ANTISEMITISMO: IL “MEA CULPA” DEL CARDINAL MARTINI
di
Silvio Nascimben
Col tempismo di uno scattista olimpionico, il cardinal Martini, precedendo di qualche giorno il solenne gesto con cui i vescovi di Francia – avvenimento senza precedenti – hanno fatto pubblica autocritica del deprecabile atteggiamento indifferente, tenuto durante la Shoah, lo sterminio dei milioni di ebrei nei lager nazisti, ha esortato i cristiani ad inginocchiarsi dinanzi alle vittime di tanto odio, e a chiedere perdono dell’ antico peccato dell ‘ antiebraismo e dell ‘ antisemitismo.
Proprio a Darcy, il centro di raccolta degli ebrei francesi, da cui partivano i convogli verso i campi di sterminio, i vescovi di Francia percuotendosi pubblicamente il petto, hanno fatto atto di contrizione, chiedendo al buon Dio perdono, per non essersi opposti alle persecuzioni antisemitiche e, come di certo è stato, di averle vissute con la complicità del silenzio. Ma, tornando al cardinale Martini, che tra l’altro è un noto biblista, particolare significato riveste la citazione dell ‘invettiva di san Paolo – piuttosto lontana dall’ insegnamento cristico – che certamente è stata la causa dell’atteggiamento ostile dei cattolici nei confronti degli israeliti: “I Giudei non godono delle simpatie di Dio perché sono nemici di tutti gli uomini ed hanno impedito a noi apostoli, di predicare ai pagani la parola di Cristo, per la loro salvazione”.
Nonostante l’accorato appello, a non fare processi al passato ma a volgere, anzi, lo sguardo agli avvenimenti odierni, lo storico cardinale ha voluto ricordare, chissà perché poi, l’opposizione di sant’ Ambrogio alla ricostruzione della sinagoga distrutta dai cristiani e, dulcis in fundo, la lettera di Costantino: “Non dobbiamo avere niente in comune col popolo ebraico, gli assassini di Cristo”.
“Quel che interessa oggi – ha aggiunto il cardinale Martini – è la conversione. La “teshuvà “, il ritorno sui propri passi dei peccatori, in altri termini, il pentimento”.
L’ arcivescovo di Milano, poi, ha concluso evidenziando quanto importante sia il Giubileo, inteso come ecumenico appuntamento fra le grandi religioni, per il superamento di quei pregiudizi e di quelle incomprensioni, che da secoli hanno diviso i credenti.
E’ veramente strano, questo fine secolo! Sembra essere caratterizzato, più che mai, da atti di contrizione eclatanti, pentimenti lacrimevoli, esternazioni plateali di sensi di colpa, portati avanti da secoli, che certo non riabiliteranno, ahimè, le migliaia e migliaia di vittime immolate, con accanita efferatezza, nel nome di Dio, proprio da coloro che indegnamente si ritenevano, come ancor’ oggi, suoi seguaci.
L’ odore delle carni arse vive sui roghi dell ‘ inquisizione, così come I ‘ acre tanfo di morte che proveniva dai forni dei lager, l’orrore dei saponi e delle suppellettili ottenute da ossa e da pelle umana, sono ricordi ancora troppo vivi e non possono che suscitare, ancora oggi, sdegno e ribrezzo.
Coloro che, partecipi e non, ma di sicuro vigliaccamente, nulla hanno fatto per impedire il compimento del più grave peccato che l’uomo possa compiere – sopprimere un essere umano – chiedano piuttosto perdono a Dio.
La misericordia divina saprà valutare, con equità, i veri pentimenti, e non quelli esternati per ben altri scopi. Il buon Dio, statene certi, saprà soprattutto tener conto della dignità – si, proprio quella – che fu compagna, oltre al terrore, di coloro che, “le povere stelle di David’, si avviarono, silenziosamente, verso i
Uno dei riferimenti tradizionali
della Massoneria, in particolare quella di Rito Scozzese Antico e Accettato,
sono gli Ordini Cavallereschi. In questo ambito si suole trattare,
esclusivamente, dell’ Ordine dei Cavalieri del Tempio, per via del loro esoterismo.
Ma il complesso panorama
cavalleresco non si esaurisce con i Templari, abbracciando nei secoli XII-XIII
anche altri due Ordini di altrettanto grande importanza nella storia europea: i
Cavalieri Ospedalieri o Giovanniti ed i Cavalieri Teutonici.
Questi ultimi, poi, si sa che sono
esistiti ma per quanto si sia scritto, non si conosce gran che se non che
combatterono in Terra Santa e furono i fondatori dell’embrionale Stato
prussiano. Ancor meno si sa che l’ Ordine Teutonico visse in Puglia una
rigogliosa stagione nella prima metà del XIII.
I Cavalieri
Teutonici differivano da tutti gli altri Ordini Cavallereschi per la loro
sensibilità alle identità del gruppo d’ origine, al radicamento dell’ idea
nazionale, contro la dimensione universale degli altri Ordini Cavallereschi.
Templari e Giovanniti accoglievano solo uomini e di diverse nazionalità, i
Teutonici uomini e donne di puro ceppo germanico. Le donne, infatti, escluse da
altri Ordini, erano presenti ed attive, quali benefattrici, nei ranghi teutonici,
per l’assistenza a feriti e malati in Germania. Il G. M. Ermanno di Salza Varie
sono le ipotesi sulla nascita dell ‘ Ordine.
Per qualche autore l’esigenza di costituire l’Ordine è
sorto dalle difficoltà incontrate dai cavalieri tedeschi nell’ entrare negli
ordini Templari e Ospedalieri, formati in numero predominante da francesi ed
italiani. Per altri autori l’ Ordine sorse nel 1127-1128 durante la Prima
Crociata, quando un tedesco iniziò a curare a casa propria i connazionali, casa
che poi trasformò in Ospedale, sito accanto ad una cappella dedicata a Maria
Vergine. Per qualche altro autore il fondatore fu Federico Barbarossa. Per
altri ancora l’ Ordine nacque nel 1189 durante l’ assedio di S. Giovanni d’
Acri, l’ antica Tolemaide da alcuni tedeschi di Brema e Lubecca, dedicati alla
cura dei connazionali. Per qualche altro, infine, l’Ordine fu fondato da
Federico di Svevia, figlio del Barbarossa.
Si è appurato, comunque, con certezza documentale che
ai tempi del Barbarossa, intorno al 1214, esisteva in Gerusalemme l’Ospedale di
Santa Maria dei Teutonici. Tanto, infatti, si ricava dai privilegi riconosciuti
e confermati da Federico II. Alcuni di questi privilegi furono emanati a
Catania nel 1214, a Taranto e Catania nel 1221, a Barletta nel 1229, a Foggia nel
1230.
Come ogni Ordine monastico-cavalleresco quello dei
Cavalieri Teutonici doveva far riferimento ad una Regola. Secondo un autore
(Sanson) inizialmente i Cavalieri Teutonici adottarono la Regola dei Templari,
scritta da Bernardo di Chiaravalle, ma successivamente essa fu abbandonata per
seguire quella dei canonici dello Spirito Santo, che si occupavano di Ospedale,
ed ancora più tardi in Prussia adottarono la Regola dei domenicani della
provincia polacca.
Secondo altro autore inizialmente adottarono la Regola
degli Ospitalieri di S. Giovanni, che in seguito abbandonarono per seguire
quella dei Templari, cui apportarono alcune modifiche. Secondo altro autore
adottarono la Regola di S. Agostino come ordine monastico, e quella degli
Ospitalieri e Templari come ordine cavalleresco.
Tali ipotesi, ognuna parziale in termini temporali, si
integrano senza difficoltà, a partire da quelle del Coco, privilegiato rispetto agli altri
come formazione e fonti (frate dell’ Ordine dei Minimi), in quanto i periodi
temporali risultano diversi.
Come organizzazione I ‘ Ordine era composto in tre
classi, a parte vi erano i monaci onorari, che erano i benefattori, i
cavalieri, i preti ed i serventi, in maggior parte di bassa estrazione sociale.
I cavalieri, classe dominante, col tempo furono privilegiati nelle attività
pratiche rispetto alle contemplative, dispensati da vari obblighi religiosi per
dedicarsi alla guerra ed alla amministrazione. I primi Cavalieri Teutonici
erano spesso ignoranti, con l’obbligo di recitare a memoria il Pater Noster
entro un anno a pena di espulsione. Il Gran Maestro, eletto a vita, era il capo
sia dell’Ordine che della Comunità della sede principale, ma non aveva potere
assoluto.
La decisione era assemblea della comunità del suo castello
per fatti di amministrazione locale, e del Capitolo generale per fatti dell’
Ordine. Non era quello I ‘ unico sistema di controllo. Per il tesoro, urgeva la
Gran Maestro e cavaliere dell’Ordine teutonico di S. Maria di Gerusalemme
segretezza per il suo ammontare, ma per il sigillo, contenuto in un forziere, a
tre serrature era prevista la presenza dei tre possessori delle chiavi per
aprirlo, il Gran Maestro, il Commendatore, il Tesoriere. Nel mese di settembre
di ogni anno il Capitolo generale si riuniva per l’ approvazione dei conti, per
accettare dimissioni e procedere col G.M. alla nomina dei nuovi dignitari.
Qual era la spiritualità dell
‘Ordine Teutonico?
“I Cavalieri Teutonici si distinsero
per una loro quasi morbosa tensione al sacrificio, una vocazione
incontrollabile a ricercare la morte in combattimento, retaggio di una
tradizione pagana che la conversione al cristianesimo non aveva del tutto espurgato
dai suoi miti. Tra i quali sopravviveva la propensione a considerare il
Paradiso stesso come qualcosa di simile al Walalla di Odino, un asilo di
guerrieri e di eroi, al quale la gente comune non poteva aver accesso. Ne
derideva la convinzione che la beatitudine celeste fosse qualcosa di
assolutamente incompatibile con lo spirito di pace, esasperando la diffusa
mistica della morte violenta, inflitta o subita ” (Cuomo).
Un esempio della ferocia in battaglia dei Cavalieri
Teutonici ci viene data da una cronaca dei monaci di Oliwa in Pomerania, quando
fu catturato un nobile pruteno, Pipino, al quale “gli vennero estratte le budella, che furono inchiodate ad un albero, ed
egli fu costretto a correre finché non cadde morto”.
La fortuna dell’
Ordine fu costituita da due alte figure del medioevo, l’imperatore Federico II
e il Gran Maestro dell’Ordine Ermanno di Salza (Hermann von Salza), le cui
vicende storiche ed umane procedono intrecciate per trent’ anni.
Federico influenzò l’ Ordine, come l’ Ordine influenzò Federico.
Ad esempio, Federico trasmise ai cavalieri le sue conoscenze magiche ed
esoteriche. Tali influssi culturali vennero poi esportati dai cavalieri nello
stato prussiano. D’ altra parte si è riscontrato nei castelli federiciani il
modello di quelli dell ‘ Ordine Teutonico in Prussia, che hanno tutti lo stesso
impianto e lo stesso stile, servendo agli scopi stessi del
mezzogiorno d’Italia. Tanto ai
castelli prussiani quanto a quelli italiani mancava l’elemento pittorico
sacrificato ad una monumentalità severa di una struttura rigidamente disegnata,
mirante alla semplicità geometrica.
Ermanno di Salza apparteneva ad una famiglia di
“ministeriales” privilegiata dal Papa e dall ‘Imperatore. Fu il
regista del matrimonio, celebrato a Brindisi, con una folta rappresentanza
teutonica nel novembre 1225, tra Federico e Jolanda, figlia di Giovanni di
Brenne, che fruttando all’Imperatore la corona di re di Gerusalemme, maturò
altri privilegi per l’Ordine. Nel 1224 era alla corte Papale dove veniva
colmato di onori. Rese ancora servigi a Federico nella mediazione con re
Valdemaro di Danimarca, in tal circostanza intuì la possibilità di uno Stato
Teutonico in Europa e legò la sua realizzazione alla abilità diplomatica tra il
Papa e Federico. Infatti iniziò a realizzare il suo disegno ambizioso riuscendo
ad ottenere nel 1220 il privilegio dell ‘ indipendenza dell ‘ Ordine dal potere
temporale, nel contempo insediò I ‘ Ordine in Transilvania fondando città ed
inserendo coloni tedeschi. Godendo di esenzione tributaria riuscì a far
approvare dal Papa il progetto di porre sotto tutela della Curia romana i
teutonici occupati. Quindi divenne padrone del Baltico ed occupò la Prussia,
ove l’Ordine svolse esclusivamente funzioni amministrative. Eppur Ermanno di
Salza non fu il primo Gran Maestro, carica ricoperta da Enrico Walpot di
Basenheim, cui si deve l’insegna dell ‘ Ordine della croce nera su manto
bianco, bensì il quarto, venendo unanimemente considerato il vero fondatore
dell’ Ordine. Morì a Salerno nel 1239 e venne sepolto nella Chiesa dell’ Ordine
a Barletta.
Dopo la sua gestione, il livello
morale dell ‘ Ordine degradò rapidamente. Una dispensa concessa da Papa
Alessandro IV al G.M. Pappo di Osterna consentiva all ‘ Ordine di ricevere
nuovi membri, esonerandoli dal noviziato di sei mesi imposto dalla regola, del
resto non molto esigente; concesse ai sacerdoti dell’ Ordine la facoltà di
assolvere gli autori di incendi e saccheggi, che dopo l’ingresso nell’Ordine
per liberarsi dalle loro responsabilità, fossero tornati alle loro case ed
avessero ripreso il loro antico modo di vivere lasciando all ‘ Ordine il frutto
delle loro rapine.
Lo Stato
Teutonico finì nel 1561, ma l’Ordine ha perpetuato la sua esistenza sino ad
oggi. Il G. M. risiede ancor oggi a Vienna ed oltre alle attività religiose l’
Ordine coordina una missione culturale e si dedica allo studio del proprio
passato. Comunque, l’Ordine cessò di avere un ruolo nella storia europea nel
XVI secolo quando non ci fu più spazio per una istituzione fondata sull ‘ideologia
cavalleresca.
Gli Insediamenti in Puglia
La presenza dei Cavalieri Teutonici in Puglia è
attestata ancor prima della Costituzione dell’ Ordine. Infatti, nel 1197 vi è
traccia di tali presenze nell’Ospedale di San Tommaso presso Barletta. Lì si
costituì la casa principale, tanto che vi furono trasferite ed inviate le
spoglie del Gran Maestro Ermanno di Salza.
Quando l’Ordine incorporò l’abbazia agostiniana Sita
su una collina presso Siponto, l’odierna Manfredonia, il centro degli interessi
si spostò a nord di Barletta. Il periodo di fondazione risalirebbe a cavallo
dei secoli XI-XII ad opera dei monaci agostiniani. Verso la fine del 1200
1’abbazia fu ceduta ai Cavalieri Teutonici, che l’ottennero senza difficoltà in
quanto a quell’epoca questi avevano adottato la regola agostiniana. Col tempo
l’ abbazia si arricchì di beni immobili al punto tale da essere considerata la
più ricca d’Italia. La sua decadenza iniziò nella seconda metà del XIV secolo
per poi concludersi nel 1809, soppressa da Gioacchino Murat che donò i beni
immobili all’Ospedale di Foggia. Con concessione del 1231 di Federico II l’
Ordine ricevette una vasta area in territorio di Corneto, ove nel XV secolo fu
edificato un castello, di cui è residuata una Torre, chiamata Alemanna o Torre
La Manna. Di questo genere di case torri, edificate a scopo difensivo, esistono
altri esempi in Capitanata.
