordine, e fu titolata ‘la Chiesa a S. Maria dei Teutonici ‘ .

Federico II fece dono di rendite e beni immobili in riconoscenza delle spese ingenti sopportate da            

Cavalieri per la cura degli infermi e feriti della Crociata. L’ Imperatore donò anche la città di Mesagne, che non accettò tale imposizione ed aprì un’ aspra polemica con i Cavalieri Teutonici. Successivamente Federico rioccupò Mesagne sottraendola ai teutonici, provocando per motivi non chiari un raffreddamento dei rapporti con l’Ordine.

Secondo alcuni autori la nobiltà brindisina, molto vicina ai Cavalieri Templari che a Brindisi avevano la Percettoria, temevano che i teutonici diventassero talmente potenti da oscurare l’ influenza Templare. Altri insediamenti teutonici furono localizzati ad Oria, Ostuni, S. Maria al Bagno nei pressi di Porto Cesareo, Nardò.

In quest’ ultima località l’ Ordine venne in contrasto con l’ arcivescovo di Otranto Stefano Pendarelli (martire dei Turchi ad Otranto nel 1480) che mal sopportava i privilegi dell’Ordine.

Altri possedimenti furono individuati ad Alessano, Galatone ed in agro di Ginosa, ove esisteva l’ abbazia di S. Maria, ricevuta dagli agostiniani.

E’ controversa la presenza di una casa teutonica a Bari. A giudicare dai documenti conservati nell’ Archivio Centrale dell’Ordine a Vienna, parrebbe di sì. Secondo un autore esisteva già dal 1209 una casa con Ospedale dell’ Ordine ed una chiesa dedicata a S. Maria degli Alemanni. Comunque, la presenza teutonica a Bari non è mai stata rilevante, come null’ altro si sa della casa di Monopoli Sita nel quartiere S. Damiano presso la porta detta di Simino.

Quale importanza rivestiva La Balia (provincia) di Puglia per l’ Ordine? A parte i fini istituzionali quali la cura dei confratelli, delle sue chiese ed ospedali, ebbe funzione di approvvigionamento per la Terra Santa. Non si può affermare con certezza se ed in quale misura il baliatico pugliese contribuisse alla gestione centrale dell’ Ordine. Riguardo la consistenza numerica del periodo della prima decadenza dell’Ordine, si ricava che vi erano 5 fratelli a Barletta, 3 a Corneto, 4 a S. Leonardo di Siponto, uno a Bari, uno a Foggia, uno a Nardò, due a Brindisi. Il baliatico di Puglia durò circa trecentocinquantanni ed ebbe fine repentina. Dopo la morte di Stefan Grube, luogotenente del Procuratore Generale Dietrich von Cuba, il 20 dicembre 1483, il baliatico non fu più restituito all ‘Ordine, Sisto IV lo affidò nel 1484 al Cardinale di Parma, Giovan Giacomo Sclafenato.

E’ stata accertata, invece, l’importanza sia economico-commerciale sia militare dell’ Ordine in Puglia, tant’è che nel Duecento questa regione assunse un ruolo di primo piano nell’ Impero, e la Balia pugliese assunse lo strategico ruolo di ponte per tutto l’ Oriente. •

Bibliografia consultata:

  • FRANCO CUOMO, Gli Ordini Cavallereschi, Newton Compton 1992;
  • ERNST KANTOROWICZ, Federico 11 imperatore, Garzanti 1988;
  • T. MASSON, Federico 11, Rusconi 1993;
  • KAROL GORSKI, L’ordine Teutonico, Einaudi 1971;
  • HENRYK SAMSONOWICZ, 1 Cavalieri Teutonici, Giunti, Storia-Dossier n. 3-1987;
  • EUGENIO TRAVAGLINI: Federico 11 e 1a casa dell’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici in Gerusalemme, Atti delle giornate Federiciane, Società di Storia patria per la Puglia, Manduria 1971 p. 181-201;
  • KURT FORSTREUTER, Per 1a storia del baliatico dell’ordine Teutonico in Puglia, in studi di Storia Pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli p. 591-598 vol. II 1973, Congedo, Galatina;  PRIMALDO COCO, 1 Cavalieri Teutonici nel Salento, Taranto 1925;
  • P. KLEMENS WIESER, Gli inizi dell’ordine Teutonico in Puglia, in Archivio Storico Pugliese, anno XXVI, Fasc. 111-1V anno 1973 p. 475-487.

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L’ORDINE DEI CAVALIERI TEUTONICI IN PUGLIA

 di

Francesco Guida

Uno dei riferimenti tradizionali della Massoneria, in particolare quella di Rito Scozzese Antico e Accettato, sono gli Ordini Cavallereschi. In questo ambito si suole trattare, esclusivamente, dell’ Ordine dei Cavalieri del Tempio, per via del loro esoterismo.

Ma il complesso panorama cavalleresco non si esaurisce con i Templari, abbracciando nei secoli XII-XIII anche altri due Ordini di altrettanto grande importanza nella storia europea: i Cavalieri Ospedalieri o Giovanniti ed i Cavalieri Teutonici.

Questi ultimi, poi, si sa che sono esistiti ma per quanto si sia scritto, non si conosce gran che se non che combatterono in Terra Santa e furono i fondatori dell’embrionale Stato prussiano. Ancor meno si sa che l’ Ordine Teutonico visse in Puglia una rigogliosa stagione nella prima metà del XIII.

I Cavalieri Teutonici differivano da tutti gli altri Ordini Cavallereschi per la loro sensibilità alle identità del gruppo d’ origine, al radicamento dell’ idea nazionale, contro la dimensione universale degli altri Ordini Cavallereschi. Templari e Giovanniti accoglievano solo uomini e di diverse nazionalità, i Teutonici uomini e donne di puro ceppo germanico. Le donne, infatti, escluse da altri Ordini, erano presenti ed attive, quali benefattrici, nei ranghi teutonici, per l’assistenza a feriti e malati in Germania. Il G. M. Ermanno di Salza Varie sono le ipotesi sulla nascita dell ‘ Ordine.

Per qualche autore l’esigenza di costituire l’Ordine è sorto dalle difficoltà incontrate dai cavalieri tedeschi nell’ entrare negli ordini Templari e Ospedalieri, formati in numero predominante da francesi ed italiani. Per altri autori l’ Ordine sorse nel 1127-1128 durante la Prima Crociata, quando un tedesco iniziò a curare a casa propria i connazionali, casa che poi trasformò in Ospedale, sito accanto ad una cappella dedicata a Maria Vergine. Per qualche altro autore il fondatore fu Federico Barbarossa. Per altri ancora l’ Ordine nacque nel 1189 durante l’ assedio di S. Giovanni d’ Acri, l’ antica Tolemaide da alcuni tedeschi di Brema e Lubecca, dedicati alla cura dei connazionali. Per qualche altro, infine, l’Ordine fu fondato da Federico di Svevia, figlio del Barbarossa.

Si è appurato, comunque, con certezza documentale che ai tempi del Barbarossa, intorno al 1214, esisteva in Gerusalemme l’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici. Tanto, infatti, si ricava dai privilegi riconosciuti e confermati da Federico II. Alcuni di questi privilegi furono emanati a Catania nel 1214, a Taranto e Catania nel 1221, a Barletta nel 1229, a Foggia nel 1230.

Come ogni Ordine monastico-cavalleresco quello dei Cavalieri Teutonici doveva far riferimento ad una Regola. Secondo un autore (Sanson) inizialmente i Cavalieri Teutonici adottarono la Regola dei Templari, scritta da Bernardo di Chiaravalle, ma successivamente essa fu abbandonata per seguire quella dei canonici dello Spirito Santo, che si occupavano di Ospedale, ed ancora più tardi in Prussia adottarono la Regola dei domenicani della provincia polacca.

Secondo altro autore inizialmente adottarono la Regola degli Ospitalieri di S. Giovanni, che in seguito abbandonarono per seguire quella dei Templari, cui apportarono alcune modifiche. Secondo altro autore adottarono la Regola di S. Agostino come ordine monastico, e quella degli Ospitalieri e Templari come ordine cavalleresco.

Tali ipotesi, ognuna parziale in termini temporali, si integrano senza difficoltà, a partire da quelle  del Coco, privilegiato rispetto agli altri come formazione e fonti (frate dell’ Ordine dei Minimi), in quanto i periodi temporali risultano diversi.

Come organizzazione I ‘ Ordine era composto in tre classi, a parte vi erano i monaci onorari, che erano i benefattori, i cavalieri, i preti ed i serventi, in maggior parte di bassa estrazione sociale. I cavalieri, classe dominante, col tempo furono privilegiati nelle attività pratiche rispetto alle contemplative, dispensati da vari obblighi religiosi per dedicarsi alla guerra ed alla amministrazione. I primi Cavalieri Teutonici erano spesso ignoranti, con l’obbligo di recitare a memoria il Pater Noster entro un anno a pena di espulsione. Il Gran Maestro, eletto a vita, era il capo sia dell’Ordine che della Comunità della sede principale, ma non aveva potere assoluto.

La decisione era assemblea della comunità del suo castello per fatti di amministrazione locale, e del Capitolo generale per fatti dell’ Ordine. Non era quello I ‘ unico sistema di controllo. Per il tesoro, urgeva la Gran Maestro e cavaliere dell’Ordine teutonico di S. Maria di Gerusalemme segretezza per il suo ammontare, ma per il sigillo, contenuto in un forziere, a tre serrature era prevista la presenza dei tre possessori delle chiavi per aprirlo, il Gran Maestro, il Commendatore, il Tesoriere. Nel mese di settembre di ogni anno il Capitolo generale si riuniva per l’ approvazione dei conti, per accettare dimissioni e procedere col G.M. alla nomina dei nuovi dignitari.

Qual era la spiritualità dell ‘Ordine Teutonico?

“I Cavalieri Teutonici si distinsero per una loro quasi morbosa tensione al sacrificio, una vocazione incontrollabile a ricercare la morte in combattimento, retaggio di una tradizione pagana che la conversione al cristianesimo non aveva del tutto espurgato dai suoi miti. Tra i quali sopravviveva la propensione a considerare il Paradiso stesso come qualcosa di simile al Walalla di Odino, un asilo di guerrieri e di eroi, al quale la gente comune non poteva aver accesso. Ne derideva la convinzione che la beatitudine celeste fosse qualcosa di assolutamente incompatibile con lo spirito di pace, esasperando la diffusa mistica della morte violenta, inflitta o subita ” (Cuomo).

Un esempio della ferocia in battaglia dei Cavalieri Teutonici ci viene data da una cronaca dei monaci di Oliwa in Pomerania, quando fu catturato un nobile pruteno, Pipino, al quale “gli vennero estratte le budella, che furono inchiodate ad un albero, ed egli fu costretto a correre finché non cadde morto”.

  La fortuna dell’ Ordine fu costituita da due alte figure del medioevo, l’imperatore Federico II e il Gran Maestro dell’Ordine Ermanno di Salza (Hermann von Salza), le cui vicende storiche ed umane procedono intrecciate per trent’ anni.

Federico influenzò l’ Ordine, come l’ Ordine influenzò Federico. Ad esempio, Federico trasmise ai cavalieri le sue conoscenze magiche ed esoteriche. Tali influssi culturali vennero poi esportati dai cavalieri nello stato prussiano. D’ altra parte si è riscontrato nei castelli federiciani il modello di quelli dell ‘ Ordine Teutonico in Prussia, che hanno tutti lo stesso impianto e lo stesso stile, servendo agli scopi stessi del

mezzogiorno d’Italia. Tanto ai castelli prussiani quanto a quelli italiani mancava l’elemento pittorico sacrificato ad una monumentalità severa di una struttura rigidamente disegnata, mirante alla semplicità geometrica.

Ermanno di Salza apparteneva ad una famiglia di “ministeriales” privilegiata dal Papa e dall ‘Imperatore. Fu il regista del matrimonio, celebrato a Brindisi, con una folta rappresentanza teutonica nel novembre 1225, tra Federico e Jolanda, figlia di Giovanni di Brenne, che fruttando all’Imperatore la corona di re di Gerusalemme, maturò altri privilegi per l’Ordine. Nel 1224 era alla corte Papale dove veniva colmato di onori. Rese ancora servigi a Federico nella mediazione con re Valdemaro di Danimarca, in tal circostanza intuì la possibilità di uno Stato Teutonico in Europa e legò la sua realizzazione alla abilità diplomatica tra il Papa e Federico. Infatti iniziò a realizzare il suo disegno ambizioso riuscendo ad ottenere nel 1220 il privilegio dell ‘ indipendenza dell ‘ Ordine dal potere temporale, nel contempo insediò I ‘ Ordine in Transilvania fondando città ed inserendo coloni tedeschi. Godendo di esenzione tributaria riuscì a far approvare dal Papa il progetto di porre sotto tutela della Curia romana i teutonici occupati. Quindi divenne padrone del Baltico ed occupò la Prussia, ove l’Ordine svolse esclusivamente funzioni amministrative. Eppur Ermanno di Salza non fu il primo Gran Maestro, carica ricoperta da Enrico Walpot di Basenheim, cui si deve l’insegna dell ‘ Ordine della croce nera su manto bianco, bensì il quarto, venendo unanimemente considerato il vero fondatore dell’ Ordine. Morì a Salerno nel 1239 e venne sepolto nella Chiesa dell’ Ordine a Barletta.

