AL 66% DEGLI ITALIANI NON PIACE LA SOCIETÀ IN CUI VIVONO

AL 66% DEGLI ITALIANI NON PIACE LA SOCIETÀ IN CUI VIVONO

                                                                                                                       Al 66% degli italiani non piace la società in cui vivono, percentuale che sale al 72% tra i giovani. È quanto emerge dalla ricerca del Censis ‘La tentazione del tralasciare’, presentata a Roma presso la Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso, a 50 anni dal convegno su ‘I mali di Roma’ del febbraio ’74. Ci troviamo oggi di fronte a un paradosso, sottolinea una nota, siamo una società fortemente soggettivista, ma con soggetti deboli; molto individualista, ma con una scarsa forza di affermazione individuale; parecchio egoista, ma fatta di ego fragili. In un mondo in cui alla sovrabbondanza dei mezzi corrisponde un deficit di fini, è diffusa una forte dose di indifferenza, per cui vince l’attitudine al tralasciare: una sorta di peccato di omissione. A 50 anni dal convegno diocesano su ‘I mali di Roma’ del febbraio ’74, denuncia il Censis, è il soggettivismo indifferente il male di cui occuparsi oggi.

L’assenza di comunità: secondo la ricerca del Censis, quindi, al 66% degli italiani non piace la società in cui vivono (e la percentuale sale drammaticamente al 72% tra i giovani). Solo il 15% degli italiani sente di appartenere pienamente a una comunità (al di la’ della propria famiglia). Più della metà dei giovani non si sente parte di una comunità e di questi 3 su 4 non ne sentono neanche la mancanza. La percentuale di chi si riconosce pienamente in una comunità sale solo al 37% anche tra i cattolici praticanti. Lo scarso senso di appartenenza a una comunità si sposa con la sensazione di contare poco nell’ambiente in cui si vive: vale per il 48% degli italiani (il 60% dei giovani).

Leggi anche:

Dipendenti da tecnologia e Whatsapp, ma si torna a leggere. Le nostre abitudini viste dal Censis

Cresce la tv (ma solo quella via internet) e la radio (ma solo nella forma ibrida). Si consolida il “paradigma biomediatico”

Alla ricerca di un senso profondo della vita: la dimensione spirituale. Complessivamente, però, per il 72% degli italiani la sfera spirituale è “molto” o “abbastanza” importante. Il 56% si sente parte del cammino dell’umanità, il 55% si interroga sul senso profondo della vita, il 54% avverte la mancanza di qualcosa che i beni materiali non possono dare. Tuttavia, il 53% ritiene che il cammino interiore sia una esperienza soggettiva, da vivere individualmente, non in modo condiviso. E solo per il 19% una vita degna di essere vissuta è quella in cui si fa del bene agli altri. Resta però un 28% di persone che coltivano la loro spiritualità partecipando ai riti religiosi secondo la propria confessione.

Poco altruismo, molti rammarichi. Solo il 18% degli italiani ritiene di non avere nulla da rimproverarsi. Il 64% pensa invece di non avere messo a frutto adeguatamente i propri talenti (percentuale che sale al 70% nell’età di mezzo, tra i 45 e i 65 anni). Appena il 18% si rammarica di non avere fatto di più per gli altri. La parabola dei talenti fa riflettere più della parabola del buon samaritano. Poi pero’ il 64% prova sensi di colpa, soprattutto a causa del proprio egoismo.

“Dietro ogni momento di indifferenza tralasciante – ha detto Giuseppe De Rita, presidente del Censis, commentando i dati della ricerca – c’è una dinamica psichica che rinvia agli atteggiamenti soggettivi qui richiamati. Riprendere oggi il filo del ’74 significa approfondire non più i mali di Roma, ma il cruciale male del soggettivismo indifferente”. La ricerca oggi è stata discussa da De Rita e Laura Lega, capo dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno.

Pubblicato in Varie | Lascia un commento

I TRE PORCELLINI

I TRE PORCELLINI

Di M. M.

I primi riferimenti bibliografici della storia de “I tre porcellini” risalgono al XVIII secolo, tuttavia la paternità è stata attribuita a una versione gratuita compilata dallo scrittore australiano Joseph Jacobs (1854 -1916). Occorre aspettare Walt Disney, quando riprese questa storia trasformandola in un film diventato famoso a livello internazionale, per avere il suo successo.

Nel 1933 la storia de “I tre porcellini” fu presentata per la prima volta nelle sale cinematografiche. Sette anni dopo, nel 1940, lo stesso Walt Disney che molti dicono fosse massone altri solo un membro dell’Ordine De

Molay (para massonico), mise nelle stesse sale anche un’altra storia di un altro massone, Carlo Collodi, il famoso “Pinocchio”, una storia che in realtà era un romanzo con contenuto iniziatico. “Pinocchio”, noto per avere un messaggio    esoterico molto importante per la Massoneria, divenne presto un classico per bambini.

La storia dei tre porcellini ci racconta le avventure di tre fratelli nella loro continua lotta per sopravvivere alla fame divorante di un lupo cattivo, costruendo case in cui vivere e cercando di stare lontano dai cattivi sentimenti di quel lupo. I tre porcellini simboleggiano l’evoluzione e il progresso dell’essere umano, dall’infanzia, all’età adulta e alla vecchiaia, vale a dire dallo stato di immaturità, alla condizione di maturità totale sia nell’aspetto emotivo che nell’aspetto caratteriale; la morale della storia è che l’uomo deve imparare

nel corso della sua vita a gestire i conflitti con intelligenza e saggezza.

I tre porcellini rappresentano anche i tre gradi della Massoneria Simbolica: l’Apprendista, il Compagno e il Maestro Muratore; il lupo cattivo rappresenta la società piena di vizi e fame di entrare a far parte di un sistema di consumatori.

La storia inizia con i tre porcellini che hanno voglia di giocare e divertirsi il più possibile; cercano, infatti, di ridurre il tempo da dedicare al lavoro di costruzione delle loro case per avere più tempo libero. Sono quindi rappresentate due forze, da una parte il lavoro e dall’altra l’ozio, la lottacontinua che l’uomo affronta ogni giorno per ottenere le cose più facilmente e senza troppa fatica, il libero arbitrio che può portarci sul lato più semplice, ma forse soccombendo a quei vizi per i quali l’anima lotta nel suo lungo cammino di

superamento.

Il primo porcellino costruisce la sua casa con paglia e fieno; il lavoro facile e veloce gli  permette di uscire per giocare e divertirsi senza accorgersi del male che si cela rappresentato dal lupo. Questo porcellino rappresenta i primi anni dell’essere umano in cui l’innocenza dell’infanzia potrebbe portare a fare le cose con molta leggerezza; l’inesperienza può far precipitare l’essere umano su un sentiero pieno di insidie e disagi.

Il secondo porcellino costruisce una casa in legno, un po’ più solida ma comunque debole nella sua struttura; non fa attenzione alla sicurezza dando rilevanza all’apparenza perché la casa dall’esterno sembra solida. Anche lui ritiene che con un lavoro meno impegnativo può avere più tempo libero per divertirti e giocare. L’età adulta dell’essere umano fa camminare in modo più cauto, prendere decisioni, ma sempre per inesperienza, si può soccombere alla superficialità delle proprie azioni. Si può vivere dando maggiore rilevanza alle apparenze, ma dentro si è ancora deboli nella formazione morale e spirituale. È importante

sottolineare che questa età dell’essere umano è afflitta da dubbi e molte decisioni spesso finiscono per mettere fine al proprio percorso spirituale, facendo cadere l’uomo nelle grinfie del  vizio e dei piaceri mondani che la vita ci offre.

Il terzo porcellino nominato “costruttore”, costruisce la sua casa con mattoni e cemento, materiali solidi e impenetrabili; passa gran parte del suo tempo lavorando e dedicandosi poco allo svago e al divertimento come i primi due porcellini. Davanti allo scherno dei primi due, li rimprovera che il loro dovere è lavorare e che il lavoro darà loro solidità e sicurezza. L’aspetto morale qui è un forte richiamo al fatto che, per quanto giovane e inesperto possa essere l’essere umano, è sempre necessario lavorare sul sentiero spirituale che non ha relazioni con l’età o il tempo, ma piuttosto con la forza di volontà che è la decisione del cambiamento.

I porcellini passano il tempo ballando e cantando distratti nel bosco e ognuno di loro ha uno strumento musicale.

Il primo porcellino ha un flauto, uno strumento rappresentativo delle prime fasi dell’apprendimento umano; questo strumento elementare è uno dei primi ad essere stato costruito dagli esseri umani. Il secondo porcellino suona il violino, strumento fatto dall’ingegno umano, prodotto della sua evoluzione nel mondo delle arti e della libera espressione dell’anima. Il terzo porcellino suona il pianoforte, uno strumento estremamente sofisticato che rappresenta il prodotto dell’evoluzione artistica e della padronanza delle armonie e dell’espressione corporea.

A questo punto entra in gioco il lupo cattivo che fa fuggire i porcellini terrorizzati e ognuno di loro si rifugia nella rispettiva casa. Il primo porcellino nascosto nella sua casa di paglia viene facilmente sconfitto dal potente soffio del lupo; l’essere umano che non ha basi morali ed etiche, è facilmente preda della mancanza di valori di una società corrotta; il porcellino riesce a fuggire e a rifugiarsi nella casa del secondo porcellino. Questo simboleggia il fatto l’essere umano ha ancora delle virtù dentro di sé e non è facilmente influenzato da quel mondo profano pieno di stenti e di cattiverie; tuttavia, quando si nasconde l’unica cosa che farà è prolungare la sua agonia e potenzialmente ancora soggetto a cadere nelle grinfie del vizio, rappresentato dalla casa di legno che ci suggerisce che se non rafforziamo la nostra anima e la nostra coscienza, possiamo soccombere.

Il lupo si traveste da agnello e cerca di ingannare i porcellini. Quel lupo travestito da agnello è l’esempio migliore delle cattive intenzioni di alcune persone che sono mascherate e potrebbero farci cedere di nuovo nella tentazione.

Infine, distrutta anche la casa di legno, i porcellini fuggono e si riparano nella casa del porcellino “costruttore” che li riceve e li rassicura di non temere nulla perché la solidità di quella casa non cede davanti a niente e nessuno; la sua struttura è molto solida ed è sicura. L’essere umano nel suo apprendimento costante nella costruzione del tempio interiore, deve sentirsi sicuro in ogni momento, senza temere di cedere ai vizi e alle tentazioni. La solidità morale che il costruttore deve raggiungere permane nel tempo, come la casa realizzata con questi valori; è chiaro il riferimento all’essere umano, poiché le persone  fatte di paglia saranno facilmente abbattute anche con un lieve colpo; quelle fatte di legno impiegheranno un po’ di più ma cadranno

comunque; mentre le persone fatte di cemento, vale a dire di valori, non potranno mai essere distrutte.

Il finale della storia è caratterizzato dall’insistenza del lupo che, non potendo entrare soffiando sulla solida struttura, cerca di entrare dal camino ma il fuoco, o la vera Luce, non possono mai essere spenti dal buio dell’ignoranza rappresentata dal colore nero di quel lupo cattivo. Il vero costruttore del suo tempio interiore e che è riuscito a proseguire sulla via della luce, difficilmente soccomberà al profano.

Sulla parete ci sono due quadri, uno che dice “Madre” con l’immagine di un Maiale che allatta i suoi cuccioli, alludendo alla Loggia Madre dove i Fratelli riuniti ricevono il cibo spirituale; nel secondo quadro c’è una parola

“Padre”, a forma di grembiule del Maestro massone. Due simboli chiari che rappresentano la base del lavoro del muratore e che sono anche il riferimento per cercare esseri di buoni costumi con saldi precetti morali barati sull’unità e il lavoro.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

NELLA FRATELLANZA L’UOMO È LO SPECCHIO DI SÉ STESSO

NELLA FRATELLANZA L’UOMO È LO SPECCHIO DI SÉ STESSO

Di M.S.C.

La fratellanza è un ideale relazionale che richiede un lungo cammino. Alla domanda: “Sei massone?” La risposta è “i miei Fratelli mi riconoscono come tale”. Ciò presuppone che la fratellanza sia responsabile del controllo dell’appartenenza alla Massoneria. Un membro non fraterno non può essere un massone.

La fratellanza è quindi una condizione fondamentale.

Diventiamo Fratelli quando riceviamo la Luce o lo diventiamo a forza di lavorare su noi stessi?

Più che l’Amore dell’altro, la fratellanza è il rispetto per l’uomo, è quindi di essenza iniziatica e soprattutto metafisica; trasmette un metodo di ricerca della Verità fuori dai dogmi. È un collegamento tra gli Iniziati.

Quanti di noi nel tempo hanno dimenticato che la Massoneria non si limita alla rigorosa

applicazione di un rituale, per quanto bello, una volta ogni due settimane? La nostra ricerca da costruttori si deve esprimere con tutti i nostri Fratelli e non solo quelli del nostro grado o quelli che ci servono per fare la nostra “carriera”. La fratellanza è morte: è la morte di sé stessi nella propria individualità egocentrica, in quanto la scoperta della fratellanza inizia con l’imparare a condividere.

La tolleranza non inizia forse quando accogliamo l’altro con tutte queste contraddizioni? Quando finisce una relazione qualsiasi essa sia (di amicizia, di amore, di lavoro) il primo sentimento è quello naturale dello sgretolamento ma, in realtà, si comincia a costruire una nuova realtà.

Questo passaggio è doloroso perché dobbiamo rinunciare alla prima impressione che spesso diamo per scontata e che è il nostro giudizio arbitrario, soggettivo e inconscio.

La fratellanza non esercita poteri magici, offre a tutti una virtù capace di mantenerla e questa virtù è la tolleranza. A metà tra giustizia e amore c’è il rispetto e la tolleranza. Non si può tollerare senza

rispettare, perché il fondamento della tolleranza è  prima di tutto la comprensione dell’altro, di tutti gli altri.

La tolleranza diventa così un tributo alla verità impenetrabile di cui ogni uomo è portatore. Anche questo sforzo che ci viene chiesto di trattare l’altro come se stessi si chiama “giustizia”, perché la giustizia consiste proprio nel mettersi al posto dell’altro. Tuttavia, dobbiamo ammettere che la tolleranza ha per definizione un limite: non possiamo permettere la libertà di un lupo all’interno di un ovile; è solo all’interno di questo

limite, rappresentato dalla libertà dell’altro, che la tolleranza può trasformarsi in Amore, che diventa una comunione che va oltre quella dello spirito per giungere alla comunione dei cuori. Tale è il paradosso della fratellanza: intelligenza del cuore  che trascende quella della mente.

Direi anche che chi più si agita e gesticola è quello che ostacola il rapporto da persona a persona. Si esclude dalla fratellanza. Se la fratellanza è un dovere per il massone, non è innata. Lei stessa lavora. Bisogna essere

abbastanza puri e amare noi stessi per poter fraternizzare con il nostro prossimo senza ingannare nessuno.

L’amicizia è un attaccamento, un affetto reciproco, che ha molto in comune con la fratellanza. Ma il tipo di relazione è diverso. Scegliamo il nostro amico, ma non nostro fratello. Di conseguenza,

nell’amicizia, ci sono spesso più somiglianze che differenze. La fratellanza non è l’abbandono totale e senza riserve dell’amicizia. Nella nozione di fratellanza c’è una nozione di durata nel tempo che non si pone nemmeno: siamo Fratelli per la vita. La fratellanza rimane inseparabile dall’onestà che a volte impone di dispiacere, di scioccare, di  offendere. Possiamo essere in fratellanza solo essendo onesti con i nostri Fratelli, ma l’onestà non è in sé una fratellanza che ha una portata superiore. La nostra fratellanza massonica nasce

dal fatto che tutti abbiamo un’origine comune attraverso la nostra Iniziazione. Abbiamo vissuto tutti la stessa rinascita e tutti rimaniamo sulla stessa strada, quella della ricerca della Luce.

Costruire non può che essere un’opera comune e quindi fraterna. Dobbiamo vivere l’altro con le sue differenze ed ispirarci ad esse, senza lusinghe,  senza giudizio e senza spirito di superiorità orivalità, ma di condivisione e ricchezza.