Altra importante presenza teutonica
prima della fondazione dell’Ordine è attestata a Brindisi nel 1191-92, essendo
questo uno dei porti più affollati per le Crociate, e quindi meta anche di
Tedeschi. Da questa intensa presenza derivò l’ esigenza di un Ospedale. Tale
edificio non fu fondato dagli Svevi bensì dal loro avversario Tancredi, venendo
ben presto incorporato nell’ Ordine. Così nel 1191 il Maestro Guinaldo chiese
all’arcivescovo Pietro di sistemarsi accanto alla Chiesa di S. Maria sul porto.
Quindi fu costruito l’Ospedale, con l’autorizzazione di Enrico VI, amico
dell’Ordine, e fu titolata ‘la Chiesa a S. Maria dei Teutonici ‘ .
Federico II fece dono di rendite e beni immobili in
riconoscenza delle spese ingenti sopportate da
Cavalieri per la cura degli infermi
e feriti della Crociata. L’ Imperatore donò anche la città di Mesagne, che non
accettò tale imposizione ed aprì un’ aspra polemica con i Cavalieri Teutonici.
Successivamente Federico rioccupò Mesagne sottraendola ai teutonici, provocando
per motivi non chiari un raffreddamento dei rapporti con l’Ordine.
Secondo alcuni autori la nobiltà brindisina, molto
vicina ai Cavalieri Templari che a Brindisi avevano la Percettoria, temevano
che i teutonici diventassero talmente potenti da oscurare l’ influenza
Templare. Altri insediamenti teutonici furono localizzati ad Oria, Ostuni, S.
Maria al Bagno nei pressi di Porto Cesareo, Nardò.
In quest’ ultima località l’ Ordine venne in
contrasto con l’ arcivescovo di Otranto Stefano Pendarelli (martire dei Turchi
ad Otranto nel 1480) che mal sopportava i privilegi dell’Ordine.
Altri possedimenti furono
individuati ad Alessano, Galatone ed in agro di Ginosa, ove esisteva l’ abbazia
di S. Maria, ricevuta dagli agostiniani.
E’ controversa la presenza di una casa teutonica a
Bari. A giudicare dai documenti conservati nell’ Archivio Centrale dell’Ordine
a Vienna, parrebbe di sì. Secondo un autore esisteva già dal 1209 una casa con
Ospedale dell’ Ordine ed una chiesa dedicata a S. Maria degli Alemanni.
Comunque, la presenza teutonica a Bari non è mai stata rilevante, come null’
altro si sa della casa di Monopoli Sita nel quartiere S. Damiano presso la
porta detta di Simino.
Quale importanza rivestiva La Balia (provincia) di
Puglia per l’ Ordine? A parte i fini istituzionali quali la cura dei
confratelli, delle sue chiese ed ospedali, ebbe funzione di approvvigionamento
per la Terra Santa. Non si può affermare con certezza se ed in quale misura il
baliatico pugliese contribuisse alla gestione centrale dell’ Ordine. Riguardo
la consistenza numerica del periodo della prima decadenza dell’Ordine, si
ricava che vi erano 5 fratelli a Barletta, 3 a Corneto, 4 a S. Leonardo di Siponto,
uno a Bari, uno a Foggia, uno a Nardò, due a Brindisi. Il baliatico di Puglia
durò circa trecentocinquantanni ed ebbe fine repentina. Dopo la morte di Stefan
Grube, luogotenente del Procuratore Generale Dietrich von Cuba, il 20 dicembre
1483, il baliatico non fu più restituito all ‘Ordine, Sisto IV lo affidò nel
1484 al Cardinale di Parma, Giovan Giacomo Sclafenato.
E’ stata accertata, invece,
l’importanza sia economico-commerciale sia militare dell’ Ordine in Puglia,
tant’è che nel Duecento questa regione assunse un ruolo di primo piano nell’
Impero, e la Balia pugliese assunse lo strategico ruolo di ponte per tutto l’
Oriente. •
Bibliografia
consultata:
FRANCO
CUOMO, Gli Ordini Cavallereschi, Newton Compton 1992;
ERNST
KANTOROWICZ, Federico 11 imperatore, Garzanti 1988;
T. MASSON,
Federico 11, Rusconi 1993;
KAROL
GORSKI, L’ordine Teutonico, Einaudi 1971;
HENRYK
SAMSONOWICZ, 1 Cavalieri Teutonici, Giunti, Storia-Dossier n. 3-1987;
EUGENIO
TRAVAGLINI: Federico 11 e 1a casa dell’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici in
Gerusalemme, Atti delle giornate Federiciane, Società di Storia patria per la
Puglia, Manduria 1971 p. 181-201;
KURT
FORSTREUTER, Per 1a storia del baliatico dell’ordine Teutonico in Puglia, in
studi di Storia Pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli p. 591-598 vol. II
1973, Congedo, Galatina; PRIMALDO COCO, 1 Cavalieri Teutonici nel
Salento, Taranto 1925;
P. KLEMENS
WIESER, Gli inizi dell’ordine Teutonico in Puglia, in Archivio Storico
Pugliese, anno XXVI, Fasc. 111-1V anno 1973 p. 475-487.
14 neaAgorà
Il.@b-settgnbre
L’ORDINE DEI CAVALIERI TEUTONICI IN PUGLIA
di
Francesco Guida
Uno dei riferimenti tradizionali
della Massoneria, in particolare quella di Rito Scozzese Antico e Accettato,
sono gli Ordini Cavallereschi. In questo ambito si suole trattare,
esclusivamente, dell’ Ordine dei Cavalieri del Tempio, per via del loro esoterismo.
Ma il complesso panorama
cavalleresco non si esaurisce con i Templari, abbracciando nei secoli XII-XIII
anche altri due Ordini di altrettanto grande importanza nella storia europea: i
Cavalieri Ospedalieri o Giovanniti ed i Cavalieri Teutonici.
Questi ultimi, poi, si sa che sono
esistiti ma per quanto si sia scritto, non si conosce gran che se non che
combatterono in Terra Santa e furono i fondatori dell’embrionale Stato
prussiano. Ancor meno si sa che l’ Ordine Teutonico visse in Puglia una
rigogliosa stagione nella prima metà del XIII.
I Cavalieri
Teutonici differivano da tutti gli altri Ordini Cavallereschi per la loro
sensibilità alle identità del gruppo d’ origine, al radicamento dell’ idea
nazionale, contro la dimensione universale degli altri Ordini Cavallereschi.
Templari e Giovanniti accoglievano solo uomini e di diverse nazionalità, i
Teutonici uomini e donne di puro ceppo germanico. Le donne, infatti, escluse da
altri Ordini, erano presenti ed attive, quali benefattrici, nei ranghi teutonici,
per l’assistenza a feriti e malati in Germania. Il G. M. Ermanno di Salza Varie
sono le ipotesi sulla nascita dell ‘ Ordine.
Per qualche autore l’esigenza di costituire l’Ordine è
sorto dalle difficoltà incontrate dai cavalieri tedeschi nell’ entrare negli
ordini Templari e Ospedalieri, formati in numero predominante da francesi ed
italiani. Per altri autori l’ Ordine sorse nel 1127-1128 durante la Prima
Crociata, quando un tedesco iniziò a curare a casa propria i connazionali, casa
che poi trasformò in Ospedale, sito accanto ad una cappella dedicata a Maria
Vergine. Per qualche altro autore il fondatore fu Federico Barbarossa. Per
altri ancora l’ Ordine nacque nel 1189 durante l’ assedio di S. Giovanni d’
Acri, l’ antica Tolemaide da alcuni tedeschi di Brema e Lubecca, dedicati alla
cura dei connazionali. Per qualche altro, infine, l’Ordine fu fondato da
Federico di Svevia, figlio del Barbarossa.
Si è appurato, comunque, con certezza documentale che
ai tempi del Barbarossa, intorno al 1214, esisteva in Gerusalemme l’Ospedale di
Santa Maria dei Teutonici. Tanto, infatti, si ricava dai privilegi riconosciuti
e confermati da Federico II. Alcuni di questi privilegi furono emanati a
Catania nel 1214, a Taranto e Catania nel 1221, a Barletta nel 1229, a Foggia nel
1230.
Come ogni Ordine monastico-cavalleresco quello dei
Cavalieri Teutonici doveva far riferimento ad una Regola. Secondo un autore
(Sanson) inizialmente i Cavalieri Teutonici adottarono la Regola dei Templari,
scritta da Bernardo di Chiaravalle, ma successivamente essa fu abbandonata per
seguire quella dei canonici dello Spirito Santo, che si occupavano di Ospedale,
ed ancora più tardi in Prussia adottarono la Regola dei domenicani della
provincia polacca.
Secondo altro autore inizialmente adottarono la Regola
degli Ospitalieri di S. Giovanni, che in seguito abbandonarono per seguire
quella dei Templari, cui apportarono alcune modifiche. Secondo altro autore
adottarono la Regola di S. Agostino come ordine monastico, e quella degli
Ospitalieri e Templari come ordine cavalleresco.
Tali ipotesi, ognuna parziale in termini temporali, si
integrano senza difficoltà, a partire da quelle del Coco, privilegiato rispetto agli altri
come formazione e fonti (frate dell’ Ordine dei Minimi), in quanto i periodi
temporali risultano diversi.
Come organizzazione I ‘ Ordine era composto in tre
classi, a parte vi erano i monaci onorari, che erano i benefattori, i
cavalieri, i preti ed i serventi, in maggior parte di bassa estrazione sociale.
I cavalieri, classe dominante, col tempo furono privilegiati nelle attività
pratiche rispetto alle contemplative, dispensati da vari obblighi religiosi per
dedicarsi alla guerra ed alla amministrazione. I primi Cavalieri Teutonici
erano spesso ignoranti, con l’obbligo di recitare a memoria il Pater Noster
entro un anno a pena di espulsione. Il Gran Maestro, eletto a vita, era il capo
sia dell’Ordine che della Comunità della sede principale, ma non aveva potere
assoluto.
La decisione era assemblea della comunità del suo castello
per fatti di amministrazione locale, e del Capitolo generale per fatti dell’
Ordine. Non era quello I ‘ unico sistema di controllo. Per il tesoro, urgeva la
Gran Maestro e cavaliere dell’Ordine teutonico di S. Maria di Gerusalemme
segretezza per il suo ammontare, ma per il sigillo, contenuto in un forziere, a
tre serrature era prevista la presenza dei tre possessori delle chiavi per
aprirlo, il Gran Maestro, il Commendatore, il Tesoriere. Nel mese di settembre
di ogni anno il Capitolo generale si riuniva per l’ approvazione dei conti, per
accettare dimissioni e procedere col G.M. alla nomina dei nuovi dignitari.
Qual era la spiritualità dell
‘Ordine Teutonico?
“I Cavalieri Teutonici si distinsero
per una loro quasi morbosa tensione al sacrificio, una vocazione
incontrollabile a ricercare la morte in combattimento, retaggio di una
tradizione pagana che la conversione al cristianesimo non aveva del tutto espurgato
dai suoi miti. Tra i quali sopravviveva la propensione a considerare il
Paradiso stesso come qualcosa di simile al Walalla di Odino, un asilo di
guerrieri e di eroi, al quale la gente comune non poteva aver accesso. Ne
derideva la convinzione che la beatitudine celeste fosse qualcosa di
assolutamente incompatibile con lo spirito di pace, esasperando la diffusa
mistica della morte violenta, inflitta o subita ” (Cuomo).
Un esempio della ferocia in battaglia dei Cavalieri
Teutonici ci viene data da una cronaca dei monaci di Oliwa in Pomerania, quando
fu catturato un nobile pruteno, Pipino, al quale “gli vennero estratte le budella, che furono inchiodate ad un albero, ed
egli fu costretto a correre finché non cadde morto”.
La fortuna dell’
Ordine fu costituita da due alte figure del medioevo, l’imperatore Federico II
e il Gran Maestro dell’Ordine Ermanno di Salza (Hermann von Salza), le cui
vicende storiche ed umane procedono intrecciate per trent’ anni.
Federico influenzò l’ Ordine, come l’ Ordine influenzò Federico.
Ad esempio, Federico trasmise ai cavalieri le sue conoscenze magiche ed
esoteriche. Tali influssi culturali vennero poi esportati dai cavalieri nello
stato prussiano. D’ altra parte si è riscontrato nei castelli federiciani il
modello di quelli dell ‘ Ordine Teutonico in Prussia, che hanno tutti lo stesso
impianto e lo stesso stile, servendo agli scopi stessi del
mezzogiorno d’Italia. Tanto ai
castelli prussiani quanto a quelli italiani mancava l’elemento pittorico
sacrificato ad una monumentalità severa di una struttura rigidamente disegnata,
mirante alla semplicità geometrica.
Ermanno di Salza apparteneva ad una famiglia di
“ministeriales” privilegiata dal Papa e dall ‘Imperatore. Fu il
regista del matrimonio, celebrato a Brindisi, con una folta rappresentanza
teutonica nel novembre 1225, tra Federico e Jolanda, figlia di Giovanni di
Brenne, che fruttando all’Imperatore la corona di re di Gerusalemme, maturò
altri privilegi per l’Ordine. Nel 1224 era alla corte Papale dove veniva
colmato di onori. Rese ancora servigi a Federico nella mediazione con re
Valdemaro di Danimarca, in tal circostanza intuì la possibilità di uno Stato
Teutonico in Europa e legò la sua realizzazione alla abilità diplomatica tra il
Papa e Federico. Infatti iniziò a realizzare il suo disegno ambizioso riuscendo
ad ottenere nel 1220 il privilegio dell ‘ indipendenza dell ‘ Ordine dal potere
temporale, nel contempo insediò I ‘ Ordine in Transilvania fondando città ed
inserendo coloni tedeschi. Godendo di esenzione tributaria riuscì a far
approvare dal Papa il progetto di porre sotto tutela della Curia romana i
teutonici occupati. Quindi divenne padrone del Baltico ed occupò la Prussia,
ove l’Ordine svolse esclusivamente funzioni amministrative. Eppur Ermanno di
Salza non fu il primo Gran Maestro, carica ricoperta da Enrico Walpot di
Basenheim, cui si deve l’insegna dell ‘ Ordine della croce nera su manto
bianco, bensì il quarto, venendo unanimemente considerato il vero fondatore
dell’ Ordine. Morì a Salerno nel 1239 e venne sepolto nella Chiesa dell’ Ordine
a Barletta.
Dopo la sua gestione, il livello
morale dell ‘ Ordine degradò rapidamente. Una dispensa concessa da Papa
Alessandro IV al G.M. Pappo di Osterna consentiva all ‘ Ordine di ricevere
nuovi membri, esonerandoli dal noviziato di sei mesi imposto dalla regola, del
resto non molto esigente; concesse ai sacerdoti dell’ Ordine la facoltà di
assolvere gli autori di incendi e saccheggi, che dopo l’ingresso nell’Ordine
per liberarsi dalle loro responsabilità, fossero tornati alle loro case ed
avessero ripreso il loro antico modo di vivere lasciando all ‘ Ordine il frutto
delle loro rapine.
Lo Stato
Teutonico finì nel 1561, ma l’Ordine ha perpetuato la sua esistenza sino ad
oggi. Il G. M. risiede ancor oggi a Vienna ed oltre alle attività religiose l’
Ordine coordina una missione culturale e si dedica allo studio del proprio
passato. Comunque, l’Ordine cessò di avere un ruolo nella storia europea nel
XVI secolo quando non ci fu più spazio per una istituzione fondata sull ‘ideologia
cavalleresca.
Gli Insediamenti in Puglia
La presenza dei Cavalieri Teutonici in Puglia è
attestata ancor prima della Costituzione dell’ Ordine. Infatti, nel 1197 vi è
traccia di tali presenze nell’Ospedale di San Tommaso presso Barletta. Lì si
costituì la casa principale, tanto che vi furono trasferite ed inviate le
spoglie del Gran Maestro Ermanno di Salza.