Dopo la sua gestione, il livello morale dell ‘ Ordine degradò rapidamente. Una dispensa concessa da Papa Alessandro IV al G.M. Pappo di Osterna consentiva all ‘ Ordine di ricevere nuovi membri, esonerandoli dal noviziato di sei mesi imposto dalla regola, del resto non molto esigente; concesse ai sacerdoti dell’ Ordine la facoltà di assolvere gli autori di incendi e saccheggi, che dopo l’ingresso nell’Ordine per liberarsi dalle loro responsabilità, fossero tornati alle loro case ed avessero ripreso il loro antico modo di vivere lasciando all ‘ Ordine il frutto delle loro rapine.

Lo Stato Teutonico finì nel 1561, ma l’Ordine ha perpetuato la sua esistenza sino ad oggi. Il G. M. risiede ancor oggi a Vienna ed oltre alle attività religiose l’ Ordine coordina una missione culturale e si dedica allo studio del proprio passato. Comunque, l’Ordine cessò di avere un ruolo nella storia europea nel XVI secolo quando non ci fu più spazio per una istituzione fondata sull ‘ideologia cavalleresca.

Gli Insediamenti in Puglia

La presenza dei Cavalieri Teutonici in Puglia è attestata ancor prima della Costituzione dell’ Ordine. Infatti, nel 1197 vi è traccia di tali presenze nell’Ospedale di San Tommaso presso Barletta. Lì si costituì la casa principale, tanto che vi furono trasferite ed inviate le spoglie del Gran Maestro Ermanno di Salza.

Quando l’Ordine incorporò l’abbazia agostiniana Sita su una collina presso Siponto, l’odierna Manfredonia, il centro degli interessi si spostò a nord di Barletta. Il periodo di fondazione risalirebbe a cavallo dei secoli XI-XII ad opera dei monaci agostiniani. Verso la fine del 1200 1’abbazia fu ceduta ai Cavalieri Teutonici, che l’ottennero senza difficoltà in quanto a quell’epoca questi avevano adottato la regola agostiniana. Col tempo l’ abbazia si arricchì di beni immobili al punto tale da essere considerata la più ricca d’Italia. La sua decadenza iniziò nella seconda metà del XIV secolo per poi concludersi nel 1809, soppressa da Gioacchino Murat che donò i beni immobili all’Ospedale di Foggia. Con concessione del 1231 di Federico II l’ Ordine ricevette una vasta area in territorio di Corneto, ove nel XV secolo fu edificato un castello, di cui è residuata una Torre, chiamata Alemanna o Torre La Manna. Di questo genere di case torri, edificate a scopo difensivo, esistono altri esempi in Capitanata.

Altra importante presenza teutonica prima della fondazione dell’Ordine è attestata a Brindisi nel 1191-92, essendo questo uno dei porti più affollati per le Crociate, e quindi meta anche di Tedeschi. Da questa intensa presenza derivò l’ esigenza di un Ospedale. Tale edificio non fu fondato dagli Svevi bensì dal loro avversario Tancredi, venendo ben presto incorporato nell’ Ordine. Così nel 1191 il Maestro Guinaldo chiese all’arcivescovo Pietro di sistemarsi accanto alla Chiesa di S. Maria sul porto. Quindi fu costruito l’Ospedale, con l’autorizzazione di Enrico VI, amico dell’Ordine, e fu titolata ‘la Chiesa a S. Maria dei Teutonici ‘ .

Federico II fece dono di rendite e beni immobili in riconoscenza delle spese ingenti sopportate da            

Cavalieri per la cura degli infermi e feriti della Crociata. L’ Imperatore donò anche la città di Mesagne, che non accettò tale imposizione ed aprì un’ aspra polemica con i Cavalieri Teutonici. Successivamente Federico rioccupò Mesagne sottraendola ai teutonici, provocando per motivi non chiari un raffreddamento dei rapporti con l’Ordine.

Secondo alcuni autori la nobiltà brindisina, molto vicina ai Cavalieri Templari che a Brindisi avevano la Percettoria, temevano che i teutonici diventassero talmente potenti da oscurare l’ influenza Templare. Altri insediamenti teutonici furono localizzati ad Oria, Ostuni, S. Maria al Bagno nei pressi di Porto Cesareo, Nardò.

In quest’ ultima località l’ Ordine venne in contrasto con l’ arcivescovo di Otranto Stefano Pendarelli (martire dei Turchi ad Otranto nel 1480) che mal sopportava i privilegi dell’Ordine.

Altri possedimenti furono individuati ad Alessano, Galatone ed in agro di Ginosa, ove esisteva l’ abbazia di S. Maria, ricevuta dagli agostiniani.

E’ controversa la presenza di una casa teutonica a Bari. A giudicare dai documenti conservati nell’ Archivio Centrale dell’Ordine a Vienna, parrebbe di sì. Secondo un autore esisteva già dal 1209 una casa con Ospedale dell’ Ordine ed una chiesa dedicata a S. Maria degli Alemanni. Comunque, la presenza teutonica a Bari non è mai stata rilevante, come null’ altro si sa della casa di Monopoli Sita nel quartiere S. Damiano presso la porta detta di Simino.

Quale importanza rivestiva La Balia (provincia) di Puglia per l’ Ordine? A parte i fini istituzionali quali la cura dei confratelli, delle sue chiese ed ospedali, ebbe funzione di approvvigionamento per la Terra Santa. Non si può affermare con certezza se ed in quale misura il baliatico pugliese contribuisse alla gestione centrale dell’ Ordine. Riguardo la consistenza numerica del periodo della prima decadenza dell’Ordine, si ricava che vi erano 5 fratelli a Barletta, 3 a Corneto, 4 a S. Leonardo di Siponto, uno a Bari, uno a Foggia, uno a Nardò, due a Brindisi. Il baliatico di Puglia durò circa trecentocinquantanni ed ebbe fine repentina. Dopo la morte di Stefan Grube, luogotenente del Procuratore Generale Dietrich von Cuba, il 20 dicembre 1483, il baliatico non fu più restituito all ‘Ordine, Sisto IV lo affidò nel 1484 al Cardinale di Parma, Giovan Giacomo Sclafenato.

E’ stata accertata, invece, l’importanza sia economico-commerciale sia militare dell’ Ordine in Puglia, tant’è che nel Duecento questa regione assunse un ruolo di primo piano nell’ Impero, e la Balia pugliese assunse lo strategico ruolo di ponte per tutto l’ Oriente. •

Bibliografia consultata:

  • FRANCO CUOMO, Gli Ordini Cavallereschi, Newton Compton 1992;
  • ERNST KANTOROWICZ, Federico 11 imperatore, Garzanti 1988;
  • T. MASSON, Federico 11, Rusconi 1993;
  • KAROL GORSKI, L’ordine Teutonico, Einaudi 1971;
  • HENRYK SAMSONOWICZ, 1 Cavalieri Teutonici, Giunti, Storia-Dossier n. 3-1987;
  • EUGENIO TRAVAGLINI: Federico 11 e 1a casa dell’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici in Gerusalemme, Atti delle giornate Federiciane, Società di Storia patria per la Puglia, Manduria 1971 p. 181-201;
  • KURT FORSTREUTER, Per 1a storia del baliatico dell’ordine Teutonico in Puglia, in studi di Storia Pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli p. 591-598 vol. II 1973, Congedo, Galatina;  PRIMALDO COCO, 1 Cavalieri Teutonici nel Salento, Taranto 1925;
  • P. KLEMENS WIESER, Gli inizi dell’ordine Teutonico in Puglia, in Archivio Storico Pugliese, anno XXVI, Fasc. 111-1V anno 1973 p. 475-487.

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INCONTRO CON VITTORIO GNOCCHINI :DIRETTORE DELL’ARCHIVIO STRIDCO

 

INCONTRO CON VITTORIO GNOCCHINI NEO DIRETTORE DELL’ARCHIVIO STORICO DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA

Note biografiche

Vittorio Gnocchini è nato a Terni il 28 luglio 1942; sposato con tre figli, risiede da 25 anni in provincia di Arezzo. Dirigente di aziende industriali, attualmente è uno degli amministratori e direttore di una società commerciale.

Da circa trent’anni studia il Risorgimento del nostro Paese. Passando attraverso la storia militare e delle armi dell’ottocento italiano, Garibaldi e le formazioni garibaldine, su cui ha scritto dei brevi saggi, si è avvicinato, dopo la sua Iniziazione Massonica, fatalmente allo studio della storia della Massoneria.

Iniziato Libero Muratore il 5 maggio 1969, nel 1971 risolleva le Colonne della Massoneria Ternana, fondando la Loggia Tacito no 740, all’Oriente di Terni.

Nel 1994 da alle stampe “Almanacco Massonico – Fatti di cronaca italiana – 1725/1994” con la presentazione del Ven.•.mo Gran Maestro, avv. Virgilio Gaito, nei tipi dell’Editore Pontecorboli di Firenze. Ha scritto, in collaborazione con il prof. Telesforo Nanni, la storia della Massoneria a Terni. A breve è prevista la pubblicazione della prima delle tre parti.

Di prossima pubblicazione sarà “11 Grande Atlante delle Logge Italiane dal 1731 al 1931 un’opera poderosa alla quale sta lavorando da oltre dieci anni.

Collabora alle Riviste “Agorà”, a cura del Collegio Circoscrizionale dei MM.•. VV.’. della Puglia, e “11 Laboratorio” a cura del Collegio Circoscrizionale dei MM.•. VV.•. della Toscana.

Organizza e presenta i convegni di studio di Sansepolcro, che si tengono ogni anno presso la Sala Consiliare del Comune, sotto gli auspici della R.•.L.•. Alberto Mario no 121, alla quale appartiene come membro effettivo.

Ha tenuto conferenze a studenti e docenti di liceo su Risorgimento e Massoneria.

A quale esigenza risponde l’istituzione di un archivio?

Un archivio raccoglie, per definizione, atti e documenti pubblici o privati di un ente amministrativo, un’azienda, un istituto culturale o di singole famiglie. Deve quindi assolvere l’esigenza della consultazione a storici e studiosi.

Puoi descriverci la consistenza attuale dell’Archivio?

L’Archivio Storico del Grande Oriente d’Italia ospita i documenti ufficiali dai primi anni del 1800 al 1925, ovvero dalla massoneria napoleonica all ‘autoscioglimento delle Logge del Gran Maestro Domizio Torrigiani. Custodisce inoltre una serie di fondi che, oltre ad aver aumentato quantitativamente la portata dell’Archivio, in parte riescono a sopperire i vuoti causati dalle vicissitudini nel tempo subite nel nostro

Paese dal Grande Oriente d’Italia. Tali fondi provengono da donazioni e acquisizione effettuate dal G. • in tempi diversi. A tutto ciò si aggiunga una consistente raccolta di giornali dal 1864 al 1925.

Ho ritenuto opportuno far richiesta al Ven. •.mo Gran Maestro di spostare il termine ultimo di competenza dell’Archivio dal 1925 al 1960, in quanto nel periodo del dopoguerra, che va dal 1944 al 1960, la Massoneria Italiana ritrova una sua pressoché definitiva stabilità. Inoltre , in tal modo, sarà possibile inserire nell’Archivio anche il Fondo Piazza del Gesù, che contiene documenti dal 1944 al 1973, anno in cui venne firmato il Protocollo di Riunificazione Salvini – Bellantonio.

Hai seguito un tuo programma di riorganizzazione o hai continuato a seguire le precedenti impostazioni?

Era stato iniziato dai miei Predecessori un primo riordino dei documenti e in parte l’inventario. Se avessi dovuto iniziare “ex novo”, probabilmente avrei dato un’impostazione diversa. Allo stato attuale sarebbe stato ingiusto e fuori luogo vanificare gli sforzi e l’impegno profuso da .chi, prima di me, si è occupato dell’Archivio. Pur continuando, in linea di massima, su quella falsariga, ho voluto però sfruttare i mezzi che la tecnologia oggi ci mette a disposizione: abbiamo approntato infatti un programma di database per la registrazione computerizzata di tutti i documenti, al fine di reperire con immediatezza I ‘ubicazione di tutte le “carte” relative ad ogni ricerca. Inoltre stiamo valutando l’opportunità di affidare ad istituti specializzati il restauro di molti documenti, prima ancora di essere catalogati e ubicati, per salvarli dall’incuria del tempo e degli uomini.

E’ possibile un raccordo sinergico con gli archivi di altre Famiglie massoniche italiane e di altre Potenze Estere per scambi documentali, o più in generale, per scambi culturali?

Innanzi tutto dobbiamo renderci conto che quello del Grande Oriente d’Italia è I ‘Archivio Storico della Massoneria Italiana. In esso troviamo testimonianze, più o meno rilevanti, anche di altre Obbedienze che in due secoli si sono affacciate sul territorio nazionale. Tuttavia, ciò non significa che dobbiamo chiuderci in una torre d’avorio. Al contrario, ritengo importante tenere contatti sempre più stretti con altre Famiglie massoniche. Personalmente da anni, ormai, ho rapporti con eminenti studiosi della Serenissima Gran Loggia, meglio conosciuta come Piazza del Gesù, con i quali esiste un serio e sincero rapporto di scambio di informazioni e documentazioni. Spesso siamo citati nella loro bella Rivista “Officinae”. Per quanto riguarda i rapporti con Potenze Massoniche Estere, li ritengo egualmente importanti. Ricordiamoci che molto della nostra storia settecentesca è depositata negli archivi massonici europei: in Francia, Olanda, Belgio, ecc. Dovremmo iniziare, quanto prima, una collaborazione di interscambio con tali Comunioni, tenuto anche conto che già alcuni nostri Fratelli hanno iniziato a prendere contatti con i responsabili degli Archivi di quei Paesi.