Montaigne ha detto nei suoi Saggi: “Se sono spinto a dire perché lo amavo, sento che questo si può esprimere solo rispondendo: Perché era lui, perché ero io”.

Qui troviamo gli strumenti di lavoro della pietra grezza che serviranno per praticare la fratellanza come un’arte. Agire come un Fratello è saper temporeggiare le passioni ed a volte è qualcosa di complicato perché potremmo essere un fiume in piena o un lago di beatitudine e il Massone non ha

il diritto di perdere la calma e indulgere in atteggiamenti o comportamenti che vanno oltre la finzione.

Quindi è essenziale meritare il nostro posto in Loggia per dominare le nostre passioni ed in particolare quelle del possesso, del potere, della vanità e dell’ipocrisia. La Massoneria non ha mai voluto essere una compagnia di dirigenti in cerca di potere o di posti da bramare nella scala della nostra organizzazione. Il nostro lavoro dovrebbe avere come unica ambizione quella di poter partecipare alla costruzione comune che rifletta la nostra personalità, priva di inutili citazioni che servono solo a mostrare la nostra poca conoscenza, o mettere in risalto solo le nostre capacità nella vita profana.

Essere fraterni è anche parlare la stessa lingua. È importante che la parola circoli e che possiamo esprimerci con umiltà e fraternità verso il Fratello, o le persone a cui ci rivolgiamo.

Se il nostro più caro desiderio è progredire verso la Luce, accettiamo di ricevere ciò che ci deve essere dato e diamo senza contare tutto ciò che possiamo dare.

La fratellanza è come un gioco di specchi. I Fratelli sono il nostro specchio.

Se ci guardiamo allo specchio per prima cosa ci mostrerà quello che siamo: persone intrappolate nel loro ego, un nemico che vuole esistere da solo.

Se sapessimo guardarci allo specchio, sapremmo vedere come viviamo, come siamo guidati, come e quando ci arrabbiamo. Solo solo così potremmo combattere il nostro nemico, applicando il famoso “Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli Dei”. Lo specchio è davvero uno strumento di rivelazione.

Come simbolo, lo specchio è l’oggetto di introspezione per eccellenza. Ci fa riflettere su ciò che siamo, con le nostre qualità e i nostri difetti, i nostri desideri e le nostre antipatie, il nostro modo di vedere il mondo, le persone che ci circondano e le nostre idee per migliorarle e portarle verso il bene. Ci fa pensare a cosa vorremmo essere e cosa non siamo ancora.

Ma alcune persone non sopportano di vedere la loro immagine riflessa. Alcuni, come il “Narciso” del mito, si perdono guardando la propria immagine riflessa nell’acqua. L’ambivalenza del simbolo dello specchio dipende quindi essenzialmente dall’atteggiamento della persona e dalla maturità di chi si guarda.

Ci sono molti altri specchi, quando guardiamo negli occhi il nostro prossimo. Non è forse lui il nostro specchio? Non lo biasimiamo per le nostre colpe? Non esistiamo attraverso la visione degli altri?

Lo specchio ci rende consapevoli di tutto questo. È essenziale accogliere lo sguardo degli altri e in particolare dei nostri Fratelli perché è questo che ci insegna a conoscere i nostri limiti, a spingerli indietro per offrire il meglio di noi stessi. È attraverso questo sguardo obiettivo che gli altri devono avere su di noi che si manifesta la nozione di fratellanza. Per essere veramente praticata la fratellanza richiede che chi ne fa uso sia libero.

Libero da cosa o da chi? Liberato da ogni giudizio che non sia suo, liberato da riflessi condizionati, liberato da qualsiasi autorità esterna, da ogni rappresentazione del potere umano che spezza la fratellanza massonica la cui sopravvivenza è assicurata andando oltre ogni dogma. Esistere attraverso le azioni e le interazioni provocate dai legami fraterni, suppone  che le nostre catene siano spezzate.

Ritengo, quindi, che l’approccio fraterno prosperi nel cancellare le aspettative individuali e le intenzioni dogmatiche. Permette a tutti di trovare il proprio posto e di non fornire risposte, perché nessuno può sapere in anticipo quale insegnamento possa giovargli.

La prima domanda che tutti dovremmo porci durante le nostre Tegolature con un profano, dovrebbe essere se possiede un’anima che può farlo progredire e farci progredire. A volte è un interesse personale che ci spinge a far entrare un profano, a volte siamo abbagliati dal suo lato visibile che riguarda la vita profana, il lato delle apparenze. Che sia un professore di facoltà, un venditore, un poliziotto, un trasformista, un cattolico, un ebreo o un agnostico che importa? Insomma, la vera fratellanza, è vivere l’altro con le sue differenze, senza adulazione, senza pregiudizio, senza giudizio.

Vivere in fratellanza è offrire: ciascuno fa dono delle sue forze, ma anche delle sue debolezze. Le differenze non sono rivalità ma condivisione. La fratellanza è nozione di condivisione sia intellettuale che materiale, è dare la vita per l’aiuto reciproco.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

PLATONE E IL MITO DELLA CAVERNA..

PLATONE E IL MITO DELLA CAVERNA…

Il caldo sole d’ agosto non finirà giammai di stupirmi !

Non tirerò in ballo i festanti vacanzieri, che succintamente vestiti sostano accaldati sul bagnasciuga, mentre a piedi nudi cercano refrigerio scavando piccole buche, nella sabbia bagnata. Non si illuda neanche chi, impugnando un bastone, con calzoni di velluto e scarponi, si avvia con determinazione verso lunghi e tortuosi sentieri di montagna, mentre il sole d’ agosto, malgrado il verde dei boschi, implacabile, surriscalda i muretti di pietra lungo i costoni.

Il solleone è, al contrario, ancor più generoso – pensate un po’ – proprio con chi rimane in città, impedito a raggiungere luoghi ameni di svago e, come spesso avviene, di apparente riposo.

Sembrerà strano sentirlo, ma è stupendamente meraviglioso il silenzio della città vuota, con le strade deserte e senza l’ ammorbante puzzo degli scarichi combusti delle auto L’inconscia esigenza, poi, di dare un plausibile senso alla mancata partenza, diventa necessaria, impellente quasi, per predisporci meglio a bene impiegare il tempo, che considerata la totale assenza di incombenze di lavoro, non è certo limitato.

Ma, senza che me lo aspettassi, cosa incredibilmente insolita, sento farsi strada, tra le tante cose lasciate in sospeso, il desiderio, non molto convinto all’ inizio in verità, di mettere ordine tra i libri e gli scritti, ammonticchiati sui tavoli di lavoro della stanza “degli inferi “, ovvero lo studio inaccessibile a tutti. La prima sensazione, che colpisce chi inavvertitamente ha la sventura di varcare quella soglia, è di entrare in una giungla, dove al posto degli alberi vi sono pile di libri, che partono dal pavimento, e poi giornali, mille e mille oggetti, ricordi, simboli, immagini ed altro, sulle pareti e sospesi, che farebbero la felicità di un rigattiere. Un luogo da cui nessuno ha fatto mai ritorno e particolarmente chi, animato da fraterno spirito di sacrificio, ha tentato, avventurandosi senza una guida, di tracciare un sentiero percorribile, nella grande savana della carta stampata che è il luogo in cui vivo i miei momenti dedicati allo spirito.

Presto m’ accorgo, dando un’occhiata qua e là, che l’inesperienza degli anni verdi, purtroppo ormai lontani, spesso fa passare sotto i nostri occhi indifferenti, argomenti di notevole interesse.

A parte la parentesi scherzosa del luogo dove sono solito isolarmi, per scrivere e meditare, questo preambolo mi è servito per meglio raccontarvi quel che mi è capitato nei giorni scorsi, rileggendo la “Repubblica ” di Platone, non quella di Scalfari.

Ho riscoperto un Platone nuovo, che non ricordavo. Non certo il filosofo pedante e noioso, che parla di cose comprensibili solo da chi è addetto ai lavori, ma il saggio ed illuminato “opinionista ” che ben 2600 anni addietro, con parole semplici e non roboanti, affrontava argomenti di notevole spessore esistenziale, dicendo solo quel che andava detto, riuscendo ad essere, anche per noi del XX secolo, attuale come non mai.

Eccovi una, fra le tante, bellissima allegoria di cui Platone si serve per farsi capire dal suo interlocutore, sfuggendo così alle macchinose esposizioni, e ai giri di parole, che spesso, per la condizione umana, imbrigliano il pensiero. E’ quella della “caverna “, che riporterò con parole mie nel tentativo di evidenziare l’ attualità del pensiero del grande filosofo.

Alcuni uomini – dice Platone – sono da sempre incatenati in una caverna, con le facce rivolte verso la parete di fondo, tenuti saldamente stretti tanto da essere impossibilitati a girare la testa. Alle spalle di queste persone, fuori della caverna, vi è una strada e tra l’ingresso della caverna e la strada, un muro ad altezza d’ uomo e, ancora dietro, un grande e immenso fuoco.

Immaginiamoci – continua Platone – che alcuni passanti percorrano la strada portando sulle spalle una serie di oggetti diversi: casse, statue, armi, bandiere e candelabri. La luce del fuoco, illumina gli oggetti e proietta, sulla parete di fondo della caverna, soltanto l’ ombra degli stessi e non quella degli uomini, che viene fermata dal muro, lungo la strada. Gli uomini, incatenati nella caverna, che non hanno visto mai nulla di simile, vedranno soltanto ombre vaghe e confuse degli oggetti, tra l’altro distorte dalle asperità della caverna ed ingrandite per la distanza, tremolanti per il danzare delle fiamme. Per essi, quelle ombre rappresentano la realtà, I ‘ unica e sola realtà che conoscano, confermata, tra l’ altro, dal vociare di coloro che passano, per la strada. Ad un certo punto, però, accade un fatto imprevisto. Uno dei prigionieri riesce a liberarsi e a fuggire. Appena fuori dalla caverna, però, presto rimane abbagliato dall ‘ impatto con la luce del fuoco e, cosa non da meno, stordito dalle mille e mille domande che improvvisamente sembrano accavallarsi nella sua mente. Pian pianino, poi, i suoi occhi assuefatti alla luce, gli consentono di distinguere cose che egli non aveva giammai visto. Gli fanno capire, senza mezzi termini, che la “realtà ” in cui credeva, non era quella delle ombre proiettate sul fondo della caverna e neanche di tutto ciò che pensava, allora. La realtà, si rende presto conto, è ben diversa. In un impeto generoso, egli avverte, impellente, il desiderio di raccontare ai suoi compagni di prigionia quanto diverso sia il mondo all’esterno. Decide, generosamente, di ritornare nella caverna. Presto, egli si renderà conto, purtroppo, di quante difficoltà sarà costretto ad incontrare, e quanto vani saranno i di spiegare agli altri la “vera realtà” che è fuori della caverna: fra tutte, quella legata all’ assoluta carenza di giusti vocaboli per la formulazione dei concetti esaurienti, e chiari, necessari per farsi credere dai compagni di prigionia.

Che dire poi, dello smarrimento da cui sarà pervaso allorquando, adattatosi alla luce, per un certo lasso di tempo, immerso nel buio, non distinguerà più nella caverna le ombre che una volta erano tutto il suo mondo, e che continua ad esserlo per gli altri incatenati? I suoi amici, malgrado i suoi tentativi, non gli crederanno: “E’ impazzito – essi diranno – anzi, è in preda alle allucinazioni”.

Triste destino attende il nostro generoso fuggitivo. Egli non verrà creduto da nessuno e rimarrà inascoltato e isolato da tutti. In compagnia della sua solitudine.

L’intimo significato di questo racconto allegorico, ci induce a fare qualche considerazione.

Ben “sei secoli” prima del Cristo, Platone già sapeva che la “realtà ” non è che l’interpretazione di un qualcosa che spesso appartiene al mondo delle illusioni.

Com’è possibile che un messaggio tanto antico – che viene da così lontano – sia stato ignorato, così come ignorati sono stati, sistematicamente, altri autorevoli messaggi del passato? Gesù, quando affermava “Il mio regno non è di questo mondo” – non voleva, per caso, dire la stessa cosa? Non ci sfiora il sospetto di aver trattato alla stessa maniera del prigioniero che torna alla caverna, gli astronauti, alcuni dei quali rimasero seriamente danneggiati psichicamente, al rientro dai viaggi spaziali? Anch’essi, a seguito della esaltante esperienza spaziale, raccontarono di aver vissuta una realtà sconosciuta, completamente diversa da quella sulla terra: una realtà che stava tra cielo e terra, molto simile alla frase “Ci sono più cose tra cielo e terra… che Shakespeare fece dire ad Amleto.

E intanto, la vita continua. Tutto rimane immutato perché l’uomo considera – o gli viene fatto credere – che l’unica realtà è quella esistente e che conoscerà “l’altra realtà “, solo dopo la morte. Per il momento, è cosfretto a vivere una realtà fatta di ombre, si, come quelle della caverna, perché imprigionato nel corpo fisico – la sua condanna – abituato, di conseguenza, a conoscere un solo aspetto della realtà, quello della sua esistenza umana.

Riflettiamo, per un solo istante. Guardando un “albero”, noi non facciamo altro che osservare una rappresentazione cerebrale e mentale: il risultato, cioè, di una serie di stimolazioni tattili o visive, che percorrendo un itinerario interiore, forniscono una percezione esclusivamente personale. Noi, conosciamo l’ immagine mentale di una cosa concreta, che è fuori di noi, e la chiamiamo con il nome che sin da piccoli ci hanno insegnato. Non sapremo mai se quel nome, per altri, definisca una immagine mentale uguale alla nostra e se le stimolazioni visive e tattili, sortiscano le stesse sensibilizzazioni.

A questo punto, mi sembra che l’immagine dell’albero sia molto simile ad un’ombra proiettata sulla parete di una caverna e che fornisca, a coloro che ivi stazioneranno, tutta una serie di realtà apparenti, che si adatteranno perfettamente a tutti, a seconda del grado di cultura, di sensibilità e di percettività. Potremmo dire, quindi, che la realtà non è molto diversa da quella che consideriamo essere l’ immaginazione e, per quanto paradossale possa sembrare in apparenza, potremmo definirla come la concordanza del “maggior numero di definizioni ” di uno stato immaginativo, che la definiscano, indicandola come “unica realtà ” La vera e unica realtà, come diceva Platone, è la nostra realtà, quella che percepiamo: quel che conta è l’ immagine che ciascuno ha di se stesso, perché è la unica, realmente esistente. Ed ecco che la “psicodinamica ” – che insegna a scoprire la propria realtà – entra di forza nell’ argomento e ci induce a non dare eccessiva importanza alle ombre e, di conseguenza, a non aver paura di affrontare, conoscere l’ interiorità della propria immagine. Anzi, indispensabile diventa l’ impegno che ogni essere umano deve riporre nel migliorare la propria realtà interiore e, per quanto è possibile, a perfezionarla. Questa è l’ incredibile e piacevole scoperta, che ho voluto raccontarvi. Platone! Chi era mai costui che conosceva la psicodinamica? Pensate un po’ , eravamo nel 600 avanti Cristo…             

 Silvio Nascimben

Presidente del Collegio Circoscrizionale della Puglia

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

NAPOLEONE E LA MASSONERIA

NAPOLEONE E LA MASSONERIA

di

Vittorio Gnocchini

Quando ci si avvicina ai grandi personaggi che, nel bene e nel male, sono stati determinanti nella storia del mondo, si rischia di perderci nel mare magnum della loro grandezza e delle loro attività in cui sono stati eccelsi. E parlare in particolare di Napoleone e la Massoneria, non rappresenta un campo d ‘indagine ristretto, come può in apparenza sembrare, ma, al contrario, significa immergerci nella personalità alquanto complessa del personaggio e nel periodo storico in cui ebbe ad operare. Prima di addentrarci nel tema, è necessario spendere alcune parole sulla condizione in cui versava la Massoneria Francese alla vigilia dell’avvento di Napoleone, nel quadro della storia europea.