Quando l’Ordine incorporò l’abbazia agostiniana Sita
su una collina presso Siponto, l’odierna Manfredonia, il centro degli interessi
si spostò a nord di Barletta. Il periodo di fondazione risalirebbe a cavallo
dei secoli XI-XII ad opera dei monaci agostiniani. Verso la fine del 1200
1’abbazia fu ceduta ai Cavalieri Teutonici, che l’ottennero senza difficoltà in
quanto a quell’epoca questi avevano adottato la regola agostiniana. Col tempo
l’ abbazia si arricchì di beni immobili al punto tale da essere considerata la
più ricca d’Italia. La sua decadenza iniziò nella seconda metà del XIV secolo
per poi concludersi nel 1809, soppressa da Gioacchino Murat che donò i beni
immobili all’Ospedale di Foggia. Con concessione del 1231 di Federico II l’
Ordine ricevette una vasta area in territorio di Corneto, ove nel XV secolo fu
edificato un castello, di cui è residuata una Torre, chiamata Alemanna o Torre
La Manna. Di questo genere di case torri, edificate a scopo difensivo, esistono
altri esempi in Capitanata.
Altra importante presenza teutonica
prima della fondazione dell’Ordine è attestata a Brindisi nel 1191-92, essendo
questo uno dei porti più affollati per le Crociate, e quindi meta anche di
Tedeschi. Da questa intensa presenza derivò l’ esigenza di un Ospedale. Tale
edificio non fu fondato dagli Svevi bensì dal loro avversario Tancredi, venendo
ben presto incorporato nell’ Ordine. Così nel 1191 il Maestro Guinaldo chiese
all’arcivescovo Pietro di sistemarsi accanto alla Chiesa di S. Maria sul porto.
Quindi fu costruito l’Ospedale, con l’autorizzazione di Enrico VI, amico
dell’Ordine, e fu titolata ‘la Chiesa a S. Maria dei Teutonici ‘ .
Federico II fece dono di rendite e beni immobili in
riconoscenza delle spese ingenti sopportate da
Cavalieri per la cura degli infermi
e feriti della Crociata. L’ Imperatore donò anche la città di Mesagne, che non
accettò tale imposizione ed aprì un’ aspra polemica con i Cavalieri Teutonici.
Successivamente Federico rioccupò Mesagne sottraendola ai teutonici, provocando
per motivi non chiari un raffreddamento dei rapporti con l’Ordine.
Secondo alcuni autori la nobiltà brindisina, molto
vicina ai Cavalieri Templari che a Brindisi avevano la Percettoria, temevano
che i teutonici diventassero talmente potenti da oscurare l’ influenza
Templare. Altri insediamenti teutonici furono localizzati ad Oria, Ostuni, S.
Maria al Bagno nei pressi di Porto Cesareo, Nardò.
In quest’ ultima località l’ Ordine venne in
contrasto con l’ arcivescovo di Otranto Stefano Pendarelli (martire dei Turchi
ad Otranto nel 1480) che mal sopportava i privilegi dell’Ordine.
Altri possedimenti furono
individuati ad Alessano, Galatone ed in agro di Ginosa, ove esisteva l’ abbazia
di S. Maria, ricevuta dagli agostiniani.
E’ controversa la presenza di una casa teutonica a
Bari. A giudicare dai documenti conservati nell’ Archivio Centrale dell’Ordine
a Vienna, parrebbe di sì. Secondo un autore esisteva già dal 1209 una casa con
Ospedale dell’ Ordine ed una chiesa dedicata a S. Maria degli Alemanni.
Comunque, la presenza teutonica a Bari non è mai stata rilevante, come null’
altro si sa della casa di Monopoli Sita nel quartiere S. Damiano presso la
porta detta di Simino.
Quale importanza rivestiva La Balia (provincia) di
Puglia per l’ Ordine? A parte i fini istituzionali quali la cura dei
confratelli, delle sue chiese ed ospedali, ebbe funzione di approvvigionamento
per la Terra Santa. Non si può affermare con certezza se ed in quale misura il
baliatico pugliese contribuisse alla gestione centrale dell’ Ordine. Riguardo
la consistenza numerica del periodo della prima decadenza dell’Ordine, si
ricava che vi erano 5 fratelli a Barletta, 3 a Corneto, 4 a S. Leonardo di Siponto,
uno a Bari, uno a Foggia, uno a Nardò, due a Brindisi. Il baliatico di Puglia
durò circa trecentocinquantanni ed ebbe fine repentina. Dopo la morte di Stefan
Grube, luogotenente del Procuratore Generale Dietrich von Cuba, il 20 dicembre
1483, il baliatico non fu più restituito all ‘Ordine, Sisto IV lo affidò nel
1484 al Cardinale di Parma, Giovan Giacomo Sclafenato.
E’ stata accertata, invece,
l’importanza sia economico-commerciale sia militare dell’ Ordine in Puglia,
tant’è che nel Duecento questa regione assunse un ruolo di primo piano nell’
Impero, e la Balia pugliese assunse lo strategico ruolo di ponte per tutto l’
Oriente. •
Bibliografia
consultata:
FRANCO
CUOMO, Gli Ordini Cavallereschi, Newton Compton 1992;
ERNST
KANTOROWICZ, Federico 11 imperatore, Garzanti 1988;
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Federico 11, Rusconi 1993;
KAROL
GORSKI, L’ordine Teutonico, Einaudi 1971;
HENRYK
SAMSONOWICZ, 1 Cavalieri Teutonici, Giunti, Storia-Dossier n. 3-1987;
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TRAVAGLINI: Federico 11 e 1a casa dell’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici in
Gerusalemme, Atti delle giornate Federiciane, Società di Storia patria per la
Puglia, Manduria 1971 p. 181-201;
KURT
FORSTREUTER, Per 1a storia del baliatico dell’ordine Teutonico in Puglia, in
studi di Storia Pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli p. 591-598 vol. II
1973, Congedo, Galatina; PRIMALDO COCO, 1 Cavalieri Teutonici nel
Salento, Taranto 1925;
P. KLEMENS
WIESER, Gli inizi dell’ordine Teutonico in Puglia, in Archivio Storico
Pugliese, anno XXVI, Fasc. 111-1V anno 1973 p. 475-487.
INCONTRO CON VITTORIO GNOCCHINI NEO DIRETTORE DELL’ARCHIVIO STORICO DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA
Note biografiche
Vittorio Gnocchini è nato a Terni il 28 luglio 1942; sposato con tre figli, risiede da 25 anni in provincia di Arezzo. Dirigente di aziende industriali, attualmente è uno degli amministratori e direttore di una società commerciale.
Da circa trent’anni studia il Risorgimento del nostro Paese. Passando attraverso la storia militare e delle armi dell’ottocento italiano, Garibaldi e le formazioni garibaldine, su cui ha scritto dei brevi saggi, si è avvicinato, dopo la sua Iniziazione Massonica, fatalmente allo studio della storia della Massoneria.
Iniziato Libero Muratore il 5 maggio 1969, nel 1971 risolleva le Colonne della Massoneria Ternana, fondando la Loggia Tacito no 740, all’Oriente di Terni.
Nel 1994 da alle stampe “Almanacco Massonico – Fatti di cronaca italiana – 1725/1994” con la presentazione del Ven.•.mo Gran Maestro, avv. Virgilio Gaito, nei tipi dell’Editore Pontecorboli di Firenze. Ha scritto, in collaborazione con il prof. Telesforo Nanni, la storia della Massoneria a Terni. A breve è prevista la pubblicazione della prima delle tre parti.
Di prossima pubblicazione sarà “11 Grande Atlante delle Logge Italiane dal 1731 al 1931 un’opera poderosa alla quale sta lavorando da oltre dieci anni.
Collabora alle Riviste “Agorà”, a cura del Collegio Circoscrizionale dei MM.•. VV.’. della Puglia, e “11 Laboratorio” a cura del Collegio Circoscrizionale dei MM.•. VV.•. della Toscana.
Organizza e presenta i convegni di studio di Sansepolcro, che si tengono ogni anno presso la Sala Consiliare del Comune, sotto gli auspici della R.•.L.•. Alberto Mario no 121, alla quale appartiene come membro effettivo.
Ha tenuto conferenze a studenti e docenti di liceo su Risorgimento e Massoneria.
A quale esigenza risponde l’istituzione di un archivio?
Un archivio raccoglie, per definizione, atti e documenti pubblici o privati di un ente amministrativo, un’azienda, un istituto culturale o di singole famiglie. Deve quindi assolvere l’esigenza della consultazione a storici e studiosi.
Puoi descriverci la consistenza attuale dell’Archivio?
L’Archivio Storico del Grande Oriente d’Italia ospita i documenti ufficiali dai primi anni del 1800 al 1925, ovvero dalla massoneria napoleonica all ‘autoscioglimento delle Logge del Gran Maestro Domizio Torrigiani. Custodisce inoltre una serie di fondi che, oltre ad aver aumentato quantitativamente la portata dell’Archivio, in parte riescono a sopperire i vuoti causati dalle vicissitudini nel tempo subite nel nostro
Paese dal Grande Oriente d’Italia. Tali fondi provengono da donazioni e acquisizione effettuate dal G. • in tempi diversi. A tutto ciò si aggiunga una consistente raccolta di giornali dal 1864 al 1925.
Ho ritenuto opportuno far richiesta al Ven. •.mo Gran Maestro di spostare il termine ultimo di competenza dell’Archivio dal 1925 al 1960, in quanto nel periodo del dopoguerra, che va dal 1944 al 1960, la Massoneria Italiana ritrova una sua pressoché definitiva stabilità. Inoltre , in tal modo, sarà possibile inserire nell’Archivio anche il Fondo Piazza del Gesù, che contiene documenti dal 1944 al 1973, anno in cui venne firmato il Protocollo di Riunificazione Salvini – Bellantonio.
Hai seguito un tuo programma di riorganizzazione o hai continuato a seguire le precedenti impostazioni?
Era stato iniziato dai miei Predecessori un primo riordino dei documenti e in parte l’inventario. Se avessi dovuto iniziare “ex novo”, probabilmente avrei dato un’impostazione diversa. Allo stato attuale sarebbe stato ingiusto e fuori luogo vanificare gli sforzi e l’impegno profuso da .chi, prima di me, si è occupato dell’Archivio. Pur continuando, in linea di massima, su quella falsariga, ho voluto però sfruttare i mezzi che la tecnologia oggi ci mette a disposizione: abbiamo approntato infatti un programma di database per la registrazione computerizzata di tutti i documenti, al fine di reperire con immediatezza I ‘ubicazione di tutte le “carte” relative ad ogni ricerca. Inoltre stiamo valutando l’opportunità di affidare ad istituti specializzati il restauro di molti documenti, prima ancora di essere catalogati e ubicati, per salvarli dall’incuria del tempo e degli uomini.
E’ possibile un raccordo sinergico con gli archivi di altre Famiglie massoniche italiane e di altre Potenze Estere per scambi documentali, o più in generale, per scambi culturali?
Innanzi tutto dobbiamo renderci conto che quello del Grande Oriente d’Italia è I ‘Archivio Storico della Massoneria Italiana. In esso troviamo testimonianze, più o meno rilevanti, anche di altre Obbedienze che in due secoli si sono affacciate sul territorio nazionale. Tuttavia, ciò non significa che dobbiamo chiuderci in una torre d’avorio. Al contrario, ritengo importante tenere contatti sempre più stretti con altre Famiglie massoniche. Personalmente da anni, ormai, ho rapporti con eminenti studiosi della Serenissima Gran Loggia, meglio conosciuta come Piazza del Gesù, con i quali esiste un serio e sincero rapporto di scambio di informazioni e documentazioni. Spesso siamo citati nella loro bella Rivista “Officinae”. Per quanto riguarda i rapporti con Potenze Massoniche Estere, li ritengo egualmente importanti. Ricordiamoci che molto della nostra storia settecentesca è depositata negli archivi massonici europei: in Francia, Olanda, Belgio, ecc. Dovremmo iniziare, quanto prima, una collaborazione di interscambio con tali Comunioni, tenuto anche conto che già alcuni nostri Fratelli hanno iniziato a prendere contatti con i responsabili degli Archivi di quei Paesi.
Esiste una sensibilità da parte del Governo dell’Ordine per la soluzione dei problemi che potresti incontrare nello svolgimento del tuo lavoro e per il recupero di carteggj presso qualche erede di Massoni?
Devo affermare che da parte del Ven. •.mo Gran Maestro e del Suo Delegato per la Cultura il Ven. •.mo Gran Maestro Aggiunto, Fr.•. Mario Rigato, ho trovato la massima disponibilità e collaborazione nel risolvere i problemi più urgenti e far si che I ‘Archivio non diventi un ammasso di carte, ma uno strumento vivo e vitale, utile a studiosi e ricercatori di due secoli di storia italiana, perché di questo si tratta; la storia della Massoneria corre sulla stessa strada della storia d’Italia e di essa è parte integrante e imprescindibile.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, posso affermare che sono stati presi già contatti con gli eredi e attuali proprietari perché vengano acquisiti Archivi privati e carteggi di Massoni illustri purtroppo passati all’Oriente Eterno. Pur non potendo ancora rendere noti i nomi, per ovvii motivi di opportunità e riservatezza, ritengo che a breve possa essere data per certa la conclusione in modo positivo.
Quanto e come I ‘Archivio Storico può essere un mezzo per far conoscere nel mondo profano la nostra Istituzione?
Purtroppo una irresponsabile informazione dei mass-media ha determinato nell ‘ opinione pubblica considerazioni che poco hanno a che fare con la nostra Istituzione. Ritengo che la Massoneria possa e debba uscire allo scoperto con programmi sempre più intensi, rivolti a manifestazioni culturali e I ‘Archivio Storico, anche in tal senso, può essere un valido aiuto. Da tempo registriamo che non solo il Grande Oriente d’Italia, ma anche Collegi Circoscrizionali dei Maestri Venerabili, e singole Logge, organizzano sempre con maggior frequenza e incisività, convegni di studio di eccellente livello culturale, i cui i relatori, massoni e profani, si rivolgono a platee sempre più vaste, allo scopo di far cadere una volta per tutte preconcetti e preclusioni di ordine ideologico, politico e religioso sulla nostra Istituzione.
La tua opinione sulla storiografia massonica attuale. E’ più affidabile, sotto il profilo dell’obiettività e della completezza una ricerca di uno storico-profano ovvero di un massone appassionato di storia delle radici della propria identità?
E’ un falso problema. Cominciamo col dare una definizione, la mia definizione: lo storico ha la funzione di riferirci, documentandoli, i fatti supportato dalla propria “scienza e coscienza”, ma descrive uno scenario dal suo punto di vista, frutto di considerazioni personali che non sempre possono collimare con altri, ugualmente coscienziosi. Su questa base l’affidabilità è sicuramente totale, sia che venga data un’aggettivazione che l’altra al sostantivo “storico”. Altra cosa è invece parlare di conoscenza della Massoneria, nella sua essenza, nei suoi canoni mai scritti ma osservati e tramandati fino a noi; allora per comprenderla è necessario farne parte e apprendere con un lungo lavoro di ricerca introspettiva quei “segreti” che nessuno mai ha potuto rivelare, anche volendolo. • effegi
Nel vasto panorama dei mass-media ed in particolare
delle pubblicazioni a carattere sociale, politico e filosofico, ma anche di
costume, confessionale e di vario genere, viene purtroppo ancora affrontato e
dibattuto ciò che possiamo definire un falso problema che riguarda la
“ingenua” (ma forse non proprio) commistione che spesso viene fatta
tra evoluzione e fede (anche in senso lato), e di conseguenza tra scienza e
religione, ricerca scientifica e “morale”, tra realtà e concetti
astratti ed ipotesi. Il problema — ammesso poi che tutto questo sia un vero e
proprio problema da risolvere è piuttosto vecchio, anzi molto vecchio direi,
discusso e “rifritto” più volte, ma forse non mai abbastanza visto
che si ritorna spesso a parlarne ed è bene quindi, se possibile, chiarire
ancora una volta i termini (e non sarà poi nemmeno l’ultima). Difficile
comunque riuscire a districarsi qui• — in questo contesto ed in questo nostro
ambito— perché l’analisi dovrà essere abbastanza superficiale e forzatamente
sintetica.