Esiste una sensibilità da parte del Governo dell’Ordine per la soluzione dei problemi che potresti incontrare nello svolgimento del tuo lavoro e per il recupero di  carteggj  presso qualche erede di Massoni?

Devo affermare che da parte del Ven. •.mo Gran Maestro e del Suo Delegato per la Cultura il Ven. •.mo Gran Maestro Aggiunto, Fr.•. Mario Rigato, ho trovato la massima disponibilità e collaborazione nel risolvere i problemi più urgenti e far si che I ‘Archivio non diventi un ammasso di carte, ma uno strumento vivo e vitale, utile a studiosi e ricercatori di due secoli di storia italiana, perché di questo si tratta; la storia della Massoneria corre sulla stessa strada della storia d’Italia e di essa è parte integrante e imprescindibile.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, posso affermare che sono stati presi già contatti con gli eredi e attuali proprietari perché vengano acquisiti Archivi privati e carteggi di Massoni illustri purtroppo passati all’Oriente Eterno. Pur non potendo ancora rendere noti i nomi, per ovvii motivi di opportunità e riservatezza, ritengo che a breve possa essere data per certa la conclusione in modo positivo.

Quanto e come I ‘Archivio Storico può essere un mezzo per far conoscere nel mondo profano la nostra Istituzione?

Purtroppo una irresponsabile informazione dei mass-media ha determinato nell ‘ opinione pubblica considerazioni che poco hanno a che fare con la nostra Istituzione. Ritengo che la Massoneria possa e debba uscire allo scoperto con programmi sempre più intensi, rivolti a manifestazioni culturali e I ‘Archivio Storico, anche in tal senso, può essere un valido aiuto. Da tempo registriamo che non solo il Grande Oriente d’Italia, ma anche Collegi Circoscrizionali dei Maestri Venerabili, e singole Logge, organizzano sempre con maggior frequenza e incisività, convegni di studio di eccellente livello culturale, i cui i relatori, massoni e profani, si rivolgono a platee sempre più vaste, allo scopo di far cadere una volta per tutte preconcetti e preclusioni di ordine ideologico, politico e religioso sulla nostra Istituzione.

La tua opinione sulla storiografia massonica attuale. E’ più affidabile, sotto il profilo dell’obiettività e della completezza una ricerca di uno storico-profano ovvero di un massone appassionato di storia delle radici della propria identità?

E’ un falso problema. Cominciamo col dare una definizione, la mia definizione: lo storico ha la funzione di riferirci, documentandoli, i fatti supportato dalla propria “scienza e coscienza”, ma descrive uno scenario dal suo punto di vista, frutto di considerazioni personali che non sempre possono collimare con altri, ugualmente coscienziosi. Su questa base l’affidabilità è sicuramente totale, sia che venga data un’aggettivazione che l’altra al sostantivo “storico”. Altra cosa è invece parlare di conoscenza della Massoneria, nella sua essenza, nei suoi canoni mai scritti ma osservati e tramandati fino a noi; allora per comprenderla è necessario farne parte e apprendere con un lungo lavoro di ricerca introspettiva quei “segreti” che nessuno mai ha potuto rivelare, anche volendolo. • effegi

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TRA EVOLUZIONE E FEDE

TRA EVOLUZIONE E FEDE

di

Baldo Conti

Introduzione

Nel vasto panorama dei mass-media ed in particolare delle pubblicazioni a carattere sociale, politico e filosofico, ma anche di costume, confessionale e di vario genere, viene purtroppo ancora affrontato e dibattuto ciò che possiamo definire un falso problema che riguarda la “ingenua” (ma forse non proprio) commistione che spesso viene fatta tra evoluzione e fede (anche in senso lato), e di conseguenza tra scienza e religione, ricerca scientifica e “morale”, tra realtà e concetti astratti ed ipotesi. Il problema — ammesso poi che tutto questo sia un vero e proprio problema da risolvere è piuttosto vecchio, anzi molto vecchio direi, discusso e “rifritto” più volte, ma forse non mai abbastanza visto che si ritorna spesso a parlarne ed è bene quindi, se possibile, chiarire ancora una volta i termini (e non sarà poi nemmeno l’ultima). Difficile comunque riuscire a districarsi qui• — in questo contesto ed in questo nostro ambito— perché l’analisi dovrà essere abbastanza superficiale e forzatamente sintetica.

Tutti i Fratelli interessati potranno però trovare ovunque letture più ampie, dettagliate ed adeguate. Se si riterrà di “condividere” la cosiddetta teoria evoluzionistica e saremo quindi più orientati in senso scientifico, sarà opportuno rivolgersi, per confronto e riprova, verso tutte quelle pubblicazioni che trattano questioni di teologia e di “fede” in genere, mentre se il nostro orientamento sarà più definibile come religioso o confessionale (da tutti i punti di vista), la nostra attenzione dovrà essere rivolta allora a tutti quei libri che trattano la scienza, la tecnica e, se abbiamo anche tanta buona volontà ed interesse, pure la filosofia della scienza. Questi due modi di vedere (punto di vista “evoluzionistico” e punto di vista “fideistico”) sembrano apparentemente — e secondo l’opinione di molti autorevoli “studiosi — in opposizione, ma non è così, anzi non hanno proprio alcuna relazione l’un con l’ altro.


L’ambito religioso

Non è certo il caso di scomodare qui la figura di Niccolò Copernico, di Isaac Newton, ma più che altro quella di Galileo Galilei, o di altri grandi scienziati del passato — Charles Darwin o Albert Einstein compresi — ma certo chi conosce un po’ la storia dell’ uomo sa da quanti secoli i “cultori” dell’ immobilismo, dei dogmi e della tradizione (mi riferisco alla tradizione, quella ad oltranza e non compresa nella sua essenza) si appellano alla religione, ed impropriamente a Dio (ma anche ad altri concetti), per impedire lo sviluppo del pensiero umano, della cultura in genere e dell’evoluzione. Se questi cultori avessero avuto sempre e comunque partita vinta oggi noi vivremmo ancora sulle palafitte nelle paludi in mezzo alla malaria, o nelle caverne o sugli alberi delle grandi praterie. Tutti coloro che fanno riferimento alla Bibbia, alla Genesi ed in genere ad un testo sacro di una delle tante nostre religioni o pseudo-filosofie anche correnti, per trattare in un qualsiasi contesto di scienza e di evoluzione, o è in malafede o non ha capito proprio nulla né delle “Sacre Scritture” né tanto meno di cosa sia la ricerca scientifica e la scienza in genere, compreso tutto il loro complesso sistema di indagine e di studio.

Non sono certo un teologo, né dilettante né tanto meno di professione (sono probabilmente molto più vicino al mondo scientifico che a quello religioso), ma ho appreso dai libri e dalle parole dei miei pastori (per chi non lo sapesse io non sono cattolico, ma divenni a suo tempo protestante, anche perché questo “tipo di fede” è secondo me eticamente molto più “massonico” dell’ altro) che i Libri Sacri sono stati scritti in epoche molto remote, certo sotto l’ispirazione divina, ma compilati e scritti materialmente da uomini, con usi e costumi certamente differenti da quelli nostri attuali. Questi Libri ebbero — ma lo hanno pure oggi — una funzione religiosa e divina, ma direi principalmente sociale e politica, e nel tempo e nei secoli furono selezionati, forse manomessi ed anche modificati, da altri uomini, che ne ritennero poi “buoni” alcuni e “meno buoni altri”.

I cosiddetti buoni formano oggi il Vecchio ed il Nuovo Testamento, la nostra  Bibbia, la fonte di ispirazione spirituale per ogni cristiano, una nostra guida morale, la trascrizione della parola di Dio, anche se la differenza di origine, di compilazione appunto e di data hanno provocato qualche incertezza e molte incoerenze e vere e proprie contraddizioni all’interno della Bibbia stessa. Tra l’altro queste incongruenze nei nostri testi sacri — non recepite in modo corretto — hanno appunto mandato in crisi, specialmente in passato, ma anche oggi, santi, teologi, filosofi, studiosi e semplici credenti sconcertati e forse anche delusi da alcuni discutibili atteggiamenti del nostro Dio.

L’ambito scientifico

La ricerca scientifica, alla quale si attribuiscono spesso e molto gratuitamente efferatezze, disastri, immoralità ed atrocità di ogni genere (tipo bomba atomica; esperimenti su animali ed anche sull ‘uomo, dannosi ed inutili cosiddetti di “vivisezione” o di “bioetica”; inquinamenti di vario tipo, e così via) è proprio tutt’ altra cosa. Tra l’ altro voler avvicinare la parola di Dio alla ricerca scientifica potrebbe anche rasentare — secondo alcuni credenti — un ‘ operazione piuttosto blasfema. La scienza si occupa evidentemente di ben altre cose, non certo di religione o di fede, non è assolutamente il suo campo, semmai delle ragioni per le quali una mela cade a terra da un albero o perché un pendolo ha un certo tipo di oscillazione, tenta di scoprire quali sono le leggi della frasmissione dei caratteri ereditari negli esseri viventi, come sfruttare meglio le risorse umane e naturali senza peraltro distruggere la natura stessa della quale è parte integrante, come alleviare la fatica dell’uomo, e così via.

E questa “occupazione” non è certo un fenomeno ed una posizione solo dell ‘uomo di oggi: è da quando è iniziata la nostra storia che sappiamo che l’umanità si è mossa in quella certa direzione definita “evolutiva”, selezionata poi ed affermatasi nel tempo sicuramente perché vantaggiosa per la specie umana. Basta pensare alla selezione delle razze animali anche se pur fatta un tempo empiricamente, alla ruota, ai piani inclinati, all’aratro, all ‘utilizzazione delle leggi di gravità anche se non ancora definite, e così via. Pure il monaco agostiniano Gregorio Mendel si occupò verso la metà del secolo scorso, in Boemia, dell’ ibridazione di piselli dando origine e gettando le basi di quella che oggi noi definiamo “genetica” (ma lui ancora non lo sapeva) e non credo proprio che gli sia mai passato per la mente di pensare alla Genesi o comunque di mescolare Dio con i legumi.

Spesso fingiamo (o forse siamo distratti) di scandalizzarci per operazioni di “ingegneria genetica” solo quando “fa fino” o “stimolati da altri” o “ci fa comodo”, o viene “toccato” l’uomo in generale o noi stessi da vicino; solo allora ci appelliamo impropriamente a Dio ed alla Genesi o ad un certo tipo di “morale” non meglio identificata e comunque sfuggente. Forse c’è in tutti noi una specie di ipocrisia, latente o palese, ma pur sempre presente. E un po’ come quando fingiamo di scandalizzarci per la corruzione e le cosiddette tangenti, pur sapendo che si tratta di un costume nazionale diffuso a tutti i livelli e quindi “accettato” e sfruttato da tutti; ed è proprio come quando poi al mercato — pur autodefinendoci “ecologici” — preferiamo acquistare le arance senza semi, pretendiamo le mele senza bachi, la carne tenera e saporita ed il pane ed il vino di nostro gradimento. Questo argomento sarebbe piuttosto lungo da trattare.

Tra l’altro, è oggi di attualità — anzi di moda — la cosiddetta “clonazione della pecora” che sembra abbia sconvolto il sonno di qualcuno. Lo sappiamo molto bene tutti che l’uomo da tempo manipola geneticamente qualsiasi cosa abbia a portata di mano per poter sfruttare meglio le risorse a sua disposizione e quindi pecore, cani, cavalli, mais, cereali, agrumi e così via. E quando riesce in una di queste imprese, essa viene considerata una grande conquista e nessuno si scandalizza. Sono a testimonianza di ciò le immense distese di monoculture, in Ukraina ed USA, a grano o granturco (si sono selezionate e create delle pannocchie di misura spropositata con un rendimento inimmaginabile solo pochi decenni fa), poi ci sono le razze di cavalli da corsa, i cani da caccia, i vitelli e polli di allevamento, gli animali da pelliccia e potremmo fare un elenco senza fine.

Ricordiamoci comunque che lo studio dei molteplici meccanismi e delle leggi che regolano la natura sono un fatto completamente a sé stante: i processi e le reazioni chimiche non hanno niente in comune con la parabola del buon Samaritano, né tanto meno le modalità di trasmissione della corrente elettrica o la struttura elicoidale del DNA — che è alla base della vita — hanno qualcosa a che vedere con il Sermone sul Monte, o con parabole, Salmi o qualsiasi altro passo della Bibbia tramandataci da oltre duemila anni, o con le “sùre” del Corano o di altri testi sacri, se qualcuno preferisce.

Un esame della situazione

Voler a tutti i costi avere la presunzione di trovarvi una relazione tra queste due entità: la scienza e la fede in genere — come del resto molte delle religioni anche oggi indebitamente hanno l’abitudine di fare, usando violenza alla società laica e civile — è solo una insana invenzione di pochi teologi presumibilmente disoccupati (o peggio, se fossero pagati), di giornalisti, sociologi e filosofi in cerca di notizie più o meno sensazionali o politici che tentano un’affermazione personale per sbarcare il lunario, ma non è certo un qualcosa di serio che possa aiutare l’uomo nello sviluppo della sua vita, sia interiore sia anche materiale, ma è solo un madornale errore di valutazione e di suddivisione di compiti. Insistendo in questa deprecabile direzione si contribuisce solo ad aumentare il caos che esiste nella nostra sconquassata ed inquieta società, ad alimentare bigottismi, fondamentalismi e simili sventure, che non sono presumibilmente atteggiamenti tipici di una società civile. Si aiuta, caso mai il prossimo, proprio a non capire e ci si creano arbitrariamente e gratuitamente, con la nostra grande fantasia, problemi che non esistono affatto.