Allo scoppiare della rivoluzione, la Massoneria aveva acquistato, in Francia, un posto e un’influenza considerevoli: nel 1789 funzionavano nel paese più di 600 Logge regolarmente costituite (65 a Parigi, 442 nelle province, 39 nelle colonie d’oltremare, 69 castrensi nei reggimenti e 17 all’estero), frutto non tanto del Gran Maestro, Filippo d’Orleans, principe di sangue divorato dall’ambizione politica, la cui benemerenza risale al 1770, quando, ventiquattrenne, si schiera in difesa del parlamento contro Luigi XV, conquistandosi così l’appellativo di “Philippe Egalité”, con cui sarà universalmente conosciuto, ma soprattutto dal duca di Montmoremcy-Luxembourg, uomo di grande cultura che, nominato Amministratore Generale dell’Ordine, aveva lavorato alacremente alla riorganizzazione amministrativa della Massoneria Francese, Dal 1773, anno di scesa di Filippo d’Orleans e del duca di Luxembourg, ha inizio la formidabile crescita dell’Ordine: la nobiltà, gli intellettuali, ma anche i ricchi borghesi e l’alto clero si danno convegno nelle Logge. Anche le signore chiedono di entrarvi; nel 1774 il Grande Oriente accetta le Logge di Adozione, cioè Logge sussidiarie, costituite da donne, istituite, sotto il patronato di massoni, da Logge regolari, in cui viene utilizzato un rituale iniziatico adatto allo scopo.

Ma quando, tra il 1790 ed il 1793, la fede nel progresso ispirata dai “lumi della ragione”, anima della Massoneria Francese, viene annientata dalle guerre esterne ed il Terrore semina la morte, la Fratellanza si eclissa: certamente non muore, ma si intorpidisce e sospende le proprie attività. Le Logge chiudono una dopo l’altra fino al 22 febbraio 1793, giorno in cui il Gran Maestro Pkilippe-Egalité, resosi conto del fallimento delle sue manovre politico-massoniche e temendo per la propria vita decide di rinnegare i suoi Fratelli e rilascia una pubblica dichiarazione di incredibile bassezza al “Journal de Paris”: “Siccome non mi è dato di conoscere in qual modo il Grande Oriente sia composto e poiché ritengo, d’ altra parte, che non deve esservi alcun mistero, ne alcuna assemblea segreta in una repubblica, soprattutto quando essa è agli esordi della sua esistenza, io non mi voglio più mischiare in nulla del Grande Oriente, ne delle assemblee massoniche.” Esattamente due secoli più tardi, i Massoni italiani subiranno la stessa onta del tradimento perpetrato dal loro Grande Maestro.

Le Logge francesi riprendono forza e vigore nel 1796; l’uomo che le riapre, dopo la catastrofe, Roettiers de Manteleau, proveniva addirittura dal carcere. Il compito che si era prefisso non era facile. Durante la rivoluzione, la Massoneria aveva sofferto moltissimo. Un intero gruppo di coloro che erano stati I ‘ orgoglio delle Logge, aveva lasciato la testa sul patibolo; molti erano caduti, molti erano stati distrutti  nel corpo e nell’ anima nelle prigioni della Comune. Quando il Grande Oriente fu rimesso in attività da Roettiers, solo 18 Logge rispondono al primo appello e lentamente la vita ritornò nelle Officine. Piano, piano, si presentano però di nuovo i Massoni della vecchia guardia: François de Neufchateau, presidente del senato, Fontanes, presidente del corpo legislativo, Lacépède, Gran Cancelliere della Legion d’Onore; anche Lalande e Pastoret tornano tra le Colonne.

Nel 1799, Roettiers de Montaleau può contemplare la sua opera con intima soddisfazione; egli è riuscito a riunificare le diverse obbedienze francesi sotto la tutela del Grande Oriente divenuto il solo garante della regolarità massonica in Francia. Soltanto le Logge Scozzesi, gelose della loro indipendenza, o meglio isolamento, non partecipano all’unione. Nello stesso anno, appare sullo scenario della nostra storia Napoleone Bonaparte, ormai non più astro nascente della politica francese, ma saldamente Primo Console, il quale, conscio dell’ importanza della rinascente Massoneria, a partire dal 1800 ha cura di far introdurre nelle Logge numerosi informatori, ottenendo precise indicazioni sulle intenzioni e sui lavori dei Liberi Muratori. All ‘esterno, intanto, la polizia non cessa di vigilare e nei frequenti rapporti classifica i Massoni in due categorie: i “buoni massoni” che si occupano solo della fratellanza e della beneficenza, ed i “cattivi massoni”, raggruppanti coloro che hanno il cattivo gusto di criticare l’operato di Napoleone. Si renderà, allora, indispensabile un’epurazione, innanzi tutto, espellendo dall’Ordine qualche cervello surriscaldato, che mirava a condurre l’ Istituzione su una china pericolosa. Roettiers, non sappiamo se volentieri o meno, obbedirà ai suggerimenti che gli verranno forniti a riguardo. In effetti, la grande rinascita della Libera Muratoria francese è assoggettata all’Impero, proclamato da Napoleone nel 1804. Giuseppe Bonaparte diviene Gran Maestro del Grande Oriente, con l’intesa che il Fr. Jean Jacques Cambacèrés, già Secondo Console del Direttorio, Arcicancelliere e Principe dell’ Impero, ne sarebbe stato il braccio destro. Alto dignitario dell ‘Ordine è anche il Prefetto di Polizia, Fouchè: come si può rilevare la direzione del Grande Oriente non è lasciata al caso.

Nello stesso anno 1804, proveniente dalla Giamaica, giunge a Parigi il capitano conte di Grasse-Tilly, in possesso di lettere credenziali del Supremo Consiglio, Madre del Mondo di Charleston, con cui è autorizzato a creare Supremi Consigli, ove ve ne fossero i presupposti. Con gli Scozzesi francesi, il 22 settembre, fonda il Supremo Consiglio di Francia. Dopo una relativamente breve trattativa con il Grande Oriente, si perviene alla decisione di concedere a quest’ultimo il governo dei gradi dal 1 0 al 18 0 , mentre al Supremo Consiglio sarebbe rimasta riservata l’ amministrazione delle Camere Superiori. Il compromesso però non dura a lungo, gli Scozzesi riestendono la propria autorità sulla totalità dei propri gradi ed il Grande Oriente istituisce un Gran Collegio dei Riti, per i propri. Va comunque rammentato che diversi Massoni del Grande Oriente otterranno anche di Alti Gradi dello Scozzesismo, pur permanendo all’obbedienza del Grande Oriente e malgrado gli sforzi di riunificazione di Napoleone. L’Imperatore allora adotta la solita tattica di fronte ai reiterati dinieghi del Supremo Consiglio Scozzese di unificarsi col Grande Oriente. Per ottenere comunque il controllo nomina il fedele Cambacèrés alla testa del Supremo Consiglio dei Riti.

La Massoneria dell’Impero incensa Napoleone, a somiglianza della Loggia “Napoléonmagne” di Tolosa, che è solita celebrare tutte le vittorie dell’Imperatore. E’ il periodo di massimo splendore delle Logge castrensi, colorando l’intero Ordine di lealismo bonapartista. Non a caso, numerosi generali e marescialli risultano Liberi Muratori e non è azzardato affermare che in ogni reggimento fiorisce una Loggia. La benevolenza imperiale, naturalmente non poteva essere fine a se stessa. Napoleone aveva compreso che i fraterni legami dei Massoni potevano ben servire alle sue ambizioni europee, in quanto forieri di pace e di civile concordia. La spiritualità massonica, da un lato, stava forgiando profonde amicizie tra i militari, favorendo la coesione dell’ armata, e, dall’ altro, poteva servire a che le truppe d’ occupazione francesi trovassero amichevole accoglienza nei paesi vinti. E così fu. Si videro, infatti, Massoni dei campi avversi accostarsi senza pregiudizi, fedeli all’ideale del Massone che tende ad essere cittadino del mondo e a vivere al disopra dei partiti e dei conflitti nazionali. Grazie alla Massoneria, dunque, l’imperatore rinforzò la propria annata e soprattutto le sue conquiste.

E’ Napoleone in persona che introduce nell’Ordine i primi sentimenti anticlericali, mediante i dignitari massonici che gli stesso ha nominato. E lo si comprende. Pio VII aveva avuto l’audacia di scomunicare Napoleone e questi reagisce facendolo arrestare nel 1809. Nel 1812, lo obbliga a firmare un concordato a Fontainbleau. La Libera Muratoria, sempre obbediente, s’ affretta a felicitarsi con l’imperatore per il suo risoluto comportamento. Ma anche le alte gerarchie della chiesa, nonostante il trattamento riservato al suo coerente e lineare Capo, non fu da meno: prima vollero includere nel catechismo la frase” Onorare e servire il nostro Imperatore, è come onorare e servire Dio stesso”, e poi, si inventarono un San Napoleone, del quale, sebbene non figurasse nell’Acta Santorum, qualcuno presto scoprì un oscuro soldato romano di tal nome, ucciso sotto il regno di Diocleziano. Subito, nelle chiese francesi, apparvero i ritratti di questo santo marziale, equipaggiato con tanto di scudo, elmo e corazza.

Intanto, nel 1805, a Milano, il conte de Grasse-Tilly, insieme a Paul Vidal, a Peyron e al nobile veneziano Renier, elevano altri 5 massoni italiani al 33 0 grado del Rito Scozzese ed, il 5 marzo di quell’anno, fondano il Supremo Consiglio in Italia.

Quindi, eleggono Sovrano Gran Commendatore il Viceré d’Italia, il principe Eugenio Beauharnais e Luogotenente Gran Commendatore il conte milanese Pietro Calepio. Successivamente, il 20 giugno, le Logge francesi, Reale Napoleone, Reale Giuseppina, l’Eugenio, il Felice Incontro e la Concordia di Milano e la Riunione di Bergamo, consociandosi, danno vita al Grande Oriente d’Italia, sedente in Milano.

Verso il 1811, a Besançon e altrove, comincia a farsi strada un movimento rivoluzionario clandestino: i Buoni Cugini Carbonari; una setta che ricalca i propri rituali su quelli della Massoneria e che tenta di ripetere l’operazione degli Illuminati di Baviera, infiltrando i propri adepti nelle Logge, al fine di portare l’Istituzione verso una politica di contestazione al regime. La manovra, ben presto, abortisce, ma qualche “Buon Cugino” riesce a sfuggire ai controlli e a far vacillare la serenità di certi “Buoni Massoni”.

Il Grande Oriente, nel 1814, contava sull’enorme cifra di oltre 900 Logge e l’astro Napoleone aveva ormai intrapreso, ineluttabilmente, la sua parabola discendente. Quando parte per I ‘ isola d’ Elba, la Massoneria francese si pone immediatamente in uno stato di disarmo: i dignitari sono pronti a mutar casacca e si danno alla glorificazione di Luigi XVIII, il quale, ad ogni buon conto, fa esercitare sulle Logge una rigorosa sorveglianza poliziesca. “L’ Impero – affermano i rappresentanti ufficiali della Massoneria francese – non era che una sanguinaria tirannia, che ci oppresse in svariati modi”. Centinaia di Fratelli, disgustati da tanta doppiezza, presentano le loro dimissioni dall ‘Istituzione. Durante i Cento Giorni, nuovo ribaltamento della situazione: persuasa che l’ imperatore sarà il più forte, la Massoneria gli offre il suo appoggio e rigetta il lealismo borbonico.

Il 18 giugno 1815, con la battaglia di Waterloo, è la fine del potere napoleonico, delle Logge castrensi e delle Massonerie nazionali sorte dopo le conquiste militari dell’Armée. In Francia, i realisti, ritornati al potere, tra i primi provvedimenti epurano l’ esercito e instaurano l’ abominevole “Terrore Bianco”, che decima moltissime Logge e polverizza la Massoneria favorevole all’impero. Quella che comunemente è chiamata “restaurazione”, non solo fu quell’oscuro periodo che riporta l’antico regime in Francia e in tutti i territori europei civilmente occupati dalle truppe imperiali, ma segna soprattutto una recrudescenza dell’ antimassonismo viscerale tipico dei regimi assolutisti. Con la caduta dell ‘ impero, non avvenne solo la chiusura delle innumerevoli Logge presenti sul nostro territorio, anche se ormai avevano perso tutta la spiritualità che informa i nostri Templi, circoli nati e cresciuti per incensare il Grande Corso ed in cui l’orpello aveva preso il posto dell ‘ austero, ma soprattutto determinò una reazione così forte da parte dei regnanti dell ‘ antico regime rimessi sul trono, che furono necessari quasi quarant’ anni per risollevare la Massoneria nazionale.

Napoleone è entrato mai in una Tempio Massonico? E’ stato iniziato Libero Muratore? Mentre la quasi totalità dei suoi parenti sono stati iniziati Massoni, e ciò è riscontrabile da documenti provenienti da Logge, per I ‘ imperatore le prove portate da coloro che lo vogliono nell ‘ Ordine, sono tutte storicamente confutabili.

Di Giuseppe Bonaparte, il maggiore dei quattro fratelli, re di Napoli e poi re di Spagna, soltanto negli anni 50 di questo secolo viene alla luce il verbale del suo ricevimento, insieme a Cristoforo Saliceti, allora “rappresentante del popolo”, in una Loggia di Marsiglia, recante la data 8 ottobre 1793. Nel 1805 viene nominato Gran Maestro del Grande Oriente di Francia.

L’iniziazione massonica di Gerolamo, il minore tra i Fratelli di Napoleone, è documentata con altrettanta chiarezza di quella di Giuseppe. Il suo nome, infatti, appare nel verbale della seduta del 2 floreale (12 aprile) 1801 , con i seguenti dati: “Profano Gerolamo Bonaparte, figlio di massone, nativo di Ajaccio, Dipartimento di Liamone, nato nel 1784, aspirante di marina e di religione cattolica”. Dal documento emerge che il padre, Carlo, era un Libero Muratore e pertanto i figli venivano considerati “Iowtons” (lupetti), i quali potevano essere accolti nelle Logge prima del raggiungimento della maggiore età; nella cerimonia d’iniziazione le prove erano ridotte al minimo ed ad essi non veniva apposta la benda sugli occhi, avevano, invece, il capo coperto da un velo trasparente a significare che quei recipiendari non erano del tutto a digiuno dei misteri dell’ Ordine.

Per quanto ne sappiamo, I ‘ appartenenza di Luciano Bonaparte alla Massoneria non è confermata da un verbale di Iniziazione, non dimeno la sua affiliazione è generalmente data per certa, non fosse altro per i segni simbolici che accompagnavano la sua firma, anche in documenti che nulla avevano a che vedere con l’Istituzione, come carte ufficiali del Ministro degli Interni.

Sull’iniziazione di Luigi più di uno storico ha avuto dei dubbi: fatta salva la carica di Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente di Francia, quando suo fratello Giuseppe era Gran Maestro, non possediamo, tutt’ oggi, altre informazioni sulle sue frequentazioni massoniche.

Circa i cognati di Napoleone, sappiamo, per certo, che tutti sono stati iniziati in Massoneria: Felice Baciocchi, marito di Elisa, il Principe Borghese, marito di Paolina, ed infine Gioacchino Murat, marito di Carolina. Quest’ ultimo, invero, fu un grande frequentatore di Logge, dalla sua iniziazione alla “Felice Incontro” di Milano, il 26 dicembre 1801, a Maestro Venerabile della Loggia parigina “La Colombe”, da Grande Ufficiale del Grande Oriente di Francia a Gran Maestro del Grande Oriente di Napoli.