Tutti i Fratelli interessati potranno però trovare
ovunque letture più ampie, dettagliate ed adeguate. Se si riterrà di
“condividere” la cosiddetta teoria evoluzionistica e saremo quindi
più orientati in senso scientifico, sarà opportuno rivolgersi, per confronto e
riprova, verso tutte quelle pubblicazioni che trattano questioni di teologia e
di “fede” in genere, mentre se il nostro orientamento sarà più
definibile come religioso o confessionale (da tutti i punti di vista), la
nostra attenzione dovrà essere rivolta allora a tutti quei libri che trattano
la scienza, la tecnica e, se abbiamo anche tanta buona volontà ed interesse,
pure la filosofia della scienza. Questi due modi di vedere (punto di vista
“evoluzionistico” e punto di vista “fideistico”) sembrano
apparentemente — e secondo l’opinione di molti autorevoli “studiosi — in
opposizione, ma non è così, anzi non hanno proprio alcuna relazione l’un con l’
altro.
L’ambito religioso
Non è certo il caso di scomodare qui la figura di
Niccolò Copernico, di Isaac Newton, ma più che altro quella di Galileo Galilei,
o di altri grandi scienziati del passato — Charles Darwin o Albert Einstein
compresi — ma certo chi conosce un po’ la storia dell’ uomo sa da quanti secoli
i “cultori” dell’ immobilismo, dei dogmi e della tradizione (mi
riferisco alla tradizione, quella ad oltranza e non compresa nella sua essenza)
si appellano alla religione, ed impropriamente a Dio (ma anche ad altri
concetti), per impedire lo sviluppo del pensiero umano, della cultura in genere
e dell’evoluzione. Se questi cultori avessero avuto sempre e comunque partita
vinta oggi noi vivremmo ancora sulle palafitte nelle paludi in mezzo alla
malaria, o nelle caverne o sugli alberi delle grandi praterie. Tutti coloro che
fanno riferimento alla Bibbia, alla Genesi ed in genere ad un testo sacro di
una delle tante nostre religioni o pseudo-filosofie anche correnti, per
trattare in un qualsiasi contesto di scienza e di evoluzione, o è in malafede o
non ha capito proprio nulla né delle “Sacre Scritture” né tanto meno
di cosa sia la ricerca scientifica e la scienza in genere, compreso tutto il
loro complesso sistema di indagine e di studio.
Non sono certo un teologo, né dilettante né tanto
meno di professione (sono probabilmente molto più vicino al mondo scientifico
che a quello religioso), ma ho appreso dai libri e dalle parole dei miei
pastori (per chi non lo sapesse io non sono cattolico, ma divenni a suo tempo
protestante, anche perché questo “tipo di fede” è secondo me
eticamente molto più “massonico” dell’ altro) che i Libri Sacri sono
stati scritti in epoche molto remote, certo sotto l’ispirazione divina, ma
compilati e scritti materialmente da uomini, con usi e costumi certamente
differenti da quelli nostri attuali. Questi Libri ebbero — ma lo hanno pure
oggi — una funzione religiosa e divina, ma direi principalmente sociale e
politica, e nel tempo e nei secoli furono selezionati, forse manomessi ed anche
modificati, da altri uomini, che ne ritennero poi “buoni” alcuni e
“meno buoni altri”.
I cosiddetti buoni formano oggi il Vecchio ed il
Nuovo Testamento, la nostra Bibbia, la
fonte di ispirazione spirituale per ogni cristiano, una nostra guida morale, la
trascrizione della parola di Dio, anche se la differenza di origine, di
compilazione appunto e di data hanno provocato qualche incertezza e molte
incoerenze e vere e proprie contraddizioni all’interno della Bibbia stessa. Tra
l’altro queste incongruenze nei nostri testi sacri — non recepite in modo corretto
— hanno appunto mandato in crisi, specialmente in passato, ma anche oggi,
santi, teologi, filosofi, studiosi e semplici credenti sconcertati e forse
anche delusi da alcuni discutibili atteggiamenti del nostro Dio.
L’ambito
scientifico
La ricerca scientifica, alla quale si attribuiscono
spesso e molto gratuitamente efferatezze, disastri, immoralità ed atrocità di
ogni genere (tipo bomba atomica; esperimenti su animali ed anche sull ‘uomo,
dannosi ed inutili cosiddetti di “vivisezione” o di “bioetica”;
inquinamenti di vario tipo, e così via) è proprio tutt’ altra cosa. Tra l’
altro voler avvicinare la parola di Dio alla ricerca scientifica potrebbe anche
rasentare — secondo alcuni credenti — un ‘ operazione piuttosto blasfema. La
scienza si occupa evidentemente di ben altre cose, non certo di religione o di
fede, non è assolutamente il suo campo, semmai delle ragioni per le quali una
mela cade a terra da un albero o perché un pendolo ha un certo tipo di
oscillazione, tenta di scoprire quali sono le leggi della frasmissione dei
caratteri ereditari negli esseri viventi, come sfruttare meglio le risorse
umane e naturali senza peraltro distruggere la natura stessa della quale è
parte integrante, come alleviare la fatica dell’uomo, e così via.
E questa “occupazione” non è certo un
fenomeno ed una posizione solo dell ‘uomo di oggi: è da quando è iniziata la
nostra storia che sappiamo che l’umanità si è mossa in quella certa direzione
definita “evolutiva”, selezionata poi ed affermatasi nel tempo sicuramente
perché vantaggiosa per la specie umana. Basta pensare alla selezione delle
razze animali anche se pur fatta un tempo empiricamente, alla ruota, ai piani
inclinati, all’aratro, all ‘utilizzazione delle leggi di gravità anche se non
ancora definite, e così via. Pure il monaco agostiniano Gregorio Mendel si
occupò verso la metà del secolo scorso, in Boemia, dell’ ibridazione di piselli
dando origine e gettando le basi di quella che oggi noi definiamo
“genetica” (ma lui ancora non lo sapeva) e non credo proprio che gli
sia mai passato per la mente di pensare alla Genesi o comunque di mescolare Dio
con i legumi.
Spesso fingiamo (o forse siamo distratti) di
scandalizzarci per operazioni di “ingegneria genetica” solo quando
“fa fino” o “stimolati da altri” o “ci fa comodo”,
o viene “toccato” l’uomo in generale o noi stessi da vicino; solo
allora ci appelliamo impropriamente a Dio ed alla Genesi o ad un certo tipo di
“morale” non meglio identificata e comunque sfuggente. Forse c’è in
tutti noi una specie di ipocrisia, latente o palese, ma pur sempre presente. E
un po’ come quando fingiamo di scandalizzarci per la corruzione e le cosiddette
tangenti, pur sapendo che si tratta di un costume nazionale diffuso a tutti i
livelli e quindi “accettato” e sfruttato da tutti; ed è proprio come
quando poi al mercato — pur autodefinendoci “ecologici” — preferiamo
acquistare le arance senza semi, pretendiamo le mele senza bachi, la carne
tenera e saporita ed il pane ed il vino di nostro gradimento. Questo argomento
sarebbe piuttosto lungo da trattare.
Tra l’altro, è oggi di attualità — anzi di moda — la
cosiddetta “clonazione della pecora” che sembra abbia sconvolto il
sonno di qualcuno. Lo sappiamo molto bene tutti che l’uomo da tempo manipola
geneticamente qualsiasi cosa abbia a portata di mano per poter sfruttare meglio
le risorse a sua disposizione e quindi pecore, cani, cavalli, mais, cereali,
agrumi e così via. E quando riesce in una di queste imprese, essa viene
considerata una grande conquista e nessuno si scandalizza. Sono a testimonianza
di ciò le immense distese di monoculture, in Ukraina ed USA, a grano o
granturco (si sono selezionate e create delle pannocchie di misura spropositata
con un rendimento inimmaginabile solo pochi decenni fa), poi ci sono le razze
di cavalli da corsa, i cani da caccia, i vitelli e polli di allevamento, gli
animali da pelliccia e potremmo fare un elenco senza fine.
Ricordiamoci comunque che lo studio dei molteplici
meccanismi e delle leggi che regolano la natura sono un fatto completamente a
sé stante: i processi e le reazioni chimiche non hanno niente in comune con la
parabola del buon Samaritano, né tanto meno le modalità di trasmissione della
corrente elettrica o la struttura elicoidale del DNA — che è alla base della
vita — hanno qualcosa a che vedere con il Sermone sul Monte, o con parabole,
Salmi o qualsiasi altro passo della Bibbia tramandataci da oltre duemila anni,
o con le “sùre” del Corano o di altri testi sacri, se qualcuno
preferisce.
Un esame
della situazione
Voler a tutti i costi avere la presunzione di
trovarvi una relazione tra queste due entità: la scienza e la fede in genere —
come del resto molte delle religioni anche oggi indebitamente hanno l’abitudine
di fare, usando violenza alla società laica e civile — è solo una insana
invenzione di pochi teologi presumibilmente disoccupati (o peggio, se fossero
pagati), di giornalisti, sociologi e filosofi in cerca di notizie più o meno
sensazionali o politici che tentano un’affermazione personale per sbarcare il
lunario, ma non è certo un qualcosa di serio che possa aiutare l’uomo nello
sviluppo della sua vita, sia interiore sia anche materiale, ma è solo un
madornale errore di valutazione e di suddivisione di compiti. Insistendo in
questa deprecabile direzione si contribuisce solo ad aumentare il caos che
esiste nella nostra sconquassata ed inquieta società, ad alimentare bigottismi,
fondamentalismi e simili sventure, che non sono presumibilmente atteggiamenti
tipici di una società civile. Si aiuta, caso mai il prossimo, proprio a non
capire e ci si creano arbitrariamente e gratuitamente, con la nostra grande
fantasia, problemi che non esistono affatto.
Se noi tutti abbiamo la possibilità di pensare, il
coraggio di scrivere o parlare, per essere letti, ascoltati e compresi• —
scambiandoci pure tranquillamente la nostra opinione — abbiamo anche il dovere
di aiutare il nostro prossimo nella soluzione di problemi esistenziali, con
chiarezza ed onestà, confortati certo dalla nostra eventuale fede più o meno
forte in un qualsiasi Dio, ma anche dalla certezza di un futuro mondo migliore
anche in ambito laico e quindi “non confessionale”. Questa
commistione tra “sacro” e “profano” continua comunque a
turbare, ed ha sempre turbato, inutilmente, la coscienza umana, con i suoi
tabù, i suoi divieti, i peccati, le punizioni e comunque a quant’ altro
ritenuto utile ad impedire lo sviluppo del pensiero e della vita
“libera” dell’uomo; ed è chiaro che questa “tendenza” non è
altro che la ricerca, più o meno utile, del mantenimento del “potere”,
di un qualsiasi potere.
Tra l’ altro — come breve inciso — vorrei accennare al
fatto che non è solo il “sacro” — inteso nel senso comune di
“religioso” — a voler interferire scandalosamente nell’ ambito
scientifico, ma si intromette anche il mondo “laico” e
“politico”, sempre da considerare però come “fede” in una
qualsiasi ideologia, ed insieme anche a quello definibile
“socio-imprenditoriale”. In proposito, faccio qui velocemente un
esempio che ritengo molto pertinente e non so se qualcuno dei lettori ne è già
al corrente. In un passato abbastanza recente Giuseppe Stalin — il noto
dittatore sovietico — indusse il genetista russo Trofim Denisovic Lysenko
(1898-1976) a studiare una teoria genetica sull’ereditarietà dei caratteri per
suo esclusivo uso e consumo e che facesse il “gioco” della sua
politica più o meno sociale e marxista e della sua “filosofia”. Alla
base di questa teoria c’ era la tesi (evidentemente “inventata” ed
elaborata solo per l’occasione) che l’ereditarietà dei caratteri sarebbe stata
influenzata da fattori ambientali (tesi che potrebbe forse essere anche vera,
ma non certo a “breve scadenza”, semmai nel corso di migliaia o
milioni di anni).
La teoria di Lysenko si dimostrò subito
fallimentare come già era stato sostenuto e previsto dai genetisti cosiddetti “occidentali”
e la conferma fu data facilmente dal tentativo di applicarne i risultati in
agricoltura. In ambito scientifico internazionale il “caso Lysenko”
fece scalpore a suo tempo — per alcuni uomini politici fu addirittura una ghiotta
occasione di ilarità e di strumentalizzazione— ed è comunque molto noto a tutti
gli “addetti ai lavori”. L’argomento fu subito chiuso e Lysenko
rimarrà nella storia della genetica proprio per questo suo
“infortunio” che rimane però pur sempre un esempio lampante di queste
sconvenienti situazioni ed arbitrarie interferenze. Anche noi non ci
intratterremo più a lungo su questo “tipico” esempio anche se
potrebbe dar luogo ad interessanti riflessioni.
Purtroppo però, anche attualmente la situazione è piuttosto
“paradossale” e pesante. Pure l’ ONU che dovrebbe avere il compito,
almeno teoricamente, di essere “al di sopra delle parti” tutelando
l’interesse di “tutti”, cade in questa specie di trappola e di
contraddizione, dando ascolto solo a certi e discutibili tipi di interpretazione.
Il Comitato Bioetico Internazionale dell’UNESCO (IBC), per esempio, dà ampio
spazio alle componenti religiose e confessionali in genere, nei vari comitati
di studio costituiti e contribuisce quindi in maniera “autorevole” ad
avallare questa confusione. Dovremmo, in ultima analisi, ma comunque sempre
prima di intraprendere un qualsiasi esame, decidere se vogliamo accettare per
forza e acriticamente — per poi discuterli inutilmente — i dettami di una o più
religioni e quindi tollerare dogmi e preconcetti, oppure se riteniamo al di
fuori del problema l’ intromissione delle opinioni di confessioni e di fedi di
vario tipo, lasciando quindi 1a strada “aperta” senza alcunché di
pregiudizievole disposti, secondo una delle migliori regole scientifiche e
filosofiche, a non affezionarsi troppo alle nostre idee, ma disposti invece ad
abbandonarle o modificarle se necessario e se dimostrato che sono in
attendibili o non più attuali o “false”.
Ma c’è di più ed è quasi incredibile e sbalorditivo. In
queste commissioni dell’ ONU sono stati invitati a farne parte, oltre i gruppi
religiosi già citati, anche sindacati e rappresentanti del mondo degli affari.
Un grande “calderone” cioè di incompetenti che, per il solo fatto di
aver accettato di farne parte, hanno anche la presunzione — su quale base non è
dato di sapere — di discutere (e su questo non ci sarebbe niente da dire) e
decidere sui “destini” della scienza e dell’evoluzione umana. C’ è
anche il probabile caso che questi signori si ritengano pure, come si dice oggi,
“ecologisti” e difensori certamente incompetenti della natura (di una
“natura pura e incontaminata” come spesso viene definita), ma non
certo del progresso umano, della evoluzione della nostra specie, del
miglioramento della vita dell ‘uomo e della conservazione nel tempo dell’
ambiente nella sua globalità.
Non sembra, per esempio, e fino a prova contraria, che
“il mondo degli affari” in generale abbia mai preso in seria
considerazione l’opportunità della difesa dell’ambiente (anzi non si è mai
posto questo problema e se lo ha fatto è stato solo perché ne è stato
costretto), con i suoi traffici secolari e pirateschi sul legname, le miniere e
le risorse di vario tipo, il grasso di balena e la pesca sfrenata, le zanne
degli elefanti, lo sterminio degli animali da pelliccia e così via, ma mirato
piuttosto ai suoi più o meno “leciti” profitti. Così come appare
surreale ed assurdo, in queste commissioni, l’inserimento della componente
sindacale, senza con questo voler in alcun modo sottovalutare il mondo
“operaio” o la componente del mondo del lavoro.