Se noi tutti abbiamo la possibilità di pensare, il coraggio di scrivere o parlare, per essere letti, ascoltati e compresi• — scambiandoci pure tranquillamente la nostra opinione — abbiamo anche il dovere di aiutare il nostro prossimo nella soluzione di problemi esistenziali, con chiarezza ed onestà, confortati certo dalla nostra eventuale fede più o meno forte in un qualsiasi Dio, ma anche dalla certezza di un futuro mondo migliore anche in ambito laico e quindi “non confessionale”. Questa commistione tra “sacro” e “profano” continua comunque a turbare, ed ha sempre turbato, inutilmente, la coscienza umana, con i suoi tabù, i suoi divieti, i peccati, le punizioni e comunque a quant’ altro ritenuto utile ad impedire lo sviluppo del pensiero e della vita “libera” dell’uomo; ed è chiaro che questa “tendenza” non è altro che la ricerca, più o meno utile, del mantenimento del “potere”, di un qualsiasi potere.

Tra l’ altro — come breve inciso — vorrei accennare al fatto che non è solo il “sacro” — inteso nel senso comune di “religioso” — a voler interferire scandalosamente nell’ ambito scientifico, ma si intromette anche il mondo “laico” e “politico”, sempre da considerare però come “fede” in una qualsiasi ideologia, ed insieme anche a quello definibile “socio-imprenditoriale”. In proposito, faccio qui velocemente un esempio che ritengo molto pertinente e non so se qualcuno dei lettori ne è già al corrente. In un passato abbastanza recente Giuseppe Stalin — il noto dittatore sovietico — indusse il genetista russo Trofim Denisovic Lysenko (1898-1976) a studiare una teoria genetica sull’ereditarietà dei caratteri per suo esclusivo uso e consumo e che facesse il “gioco” della sua politica più o meno sociale e marxista e della sua “filosofia”. Alla base di questa teoria c’ era la tesi (evidentemente “inventata” ed elaborata solo per l’occasione) che l’ereditarietà dei caratteri sarebbe stata influenzata da fattori ambientali (tesi che potrebbe forse essere anche vera, ma non certo a “breve scadenza”, semmai nel corso di migliaia o milioni di anni).

La teoria di Lysenko si dimostrò subito fallimentare come già era stato sostenuto e previsto dai genetisti cosiddetti “occidentali” e la conferma fu data facilmente dal tentativo di applicarne i risultati in agricoltura. In ambito scientifico internazionale il “caso Lysenko” fece scalpore a suo tempo — per alcuni uomini politici fu addirittura una ghiotta occasione di ilarità e di strumentalizzazione— ed è comunque molto noto a tutti gli “addetti ai lavori”. L’argomento fu subito chiuso e Lysenko rimarrà nella storia della genetica proprio per questo suo “infortunio” che rimane però pur sempre un esempio lampante di queste sconvenienti situazioni ed arbitrarie interferenze. Anche noi non ci intratterremo più a lungo su questo “tipico” esempio anche se potrebbe dar luogo ad interessanti riflessioni.

Purtroppo però, anche attualmente la situazione è piuttosto “paradossale” e pesante. Pure l’ ONU che dovrebbe avere il compito, almeno teoricamente, di essere “al di sopra delle parti” tutelando l’interesse di “tutti”, cade in questa specie di trappola e di contraddizione, dando ascolto solo a certi e discutibili tipi di interpretazione. Il Comitato Bioetico Internazionale dell’UNESCO (IBC), per esempio, dà ampio spazio alle componenti religiose e confessionali in genere, nei vari comitati di studio costituiti e contribuisce quindi in maniera “autorevole” ad avallare questa confusione. Dovremmo, in ultima analisi, ma comunque sempre prima di intraprendere un qualsiasi esame, decidere se vogliamo accettare per forza e acriticamente — per poi discuterli inutilmente — i dettami di una o più religioni e quindi tollerare dogmi e preconcetti, oppure se riteniamo al di fuori del problema l’ intromissione delle opinioni di confessioni e di fedi di vario tipo, lasciando quindi 1a strada “aperta” senza alcunché di pregiudizievole disposti, secondo una delle migliori regole scientifiche e filosofiche, a non affezionarsi troppo alle nostre idee, ma disposti invece ad abbandonarle o modificarle se necessario e se dimostrato che sono in attendibili o non più attuali o “false”.

Ma c’è di più ed è quasi incredibile e sbalorditivo. In queste commissioni dell’ ONU sono stati invitati a farne parte, oltre i gruppi religiosi già citati, anche sindacati e rappresentanti del mondo degli affari. Un grande “calderone” cioè di incompetenti che, per il solo fatto di aver accettato di farne parte, hanno anche la presunzione — su quale base non è dato di sapere — di discutere (e su questo non ci sarebbe niente da dire) e decidere sui “destini” della scienza e dell’evoluzione umana. C’ è anche il probabile caso che questi signori si ritengano pure, come si dice oggi, “ecologisti” e difensori certamente incompetenti della natura (di una “natura pura e incontaminata” come spesso viene definita), ma non certo del progresso umano, della evoluzione della nostra specie, del miglioramento della vita dell ‘uomo e della conservazione nel tempo dell’ ambiente nella sua globalità.

Non sembra, per esempio, e fino a prova contraria, che “il mondo degli affari” in generale abbia mai preso in seria considerazione l’opportunità della difesa dell’ambiente (anzi non si è mai posto questo problema e se lo ha fatto è stato solo perché ne è stato costretto), con i suoi traffici secolari e pirateschi sul legname, le miniere e le risorse di vario tipo, il grasso di balena e la pesca sfrenata, le zanne degli elefanti, lo sterminio degli animali da pelliccia e così via, ma mirato piuttosto ai suoi più o meno “leciti” profitti. Così come appare surreale ed assurdo, in queste commissioni, l’inserimento della componente sindacale, senza con questo voler in alcun modo sottovalutare il mondo “operaio” o la componente del mondo del lavoro.

Rimanere quindi immobili, chiusi, sordi e ciechi: questo sembra un ordine emanato, ma da chi? Non certo dalla natura ma solo dall’uomo: basta osservare intorno la vita che ci circonda per rendersene conto. E l’uomo che sta distruggendo tutto e sta autodistruggendosi, dopo aver alterato repentinamente — in questi ultimi millenni — un certo tipo di equilibrio costituitosi sulla Terra nel corso di milioni di anni. Forse, ma è solo un’ opinione personale, il troppo tempo libero che abbiamo oggi a disposizione invece di contribuire a rendere l’uomo più “intelligente” e quindi a trovare le soluzioni migliori per se stesso e per gli altri, lo riduce invece ad inventarsi problemi inutili o a “masturbarsi mentalmente” come volgarmente si usa dire, per impiegare in qualche maniera il molto tempo libero che ormai ha a sua disposizione inutilizzato.

La posizione della Massoneria

E la nostra Istituzione come riteniamo si debba collocare in tutta questa vicenda che in qualche maniera è anche di estrema attualità, e quale posizione avrebbe il dovere di assumere il libero muratore in una problematica di questo tipo, rispettando necessariamente equidistanza ed obiettività tra le due posizioni in questione? Indubbiamente la componente massonica ha un suo duplice aspetto, come più volte è stato ripetuto: una spirituale, esoterica, interiore, morale, filosofica, religiosa e così via, ma più che altro di fede (non certo dogmatica, ma di fede “aperta”) in un Grande Architetto dell’Universo; ed una componente più “terrena”, definibile come operativa, appunto “evolutiva”, proiettata nel futuro e che si accompagna ed asseconda in modo “civile” ed intelligente l’evoluzione e partecipa attivamente alla “rivoluzione” sempre in atto (rivoluzione nel senso di “cambiamento” anche repentino e non certo “terroristico”, ma piuttosto mirato al miglioramento della società ed alle condizioni di vita dell ‘uomo).

Questi due aspetti — come già accennato in precedenza— non sono certo in contraddizione tra loro, anzi sono complementari, proprio perché l’uomo è strutturato e quindi condizionato per sua natura, senza possibilità di scampo, da queste due componenti inscindibili. Questo tipo di complementarità ed ambiguità dell’uomo, c’è da ritenere che siano proprio la sua forza, in quanto egli è sempre capace, all’occorrenza ed in qualsiasi situazione, di assumere posizioni ed atteggiamenti differenti, anzi apparentemente proprio in contraddizione, ma gli permettono però sempre, in qualche maniera, di venirne fuori e di sopravvivere. Da un lato c’è la nostra cultura, la tradizione e l’educazione che ci portano a mantenere immutato ciò che noi abbiamo ereditato e da tutti i punti di vista (cioè da un punto di vista genetico, ma anche culturale) e tutto questo perché  l’uomo si sente sempre più sicuro nel percorrere strade già percorse e quindi sperimentate e più “affidabili”. Dall’altro, il nostro istinto di “scimmione” arrivato in città dalle grandi praterie e dalle savane è un essere molto curioso, giocherellone, che cerca di sopravvivere in modo molto “economico”, cioè spendendo meno che può energie e fatiche; e quindi uno dei suoi modi principali di sopravvivenza è lavorare poco, sfruttare il più possibile la natura che lo circonda ed inventare tutto ciò che lo solleva dal sudore e dallo sforzo fisico, anche se poi, paradossalmente, è costretto a recarsi in palestra o a correre per viali e giardini nell’inutile intento di smaltire le energie che ha risparmiato sul lavoro, che non ha consumato e che potrebbero essere per lui dannose se inutilmente accumulate.

Queste due componenti ci fanno apparire però, proprio come effettivamente siamo, cioè quegli uomini attuali che, avendo come punto di partenza — almeno nel nostro mondo occidentale— la nascita di Cristo, ci consideriamo vicini alla soglia del cosiddetto terzo millennio, ma non abbiamo capito ancora con quali risultati. Lo spirito massonico giustamente, considera propria ed abbraccia questa “ambigua” situazione; il Fratello massone, a qualsiasi latitudine esso si trovi, si ricorda e si confronta sempre con la tradizione, alla quale attinge ispirazione e sapienza, ma non disdegna certo il futuro con le sue affascinanti incognite ed i suoi interrogativi. E tutto questo lo porta a sostenere inevitabilmente la ricerca scientifica e la scienza in genere, ad ammirare ingegneria genetica, imprese spaziali e fissione dell’ atomo, a considerare gli scienziati ed i tecnici come uomini superiori e necessari che sostengono la nostra vita di tutti i giorni, che “facilitano” il nostro destino ed il nostro cammino che inesorabilmente ci conduce verso la morte (che in sintesi non è altro poi che uno dei molteplici e “curiosi” — se così si può dire — aspetti della vita). Il fatto poi, anche se non secondario, che uomini senza scrupoli e senza alcuna “morale” accettabile si approprino dei risultati messi a loro disposizione dalla scienza e dalla tecnica per compiere efferatezze ed azioni contro la natura e l’umanità, non è più una questione che può coinvolgere i nostri sentimenti o la nostra personale coscienza e morale, caso mai è una questione di giustizia e di Codice Penale che spetta alle magistrature in genere, secondo le leggi vigenti nei vari paesi; leggi fatte, modificate o completamente cambiate secondo le esigenze e le opportunità del caso. Leggi comunque che sono in continua evoluzione, proprio come lo è il cammino dell’uomo che è costretto continuamente a misurarsi con loro per renderle sempre più attuali ed al passo con i tempi. E tutto questo non può certo inficiare la dedizione, l’ impegno ed i risultati di coloro che operano in ambito scientifico; né tanto meno può farci ritenere che la scienza sia un danno o una cosa da dover combattere e l’evoluzione un qualcosa di dannoso; sarebbe come incolpare un platano se un’auto in piena velocità va a schiantarcisi contro per eccesso di velocità del conducente: ma purtroppo è già successo anche questo; oppure si dovesse condannare la scoperta della corrente elettrica perché in alcuni Stati americani c’è la pena di morte con l’esecuzione del condannato sulla sedia elettrica.

Conclusione

La Libera Muratoria quindi, ma particolarmente ed in piena coscienza direi, il nostro Rito Scozzese Antico ed Accettato — perché da sempre molto più impegnato nell’ approfondimento dei problemi e delle tematiche anche correnti — in una visione ampia e superiore della nostra vita intima, ma anche della vita in genere, ci aiuta contribuendo a farci individuare un comportamento sensato e civile, mirato al bene individuale e dell’umanità, tutto il creato nel suo complesso, compreso. Ci insegna a rifuggire dal dogma e dai bigottismi di qualsiasi tipo, contribuisce all ‘ apprendimento ed all ‘ assunzione della nostra tradizione ed alla consapevolezza della nostra interiorità e ci prepara così per il nostro futuro, ci aiuta a fortificare il nostro animo e ad essere il più possibile giusti ed equilibrati, a crearci forti di una morale solida ed indistruttibile, ma comunque modificabile se necessario, accompagnata sempre da tolleranza e fratellanza in un clima di autentica libertà.

Ed è questa la sola ragione perché da tempo molti massoni ritengono giustamente che se la nostra società “profana” divenisse effettivamente civile la Massoneria perderebbe gran parte dei suoi scopi, del suo significato intrinseco e delle sue finalità o, addirittura, non avrebbe forse più ragione di esistere — almeno per ciò che riguarda il suo ambito “operativo” — ed ecco perché, come conseguenza di ciò, possiamo rispondere tranquillamente — a chi questa domanda si ponesse — che la Massoneria oggi è “purtroppo” ancora indispensabile, necessaria ed insostituibile, sia come presenza nella società per ricordarle sempre quei princìpi di base che sono certo immutabili nel tempo, sia per forgiare quegli uomini di buona volontà di cui proprio la società stessa ha sempre bisogno per poter proseguire il suo cammino nel futuro.