Dell’ iniziazione del Grande Corso, invece, è doveroso dubitarne, anche perché troppi biografi, coevi e non, danno versioni diverse sul fatto specifico, senza che alcuna fosse minimamente provata. Chi lo vuole massone da tenente a Parigi, chi da colonnello a Marsiglia, gli storici Besuchet e Clavel lo vogliono ammesso durante il suo soggiorno a Malta, nel luglio del 1798; Eugene Couler ha scritto invece che è stato iniziato nel 1785, quando era di guarnigione a Valence. Addirittura il Fr. Chevillon, Gran Maestro del Rito di Misraim e Memphis di Francia, in una lettera indirizzata il 10 novembre 1934 al suo pari grado Fr.’.. Fletcher negli Stati Uniti, afferma: “… Il generale Bonaparte ed il generale Kleber, nel 1798, fondano al Cairo una Loggia composta di ufficiali e di studiosi francesi uniti a notabili egiziani iniziati agli antichi misteri delle piramidi. La Loggia creata al Cairo prese il nome di Iside. Al ritorno dall ‘Egitto ci si mise a ripetere soprattutto nelle Logge scozzesi che il Generale s ‘era fatto iniziare sulle rive del Nilo…”. Infatti, qualche tempo dopo, una rivista, diretta da scozzesi “Lo Specchio della Verità”, non esita a scrivere: “… l’ Ordine massonico adesso è fiero di contare tra i suoi affiliati l’ illustre Fratello Bonaparte”. Anche in questo caso, nessun documento viene portato a suffragare la tesi del FR ,’,Chevillon. Di contro, sono molti i “fatti” che provano la tesi opposta. Dopo la morte di Napoleone, Constant suo cameriere confidò i suoi ricordi allo scrittore Villemarest, nei quali le riunioni di Massoni erano definite dall’ex imperatore “pure fanciullaggini”. Una lettera di Bonaparte, inoltre, ingiunse al Minisfro della Giustizia di sciogliere una Loggia di Torino e che ammonisse il cittadino Delaville, Prefetto del Po, di non presenziare più a riunioni di Loggia, in quanto, o sono inutili, o sono sospettate di nutrire principi contrari al Governo.

E qui, dovremmo riaprire, ma l’argomento ci porterebbe lontano, una antica controversia, a volte sopita, ma sempre attuale, sui rapporti tra Massoneria e potere, tra l’Istituzione ed il cosiddetto “ordine costituito”. Gli antichi Massoni inglesi lo risolsero dandosi un protettore nella figura di un membro della famiglia reale e gli affidarono, ed ancora oggi accade, la carica del tutto formale ed onorifica di Gran Maestro.

Da quanto ho riportato, e sono soltanto alcuni esempi, è francamente difficile dare come avvenuta I’ iniziazione di Napoleone a Libero Muratore, sebbene il Fratello François Collaveri nel saggio “Napoleone, imperatore e Massone”, prima di lui l’ altro Fratello Eugène Coulet, su la “Catena d’ Unione”, e lo storico lorenese Noel si siano arrampicati su improbabili specchi per dimostrare il contrario. E ciò è abbastanza naturale: la “grandeur” a volte annebbia anche gli occhi di massoni onesti e storici notoriamente rigorosi. Dopo il 1986, anno di pubblicazione del libro di Collaveri, molti hanno seguito questa facile via. La mancanza di documenti obiettivi – verbali di iniziazione e/o i verbali di ricevimento – e l’ assenza di narrazioni riscontrate storicamente determinano e sanciscono, a tutt’ oggi, Napoleone un profano dei misteri massonici. Certamente un particolare profano che ha saputo utilizzare la massoneria francese ed europea per i suoi fini politici e militari; un particolare profano che ha saputo trasformare quella Massoneria e quei Massoni in strumenti di propaganda imperiale, usurpando non solo al Tempio la sua sacralità, ma addirittura modificando le finalità universali dell ‘Istituzione.

Ma il fatto in sé, carissimi Fratelli, non è poi così importante come può in apparenza sembrare. Molti uomini, mai iniziati, hanno operato per il bene ed il progresso dell’umanità, come tanti massoni non hanno saputo edificare Templi alla Virtù. Napoleone è stato un grande nella storia dell ‘uomo ed, in apparenza, lo è stato per la rinascente Massoneria post rivoluzionaria ed anche italiana: la formazione dei Grandi Orienti a Milano e a Napoli lo attestano. Ma a che prezzo? Dobbiamo riconoscere che quella Massoneria e quei massoni, nella stragrande maggioranza non erano certamente liberi da condizionamenti esterni. La figura dell’Imperatore, o meglio la sua ombra, aleggiava nelle Logge e l’ incensamento al Grande Corso era quasi I’ unica attività nelle Officine. In Italia, anche dai titoli distintivi delle Logge possiamo renderci conto della situazione: “San Napoleone” a Genova; “Gli Amici di Napoleone il Grande” a Casale Monferrato; “Reale Napoleone”, “Reale Giuseppina”, “Carolina” e “Reale Eugenio” a Milano; “La Costellazione Napoleone”, “Giuseppe il Giusto”, “Giuseppe la Concordia” e “San Giuseppe Napoleone” a Napoli; dulcis in fundo, “Gli amici fedeli della Felice Giornata del 20 marzo 1811 ” a Torino, inneggiante alla nascita del Re di Roma. Non mi sembra che questa sia la Massoneria che noi conosciamo, che amiamo e che perseguiamo nelle nostre Logge.•

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

SIMBOLI E TRADIZIONI NELLE DIVERSE CULTURE

 

SIMBOLI E TRADIZIONI NELLE DIVERSE CULTURE

La Croce, il Cerchio e la “Decade Pitagorica”

di

Aldo Chiarle

Nello spirito degli antichi filosofi qualcosa di divino e di misterioso si è sempre riallacciato alla forma del Cerchio che rappresenta la prima origine del concetto di Croce. Il mondo antico rappresenta la Divinità con un Cerchio.

Una fortunata combinazione mi ha fatto trovare una ventina di anni fa e forse più su una bancarella di uno dei tanti mercatini delle pulci che pullulano in Italia, dove si possono trovare, per un ricercatore attento, accanto alle cose più folli ed assurde, anche piccoli tesori, una pubblicazione che ha subito attratto il mio interesse.

Era per terra, confusa fra centinaia di romanzetti rosa e di evasione, con le pagine stracciate ed ingiallite dagli anni. Appena ho iniziato a sfogliarla, l’ho trovata di così denso sapore iniziativo e simbolico che, acquistata, non appena a casa, l’ho letta tutto di un fiato in una sola notte. Dalla pubblicazione del titolo “LA CROCE IL CERCHIO, LA DECADE PITAGORICA” di Edoardo Tinto ho tratto una sintesi, alcune considerazioni che vado ad esporre.

La croce è uno dei più antichi simboli mistici usati dall’uomo. Ma la pretesa di considerare la Croce come segno sacro puramente cristiano è veramente strana e non risponde alla verità.

La prova è nel fatto che le vestigia della Croce si trovano nei monumenti più antichi, fino alle inesplorate profondità di epoche arcaiche.

I Re assiri, come Assurnasirpal e Saudiraman, le cui statue si conservano nel Museo Britannico, portavano un monile speciale a forma di Croce: e crociformi sono gli orecchini trovati nelle tombe puniche di Cartagine.

Il mistero che avvolge, la Croce, anziché diradarsi, si addensa sempre di più, allorché la si trova sulle statue gigantesche preistoriche dell’Isola di Pasqua. Senza parlare dell’uso preminente della Croce ansata nell’ antico Egitto, della Croce a forma di Tau, di Svastica che si trova scolpita o dipinta sulla roccia, nella Scandinavia precristiana e in tante isole e terre sperdute del nostro globo esplorate solo da qualche decina di anni.

In verità, soffermandosi nello studio della filosofia religiosa degli antichi si vede che i popoli primitivi davano al simbolo e alla simbologia una importanza sovrana.

Perché la storia religiosa di tutti popoli è chiusa nelle difficilissime spire del misticismo allegorico: essa non è quasi mai espressa con parole.

I geroglifici egizi non sono trovate, ma espressioni profonde ideate dai più dotti dell’ antichità. Essi costituiscono la lingua misteriosa con la quale si esprimevano tutte le teologie.

I grandi sistemi filosofici arcaici conosciuti sotto il nome di Scienza Sacra possedevano una lingua universale e simbolica non solo agli Iniziati.

La cristianità rigetta queste significazioni, classificandole strane, arbitrarie ed oscure e respinge questi studi con la convinzione aprioristica che essi sono contrari alla fede e pericolosi per le coscienze.

Vogliamo iniziare questo breve studio sulla Croce affermando che questo simbolo è uno dei più antichi usati dall’uomo. In verità, la prima figura simbolica è stata un semplice cerchio, che significava il Divino Infinito.

Ad essa seguì il Cerchio con un punto centrale che indicava la prima differenziazione nelle manifestazioni periodiche della natura insessuale ed eterna.

In una terza fase, il punto si trasformò in un diametro del Cerchio e servì a simboleggiare la Madre Natura, divina e universale.

Ma quando, dopo questa terza fase, il diametro venne crociato da un altro trasversale, si ebbe la Croce del     Mondo, segno che simboleggiò il principio della vita umana.

Molto più tardi, queste epoche arcaiche, e cioè presso gli egizi, la Croce si trasformò in emblema di vita.

Gli indiani rappresentavano la Croce come contemporanea del Cerchio del Divino Infinito e della prima differenziazione dell ‘Essenza, dell ‘ Unione, dello Spirito e della Materia. Vi è anche un rapporto tra la Croce e l’ allegoria astronomica.

Mercurio che, figlio del Cielo e della Luce, mitologicamente è figlio di Giove e di Maya.

Egli è il messaggero di suo padre, il Messia del Sole. In greco il suo nome è Ermes e significa, fra l’ altro, l’Interprete, la Parola, il Verbo.

I simboli di Ermes-Mercurio, che erano posti lungo le strade maestre, nei punti di intersecazione erano crociformi. Ogni sette giorni i sacerdoti ungevano di olio santo questi Termini e una volta l’ anno li ornavano con ghirlande floreali.

Mercurio era rappresentato con teste e chiamato Triplice, come se formasse un tutt’uno col Sole e con Venere.

Ma, Mercurio era anche rappresentato sotto forma cubica, cioè, senza braccia, poiché si teneva presente che “la facoltà di parlare può predominare senza l’aiuto delle braccia e dei piedi”

Ed è questa forma cubica che riallaccia direttamente i Termini alla Croce.

In alchimia, Mercurio è il principio radicale, umido, l’ acqua primitiva elementare che racchiude i semi dell ‘ Universo, fecondati dal fuoco solare.

Ora, se l’Ermes cubico si riallaccia alla Croce perché il Cubo sviluppato rende appunto il Tau, esso diviene Croce nella forma egizia, alla quale i Faraoni attaccavano i Cerchi, formando così la croce ansata.

Gli egizi conoscevano la Croce da molti secoli, attraverso i loro sacerdoti e i loro Re Iniziati, e sapevano anche molto bene cosa ciò significava: porre un uomo sulla Croce significava far corrispondere con l’idea di una nuova rinascita dell’uomo, ma per una generazione soltanto spirituale, non fisica.

I candidati all’iniziazione venivano attaccati al Tau, o Croce Astronomica, in virtù di una idea più alta e più nobile di quella della origine della vita umana.

Non è dunque sulla Bibbia che dobbiamo fare le nostre ricerche per trovare l’origine della Croce, ma molto prima.

Nello spirito degli antichi filosofi qualcosa di divino e di misterioso si è sempre riallacciato alla forma del Cerchio che, come già accennato, rappresenta la prima origine del concetto di Croce.

Il mondo antico – in ciò d’ accordo con il suo simbolismo e con le sue intuizioni panteistiche – rappresenta la Divinità con un Cerchio.

Secondo la filosofia mistica questa Divinità durante le sue notti sue e i suoi giorni, o cicli di riposo e di attività, costituisce l’eterno  movimento perpetuo, l’ incessante divenire: così la Croce equivale al giro dell’ anno.

La Croce ansata non era quindi una semplice figura  geometrica, ma esprimeva il concetto profondo della Croce e del Cerchio uniti assieme.

Il più curioso di questi simboli egizi della Croce e del cerchio è il simbolo la cui completa spiegazione è il significato finale derivato dai simboli della stessa’           Natura.

La Croce più sacra dell ‘Egitto che tenevano nelle mani gli Dei, i Faraoni e i Morti mummificati è l’Ank (Croce Ansata), segno di vita, il vivente… la sua sommità non è altro che il Cerchio geroglifico, messo per diritto sulla croce del rappresenta l’ingresso e l’uscita. Ecco perché il Tau era il segno di ogni principio.

La versione purànica (il Puranà è il poema induista) degli indiani espone tutta la questione sotto un particolare aspetto.

Il nodo dell ‘ Ank non appartiene infatti al solo Egitto    una corda che Shiva dalle quattro braccia, tiene in una mano sinistra.         modo che il primo dito e la mano formano la croce e l’ anello.

Esso costruisce l’ emblema di ingresso ed allude alla porta che condurrà al Regno dei Cieli.

E’ ben vero che si tratta di Croce col Cerchio, o Croce Ansata, ma è una Croce sulla quale devono essere crocefissi tutte le passioni umane, prima che lo Spirito possa trovare la porta che porterà l’uomo interiore in

un cielo infinito.

Questo sacrificio con le umani passioni sulla Croce, costituisce la parte essenziale dell’ Iniziazione. Il Cerchio, dal quale ha avuto origine il significato mistico della Croce, ha sempre e dovunque simbolizzato

lo Spirito della vita e l’immortalità.

Il Serpente che si morde la coda rappresenta il Cerchio della Saggezza nell’infinito, precisamente come la Croce astronomica – Croce inserita in un Cerchio – è il globo alato, che diviene lo scarabeo sacro degli Egizi.

Nella filosofia primitiva degli Jerofànti (gran sacerdoti greci incaricati di presiedere ai misteri eleusini) cultori di Cerere e Proserpina e di insegnare agli Iniziati la dottrina segreta, questi cerchi invisibili erano le cause di tutti i globi terrestri che costituiscono le forme e gli involucri visibili, dei quali essi erano le anime.

E’ facile comprendere quali di questi accenni, la significazione simbolica che veniva annessa al piccolo Cerchio attaccato al Tau.

Pitagora prescriveva durante le ore di meditazione una profonda concentrazione e una posizione circolare. Una delle ragioni per le quali il gatto era considerato sommamente sacro in Egitto era che il suo corpo, durante il sonno, si aggomitola in forma di cerchio.

L’uovo d’oro bramànico, dal seno del quale emerse Brahama, Divinità creatrice è il Cerchio con il punto centrale di Pitagora. Nella filosofia mistica, I ‘Unità nascosta è simbolizzata da un cerchio o dallo zero; mentre il Dio manifestato per le sue opere è rappresentato dal diametro del Cerchio.

Il Cristianesimo ha visto nella Croce soltanto lo strumento di tortura usato dai romani per i loro schiavi e sebbene quell ‘infame patibolo fosse sublimato dal Cristo, non ha avuto il coraggio di esporla per interi secoli.

Infatti nelle Catacombe cristiane sino al quinto secolo non è stato trovato alcun segno di Croce cristiana. E nei confini della Croce si trova la chiave maestra che apre sempre la porta di tutte le scienze tanto fisiche che spirituali. La Croce infatti simboleggia la nostra esistenza umana, perché il Cerchio della vita circoscrive le sue quattro punte che rappresentano successivamente la nascita, la vita, la morte e la sopravvivenza.

E’ interessante, a questo punto accennare al rituale delle Iniziazioni e delle cerimonie mistiche in uso presso i popoli orientali in epoca molto anteriore alla venuta del Messia, che ha analogie impressionanti con il Mistero della Passione, della Morte e della Resurrezione del Cristo.

L’ adepto Iniziato che aveva subito tutte le prove, veniva attaccato (non inchiodato ma solo legato) sopra ad un letto in forma di Tau ove rimaneva immerso in sonno profondo.

Egli era lasciato in questo stato per tre giorni e per tre notti, periodo durante il quale il suo Io Spirituale era considerato come in comunione con la Divinità, come disceso nell ‘ inferno e come operante opere di carità in favore di Esseri invisibili, anime umane e spiriti.

Durante questi tre giorni il suo corpo rimaneva nella Cripta d’un Tempio o in una caverna sotterranea.

In Egitto il corpo dell’iniziato veniva legato al Tau e posto nel sarcofago della Camera del Re della Piramide di Cheope; durante la notte precedente al terzo giorno era trasportato nell’ ingresso della galleria, ove ad una certa ora i raggi del sole nascente illuminava la figura del candidato ancora in catalessi e lo facevano risorgere, glorioso e trionfante, dopo la prova subita, per essere iniziato da Osiride e da Thot, il Dio della saggezza. Ciò prova che la figura del Tau rappresenta l’uomo, nonché il fatto che l’ Iniziato rinasceva dopo la sua crocifissione sull’ albero della vita.