Rimanere quindi immobili, chiusi, sordi e ciechi: questo
sembra un ordine emanato, ma da chi? Non certo dalla natura ma solo dall’uomo:
basta osservare intorno la vita che ci circonda per rendersene conto. E l’uomo
che sta distruggendo tutto e sta autodistruggendosi, dopo aver alterato
repentinamente — in questi ultimi millenni — un certo tipo di equilibrio
costituitosi sulla Terra nel corso di milioni di anni. Forse, ma è solo un’
opinione personale, il troppo tempo libero che abbiamo oggi a disposizione
invece di contribuire a rendere l’uomo più “intelligente” e quindi a
trovare le soluzioni migliori per se stesso e per gli altri, lo riduce invece
ad inventarsi problemi inutili o a “masturbarsi mentalmente” come volgarmente
si usa dire, per impiegare in qualche maniera il molto tempo libero che ormai
ha a sua disposizione inutilizzato.
La
posizione della Massoneria
E la nostra Istituzione come riteniamo si debba collocare
in tutta questa vicenda che in qualche maniera è anche di estrema attualità, e
quale posizione avrebbe il dovere di assumere il libero muratore in una
problematica di questo tipo, rispettando necessariamente equidistanza ed
obiettività tra le due posizioni in questione? Indubbiamente la componente massonica
ha un suo duplice aspetto, come più volte è stato ripetuto: una spirituale,
esoterica, interiore, morale, filosofica, religiosa e così via, ma più che
altro di fede (non certo dogmatica, ma di fede “aperta”) in un Grande
Architetto dell’Universo; ed una componente più “terrena”, definibile
come operativa, appunto “evolutiva”, proiettata nel futuro e che si
accompagna ed asseconda in modo “civile” ed intelligente l’evoluzione
e partecipa attivamente alla “rivoluzione” sempre in atto
(rivoluzione nel senso di “cambiamento” anche repentino e non certo
“terroristico”, ma piuttosto mirato al miglioramento della società ed
alle condizioni di vita dell ‘uomo).
Questi due aspetti — come già accennato in precedenza— non sono certo
in contraddizione tra loro, anzi sono complementari, proprio perché l’uomo è
strutturato e quindi condizionato per sua natura, senza possibilità di scampo,
da queste due componenti inscindibili. Questo tipo di complementarità ed
ambiguità dell’uomo, c’è da ritenere che siano proprio la sua forza, in quanto
egli è sempre capace, all’occorrenza ed in qualsiasi situazione, di assumere
posizioni ed atteggiamenti differenti, anzi apparentemente proprio in
contraddizione, ma gli permettono però sempre, in qualche maniera, di venirne
fuori e di sopravvivere. Da un lato c’è la nostra cultura, la tradizione e
l’educazione che ci portano a mantenere immutato ciò che noi abbiamo ereditato
e da tutti i punti di vista (cioè da un punto di vista genetico, ma anche
culturale) e tutto questo perché
l’uomo si sente sempre
più sicuro nel percorrere strade già percorse e quindi sperimentate e più
“affidabili”. Dall’altro, il nostro istinto di “scimmione”
arrivato in città dalle grandi praterie e dalle savane è un essere molto
curioso, giocherellone, che cerca di sopravvivere in modo molto
“economico”, cioè spendendo meno che può energie e fatiche; e quindi
uno dei suoi modi principali di sopravvivenza è lavorare poco, sfruttare il più
possibile la natura che lo circonda ed inventare tutto ciò che lo solleva dal
sudore e dallo sforzo fisico, anche se poi, paradossalmente, è costretto a
recarsi in palestra o a correre per viali e giardini nell’inutile intento di
smaltire le energie che ha risparmiato sul lavoro, che non ha consumato e che
potrebbero essere per lui dannose se inutilmente accumulate.
Queste due componenti ci fanno apparire però, proprio come
effettivamente siamo, cioè quegli uomini attuali che, avendo come punto di
partenza — almeno nel nostro mondo occidentale— la nascita di Cristo, ci consideriamo
vicini alla soglia del cosiddetto terzo millennio, ma non abbiamo capito ancora
con quali risultati. Lo spirito massonico giustamente, considera propria ed
abbraccia questa “ambigua” situazione; il Fratello massone, a
qualsiasi latitudine esso si trovi, si ricorda e si confronta sempre con la
tradizione, alla quale attinge ispirazione e sapienza, ma non disdegna certo il
futuro con le sue affascinanti incognite ed i suoi interrogativi. E tutto
questo lo porta a sostenere inevitabilmente la ricerca scientifica e la scienza
in genere, ad ammirare ingegneria genetica, imprese spaziali e fissione dell’
atomo, a considerare gli scienziati ed i tecnici come uomini superiori e
necessari che sostengono la nostra vita di tutti i giorni, che “facilitano”
il nostro destino ed il nostro cammino che inesorabilmente ci conduce verso la
morte (che in sintesi non è altro poi che uno dei molteplici e
“curiosi” — se così si può dire — aspetti della vita). Il fatto poi,
anche se non secondario, che uomini senza scrupoli e senza alcuna
“morale” accettabile si approprino dei risultati messi a loro
disposizione dalla scienza e dalla tecnica per compiere efferatezze ed azioni
contro la natura e l’umanità, non è più una questione che può coinvolgere i
nostri sentimenti o la nostra personale coscienza e morale, caso mai è una
questione di giustizia e di Codice Penale che spetta alle magistrature in
genere, secondo le leggi vigenti nei vari paesi; leggi fatte, modificate o
completamente cambiate secondo le esigenze e le opportunità del caso. Leggi
comunque che sono in continua evoluzione, proprio come lo è il cammino
dell’uomo che è costretto continuamente a misurarsi con loro per renderle
sempre più attuali ed al passo con i tempi. E tutto questo non può certo
inficiare la dedizione, l’ impegno ed i risultati di coloro che operano in
ambito scientifico; né tanto meno può farci ritenere che la scienza sia un
danno o una cosa da dover combattere e l’evoluzione un qualcosa di dannoso;
sarebbe come incolpare un platano se un’auto in piena velocità va a
schiantarcisi contro per eccesso di velocità del conducente: ma purtroppo è già
successo anche questo; oppure si dovesse condannare la scoperta della corrente
elettrica perché in alcuni Stati americani c’è la pena di morte con l’esecuzione
del condannato sulla sedia elettrica.
Conclusione
La Libera Muratoria quindi, ma particolarmente ed in
piena coscienza direi, il nostro Rito Scozzese Antico ed Accettato — perché da
sempre molto più impegnato nell’ approfondimento dei problemi e delle tematiche
anche correnti — in una visione ampia e superiore della nostra vita intima, ma
anche della vita in genere, ci aiuta contribuendo a farci individuare un
comportamento sensato e civile, mirato al bene individuale e dell’umanità,
tutto il creato nel suo complesso, compreso. Ci insegna a rifuggire dal dogma e
dai bigottismi di qualsiasi tipo, contribuisce all ‘ apprendimento ed all ‘
assunzione della nostra tradizione ed alla consapevolezza della nostra
interiorità e ci prepara così per il nostro futuro, ci aiuta a fortificare il
nostro animo e ad essere il più possibile giusti ed equilibrati, a crearci
forti di una morale solida ed indistruttibile, ma comunque modificabile se
necessario, accompagnata sempre da tolleranza e fratellanza in un clima di
autentica libertà.
Ed è questa la sola ragione perché da tempo molti
massoni ritengono giustamente che se la nostra società “profana”
divenisse effettivamente civile la Massoneria perderebbe gran parte dei suoi
scopi, del suo significato intrinseco e delle sue finalità o, addirittura, non
avrebbe forse più ragione di esistere — almeno per ciò che riguarda il suo
ambito “operativo” — ed ecco perché, come conseguenza di ciò,
possiamo rispondere tranquillamente — a chi questa domanda si ponesse — che la
Massoneria oggi è “purtroppo” ancora indispensabile, necessaria ed
insostituibile, sia come presenza nella società per ricordarle sempre quei
princìpi di base che sono certo immutabili nel tempo, sia per forgiare quegli
uomini di buona volontà di cui proprio la società stessa ha sempre bisogno per
poter proseguire il suo cammino nel futuro.
Rispondere poi alla domanda perché dobbiamo proprio
credere nell’evoluzione, seguirla — anche se non proprio “ciecamente”
— e dove poi ci condurrà, dov’è che l’uomo è diretto con tutti quei problemi
che si trascina dietro da secoli anzi da millenni, il perché della sua
razionalità ed emotività, non è il compito che ci siamo prefissi in questo
contesto, ma potrebbe certamente essere il soggetto per un’ altra Tavola, sicuramente
molto più stimolante, eccitante ed interessante di questa, sempre che qualcuno
di noi abbia il coraggio di cimentarsi e d’affrontare un argomento sul quale
hanno “sbattuto la testa” già molti grandi uomini, anche del passato,
senza trovare, sembra, risposte certe ed adeguate.
Quando parliamo di “Uomo
libero” ci riferiamo solo al pensiero libero o anche a qualcos’altro?
All’inizio le corporazioni dei
costruttori accettavano solo persone forti e sane in quanto il lavoro di
scalpellino richiedeva una sana
condizione fisica; nel corso del tempo acquisivano non solo l’esperienza ma
anche la saggezza nell’uso degli strumenti e, con gli anni, tale saggezza
faceva sì che venisse conferito loro una posizione più elevata, quella di
Maestro. I costruttori avevano anche una grande conoscenza della geometria che
nel tempo divenne una forma di espressione divina, poiché i grandi progetti
architettonici rappresentavano un legame magico tra la terra e l’universo;
l’uomo cercava di rappresentare sulla terra un edificio dove viveva o abitava
lo spirito divino di Dio rappresentato nei templi dedicati alle divinità
antiche. Fu allora che l’uomo fece un
passo gigantesco nella costruzione e queste piccole corporazioni, non
solo piene di saggezza ma anche di matematica divina, cercarono di mantenere
quei segreti selezionando molto meticolosamente i nuovi apprendisti. Apparve
così un segreto, il modo in cui questi templi venivano progettati, generava
quel tipo di connessione tra la terra e l’universo, rendendo questi luoghi
centri di culto e venerazione. In quelle antiche società essere un muratore
rappresentava il passaggio dal semplice scalpellino ad uno dei maestri nel
mestiere più segreto ed apprezzato. I disegni e gli schemi di quelle costruzioni avevano sempre un certo grado di
mistero e di esoterismo: dall’orientamento sulla terra secondo i punti
cardinali, ai luoghi dove doveva entrare la luce del sole. Questi aspetti oggi
passano inosservati per molte persone, ma conservano il loro valore poiché la relazione
astrologica non è stata modificata nello spazio, ha semplicemente dei cicli.
Con il passare degli anni e l’avvento delle crociate con la nuova aria
d’oriente portata in Europa, le costruzioni subirono una svolta drastica.
Per mantenere alcuni segreti,
non solo l’insegnamento della tradizione ed il passaparola erano importanti, ma
si dovettero usare alcuni simboli affinché il costruttore venuto da lontano
potesse riconoscere e identificare dove si trovava e cosa doveva fare.
Questo segreto era ancora più
importante perché era fondamentale non solo la conoscenza della matematica e
degli strumenti, ma anche il significato magico di ogni figura che il
costruttore doveva inserire nella costruzione. Dopo un periodo buio in
occidente e quasi con lo sterminio di
gran parte della popolazione da parte della peste nera, era necessario che le
nuove menti e quella conoscenza magica e alchemica durassero nel tempo. L’uso
dei simboli nelle cattedrali divenne allora molto importante; ma quei simboli
non erano rivolti solo a queste persone, ma anche a coloro ai quali era evidente
l’interesse per la scienza.
Il Rinascimento contribuì alla
causa ponendo quegli elementi di rappresentazione di quel simbolismo non più
nella pietra ma nelle nuove idee e nei simboli iconografici. Emersero menti
geniali come Leonardo Da Vinci e Michelangelo che in ogni opera d’arte inserivano quella
conoscenza e quel simbolismo che veniva compreso non solo dai costruttori dei
templi ma anche da quelli delle anime. Si risvegliò allora il brillante
pensiero di un tempo che era, tuttavia, compreso solo da pochi nella sua
grandezza; in tutto questo le società segrete divennero indispensabili per
poter mantenere un segreto ancestrale che potesse essere svelato solo a chi
fosse disposto a riceverlo, vale a dire un iniziato.
I riti di iniziazione usati
nell’antico Egitto furono riscoperti dai Templari.
Questi si sarebbero
concentrati sulla liberazione della mente per dare ingresso a nuove idee e
percezioni, facendo entrare una persona in uno stato di morte simbolica e farla
rinascere a una nuova vita. Nel più grande studio di quei maestri iniziatici,
trasformare una mente intorpidita dalla vita profana e terrena, in una mente
affamata di conoscenza era la sfida più importante del tempo. La trasmutazione
prima della mente e poi dell’anima divenne il vero scopo della vita:
trasformare un uomo comune in un uomo migliore.
Separando la mente da ogni
pregiudizio e dogma, si entrava in uno stato di piena libertà nella mente, si studiava
l’uomo come è veramente, si guardava allo scopo della vita non da un punto di
vista materiale ma da un punto di vista spirituale: chi sono io, da dove vengo
e dove vado?
Le società segrete
cominciarono a diventare non più solo una corporazione di sapienti costruttori
d architetture sacre e urbane, ma piccoli laboratori dove trasformare quel
mercurio in oro era la pietra filosofale del momento. Per questo era necessario
che l’uomo fosse sano e in buone condizioni fisiche come gli iniziali
scalpellini: un uomo il cui corpo non rappresentava un impedimento affinché il
suo spirito potesse operare liberamente.
Essere liberi allora era solo
una questione interiore, lo studio dell’anima, lo studio del miglioramento
umano doveva essere il vero fine. Leonardo Da Vinci dedicò parte della sua vita
allo studio del corpo umano, a quella simmetria della parte fisica dell’uomo
che gli avrebbe dato la vera via per uno studio interiore. Ad un certo punto
negò la parte sessuale del corpo umano perché non aveva alcun rapporto con
l’armonia del resto del corpo e tanto meno con la sua anima. Era importante
differenziare la bellezza dal grottesco.
Leonardo da Vinci sosteneva
che quando esaltava l’essere umano, la bellezza dei genitali lo trasformava in
un essere decadente e del tutto orribile. Questo fu un punto, di partenza molto
importante nel corso del tempo per le società segrete: bisognava acquisire il
controllo assoluto di quella parte che faceva cadere l’uomo nelle basse
passioni.
Anticamente la parte sessuale
dell’uomo era nascosta: gli antichi iniziati usavano un grembiule per
rappresentare il dominio del più grande simbolo da dominare.
Michelangelo nella sua
Cappella Sistina dipinse angeli e figure di una simmetria e bellezza unica, ma
rappresentò il corpo completamente nudo come simbolo di Supremazia: l’uomo non doveva nascondere questa zona nel
cosiddetto Paradiso. Alla domanda come potesse fare sculture così belle e
armoniche, rispose “Io sono lo strumento che toglie imperfezioni da quel marmo,
la scultura è dentro ansiosa di essere mostrata”. Questa risposta ricorda ai
massoni il lavoro quotidiano chiamato sgrossatura della pietra
grezza”.
Con il passare del tempo e
fino ai nostri giorni il simbolismo è stato adottato dalla Massoneria come
stile di vita. Entrare in un tempio massonico da profano e uscirne da iniziato,
significa proprio essere entrati in uno stato di morte simbolica, iniziare la
vera opera che è con il corpo, rimuovendo le imperfezioni e i vizi che ha appreso
nella vita profana e lasciare solo quell’opera divina che è l’uomo pieno di
virtù. Ma siamo consapevoli di quali siano queste imperfezioni? Quando un
massone si riferisce alle imperfezioni si riferisce a quei vizi che l’uomo
domina con la parte del corpo e libera la mente preparata per i passo
successivo, vale a dire estrarre la conoscenza che ci portiamo dentro.
Per essere un uomo libero,
allora le esigenze corporee devono essere sempre meno importanti poiché ci, avvicinano
alla terra, liberarsene significa che si è cominciato a capire cosa c’è dentro
ognuno di noi, capire che quando parliamo di vizi ci riferiamo al materiale e
al corporeo. Ma se parliamo di virtù dobbiamo esaminare la parte spirituale.
L’opera del massone come libero pensatore è proprio quella, ricercare nella
mente quella conoscenza ancestrale, quel segreto che a ciascuno viene rivelato
solo il giorno della
sua iniziazione, quel giorno
in cui vogliamo vedere la luce, quel momento in cui con lo stato di morte
simbolica iniziamo a cercare il vero significato della nostra vita, quel
risveglio a una nuova vita che ci ricorda che siamo nati allo stesso modo con
una mente pulita.
Essere un libero pensatore è
il vero lavoro del massone.
IL
CAFFÈ LETTERARIO DELLE “GIUBBE ROSSE” A FIRENZE IN PIAZZA DELLA
REPUBBLICA
di
Guido D’Andrea
Il vecchio Centro di Firenze, o per essere più
precisi il quartiere del Mercato Vecchio, comprendeva tutta quella parte, molto
vasta a forma di quadrilatero, delimitata dalle seguenti arterie principali:
via dei Calzaioli, Via dei Cerretani, Via dei Tornabuoni e Via Porta Rossa.
La Piazza del Mercato Vecchio era il punto più
caratteristico di questo singolare quartiere nel quale i maestosi resti del
passato e di uno splendore ormai tramontato apparivano e si confondevano tra le
meschine e indecenti baracche del mercato, tra catapecchie luride e malsane e
tra superfetazioni di ogni mole e genere.
Nel 1861 dopo l’ annessione, l’Ingegner Luigi Del Sarto, capo dell’Ufficio
Tecnico del Comune di Firenze, progettò un intervento di demolizione e
ricostruzione per un nuovo mercato delle vettovaglie, tra Piazza Brunelleschi e
Via dei Cardinali, nel vecchio Centro. Altri progetti furono anche elaborati,
nel 1869, da un gruppo di finanzieri e “autorevoli” cittadini.
Nel 1884 furono avviate le pratiche per l’esproprio
e nel 1885 il Ghetto fu evacuato. In una pianta geometrica dell’Istituto
Geografico Militare del 1890 sono già evidenziate tutte le demolizioni previste
nella piazza e già ubicati i due palazzi oggi denominati “della Fondiaria”
e delle “Giubbe Rosse”
Artisti, poeti, uomini di cultura, non
hanno mai perdonato al governo municipale di aver cancellato memorie storiche
ed artistiche di importanza incomparabile, tori, chiese, palazzi, vicoli e
piazzette che un accurato restauro avrebbe potuto facilmente valorizzare e che
oggi sono note soltanto grazie ai dipinti dei macchiaioli e alle vecchie foto
di Brogi e Alinari.
-settembre
“Telemaco,
o piangi sulle porcherie che vanno giù? ” domandò scherzando un ingegnere
comunale a Telemaco Signorini, che continuava imperterrito a dipingere gli
antichi vicoli corso di demolizione. “No, piango sulle porcherie che
vengono su”, rispose il pittore.
Ma quella che piacque meno fu proprio la
pretenziosa Piazza Vittorio Emanuele II, con il suo grosso arco di trionfo,
inaugurato nel 1895, assieme al Caffè che poi sarà chiamato delle Giubbe Rosse.
Il
Caffè delle Giubbe Rosse
Questo Caffè, che ha avuto una parte
importante nella storia della letteratura, dell ‘ arte e anche della politica
italiana, nacque all’inizio del 1900..
Era stato fondato da due tedeschi, i
fratelli Reininghaus, fabbricanti di birra, che ne avevano fatto il punto di
riferimento della numerosa comunità tedesca fiorentina. Seconda la moda del
tempo i proprietari vestivano i camerieri con giubbe rosse, all’uso viennese, e
da questa particolarità fil Caffè sarà poi chiamato “delle Giubbe
Rosse”
Alberto Viviani, nel
1933 ci ha lasciato il più vivace ricordo del caffè: “Due grandi vetrate,
una chiusa ed una che serviva da ingresso, sormontate da un fregio in legno
massiccio con un angiolo ghiotto di birra, sotto una grande scritta: “Reininghaus”;
molte lampade ad arco, di quelle che oggi si riscontrano soltanto a Parigi e
che spandono una strana luce riposante, sfolgoravano all ‘ingresso.
I camerieri attillati in uno smoking
rosso fiamma e con un ampio grembiule bianco che li fasciava tutti come una
sottana davano all ‘ ambiente una nota di originale gaiezza difficilmente
dimenticabile. Nella prima sala con le pareti cariche di specchi molati,
placidi e massicci tedeschi immersi nella lettura del “Die Wache” e
del “Berliner Tageblat” con a portata di mano enormi stivali di vetro
colmi di birra nera; e qualche vecchia “fraülein” con gli occhi
estatici e sgomenti piantati al soffitto.
La seconda saletta che di giorno
accoglieva sotto la sua blanda luce di lucernario poche coppie internazionali
in cerca di quiete era adibita la sera al servizio di restaurant. “Le
Giubbe Rosse” erano fornite dei quotidiani e delle riviste di tutto il
mondo e si doveva a ciò credo, in buona parte, l’affluenza della clientela
straniera. Più di un caffè, le prime due sale avevano l’ aspetto di un circolo
di lettura.
Certi bei tipi avevano fondato un “circolo
scacchistico fiorentino” in fondo alla terza sala e pagavano un piccolo
affitto mensile. Gente metodica e malinconica per eccellenza, quasi tutti
cancellieri e magistrati della Corte d’ Appello, farmacisti, ingegneri senza
progetti e avvocati senza più cause.
Ma la pace sonnacchiosa del caffè fu sconvolta
quando dal 1913 la terza sala diventò la sede fissa del gruppo di
“Lacerba” e quindi dei futuristi fiorentini. A nulla valsero le
proteste degli scacchisti. Si diffuse presto la strofetta:
“Giubbe Rosse è quella cosa, che ci vanno i
futuristi, se discuton non c’è cristi, non puoi più giocare a dam…
Fucina di sogni e di
passioni
Così Alberto Viviani definisce le “Giubbe Rosse”
e quella terza sala del caffè Fiorentino dove fiorì, lottò, dilagò la
rivoluzione futurista.
Le “Giubbe Rosse” restano nella storia
della cultura italiana, un laboratorio di pensiero, di progetti, di passioni.
“Noi
vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla
temerità… Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile,
il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno… Noi vogliamo
distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, e combattere
contro il moralismo… E’ dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo
manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il
“Futurismo “, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida
cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e di antiquari… ‘ .
Così tuonava Marinetti dalle pagine del Figaro del
20 febbraio 1909 tentando invano di scuotere il mondo sonnacchioso e perbenista
della cultura italiana.
Il violento appello lanciato da Parigi rimbalzò fino
alla tradizionalissima Firenze sui tavolini delle
Giubbe Rosse e fu
accolto con gioia da Giovanni Papini: “Quando arrivò il Primo Manifesto –
ricorda qualche anno dopo lo scrittore – lo feci vedere subito al Soffici al
Caffè delle Giubbe Rosse: E si disse. “Finalmente c’è qualcuno anche in
Italia che sente il disgusto e il peso di tutti gli anticumi che ci mettono sul
capo e fra le gambe i nostri inrispettabili maestri! C’è qualcuno che tenta qualcosa di
nuovo, che celebra la temerità e la violenza ed è per la libertà e la
distruzione!… Peccato, però, che sentano il bisogno di scrivere con questa
enfasi, con queste secentisterie appena mascherate dalla meccanica, e che si
presentino coll ‘aria di clowns tragici che voglion far paura ai placidi
spettatori di una matinée politeamica. Si può esser più crudi e più forti senza
tanto fracasso “. “Per queste ragioni non volemmo dimostrare in
nessuna maniera la nostra simpatia per il nuovo movimento “
Le riserve erano quasi tutte da parte
del Soffici. Papini in realtà era già da allora tentato di aderire al futurismo.
Per saperne di più cercò di procurarsi tutti i testi al riguardo che riusciva a
trovare e volle personalmente conoscere Palazzeschi, l’unico futurista che in
quel periodo risiedeva a Firenze. Ne divenne ben presto amico.
Ancor prima di fondare con Prezzolini e
Cecchi la rivista “Leonardo”, prima di pubblicare libri
controcorrente come il ” Crepuscolo dei Filosofi” o di bersagliare i
miti culturali dell ‘ epoca con le feroci “Stroncature”, Giovanni
Papini era stato un futurista “ante litteram”, piccolo David armato
di fionda contro il gigante Golia, contro il mondo ostile delle convenzioni e
dei compromessi.
Le continue lotte contro i mulini a vento lo avevano
portato dall’entusiasmo e dall’ adolescenza a un disperato scetticismo, come
lui stesso rivela nel suo celebre autoritratto letterario “Un uomo
finito”.
Al tempo del manifesto futurista di
Marinetti il gruppo fiorentino si era da poco nuovamente riunito intorno a
“La Voce” di Prezzolini e dalle pagine della rivista Ardengo Soffici
stroncò violentemente la prima mostra di pittura futurista a Milano, nella
quale esponevano tra gli altri Boccioni, Carrà e Russolo. L’ articolo fu la
causa del primo incontro-scontro tra i due gruppi fino ad allora separati.
Scrive Carlo Carrà nei suoi ricordi: Marinetti, Boccioni, Russolo ed io
decidemmo di rispondere subito in modo adeguato all ‘ingiuria e partimmo per
Firenze.
Giunti, ci recammo guidati dal
Palazzeschi al caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevamo di trovare il gruppo
vociano. Ben presto, infatti, ci fu indicato Soffici, e Boccioni lo apostrofò
“E’ lei Ardengo Soffici?” Alla risposta. affermativa volò
uno schiaffo. Soffici reagì energicamente tirando colpi a destra e a sinistra
col suo bastone. In breve il pandemonio fu infernale: tavolini che si rovesciarono, trascinando con
se i vassoi carichi di bicchieri e di chicchere, vicini che scappavano
gridando, camerieri che accorrevano per ristabilire l’ordine; e arrivò anche un
commissario di polizia, che si interpose facendo cessare la mischia. Anche Prezzolini,
che accompagnava Soffici, si prese una bella dose di ceffoni.
Il
giorno dopo, nuova rissa alla stazione, fino a che, passando sul piano della
discussione, ci si rese conto che gli ideali e le aspirazioni erano gli stessi
e si passò dall’odio all’amicizia.
Futurismo e vocianesimo erano infatti due forme
giovanili ed impetuose, provenienti da uno stesso ceppo: entrambe volevano fare
del nuovo, abbattere il vecchio pesante edificio di cultura borghese, stretta
in schemi ormai superati che soffocavano il libero divenire dell ‘ arte. Da
quel momento si crearono le premesse per l’adesione del gruppo di Firenze al
futurismo.
Il quartier generale del Futurismo a Firenze fu il
caffè Giubbe Rosse. Negli anni eroici del movimento ne era proprietario uno
svizzero tedesco, Andrea Joun, che i suoi vivaci clienti chiamavano ” i’
ssor’ Andrea”.
Alberto Viviani lo ricorda “compitissimo e
signorile, sempre attillato in una impeccabile rendigote nera d’inverno e
grigia d’estate; si aggirava di continuo tra la clientela da lui prediletta
distribuendo inchini saluti, vigile nel porgere i giornali abituali, sollecito
in tutto ciò che riguardasse il buon andamento del servizio “
I camerieri del caffè avevano nomi che parevano
usciti da libri sull ‘ impero romano, Cesare, Augusto, Ottaviano, e spesso
intervenivano nelle accese discussioni dei tavolini della terza sala.
Il povero “Sor Andrea” faticava non poco a
riportare la calma, in seguito
alle immancabili proteste del pacifico gruppo degli scacchisti. Del resto anche
la clientela internazionale che sostava nelle prime due sale era spesso
eterogenea e difficile e non mancava di crear problemi
Viviani ricorda che tra
gli ospiti fissi “rivoluzionari russi scampati dalla Siberia e alla forca
(anche Lenin vi fece in quel tempo una rapida apparizione di due o tre giorni);
teosofi e teosofe inglesi e americane; l’indiano Kundan Lall profeta, antesignano
del Krishnamurti, pieno di mogli, di favorite e favoriti; due vecchi inglesi
amici intimi di Oscar Wilde con il loro circolo di ammiratori; due giovani
anarchici spagnoli con tanto di “sombrero” e di pantaloni a campana,
pittori a tempo avanzato, un principe annamita discendente da una qualche
terribile divinità del suo paese; una giovane donna georgiana, la Nino,
meravigliosa ma sempre ubriaca di champagne
Nel 1913, in contrasto con Prezzolini,
Papini e Soffici abbandonarono “La Voce” e fondarono, sui tavolini
delle Giubbe Rosse una nuova rivista, “Lacerba”. Sebbene l’ editore
Vallecchi avesse messo a disposizione un piccolo locale, che venne utilizzato
solamente come deposito, la redazione vera e propria era il caffè di Piazza
Vittorio.
Dalle Giubbe Rosse partirono i polemici
articoli di Papini, gli studi sulla filosofia e sulla pittura del Soffici, il
manifesto del “Controdolore” di Palazzeschi, lo studio di Italo
Tavolato “Contro la morale sessuale” e il “Manifesto della Lussuria”
della Valentine di Saint Point, nipote di Mallarmè, questi ultimi, a causa di
un vero e proprio pandemonio per le accuse di immoralità, portarono autori e
direttore fin sui banchi del Tribunale.
Verso la fine del 1913 si preparò una
grande serata “Serata Futurista” per la sera del 12 dicembre, al
Teatro Verdi.
“Proprio nei giorni della
preparazione – ricorda il Viviani – le Giubbe Rosse furono letteralmente
assediate di curiosi che con il naso appiccicato ai vetri appannati (i più
fortunati in prima fila) spiavano ogni nostra mossa quasi che stessimo
confezionando delle bombe o fossimo dei pericolosi congiurati.
Certo però che nessuno di quei curiosi
sfaccendati, croce e disperazione costante di tutti i camerieri delle Giubbe
Rosse e più ancora del compitissimo Sor’ Andrea, brillava affatto per coraggio
e disinvoltura; quando uscivamo in gruppo dal Caffè ci allontanavamo alla
svelta e cheti in tutte le direzioni come i ragazzi presi in flagrante a rubar
l’uva”.
Del fatidico giorno ci parla il pittore
e umorista Filiberto Scarpelli: “Sembrava che dalle Giubbe Rosse dovesse
partire la rivoluzione intellettuale che avrebbe capovolto il mondo intero. Il
caffè era affollato di amici, conoscenti, curiosi, i quali avevano discusso,
fumato, bevuto e cenato, in attesa dell ‘ ora dello spettacolo. V ‘erano anche
delle signore. Ricordo Amalia Guglielminetti, che in quel tempo era ancora
fresca e piacente donna, con la Marchesa della Stufa, dinanzi a un vermiglio
piatto di napoletani al pomodoro, appetitosissimi. Poi il caffè rimase vuoto. Tutti
dietro al manipolo di ribelli!”
La “Serata Futurista” consisté
in due ore di urla e fischi e tiro di uova, pesce, pastasciutta, frutta,
ortaggi e lampadine, all’indirizzo di Marinetti, Papini, Boccioni, Carrà,
Soffici, Cangiullo, Tavolato e Scarpelli. Anche Palazzeschi e Amalia
Guglielminetti, in una barcaccia di proscenio, furono investiti da una raffica
di cipolle marce che rovinarono irrimediabilmente l’elegante vestito della
poetessa. Marinetti venne ferito a un occhio da una patata. Scarpelli al naso
da una lampadina: Cangiullo rispose agli attacchi rilanciando i proiettili
vegetali sul pubblico, fino a che non intervennero le forze dell ‘ ordine e lo
spettacolo ebbe fine senza che nessuno fosse riuscito a far udire una parola
dei discorsi che erano stati preparati.
I Massoni alle Giubbe
Rosse: 1913-1915
Arturo Reghini, matematico, filosofo pitagorico,
notevole scrittore di cose massoniche nonché, secondo il Papini che lo ebbe
amico e che lo ricordò nel suo Diario del 1946, “l’unico mago rispettabile
ch ‘io abbia mai incontrato ” fu un personaggio singolare, amato e
rispettato dalle maggiore intelligenze dell ‘epoca. Altissimo, magro, vestito
con una eleganza che niente concedeva alle eccentricità ed alle provocazione
degli amici futuristi, torreggiava fra i tavolini delle Giubbe Rosse come
l’antica asta di una nuovissima bandiera. Austero assertore di dottrine eterne
che nemmeno Marinetti il distruttore osteggiava, era fautore e diffusore di una
sorta di nazionalismo arcaicheggiante ed anticristiano, quell’imperialismo
pagano che nei ricordi della grandezza romana manifestava il desiderio di una
rinnovata grandezza italica che, come altre e diverse tendenze e dottrine,
sfociò nell ‘ interventismo antiasburgico, cui la stragrande maggioranza dei
massoni partecipò con foga e convinzione. Reghini, fondatore e colonna
ideologica delle riviste massoniche ed esoteriche del suo tempo, Atanòr, Ignis,
Ur, portò la sua grande mente e la sua profonda cultura nella corrente del
rinnovamento europeo, per la distruzione di un vecchio mondo in cui permanevano
ancora gli epigoni e le decadenti idee dell’ancien régime. Nel coro irruento e
giovanile dei futuristi, dei nazionalisti, dei vociani, rappresentò la voce
arcaica, bassa e profonda, della tradizione primordiale, senza la quale non vi
è vera rivoluzione né cambiamento non effimero. Gli era compagno abituale
Edgardo Frosini, dal vigoroso piglio carducciano, Maestro Venerabile della
Loggia “Lucifero” all’ Oriente di Firenze e poi fondatore della
Loggia “Hermes”, Madre Loggia del Rito Filosofico Italiano, che nella
sua breve, ma gloriosa vita, reinserì le dottrine pitagoriche nell ‘ alveo
della massoneria italiana ed europea. Loro compagni furono Papini, allora
piuttosto fosforico, il segaligno Soffici, il Palazzeschi un po’ molle,
l’ardito Rosai degli “omini” e dei bevitori, sia nelle trattorie e
nelle mescite del centro che nelle accese discussioni delle notti d’estate,
dove i tavolini delle Giubbe Rosse a volte volavano, a sostegno delle idee
troppo accese. L’ orgoglio intellettuale del Reghini, che veniva considerato un
vero maestro, cedeva solo di fronte ad un misterioso personaggio, ben poco
conosciuto fuori dagli ambienti massonici. Questo era Amedeo Armentano che
veniva di tanto in tanto dalla natia Calabria nelle Logge massoniche
fiorentine, e nelle vie e nelle piazze di una Firenze allora così viva e vera.
Nicola Lisi, nel suo libro Parlata dalla finestra di casa (Vallecchi Firenze
1973) ne parla affermando: “il Reghini, soltanto in una occasione rinunziava
con semplicità di convinzione alla investitura di maestro che gli era, del
resto, congeniale. La deroga, ogni volta che al Caffè (delle Giubbe Rosse)
appariva un forte e singolare personaggio il cui nome era Armentano. I suoi
precedenti erano da tutti, e credo anche dal Reghini, sconosciuti. Si sapeva
che, in corrispondenze solari, abitava in un castello della costa
calabrese”. Augusto Hermet nel suo La Ventura delle Riviste 1903-1940 non
esita ad attribuire ad Armentano la qualifica di Jerofante.. Mario Manlio Rossi
nel suo Lo spaccio dei Maghi (Doxa 1929) afferma che le sue parole venivano
commentate come il Vangelo”. Anche Musatti e Servadio, noti psicologi,
venivano da Roma a Firenze ad incontrare gli amici e fratelli fiorentini ed in
particolare quel Roberto Assagioli (padre di una fortunata, ed ancora vivente
ed attuale, scuola psicologica: la psicosintesi) a parlare della mente e dei
suoi simboli, del nuovo verbo di Freud e di Jung e della sua connessione con
l’esoterismo, la magia, l’ alchimia, terminando in gloria, come di consueto,
nella trattoria del Paoli. Poi l’ avventura nazionale dell’interventismo, la
guerra, la ritrovata unità nazionale, e poi un’ altra generazione, a rovesciare
ancora i tavolini delle Giubbe Rosse.
Quella
famosa “Terza saletta“
La sala del Caffè Giubbe Rosse fu
rifugio e casa di artisti e letterati negli anni che precedettero la Grande
Guerra. Lì nacque “Solaria”, la rivista aperta alla cultura europea.
L’ambiente e i personaggi di quegli anni furono
descritti da Elio Vittorini del 1932.
“Non la casa, non ho casa. Non la piazza… Non
la campagna… Ma il mio Caffè, ma il mio cantuccio nella terza saletta: Questo
è il mio caldo nido, è la mia casa, la mia fortezza. Qui nessun
dio mi avvilisce, qui tutto è umano; la luce elettrica e il tepore del
termosifone e la brezza del ventilatore e la bellezza dei tavolini rettangolari
e tondi” scriveva Italo Tavolato.
E Viviani ricorda: .Com ‘era bella la terza saletta delle Giubbe
Rosse, specialmente nei pomeriggi d’autunno o d’inverno! Nei divani lungo le
pareti, al centro, sedevano Papini con a fianco Soffici e Palazzeschi; era
quasi sempre tacito e sorridente e, d’inverno, raccolto nel suo magnifico
pastrano marrone che non si toglieva mai nonostante l’aria surriscaldata dai
termosifoni’
Il Caffè delle “Giubbe Rosse” fu una vera e propria
casa per i letterati e gli artisti che vivevano a Firenze negli anni che
precedettero la Grande Guerra. Spesso le loro abitazioni erano anguste, fredde
e tutt’altro che accoglienti, come nel caso di Papini, che scrisse nella
celebre terza saletta gran parte del suo libro “Uomo finito”.
Sarebbe lungo e forse impossibile ricordare tutti coloro che
vissero il periodo esaltante della loro giovinezza artistica tra i tavolini del
Caffè di Piazza Vittorio: per “gli anni incendiari 1913-1915” ci
soccorre il libro di Alberto Viviani che traccia vivaci ricordi di Giuseppe
Vannicola, Nicola Moscardelli, Arrigo Levasti,
Giannotto
Bastianelli, Angelo Cecconi (Thomas Neal), Dino Campana (che cercava di vendere
copie dei suoi Canti Orfici ai clienti del Caffè), Ottone Rosai, Ugo Tommei,
Federico Tozzi, Raffaello Franchi, Luciano Folgore, Marino Moretti, Fernando
Agnoletti, Mario Novaro (fratello di Angiolo Silvio) con il figlio
Cellino,
Arturo Reghini, Medardo Rosso, Andrè Gide, Gordon Craig, il giovane Primo
Conti, il gruppo dei triestini, Tavolato, Daubler, Slataper.
“Gennaio del 1915: incominciarono i posti vuoti ai tavolini
delle “Giubbe Rosse “, e le scacchiere del gioco a dama ebbero le
loro meritate ferie. Richiami alle anni, partenze volontarie, arruolamenti di
leva. La prima guerra mondiale pose fine alla prima grande stagione del Caffè
fiorentino.”
Quando cominciarono ad arrivare al Caffè le prime cartoline dal
fronte, gli amici rimasti erano pochi ed erano tornati alle “Giubbe
Rosse” i clienti di un tempo: gente tranquilla, pensionati
“benpensanti”;
insomma “panciafichisti” come li definì Luigi Bertelli (Wamba) con un
nomignolo che fece fortuna!.
Nel dopoguerra la conversione di Papini,
l’abbandono del Soffici, la partenza definitiva di molti dei vecchi amici
impedirono la ripresa dello spirito dei vecchi tempi.
Le Giubbe Rosse del dopo guerra si
popolarono di nuova gente; qualcuno dei vecchi ci tornò, ma il clima era
mutato.
Meno eroico e meno “folle”, più
letterario forse: Palazzeschi, Carrà, Severini, Conti, De Robertis, Rosai; si
mutarono anche gli arredi del Caffè e le stesse insegne esterne; apparvero le
prime macchine da “espresso”, i tavolini nella Piazza aumentarono di
numero. La “nuova gente” cui si fa riferimento in questo brano, così
viene definita da Piero Jahier: “erano dei perdigiorno che passavano
serate e nottate in ciarle inutili. Non dovevano lavorare per vivere. I più
erano studenti ma, studenti o no, erano mantenuti dalle famiglie, o da qualche
donna o, anche, da qualche uomo”.
Con l’inizio degli anni ’20
una nuova generazione di artisti e letterati si sostituì alla precedente. Nel
1926 sui tavolini delle “Giubbe Rosse” tre giovani studenti, Alberto
Carocci, Giansiro Ferrata e Leo Ferrero, fondarono una rivista destinata a un
ruolo importante nella cultura italiana fra le due guerre, “Solaria”:
“Non siamo idolatri di stilismi e di purismi esagerati e se tra noi
qualcuno sacrifica il bel tentativo di dar fiato a un’ arte singolarmente
drammatica e umana gli perdoniamo in anticipo. Per noi, insomma, Dostoiewski è
un grande scrittore.
Ma non perdoneremo nemmeno ai fraterni
ospiti le licenze che non siano perfettamente giustificate e in questo ci
sentiamo rondeschi. Senza preciso programma, ma con una coscienza di alcuni
fondamentali problemi dell’arte che si suppone concorde, ci siamo avvistati nei
caffè e concertati alla buona per vestire una commedia in un teatrino di
campagna”. Quanta differenza con il “Manifesto” di Marinetti e
gli ideali lacerbiani? Ma non si trattò di un ritorno all ‘ ordine secondo i
dettami mussoliniani.
Il gruppo’di
“Solaria”, si pose al di fuori della cultura ufficiale rifiutando
ogni impegno politico, L’impegno della nuova gestione è gravoso ma i risultati
hanno ripagato l’entusiasmo e la tenacia, risultati raggiunti grazie ai
collaboratori: Paolo Emilio Poesio, Massimo Mori, Paolo Marini, Tommaso
Paloscia, Arnaldo Pini, Leopoldo Paciscopi, Cosimo Ceccuti, Aglaia Paoletti, Il
Gruppo di Quinto Alto con il suo coordinatore Vittorio Biagini e tanti altri.
Massimo Tanzini, sapiente e impeccabile direttore del bar e carissimo amico,
Angelo Mazzi, preparato e paziente chef, capace di conciliare le raffinatezze
della cucina internazionale coi sapori popolareschi della cucina toscana. Già
nel primo anno di ripresa delle attività culturali, sono state fatte
presentazioni di libri, incontri con performances di poeti. Col proposito di
ricollegare la vita presente del Caffè al suo grande passato si è organizzato
il ciclo di “Incontri Letterari alle Giubbe Rosse”.
Legata
alla riscoperta e valorizzazione del patrimonio artistico letterario del
passato, propugnata dai gestori del Caffè è stato presentato un “Quaderno
della Nuova Antologia” con il titolo “Galleria”, ristampa
anastatica di cinque fascicoli allegati al “Corriere Italiano”, dal
gennaio al maggio 1924, sotto la direzione di Ardengo Soffici, divenuti da
tempo una rarità bibliografica.
Nel
settembre 1991 il Caffè organizzò una serata sul tema “La guerra non è l’
igiene del mondo”, capovolgendo la nota frase dei futuristi e alla quale
intervennero trenta poeti di tutta Italia.
Nella
primavera del ’92 in collaborazione con la Cooperativa Italiana Librai si è
tenuto un ciclo di conferenze; inoltre con la stessa, in questo periodo in cui
scrivo, stanno nascendo in Italia la catena di librerie col nome “Giubbe
Rosse”. Le prime sono a Firenze, Milano, Rimini e Verona. Particolarmente
interessanti le mostre “Per una nuova iconografia”, degli della Pop Art italiana,
Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano, Silvio Loffredo e l’altra
“Immagini della scrittura”, raccolta di piccole opere di Poeti visivi
degli ultimi trent’anni presentata da Giò Ferri.
Grande
successo ha ottenuto la già menzionata iniziativa “Foyer” incontri
con i protagonisti della scena teatrale in collaborazione col Teatro Niccolini.
L’anno
1992-93 ha portato alle Giubbe Rosse una nuova manifestazione culturale: ‘ ‘Gli
incontro con i filosofi” con il già ricordato “Gruppo di Quinto
Alto”. Nello stesso anno importante è stata la collaborazione con
‘L’Insti% Francais de Florence” il quale ha portato al Caffè poeti belgi e
francesi tra i quali Bemard Noel, e la bellissima mostra fotografica di Andrè
Villers.
Il 4
Marzo del 1996 ha avuto inizio una importante attività di conferenze pubbliche
di storia, cultura epensiero massonico, ideata da Guido D’ Andrea e poi
patrocinata dall ‘ attuale Presidente del Collegio Toscano, Mauro Lastraioli,
sotto l’egida “Incontri del Grande Oriente” e sotto quella di
“Lettere e simboli” altra manifestazione a carattere a carattere
simbolico, artistico e culturale. Da quella data al maggio 1998 vi sono stati
25 “Incontri” e 37 “Lettere e simboli” che testimoniano l’
intensa e faticosa opera degli organizzatori Vittorio Vanni e Guido D’ Andrea,
che ha inoltre curato la presentazione dei conferenzieri e delle loro
tematiche. Nel corse degli incontri sono stati distribuiti oltre duemila test
che hanno testimoniato delI ‘ opinione sulla massoneria da parte di altrettanti
profani, test che sono stati elaborato scientificamente in forma di relazione
da Guido D’ Andrea. Le manifestazioni sono state seguite con attenzione dalla
stampa locale, che le ha definite come opera di “Importanti personaggi del
mondo culturale fiorentino”. Chi visiti oggi il Caffè dopo averlo
frequentato negli anni ’70-80, troverà un ambiente totalmente trasformato. Vecchie immagini, fotografie, numeri delle
celebri riviste del passato, memorie raccolte faticosamente per recuperarne la
storia, si uniscono ad opere d’ arte contemporanea.
Giornali,
periodici, libri sono posti in consultazione negli ambienti intimi del locale
dove è nuovamente possibile assistere ad animate discussioni di letteratura, di
arte, di teatro, e, finalmente, anche di Massoneria.
La
storia va avanti. cambiano i volti, le idee ma resta quella accogliente, magica
‘terza saletta” per accogliere i sogni e le speranze di quanti ancora si
battono per una cultura libera e viva. • Ringraziamo
Blasco Mucci, Fiorenzo Smalzi e Vittorio Vanni per aver fornite materiale e
scritti per la stesura di questa piccola “Storia delle Giubbe Rosse. ‘
Il 27 dicembre è la festa di San
Giovanni Evangelista, uno dei due
patroni della Massoneria insieme a San Giovanni Battista, la cui
ricorrenza cade il 24 giugno. Figure simboliche che nella concezione esoterica
coincidono con la conclusione rispettivamente del Solstizio d’inverno e del
Solstizio d’ estate, eventi astronomici che durano alcuni giorni e che insieme
agli Equinozi scandiscono i lavori
rituali massonici nell’arco di un anno segnando il ritmo delle attività degli
uomini e la loro ricerca di armonia con il cosmo.
Il fenomeno del sole che apparentemente
(perché è la terra a muoversi) raggiunge il punto di declinazione minima ( o
massima in estate) sull’orizzonte est del pianeta e pare fermarsi , sol sistere, appunto , per poi
riprendere il suo cammino ascendente (o discenente), è stato osservato e studiato fin dall’antichità
e celebrato in tutto il mondo con feste e riti speciali. Tra le raffigurazioni
artistiche piu celebri di tutti i tempi dei due Giovanni quello di Cimabue (San
Giovanni Evangelista – Duomo di Pisa 1301- 1302) e di Leonardo da Vinci (San
Giovanni Battista 1508-1513 Louvre).
28 Dicembre 2022 (dal sito web del GOI)
Segnalazioni e annunci
Torino, 2 Dicembre 2022, appuntamento
con il libro del Gran Maestro Stefano Bisi: ”Palazzo Giustiniani.
Un’ingiustizia nel silenzio contro i massoni italiani”
27 Novembre 2022 Dario Seglie
A Torino il 2 dicembre presentato il
libro del Gran Maestro Stefano Bisi “Palazzo Giustiniani. Un’ingiustizia nel
silenzio contro i massoni italiani”
Il 2 dicembre presentato a Torino il
libro del Gran Maestro Stefano Bisi “Palazzo GIustiniani. Un’ingiustizia nel
silenzio contro i massoni italiani”. L’evento, al quale ha preso prete
tantissimo pubblico, si é tenuto nel Salone delle Feste del Circolo degli
Ufficiali in corso Vinzaglio, 6. Con il Gm Luigi Grassia, scrittore e giornalista
del quotidiano La Stampa.
Nel volume Bisi ha ricostruito tutte le
tappe del lungo contenzioso, che si sperava si potesse finalmente concludere,
con lo stato italiano, che non ha mai restituito al Grande Oriente d’Italia la
sua storica sede che il fascismo gli aveva “preso” nel 1925, dopo averla
assaltata e depredata, sequestrando carte, documenti, libri, in cerca degli
elenchi di fratelli da perseguitare. Una ferita che non si è mai rimarginata
nel cuore di tutti i liberi muratori del Grande Oriente.
L’iter giudiziario, che sembrava essersi
fermato, è stato fatto ripartire alla fine di luglio 2020 per volontá
dell’attuale giunta che si è rivolta al Tar del Lazio presentando ricorso nei
confronti del Senato della Repubblica, del Ministero dell’Economia e delle
Finanze, del Ministero dell’Istruzione ‘per l’accertamento e la declaratoria
dell’occupazione abusiva di Palazzo Giustiniani, in via della Dogana Vecchia
numero 29, attualmente in uso al Senato della Repubblica nonché per la condanna
alla restituzione del predetto bene immobile…’ e ‘in via subordinata per
l’accertamento e la declaratoria dell’inadempimento del Senato della Repubblica
agli obblighi derivanti dall’atto di transazione sottoscritto, con atto
pubblico avente numero 25485 del 14 novembre 1991, tra l’Amministrazione delle
Finanze, l’Urbs e l’Amministrazione del Senato’”. Un accordo questo che
formalizzava il cosiddetto Lodo Spadolini dell’11 maggio del 1988 e garantiva
la futura concessione dei locali destinati a Museo Storico della Massoneria. Il
Tar aveva risposto con un’ordinanza nei
confronti della quale il Goi aveva presentato appello al Consiglio di Stato che
si è pronunciato il 13 ottobre scorso, sostenendo che si tratta di materia non
di propria competenza. Ma il Grande Oriente di certo non si arrenderá, come ha
assicurato il Gran Maestro. Il nome di Palazzo Giustiniani, scrive il Gran
Maestro, “ è impresso nel corpo e nella mente dei liberi muratori del Grande
Oriente d’Italia perché ottanta anni di storia della massoneria sono passati da
lì, da quelle stanze dove erano i templi per le riunioni rituali e dove sono
stati iniziati centinaia di profani; è tra quelle mura che venne ucciso il gran
maestro aggiunto Achille Ballori. E chi dimentica le cronache degli assalti dei
fascisti al palazzo per impossessarsi dei nomi dei fratelli e del collare del
gran maestro?”.
Il 10 gennaio del 1917 passava
all’Oriente Eterno il leggendario fratello Buffalo Bill
Il 10 gennaio 1917 moriva a Denver il
fratello e leggendario soldato, cowboy e showman americano Buffalo Bill, nome
d’arte di William Frederick Cody. Ai suoi funerali massonici che si tennero
quattro mesi dopo quelli di stato, parteciparono oltre 15 mila persone.
Nato a Le Claire (Iowa) il 26 febbraio
1846, venne iniziato alla Libera Muratoria nel giorno del suo 24esimo
compleanno mentre era al servizio del generale
Phil Sheridan con incarichi di esploratore e procacciatore di bestiame
per le truppe e un anno dopo divenne maestro.
Risultati immagini per Buffalo Bill e il
suo incontro con papa Leone XIII
Cody ebbe una lunga carriera militare
che durò fino al 1872, nel corso della quale combattè gli indiani d’America ma
li trattò anche da amici. Congedato con una medaglia al valore, già famoso,
Cody si guadagnò da vivere sfruttando la sua leggenda, con gli spettacoli che
mise in scena e che portò in tutto il mondo, Italia compresa, sotto il nome di
Wild West Show, contribuì più di ogni altro a diffondere il mito del West. Con
lui anche un suo ex nemico, il capo indiano Toro Seduto (1831-1890).
La figura del celebre cacciatore di
bisonti ha ispirato, in modo più o meno diretto, tantissimi film. Basti pensare
al celebre Buffalo Bill e gli indiani (1976) di Robert Altman, interpretato da
Paul Newman o al più recente Hidalgo – Oceano di fuoco (2004).
10 Gennaio 2023 (dal sito web del GOI)
Segnalazioni e annunci
“Antichi Doveri Eterni Valori” il titolo
della Gran Loggia 2023 che si terrá il 14 e 15 aprile a Rimini
14 Gennaio 2023 Dario Seglie
“Antichi Doveri Eterni Valori” il titolo
della Gran Loggia 2023 che si terrá il 14 e 15 aprile a Rimini
“Antichi Doveri, Eterni Valori” è il
titolo che è stato scelto per la Gran Loggia 2023 che si terrà il 14 e 15
aprile come di consueto al Palacongressi di Rimini. Titolo ispirato e dedicato
al trecentesimo anniversario delle Costituzioni dei Liberi Muratori, pubblicate
a Londra nel 1723, sei anni dopo la nascita della Massoneria speculativa. Un
testo, la cui stesura fu affidata, al reverendo James Anderson, le cui regole
sono considerate i Landmarks, le basi costitutive, della Massoneria moderna,
capisaldi di riferimento per tutte le logge regolari del mondo. Leggi qui
Il 20 luglio alle 18 alla Bcc di
Castagneto Carducci (via Rossini 2 A) a Livorno sarà presentato l’ultimo saggio
del Gran Maestro Onorario Massimo Bianchi “Dall’oblio alla memoria” edito da
Angelo Pontecorboli, con la prefazione di Paolo Giustini, la presentazione
dell’assessore alle culture del Comune di Livorno Simone Lenzi e l’introduzione
del Gran Maestro Stefano Bisi, che parteciperà all’evento, organizzato dalla
loggia Adriano
Lemmi n.704, e di cui riportiamo
l’introduzione al volume.
“La storia è testimone dei tempi, luce
della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell’antichità” scrisse
Marco Tullio Cicerone. E mai definizione a distanza di secoli risulta più
azzeccata di questa. Grazie ad essa si tramandano fatti, avvenimenti, pensieri, azioni e opere di personaggi che hanno contributo a farla, a
scriverla. A livello nazionale e locale. Storie di uomini e uomini con tante
storie alle spalle. Storie di cittadini e nel caso di questa pregevole
pubblicazione soprattutto di massoni del
Grande Oriente d’Italia.
L’infaticabile Massimo Bianchi,
nell’ultima sua fatica letteraria, ci
delizia con questo ennesimo libro che
rende omaggio ai tantissimi liberi muratori livornesi. Si tratta di personaggi che hanno fortemente
inciso nel corso della loro esistenza sulla vita del territorio e della città
labronica dando luogo a tutta una serie di iniziative e di associazioni che
hanno fortemente contribuito al
miglioramento e allo sviluppo della Società proiettandosi sino ai giorni nostri
grazie ai forti principi di Libertà, Uguaglianza
,Fratellanza, Solidarietà e mutuo soccorso di cui sono stati e sono fecondi
diffusori di luce.
E’ giusto ricordare questi fratelli fra
fratelli che hanno fondato mattone su mattone e retto con passione, coraggio e
saggezza le officine livornesi permettendo di tramandarne ai posteri tradizione
e valori. Massimo ha raccolto con pazienza e cura i nomi dei liberi muratori
del passato setacciandone la vita e l’impegno civico e massonico per poi
vergare con il cuore queste pagine e unirle con la malta fraterna dell’amore.
Così adesso tutti, non solo i
continuatori ed eredi spirituali di oggi, ma anche chi dell’istituzione non fa
parte ma ne studia i principi e capisce l’enorme valenza della Massoneria, potrà
ricordare con l’orgoglio della memoria e la giusta riconoscenza i tanti massoni
che fecero Livorno ed hanno partecipato a renderla grande. Tirati fuori
dall’oblio del tempo per sempre”.
Buongiorno. Un Def «light». Un Def «snello, assai asciutto».
Un Def «monco». Più tecnicamente, un Def con le cifre solo tendenziali, senza
gli obiettivi programmatici, senza dunque i numeri veri su cui valutare
l’impatto concreto delle misure che ha in mente chi guida il Paese.
Sarà fatto così il Def — il Documento di economia e finanza
— che il governo presenterà oggi in Consiglio dei ministri: un Def in cui il
ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non svelerà le carte.
Un piano anomalo dunque, come è capitato finora solo a
governi che stavano per passare la mano in prossimità delle elezioni, e viene
invece giustificato col fatto che si tratta dell’ultimo Def prima della
revisione delle regole di governance economica europee, in vista dell’entrata
in vigore del nuovo Patto di Stabilità. Tutte scuse, secondo l’opposizione, che
ci vede un bluff per nascondere prima delle elezioni europee il gioco vero: una
manovra tutta «tagli e sacrifici» che ci aspetterebbe, inesorabile, in autunno.
Il governo, naturalmente, smentisce scenari così foschi ma
non manca nemmeno stavolta — com’è ormai abitudine di Giorgetti — di ricordare
che una spada di Damocle incombe comunque sul Paese: il peso dei bonus edilizi
goduti da una parte limitata della popolazione. Un peso enorme, che i calcoli
mensili dell’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo
sviluppo economico sostenibile) attestano a marzo — con le detrazioni maturate
finora col superbonus — a 122,24 miliardi, destinati a superare i 200 col saldo
finale.
È giusto ricordare che i bonus hanno un peso importante
anche sulla crescita, e contribuiscono in modo decisivo all’1% di Pil che il
governo potrà scrivere nel Def anche quest’anno. Il che non toglie che quando
gli olandesi — citiamo loro in quanto storicamente i più scettici
sull’affidabilità italiana, e dunque i più contrari al Recovery Fund post Covid
— capiranno che ci siamo spesi l’equivalente del Pnrr per rifarci le facciate
dei palazzi, le villette dei benestanti e i rustici di campagna, verranno in
massa a tirarci 200 milioni dei loro tipici zoccoli i
Comunque, se Giorgetti ci avverte giustamente di quanto e
come dovremo scontare questa scelleratezza tutta italiana, altrettanto
lestamente assicura che il governo sarà così bravo da limitare i danni. E
quindi no, «niente manovra correttiva», giura il più amletico tra i membri del
governo. Il cui «no» in effetti non è proprio categorico: «Se c’è qualcosa da
correggere, la correggeremo». Intanto, oggi presenterà anche l’atteso decreto
che cambia le regole su donazioni e imposta di successione.
E poi, in questa newsletter, le due guerre ai nostri confini
ma anche tra noi, tra le nostre ansie e le nostre polemiche; il Partito
democratico che, dopo aver duramente battagliato con l’alleato più riluttante
possibile, i 5 Stelle, ora è alle prese con il nemico più infido: sé stesso, in
un classico «segretario contro tutti» che ha l’unica variante della segretaria
donna, Elly Schlein. La quale giura però che non farà la fine dei predecessori.
E ancora: l’eclissi, la grande Deneuve, l’Inter ancora
vincente e altre cose che può essere utile sapere nella giornata che inizia.
Benvenuti alla Prima Ora di martedì 9 aprile.
Il governo alla prova del Def
Le cifre tendenziali, la zavorra del debito, le proteste
dell’opposizione: punto per punto.
Anzitutto: cos’è
esattamente il Def? È il principale strumento della programmazione
economico-finanziaria dei nostri governi, che lo presentano al Parlamento per
indicare la loro strategia. Fu introdotto nel 1988 con il nome di Documento di
Programmazione Economico-Finanziaria (Dpef), per poi diventare Decisione di Finanza
Pubblica (Dfp) nel 2009. L’attuale denominazione risale al 2011, quando la
tempistica fu modulata in base al cosiddetto semestre europeo, che impone di
anticipare le strategie di bilancio degli Stati alla prima metà dell’anno.
E cosa c’è dentro
il Def? Ci sono gli obiettivi programmatici macroeconomici e di finanza
pubblica e gli interventi con cui il governo pensa di farli coincidere con gli
andamenti tendenziali dell’economia. Previsioni e programmazione coprono
normalmente un triennio.
Perché è
importante? Perché gli obiettivi di bilancio stabiliti, in particolare il saldo
della pubblica amministrazione, rappresentano i paletti invalicabili delle
decisioni successive, dato che dal 1988 le procedure di bilancio prevedono la
fissazione ex ante del saldo. L’approvazione parlamentare del documento gli dà
quindi il valore di un vincolo giuridico.
Ma veniamo a
Giorgetti Il ministro ha anticipato ieri a Trieste l’anomalia di oggi: a parte
i precedenti di governi dimissionari (Gentiloni 2018 e Draghi 2022), è la prima
volta, spiega Monica Guerzoni, «che si lavora a un Def “monco”, senza gli
obiettivi programmatici su deficit e debito e senza l’impatto e i numeri delle
misure che il governo ha in cantiere in vista della manovra».
«Una questione di
credibilità» Giorgetti ha detto che il Def «rispetterà gli obiettivi della
Nadef presentata in autunno per una questione di credibilità». La Nadef è la
Nota di aggiornamento al Def, che, appunto, aggiorna le previsioni del
Documento con le maggiori «informazioni disponibili sull’andamento del quadro
macroeconomico» dopo il primo e il secondo trimestre dell’anno.
Deficit tra il 4,3
e il 4,7% La concordanza tra Nadef e Def, spiega Federico Fubini, è plausibile
se nel prossimo triennio non cambieranno le leggi che impattano sulla finanza
pubblica:
ARTICOLO SEGNALATO DAL F.’. A. F.
«A legislazione immutata rispetto a quella oggi in vigore – sulla base di quanto indicato nella Nadef di settembre scorso – il deficit sarebbe al 4,3% del P