Rispondere poi alla domanda perché dobbiamo proprio credere nell’evoluzione, seguirla — anche se non proprio “ciecamente” — e dove poi ci condurrà, dov’è che l’uomo è diretto con tutti quei problemi che si trascina dietro da secoli anzi da millenni, il perché della sua razionalità ed emotività, non è il compito che ci siamo prefissi in questo contesto, ma potrebbe certamente essere il soggetto per un’ altra Tavola, sicuramente molto più stimolante, eccitante ed interessante di questa, sempre che qualcuno di noi abbia il coraggio di cimentarsi e d’affrontare un argomento sul quale hanno “sbattuto la testa” già molti grandi uomini, anche del passato, senza trovare, sembra, risposte certe ed adeguate.

 
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UOMO LIBERO

UOMO LIBERO

UOMO LIBERO

di P. N. Or⸫ di Roma

Quando parliamo di “Uomo libero” ci riferiamo solo al pensiero libero o anche a qualcos’altro?

All’inizio le corporazioni dei costruttori accettavano solo persone forti e sane in quanto il lavoro di scalpellino  richiedeva una sana condizione fisica; nel corso del tempo acquisivano non solo l’esperienza ma anche la saggezza nell’uso degli strumenti e, con gli anni, tale saggezza faceva sì che venisse conferito loro una posizione più elevata, quella di Maestro. I costruttori avevano anche una grande conoscenza della geometria che nel tempo divenne una forma di espressione divina, poiché i grandi progetti architettonici rappresentavano un legame magico tra la terra e l’universo; l’uomo cercava di rappresentare sulla terra un edificio dove viveva o abitava lo spirito divino di Dio rappresentato nei templi dedicati alle divinità antiche. Fu allora che l’uomo fece un  passo gigantesco nella costruzione e queste piccole corporazioni, non solo piene di saggezza ma anche di matematica divina, cercarono di mantenere quei segreti selezionando molto meticolosamente i nuovi apprendisti. Apparve così un segreto, il modo in cui questi templi venivano progettati, generava quel tipo di connessione tra la terra e l’universo, rendendo questi luoghi centri di culto e venerazione. In quelle antiche società essere un muratore rappresentava il passaggio dal semplice scalpellino ad uno dei maestri nel mestiere più segreto ed apprezzato. I disegni e gli schemi di quelle  costruzioni avevano sempre un certo grado di mistero e di esoterismo: dall’orientamento sulla terra secondo i punti cardinali, ai luoghi dove doveva entrare la luce del sole. Questi aspetti oggi passano inosservati per molte persone, ma conservano il loro valore poiché la relazione astrologica non è stata modificata nello spazio, ha semplicemente dei cicli. Con il passare degli anni e l’avvento delle crociate con la nuova aria d’oriente portata in Europa, le costruzioni subirono una svolta drastica.

Per mantenere alcuni segreti, non solo l’insegnamento della tradizione ed il passaparola erano importanti, ma si dovettero usare alcuni simboli affinché il costruttore venuto da lontano potesse riconoscere e identificare dove si trovava e cosa doveva fare.

Questo segreto era ancora più importante perché era fondamentale non solo la conoscenza della matematica e degli strumenti, ma anche il significato magico di ogni figura che il costruttore doveva inserire nella costruzione. Dopo un periodo buio in occidente e quasi con lo sterminio   di gran parte della popolazione da parte della peste nera, era necessario che le nuove menti e quella conoscenza magica e alchemica durassero nel tempo. L’uso dei simboli nelle cattedrali divenne allora molto importante; ma quei simboli non erano rivolti solo a queste persone, ma anche a coloro ai quali era evidente l’interesse per la scienza.

Il Rinascimento contribuì alla causa ponendo quegli elementi di rappresentazione di quel simbolismo non più nella pietra ma nelle nuove idee e nei simboli iconografici. Emersero menti geniali come Leonardo Da Vinci e Michelangelo che in  ogni opera d’arte inserivano quella conoscenza e quel simbolismo che veniva compreso non solo dai costruttori dei templi ma anche da quelli delle anime. Si risvegliò allora il brillante pensiero di un tempo che era, tuttavia, compreso solo da pochi nella sua grandezza; in tutto questo le società segrete divennero indispensabili per poter mantenere un segreto ancestrale che potesse essere svelato solo a chi fosse disposto a riceverlo, vale a dire un iniziato.

I riti di iniziazione usati nell’antico Egitto furono riscoperti dai Templari.

Questi si sarebbero concentrati sulla liberazione della mente per dare ingresso a nuove idee e percezioni, facendo entrare una persona in uno stato di morte simbolica e farla rinascere a una nuova vita. Nel più grande studio di quei maestri iniziatici, trasformare una mente intorpidita dalla vita profana e terrena, in una mente affamata di conoscenza era la sfida più importante del tempo. La trasmutazione prima della mente e poi dell’anima divenne il vero scopo della vita: trasformare un uomo comune in un uomo migliore.

Separando la mente da ogni pregiudizio e dogma, si entrava in uno stato di piena libertà nella mente, si studiava l’uomo come è veramente, si guardava allo scopo della vita non da un punto di vista materiale ma da un punto di vista spirituale: chi sono io, da dove vengo e dove vado?

Le società segrete cominciarono a diventare non più solo una corporazione di sapienti costruttori d architetture sacre e urbane, ma piccoli laboratori dove trasformare quel mercurio in oro era la pietra filosofale del momento. Per questo era necessario che l’uomo fosse sano e in buone condizioni fisiche come gli iniziali scalpellini: un uomo il cui corpo non rappresentava un impedimento affinché il suo spirito potesse operare liberamente.

Essere liberi allora era solo una questione interiore, lo studio dell’anima, lo studio del miglioramento umano doveva essere il vero fine. Leonardo Da Vinci dedicò parte della sua vita allo studio del corpo umano, a quella simmetria della parte fisica dell’uomo che gli avrebbe dato la vera via per uno studio interiore. Ad un certo punto negò la parte sessuale del corpo umano perché non aveva alcun rapporto con l’armonia del resto del corpo e tanto meno con la sua anima. Era importante differenziare la bellezza dal grottesco.

Leonardo da Vinci sosteneva che quando esaltava l’essere umano, la bellezza dei genitali lo trasformava in un essere decadente e del tutto orribile. Questo fu un punto, di partenza molto importante nel corso del tempo per le società segrete: bisognava acquisire il controllo assoluto di quella parte che faceva cadere l’uomo nelle basse passioni.

Anticamente la parte sessuale dell’uomo era nascosta: gli antichi iniziati usavano un grembiule per rappresentare il dominio del più grande simbolo da dominare.

Michelangelo nella sua Cappella Sistina dipinse angeli e figure di una simmetria e bellezza unica, ma rappresentò il corpo completamente nudo come simbolo di Supremazia:  l’uomo non doveva nascondere questa zona nel cosiddetto Paradiso. Alla domanda come potesse fare sculture così belle e armoniche, rispose “Io sono lo strumento che toglie imperfezioni da quel marmo, la scultura è dentro ansiosa di essere mostrata”. Questa risposta ricorda ai massoni il lavoro quotidiano chiamato sgrossatura della pietra

grezza”.

Con il passare del tempo e fino ai nostri giorni il simbolismo è stato adottato dalla Massoneria come stile di vita. Entrare in un tempio massonico da profano e uscirne da iniziato, significa proprio essere entrati in uno stato di morte simbolica, iniziare la vera opera che è con il corpo, rimuovendo le imperfezioni e i vizi che ha appreso nella vita profana e lasciare solo quell’opera divina che è l’uomo pieno di virtù. Ma siamo consapevoli di quali siano queste imperfezioni? Quando un massone si riferisce alle imperfezioni si riferisce a quei vizi che l’uomo domina con la parte del corpo e libera la mente preparata per i passo successivo, vale a dire estrarre la conoscenza che ci portiamo dentro.

Per essere un uomo libero, allora le esigenze corporee devono essere sempre meno importanti poiché ci, avvicinano alla terra, liberarsene significa che si è cominciato a capire cosa c’è dentro ognuno di noi, capire che quando parliamo di vizi ci riferiamo al materiale e al corporeo. Ma se parliamo di virtù dobbiamo esaminare la parte spirituale. L’opera del massone come libero pensatore è proprio quella, ricercare nella mente quella conoscenza ancestrale, quel segreto che a ciascuno viene rivelato solo il giorno della

sua iniziazione, quel giorno in cui vogliamo vedere la luce, quel momento in cui con lo stato di morte simbolica iniziamo a cercare il vero significato della nostra vita, quel risveglio a una nuova vita che ci ricorda che siamo nati allo stesso modo con una mente pulita.

Essere un libero pensatore è il vero lavoro del massone.

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IL CAFFÈ LETTERARIO DELLE “GIUBBE ROSSE” A FIRENZE IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA

IL CAFFÈ LETTERARIO DELLE “GIUBBE ROSSE” A FIRENZE IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA

di

Guido D’Andrea

Il vecchio Centro di Firenze, o per essere più precisi il quartiere del Mercato Vecchio, comprendeva tutta quella parte, molto vasta a forma di quadrilatero, delimitata dalle seguenti arterie principali: via dei Calzaioli, Via dei Cerretani, Via dei Tornabuoni e Via Porta Rossa.

La Piazza del Mercato Vecchio era il punto più caratteristico di questo singolare quartiere nel quale i maestosi resti del passato e di uno splendore ormai tramontato apparivano e si confondevano tra le meschine e indecenti baracche del mercato, tra catapecchie luride e malsane e tra superfetazioni di ogni mole e genere.

Nel 1861 dopo l’ annessione,  l’Ingegner Luigi Del Sarto, capo dell’Ufficio Tecnico del Comune di Firenze, progettò un intervento di demolizione e ricostruzione per un nuovo mercato delle vettovaglie, tra Piazza Brunelleschi e Via dei Cardinali, nel vecchio Centro. Altri progetti furono anche elaborati, nel 1869, da un gruppo di finanzieri e “autorevoli” cittadini.

Nel 1884 furono avviate le pratiche per l’esproprio e nel 1885 il Ghetto fu evacuato. In una pianta geometrica dell’Istituto Geografico Militare del 1890 sono già evidenziate tutte le demolizioni previste nella piazza e già ubicati i due palazzi oggi denominati “della Fondiaria” e delle “Giubbe Rosse”

Artisti, poeti, uomini di cultura, non hanno mai perdonato al governo municipale di aver cancellato memorie storiche ed artistiche di importanza incomparabile, tori, chiese, palazzi, vicoli e piazzette che un accurato restauro avrebbe potuto facilmente valorizzare e che oggi sono note soltanto grazie ai dipinti dei macchiaioli e alle vecchie foto di Brogi e Alinari.

-settembre

“Telemaco, o piangi sulle porcherie che vanno giù? ” domandò scherzando un ingegnere comunale a Telemaco Signorini, che continuava imperterrito a dipingere gli antichi vicoli corso di demolizione. “No, piango sulle porcherie che vengono su”, rispose il pittore.

Ma quella che piacque meno fu proprio la pretenziosa Piazza Vittorio Emanuele II, con il suo grosso arco di trionfo, inaugurato nel 1895, assieme al Caffè che poi sarà chiamato delle Giubbe Rosse.

Il Caffè delle Giubbe Rosse

Questo Caffè, che ha avuto una parte importante nella storia della letteratura, dell ‘ arte e anche della politica italiana, nacque all’inizio del 1900..

Era stato fondato da due tedeschi, i fratelli Reininghaus, fabbricanti di birra, che ne avevano fatto il punto di riferimento della numerosa comunità tedesca fiorentina. Seconda la moda del tempo i proprietari vestivano i camerieri con giubbe rosse, all’uso viennese, e da questa particolarità fil Caffè sarà poi chiamato “delle Giubbe Rosse”

Alberto Viviani, nel 1933 ci ha lasciato il più vivace ricordo del caffè: “Due grandi vetrate, una chiusa ed una che serviva da ingresso, sormontate da un fregio in legno massiccio con un angiolo ghiotto di birra, sotto una grande scritta: “Reininghaus”; molte lampade ad arco, di quelle che oggi si riscontrano soltanto a Parigi e che spandono una strana luce riposante, sfolgoravano all ‘ingresso.

I camerieri attillati in uno smoking rosso fiamma e con un ampio grembiule bianco che li fasciava tutti come una sottana davano all ‘ ambiente una nota di originale gaiezza difficilmente dimenticabile. Nella prima sala con le pareti cariche di specchi molati, placidi e massicci tedeschi immersi nella lettura del “Die Wache” e del “Berliner Tageblat” con a portata di mano enormi stivali di vetro colmi di birra nera; e qualche vecchia “fraülein” con gli occhi estatici e sgomenti piantati al soffitto.

La seconda saletta che di giorno accoglieva sotto la sua blanda luce di lucernario poche coppie internazionali in cerca di quiete era adibita la sera al servizio di restaurant. “Le Giubbe Rosse” erano fornite dei quotidiani e delle riviste di tutto il mondo e si doveva a ciò credo, in buona parte, l’affluenza della clientela straniera. Più di un caffè, le prime due sale avevano l’ aspetto di un circolo di lettura.