Quest’ albero essendo stato, indipendentemente da ogni sua significazione mistica, usato dai romani come strumento di tortura, venne in virtù di non conoscenza dei primi cristiani, chiamato l’albero della morte.

Va ancora notato che molto tempo prima che la Croce fosse adottata come simbolo del Cristianesimo, il suo segno era usato come riconoscimento fra gli Adepti e i Neofiti pagani, e che anche il segno della croce, che è ora l’ alto distintivo cristiano, non è che lo stesso segno usato parecchi millenni prima, dagli adepti del paganesimo.

Veniamo ora a parlare della Decade Pitagorica. Questa Decade che rappresenta l’ Universo e la sua evoluzione dal seno del Silenzio e degli Abissi sconosciuti dell ‘ Anima del Mondo, si offerse agli studiosi sotto due aspetti. Innanzitutto essa si applicava al Macrocosmo; in un secondo tempo dal Macrocosmo discendeva al Microcosmo, vale a dire sino all ‘ Uomo. Vi era poi la Scienza Intima puramente intellettuale e metafisica e la scienza superficiale che non poteva spiegare insieme all’ altra con la Decade, che le conteneva entrambe. In una parola tutte e due queste Scienze potevano essere studiate tanto con il metodo deduttivo di Platone, quanto col metodo induttivo di Aristotele.

La prima aveva per punto di partenza una comprensione divina secondo la quale la pluralità procede dall ‘ unità; la seconda si basava sulla percezione dei sensi, per la quale la Decade poteva essere considerata sia come I ‘Unità che si moltiplica, sia come la materia che si differenzia.

Il suo studio era in questo secondo caso, limitato alla superficie piana, alla Croce e al Sette che precede il  Dieci, esso pure numero perfetto.

Il numero Uno significa per gli Iniziati di Alessandria, un corpo diritto, un uomo vivente perché esso è il solo animale che gode di tale privilegio.

La duade presso i primi pitagorici ero lo studio di imperfezione, nel quale il. primo essere manifestato, allorché si stacca dalla Monade.

Il ternario è la prima figura geometrica. Il triangolo è la prima figura perfetta. Il numero Tre era quindi, il numero misterioso per eccellenza.

Il Quaternario era il primo solido ed il simbolo dell’immortalità. Esso costituisce la piramide, perché la piramide poggi su una base quadrangolare.

Il numero Cinque è composto di un Binario e di un Ternario e si allaccia ai concetti sopra esposti.

Il numero Sei era considerato dagli Antichi Misteri come un emblema della natura fisica. Perché il Sei è la rappresentazione delle sei direzioni di tutti corpi, le sei direzioni che si estendono verso i quattro punti cardinali e le due direzioni in altezza e in spessore che corrispondono allo Zenit e al Nadir.

Ed eccoci al numero Sette, e di conseguenza ritorniamo ai simboli della Croce.

La Croce nella sua forma di Tau così esaltata dagli Egizi, dai Greci, e dai Giudei, si riallaccia misteriosamente alla Decade.

Il Tau è l’ Alfa e l’Omega della Saggezza divina che si simboleggiava con la lettera finale di Thot (Ermes).

Thot era l’inventore dell’alfabeto egizio e la lettera Tau chiudeva anche gli alfabeti dei Giudei e dei Samaritani, i quali chiamavano questa caratteristica: termine o perfezione.

E’ interessante notare che alcuni fra i primi cristiani, probabilmente Iniziati, avessero una cognizione precisa di questa dottrina pitagorica.

Nell’ abbracciare la Religione del Nazareno essi recavano nel loro spirito, il simbolismo ermetico del Tau che esprimevano con l’ Alfa e l’ Omega della Saggezza.

Di conseguenza la Croce da essi venerata nei primi secoli del Cristianesimo non poteva non conservare il misticismo dell ‘Ermes egizio.

Questa asserzione che peraltro conferma la esistenza della Croce nelle religioni precristiane è provata da una scoperta di una Croce gemmata nel cimitero del Ponziano in Roma e dalle prime Croci che ornavano le tuniche dei primi cristiani. Come sono raffigurati in un affresco trovato nel cimitero di Domitilla su una tunica del fossore Diogene, ivi sepolto: “Diogenes Fossor in Pace Depositus”, le sue croci non sono che Svastiche. E provano senza ombra di dubbio, la conoscenza ermetica e pitagorica dei cristiani, mentre la Croce gemmata risale al principio del quinto secolo del Cristianesimo.

Forse è questa la prima Croce cristiana ed un fatto inaspettato nella storia della Passione è che si impernia sul mistero della “Passione del Cristo” che non ha avuto nessuna Croce cristiana nei primi cinquecento anni di vita e di sviluppo.

Infatti i più antichi monumenti sui quali si vede Gesù crocefisso, sono della fine del quinto secolo ed occorre attendere il settimo e l’ottavo secolo per trovare la Croce in quasi tutti i monumenti cristiani.

Evidentemente questa Croce rappresenta il trait-d’union fra il simbolismo pitagorico e il simbolismo cristiano, fra il culto di Thot (Ermes) e il culto del Nazareno, ed è la prova che il segno della Croce venerato in epoche anteriori alla nostra, non rappresenta solo un disegno ornamentale, ma costituisce un simbolo altamente significativo e profondamente sacro.

Il Tau che si simboleggia con la lettera iniziale e finale di Thot, significa per gli gnostici l’Alfa e l’ Omega della Saggezza Divina e la croce gemmata del cimitero di Ponziana in Roma esprime questo concetto pagano nella maniera più netta, quasi voglia rendere chiaramente il pensiero originale degli Egizi, perché reca sui due bracci trasversali due catenelle, ad una delle quali è attaccata la lettera Alfa e all’altra la lettera Omega. Ciò che i pitagorici conoscevano attraverso le iniziazioni segrete, il costruttore della Croce del cimitero di Ponziano ha reso manifesto con l’ applicazione delle due lettere significative: Alfa e Omega.

Ma ritornando alla Decade pitagorica, i popoli più disposti al Simbolismo avevano fatto della Croce il loro simbolo più sacro. La Scuola di Pitagora considerava il numero Sette come un composto dei numeri Tre e Quattro; sul piano del mondo spirituale, il triangolo era la prima concezione della Divinità, mentre il Quadrato, altro numero perfetto, era la Sorgente ideale di tutti i numeri e di tutte le cose sul piano fisico.

Occorre precisare che il Quaternario agli occhi degli antichi non costituiva che una perfezione secondaria, poiché non si riferiva che ai piani visibili, menù? solo il Triangolo (il Delta geco) era il veicolo della divinità invisibile”.

I Pitagorici sostenevano inoltre che il numero Sette possiede tutta la Perfezione dell ‘Unità che è il numero dei numeri. Infatti il numero Sette è paragonabile all’Unità assoluta, che è increata e indivisibile; che non  rappresenta alcun numero e che nessun numero può generare. Per dare un esempio dei sistemi pitagorici, basta leggere con la chiave di Pitagora, il numero dei giorni di un anno (365). Così la terra (3), animata (6) dallo spirito della vita (5). Infatti il 3 è anche il simbolo della terra, il 6 è il simbolo del principio che anima ed il 5 è la quintessenza universale che si diffonde in tutte le direzioni e forma quindi tutta la materia. Vi fu un tempo che il simbolo orientale della croce e del cerchio – la svastica – era adottato universalmente.

Per i buddisti, i cinesi, i mongoli, la croce e il cerchio o la svastica significavano “diecimila verità”, verità

 che essi dicevano, rivelano molti misteri dell’universo, della cosmologia primordiale e della teogonia. La Cosmogonia è la dottrina religiosa, filosofica e scientifica che spiega l’ origine e la formazione del mondo, mentre la Teogonia è la scienza che tratta della discendenza degli Dei. Ed è per questo che la Svastica, al pari della Croce ansata dell’Egitto, era posta sempre sul petto dei mistici defunti. E’ provato così che le antichissime venerazioni della croce, sia nella forma di Tao sia nella forma di Croce ansata, sia nella forma di Svastica. Per i Simbolisti precristiani essa era, come abbiamo detto, il letto delle parole, durante i misteri dell’iniziazione e la Croce era collocata orizzontalmente. Nella forma di Svastica la Croce ha avuto una venerazione quasi universale. Pochi simboli usati dall ‘ uomo, sono saturi di significazioni simboliche come le Svastiche. Una versione iniziata ai misteri della Svastica poteva rintracciare su di essa, con una precisione matematica, l’ evoluzione del Cosmo.

La Svastica rappresentò anche il rapporto fra il Visibile e l’Invisibile, nonché la prima procreazione dell’uomo e del suo genere.

Per lo studioso della saggezza arcaica orientale, la Croce, il Cerchio, l’Albero e il Tau contengono un profondo mistero nel loro passato e su questo mistero egli dirige il suo sguardo.

Continuando nella serie dei numeri, abbiamo il numero Otto, simbolo dell ‘ eterno movimento nella spirale dei cieli che dimostra la regolare respirazione del Cosmo.

E siamo al Nove, il triplo ternario. Il Nove è il segno della circonferenza, poiché il valore della circonferenza è eguale al 3 + 6 + 0.

Il Nove, in talune condizioni è un numero infausto. Il Sei era il simbolo del nostro globo, prossimo ad essere animato da uno Spirito divino, il Nove simboleggiava la nostra Terra animata da uno spirito cattivo e maligno.

Il Dieci riporta all’unità di tutte le cifre, conclude la Decade pitagorica e rappresenta il simbolo della Divinità, dell ‘ Universo e dell’ Uomo.

Ecco la significazione filosofica della “vigorosa stretta della zampa del leone della tribù di Giuda” fra due nani, il cui numero delle dita è appunto Dieci.

In questa veloce carrellata sulla Croce, sul Cerchio e sulla Decade pitagorica abbiamo sollevato qualche velo, ma soltanto qualcuno, sul profondo mistero del passato con sufficienti prove che i simboli e il misticismo degli antichi non erano né sciocchezze né follie di esaltati, ma rispondevano ad una profonda filosofia. Abbiamo anche dimostrato che il simbolo della Croce, nella sua forma di Tau, o Ansata o di Svastica, è stato venerato molti millenni prima della Croce cristiana, e ancora alcuni – almeno cinque – dopo l’ avvento del Cristianesimo.

La croce di Cristo, la sua passione, la sua morte, e la sua resurrezione, non sono che la copia tradizionale del culto e della dottrina dei popoli antichissimi per i quali l’ iniziazione misteriosa si compiva precisamente con la crocifissione del Tau, letto dei sacrifici, con il seppellimento in una cripta, con la discesa spirituale all’ inferno e con la resurrezione trionfale alla fine del terzo giorno.

Prima di Cristo, migliaia di iniziati sono stati crocifissi sul Tau e sepolti misticamente per tre giorni, alla fine dei quali sono poi risorti a nuova vita, gloriosi e trionfanti, dopo le prove subite.

Caso, oppure continuazione di riti antichissimi, la Croce cristiana? Ecco l’ interrogativo base, e da questo interrogativo vi sono concatenazioni di altri mille interrogativi, che sarebbe interessante esaminare in seguito con la dovuta attenzione, serenità e competenza. •

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

PRAGMATISMO ED UTOPIA

PRAGMATISMO ED UTOPIA

sono la causa della crisi esistenziale dell’uomo del XX secolo?

di Silvio Nascimben

In un mio precedente articolo di qualche tempo fa, tentai di descrivere il particolare stato emozionale che prende chi, in una notte chiara, guardando il cielo a occhi nudi, rimane estasiato dalla grandiosità del creato e dalla bellezza dello sfavillio di luci che lassù, dall’ alto, sembrano osservare il cammino di questa nostra umanità.

Le stelle! Da sempre sono lassù, immobili. Nel silenzio più completo, quasi con distacco, esse seguono il cammino dell’ umanità, senza spiegarsi il perché della frenetica ansia che caratterizza i terrestri, perennemente impegnati nell’ ottenimento di effimere conquiste. Noi le osserviamo, ci lasciamo inebriare, per pochi istanti, dalla profondità dello spazio che è sopra di noi, guardandoci bene, però, dal considerare che lo spazio infinito è anche sotto i nostri piedi, e che la pallina su cui, un giorno antico e tanto lontano, si diffuse la specie umana – che noi chiamiamo “terra” – galleggia sospesa nel cosmo. Con tutto il suo carico umano vivente.

Le stelle, quindi, fanno parte di una grandiosa scenografia voluta da un “grande scenografo dell’universo “, oppure, misterioso ed affascinante enigma, vivono e pulsano come noi, in simbiosi con l’ Universo?

 La saggezza dei Maestri, i “grandi iniziati ci ricorda, invece, che esse racchiudono in sé la forza creatrice dell’ Universo: il calore del fuoco della Genesi che è l’ indiscussa potenza equilibratrice che tutto regola, nell’ armonia suprema che è “luce ed amore .

Quasi sicuramente, fu questo stesso amore che indusse DIO a mettere accanto all’uomo, nel mitico giardino dell’Eden, la donna: colei che avrebbe con lui condiviso gioie e dolori, non solo, ma anche la crescita interiore, cioè quella che animicamente viene definita “spirituale “

E’ stato detto – forse, a giusta ragione – che il “diavolo ” è dentro di noi perché, come personificazione, fuori di noi non esiste. Questa affermazione, di Pico della Mirandola, seppur inquietante per il contenuto, non si discosta molto dalla verità perché, e non v’è dubbio alcuno, nell’uomo è presente un qualcosa di poco conosciuto, un “daimon “, che lo spinge ad imitare, se non, addirittura, a sfidare Dio.

Potenzialmente, quindi, nell ‘uomo è presente il concetto di Dio. Nonostante ciò, egli si lascia, purtroppo, quasi sempre trascinare dalla materialità e dalle scorie involutive che bloccano la sua ascesa verso il divino, tanto da incolpare il diavolo per le difficoltà che via via incontra, nel suo progredire terreno e che in apparenza sembrano ostacoli insormontabili per il suo processo di elevazione.

Sul piano umano poi, il deperimento psichico e fisico, il processo d’invecchiamento e il travaglio legato alle passioni, procedono incessantemente la loro opera demolitrice. Alla stessa maniera di come le angosce, le aspirazioni, le speranze disattese, in altri termini tutto ciò che provoca oppressione, diventano manifestazioni del “diavolo”, così le pene che non riusciamo a scrollarci di dosso, il cui travaglio che ne deriva ci svuota di tutti gli stimoli creativi, assumono la connotazione di larve e di vampiri. Dio e il Diavolo s’ incontrano nell ‘uomo, eterno ed epico campo di battaglia. Forze opposte, di eguale intensità, si affrontano determinando, quasi sempre, una specie di “stato di animazione sospesa” in cui passato, presente e futuro, fondendosi, diventano un tutt’uno.

L’uomo del XX secolo – mi chiedo – alla luce delle recenti scoperte scientifiche, delle sorprendenti conquiste dello spazio e degli ambiziosi progetti futuri, avverte ancora in sé la presenza di Dio? L’esigenza spirituale, che in un passato non molto lontano era considerata la forza aggregante e propulsiva della natura, oggi, nell’uomo che si accinge a varcare la soglia del “terzo millennio”, è ancora presente, o si è tragicamente trasformata, ahimè, in una sfrenata ed inconsulta sfida a “Colui che creò il mondo e le altre cose…?”

L’uomo moderno, sebbene spesso in linea con quanto avviene intorno a lui, sfida l’ignoto perché è sensibilmente attratto da tutto ciò che appartiene al fenomenico e al particolarmente insolito, tralasciando, quasi sempre, quei campi di ricerca dove la sua componente psichico-mentale potrebbe consentirgli, altrimenti, di decifrare l’ermetico linguaggio del proprio “io inconscio “. Potrebbe giungere più facilmente a un importante traguardo evolutivo: la conoscenza del proprio passato.

L’uomo, diciamocelo pure, viene al mondo privo di differenziazioni psico-comportamentali: diventa adulto scontrandosi con la legge dei contrapposti ed impara a distinguere ciò che è ragionevole dall ‘irragionevole, ciò che è buono da ciò che è cattivo, il bello dal brutto. Gradualmente, egli impara a sintonizzare il suo potenziale mentale, e a predisporlo in forme psichiche e sociali, opportunamente organizzate.