Certi bei tipi avevano fondato un “circolo scacchistico fiorentino” in fondo alla terza sala e pagavano un piccolo affitto mensile. Gente metodica e malinconica per eccellenza, quasi tutti cancellieri e magistrati della Corte d’ Appello, farmacisti, ingegneri senza progetti e avvocati senza più cause.

Ma la pace sonnacchiosa del caffè fu sconvolta quando dal 1913 la terza sala diventò la sede fissa del gruppo di “Lacerba” e quindi dei futuristi fiorentini. A nulla valsero le proteste degli scacchisti. Si diffuse presto la strofetta:

“Giubbe Rosse è quella cosa, che ci vanno i futuristi, se discuton non c’è cristi, non puoi più giocare a dam…

Fucina di sogni e di passioni

Così Alberto Viviani definisce le “Giubbe Rosse” e quella terza sala del caffè Fiorentino dove fiorì, lottò, dilagò la rivoluzione futurista.

Le “Giubbe Rosse” restano nella storia della cultura italiana, un laboratorio di pensiero, di progetti, di passioni.

“Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità… Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno… Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, e combattere contro il moralismo… E’ dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il “Futurismo “, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e di antiquari… ‘ .

Così tuonava Marinetti dalle pagine del Figaro del 20 febbraio 1909 tentando invano di scuotere il mondo sonnacchioso e perbenista della cultura italiana.

Il violento appello lanciato da Parigi rimbalzò fino alla tradizionalissima Firenze sui tavolini delle

Giubbe Rosse e fu accolto con gioia da Giovanni Papini: “Quando arrivò il Primo Manifesto – ricorda qualche anno dopo lo scrittore – lo feci vedere subito al Soffici al Caffè delle Giubbe Rosse: E si disse. “Finalmente c’è qualcuno anche in Italia che sente il disgusto e il peso di tutti gli anticumi che ci mettono sul capo e fra le gambe i nostri inrispettabili  maestri! C’è qualcuno che tenta qualcosa di nuovo, che celebra la temerità e la violenza ed è per la libertà e la distruzione!… Peccato, però, che sentano il bisogno di scrivere con questa enfasi, con queste secentisterie appena mascherate dalla meccanica, e che si presentino coll ‘aria di clowns tragici che voglion far paura ai placidi spettatori di una matinée politeamica. Si può esser più crudi e più forti senza tanto fracasso “. “Per queste ragioni non volemmo dimostrare in nessuna maniera la nostra simpatia per il nuovo movimento “

Le riserve erano quasi tutte da parte del Soffici. Papini in realtà era già da allora tentato di aderire al futurismo. Per saperne di più cercò di procurarsi tutti i testi al riguardo che riusciva a trovare e volle personalmente conoscere Palazzeschi, l’unico futurista che in quel periodo risiedeva a Firenze. Ne divenne ben presto amico.

Ancor prima di fondare con Prezzolini e Cecchi la rivista “Leonardo”, prima di pubblicare libri controcorrente come il ” Crepuscolo dei Filosofi” o di bersagliare i miti culturali dell ‘ epoca con le feroci “Stroncature”, Giovanni Papini era stato un futurista “ante litteram”, piccolo David armato di fionda contro il gigante Golia, contro il mondo ostile delle convenzioni e dei compromessi.

Le continue lotte contro i mulini a vento lo avevano portato dall’entusiasmo e dall’ adolescenza a un disperato scetticismo, come lui stesso rivela nel suo celebre autoritratto letterario “Un uomo finito”.

Al tempo del manifesto futurista di Marinetti il gruppo fiorentino si era da poco nuovamente riunito intorno a “La Voce” di Prezzolini e dalle pagine della rivista Ardengo Soffici stroncò violentemente la prima mostra di pittura futurista a Milano, nella quale esponevano tra gli altri Boccioni, Carrà e Russolo. L’ articolo fu la causa del primo incontro-scontro tra i due gruppi fino ad allora separati. Scrive Carlo Carrà nei suoi ricordi: Marinetti, Boccioni, Russolo ed io decidemmo di rispondere subito in modo adeguato all ‘ingiuria e partimmo per Firenze.

Giunti, ci recammo guidati dal Palazzeschi al caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevamo di trovare il gruppo vociano. Ben presto, infatti, ci fu indicato Soffici, e Boccioni lo apostrofò “E’ lei Ardengo Soffici?” Alla risposta. affermativa volò uno schiaffo. Soffici reagì energicamente tirando colpi a destra e a sinistra col suo bastone. In breve il pandemonio fu infernale:  tavolini che si rovesciarono, trascinando con se i vassoi carichi di bicchieri e di chicchere, vicini che scappavano gridando, camerieri che accorrevano per ristabilire l’ordine; e arrivò anche un commissario di polizia, che si interpose facendo cessare la mischia. Anche Prezzolini, che accompagnava Soffici, si prese una bella dose di ceffoni.

Il giorno dopo, nuova rissa alla stazione, fino a che, passando sul piano della discussione, ci si rese conto che gli ideali e le aspirazioni erano gli stessi e si passò dall’odio all’amicizia.

Futurismo e vocianesimo erano infatti due forme giovanili ed impetuose, provenienti da uno stesso ceppo: entrambe volevano fare del nuovo, abbattere il vecchio pesante edificio di cultura borghese, stretta in schemi ormai superati che soffocavano il libero divenire dell ‘ arte. Da quel momento si crearono le premesse per l’adesione del gruppo di Firenze al futurismo.

Il quartier generale del Futurismo a Firenze fu il caffè Giubbe Rosse. Negli anni eroici del movimento ne era proprietario uno svizzero tedesco, Andrea Joun, che i suoi vivaci clienti chiamavano ” i’ ssor’ Andrea”.

Alberto Viviani lo ricorda “compitissimo e signorile, sempre attillato in una impeccabile rendigote nera d’inverno e grigia d’estate; si aggirava di continuo tra la clientela da lui prediletta distribuendo inchini saluti, vigile nel porgere i giornali abituali, sollecito in tutto ciò che riguardasse il buon andamento del servizio “

I camerieri del caffè avevano nomi che parevano usciti da libri sull ‘ impero romano, Cesare, Augusto, Ottaviano, e spesso intervenivano nelle accese discussioni dei tavolini della terza sala.

Il povero “Sor Andrea” faticava non poco a riportare la calma, in seguito alle immancabili proteste del pacifico gruppo degli scacchisti. Del resto anche la clientela internazionale che sostava nelle prime due sale era spesso eterogenea e difficile e non mancava di crear problemi

Viviani ricorda che tra gli ospiti fissi “rivoluzionari russi scampati dalla Siberia e alla forca (anche Lenin vi fece in quel tempo una rapida apparizione di due o tre giorni); teosofi e teosofe inglesi e americane; l’indiano Kundan Lall profeta, antesignano del Krishnamurti, pieno di mogli, di favorite e favoriti; due vecchi inglesi amici intimi di Oscar Wilde con il loro circolo di ammiratori; due giovani anarchici spagnoli con tanto di “sombrero” e di pantaloni a campana, pittori a tempo avanzato, un principe annamita discendente da una qualche terribile divinità del suo paese; una giovane donna georgiana, la Nino, meravigliosa ma sempre ubriaca di champagne

Nel 1913, in contrasto con Prezzolini, Papini e Soffici abbandonarono “La Voce” e fondarono, sui tavolini delle Giubbe Rosse una nuova rivista, “Lacerba”. Sebbene l’ editore Vallecchi avesse messo a disposizione un piccolo locale, che venne utilizzato solamente come deposito, la redazione vera e propria era il caffè di Piazza Vittorio.

Dalle Giubbe Rosse partirono i polemici articoli di Papini, gli studi sulla filosofia e sulla pittura del Soffici, il manifesto del “Controdolore” di Palazzeschi, lo studio di Italo Tavolato “Contro la morale sessuale” e il “Manifesto della Lussuria” della Valentine di Saint Point, nipote di Mallarmè, questi ultimi, a causa di un vero e proprio pandemonio per le accuse di immoralità, portarono autori e direttore fin sui banchi del Tribunale.

Verso la fine del 1913 si preparò una grande serata “Serata Futurista” per la sera del 12 dicembre, al Teatro Verdi.

“Proprio nei giorni della preparazione – ricorda il Viviani – le Giubbe Rosse furono letteralmente assediate di curiosi che con il naso appiccicato ai vetri appannati (i più fortunati in prima fila) spiavano ogni nostra mossa quasi che stessimo confezionando delle bombe o fossimo dei pericolosi congiurati.

Certo però che nessuno di quei curiosi sfaccendati, croce e disperazione costante di tutti i camerieri delle Giubbe Rosse e più ancora del compitissimo Sor’ Andrea, brillava affatto per coraggio e disinvoltura; quando uscivamo in gruppo dal Caffè ci allontanavamo alla svelta e cheti in tutte le direzioni come i ragazzi presi in flagrante a rubar l’uva”.

Del fatidico giorno ci parla il pittore e umorista Filiberto Scarpelli: “Sembrava che dalle Giubbe Rosse dovesse partire la rivoluzione intellettuale che avrebbe capovolto il mondo intero. Il caffè era affollato di amici, conoscenti, curiosi, i quali avevano discusso, fumato, bevuto e cenato, in attesa dell ‘ ora dello spettacolo. V ‘erano anche delle signore. Ricordo Amalia Guglielminetti, che in quel tempo era ancora fresca e piacente donna, con la Marchesa della Stufa, dinanzi a un vermiglio piatto di napoletani al pomodoro, appetitosissimi. Poi il caffè rimase vuoto. Tutti dietro al manipolo di ribelli!”

La “Serata Futurista” consisté in due ore di urla e fischi e tiro di uova, pesce, pastasciutta, frutta, ortaggi e lampadine, all’indirizzo di Marinetti, Papini, Boccioni, Carrà, Soffici, Cangiullo, Tavolato e Scarpelli. Anche Palazzeschi e Amalia Guglielminetti, in una barcaccia di proscenio, furono investiti da una raffica di cipolle marce che rovinarono irrimediabilmente l’elegante vestito della poetessa. Marinetti venne ferito a un occhio da una patata. Scarpelli al naso da una lampadina: Cangiullo rispose agli attacchi rilanciando i proiettili vegetali sul pubblico, fino a che non intervennero le forze dell ‘ ordine e lo spettacolo ebbe fine senza che nessuno fosse riuscito a far udire una parola dei discorsi che erano stati preparati.

I Massoni alle Giubbe Rosse: 1913-1915

Arturo Reghini, matematico, filosofo pitagorico, notevole scrittore di cose massoniche nonché, secondo il Papini che lo ebbe amico e che lo ricordò nel suo Diario del 1946, “l’unico mago rispettabile ch ‘io abbia mai incontrato ” fu un personaggio singolare, amato e rispettato dalle maggiore intelligenze dell ‘epoca. Altissimo, magro, vestito con una eleganza che niente concedeva alle eccentricità ed alle provocazione degli amici futuristi, torreggiava fra i tavolini delle Giubbe Rosse come l’antica asta di una nuovissima bandiera. Austero assertore di dottrine eterne che nemmeno Marinetti il distruttore osteggiava, era fautore e diffusore di una sorta di nazionalismo arcaicheggiante ed anticristiano, quell’imperialismo pagano che nei ricordi della grandezza romana manifestava il desiderio di una rinnovata grandezza italica che, come altre e diverse tendenze e dottrine, sfociò nell ‘ interventismo antiasburgico, cui la stragrande maggioranza dei massoni partecipò con foga e convinzione. Reghini, fondatore e colonna ideologica delle riviste massoniche ed esoteriche del suo tempo, Atanòr, Ignis, Ur, portò la sua grande mente e la sua profonda cultura nella corrente del rinnovamento europeo, per la distruzione di un vecchio mondo in cui permanevano ancora gli epigoni e le decadenti idee dell’ancien régime. Nel coro irruento e giovanile dei futuristi, dei nazionalisti, dei vociani, rappresentò la voce arcaica, bassa e profonda, della tradizione primordiale, senza la quale non vi è vera rivoluzione né cambiamento non effimero. Gli era compagno abituale Edgardo Frosini, dal vigoroso piglio carducciano, Maestro Venerabile della Loggia “Lucifero” all’ Oriente di Firenze e poi fondatore della Loggia “Hermes”, Madre Loggia del Rito Filosofico Italiano, che nella sua breve, ma gloriosa vita, reinserì le dottrine pitagoriche nell ‘ alveo della massoneria italiana ed europea. Loro compagni furono Papini, allora piuttosto fosforico, il segaligno Soffici, il Palazzeschi un po’ molle, l’ardito Rosai degli “omini” e dei bevitori, sia nelle trattorie e nelle mescite del centro che nelle accese discussioni delle notti d’estate, dove i tavolini delle Giubbe Rosse a volte volavano, a sostegno delle idee troppo accese. L’ orgoglio intellettuale del Reghini, che veniva considerato un vero maestro, cedeva solo di fronte ad un misterioso personaggio, ben poco conosciuto fuori dagli ambienti massonici. Questo era Amedeo Armentano che veniva di tanto in tanto dalla natia Calabria nelle Logge massoniche fiorentine, e nelle vie e nelle piazze di una Firenze allora così viva e vera. Nicola Lisi, nel suo libro Parlata dalla finestra di casa (Vallecchi Firenze 1973) ne parla affermando: “il Reghini, soltanto in una occasione rinunziava con semplicità di convinzione alla investitura di maestro che gli era, del resto, congeniale. La deroga, ogni volta che al Caffè (delle Giubbe Rosse) appariva un forte e singolare personaggio il cui nome era Armentano. I suoi precedenti erano da tutti, e credo anche dal Reghini, sconosciuti. Si sapeva che, in corrispondenze solari, abitava in un castello della costa calabrese”. Augusto Hermet nel suo La Ventura delle Riviste 1903-1940 non esita ad attribuire ad Armentano la qualifica di Jerofante.. Mario Manlio Rossi nel suo Lo spaccio dei Maghi (Doxa 1929) afferma che le sue parole venivano commentate come il Vangelo”. Anche Musatti e Servadio, noti psicologi, venivano da Roma a Firenze ad incontrare gli amici e fratelli fiorentini ed in particolare quel Roberto Assagioli (padre di una fortunata, ed ancora vivente ed attuale, scuola psicologica: la psicosintesi) a parlare della mente e dei suoi simboli, del nuovo verbo di Freud e di Jung e della sua connessione con l’esoterismo, la magia, l’ alchimia, terminando in gloria, come di consueto, nella trattoria del Paoli. Poi l’ avventura nazionale dell’interventismo, la guerra, la ritrovata unità nazionale, e poi un’ altra generazione, a rovesciare ancora i tavolini delle Giubbe Rosse.

Quella famosa “Terza saletta

La sala del Caffè Giubbe Rosse fu rifugio e casa di artisti e letterati negli anni che precedettero la Grande Guerra. Lì nacque “Solaria”, la rivista aperta alla cultura europea.

L’ambiente e i personaggi di quegli anni furono descritti da Elio Vittorini del 1932.

“Non la casa, non ho casa. Non la piazza… Non la campagna… Ma il mio Caffè, ma il mio cantuccio nella terza saletta: Questo è il mio caldo nido, è la mia casa, la mia fortezza. Qui nessun dio mi avvilisce, qui tutto è umano; la luce elettrica e il tepore del termosifone e la brezza del ventilatore e la bellezza dei tavolini rettangolari e tondi” scriveva Italo Tavolato.

E Viviani ricorda: .Com ‘era bella la terza saletta delle Giubbe Rosse, specialmente nei pomeriggi d’autunno o d’inverno! Nei divani lungo le pareti, al centro, sedevano Papini con a fianco Soffici e Palazzeschi; era quasi sempre tacito e sorridente e, d’inverno, raccolto nel suo magnifico pastrano marrone che non si toglieva mai nonostante l’aria surriscaldata dai termosifoni’

Il Caffè delle “Giubbe Rosse” fu una vera e propria casa per i letterati e gli artisti che vivevano a Firenze negli anni che precedettero la Grande Guerra. Spesso le loro abitazioni erano anguste, fredde e tutt’altro che accoglienti, come nel caso di Papini, che scrisse nella celebre terza saletta gran parte del suo libro “Uomo finito”.

Sarebbe lungo e forse impossibile ricordare tutti coloro che vissero il periodo esaltante della loro giovinezza artistica tra i tavolini del Caffè di Piazza Vittorio: per “gli anni incendiari 1913-1915” ci soccorre il libro di Alberto Viviani che traccia vivaci ricordi di Giuseppe Vannicola, Nicola Moscardelli, Arrigo Levasti, Giannotto Bastianelli, Angelo Cecconi (Thomas Neal), Dino Campana (che cercava di vendere copie dei suoi Canti Orfici ai clienti del Caffè), Ottone Rosai, Ugo Tommei, Federico Tozzi, Raffaello Franchi, Luciano Folgore, Marino Moretti, Fernando Agnoletti, Mario Novaro (fratello di Angiolo Silvio) con il figlio Cellino, Arturo Reghini, Medardo Rosso, Andrè Gide, Gordon Craig, il giovane Primo Conti, il gruppo dei triestini, Tavolato, Daubler, Slataper.

“Gennaio del 1915: incominciarono i posti vuoti ai tavolini delle “Giubbe Rosse “, e le scacchiere del gioco a dama ebbero le loro meritate ferie. Richiami alle anni, partenze volontarie, arruolamenti di leva. La prima guerra mondiale pose fine alla prima grande stagione del Caffè fiorentino.”

Quando cominciarono ad arrivare al Caffè le prime cartoline dal fronte, gli amici rimasti erano pochi ed erano tornati alle “Giubbe Rosse” i clienti di un tempo: gente tranquilla, pensionati “benpensanti”; insomma “panciafichisti” come li definì Luigi Bertelli (Wamba) con un nomignolo che fece fortuna!.

Nel dopoguerra la conversione di Papini, l’abbandono del Soffici, la partenza definitiva di molti dei vecchi amici impedirono la ripresa dello spirito dei vecchi tempi.

Le Giubbe Rosse del dopo guerra si popolarono di nuova gente; qualcuno dei vecchi ci tornò, ma il clima era mutato.

Meno eroico e meno “folle”, più letterario forse: Palazzeschi, Carrà, Severini, Conti, De Robertis, Rosai; si mutarono anche gli arredi del Caffè e le stesse insegne esterne; apparvero le prime macchine da “espresso”, i tavolini nella Piazza aumentarono di numero. La “nuova gente” cui si fa riferimento in questo brano, così viene definita da Piero Jahier: “erano dei perdigiorno che passavano serate e nottate in ciarle inutili. Non dovevano lavorare per vivere. I più erano studenti ma, studenti o no, erano mantenuti dalle famiglie, o da qualche donna o, anche, da qualche uomo”.

Con l’inizio degli anni ’20 una nuova generazione di artisti e letterati si sostituì alla precedente. Nel 1926 sui tavolini delle “Giubbe Rosse” tre giovani studenti, Alberto Carocci, Giansiro Ferrata e Leo Ferrero, fondarono una rivista destinata a un ruolo importante nella cultura italiana fra le due guerre, “Solaria”: “Non siamo idolatri di stilismi e di purismi esagerati e se tra noi qualcuno sacrifica il bel tentativo di dar fiato a un’ arte singolarmente drammatica e umana gli perdoniamo in anticipo. Per noi, insomma, Dostoiewski è un grande scrittore.

Ma non perdoneremo nemmeno ai fraterni ospiti le licenze che non siano perfettamente giustificate e in questo ci sentiamo rondeschi. Senza preciso programma, ma con una coscienza di alcuni fondamentali problemi dell’arte che si suppone concorde, ci siamo avvistati nei caffè e concertati alla buona per vestire una commedia in un teatrino di campagna”. Quanta differenza con il “Manifesto” di Marinetti e gli ideali lacerbiani? Ma non si trattò di un ritorno all ‘ ordine secondo i dettami mussoliniani.

Il gruppo’di “Solaria”, si pose al di fuori della cultura ufficiale rifiutando ogni impegno politico, L’impegno della nuova gestione è gravoso ma i risultati hanno ripagato l’entusiasmo e la tenacia, risultati raggiunti grazie ai collaboratori: Paolo Emilio Poesio, Massimo Mori, Paolo Marini, Tommaso Paloscia, Arnaldo Pini, Leopoldo Paciscopi, Cosimo Ceccuti, Aglaia Paoletti, Il Gruppo di Quinto Alto con il suo coordinatore Vittorio Biagini e tanti altri. Massimo Tanzini, sapiente e impeccabile direttore del bar e carissimo amico, Angelo Mazzi, preparato e paziente chef, capace di conciliare le raffinatezze della cucina internazionale coi sapori popolareschi della cucina toscana. Già nel primo anno di ripresa delle attività culturali, sono state fatte presentazioni di libri, incontri con performances di poeti. Col proposito di ricollegare la vita presente del Caffè al suo grande passato si è organizzato il ciclo di “Incontri Letterari alle Giubbe Rosse”.

Legata alla riscoperta e valorizzazione del patrimonio artistico letterario del passato, propugnata dai gestori del Caffè è stato presentato un “Quaderno della Nuova Antologia” con il titolo “Galleria”, ristampa anastatica di cinque fascicoli allegati al “Corriere Italiano”, dal gennaio al maggio 1924, sotto la direzione di Ardengo Soffici, divenuti da tempo una rarità bibliografica.

Nel settembre 1991 il Caffè organizzò una serata sul tema “La guerra non è l’ igiene del mondo”, capovolgendo la nota frase dei futuristi e alla quale intervennero trenta poeti di tutta Italia.

Nella primavera del ’92 in collaborazione con la Cooperativa Italiana Librai si è tenuto un ciclo di conferenze; inoltre con la stessa, in questo periodo in cui scrivo, stanno nascendo in Italia la catena di librerie col nome “Giubbe Rosse”. Le prime sono a Firenze, Milano, Rimini e Verona. Particolarmente interessanti le mostre “Per una nuova iconografia”, degli della Pop Art italiana, Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano, Silvio Loffredo e l’altra “Immagini della scrittura”, raccolta di piccole opere di Poeti visivi degli ultimi trent’anni presentata da Giò Ferri.

Grande successo ha ottenuto la già menzionata iniziativa “Foyer” incontri con i protagonisti della scena teatrale in collaborazione col Teatro Niccolini.

L’anno 1992-93 ha portato alle Giubbe Rosse una nuova manifestazione culturale: ‘ ‘Gli incontro con i filosofi” con il già ricordato “Gruppo di Quinto Alto”. Nello stesso anno importante è stata la collaborazione con ‘L’Insti% Francais de Florence” il quale ha portato al Caffè poeti belgi e francesi tra i quali Bemard Noel, e la bellissima mostra fotografica di Andrè Villers.

Il 4 Marzo del 1996 ha avuto inizio una importante attività di conferenze pubbliche di storia, cultura epensiero massonico, ideata da Guido D’ Andrea e poi patrocinata dall ‘ attuale Presidente del Collegio Toscano, Mauro Lastraioli, sotto l’egida “Incontri del Grande Oriente” e sotto quella di “Lettere e simboli” altra manifestazione a carattere a carattere simbolico, artistico e culturale. Da quella data al maggio 1998 vi sono stati 25 “Incontri” e 37 “Lettere e simboli” che testimoniano l’ intensa e faticosa opera degli organizzatori Vittorio Vanni e Guido D’ Andrea, che ha inoltre curato la presentazione dei conferenzieri e delle loro tematiche. Nel corse degli incontri sono stati distribuiti oltre duemila test che hanno testimoniato delI ‘ opinione sulla massoneria da parte di altrettanti profani, test che sono stati elaborato scientificamente in forma di relazione da Guido D’ Andrea. Le manifestazioni sono state seguite con attenzione dalla stampa locale, che le ha definite come opera di “Importanti personaggi del mondo culturale fiorentino”. Chi visiti oggi il Caffè dopo averlo frequentato negli anni ’70-80, troverà un ambiente totalmente trasformato. Vecchie immagini, fotografie, numeri delle celebri riviste del passato, memorie raccolte faticosamente per recuperarne la storia, si uniscono ad opere d’ arte contemporanea. Giornali, periodici, libri sono posti in consultazione negli ambienti intimi del locale dove è nuovamente possibile assistere ad animate discussioni di letteratura, di arte, di teatro, e, finalmente, anche di Massoneria. La storia va avanti. cambiano i volti, le idee ma resta quella accogliente, magica ‘terza saletta” per accogliere i sogni e le speranze di quanti ancora si battono per una cultura libera e viva. • Ringraziamo Blasco Mucci, Fiorenzo Smalzi e Vittorio Vanni per aver fornite materiale e scritti per la stesura di questa piccola “Storia delle Giubbe Rosse.    ‘

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SAN GIOVANNI EVANGELISTA

San Giovanni Evangelista

Il 27 dicembre è la festa di San Giovanni Evangelista, uno dei due  patroni della Massoneria insieme a San Giovanni Battista, la cui ricorrenza cade il 24 giugno. Figure simboliche che nella concezione esoterica coincidono con la conclusione rispettivamente del Solstizio d’inverno e del Solstizio d’ estate, eventi astronomici che durano alcuni giorni e che insieme agli Equinozi scandiscono  i lavori rituali massonici nell’arco di un anno segnando il ritmo delle attività degli uomini e la loro ricerca di armonia con il cosmo.

Il fenomeno del sole che apparentemente (perché è la terra a muoversi) raggiunge il punto di declinazione minima ( o massima in estate) sull’orizzonte est del pianeta e pare  fermarsi , sol sistere, appunto , per poi riprendere il suo cammino ascendente (o discenente),  è stato osservato e studiato fin dall’antichità e celebrato in tutto il mondo con feste e riti speciali. Tra le raffigurazioni artistiche piu celebri di tutti i tempi dei due Giovanni quello di Cimabue (San Giovanni Evangelista – Duomo di Pisa 1301- 1302) e di Leonardo da Vinci (San Giovanni Battista 1508-1513 Louvre).

28 Dicembre 2022 (dal sito web del GOI)

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Torino, 2 Dicembre 2022, appuntamento con il libro del Gran Maestro Stefano Bisi: ”Palazzo Giustiniani. Un’ingiustizia nel silenzio contro i massoni italiani”

27 Novembre 2022 Dario Seglie

A Torino il 2 dicembre presentato il libro del Gran Maestro Stefano Bisi “Palazzo Giustiniani. Un’ingiustizia nel silenzio contro i massoni italiani”

Il 2 dicembre presentato a Torino il libro del Gran Maestro Stefano Bisi “Palazzo GIustiniani. Un’ingiustizia nel silenzio contro i massoni italiani”. L’evento, al quale ha preso prete tantissimo pubblico, si é tenuto nel Salone delle Feste del Circolo degli Ufficiali in corso Vinzaglio, 6. Con il Gm Luigi Grassia, scrittore e giornalista del quotidiano La Stampa.

Nel volume Bisi ha ricostruito tutte le tappe del lungo contenzioso, che si sperava si potesse finalmente concludere, con lo stato italiano, che non ha mai restituito al Grande Oriente d’Italia la sua storica sede che il fascismo gli aveva “preso” nel 1925, dopo averla assaltata e depredata, sequestrando carte, documenti, libri, in cerca degli elenchi di fratelli da perseguitare. Una ferita che non si è mai rimarginata nel cuore di tutti i liberi muratori del Grande Oriente.

L’iter giudiziario, che sembrava essersi fermato, è stato fatto ripartire alla fine di luglio 2020 per volontá dell’attuale giunta che si è rivolta al Tar del Lazio presentando ricorso nei confronti del Senato della Repubblica, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero dell’Istruzione ‘per l’accertamento e la declaratoria dell’occupazione abusiva di Palazzo Giustiniani, in via della Dogana Vecchia numero 29, attualmente in uso al Senato della Repubblica nonché per la condanna alla restituzione del predetto bene immobile…’ e ‘in via subordinata per l’accertamento e la declaratoria dell’inadempimento del Senato della Repubblica agli obblighi derivanti dall’atto di transazione sottoscritto, con atto pubblico avente numero 25485 del 14 novembre 1991, tra l’Amministrazione delle Finanze, l’Urbs e l’Amministrazione del Senato’”. Un accordo questo che formalizzava il cosiddetto Lodo Spadolini dell’11 maggio del 1988 e garantiva la futura concessione dei locali destinati a Museo Storico della Massoneria. Il Tar aveva  risposto con un’ordinanza nei confronti della quale il Goi aveva presentato appello al Consiglio di Stato che si è pronunciato il 13 ottobre scorso, sostenendo che si tratta di materia non di propria competenza. Ma il Grande Oriente di certo non si arrenderá, come ha assicurato il Gran Maestro. Il nome di Palazzo Giustiniani, scrive il Gran Maestro, “ è impresso nel corpo e nella mente dei liberi muratori del Grande Oriente d’Italia perché ottanta anni di storia della massoneria sono passati da lì, da quelle stanze dove erano i templi per le riunioni rituali e dove sono stati iniziati centinaia di profani; è tra quelle mura che venne ucciso il gran maestro aggiunto Achille Ballori. E chi dimentica le cronache degli assalti dei fascisti al palazzo per impossessarsi dei nomi dei fratelli e del collare del gran maestro?”.

(dal sito web del GOI) 07/12/2022

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IL 10 GENNAIO DEL 1917

Il 10 gennaio del 1917 passava all’Oriente Eterno il leggendario fratello Buffalo Bill

Il 10 gennaio 1917 moriva a Denver il fratello e leggendario soldato, cowboy e showman americano Buffalo Bill, nome d’arte di William Frederick Cody. Ai suoi funerali massonici che si tennero quattro mesi dopo quelli di stato, parteciparono oltre 15 mila persone.

Nato a Le Claire (Iowa) il 26 febbraio 1846, venne iniziato alla Libera Muratoria nel giorno del suo 24esimo compleanno mentre era al servizio del generale  Phil Sheridan con incarichi di esploratore e procacciatore di bestiame per le truppe e un anno dopo divenne maestro.

Risultati immagini per Buffalo Bill e il suo incontro con papa Leone XIII

Cody ebbe una lunga carriera militare che durò fino al 1872, nel corso della quale combattè gli indiani d’America ma li trattò anche da amici. Congedato con una medaglia al valore, già famoso, Cody si guadagnò da vivere sfruttando la sua leggenda, con gli spettacoli che mise in scena e che portò in tutto il mondo, Italia compresa, sotto il nome di Wild West Show, contribuì più di ogni altro a diffondere il mito del West. Con lui anche un suo ex nemico, il capo indiano Toro Seduto (1831-1890).

La figura del celebre cacciatore di bisonti ha ispirato, in modo più o meno diretto, tantissimi film. Basti pensare al celebre Buffalo Bill e gli indiani (1976) di Robert Altman, interpretato da Paul Newman o al più recente Hidalgo – Oceano di fuoco (2004).

10 Gennaio 2023 (dal sito web del GOI)

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“Antichi Doveri Eterni Valori” il titolo della Gran Loggia 2023 che si terrá il 14 e 15 aprile a Rimini

14 Gennaio 2023 Dario Seglie

“Antichi Doveri Eterni Valori” il titolo della Gran Loggia 2023 che si terrá il 14 e 15 aprile a Rimini

“Antichi Doveri, Eterni Valori” è il titolo che è stato scelto per la Gran Loggia 2023 che si terrà il 14 e 15 aprile come di consueto al Palacongressi di Rimini. Titolo ispirato e dedicato al trecentesimo anniversario delle Costituzioni dei Liberi Muratori, pubblicate a Londra nel 1723, sei anni dopo la nascita della Massoneria speculativa. Un testo, la cui stesura fu affidata, al reverendo James Anderson, le cui regole sono considerate i Landmarks, le basi costitutive, della Massoneria moderna, capisaldi di riferimento per tutte le logge regolari del mondo. Leggi qui

The Constitutions of the Free-Masons, 1723

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20 LUGLIO ALE ORE 18

20 LUGLIO ALE ORE 18

Il 20 luglio alle 18 alla Bcc di Castagneto Carducci (via Rossini 2 A) a Livorno sarà presentato l’ultimo saggio del Gran Maestro Onorario Massimo Bianchi “Dall’oblio alla memoria” edito da Angelo Pontecorboli, con la prefazione di Paolo Giustini, la presentazione dell’assessore alle culture del Comune di Livorno Simone Lenzi e l’introduzione del Gran Maestro Stefano Bisi, che parteciperà all’evento, organizzato dalla loggia Adriano

Lemmi n.704, e di cui riportiamo l’introduzione al volume.

“La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell’antichità” scrisse Marco Tullio Cicerone. E mai definizione a distanza di secoli risulta più azzeccata di questa. Grazie ad essa si tramandano fatti, avvenimenti, pensieri,  azioni e opere  di personaggi che hanno contributo a farla, a scriverla. A livello nazionale e locale. Storie di uomini e uomini con tante storie alle spalle. Storie di cittadini e nel caso di questa pregevole pubblicazione  soprattutto di massoni del Grande Oriente d’Italia.

L’infaticabile Massimo Bianchi, nell’ultima sua fatica letteraria,  ci delizia con questo  ennesimo libro che rende omaggio ai tantissimi liberi muratori livornesi.  Si tratta di personaggi che hanno fortemente inciso nel corso della loro esistenza sulla vita del territorio e della città labronica dando luogo a tutta una serie di iniziative e di associazioni che hanno fortemente contribuito  al miglioramento e allo sviluppo della Società proiettandosi sino ai giorni nostri grazie ai forti principi di Libertà,  Uguaglianza ,Fratellanza, Solidarietà e mutuo soccorso di cui sono stati e sono fecondi diffusori di luce.

E’ giusto ricordare questi fratelli fra fratelli che hanno fondato mattone su mattone e retto con passione, coraggio e saggezza le officine livornesi permettendo di tramandarne ai posteri tradizione e valori. Massimo ha raccolto con pazienza e cura i nomi dei liberi muratori del passato setacciandone la vita e l’impegno civico e massonico per poi vergare con il cuore queste pagine e unirle con la malta fraterna dell’amore.

Così adesso tutti, non solo i continuatori ed eredi spirituali di oggi, ma anche chi dell’istituzione non fa parte ma ne studia i principi e capisce l’enorme valenza della Massoneria, potrà ricordare con l’orgoglio della memoria e la giusta riconoscenza i tanti massoni che fecero Livorno ed hanno partecipato a renderla grande. Tirati fuori dall’oblio del tempo per sempre”.

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I CONTI SENZA NUMERI

I CONTI SENZA NUMERI

di Gianluca Mercuri

Buongiorno. Un Def «light». Un Def «snello, assai asciutto». Un Def «monco». Più tecnicamente, un Def con le cifre solo tendenziali, senza gli obiettivi programmatici, senza dunque i numeri veri su cui valutare l’impatto concreto delle misure che ha in mente chi guida il Paese.

Sarà fatto così il Def — il Documento di economia e finanza — che il governo presenterà oggi in Consiglio dei ministri: un Def in cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non svelerà le carte.

Un piano anomalo dunque, come è capitato finora solo a governi che stavano per passare la mano in prossimità delle elezioni, e viene invece giustificato col fatto che si tratta dell’ultimo Def prima della revisione delle regole di governance economica europee, in vista dell’entrata in vigore del nuovo Patto di Stabilità. Tutte scuse, secondo l’opposizione, che ci vede un bluff per nascondere prima delle elezioni europee il gioco vero: una manovra tutta «tagli e sacrifici» che ci aspetterebbe, inesorabile, in autunno.

Il governo, naturalmente, smentisce scenari così foschi ma non manca nemmeno stavolta — com’è ormai abitudine di Giorgetti — di ricordare che una spada di Damocle incombe comunque sul Paese: il peso dei bonus edilizi goduti da una parte limitata della popolazione. Un peso enorme, che i calcoli mensili dell’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) attestano a marzo — con le detrazioni maturate finora col superbonus — a 122,24 miliardi, destinati a superare i 200 col saldo finale.

È giusto ricordare che i bonus hanno un peso importante anche sulla crescita, e contribuiscono in modo decisivo all’1% di Pil che il governo potrà scrivere nel Def anche quest’anno. Il che non toglie che quando gli olandesi — citiamo loro in quanto storicamente i più scettici sull’affidabilità italiana, e dunque i più contrari al Recovery Fund post Covid — capiranno che ci siamo spesi l’equivalente del Pnrr per rifarci le facciate dei palazzi, le villette dei benestanti e i rustici di campagna, verranno in massa a tirarci 200 milioni dei loro tipici zoccoli i

Comunque, se Giorgetti ci avverte giustamente di quanto e come dovremo scontare questa scelleratezza tutta italiana, altrettanto lestamente assicura che il governo sarà così bravo da limitare i danni. E quindi no, «niente manovra correttiva», giura il più amletico tra i membri del governo. Il cui «no» in effetti non è proprio categorico: «Se c’è qualcosa da correggere, la correggeremo». Intanto, oggi presenterà anche l’atteso decreto che cambia le regole su donazioni e imposta di successione.

E poi, in questa newsletter, le due guerre ai nostri confini ma anche tra noi, tra le nostre ansie e le nostre polemiche; il Partito democratico che, dopo aver duramente battagliato con l’alleato più riluttante possibile, i 5 Stelle, ora è alle prese con il nemico più infido: sé stesso, in un classico «segretario contro tutti» che ha l’unica variante della segretaria donna, Elly Schlein. La quale giura però che non farà la fine dei predecessori.

E ancora: l’eclissi, la grande Deneuve, l’Inter ancora vincente e altre cose che può essere utile sapere nella giornata che inizia.

Benvenuti alla Prima Ora di martedì 9 aprile.

Il governo alla prova del Def

Le cifre tendenziali, la zavorra del debito, le proteste dell’opposizione: punto per punto.

    Anzitutto: cos’è esattamente il Def? È il principale strumento della programmazione economico-finanziaria dei nostri governi, che lo presentano al Parlamento per indicare la loro strategia. Fu introdotto nel 1988 con il nome di Documento di Programmazione Economico-Finanziaria (Dpef), per poi diventare Decisione di Finanza Pubblica (Dfp) nel 2009. L’attuale denominazione risale al 2011, quando la tempistica fu modulata in base al cosiddetto semestre europeo, che impone di anticipare le strategie di bilancio degli Stati alla prima metà dell’anno.

    E cosa c’è dentro il Def? Ci sono gli obiettivi programmatici macroeconomici e di finanza pubblica e gli interventi con cui il governo pensa di farli coincidere con gli andamenti tendenziali dell’economia. Previsioni e programmazione coprono normalmente un triennio.

    Perché è importante? Perché gli obiettivi di bilancio stabiliti, in particolare il saldo della pubblica amministrazione, rappresentano i paletti invalicabili delle decisioni successive, dato che dal 1988 le procedure di bilancio prevedono la fissazione ex ante del saldo. L’approvazione parlamentare del documento gli dà quindi il valore di un vincolo giuridico.

    Ma veniamo a Giorgetti Il ministro ha anticipato ieri a Trieste l’anomalia di oggi: a parte i precedenti di governi dimissionari (Gentiloni 2018 e Draghi 2022), è la prima volta, spiega Monica Guerzoni, «che si lavora a un Def “monco”, senza gli obiettivi programmatici su deficit e debito e senza l’impatto e i numeri delle misure che il governo ha in cantiere in vista della manovra».

    «Una questione di credibilità» Giorgetti ha detto che il Def «rispetterà gli obiettivi della Nadef presentata in autunno per una questione di credibilità». La Nadef è la Nota di aggiornamento al Def, che, appunto, aggiorna le previsioni del Documento con le maggiori «informazioni disponibili sull’andamento del quadro macroeconomico» dopo il primo e il secondo trimestre dell’anno.

    Deficit tra il 4,3 e il 4,7% La concordanza tra Nadef e Def, spiega Federico Fubini, è plausibile se nel prossimo triennio non cambieranno le leggi che impattano sulla finanza pubblica:

ARTICOLO SEGNALATO DAL F.’. A. F.

  «A legislazione immutata rispetto a quella oggi in vigore – sulla base di quanto indicato nella Nadef di settembre scorso – il deficit sarebbe al 4,3% del P

ARTICOLO SEGNALATO DAL FR.’. A, F.

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