Questo itinerante insieme di forme mentali e sociali, che noi chiamiamo “uomo “, pur facendo parte di un sistema globale organizzato – la società – conserva integra la sua personalità, la sua storia individuale, le tracce del suo cammino evolutivo: si protende, anzi, a prendere coscienza del suo stato di adulto, mediante la conquista di beni stabili che gli diano la costante e concreta consapevolezza di essere riuscito a trasformare il tempo in struttura materializzata. In questo edificio materiale ed ideale nello stesso tempo, albergheranno i suoi pensieri, le sue azioni, i sentimenti e, perché no, le sue ansie. La consapevolezza della stabilità e la conquista dell’autosufficienza, poi, lo faranno sentire finalmente “eterno “. Al primo accenno di sgretolamento del suo edificio, però, egli irrimediabilmente sprofonderà nella disperazione più completa. Sarà proprio la speranza a dargli la forza di rialzarsi, a predisporlo nuovamente all’ attesa – preludio di un nuovo ciclo esistenziale – di un nuovo impegno di costruttività. Ed ecco che I ‘ eterno conflitto nell ‘uomo, tra il mondo dell’utopia e quello del pragmatismo, prende il sopravvento e, connotando ogni spinta che l’essere umano riceve, lo induce a ricominciare. L’identificazione di una più idonea adattabilità al mondo che ci circonda, evidenzia ancor più l’ essenza divina che è in ogni aspetto della natura, considerato utopico da chi si identifica nel “pragmatismo “, esatto opposto dell’utopia “. Il pragmatico, infatti, tende all ‘ individuazione di una tecnica che gli consenta un più immediato stato di fruizione della condizione di benessere latente: uno schema di percezione immediata, per il conseguimento di un risultato, direi quasi, che appaghi soprattutto le attese della memoria storica di ogni essere.

Alla luce di queste considerazioni, come spiegarci il pragmatismo se non considerandolo come una “utopia” priva di “animus” , che non ha più voglia di lottare, che intende fare a meno dei colori e degli stati d’animo, ritenuti accessori superflui per il conseguimento del risultato finale..? Una mentalità adulta e pragmatica, non accetterà giammai la possibilità, ad esempio, di forme aliene di vita, su altri mondi, o che, oltre la morte, esista una vita incorporea con tutta una serie di fenomeni paranormali: tutto ciò non può esistere perché non vi è alcuna possibilità di verifica e, di conseguenza, difficilmente inseribile nella rigida struttura del pragmatismo.

L’ attesa fiduciosa dell’ uomo impegnato a farsi adulto, nell’umanità del XX secolo, è oramai uno sbiadito e lontano ricordo. Anche le componenti basilari di vita dell’uomo, come l’ amore, la giustizia, l’ amicizia, la ricerca delle verità, appaiono sempre più come surrogato di scelte ragionevoli ed utili: indubbiamente più sbrigative, e meno sofferte. Il “dubbio della ragione” si è trasformato in “diffidenza della ragione pratica”.

L’eterna ambizione di dare origine alla vita, ovverosia l’antica sfida edenica di cogliere il frutto dall’ albero della conoscenza, si riaffaccia prepotente nell ‘ uomo spingendolo verso la realizzazione di un ‘ opera più stabile e più apparentemente divina. La clonazione diventa, così, il premio ultimo che lo farà sentire immensamente eterno e infinitamente simile a Dio.

Sì. E’ questo il volto della vita che vede l’uomo, seppur con i capelli bianchi ed il volto pieno di rughe, riscoprirsi bambino, spesso privo di interesse per la sua componente spirituale, ma sensibilmente attratto dalla prospettiva di un domani migliore, più sereno e, se possibile, ricco di agi. A questo punto, sebbene il sogno faccia parte del mondo dell’utopia, “sognare” diventa, per l’uomo l’ antidoto per le sofferenze, la soluzione ideale per alimentare le speranze, e la spinta a credere nella continuità della vita, dopo la morte.

Forse, e non sarebbe male, se meditassimo un po’ più spesso sull’enormità dei nostri limiti vivremmo la dimensione umana con meno egoismo, con più umiltà e tolleranza. Potremmo, chissà, stabilire un dialogo più assiduo e leale con quella parte nascosta dell’anima, racchiusa nel profondo dell’io, in cui vengono gelosamente custoditi gli arcani codici della nostra provenienza stellare…

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA MASSONERIA E’ UN ORDINE INIZIATICO

di

Sigfrido Hôbel

Talvolta capita che ad alcuni Fratelli la natura e le finalità dell ‘Ordine Massonico non appaiano del tutto chiare e che anche all ‘interno dell ‘Istituzione circolino delle idee vaghe e superficiali, se non del tutto erronee. Capita quindi che in alcuni casi si parli addirittura di crisi di identità e si invochi la necessità di una riflessione su noi stessi e sul carattere del nostro Ordine.

In realtà, i documenti ufficiali della Massoneria Italiana sono sufficientemente chiari ed esaurienti, se ci si prende la briga di rileggerli e di riflettere su quanto vi è scritto.

Né possono esservi molti dubbi per i Fratelli che vivono in modo profondo ed effettivo la loro esperienza iniziatica, e che, coscienti di cosa significhi una tradizione iniziatica, hanno sviluppato un certo livello di conoscenza del linguaggio dei simboli e delle dottrine esoteriche.

Consideriamo dunque, in primo luogo, quanto è scritto nei nostri documenti.

Negli Antichi Doveri del 1723, ai quali fa riferimento la nostra Costituzione, si legge, al Capo I : “Un Muratore è tenuto, per sua condizione, ad obbedire alla legge morale … la Muratoria diviene il Centro d ‘Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti’

La Costituzione della Massoneria Italiana, nel definire la natura dell ‘Istituzione, afferma quanto segue:

“La Massoneria è un Ordine universale iniziatico di carattere tradizionale e simbolico. Intende al perfezionamento dell ‘Uomo e dell ‘Umana Famiglia (Art. l)

“La Comunione Massonica Italiana, fatti propri gli Antichi Doveri, persegue la ricerca della verità ed il perfezionamento dell ‘Umana Famiglia; opera per estendere a tutti gli Uomini i legami d’amore che uniscono i Fratelli; propugna la tolleranza, il rispetto di sé e degli altri, la libertà di coscienza e di pensiero” (Art. 4: Principi e finalità)

Per quanto poi riguarda il “metodo” del lavoro massonico, la Costituzione afferma che la Massoneria “Segue il simbolismo nell ‘insegnamento e I ‘esoterismo nell ‘Arte Reale” (Art. 5: Metodi). Per quanto riguarda il Simbolismo seguito nell ‘insegnamento, è ovvio che ci si riferisce, in primo luogo, alla Simbologia massonica:  Simbolismo del Tempio (Colonne, Volta stellata, Delta, Sole e Luna, Pavimento a Scacchi, Quadro di Loggia, Nappa a frastagli, ecc.)

  • Simbolismo della Pietra Grezza e della Pietra Cubica e del Lavoro Muratorio
  • Simbolismo degli Strumenti dell’Arte (Squadra, Compasso, Maglietto, Perpendicolare, Livella) Simbolismo dei Rituali.

Per quanto riguarda le finalità dell ‘ Istituzione, nel Rituale di Apertura dei Lavori in Camera di Apprendista, quando il M. Ven. chiede: “A quale scopo ci riuniamo?” il I Sorv. risponde: “Per edificare Templi alla Virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio, e lavorare al bene e al progresso delI ‘Umanità”

Nell ‘Iniziazione al Grado di Apprendista, dopo aver invitato il candidato a riflettere profondamente su se stesso nel Gabinetto di Riflessione, meditando sulla scritta VITRIOL, il M. Ven. gli spiega che la Libera Muratoria può aiutare a sciogliere la benda, simbolo delle tenebre nelle quali è immerso l’uomo, dominato dalle passioni e immerso nell ‘ignoranza e nella superstizione. Il profano afferma quindi di cercare la Luce.

In seguito il M. Ven. accenna ai principi della LM, comuni a tutti i FF., affermando che sono immutabili e perfetti, e dicendo che la tolleranza è uno di questi principi. Parla poi dei Doveri: il primo è il silenzio, il secondo è di praticare la virtù e di soccorrere i Fratelli, il terzo è di conformarsi alle Leggi dell ‘Ordine e ai Regolamenti della Loggia.

Nell’iniziazione al Grado di Maesfro, i simbolici segreti del Grado sono racchiusi nella Leggenda di Hiram•

Hiram, il Maestro Costruttore del Tempio di Salomone, rifiuta di rivelare la Parola ai tre cattivi Compagni (identificati con l’ignoranza, il fanatismo e l ‘ ambizione) che lo colpiscono rispettivamente con il Regolo, la Squadra e il Maglietto.

“Hiram è morto… La Parola è perduta… Profonde regnano le tenebre”

Tre Luci (collegate alle Virtù Massoniche Forza, Bellezza, Saggezza) sono necessarie per annullare I ‘opera degli assassini, ritrovare la Parola e riprendere la costruzione del Tempio.

I passi citati sono in effetti già sufficienti per definire la natura dell ‘Ordine e le finalità dei suoi Architettonici

Lavori. Naturalmente, dato il loro carattere “simbolico”, gli insegnamenti massonici vanno interpretati.

Facciamo dunque riferimento, in primo luogo, all ‘autorevole Interpretazione in chiave morale degli insegnamenti e del Lavoro Massonico data dal Lenhoff (Il Libero Muratore), facendo riferimenti alle Costituzioni del 1723, e ad autori massonici come Fichte e Lessing:

L’Arte Reale è, secondo il Lenhoff, un’arte di vita per il Massone, basata sulla conoscenza di se stesso, I ‘autoeducazione e l’amore, è I ‘arte di edificare la propria anima, come I ‘umanità intera, a dimora dell ‘Eterno.

Il Segreto, incomunicabile ed incomprensibile per i profani, cui manca I ‘esperienza del senso etico delle usanze massoniche, consiste nell ‘accordo spirituale dei FF., nella loro capacità di penetrare nel più intimo santuario dell ‘Arte Reale.

La Massoneria, afferma ancora il Lenhoff, non è il santuario dei Cavalieri del Graal, come taluni vogliono credere, e l’Arte reale non è mistica, non possiede alcuna istruzione segreta, alcuna chiave per i misteri del mondo. Quello che distingue la Massoneria dalle antiche società misteriche è il suo contenuto: I ‘ ideale dell ‘Umanità.

Va ora osservato che il linguaggio simbolico tradizionale non si presta ad una lettura univoca, ma va interpretato a vari livelli: secondo i Cabalisti, vi sono quattro modi per interpretare le Sacre Scritture, e questi quattro gradi interpretativi della Torah (la Legge) sono espressi dal termine Pardes (Giardino), composto dalle iniziali di ognuno di essi:

  • Peshat è il significato letterale della Torah e riguarda gli eventi storici narrati;
  • Remez è il significato allegorico che illumina le formulazioni filosofiche delle Scritture;       Derash è I ‘interpretazione morale;
  • Sod, infine, è il significato simbolico e mistico che rivela gli aspetti occulti della Divinità, le leggi cosmiche e le loro connessioni con la vita umana.

La stessa suddivisione esegetica verrà ripresa dalla tradizione cristiana e Dante, nel Convivio, enumera i quattro sensi dell’interpretazione: letterale, allegorica, morale e anagogica.

  • L’interpretazione allegorica ci dice qualcosa di più e di “altro”: l’allegoria (da allos Iogein: dire altro) utilizza le immagini per esporre dei concetti astratti secondo un linguaggio codificato dalla consuetudine di un impiego secolare.
  • Dal discorso allegorico deriva il significato morale, nel momento in cui le allusioni e le analogie evocate dalle immagini vengono riferite a virtù morali ed a modelli di comportamento.
  • L’Anagogia indica invece l’elevazione a livelli sublimi e trascendenti, e quindi il senso simbolico, mistico e metafisico delle Scritture.

Le motivazioni sociali e umanitarie attribuite alla Libera Muratoria, e le interpretazioni etiche del suo simbolismo, per quanto giuste e universalmente condivise, non colgono però, se non parzialmente, I ‘essenza della Massoneria, e ne danno una rappresentazione che solo in parte testimonia la sua qualità di Ordine iniziatico e di carattere simbolico e tradizionale, come recita la nostra Costituzione.

L’antica formula “Conosci te stesso” iscritta sulla soglia dei Templi, non alludeva infatti solo ad un processo introspettivo e di autocoscienza di tipo psicoanalitico finalizzato al miglioramento dei comportamenti umani e delle relazioni sociali, ma voleva piuttosto indicare la necessità che l’uomo giungesse a conoscere la natura più intima, profonda e divina del suo vero essere.

Pitagora, Platone, i Neoplatonici, gli scritti ermetici, parlavano, in tal senso, della pratica filosofica come conoscenza delle leggi che regolano I ‘Armonia cosmica, del destino delle Anime, del Demone (o Intelletto) toccato in sorte ad ogni uomo, e facevano riferimento alla reminiscenza delle passate esistenze. E malgrado l’impegno al silenzio osservato dagli iniziati, sappiamo che gli antichi culti misterici avevano il fine di condurre I ‘uomo alle soglie dell ‘Altro Mondo, mettendolo in condizione di percepire un ordine di realtà diverso da quello fisico e terreno.

L’equilibrio psicofisico, la pratica delle virtù, la dimensione etica, il sentimento di fratellanza, la solidarietà e l’impegno politico e sociale non costituiscono se non lo stadio preliminare, la pratica dei Piccoli Misteri, ed hanno lo scopo di perfezionare la natura umana per consentire all ‘uomo di raggiungere, in una condizione di perfetto equilibrio, la sua centralità, e quindi, la rinascita, o meglio, la rigenerazione del Maestro ucciso.

Questo stato è simboleggiato dal punto al centro della circonferenza (simbolo del Sole) o, in chiave diversa, con riferimento alla triplice costituzione dell’uomo, dall’Occhio nel Delta (l’ Unità, punto di partenza e compimento della Tetraktis), e corrisponde alla condizione dell’uomo che ha sgrossato e levigato la Pietra, ed ha reso armonica la sua personalità e le componenti del suo essere (la circonferenza orientata in rapporto alle quattro Virtù Cardinali, il Triangolo compreso fra le tre Luci).

Una volta raggiunto questo stato, l’iniziato è in grado di entrare nella sfera dei Grandi Misteri, il che comporta il suo distacco (temporaneo o definitivo) dal mondo del divenire e della manifestazione materiale, e dalla sua stessa personalità: grazie alla conoscenza e alla pratica iniziatica, raggiungendo uno stato di equilibrio e distacco, l’uomo può ritrovare il centro, immobile e immutabile, del suo essere, il luogo metafisico attraverso il quale passa l’asse invisibile che collega i vari stati dell’essere.

L’iniziazione non è pertanto qualcosa che riguarda semplicemente la sfera morale e sociale, ma è il punto di partenza di un percorso volto alla piena realizzazione spirituale dell ‘essere. Come sottolinea Guenon, I ‘Iniziazione consiste nella trasmissione di un’influenza spirituale (Luce, Verbo, vibrazione iniziale) che si imprime nella Materia Prima allo stato caotico, e la illumina. Da ciò l’importanza della regolarità iniziatica fondata sull’origine non umana di tale influenza spirituale e sulla sua ininterrotta trasmissione.

Per quanto riguarda il termine di Arte Reale, per comprenderne pienamente il significato, lo si deve mettere in rapporto all’altra definizione di Arte Sacra, in quanto i due termini, che possono essere messi in relazione al simbolismo delle due Colonne, riguardano due aspetti diversi e complementari dell’esperienza iniziatica, il primo dei quali è riferito alla sfera umana, naturale e terrestre, propria dei Piccoli Misteri, e quindi, alla realizzazione orizzontale della perfezione umana, corrispondente al ripristino dello stato dell’Uomo Primordiale. L’Arte Sacra riguarda invece la sfera trascendente dei Grandi Misteri, la realizzazione verticale dell’Uomo, la sua Ascesa attraverso i Cieli e la sua reintegrazione nello stato di Uomo Universale.

Allo stesso tempo, I ‘ Arte Sacra è quella del Sacerdote, concepito come colui che, avendo raggiunto il suo Centro, è in grado di operare come mediatore fra il mondo invisibile e quello visibile, e, nel nostro caso, è l’Arte del Maestro che, avendo raggiunto uno stato di perfetto equilibrio, ed in possesso delle chiavi per la retta interpretazione dei simboli, è in grado di trasmettere ad altri I ‘Influenza Spirituale della Tradizione massonica, di iniziare al Lavoro iniziatico e di “insegnare”.

Il tanto discusso “segreto massonico” non è infine che il simbolo di uno stato di Silenzio interiore, nel quale ci si separa dal mondo profano e si interrompe ogni comunicazione col mondo esterno e anche con se stesso (cessazione del dialogo interiore). Il Silenzio che gli iniziati agli antichi Misteri giuravano di osservare, il Segreto da custodire gelosamente, riguarda infatti esclusivamente l’ esperienza iniziatica in quanto esperienza vissuta e reale acquisizione di una conoscenza sovrarazionale, sublime e ineffabile: pertanto è solo in senso esemplificativo o simbolico che l’impegno al Silenzio e al Segreto è stato riferito ad altre forme di segretezza, come quella sui segreti di mestiere, sui riti o sull’appartenenza ad un Ordine iniziatico.•

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LUCE – FOTONI E ONDE RADIO

LUCE – FOTONI E ONDE RADIO

di

Mimmo Martinucci (IN3WWW)

Premessa

La Luce è il simbolo eterno della Conoscenza. Mai simbolo fu più appropriato. Senza la luce, infatti, non ci sarebbe modo di apprendere, per immagini, quanto ci circonda e le bellezze della sinfonia ineffabile dell ‘universo, “gustando ” l’opera immensa del suo Grande Architetto.

Per lunghi anni la scienza ha tenuto un atteggiamento incerto nel definire la luce: corpuscoli chiamati fotoni, oppure oscillazioni elettromagnetiche. Da non molti anni questo dualismo nel definire la luce è cessato. E’ ormai accertato che si tratta di corpuscoli dotati di velocità costante e da uno “spin” (rotanone intorno all ‘asse di spostamento) legato alla frequenza. L’energia posseduta da un fotone è pari alla Costante di Plank (6,626 x 1 0-34 joule/sec, oppure 6,626 x 10-26 erg/sec) per la frequenza.

Ciò significa che un fotone componente la luce rossa ha meno energia di un fotone componente la luce viola (frequenza più alta). L’intero spettro del visibile va dalla frequenza del rosso (3,8 x 1 0 14 Hz) a quella del violetto (7,9 x 10 14 Hz), occupando lo spazio, in lunghezza d’onda, tra 790 e 380 millimicron, ossia tra 7900 e 3800 Angstron. La velocità nello spazio è costante per tutti i tipi di fotoni (nel vuoto assoluto è, secondo le ultime rilevazioni, di 299,792.8 km/s).

Il campo elettromagnetico, COME CAMPO DI ENERGIA PURA, è stato messo da parte.

Einstein, con la formula ormai nota a tutti “E=mC2” (L’Energia è equivalente alla massa per la velocità della luce al quadrato), esclude in modo assoluto che ci possa essere una energia, senza la presenza di una massa in movimento. Per “Energia” bisogna intendere la capacità di una forza a compiere un lavoro.

L’Ing. Montefinale, nel prezioso volume “Mondo senza fili”, scrive: “Einstein ha chiamato l’onda elettronica “un’onda di probabilità”. La realtà fisica che indichiamo come onda non può identificarsi né con le particelle, né con la grandezza fisica (come potrebbe essere la distanza dalla posizione di riposo di una corda vibrante). Si tratta piuttosto della probabilità che una particella si trovi in questo o in quel punto dello spazio”. E lo stesso Einstein, nel volume “La teoria della relatività” (Edizioni Newton-Roma 1980), così scrive: “E’ pertanto evidente che le onde di probabilità sono ancora più astratte del campo elettromagnetico e del campo gravitazionale che esistono e si propagano nel nostro spazio tridimensionale” ln un primo tempo si è affermato che, al di sotto dell’infrarosso (estremo inferiore della luce visibile), non potevano esserci fotoni, perché non vi erano effetti fotochimici o fotoionizzanti, propri della luce. Quando però si è appurato che, per avere questi effetti, erano necessarie particolari energie (Vedi tabella l), è sorto il dubbio che non era questo un motivo sufficiente per negare l’esistenza di fotoni a frequenze più basse di quelle dell’infrarosso.

La abbastanza recente fisica delle particelle ha accertato che, pur conservando come molto attendibili le formule del campo elettromagnetico, questo era pur sempre una convenzione che andava integrata da un altro concetto. Non esiste energia pura nell ‘universo (quando verrà trovata, sarà trovato DIO), ma solo energia cinetica applicata alla materia, avvertita dai nostri sensi in maniera differenziata.

Un fascio di fotoni, nello spettro dell’infrarosso, colpendo il nostro corpo, stimolerà i circa 200 recettori per centimetro quadrato, che si trovano sulla nostra pelle, i quali, in 16 centesimi di secondo, provocheranno, nel cervello, la “sensazione del calore” (che è solo una sensazione mentale). Il fenomeno è però molto più complesso e fa parte della fotochimica dell’organismo.

Per rivelare la presenza di un fascio di fotoni, con frequenza superiore all’ infrarosso, quasi tutti gli organismi viventi (regno animale) sono dotati di un ricevitore, più o meno selettivo (l’occhio), che distingue le diverse frequenze (colori), dando la “sensazione” mentale dell ‘immagine, funzione dei fotoni provenienti da un oggetto, le cui frequenze riflesse sono legate al tipo di materiale di cui è composto. Al buio, infatti, nessun fotone colpisce l’occhio e tutto è nero (sensazione mentale corrispondente alla assenza di fotoni). Per fasci di fotoni con frequenza inferiore all ‘infrarosso, l’organismo umano non ha in dotazione alcun apparente sistema di rivelazione. Non va dimenticato però I ‘influenza degli stessi, quando la quantità diventa considerevole, sull’agitazione molecolare che essi provocano nell’organismo vivente. Tale  agitazione molecolare provoca, per attrito, calore che può raggiungere temperature elevate, fino alla rottura delle stesse molecole: basti pensare all ‘uso della radiofrequenza per le fusioni e le saldature della plastica, la marconiterapia e la cottura dei cibi (forni a microonde).

In tutti questi casi però, si tratta sempre di energia meccanica trasmessa dai fotoni alle cellule e alle molecole di cui è formato qualsiasi organismo vivente e non.

Un altro esempio, che noi tutti conosciamo, è I ‘uso dei raggi X per fotografare la struttura ossea di un corpo: si tratta sempre di fotoni, questa volta a energia molto alta (al di sopra dell’ultravioletto), che riescono ad attraversare i tessuti viventi, senza apprezzabili attenuazioni, se non in presenza di materia più densa (le ossa) ed “impressionare” una lastra fotografica, modificando la struttura fisica dei sali di argento depositati sulla stessa lastra.

Il fotone ha una massa?

Non potremo mai misurarla direttamente, perché non sarà mai possibile fermarne uno.

Howard M. Georgi (Docente al Dipartimento di Fisica all ‘Harvard University di Cambridge – MA/ USA), così scrive ne “La nuova Fisica” (Edizioni Bollati-Boringhieri -Torino 1992):

“In una teoria quantistica relativistica le forze sono associate allo scambio di particelle. La forza elettromagnetica che si esercita tra due particelle cariche (che è poi l’unica forza di cui abbiamo parlato finora) è mediata dallo scambio di fotoni, i quali hanno una loro energia e una loro quantità di moto e si muovono (ovviamente) alla velocità della luce.

Ma non è possibile assegnare loro una massa, in quanto non c’è modo di rallentarne uno per misurarla. Vengono emessi e assorbiti da particelle cariche in movimento.”

E’ possibile risalire alla sua massa, in modo abbastanza preciso, calcolando la forza di impatto.

Che il fotone abbia una massa lo si può dedurre dal funzionamento di una cellula fotovoltaica. Il fotone “scalza” letteralmente un elettrone (il modo è più complesso, ma il risultato è questo) dall ‘orbita di un atomo costituente la molecola di arseniuro di gallio (materiale di cui è composto la cellula fotovoltaica), provocando una differenza di potenziale. Ora, non si può imprimere alla materia un ‘accelerazione (elettrone che salta dalla propria orbita), senza che una “forza” esterna non intervenga. Infatti ogni corpo conserva il suo stato di quiete o di moto fintanto che una forza esterna non intervenga a modificarne lo stato. Lo stesso fenomeno avviene per la fotoionizzazione dei gas (la ionosfera ne è l’esempio più grande) e la fotosintesi clorofilliana.

La Fisica ci dice che la forza “F” è data dal prodotto tra la “m”, massa, e l’accelerazione “a”, secondo la formula F=m.a. Se la massa è zero, non esiste forza. Da ciò deriva che non esiste accelerazione se questa non è applicata ad una massa. Non si può cioè trasmettere a distanza una forza, se l’accelerazione non viene applicata ad un corpo reale. Quindi il fotone, portatore di una forza, ha necessariamente una massa.

Esaminiamo, per concetti e non per formule e teorie, la “propagazione della luce” nello spazio che, per pura ipotesi, considereremo vuoto.

Propagazione della luce

Sia data una sorgente luminosa “SL” puntiforme che irradi 8 miliardi di fotoni al secondo in tutte le direzioni. Consideriamo solo una porzione di questa sfera luminosa nello spazio pari ad un ottavo (900 al centro della sfera). In questa porzione di spazio vengono irradiati 1 miliardo di fotoni al secondo.

Comportamento dei fotoni

Riflessione, Rifrazione, Diffusione, Cambio di frequenza, Effetto Doppler

Riflessione – I fotoni, particelle cariche di energia proporzionale alla frequenza, si riflettono, rimbalzano cioè, proprio come farebbe una palla da biliardo, con le stesse leggi della meccanica. Basti pensare agli specchi, che sono l’esempio più classico. Ma rimbalzano anche su tutti i corpi.

E’ proprio questo il motivo per cui … noi vediamo tutto ciò che ci circonda.

Che la luce contenesse un’energia immensa, lo avevano capito già i greci ed i romani, quando costruirono gli specchi ustori: una soluzione casalinga del… raggio della morte.

Alcune sostanze riflettono pressoché tutte le frequenze dello Spettro radio del visibile, altre ne riflettono alcune, altre ancora le assorbono completamente. Da qui il nostro cervello, a seconda della frequenza  riflessa e ricevuta, ci dà la “sensazione” mentale del colore che, in realtà, non esiste in assoluto. Chi ha avuto a che fare con le parabole, sa bene che se queste non sono brunite, antiriflettenti cioè, rischia di fondere l’ illuminatore, quando la parabola è centrata dal sole. I fotoni infatti, per la particolare conformazione della parabola, colpendola, si riflettono con un angolo tale, su tutta la superficie, per cui si convergono in un punto unico, detto appunto fuoco, concentrando una quantità enorme di energia sufficiente a fondere anche un metallo. Al contrario, se nel punto detto fuoco, in una parabola portata a lucido o dipinta uniformemente di bianco, si pone una lampada che illumini uniformemente la sua superficie, dalla parabola stessa si dipartono i fotoni, in un fascio parallelo all’asse della parabola. E questo, sempre per effetto del fenomeno della riflessione.

Rifrazione – E’ la riflessione non lineare che avviene quando la luce attraversa strati di gas o liquidi a differente densità. Si pensi all’immagine che ci rimanda la parte di un bastone immersa nell’acqua. Sembra fuori asse rispetto alla parte che rimane al di fuori dell ‘acqua. E’ anche per questo fenomeno che, per effetto della diversa densità dei gas che compongono l’atmosfera, gli astri ci sembrano posti in una posizione che non è quella reale nello spazio. Gli astronomi lo sanno bene e ne verificano lo scostamento, almeno per alcune stelle, in occasione delle eclissi di sole e, recentemente, con telescopi posti in orbita, fuori dall ‘atmosfera terrestre.

   

Diffusione – E’ il fenomeno che si verifica quando un fascio di fotoni attraversa strati di gas o di materiali semitrasparenti, o di pulviscolo. A causa della diversa e non regolare posizione nello spazio delle molecole che compongono i materiali attraversati, negli stessi si hanno riflessioni multiple, con deviazione della direzione in modo casuale. Infatti, pur non essendo sorto ancora il sole, noi vediamo ad est la luce diffusa dagli strati atmosferici. Anche la luce delle stelle ci sembra tremolante e non puntiforme, a causa della incostante diffusione che ha la luce nell ‘ attraversare I ‘atmosfera terrestre. Il grande telescopio Abble, è stato posto in orbita fuori dell ‘atmosfera terrestre, proprio per ovviare al problema creato dalla diffrazione e dalla diffusione della luce, se non ci fosse l’atmosfera, passeremmo dal buio completo alla luce, in modo repentino. Un po’ come succede sulla luna, dove manca I ‘atmosfera. Montefinale, nel suo eccellente volume “11 mondo senza fili”, Ediz. C&C, dà un esempio molto chiaro: ” Una forma familiare di diffusione luminosa è quella prodotta da fascio di un proiettore rivolto verso il cielo (aeroporti in tempo di guerra…o discoteche in tempo di pace !). Noi vediamo detto fascio in virtù dello sparpagliamento di raggi prodotto in tutte le direzioni, e quindi verso il nostro occhio (ricevitore nello spettro del visibile), dai corpuscoli presenti in sospensione nell’atmosfera e dai gas componenti l’aria. Ciò non avverrebbe se l’aria fosse un mezzo omogeneo o vi fosse il vuoto.”

Cambio di frequenza dei fotoni – Se un fascio di fotoni colpisce un qualsiasi oggetto, cede parte della sua energia, per poi venirne riflesso. Così come succede ad una palla di biliardo che, colpendo una sponda, si “riflette” con lo stesso angolo di impatto, cedendo parte della sua energia alla sponda colpita.

Ora si sa che I ‘energia del fotone è data dal prodotto tra la Costante di Plank per la frequenza propria del fotone

Se il risultato del prodotto, che è I ‘energia, diminuisce, significa solo che è diminuita la frequenza, essendo la Costante di Planck, appunto, una costante. La diminuzione della frequenm è piccola, ma c’è. (Effetto Compton)

Effetto Doppler – E’ il fenomeno per cui una sorgente di energia, di origine oscillatoria, sembra diminuire la sua propria frequenza, se è in fase di avvicinamento all’osservatore, mentre la aumenta, in fase di allontanamento. Gli astronomi utilizzano questo fenomeno per conoscere se una stella si allontana o si avvicina, rispetto a noi, verificando la tendenza dello spettro luminoso da essa emanato. Questo fenomeno è valido, non solo per lo spettro del visibile, ma per tutto lo spettro elettromagnetico, fino a 0 Hertz. Infatti possiamo conoscere, ad occhi chiusi, se un’auto si sta avvicinando a noi o se ne sta allontanando. In fase di avvicinamento la frequenza del rombo del motore diventa sempre più acuta, fino ad assumere la sua propria frequenza, quando ci passa davanti, per poi abbassarsi di frequenza e scomparire, in fase di allontanamento.

La costante di Planck

Alcune quantità possono variare in modo continuo (ad esempio le distanze da un punto di riferimento), altre invece in modo discontinuo, cioè per frazioni non ulteriormente riducibili (ad esempio il numero di operai in una fabbrica). Queste frazioni si suole chiamarle “quanta”, dal latino “quantum”, quantità esprimibili numericamente. L’elettricità, originariamente, fu ritenuta un fluido, come la corrente. Ma sappiamo bene che essa è costituita da particelle chiamate elettroni.

L’elettrone ha infatti una massa pari a 2000 volte più piccola della massa dell’idrogeno.

L’elettrone può essere, perciò, definito come il quanto elementare dell ‘elettricità, oppure il numero uno come il quanto elementare dei numeri interi.

Isaac Asimov, nel suo “Cronologia delle scoperte scientifiche” (Edizioni PAN srl – 1991), descrive in modo succinto, ma chiaro, come si è arrivati alla scoperta della costante di Plank.

Kirchhoff (nel 1860) aveva fatto notare che un corpo nero (in grado di assorbire tutte le radiazioni elettromagnetiche da cui fosse investito) avrebbe emesso radiazioni di tutte le lunghezze d’ onda se riscaldato. Così, un corpo cavo, provvisto di un forellino, avrebbe assorbito tutte le radiazioni che fossero entrate attraverso il foro, poiché non vi sarebbe stata praticamente riflessione e la radiazione non sarebbe potuta uscire. Se un tale corpo fosse stato riscaldato, dal foro sarebbero uscite radiazioni di tutte le lunghezze d’onda, poche nei valori estremi e con un massimo in qualche valore intermedio. Più alta fosse stata la temperatura, più breve sarebbe stata la lunghezza d’onda del valore di picco.

Numerosi fisici provarono a mettere a punto equazioni matematiche della distribuzione delle lunghezze d’onda in una tale radiazione di corpo nero. Sia Rayleigh che Wien presentarono delle equazioni nel 1900, ma quelle di Rayleigh funzionavano solo per le lunghezze d’onda grandi, e quelle di Wien solo per quelle piccole. Nessuno dei due riuscì ad elaborare un’equazione che desse la distribuzione su tutta la gamma. Poi un fisico tedesco, Max Karl Ernst Ludwig Planck (1858-1947), produsse un’equazione che ci riusciva.

Per derivare tale equazione, Planck dovette ipotizzare che l’energia venisse emessa non in modo continuo, ma in parti discrete (o quanti, o pacchetti), e che le dimensioni di ciascuna parte fossero inversamente proporzionali alla lunghezza d’onda. Così, poiché la luce violetta ha lunghezza d’onda pari alla metà della luce rossa, la luce violetta verrebbe fornita in parti di dimensioni doppie, e pertanto con il doppio contenuto di energia, rispetto alla luce rossa.

Planck chiamò i pezzetti di energia “quanti”. Calcolò il rapporto fra energia e lunghezza d’onda (o fra energia e frequenza, poiché la frequenza è pari a I diviso per la lunghezza d’onda), utilizzando un valore molto piccolo, (6,626 x 10-34joule) chiamato costante di Planck, che rappresenta la “granuloslta dell ‘energia. Poiché la costante di Planck è estremamente piccola, I ‘energia ha scarsissima granulosità e, in moltissime circostanze, questa non è avvertibile, cosicché le leggi della termodinamica si sono potute dedurre come se l’energia fosse un fluido continuo, privo di granulosità. Il problema della radiazione di corpo nero era il primo in cui tale granulosità fosse stata presa in considerazione.

Da principio non vi furono prove dell ‘esistenza dei quanti, se non il fatto di rendere possibile I ‘equazione per la radiazione di corpo nero. Perfino Planck stesso sospettava che i quanti fossero solo un artificio matematico privo di significato fisico. Nondimeno la teoria dei quanti, come si chiama oggi, si rivelò tanto importante che tutta la fisica prima del 1900 si chiama fisica classica e tutta la fisica dopo il 1900 si chiama fisica contemporanea. Per la sua opera, Planck ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1918.

E le onde radio?

Tutto ciò che è stato detto per la luce, che è solo una porzione dello spettro elettromagnetico, vale per TUTTO lo spettro elettromagnetico. Infatti, l’unità del campo elettromagnetico è il FOTONE.

B. Russel, nel volume “Analisi della Materia”, riporta quanto il Lewis, già nel 1926, scriveva sulla rivista “Nature”: “11 fotone non è la luce, ma svolge un ruolo essenziale in ogni processo di radiazione…Tutta I ‘energia radiante è trasportata da fotoni: la sola differenza tra la radiazione emessa da una stazione radio e da un tubo a raggi X è che la prima emette un numero enormemente maggiore di fotoni, ciascuno dei quali trasporta una quantità di energia molto più piccola; tutti i fotoni sono intrinsecamente identici

Molto semplificando, I ‘emissione dei fotoni da parte di un corpo è proporzionale alla sua temperatura o alla corrente che lo attraversa. Come già detto, i fotoni sono tutti intrinsecamente uguali, salvo l’energia di cui sono dotati, che è proporzionale alla loro frequenza.

In un conduttore percorso da corrente continua, a causa della sua resistività ed alle dimensioni molecolari, si avrà emissione di fotoni nello spettro del visibile, via via che la temperatura aumenta. Basti pensare ad una lampada alimentata con corrente continua, variabile da O al massimo, quando cioè, per la temperatura pari a quella di fusione del conduttore, il filamento “brucerà”, interrompendo il flusso di corrente.

Se invece un conduttore è percorso da corrente alternata, si avrà emissione di fotoni ad ogni salto di elettrone da un ‘orbita all ‘altra. Per correnti elevate, e sempre a causa della resistività del materiale di cui è composto il conduttore, si avranno emissioni di fotoni nello spettro dell ‘infrarosso (sotto forma di calore) e, se la corrente sale ulteriormente, anche nello spettro del visibile.

Si può affermare, dunque, che un elettrone si muove da un’orbita ad un’altra di un atomo, emettendo un fotone, la cui energia è pari alla differenza delle energie delle differenti orbite (Bhor e Rutherford). Per poter far cambiare il livello di energia di un elettrone (la sua orbita), bisogna dare o sottrarre energia all ‘elettrone stesso: questo si ottiene facendo percorrere il conduttore da una corrente elettrica, applicando cioè una differenza di potenziale al conduttore.

Se un fotone, invece, colpisce un elettrone, questo acquista energia (proporzionale alla frequenza del fotone) e si sposta di un “quanto” (o gradino o orbita), posizionandosi su un’orbita più esterna. Tale “movimento” genera una “corrente elettrica”, la cui frequenza è pari a quella posseduta da fotone. Il processo è notevolmente più complesso, ma la descrizione sommaria è sufficiente a dare l’esatta idea del fenomeno.

Riconsiderando tutte le nostre nozioni, alla luce della vera essenza delle nostre onde radio, come onde costituite da fotoni, riusciremo a comprendere molto meglio tanti fenomeni rimasti sempre un po’ al buio. Le nostre antenne radio emettono fotoni e captano fotoni: questa è una realtà che dobbiamo necessariamente tenere presente, quando parliamo, specialmente, di antenne e di propagazione.

Come si calcola il numero di fotoni emessi da un’antenna

Si trova prima l’energia posseduta da un fotone alla frequenza desiderata, con la formula:

E (Joule) = h (Costante di Planck) •v (Hz); il numero di fotoni si ottiene con la formula:

W Joule di un fotone.

Esempio: “Quanti fotoni vengono emessi da un’antenna cui sono applicati 100 W alla frequenza di 14,000 Miu?”

Ej = 14 x 106 x 6,626 x 10-34 = 93 x 10-28 joule;

100 / 93 x 10-28 — – a oltre 1028 fotoni al secondo, corrispondenti al numero 1 seguito da 28 zeri! ! !

Un’antenna, cui vengano applicati 100 W alla frequenza di 14,000 Mhz, emette una quantità di fotoni, al secondo, pari a oltre 10.000.000.000.000.000.000.000.000.000. (Diecimila milioni di miliardi di miliardi!)•

 
Pubblicato in commemorazione | Lascia un commento

IL SIMBOLISMO MASSONICO: L0’ALCHIMIA

IL SIMBOLISMO MASSONICO: L’ALCHIMIA

di

Bruno Marini

La Massoneria ha inserito nel suo simbolismo tutte le varie culture esoteriche occidentali. Il simbolismo ermetico, che nella ritualità di origine inglese è riservato all’ elevazione al grado di maestro, (in termini comunque meno accentuati che nel rito francese), ha avuto la sua esaltazione nel gabinetto di riflessione, la cui simbologia è nettamente ermetica.

Non è mai sufficiente ribadire che l’ermetismo è la filosofia della trasmutazione interiore dell’uomo, così come l’alchimia è la tecnica di tale trasmutazione. Niente a che vedere, quindi, con la trasmutazione elementare dei metalli, ne con la protochimica, confusione probabilmente voluta, in quanto permise comunque all’ermetismo di sfuggire alle persecuzioni che il cristianesimo praticava nei confronti di filosofie e spiritualità che non poteva controllare.

L’ermetismo, già prefigurato dai presocratici come teoria fisica universale e già elaborato in Platone, trovò poi la sua più matura espressione negli gnostici e nei neoplatonici ellenico-egiziani.

La conoscenza, anche se sintetica, dell ‘ ermetismo è necessaria alla comprensione dell ‘ aspetto simbolico e metafisico della Massoneria. Queste brevi note possono costituire una prima sintesi di una tematica indispensabile a tutti i Fratelli.

Le fasi del processo alchimistico, secondo quanto ha menzionato ERACLITO, sono quattro:

                   LA MELANOSI        (INNERIMENTO)

                   LA LEUCOSI            (IMBIANCAMENTO)

                   LA XANTOSI           (INGIALLIMENTO)

                   LA JOSI                    (IRROSSAMENTO)

Questa quadripartizione fu chiamata quadripartizione della filosofia. Più tardi, nel XV-XVI secolo, i colori dell ‘ Opera furono ridotti a tre, poiché la Xantosi, la così detta Citrinitas, cadde – con la semplificazione del processo alchemico – in disuso, essendo considerata una fase interna alla Josi.

La quadripartizione originaria era un esatto equivalente della quaternità degli elementi, di tutti gli elementi, mentre la volgarizzazione dell’ alchimia intese la separazione e la distinzione di quattro elementi: terra; aria; acqua; fuoco; e di quattro loro qualità: caldo; freddo; umido; asciutto; e ridusse a soli tre colori le fasi dell’ Opera: nero; bianco; rosso.

La grande confusione speculativa sulla trinità e sulla quaternità prodotta nel medio evo viene spiegata da Saint Martin, nel suo libro “Degli errori e delle verità”:, nel seguente modo:

“…chi non sa, in effetti, che tutti i movimenti e tutte le rivoluzioni possibili dei corpi, si fanno in progressione geometrica quaternaria, sia ascendente che discendente? Chi non sa che questa legge quaternaria è la legge universale del corso degli astri, quella della meccanica, della pirotecnica, in poche parole di tutto ciò che si muove nella regione corporea ?… Non indurremo dunque nessuno in errore, dando la progressione geometrica quaternaria, come il principio della vita degli esseri, o assicurando che il numero di ogni azione è quattro, per quanto sconosciuto sia questo linguaggio..

Questo grande filosofo conosceva (alla fine del XVHI secolo !) anche la legge del numero e dell ‘estensione: effettivamente, per quanto possa apparire nuovo, non posso dispensarmi dal confessare che I ‘estensione e la linea circolare sono una stessa cosa; cioè, che vi è estensione attraverso la linea circolare e reciprocamente non vi è che la linea circolare che sia corporea e sensibile; e infine, che la natura materiale ed estesa può essere formata soltanto da linee che non sono rette, o, ciò che è la stessa cosa, che non vi è una sola linea retta nella natura…

Il Rupescissa, notevole alchimista, attribuisce a ogni sostanza quattro qualità: caldo o freddo e umido o secco, secondo gradi d’ intensità ascendente dall’uno al quattro, come aveva già insegnato Galeno.

Per gli antichi la Melanosi era lo stato iniziale, o qualitativo, della prima materia, o magma in decomposizione, e ogni cosa si raffigurava come presenza o assenza di luce, cioè di calore: il caldo secco, cioè il massimo di luce, veniva denominato Fuoco; il caldo umido, in cui vi è minor luce sacrificata in ragione dell’umidità, veniva denominato Aria; il freddo secco in cui si attenua ancora la luce veniva denominato Terra; infine il freddo umido o luce quasi estinta veniva denominato acqua. Così in ragione della dualità LuceTenebra veniva concepita la creazione quaternaria. L’ antica alchimia considerava la materia indistruttibile e la raffigurava allegoricamente con il simbolo dell’Uroboros, il serpente che si mangia la coda e sempre si rigenera. Le tre proprietà della materia, – che non sono le tre fasi dell’Opera ma ad esse corrispondono analogicamente – erano simbolizzate da tre componenti: Sale, Zolfo, Mercurio. Affermavano che la materia prima non contiene alcun corpo in atto ma li rappresenta tutti in potenza. La materia fu differenziata dapprima in Zolfo e Mercurio, non come due principi separati ma bensì complementari fra loro; più tardi a questi due principi ne aggiunsero un terzo, il Sale al quale non fu mai attribuita eccessiva importanza. Il Sale era considerato un tramite tra lo Zolfo ed il Mercurio, come lo spirito vitale tra il corpo e l’anima. Queste astrazioni servivano a designare le proprietà della materia primigenia:

“O meraviglia, lo Zolfo, il Mercurio e il Sale, mi permettono di vedere tre sostanze in una sola materia!”

Nella prima fase dell’opera, Melanosi o Nigredo, si procedeva all ‘unione degli opposti (Zolfo-Mercurio); questa operazione veniva chiamata con vari nomi: coniunctio, matrimonio, coitus. Seguiva poi la morte del prodotto dell’unione: mortificatio; calcinatio; putrefactio, ed il suo conseguente innerimento. Dalla Melanosi si passava alla Leucosi (albedo o imbiancamento).L’anima contenuta nella materia, depurata dalle scorie prodotte dal corpo fisico, veniva ricongiunta nuovamente al vecchio corpo morto, quel corpo prodotto dall’unione, per “vivificarlo”, così come nel rituale di Maestro si “rivivifica” Hiram.

A conclusione di questa operazione veniva raggiunta la prima fase dell’Opera: la dealbazione che seguiva alla putrefazione (tinctura alba). L’operazione era assimilata alla resurrezione che segue la morte, esempio storico la resurrezione di Lazzaro, il prediletto dal maestro, così come il bianco, simbolo della vita pura, viene, nell’Opera, dopo il nero, simbolo della morte. Gli antichi per spiegare le loro conoscenze parlavano per analogie; in questo caso si riferivano ai colori nella natura: dal nero al bianco dicevano non esistono differenziazioni, opposizioni, dicotomie, ma solamente infinite sfumature di luce perché in natura il colore non esiste! Chi profondamente ama la luce, del colore ha varia esperienza, come nell’opera artistica, che a volte l’ha raffigurata come uno spruzzo di puntini, o definito la luminescenza infittendo soltanto le ombre circostanti.

L’ albedo è, in certo qual modo, l’alba che man mano si rischiara; questo passaggio veniva denominato  Xantosi. Nella fase della Xantosi (citrinitas) i colori dal bianco al giallo venivano definiti allegoricamente “Il Re e la Regina” che solo in questa fase potevano celebrare le loro nozze chimiche. Dalla loro unione nascerà il rosso Rubedo, il risultato finale dell’Opera. In questa fase dell’Opera si distilla, si distilla, scrive Paracelso, fino a cavarne un’acqua chiara: il primo elemento (alba). Quando questa incomincia ad ingiallire si distilla a fuoco ardito; ne proviene un’acqua gialla (citrinitas), l’elemento dell’aria. Proseguendo, stilleranno gocce rosse: il fuoco della rossa Iosi.

Si dirà allegoricamente che se la Luna è l’anima e il Sole lo spirito, il loro congiungimento è la meta suprema. Due uomini mirano il bersaglio, uno colpisce il segno, ha colto il significato del simbolo, l’altro non lo colpirà mai. Il simbolo dell’Opera compiuta è un triangolo con il vertice rivolto verso il basso, la cui base è sormontata da una croce: la dodicesima lama dei Tarocchi.

La grande Opera ha un triplice fine: nel mondo materiale la trasmutazione dei metalli per farli giungere alla perfezione; nel microcosmo il perfezionamento dell ‘essere umano; nel mondo sovraceleste la contemplazione della divinità.

Il corpo umano dunque quell ‘Atanòr filosofico nel quale si compie l’ elaborazione delle sue virtù.

Lo pseudo Ermete così si esprime:

…poiché l’ Opera è con voi e presso di voi, così che, se la troverete in voi stessi, dove è continuamente presente, l’avrete sempre, ovunque voi siate, per terra e per mare.” •

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento