AMORE E MORTE

AMORE E MORTE

di

Franco Piso

Se la tradizione viene intesa come eterna chiamata verso la dimensione del profondo, l’iniziato per ciò stesso sente come una sorta di spinta, un perenne richiamo verso la realtà ultima delle cose, verso l’immutabile, verso l’essere.

Immerso, però, nel quaternario degli elementi, egli si sente separato da qualcosa o da qualcuno, percepisce il proprio ego come nettamente diviso dalle persone, dalle situazioni, persino dagli oggetti che gli stanno vicino.

Forse ha perso il sensohttp://www.loggiagaribaldi1436.it/wp-admin/post.php?post=19912&action=edit della unitarietà della vita, mentre, in “illo tempore”, la razza umana conteneva in se, senza alcuno sforzo, in uno stato do perfetto equilibrio, i due principi cosmici: Purusha (Shiva) e Prakriti (Skakti), ovvero l’ essenza e la sostanza universale , il primo maschile l’ altro femminile, entrambi attivi senza sosta nell ‘universo e quindi presenti, di conseguenza , nelle nostre Logge nei corrispondenti simboli del Sole e della Luna, posti ai lati del Venerabile Maestro.

Con la cacciata di Adamo da questa favorevole condizione, I ‘ umanità, preferendo I ‘ albero della conoscenza del bene e del male all ‘ albero della Vita, ha scelto la via dell ‘ individualizzazione dell ‘ ego, si è staccata dal proprio centro interiore, dal proprio cuore, dal principio animico e si è divisa non tanto in maschie e femmine, quanto, piuttosto, in due stati di coscienza, il maschile ed il femminile.

Ad un livello superiore, il cosmo concepito come una struttura ab inizio ordinata, è entrato parimenti in crisi, ha visto compromesso l’equilibrio tra le proprie polarità, si sono formati quindi il tempo e lo spazio ed è nato il caos, le tenebre esterne al Paradiso.

L’ iniziato dovrebbe essere cosciente dei questa caduta, di questa autoprivazione di vita assoluta e porsi almeno una domanda: è possibile ricomporre (sumbaein) la pericolosa frattura ontologica di biblica memoria? Forse si, ma per arrivare a sanarla, per potersi ricongiungere al nostro Se spirituale, sembra che sia necessario risvegliare una forza sottile che chiamiamo Amore, che non muore mai (A-Mors = senza morte) e che pare avere la capacità innata di attivare le nostre costellazioni interiori (Amor che muove il Sole ed altre Stelle), intese come i centri sottili della nostra corporeità astrale, agenti in perfetta analogia con forze cosmiche esterne.

A questa forza sono stati attribuiti molti nomi, a donne misteriose sono stati dedicati interi sonetti, da parte di Dante e dei cosiddetti “Fedeli d’ Amore”, e in ogni caso, come si può dimenticare la figura di “Eva”, “la Vita”, “la Vivente”, complemento, prima della caduta, di Adamo? La separazione di Eva, in quanto detentrice dell ‘ energia maschile che necessita all ‘uomo per completarsi, da Adamo, possessore, al contrario, dell ‘ energia primordiale femminile, potrebbe perciò equivalere, secondo la tradizione Kabalistica, all ‘ esclusione delI ‘ umanità dalla linfa spirituale presente all ‘ interno dell ‘ albero della Vita affinché, come recita la Genesi (III, 22), in nostro antenato mitico “non divenga uno di noi, come gli Dei” e non “viva in perpetuo’

E’ la Mors Triunphalis che, grazia all’ Amore insediatosi nel substrato fisico, riesce ad innalzare i nostri sette metalli nella loro condizione di primordiale purezza, concepita come virtus, alla quale, ben inteso, dobbiamo dedicare un adeguato Tempio.

Attraverso il rapporto Uomo-donna, considerato sia iniziaticamente sia esteriormente (e su questo punto c’è da precisare che alcune scuole iniziatiche di tipologia orientale, quali ad esempio quelle “tantriche”, insistono proprio sull ‘ aspetto più carnale del rapporto), tramite l’ Amore inteso come forza trascendente che,   purificando il nostro Mercurio, mette in contatto i due già citati principi cosmici, apparentemente opposti e contrari, l’uomo cerca di andare incontro all ‘unità, di riassorbirsi nel proprio centro, di distruggere il confine profondo tra la propria terra e il proprio cielo interiore, di eliminare il pensiero riflesso, arrivando infine alla sintesi tra il Sole e la Luna.

Per cogliere l’ Amore che tutto pervade come infinita Luce e che, dal punto di vista della nostra corporeità sottile, si focalizza all’ altezza del cuore, l’iniziato deve paradossalmente strapparselo dal petto, uccidendo così l’ ego individualizzante, per poterlo sostituire con un centro di energia più ricettivo, al limite più vuoto, perché pronto in realtà a colmarsi, come la Coppa del Santo Graal, del sangue proveniente dalla lancia interiore simboleggiante la volontà, la forza volitiva, attributo principe del venerabile Maestro che aspira alla fusione, talvolta anche con violenza, con ciò che egli presagisce esser appartenente alla propria interiorità.

E se la lancia può essere un simbolo della volontà, del fuoco prometeico che si apre dal basso, la via verso la Luce, non dimentichiamoci dell’influsso dell’ Amore divino proveniente dall ‘ alto che, nel nostro Ordine iniziatico, entra in azione, in maniera più esplicita, quando il Maestro delle Cerimonie, verso l’ inizio degli architettonici lavori, con il proprio bastone feconda la terra fino a qualche istante prima ancora indifferenziata.

Così fecondato, l’ iniziato sarà chiamato ad ulteriori passaggi critici verso nuove modalità di esistenza a lui ignote, affinché non si dimentichi che, il suo scopo è quello di sanare la propria ferita originaria, di tornare gradualmente: a non vivere più in una realtà separata completamente dal modello divino e in definitiva di riordinare il cosmo gettato nel caos dalla propria caduta primordiale.

Colui che non fallirà nella delicatissima “Conjuntio oppositorum”, riuscirà a porsi tra il Sole e la Luna come la funzione del Venerabile Maestro sembra esprimere, rappresentando essa, la sintesi equilibrata e dinamica degli aspetti solari e lunari, presenti inscindibilmente nell ‘ universo.

Infatti il termine venerabile potrebbe derivare dal composto latino di “Venus”, Venere = Bellezza, e dal suffisso “abilis”, capacità – possibilità, quasi a voler esprimere la possibilità – potenzialità di dispensatore di bellezza interiore, inerente alla funzione da lui esercitata.•

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LA GRECA: un simbolismo tutto italiano andato in disuso

LA GRECA: un simbolismo tutto italiano andato in disuso

di

Luigi Sessa

In Palazzo Giustiniani, che fu per tanti anni sede, oltre che del Grande Oriente d’Italia, anche delle Logge romane, c’era un Tempio intitolato a Pitagora.

Esso era situato al quarto piano dell ‘antico palazzo e la fatiscenza dei suoi arredi denunciava il lungo uso che i Fratelli romani ne avevano fatto.

Della sua decadente decorazione ricordo un particolare che lo rendeva unico tra gli altri Templi che venivano utilizzati sulla fine degli anni ’60 a Roma. Si trattava di una particolare linea, disegnata bordeggiando le pareti, seguendo tutto il perimetro superiore del Tempio, proprio sotto il limite del soffitto.

Notai, visitando altri Templi di Palazzo Giustiniani e diversi altri in altri Orienti, che quella decorazione non si riscontrava altrove. Questo tipo di decorazione, per altro, sparì del tutto allorché, nei primi anni ’70, il Tempio Pitagora e gli altri di Palazzo Giustiniani furono restaurati e l’intera sede del Grande Oriente fu opportunamente rammodernata.

Intanto, avevo chiesto informazioni presso i Fratelli più anziani circa quella particolare linea, ma non avevo avuto soddisfacenti risposte. Molti ne ignoravano sia la denominazione che il simbolismo.

Approfondii le mie ricerche e venni a sapere che quella decorazione si denominava “la Greca“.

Devo dire che non mi fu facile saperne di più.

Nel corso di ulteriori approfondimenti, appresi che questa decorazione risaliva ad antica, ma non meglio specificata, usanza per cui, quantunque oggi essa appaia del tutto dimenticata, ritengo cosa degna ed utile, col riportarne alla memoria l’esistenza, delucidarne, per quanto possibile anche il significato.

La “Greca” è un motivo ornamentale, costituito da una serie ininterrotta di segmenti alternativamente disposti in linee perpendicolari e parallele. Nell ‘ambito decorativo profano è di uso comune e noto.

Nell’ambito massonico essa è, attualmente, come si può riscontrare, se non del tutto, alquanto desueta. Per quanto sono riuscito a saperne, oltre che “Greca“, essa veniva definita anche “Nastro” o “Fregio a dentelli o a frastagli” e correva, un tempo, al di sopra e parallelamente a quel Cordone che, partendo da una delle Colonne, gira intorno al Tempio, quasi lungo il limite del soffitto, formando simmetricamente un certo numero di Nodi d ‘Amore e ritorna all’altra Colonna.

Questa terminologia non va confusa con quelle di “Nappa o Fiocco a dentelli o afrastagli“, comunemente usate per indicare il tratto terminale del Cordone che forma i Nodi o Lacci d’Amore

Bisogna, tuttavia, avvertire e tenere ben presente, che, nella gran parte delle Comunioni massoniche si impiega la terminologia “Nastro a dentelli”, proprio ed esclusivamente, per indicare il Cordone e di ciò rendono testimonianza vari autori e Rituali..

Inoltre, nel linguaggio massonico angloamericano, tale Cordone è detto Indented Tassel o Tassellated Border, ecc., anche quando orna il Quadro di Loggia di App.

L’ impiego di queste terminologie, oggettivamente improprie, ma universalmente diffuse e praticate per denominare il Cordone, ha, evidentemente, sopraffatto il timido incipiente uso della terminologia “la Greca” e, probabilmente, ha determinato anche la scomparsa del motivo ornamentale detto “Greca” nelI ‘allestimento dei Templi e deve aver concorso anche a mandare in desuetudine il suo simbolismo, facendolo definitivamente assimilare a quello del Cordone con i Nodi d ‘Amore.

Infatti, l’ornamento della “Greca” è oggi talmente misconosciuto che non se ne trova quasi più traccia nella corrente letteratura. Mentre, nella letteratura di principio secolo, quel poco che si riscontra, testimonia alquanto della confusione già allora in atto.

La scarsezza di notizie intorno alla “Greca” non autorizza ulteriori considerazioni circa la sua origine che, pertanto, permane necessariamente nel vago.

Tuttavia, il semplice fatto che l’esistenza di questo motivo ornamentale sia stato riscontrato solo in Italia, consente, non di meno, di formulare una congettura, in base alla quale, la “Greca” possa essere considerata una applicazione simbologica esclusivamente italiana.

Tenendo presente I ‘espressione inglese “Tassellated Border” e considerando la possibilità di tradurre la parola “Border” in “Bordo” o “Margine”7 , è possibile che ritualisti italiani abbiano tradotto I ‘espressione intendendo che “l ‘ornamento a tasselli” dovesse essere posto al “bordo” o al “margine” delle pareti del Tempio. Una siffatta interpretazione spiegherebbe la collocazione del motivo ornamentale in questione tutt’ intorno al margine superiore del Tempio e la conseguente denominazione dello stesso in “Greca“.

Questa interpretazione, mentre avrebbe consentito I ‘introduzione della “Greca“, non avrebbe, tuttavia, fatto mettere in discussione né l’esistenza, né l’autonomia del fin troppo noto “Cordone con i Nodi d ‘Amore“, che, naturalmente, avrebbe continuato a mantenere i suoi peculiari significati e, comunque, nell ‘allestimento della ornamentazione del Tempio delle Logge italiane, avrebbe continuato a correre lungo la sommità delle pareti, sebbene al di sotto della “Greca”.

La “Greca” veniva a costituire, così, un ulteriore ed autonomo simbolo, significante la solidarietà e I ‘armonia tra i Fratelli di Loggia mentre il Cordone con i Nodi d ‘Amore restava una proiezione rappresentativa della Catena d ‘Unione, che è un rito ed è allusiva ai legami di fratellanza e unione che pervadono tutti i Liberi Muratori, sparsi per il mondo.

Queste brevi considerazioni sui significati attribuiti alla “Greca” ci fanno comprendere come questo simbolo deve aver goduto, nel tempo in cui fu accolto ed impiegato nell’architettura del Tempio, di grande considerazione ed autonomia simbologica.

  • La spiegazione, così presunta, della sua genesi, mentre da una parte mette in evidenza, tutto sommato, l’erroneo presupposto del nuovo simbolo, dall’altra parte, attese le effettive incongruenze rilevabili nell ‘uso delle terminologie, sia francesi che inglesi, mette in evidenza un apprezzabile tentativo dei ritualisti italiani di razionalizzare la materia, alquanto confusionaria, concernente il “Cordone con i Nodi d’Amore” nella sua duplice allocazione, sia intorno al Tempio, sia sul bordo del Quadro di Loggia.

La soluzione adottata dai ritualisti italiani, ancorché difforme dalle indicazioni comunemente seguite nei Rituali esteri, appare in sé stessa degna di positivo apprezzamento, sia per la razionale impostazione, sia per i valori che la sottendono.

E, pertanto, con nostalgia che penso al simbolo della “Greca” che, a dispetto della mancata conformità alle usanze ritualistiche estere, col suo più che espressivo riferimento alla solidarietà ed alla armonia tra i Fratelli, aveva, a suo tempo, con grande immediatezza alimentato nella mia concezione massonica di apprendista dei valori di fondamentale portata e rilevanza massonica.•

                                                                                                                                                      

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BREVI CENNI STORICI SULLA MASSONERIA A TARANTO

BREVI CENNI STORICI SULLA MASSONERIA A TARANTO

di

Francesco Guida

In Puglia, secondo lo storico A. Luccarelli, la Massoneria viene introdotta negli anni 1788-89 dai Principi di San Severo di Napoli. Secondo lo storico P. Palumbo, in particolare, il primo insediamento massonico si ha in Martina Franca ad opera di due emissari di Padova e Roma.

Ed a Taranto? Secondo lo storico Tommaso Pedio, già nella seconda metà del Settecento, si segnala la prima presenza di una loggia. Allo stato delle ricerche, è possibile sapere che in questo periodo l’unico massone risulta Filippo Ceci.

La visibilità del movimento massonico si manifesta in occasione dei moti del 1799, per la repubblica partenopea, che portarono a Taranto l’ albero della libertà.

Uno dei principali artefici di quella brevissima stagione di libertà, durata appena un mese, fu il sacerdote don Giovanbattista Gagliardo, giacobino, ritenuto massone da qualche storico, unitamente alla sapiente quanto diplomatica regia dell’ arcivescovo Giuseppe Capecelatro.

Nel periodo napoleonico, inviato da Giuseppe Bonaparte, Re di Napoli, venne a Taranto il generale bresciano Giuseppe Lechi, quale comandante del Terzo Reggimento della seconda “Armata di osservazione del Mezzogiorno” e tra la fine del 1804 e gli inizi del 1805 fondò due logge: “Della Filantropia”, loggia militare che venne trasferita nel 1805 a Lecce, e riconosciuta dall’ appena costituito Grande Oriente d’Italia, con sede a Milano.

Giuseppe Lechi dette incarico a Giuseppe La Gioia, già coinvolto nei fatti repubblicani del 1799 e successivamente tra i capi carbonari protagonisti dei moti del 1821 , in Terra d’ Otranto.

La Gioia riunì in breve tempo “sei compagni tra parroci, monaci rinomati e giovani di letteratura e soda morale”, con questi fu ricevuto dal Fratello Rossi, e quindi elevato agli alti gradi della “Della Filanfropia”. Tra

i ‘Fratelli fondatori è doveroso citare il sacerdote Giuseppe Ceci, anch’egli coinvolto nei fatti del 1799, noto repubblicano, che lasciò un museo di reperti storici, andato poi distrutto, ed il sacerdote Saverio Trippa, di Carosino.

Questa loggia ebbe sin dall’inizio enormi difficoltà di operare, stretta tra il timore di infiltrazioni spionistiche e le persecuzioni della polizia borbonica.

Con la costituzione del Grande Oriente d’Italia, retto dal viceré Eugenio Bonaparte, a Taranto risulta operante solo la loggia “L’ Amica dell’Uomo” rappresentata dal venerabile La Gioia. Con Gioacchino Murat, che costituisce nel 1810 il Grande Oriente di Napoli, a Taranto nasce la loggia “La Nemica dell’ Ambizione” ad opera di Nicola Libetta e don Saverio Trippa, che assume la carica di Venerabile ed anch’egli successivamente capo carbonaro.

Con il termine dell’ avventura napoleonica nel 1815, anche la Massoneria, già in una fase critica col regime francese che voleva asservirla ai propri disegni di controllo del potere, subisce una battuta d’ arresto. L’ ideale di una patria indipendente accantona l’ impegno di ricerca esoterica a favore dell’ azione politica. La massoneria che era stata finora retaggio della classe aristocratica ed alto borghese cede il passo alle sette di azione politica, che richiedevano strutture agili ed adepti di ogni condizione sociale.

E’ il momento della Carboneria, le cui radici, in parte riferibili alla Massoneria, diventa un movimento trasversale nella società del tempo.

Anche a Taranto dal 1816 al 1848 si registrò una proliferazione di sette rivoluzionarie, quali quella degli “Agricoltori del Galeso” e quella dei “Figli di Pitagora” per citare le più note e numerose. Nel 1837 si costituisce una setta della federazione della Giovine Italia, la creatura di Giuseppe Mazzini, fondata da massoni tarantini quali Nicola Mignogna, Giuseppe Carbonelli, Tommaso De Vincentis, oltre al Fratello Brindisino Cesare Braico ed al noto massone leccese Giuseppe Libertini, e organizzata a Taranto da Giuseppe e Raffaele Cimino. Nel 1848 si costituì un comitato liberale presieduto dall’ avv. Giuseppe De Cesare e composto dall’ avv. Domenico Savino, dai fratelli Raffaele ed Ignazio Lucarelli, da Pietro Acclavio, Luigi Carbonelli, Luigi Ayr, Nicola Galeota, Orazio Carducci Atenisio.

Faceva parte di una delle due sette (qualcuno afferma “logge” postulandone l’esistenza) operanti a Taranto, con sede in palazzo Carducci, mentre l’ altra era Sita a palazzo Buffoluti (l’ odierno Palazzo Galeota).

Anche l’impresa dei Mille a Marsala vide la partecipazione dei patrioti tarantini, tra i quali i noti massoni Nicola Mignogna e Vincenzo Carbonelli, che mandarono una delegazione di 44 volontari al massone Garibaldi.

La cronaca ci tramanda i nomi di alcuni di essi: il padre cappuccino Aurelio Perrone da Massafra, l’ architetto Gaetano Piccione, Francesco Valente, l’ avv. Egidio Pignatelli, Antonio Petruzzi, i fratelli de Gennaro, Francesco Jurlaro, Nicola Galeandro, Tommaso Catapano, Riccardo Agostinelli.  Esaurita la sua spinta rivoluzionaria con l’ Unità d’Italia l’ambiente patriottico diventa l’humus ove ritrova vigore la Massoneria. A seguito della costituzione del Grande Oriente d’ Italia nel 1859, la Massoneria si ramifica organicamente in tutto il regno.

La prima loggia nel periodo post-unitario fu fondata l’ 1.8.1865 col titolo di “Archita” da Giuseppe Libertini, leccese, segretario di Mazzini, alto esponente della massoneria e deputato al Parlamento. Retta dal patriota Pietro Acclavio, con l’ ausilio dell ‘ avv. Domenico Savino, riunì nel suo ambito la nuova generazione dei notabili tarantini, quali l’ avv. Carlo Primicery, Luigi Carbonelli, i fratelli Nicola e Francesco Portacci, Francesco Paolo Carelli, Francesco De Bellis.

Anche a Taranto si avvertì nella società civile l’ influsso di massoni che operarono per il miglioramento delle condizioni di vita ad ogni livello. Parlamentari massoni contribuirono alla istituzione dell’ Arsenale e della Ferrovia. Grande attenzione è stata indirizzata verso il progresso attraverso la cultura e la lotta all ‘ignoranza, vedendo in prima linea massoni come il preside del Regio Liceo “Archita” Edoardo De Vincentiis, 33 del R.S.A.A. e membro della Giunta dell’Ordine nel 1912 sotto la Maestranza di Ettore Ferrari, il preside dell’Istituto “Pitagora” Emidio Ursoleo, il docente di storia Pasquale Ridola, il docente di scienze Luigi Ferrajolo, il prof. Attilio Cemlti, il massimo poeta tarantino contemporaneo Emilio Consiglio. Massoni sono stati promotori e fondatori della sezione della Società “Dante Alighieri”, della sezione della Croce Rossa Italiana, della Umanitaria Croce Verde, dell ‘Università Popolare “Nazario Sauro”, del Comitato di Assistenza e Beneficenza, per citare le maggiori e più longeve, insieme a molteplici iniziative minori, come la prestazione professionale a favore dei poveri (ad esempio si cita l’opera del dott. Matteo Fago, che riservava due giorni alla settimana per visitare gratuitamente i poveri), oltre che di varie società di mutuo soccorso tra lavoratori.

A cavallo del nuovo secolo la Massoneria assunse la fisionomia di movimento transpartitico, consentendo l’ adesione dei propri esponenti in ogni schieramento politico. E’ un periodo di profonda trasformazione della società italiana, rappresentato anche dalla proliferazione dei partiti.

A Taranto i massoni furono tra i fondatori ed i promotori di quasi tutti i partiti tranne quello clericale: I ‘ avv. Aurelio Marchi per i radicali, Guglielmo Baldari per gli anarchici, Luigi Ferrajolo e Pompeo Lorea per i socialisti, Cesare Mormile per i nazionalisti, l’ avv. Pasquale Imperatrice per il primo Fascio da combattimento.

Massoni furono deputati al Parlamento, sindaci, consiglieri comunali anche di schieramenti differenti, che nella diversità di idee politiche si ritrovavano la sera nell ‘unità iniziatica della comune ricerca esoterica nel tempio massonico.

Dopo la loggia Archita, che sciolta dopo qualche anno di operatività, ricostituita nel 1874 e poi ancora sciolta nel 1880, sorse nel 1882 la loggia Archimede, da questa nacque nel 1907 la loggia Giulio Cesare Vanini, che nel 1911 gemmò la loggia Prometeo, nel 1913 la ricostituita loggia Archita. Per ultima, nel 1921 sorse la loggia Nazario Sauro.

La crisi della Massoneria esplose con il periodo giolittiano, da allora iniziò un’ agonia che il regime fascista non fece altro che accelerare spegnendo la fiaccola delle libertà.

Il 14 settembre 1924 alle ore 14,30 una squadraccia fascista devastò la casa massonica Sita al primo piano di palazzo Marturano in via Giovinazzi angolo via Pitagora, distruggendo mobili, suppellettili e documenti.

Ma, come il mitico uccello della Fenice che risorge dal fuoco così la Massoneria riaccese la fiaccola dopo il lungo sonno fascista e la tragedia della seconda guerra mondiale.

Il grave danno prodotto dal lungo oblio consistette soprattutto nella confusione sulla identità e sulla legittimità massonica. La Massoneria italiana aveva vissuto nel 1908 una dolorosa scissione, dando vita ad un’ altra Obbedienza, la Serenissima Gran Loggia d’Italia, detta di Piazza del Gesù, dal toponimo della sua sede per distinguersi dall’ altra, detta di Palazzo Giustiniani.

Con la ripresa del dopoguerra la famiglia giustinianea tenne sostanzialmente salda la propria identità ed organizzazione mentre quella di Piazza del Gesù si frantumò in mille rivoli, ciascuno dei quali rivendicava legittimità di unica depositaria della tradizione muratoria. Anche a Taranto, accanto alle due logge giustinianee, “Prometeo”, che riprese i lavori nel 1944, e “Vanini” nel 1947, oltre alla loggia “Archita”, che nata dalla scissione del Fera nel 1908 fu ricostituita nel 1946 sotto l’obbedienza di Raoul Palermi, e successivamente si sciolse per dar vita alla loggia “Raoul Palermi”.

D’altro canto sorsero altre cinque logge di cui un’altra Obbedienza di discendenza di Piazza del Gesù, via della Mercede n. 12. Prima fra queste logge fu la “Garibaldi” fondata dal Fr. Giuseppe Vozza, 33 del R.S.A.A. cui seguì la “Fiume” nell’aprile del 1946, la “Nazario Sauro” e la “Battisti” nello stesso anno, la “Mazzini” nel 1947.

Le vicende delle logge tarantine sono un’alternanza di dissoluzioni e ricostituzioni scissioni. Le cinque suddette logge passarono nel 1950 all’ Obbedienza di Palazzo Giustiniani, ma la convivenza non fu tra le più serene considerando anche che avevano sedi differenti per le riunioni (le giustinianee il tempio di via Leonida e le altre quello di via Gorizia).

Nei primi anni 60 lo scenario massonico vide fra i protagonisti più attivi il Prof. Terenzio Lo Martire, direttore didattico di scuola elementare, iniziato durante il fascismo nella clandestinità, affiliato nel dopoguerra alla loggia Battisti, prima all’ Obbedienza di Piazza del Gesù poi in Palazzo Giustiniani. Lasciata quest’ ultima fondò una propria Obbedienza, la Gran Loggia Madre degli Illuminati di Puglia e Lucania “Stella d’ Oriente” alla Valle dell’ Ofanto, riconosciuta dalla Federazione Massonica Europea di R.S.A.A., con sede in Genova e retta dal duca Attilio Armandi di Levissano. Deluso anche da questa famiglia, fonda nel 1960 la Serenissima Gran Loggia Madre degli Illuminati di Puglia, Lucania e Calabria, aderendo all’Associazione Federativa Massonica europea con sede in Ginevra, per il riconoscimento internazionale, oltre da alcune Grandi Logge Statunitensi, e dal Movimento Italiano per la Riunificazione Massonica, a livello nazionale. Fu altresì fondatore di una rivista massonica a diffusione interregionale che fu pubblicata dal 1958 al 1963.

Con la riunificazione delle due maggiori Obbedienze nel 1972, a Taranto, alla famiglia di Palazzo Giustiniani si aggiunse la loggia “Giuseppe Vozza”, l’unica di provenienza da Piazza del Gesù.

A seguito della nuova scissione del 1974, a livello nazionale, non si verificarono particolari sconvolgimenti dell’ assetto massonico. Infatti, a Taranto la situazione rimase immutata.

Col tempo, comunque, venne ricostituita ed è tuttora operante una loggia della discendenza di Piazza del Gesù, un gruppo capeggiato dal generale Ghinazzi, distaccatosi nel 1961 dall’ originario ceppo, retto poi dal commercialista Renzo Canova ed attualmente dal dott. Franco Franchi. Il cosiddetto scandalo P2 non provocò nelle logge tarantine alcun serio sconvolgimento oltre alla naturale e consueta necessità dialettica, in quanto fedeli all ‘ impegno di perfezionamento iniziatico e di miglioramento dell ‘ umanità.

Con la crisi del 1991 , dovuta all ‘ abbandono della Comunione di Palazzo Giustiniani da parte del Gran Maestro Giuliano Di Bernardo, la massoneria tarantina visse un momento di particolare sofferenza per il tradimento del suo massimo vertice.

Divenne, però, salutare occasione che, seppur dolente nel vedere una decina di Fratelli allontanarsi (per costituirsi non in loggia, ma in un gruppo trasfertista fedele al transfuga, e che ogni mese doveva raggiungere a proprie spese una città centro-meridionale per partecipare ai lavori rituali) rinsaldò l’ Oriente di Taranto nell’ impegno e nei fini della più pura Tradizione Muratoria. Con comprensibile soddisfazione e con serena conferma della giustezza della propria scelta di coerenza I ‘Oriente di Taranto ha constatato il rientro di un fratello e l’iniziazione di un profano proveniente dalla Gran Loggia Regolare d’Italia, a fronte di altre attenzioni di pari delusi.

Nella Famiglia di Palazzo Giustiniani sono sorte dagli anni 70 la loggia “Pitagora”, la “Enea Crucioli” (sciolta nel 1995), la “Fenice” (sorta nel 1995) e per ultima, la ricostituita “Archita” (1997). •

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ATTENZIONE PIOVONO MASSONI

ATTENZIONE PIOVONO MASSONI

Quando la satira diventa denigrazione

Dl NICOLA MARDACE

le mie carte, ho ritrovato un numero di Cuore. Settimanale di resistenza umana 22 nov. 1995, il cui editoriale per la sez. Eventi (carta bianca anziché verdolina) si titola Attenzione, piovono massoni, firmato da Rosanna Santoro. Non ricordo il motivo per cui io abbia conservato questo giornale (entrai in Massoneria qualche anno più tardi), ma mi sembra opportuno farne oggetto di un esame critico specie nella temperie attuale ove la nostra Istituzione continua a essere attaccata da svariati fronti.

Sono difatti convinto che anche uno studio del genere rientri nelle finalità di Athanor, giacché vagliare ogni momento della storia massonica è dovere del libero muratore e motivo di profonda crescita interiore.

E senz’altro utile approfondire l’esame e l’esegesi delle nostre simbologie, interessarci donde proveniamo, su quali apporti culturali si sia strutturata la nostra Tradizione: ma bisogna anche riflettere sul fatto che essa segue il carattere progressista del nostro Ordine iniziatico, per cui fra un certo numero di anni i fratelli non si baseranno solo sulle riflessioni di Guénon, Pike, Farina, Boucher, ecc. ma anche su quello che noi contemporanei avremo loro offerto nella lettura degli accadimenti dell’epoca in cui abbiamo il privilegio di vivere.

BRFVE EXCURSUS STORICO

Per coloro che hanno molti anni meno di me, mi sembra però doveroso spiegare prima di tutto cosa abbia rappresentato Cuore nell’ambito della cultura satirica nell’ultimo decennio del secolo scorso. Il periodico nacque il 16/01/1989 quale inserto satirico de I ‘Unità in sostituzione di Tango e fino al 30/06/1994 fu da Michele Serra. Si avvaleva di noti collaboratori (tra cui Stefano Benni, Beppe Grillo, Daria Bignardi, Fabio Fazio, Rosanna Santoro) e celebri vignettisti come Francesco Tullio Altan, Ellekappa (Laura Pellegrini), Sergio Staino, Vauro Senesi, Vincino (Vincenzo Gallo, recentemente scomparso). Il 4/03/1991, quasi in contemporanea allo scioglimento del Partito Comunista Italiano, Cuore si mutò in settimanale indipendente, riscuotendo un successo che raggiunse l’apice nel 1992 con Mani pulite giungendo, alla fine di quell ‘anno, a pubblicare il primo avviso di garanzia a Craxi.

Agli articoli fecero seguito un’infinità di querele nonché innumerevoli proteste di stampo cattolico. Difatti, sorto nello scoraggiante clima dell’agonia comunista, Cuore viveva nella Tangentopoli demolitrice dei vecchi partiti, nell’individualismo esasperato che distruggeva la sana appartenenza solidale. Senza una netta presa di posizione politica, il periodico costituì sferza contro i giornalisti piegati al potere, frecciata all’egemonia dei governanti, sfottò elegante contro numerosi contemporanei miti di massa (anche Sanremo).

Nessuno era immune da strali snobistici: politici, governanti, giornalisti, opinionisti, clero romano e gerarchie ecclesiastiche. Ne sono prova famosi articoli quali Saremo più poveri ma stronzi uguale (16 gen. 1989), Un grande partito! Occhetto: “Siamo d’accordo su tutto, basta che non si parli di politica ” (4 feb. 1991), Scatta I ‘ora legale, panico tra i socialisti (fine marzo 1991), Aiuta lo Stato: uccidi un pensionato (10 sett. 1994), Gesù Cristo risorge, panico tra i cattolici (8 apr. 1995). Il 1/07/1994 la direzione venne affidata a Claudio Sabelli Fioretti – proveniente dal Corriere della Sera – il quale impostò il periodico sulla falsariga de Le Canard enchaîné, storico settimanale satirico francese, molto incline a indagini, rivelazioni di notizie riservate, scoop scandalistici a carico di personaggi pubblici. Il risultato fu un declino delle vendite che proseguì inesorabile sotto la guida di Andrea Aloi, al punto che il 2/11/1996 Cuore cessò le pubblicazioni.

Nonostante un ritorno in edicola nel 1999, l’anno successivo decretò il fallimento dell’iniziativa divenuta proprietà del management del gruppo musicale Elio e le Storie Tese. Questo il commento di Michele Serra intervistato il giorno della chiusura: “I giornali satirici sono come lo yogurt. Hanno la scadenza sull’etichetta già quando nascono.

2 L’ANTOMASSONERIA

Nel 1995, Cuore coltivò l’ambizioso progetto (mai completato) di pubblicare l’intero elenco dei massoni italiani – limitandosi però alle Logge regolari e non entrando nel merito delle C.d. “coperte” – esordendo con l’editoriale qui esaminato, nel quale spiccano illustri nomi di avvocati, medici, consiglieri politici, giornalisti, docenti universitari, ecc. E essenziale osservare come l’articolo veda la luce un anno e mezzo dopo che la Corte d’assise di Roma (16 apr. 1994) aveva assolto con formula piena Licio Gelli e afri imputati da ogni accusa e cinque mesi prima che l’appello venisse rigettato (27 mar. 1996).

Per quanto la sentenza finisse con il disconoscere in gran parte le tesi della Commissione Parlamentare (che aveva condotto le indagini sulla P2, successivamente sciolta con la Legge 25/01/1982, n. 17) e a ridimensionare l’influenza delle Logge, la vicenda era stata usata per instillare nelle menti degli italiani benpensanti l’esistenza di un “nemico occulto” sui cui scaricare ogni responsabilità di malgoverno, inducendoli a dimenticare i valori massonici sui quali era stato fondato il nostro Paese e a equiparare la Libera Muratoria a un’organizzazione capace di effettuare indebite pressioni sulle cariche detenenti il potere politico.

Ci troviamo nel 1995, ovvero allorché Michele Serra aveva lasciato la direzione della testata. Con lui, Cuore mai avrebbe mirato a screditare la Massoneria, giacché il fine degli scritti satirici non era distruggere e diffamare, bensì avvertire che di lì a poco si sarebbe concretato un Tracollo sociopolitico e cercando di schernire i potenziali responsabili.      Smarritosi il ruolo dei partiti, così l’ex direttore su Repubblica del 12 apr. 2008: “ci trovammo a fare i conti con l’ambigua, seducente tentazione di sorvolate sugli ambiti, e caricarci in spalla, un po’ per celia un po’ per non morite, una fetta (indebita) di rappresentanza politica. Lo svuotamento della politica (già forte in quegli anni, fortissimo adesso) già apriva di suo ampi vaœhi.• e dove si creano vuoti, si è indotti quasi  “fisicamente ” a occuparli. Il vuoto attrae e trascina Del ruolo di supplenza della satira, in termini di opposizione “vera”, di vivificante critica al potere e al wo of life corœnte, già si discuteva allora, con ovvio ma pericoloso compiacimento da parte di noi satirici”. L’avvento della nuova impostazione voluta da Sabelli Fioretti, sulla falsariga francese, non riscosse lo sperato successo giacché, come prosegue Serra: “la nostra presunzione generò, quasi senza volerlo, gli anticorpi dell ‘umiltà politica. Forse perché all ‘epoca eravamo ancora convinti, o speranzosi, o illusi, che la politica, oggetto infinitamente più grande di un giornale, potesse e soprattutto dovesse ripartire da sé sola, sbrogliarsela, senza bisogno di mosche cocchiere così orgogliosamente   disorganiche, e per fortuna costrette all’autonomia dal loro stesso linguaggio “specializzato “, così acuminato e insieme così delicato “-

E la Massoneria – che non rivelava i nomi degli iscritti e vantava fra le sue fila personaggi di pubblico dominio,  membri dei ceti elitari, del mondo della cultura, della politica e della finanza – costituiva una convincente ipotesi di un potere effettivamente in grado di sostituirsi alla politica istituzionale, indirizzare le scelte della Nazione, accomodare i procedimenti giudiziari.

3 L’ANATOMIA DELL’ARTICOLO

L’editoriale in esame (arricchito da una ricca illustrazione di Vauro che occupa l’intera pagina) è in verità poco satirico, ma si apre sottolineando come all’equinozio di autunno 1995 i massoni di tutte le Obbedienze si riversarono ordinatamente nelle strade di Roma e, indossando i paramenti (“tra l’incredula ilarità degli automobilisti italiani’), si recarono al Gianicolo per deporre una corona di fiori ai piedi del monumento a Garibaldi (commenta la Santoro: “uno dei fratelli presentabili della storia patria”. Beh, io avrei qualche dubbio, ma di questo mi occuperò in altra sede). L’evento citato – non esito a definirlo un coraggioso atto di testimonianza che non so quanti di noi oggi sarebbero disposti a ripetere – viene criticato dalla giornalista ( “Sembrava Carnevale” esordisce) perché, nonostante la sentenza favorevole a Gelli, è “un po’ poco per legittimare un ‘autentica ripulitura E su cosa basa la Santoro tale giudizio? Sulle convinzioni  espresse dall’ex Procuratore della Repubblica di Palmi Agostino Cordova, per quanto radicalmente sconfessate dalla Corte d’assise l’anno precedente. E vero che l’articolista ammette come appartenere alla Massoneria non costituisca reato e che per ipotizzarne uno “non basta provare la segretezza della Loggia, ma anche la sua concreta attività lobbistica “, ma è altrettanto vero che – sempre la Santoro – in Italia “la parola massoneria è da decenni associata, nella migliore delle ipotesi, al lobbismo”.

Sapete per quale motivo la giornalista è così certa di aver centrato il bersaglio? Perché prosegue apoditticamente: “non c ‘è dubbio che tra i segreti vi siano anche benefici come voti, appalti, promozioni, sentenze pilotate”. Verrebbe da concludere che la medesima sentenza di assoluzione abbia costituito il frutto del malaffare massonico, come pure che la Massoneria ha corrotto la Corte d’appello e finanche la Cassazione. Non smentendo la sua passione per il gossip elitario, la Santoro – nel 1996 indagata dalla Procura di La Spezia per aver pubblicato su L ‘Espresso stralci delle intercettazioni sulle telefonate Pierfrancesco Pacini Battaglia (proprietario della piccola banca svizzera Karfinko) e il deputato democristiano Emo Danesi, nell’ambito di Tangentopoli (cfr. Repubblica, 16 ott. 1996) – non potendo non tener conto della sentenza di assoluzione – pone al G.M. del G.O.I. Virgilio Gaito la malandrina domanda sul perché, se la Massoneria non è segreta, non si divulgano i nomi degli iscritti.

L’elegante risposta di Gaito, “Non voglio esporre i fratelli alle conseguenze che subirebbero in un Paese come questo, dove da sempre si registra un ‘ignobile persecuzione nei nostri confronti?’ conferma la Santoro nei suoi postulati, sbandierando trionfale: “comunque le liste dei massoni le abbiamo già”; difatti l’editoriale prosegue con I fratelli presi al Lazio che si apre con le seguenti parole: “Ecco il who s who dei massoni della capitale e del Lazio. Ci siete anche voi? Fatecelo sapere. C’è il vostro dentista Fatecelo sapere lo stesso … Ci sarà da ridere ” Leggete invece come commenta la manifestazione Raimondo Bultrini su Repubblica, 24 sett. 1995: “Non s ‘erano mai visti tanti massoni a spasso per Roma con i loro grembiulini sgargianti e i compassi d’oro sui completi rigorosamente scuri. E non s ‘era mai visto un comunista, seppure ex, sfilare in mezzo a Iow, proprio di fianco al Gran maestro del Grande Oriente d’Italia. Saverio Di Bella, senatore del Pds, membri della commissione parlamentare Antimafia, non sembrava affatto imbarazzato. Anzi, esibiva una camicia rosso vermiglio in omaggio a Giuseppe Garibaldi, Gran Maestro massone al quale era dedicata la prima pubblica kermesse dei ‘liberi muratori Sul colle del Gianicolo, dove I ‘eme dei due mondi cavalca esattamente da un secolo un bronzeo puledro. Di Bella ha giustificato la sua eresia col nuovo corso d ‘cristallinità ‘ di Palazzo Giustiniani e per via della ‘incondizionata collaborazione ‘fornita dal Gran Maestro Virgilio Gaito alla “conoscenza della lealtà del Grande

oriente d’Italia” . Infine, tutti a Palazzo del Vascello, sede storica del G.O.I. sotto l’occhio vigile nel triangolo simbolico a decretare di nuovo solennemente chiuso il passato dei Gelli, dei mafiosi infiltrati e delle Logge segrete. “Abbiamo consegnato i nostri elenchi alla presidenza del Consiglio – ha garantito il Gran maestro – chiedendo la riservatezza per evitare che i Fratelli vengano dati in pasto all’opinione pubblica com’è già successo, con conseguenze disastrose per la loro vita privata”. Gaito rivela di aver inoltre sospeso “120-130 iscritti su 14 mila anche per un solo avviso di garanzia”

La prova dell’operazione ‘cristallinità’? La presenza di Di Bella, componente dell’Antimafia alla quale è stata consegnata la documentazione sulle logge calabresi ‘sospette’. Un “gesto coraggioso”, suggella il senatore, presente anche al Gran gala pomeridiano in veste ‘del tutto personale”‘

Non desta meraviglia che Cuore abbia chiuso i battenti alcuni mesi dopo e non credo che il lucchetto lo abbiano apposto i massoni. Quando l’ironia diventa irrisione, allorché la caricatura si muta in deformazione da ragione al caustico commento di Michele Serra sulla fine dell’autentica satira: “Chi è bravissimo nel suo rischia di diventare incongruo e dannoso quando pensa di inventarsi una specie di generalismo mediatico nel quale la battuta rimpiazza goffamente il progetto politico, e il progetto politico insegue affannosamente la battuta. La satira e la comicità sono cose troppo serie per dilapidarle in politica “

4, TIRO LE SOMME

Il modo in cui oggi il profano si pone sovente nei confronti della specificità massonica non è cambiato rispetto ad allora. Avvicinandone qualcuno, sento formularmi una richiesta non dissimile a quella rivolta dalla Santoro a Virgilio Gaito: “Perchè non mi fate partecipate alle vostre  riunioni? ” Replico che i nostri incontri non sono occulti, ma riservati (e spesso, aggiungo, noiosi); se l’interlocutore mi incalza, gli chiedo: “Ma lei può partecipare al Concistoro per l’elezione del Papa?” Risposta stizzita: “Che c ‘entra, quella è una cosa sacra! Io non sono mica un cardinale! ” Allora concludo: “Perché se la Chiesa cui lei apprezza glielo nega e la Massoneria che lei ignora dovrebbe consentirglielo? “

E se il profano toma sull’argomento gli consiglio di abbandonare la visione dei film di spionaggio e dedicarsi alla lettura di Topolino (che, come sapete, è un fumetto massonico). Qualora invece alla domanda “Che fate in Massoneria?” rispondo: “Un tempo mangiavamo i bambini e violavamo le vergini poi, vista la denatalità e la precocità sessuale delle adolescenti, ci siamo dedicati allo studio “, intuisco che le finalità associative non incontrano il favore dell’astante. Una buona risposta al quesito è: “Pensiamo mentre gli altri parlano “, giacché per l’interlocutore l’argomento si fa difficile e lo costringe a pensare (scusate, ho fatto satira per anni e non riesco a smettere).

In ciò risiede a mio avviso la conseguenza più perniciosa della costante campagna antimassonica: all ‘uomo comune non interessa partecipare a un Conclave primo perché, nell’immaginario collettivo, la Chiesa cattolica svolge una funzione sacrale che va a oggettivo beneficio di tutti, secondo per il fatto che il profano di sani principi è convinto che le adunanze massoniche si svolgano all’insegna del satanismo e dell’inciucio a danno della Nazione, volendo ottenerne la riprova verificando in prima persona. E l’impedimento a prendervi parte diviene già paradossale conferma di come la sua aprioristica convinzione – formatasi attraverso le tambureggianti fake news, le sistematiche denigrazioni a mezzo media e, mi si consenta, anche per qualche nostro   atteggiamento di soggettiva insipienza sui social network – sia esatta. Ma non mancano coloro che desiderano assistere alle nostre adunanze per capire se si parla di esoterismo (termine così mellifluo che sovente è associato al “magico”) o di affari: in quest’ultimo caso la questione può diventare interessante, nell’ottica di ottenere qualche vantaggio personale.

Come in passato ho avuto modo di osservare, se due persone giocano insieme in un club bocciofilo, uno dei due è architetto e I ‘afro costruttore nulla vi è di male che tra loro vengano siglati accordi professionali e conferiti incarichi con conseguente passaggio di denaro: probabilmente, il costruttore riterrà più comodo servirsi della perizia del giocatore suo amico piuttosto che affidarsi a un professionista estraneo.

Nessuno si scandalizza qualora un impiegato ministeriale presenta a un collega il proprio cognato che opera nel settore finanziario e neppure che il presentatore possa intascare dall’affine una percentuale sull’operazione andata a buon fine con piena soddisfazione dei diretti interessati. È da evitare che la sede di lavoro si trasformi fruttuosa miniera, trascuri le incombenze per le quali percepisce uno stipendio. Tuttavia, se ciò dovesse verificarsi, è lecito concludere che quel pubblico umcio si occupa della stipula di confratti di investimento mobiliare fra privati?

 

E corretto sospettare senza uno straccio di prova – come fa Rosanna Santoro – che il dirigente prende mazzette sottobanco? Tre aspetti vanno tenuti distinti: un conto sono gli affari tra massoni, un altro gli affari fra liberi cittadini entrambi membri di una qualunque Loggia, un altro ancora la Massoneria come centro di affari. Tomo all’esempio di: se si viene a sapere che l’impiegato, il suo parente o il capo ufficio sono liberi muratori, allora ci si sente autorizzati a spostare l’attenzione dalle tre persone prese nella loro individualità al giudizio generale che la Massoneria persegue finalità differenti da quelle enunciate,

Ogni associazione deve garantire agli iscritti l’erogazione dei migliori serviizi, la funzionalità e la dignità degli ambienti comuni: e questo ha un oggettivo costo. Qualora un’Obbedienza mette a disposizione le proprie risorse umane, intellettuali, le proprie conoscenze e relazioni al fine di sostenere una seria iniziativa, il progetto di un privato o di un ente deve farlo per forza a titolo gratuito? Se riceve sponsorizzazioni che vanno a vantaggio di tutti i soci, ha il dovere di rifiutarle o commette un atto eticamente criticabile? I nomi e le professioni dei membri delle varie Famiglie massoniche non possono essere pubblici anche in relazione alla normativa sulla privacy e qualsiasi Obbedienza è restia a rivelarli non solo al suo interno,  ma anche a fratelli di ottima morale che seguono altrove il percorso iniziatico. E una diceria che tutti i massoni si conoscano e si aiutino.

Dopo trentacinque anni di professione ho rapporti con molti colleghi, ma non la presunzione di sostenere che conosco e sono in ottimi rapporti con tutti loro su tutto il territorio italiano: e neppure che quelli con cui ho collaborato mi siano tutti simpatici, Sapete che sono stato titolare di cattedra: come professore ordinario conosco gli afri ordinari della facoltà, ma non sono amico di ciascuno di loro; neppure ho mai visto in volto tutti i docenti della mia stessa materia sparsi nelle numerose sedi universitarie.

A chiunque mi domanda se conosco quel chirurgo, quel magistrato, quel funzionario i quali – per “fonte sicura” – sono massoni rispondo garbatamente che proverò a informarmi, e dopo un paio di giorni comunico che il nominativo risulta sconosciuto. Se pure venissi a sapere chi sia il soggetto, cosa fa, dove frequenta, secondo la Santoro lo andrei a sbandierare al primo che capita? Non so perché questi lo voglia incoare (e non me ne importa un fico secco), non sono al corrente dei termini dell’eventuale richiesta (non la domando e già sono sicuro che ogni risposta sarebbe fuorviante), ignoro come potrebbe prenderla il destinatario. E aggiungo: poco che mai si riuscirà a conseguire, su quel tanto che si rischia di bruciare.

Non ci si deve meravigliare che anche in Massoneria possano verificarsi tristi vicende che meritano le citazioni della cronaca e l’impegno dei magistrati: il denaro, il lusso, il sesso, il potere seducono anche le menti più equilibrate e nel momento in cui meno si pensa che la seduzione sia in atto. L’apollineo aforisma di Delfi che noi iscriviamo sul capitello dei nostri Templi potrebbe attualizzarsi nel seguente modo: “domina le tue debolezze e conquisterai I ‘armonia dello spirito “. Vale per tutti, massoni e non massoni. E anche per Rosanna Santoro.

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IL RUOLO DELLA SCIENZA E DELLA CULTURA NEL MONDO DI DOMANI

IL RUOLO DELLA SCIENZA E DELLA CULTURA NEL MONDO DI DOMANI

di

Baldo Conti

Introduzione

Il presente contributo, sul futuro ruolo della scienza e della cultura, non sarà certo dei più facili, almeno se si vuole “rimanere” con i piedi in terra, senza sconfinare nella retorica e nel “già detto”, ma cercherà comunque – nei limiti del possibile – di essere un concreto ed originale aiuto per la soluzione dei nostri travagli esistenziali, non certo “gratuiti” e fittizi, come un esclusivo fatto culturale, ma effettivi. Contemporaneamente il nostro impegno sarà anche quello di non far stancare e distrarre i lettori più del necessario, considerata anche la presunta astrusità dell ‘argomento non da tutti facilmente “digeribile”

Come sempre, in qualsiasi contesto ci troviamo, occorre definire fin dall ‘ inizio e mettersi d’accordo sul significato che si intende dare alle nostre parole. In questo caso è d’ obbligo chiarire cosa si intende per “scienza” e cosa per “cultura”. Spesso riteniamo di conoscere sufficientemente bene il significato delle parole che usiamo, ma in frequenti occasioni siamo costretti a registrare la nostra “ignoranza”, in altri contesti riteniamo che il significato che noi diamo ad un termine sia lo stesso dei nostri interlocutori, ma non sempre è così e molte delle incomprensioni e delle discussioni derivano anche da una differente interpretazione dei significati di parole e concetti. Per “scienza” (dal latino “sapere”) dobbiamo intendere il risultato di operazioni del pensiero come oggetto di codificazione su piani teorici ed applicativi in ambito pratico; conoscenza esatta e ragionata acquisita grazie allo studio ed all ‘esperienza; insieme di discipline essenzialmente fondate su calcoli ed osservazioni; complesso organico e sistematico di conoscenze di cui si dispone intorno ad un determinato ordine di fenomeni. In sintesi, possiamo definire la scienza quell ‘insieme di cognizioni che abbiamo la possibilità di acquisire in base allo studio, all ‘osservazione ed all’esperienza diretta e risultanti da precisi calcoli e deduzioni su fenomeni di varia natura posti anche su molteplici livelli.

Per “cultura” (sempre dal latino, “culto”, “cultura”) dobbiamo intendere invece il complesso armonico delle cognizioni di una persona, formato dalla propria sensibilità, dalla propria esperienza, da tradizioni, procedimenti tecnici e tipi di comportamento; tutto ciò che concorre alla formazione individuale sul piano intellettuale e morale ed all’acquisizione della consapevolezza del ruolo assunto nella società; “patrimonio” di conoscenze. In sintesi, la cultura è il nostro bagaglio spirituale, appreso o tramandatoci, è il substrato indispensabile alla nostra vita materiale ed intellettuale, è l’origine ed il punto di partenza del nostro comportamento e della nostra morale, è il nostro patrimonio proprio nel senso di ricchezza interiore ed è anche l’unica nostra “vera” proprietà che nessuno ci potrà mai usurpare, e tutto questo sia a livello personale sia come popolo sia come etnia.

Stabilito il significato da dare a “scienza” e “cultura” – e su questo almeno, c’è da ritenere, dovremmo concordare tutti, perché le definizioni sono un fatto di lingua e non sono un’opinione ed in ogni caso è questo il significato attribuito in questo nostro contesto a questi due termini – addentriamoci un po’ più profondamente nell ‘esame del problema posto, non perdendo mai di vista il fatto che siamo massoni, ma anche “italiani”, con tutti i nostri pregi ed i nostri, e non sono pochi, difetti. Di conseguenza nel corso del nostro esame dovremmo dimostrare, più che altro a noi stessi, anche di essere uomini liberi e di buoni costumi, aperti alle novità e proiettati nel futuro, non troppo ancorati e schiavi del passato e delle tradizioni che spesso sono un substrato insostituibile ma anche un peso dal quale è difficile liberarsi, non afflitti da pregiudizi e da preconcetti, lontani da integralismi e da dottrine dogmatiche di qualsiasi tipo, ma sempre animati invece da quell ‘indistruttibile senso di civiltà e di miglioramento individuale e collettivo che dovrebbe distinguerci, disposti sempre fraternamente verso il prossimo che, ricordiamolo, non è composto solo dall ‘uomo ma da tutto ciò che ci circonda e che comprende animali, piante e tutta la natura, “inanimata” compresa.

Come in ogni ricerca seria che si rispetti, prenderemo prima in considerazione il ruolo della scienza e poi quello della cultura, secondo l’ordine della loro apparsa nel titolo, accennando per forza anche un po’ al nostro passato ed al nostro presente, e successivamente trarremole nostre conclusioni se riusciremo ad individuarne qualcuna, con l’augurio di poter stilare una bozza di comportamento da utilizzare in un eventuale futuro anche se, di questo prossimo terzo millennio, i più fortunati di noi riusciranno ad intravederne solo l’inizio. Ma come già affermato in altre occasioni ciò che conta è stabilire la nostra “buona rotta” e proseguire nella direzione che riteniamo giusta senza preoccuparci troppo di quanta strada riusciremo a poter percorrere.

La scienza

Abbiamo accennato in precedenza che possiamo definire la scienza come quell ‘insieme di cognizioni che abbiamo la possibilità di acquisire in base allo studio, all’osservazione e all’esperienza diretta e risultanti da precisi calcoli e deduzioni su fenomeni di varia natura posti anche su molteplici livelli. E vediamo il perché. Fin dagli albori della storia umana che conosciamo, ma sicuramente anche molto prima dell’epoca “storica”, I ‘uomo si è sempre confrontato con la ricerca e la scienza e si presume, spesso, anche senza rendersene conto. La “scoperta” della ruota e del fuoco, la fusione dei metalli, l’utilizzazione della forza di gravità, la selezione delle razze animali per allevamento – ma potremmo fare un elenco molto lungo – sono stati un approccio empirico al mondo scientifico del quale l’uomo primitivo ne ignorava presumibilmente anche I ‘esistenza come già detto.

Le varie “discipline” furono ancora indagate ed approfondite, ma potremo dire sempre in maniera per noi oggi “superficiale” ed approssimativa e non certo sistematica, fino ad arrivare a Galileo Galilei (1564-1642) che – con i suoi studi di geometria, astronomia e fisica – può senz’altro essere considerato il primo ed effettiVo scienziato “moderno”. Con lui ebbe inizio infatti l’attuale metodo sperimentale che ancor oggi è di base a qualsiasi tipo di ricerca scientifica e che sicuramente lo rimarrà per molto, molto tempo ancora. Partendo da Galileo e dalla sua teoria del “sistema eliocentrico” si è avuta una vera e propria esplosione nella ricerca e nella sperimentazione in tutti i campi e, con l’aiuto della tecnica a disposizione, sono state raggiunte mete impensabili, specialmente in questi ultimi anni, nella chimica, nella medicina, nella fisica, nelle conquiste spaziali e nelle discipline scientifiche in generale.

La visione galileiana della natura ci ha aperto le porte verso un mondo nuovo, immenso nei confini e nelle esperienze, senza limiti nel tempo e nello spazio e quindi senza limite in tutte le direzioni. L’uomo in breve tempo si è riscattato dalla fatica, in parte dalla “paura” ed ha raggiunto una posizione di supremazia nei confronti di tutto il resto del creato. Anche se il sogno di poter “dominare” la natura rimane fortunatamente ancora un sogno, l’uomo si trova comunque davanti un futuro fitto di incognite, di interrogativi e di nuovi tipi di paure. Il timore di non poter disporre pienamente dei “giocattoli” che si è costruito, che qualcosa possa sfuggirgli di mano, che non riesca a conoscere fino in fondo ciò a cosa potrà andare incontro con le sue “scoperte”, lo rendono parzialmente dubbioso, interdetto ed impaurito.

Per questa ragione ampi dibattiti si sono aperti sull ‘opportunità di proseguire alcuni tipi di ricerca ed in questa controversia, a torto o a ragione, si sono inserite forze politiche, industriali e religiose. Ma forse qui, qualcosa non è stata veramente afferrata nel senso giusto: il principio di scienza e ricerca cosiddetta “pura” in contrapposizione all ‘utilizzazione pratica dei loro risultati. Vediamo perché. Innanzi tutto c’è una distinzione doverosa da fare ed è quella di dividere la ricerca “pura” appunto da quella “applicata”. Per pura si intende la ricerca “fine a se stessa”, per esempio: il matematico che risolve un problema astratto di formule e che si era posto il problema “gratuitamente” senza alcuna “necessità” (anche se in seguito la soluzione potrà avere un ‘applicazione pratica), lo studio di Galileo sulle oscillazioni di un pendolo, perché incrociando una gallina bianca ed un gallo nero abbiamo dei pulcini bianchi, altri neri, ed altri ancora bianchi e neri (o grigi) in numero costante e sufficientemente prevedibile. Per applicata si intende invece quella ricerca che viene appositamente finanziata con uno scopo preciso ed al fine di ottenere dei risultati che diano un utilizzo immediato e remunerativo come la produzione di un antiparassitario utile ad un certo tipo di pianta, la possibilità di mettere in commercio un antibiotico specifico per un certo tipo di malattia, la costruzione di un razzo e di un satellite per I ‘utilizzazione nelle telecomunicazioni. Ed in genere, come già accennato, questo tipo di ricerca è sempre sostenuto finanziariamente perché dia risultati immediati, attesi ed utili, altrimenti l’appoggio ed il finanziamento decadono.

Quasi sempre – specialmente per coloro che non sono “addetti ai lavori” – c’è una grande confusione di idee in proposito. In genere non si riesce mai a distinguere le differenze esistenti tra i due “sistemi” che pure appaiono macroscopiche, ma si ritiene invece, erroneamente, che siano la stessa cosa, che la scienza e la ricerca scientifica siano di un unico tipo. Ma non è così.

La ricerca pura dovrebbe essere “intoccabile” in quanto porta sicuramente avanti l’umanità nel suo  processo evolutivo, tende esclusivamente ad appurare le ragioni di alcuni fenomeni altrimenti inspiegabili, soddisfa fino “a prova contraria” con il supporto di teorie ed ipotesi e, diciamolo pure, anche con la filosofia, tutte le curiosità ed i problemi che l’uomo si pone sia in ambito materiale sia spirituale.

La scienza o ricerca applicata è ben altra cosa. E’ la utilizzazione parziale di alcuni risultati della ricerca pura, è finanziata e finalizzata esclusivamente per scopi precisi quasi sempre commerciali, spesso intacca certi tipi di “morale” in quanto produce qualcosa che “disturba” (specialmente da un punto di vista economico) alcune classi o “caste” di cittadini, cerca esclusivamente un utile non essendo altro che un tipo di “investimento” a carattere finanziario.

E’ evidente che, esclusi per ragioni ovvie, coloro che sono interessati direttamente in imprese di ricerca finalizzata in senso applicativo, l’unica “scienza” che noi, come massoni, dobbiamo prendere in seria considerazione è solo quella pura che è a noi amne e risponde più ai nostri ideali ed alla nostra ricerca interiore. L’altra, l’applicativa, potrà coinvolgerci solo marginalmente ed in ambito profano (è più un qualcosa che riguarda professionalmente i tecnici, i medici, l’industria) e solo nel caso in cui provochi effettivamente dei traumi sociali e non ci costringa a fare un calcolo di spese e ricavi.

Ma ricordiamola sempre questa distinzione. La scienza “pura” – come dice appunto il termine – è pura, è composta di idee, di “buone” intenzioni, di progresso conoscitivo, di filosofia, di intuito, è un processo creativo e di conseguenza anche artistico, quindi non “criticabile” come principio e come “servizio” che rende a tutta l’umanità.

La cultura

Come indicato nell ‘Introduzione la cultura è il nostro bagaglio spirituale, appreso o tramandato che sia, è il substrato indispensabile alla nostra vita materiale ed intellettuale, è I ‘origine ed il punto di partenza del nostro comportamento e della nostra morale, è il nostro patrimonio proprio nel senso di ricchezza interiore ed è anche I ‘unica proprietà – come già detto – che nessuno ci potrà mai portare via, e tutto questo sia a livello personale sia come popolo e come etnia. Ed anche qui vediamo perché. Innanzi tutto dobbiamo accennare al fatto che secondo alcuni studiosi è possibile distinguere la “cultura” umana (e quindi animale) sotto molteplici modalità, ma almeno tre sono gli aspetti principali: (l) cultura di origine “genetica”, cioè ereditata insieme al nostro corredo cromosomico ed a tante altre cose utili, dove non è concesso ad alcuno di poter intervenire (salvo forse oggi a seguito di operazioni di ingegneria genetica o di mutazioni imprevedibili); (2) cultura tramandataci dal nostro “gruppo” e dalla nostra famiglia; e (3) cultura appresa per esperienza diretta.

  • La cultura trasmessaci geneticamente potremmo considerarla anche come qualcosa a livello di istinto ed è tutto ciò che noi utilizziamo appena nati e – come già accennato è comune anche a tutti gli animali. Rientrano in questo ambito, per esempio, la ricerca da parte del piccolo del seno materno, il pianto – sempre del piccolo – come “avviso” di qualcosa che non funziona, il carattere che ci ritroviamo, la predisposizione al sorriso o al broncio, e così via, che sono tutti atteggiamenti e comportamenti selezionati nel  tempo, nei millenni, e “scelti” dalla natura per essere tramandati nel tempo proprio perché vantaggiosi alla nostra specie (come si usa dire in ambito etologico).
  • La cultura tramandaci dal “gruppo” e dalla famiglia in genere, è senza dubbio più efficace secondo alcuni, meno secondo altri (la discussione su questa controversia è senza fine ed è già stata affrontata in Tavole ed articoli) ed è da considerare sicuramente come “cultura di seconda mano”. La ragione è semplice. Come è stato appurato in ambito scientifico il corredo cromosomico di un individuo è un qualcosa di unico ed irripetibile e personale come lo sono, per esempio, le impronte digitali. Ed è inoltre da considerare proprio di seconda mano perché ci è stata “tramandata”, in un certo senso ci è stata proprio “imposta” dagli altri: dalla nostra etnia (intesa come razza, area geografica), dal nostro “gruppo” (nazione, discendenza regionale), dalla nostra famiglia (amici e conoscenti stretti compresi), sotto forma.di usi, costumi, abitudini, tabù, sensi di peccato e di paura, e così via.
  • La cultura appresa per esperienza diretta che è quella che dovrebbe essere effettivamente poi la nostra, quella personale, quella che in qualche maniera noi abbiamo scelto ed adottato perché rispondente alle nostre personali necessità. E’ la cultura che abbiamo selezionato nel corso della nostra vita e che ci è costata molta fatica, con grandi o piccole vittorie e grandi o piccole delusioni. E sono proprio le esperienze le più tragiche, le più dolorose e catastrofiche che risulteranno sempre le più utili, indelebili e rimarranno impresse molto bene nel nostro patrimonio culturale, nella nostra memoria, e saranno quindi sempre presenti nell ‘approccio ad altre esperienze successive.

Tutti e tre questi tipi di cultura formeranno, è ovvio, il nostro cosiddetto “bagaglio” culturale parte ereditato ed in parte costruito – che ci portiamo dietro da sempre, modificabile e modificato tutti giorni, anche se forse non siamo in grado di rendercene conto in modo così evidente. Solo in rare occasi01 ed a certi tipi di “scadenze” (in caso di malattie, di traumi improvvisi, di “sconvolgimenti” di varia origin€ noi realizziamo che la nostra cultura e noi stessi ci siamo modificati (evoluti) rispetto al passato.

Infine, per la cultura, anche se più difficile forse da individuare, possiamo distinguere – come per I scienza – due tipi di sistemi: quello della cultura “pura” e quello applicativo. Più difficile l’ individuazione del suo duplice aspetto proprio perché più labile ed indeciso il confine di separazione anche se, I commercializzazione della cultura assurta a fini industriali dovrebbe essere qualcosa di più evidente tangibile e quindi più facilmente individuabile.

Abbiamo già in precedenza acquisito il principio di cultura nel suo senso “puro” e possiamo dire ch la sua parte applicativa è già stata sufficientemente sviscerata quando abbiamo affrontato in passato i problema della “informazione”. L’ informazione infatti possiamo identificarla con la cultura “applicata” il quanto non risulta essere altro che cultura “manipolata” a fini socio-politici e quindi commerciali e indu striali, ed inversamente, la cultura applicata non è altro che informazione mirata a scopi “profani” ber precisi. E non è quindi il caso di soffermarcisi oltre, anche perché è augurabile che a suo tempo sia stato  ben compreso il suo meccanismo.

L’editoria, i film, la TV e tutti le fonti informative sono il supporto necessario a questa cultura. informazione applicativa che non è detto debba per forza essere un qualcosa di negativo, di anti-cultura, d] dannoso: sarebbe un pregiudizio pericoloso. Possiamo però fare un identico parallelo come abbiamo già fatto per la scienza.

Conclusione

Dopo tutto quanto esposto, cerchiamo di trarre delle conclusioni adeguate ed utili sia come massoni all ‘interno dei nostri Templi, sia come uomini comuni proiettati nella nostra società civile e nel futuro e se non altro per l’impegno costante nello studio, nella ricerca interiore e nell ‘introspezione; ancor più poi, certamente, da quella di cittadino qualsiasi nella nostra società più o meno laica e civile. Innanzi tutto, non sembra proprio che il concetto di scienza e di cultura dovrebbe cambiare nel mondo di domani e forse anche nei millenni successivi. Certo, potranno cambiare i dettagli e le tecniche di acquisizione della cultura e del sapere scientifico, ma i principi essenziali e I ‘esigenza di queste due “discipline” saranno necessariamente immutate. Non vedo come potremmo pensare una cultura ed una scienza differenti da come noi la intendiamo oggi, diversamente la cultura non sarebbe più cultura e la scienza non più scienza, ma sarebbero due cose con significati differenti dagli attuali e quindi presumibilmente anche con definizioni e lemmi differenti.

Quindi, è presumibile, che la funzione della scienza e della cultura continuerà ad essere identica a quella avuta nei millenni precedenti, precedenti anche alla nascita di Cristo, sicuramente. Queste due “intuizioni” umane, c’è da ritenere, rimarranno in vita fino a quando l’uomo rimarrà quello che è, e visto che i suoi cambiamenti “strutturali” e “psicologici” si verificano molto lentamente e nel corso di migliaia se non milioni di anni, la vita dell ‘uomo dovrebbe proseguire anche nel prossimo millennio “tranquillamente frenetica” ed “angosciata” come si è sviluppata fino ad oggi.

Come abbiamo avuto la possibilità di intuire da quanto affermato in precedenza, due sono i concetti che dobbiamo tenere ben distinti e nettamente separati e non quelli di scienza e di cultura, ma di scienzacultura “pura” e scienza-cultura “applicata”. I due significati “puri” possono senz’altro essere condivisibili sia dalla nostra Istituzione sia dai Fratelli massoni perché ci portano a considerare ed assumere la storia dell ‘uomo fino ad oggi e sono le premesse per un domani che tutti noi ci auguriamo certamente migliore.  Meno condivisibili e sicuramente meno interessanti da tutti i punti di vista – in antitesi – la scienzacultura “applicata”, almeno come base di esame e di studio da sviluppare all ‘interno dei nostri Templi. Le vicende umane di vita giornaliera in ambito “profano”, sono molteplici, complesse ed imprevedibili, spesso anche spiritualmente poco interessanti; condotte, finanziate, vendute ed utilizzate nelle maniere più disparate nelle varie società del sistema umano e come già osservato in precedenza, da prendere in veloce considerazione solo in caso di gravi “attacchi” alla integrità della natura e dell ‘esistenza della vita stessa, oppure solo nel caso nel quale il nostro interesse in ambito profano, ma solo profano, fosse indirizzato verso il sistema applicativo. Ed in questi casi le soluzioni dovrebbero essere tutte ovvie e facili da prendere. L’umanità affronterà questo nostro nuovo terzo millennio e c’è da credere in maniera non molto differente dai precedenti. Da un punto di vista “economico”, avrà debellato tante malattie ma altre sono già pronte in agguato per sostituirle ed entrare in azione, avrà allungato sì la vita dell ‘ individuo ma a “spese” – come sembra – dei più giovani, si sarà liberato quasi completamente dalla fatica ma dovrà sudare ugualmente nelle palestre, avrà una vita più comoda ma sarà prevedibilmente “disturbata” dalla noia e forse come ci dicono alcune discutibili ma pur preoccupanti statistiche – dall ‘aumento dei suicidi, si sarà inoltrato ancor più nello spazio su satelliti e pianeti ma forse senza aver compreso ancora la sua posizione effettiva nell ‘universo e senza aver trovato risposta ai tanti “perché”.

Infine, dal punto di vista definibile “puro” l’uomo, con l’aiuto della scienza, della cultura e di tutte le altre discipline che si è “inventato” – grazie a quelle sue grandi ed uniche doti nel mondo “animale”, che sono la fantasia e la capacità di astrazione – ci auguriamo che possa raggiungere quella “felicità” alla quale ha sempre aspirato e che non è altro poi che il raggiungimento del suo equilibrio interiore, nonostante gli “applicativi” sostengano esattamente il contrario. Il raggiungimento di questo equilibrio è sicuramente un processo che possiamo ritenere individuale, probabilmente già raggiunto da tanti grandi uomini in passato, e comunque raggiungibile solo con la effettiva consapevolezza della propria entità e posizione nel mondo e nell ‘universo che ci circonda.

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IL DHARMA

IL DHARMA

di

Angelo Scrimieri

La mia unica aspirazione, è che questo elaborato possa riuscire utile alla nostra grande Famiglia e possa aiutare tutti i Fratelli impegnati a ricercare sempre la verità, sulla via della Luce. Ciò comporta una sorta di puntualizzazioni a parziale completamento del primo: “IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA”.

Cercherò ora di introdurre concetti non esposti prima, al fine di offrire ai Fratelli una più ampia visione del Buddhismo, e in particolare del DHARMA.

Gabriele D’Annunzio, nella tragedia “La Nave”, scritta nel 1908, dice: “Non è mai tardi per tentar l’ignoto. Non è mai tardi per andar più oltre”.

Sono fermamente convinto che la fede è radicata nell’uomo, dall’ alba dei tempi. Una fede, forse, dai mille volti, che risponde a mille usi, dal più infimo al più elevato.

Dunque, la fede ha avvicinato gli uomini e fatto progredire il genere umano. Ha messo in luce la ricerca mistica che ogni essere umano porta in sé, alla ricerca di una dimensione perduta, al bisogno di risposte per accettare meglio le avversità dell ‘ esistenza.

Buddhismo, questa stupefacente tavolozza di impareggiabile ricchezza che mescola rituali e segreti, dogmi e proibizioni, preghiere cantate e silenzi meditativi; e sempre, forse in ogni luogo e in ogni tempo, con lo stesso fervore che riconduce l’uomo alla sua dimensione sacra.

Il DHARMA, termine ricco di significati nel pensiero e nella morale indiana: STATUTO, CONSUETUDINE, DIRITTO, DOVERE, VIRTÙ’, NORMA RELIGIOSA E RITUALE, LEGGE DIVINA ED ETERNA.

Le sue origini si riscontano nel vecchio RTA, principio universale cui tutto obbedisce e che ha forza vincolante, pena, l’espiazione per il violatore.

Ma, questo termine, ricco di significati, lo troviamo solo nel buddhismo? No. Esso forse mette in discussione noi occidentali perché costretti ad interpretare i grandi temi del buddhismo indiano, presentando la sua filosofia come un sistema intelligibile, plausibile e valido. No, dunque, perché il DHARMA diventa nell’induismo, il fondamento del diritto codificato nei dharmasutra (libri didattici del dharma); nejainismo assume il valore di una sostanza indivisibile, che rende possibile il moto; ma nel buddhismo si identifica con I ‘ insegnamento del Buddha dando questo significato: Dottrina, Verità, Virtù, cioè il mondo reale che Buddha distingue nettamente da quello sensibile, vano, illusorio e artificioso.

DHARMA è anche, pensate, un Dio, la personificazione della giustizia, e proprio in questo senso è citato nel MAHABHARATA.

Lo studio del dharma, formò l’oggetto costante della “scuola hinayana” che ne ha approfondito i più intimi significati nell’ABBIDHARMA, una delle opere più vaste dell’umanità. Ma, per entrare in profondità nel diritto, nella norma religiosa, è necessario analizzare molto schematicamente il Buddhismo, questo fenomeno che sta facendo discutere il mondo intero, alla soglia del III millennio.

Dunque, oggi il Buddhismo sta rivivendo un periodo di grande vitalità; e, molte, forse, tante persone, legate a diverse credenze religiose, desiderose di una realizzazione interiore, vi trovano le risposte alle loro esigenze più profonde.

Questo Buddhismo – scuola di saggezza – come si è sviluppato, in che cosa crede, quali orizzonti aprono le sue rivelazioni? Quali sono i comandamenti morali che ispirano il buddhista, nella vita quotidiana?

Mi permetterò di rispondere brevemente, e sinteticamente, a queste domande rischiando, forse, di rovinare tutto con la mia interpretazione.

 Il Buddhismo è la pratica della non-violenza, del distacco personale, della purezza, della coscienza collettiva. Ecco dunque le conquiste che attendono il saggio. E ancora, la trasmigrazione delle anime verso il NIRVANA.

Il Buddhismo quindi, insegna la liberazione totale dello spirito attraverso una disciplina che dà una visione globale e luminosa.

Come abbiamo visto, la filosofia buddhista non appare all’improvviso, quale fenomeno isolato scaturito dalla mente di un uomo fuori dal comune. Credo che sia molto di più. Si tratta, invece, di una corona musicale, se mi è consentito osare, di una lunga tradizione indiana che viene a rinnovare, “riossigenare” un pensiero mistico, intorpidito e paralizzato da una confusione di rituali e credenze. In tal senso, forse fin dagli inizi, il buddhismo apparve come la continuità della ricerca ancestrale degli yogi indiani.

Quanto va emergendo poco per volta, si amplifica, prima di diffondersi ai quattro angoli del paese e poi del mondo, inserendosi in una logica di rinnovamento. Credo fermamente che nella storia degli uomini, la nascita di una dottrina, degna di tale nome e con il rispetto di una perfetta linea di condotta morale, è sempre un momento commovente. Commovente perché è soprattutto una nuova porta aperta alla comprensione dell’universo, nel quale l’uomo con mille sforzi, con mille sacrifici, evolve: una porta, che ciascuno è libero di varcare, secondo le proprie aspirazioni più intime.

Ma, prima ancora di addentrarci nello specifico, prima ancora di “indottrinarci” – perché il DHARMA è per il buddhismo pura dottrina, è necessario calarci in una nuova ed inconsueta realtà: in una nuova ed ideale dimensione.

Uno dei maestri buddisti, più amati in Occidente, è Thich Nhat Hanh, conosciuto anche come Thay (maestro) di tradizione zen zinzai. E’ una rara combinazione di mistico, filosofo, poeta e pacifista. Sin dai primi anni del suo cammino religioso, nel suo paese, il Vietnam, ha perseguito la realizzazione di un buddhis impegnato, un cammino spirituale non separato dall’ azione sociale, dalla realtà di tutti giorni.

Questo maestro è un grande riformatore, e il suo insegnamento affascina tutti coloro che non cercano nella meditazione un’ altra via di fuga.

Negli ultimi anni ha insistito sulla necessità di un dialogo vero fra buddhismo e religioni monoteiste, il cristianesimo in particolare. Secondo Thay, è di vitale importanza che i praticanti Zen occidentali “innaffino i semi positivi” delle proprie radici culturali e religiose, integrando, con esse, quanto imparano dal buddhismo, e penetrare nel mondo della meditazione.

Thomas Merton scrisse che “questo monaco ci ha mostrato che lo zen non è una scuola esoterica e nichilista che mira ad un’ illuminazione egoistica, ma una tradizione che ha, invece, un senso di responsabilità molto raro, nel mondo moderno”.

Quindi, egli è un maestro capace di offrire una lettura aggiornata delle scritture buddhiste e di dare significati attuali a riti tradizionali. “Cerchiamo di dimostrare – spiega Thay – che vivere in pace è possibile, e che praticare l’armonia e la comprensione è qualcosa che si può fare anche quando si torna in città, in famiglia, o con un gruppo di amici”.

Allora bisogna imparare a capire cos’è la meditazione. Difatti, la sua raccomandazione è molto semplice e alquanto significativa.

“La meditazione non deve fare soffrire, ma dare calma e stabilità, nel momento del presente. Senza calma, sarebbe impossibile guardare in profondità e scoprire la vera natura”.

Il DHARMA, la dottrina, è in realtà una via di ricerca personale che tende a spiegare il mondo e il ruolo dell’uomo, in esso. Più che un vero dogma, nel senso più religioso del termine, in origine è un approccio psicologico, una ricerca di natura individuale; se per dogma, in questo caso, si vuole intendere: verità fondamentale, incontestabile.

La dottrina, quindi, non è una finalità a sé stante, in quanto la sua applicazione richiede disciplina e un impegno personale concreto: è, innanzitutto, un “mezzo” per giungere alla salvazione, al di là del semplice dominio di sé.

Il DHARMA, che indicherò come una dottrina, ha questo di essenziale: al prezzo di una stupefacente mescolanza di generi, riunisce nel suo seno numerosi enunciati, ereditati dai tempi passati, per arrivare a una delle più coerenti fusioni globali. In esso, si evidenziano tre assi principali, eminentemente catalizzatori: la moralità elevata, la contemplazione attraverso la meditazione, la saggezza psicologica che sottolineano le aspirazioni spirituali di questa forma di pensiero.

Ma, la grande idea del DHARMA, che mette indubbiamente a soqquadro in maniera irresistibile le antiche credenze, sta nel ridare all’ uomo il primo ruolo nell ‘orientamento della sua traiettoria e del suo divenire spirituale. Orbene, mentre prima doveva guadagnarsi il beneplacito degli Dei per accedere alla grazia, ora dipende solo da lui raggiungere o meno la salvezza.  Una sorta di trasmigrazione imperativa, quindi, attraverso la condizione umana, prima di accedere al Nirvana! Non v’è dubbio che la dottrina buddhista ponga la liberazione quale obiettivo ultimo, e la sofferenza, come mezzo per raggiungerlo. I più autorevoli critici, e insigni studiosi, concordano nel dare all’uomo una dimensione spirituale “autonoma”, basata sul valore delle sue opere. Il DHARMA, introduce di fatto un cambiamento irrimediabile nella gerarchia sociale. Certo è che nel contesto dell ‘ epoca, è un ‘idea eccezionalmente innovatrice. Quando I ‘universalità del DHARMA spinge il buddhismo alla ribalta, sulla scena indiana, l’ ATMANBRAHMAN si vede relegato in un passato ormai sepolto. Secondo il DHARMA, allora, l’uomo non è più uno strumento alla mercé del beneplacito degli Dei: ritrovando la capacità di agire, per influire sul valore della traiettoria, nel bilancio dei suoi atti, egli ritrova la libertà del proprio divenire. E’ evidente che in questo modo l’ uomo, dall’ inizio alla fine della sua esistenza, è in continua evoluzione, capace, altresì, di espiare i propri errori, con un comportamento migliore. Appare più che evidente che la dottrina ha, per vocazione, il compito di mostrare la via, di dare all’uomo le basi che gli permetteranno, più o meno rapidamente, in funzione delle sue più intime aspirazioni, di liberarsi e di raggiungere il Nirvana. Si legge ancora che il Buddha, dotato di una mirabile capacità di sintesi, aveva l’ abitudine di riassumere il DHARMA in una semplice frase, che fungeva da messaggio rivolto a tutti gli uomini: “APRITE LE ORECCHIE, LA LIBERAZIONE DALLA MORTE E’ TROVATA”.

Per approfondire ancora l’ argomento, è necessario ricordare che il buddhismo, quando fa la sua apparizione, è soltanto una filosofia di vita, l’insegnamento di un modo molto pratico di vivere il quotidiano.

Un ruolo particolarmente importante è quello della sofferenza, se si considera il DHARMA come dottrina della stessa. L’illuminazione del BUDDHA è strettamente legata alla sua scoperta della sofferenza umana. Essa acquista un ruolo importante nel buddhismo, per il semplice fatto che “nascere” è all ‘ origine del dolore.

Secondo la leggenda, il Buddha, raggiunta la piena illuminazione, restò in silenzio per 49 giorni, senza predicare. Il suo primo insegnamento pubblico fu diretto ai cinque asceti che erano stati suoi compagni, quando conduceva la vita di mendicante.

Avendo compreso che l’ ascetismo non portava alla libertà dalla sofferenza, abbandonate le pratiche ascetiche, si separò dai cinque compagni. Nel Parco delle Gazzelle di Sarnath, però, il Buddha rincontrò i suoi vecchi compagni; ormai pronto e sicuro, impartì il primo insegnamento pubblico.

In quel discorso, divenuto famoso come primo giro della ruota del DHARMA, Buddha espresse i principi delle “quattro nobili verità”: la verità della sofferenza, la verità dell’ origine della sofferenza, la verità della estinzione della sofferenza, la verità del sentiero che conduce alla estinzione della sofferenza. nella sua grande religiosità

All ‘interno di queste “quattro verità”, troviamo in atto due distinti binomi causa-risultato: la sofferenza è il risultato e l’origine della sofferenza è la causa; parimenti, la vera estinzione della sofferenza è pace (il risultato) e il sentiero che ad essa conduce è la causa di quella pace.

Va chiarito che i vari giri della ruota del DHARMA non indicano, in genere, precisi discorsi tenuti in determinate occasioni. Essi forniscono, piuttosto, una struttura per catalogare gli insegnamenti del Buddha, secondo contenuto e visione filosofica.

In breve, si può desumere che il primo discorso del Buddha, nel Parco delle Gazzelle, mise in moto, diede inizio, forse, ad un metodo d’ insegnamento che venne denominato “primo giro della mota del DHARMA”

I tre addestramenti superiori sono: etica, concentrazione e saggezza. Superiori, però, solo quando sono congiunti alla rinuncia.

Si può, quindi, cercare la felicità, raggiungere la pace, quella autentica e durevole, solo attraverso la purificazione della mente.

Ciò è possibile solo eliminando la causa principale di ogni sofferenza e infelicità: la nostra fondamentale ignoranza.

E’ evidente che gli insegnamenti buddhisti si basano anche sulla certezza che le cause principali del dolore, e delle sofferenze, scaturiscono dalla ignoranza umana e dalla confusione mentale.

Può il pensiero di noi occidentali, venire modificato da questa conoscenza? Può essere deviante per la nostra cultura religiosa, qualunque essa sia? Io credo proprio di no: La via per arrivare alla conoscenza di DIO, Grande Architetto dell ‘ Universo, è una via d’ amore, una via dove gli slanci del cuore, e l’ opera insonne del proprio miglioramento morale, aprono, all’intelligenza, gli accessi per giungere all’ intima natura di DIO.

 In conclusione, proprio in considerazione  di quanto è stato detto, anche la nostra religione, alla pari del DHARMA, consente di sentirci a posto  con  la nostra coscienza. Tutto ciò, perché con il Buddhismo ci troviamo ai confini di una realtà che purtroppo non ci appartiene e ciò deve farci riflettere, meditare con obiettiva serenità.

Siamo giunti al termine di un ideale viaggio che, tutto sommato, non è stato altro che una di quelle tante esperienze che talvolta ci aiutano a ritrovare quelle energie necessarie per continuare a sperare e a migliorare la nostra conoscenza, ma non più di tanto. Devo riconoscere, però, che sarebbe un errore credere che non riguardi anche la nostra civiltà, con la scusa che il Buddhismo vide la luce in Oriente.

Il viaggio nel mondo del buddhismo, come quello che ho tentato di fare, mi aiuterà, quasi certamente, a trovare la conferma che l’uomo è universale, proprio per quel suo desiderio di profonda pace, nonostante l’ ansia legata alle sue paure e le sue aspettative.

Al di là di ogni credo, di ogni religione, l’uomo è grande perché dietro di lui c’è qualcuno più grande di lui. Il Buddhismo è un’ opera di grande religiosità, specie per l’uomo che tenta, avvicinandosi, di scoprirla quel tanto che basta, immedesimandosi nel suo grande pensiero, per vivere una suggestiva avventura dello spirito. Tutte le religioni, del resto, adorano, sotto diverse forme, lo stesso “principio divino universale” e tutte, proprio tutte, conducono alla …”fonte divina”.•

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FILADELFIA: LA COSTRUZIONE DI UNA CITTADINA MASSONICA IN CALABRIA

FILADELFIA: LA COSTRUZIONE Dl UNA CITTADINA MASSONICA IN CALABRIA

di

Marianna Barone

Filadelfia è un piccolo centro della provincia del vibonese, nato più di due secoli fa sotto l’ egida di Serpenti verdi e superiori incognite.

E’ il 27 Marzo 1783, quando un violentissimo terremoto si abbatte sulla Calabria, seminando ovunque morte e distruzione. Un piccolo paese dell’entroterra calabrese, Castelmonardo, viene raso al suolo. I superstiti dell’irruente calamità avvertono l’ esigenza di far risorgere dalle macerie la loro terra, trovando un sito meno provato sismicamente e capace di far fronte ad eventuali ulteriori movimenti tellurici. Così, il 15 aprile i Castelmonardesi, riunitisi nella Cappella del Buon Consiglio, in contrada Santa Croce, deliberano la fondazione del nuovo paese sul “Piano della Gorna”. Il terreno viene ceduto ai cittadini, ancora provati dagli eventi naturali, dal feudatario Pignatelli per il tramite di un castelmonardese illustre, Giovanni Andrea Serrao, Vescovo di Potenza e figura di grandissimo rispetto presso la corte di Maria Carolina a Napoli.

Il Serrao è il padrino morale e spirituale del nuovo paese, da Lui battezzato Filadelfia. L’indicazione di questo dolce nome lo si ritrova nelle stesse parole del Vescovo: “Affinché gli abitanti si ricordassero sempre della loro origine greca e rammentassero le virtù dei loro antenati, e soprattutto si amassero come fratelli ed amici, non solo fra di loro ma nutrissero lo stesso sentimento per tutti gli uomini. ‘

L’etimologia del nome è prettamente greca: (PtXòÇ otòeXQòÇ, ossia amore fraterno. Sono chiari e lampanti i significati esoterici che vi sono racchiusi: il nome dev’essere un auspicio di “fratellanza” tra tutti i suoi abitanti.

Ma Filadelfia è anche il nome della cittadina di Pennsylvania, dove per prima è stata proclamata la Dichiarazione dei Diritti dell ‘Uomo e del Cittadino e dove i Fratelli massoni godono di rispetto ed autorevolezza.

Della Gran Loggia di Philadelphia, intitolata a Beniamino Franklin, partono aiuti economici concreti per la fondazione del piccolo paese calabrese: documenti detenuti dall’ Accademia Reale di Londra lo provano.

Ma v’è di più. La pianta stessa di Filadelfia si presenta come un’imitazione di quella ideata da William Penn ed ispirata a criteri razionalistici ed illuminati di stampo massonico. Lo schema rappresenta una tipica rielaborazione del castrum romano, fulcro della collaborazione fra architetto e filosofo, caldeggiata dal Grande Oriente. I lavori sono effettuati dall’ architetto Francesco Antonio Serrao e dal filosofo Biagio Stillitani e si concretizzano in un mirabile disegno razionalistico in cui una perfetta croce greca divide quattro quartieri, rivolti ai quattro punti cardinali, con quattro chiese, ciascuna con la porta ad

Oriente.

La simbologia massonica in Filadelfia va più in là della sua pianta urbanistica. Massone è lo stemma municipale: due mani, di cui una guantata, si stringono in un fraterno patto sociale; stesso stemma si ritrova nella Società Operaia, fondata nel 1874, da Pasquale Lauriani. Massoni sono anche i due serpenti che sovrastano l’ antichissima fontana Ceramidu, ubicata all ‘entrata del paese.

Ulteriore conferma all’esoterismo massonico viene dalla stele commemorativa La Crocella, eretta per il centenario della fondazione del paese nel 1883. Un globo terraqueo avvolto da un Serpente verde simboleggianti rispettivamente, il Mondo e la Scienza. Solo in tempi recenti vi sarà posta in alto una croce, quasi per volerne nascondere il significato originario. Il fulcro dell’humus massonico a Filadelfia è rappresentato dalla fraterna amicizia tra il Vescovo Serrao e l’abate Antonio Jerocades, bardo della Massoneria, nativo di Parghella ed allievo di Giovanni Andrea Serrao nel seminario di Tropea. Jerocades, che forma la sua spiritualità massonica a Marsiglia, in Francia, è considerato il fondatore delle prime logge calabresi. Secondo la tradizione orale opera sua è anche la nascita della Giordano Bruno di Filadelfia, alla cui solcatura egli è presente ed alla quale dedica una canzone intrisa di elementi esoterici.

A Filadelfia operano presumibilmente due logge tra l’ ‘800 ed il ‘900 (solo dopo la scissione operata da Saverio Fera e la consequenziale formazione dell’Oriente di Piazza del Gesù, ne sorgerà una terza ad essa obbediente), delle quali fanno parte le persone più illustri che garantiscano l’esistenza della Giordano Bruno -si sono senz’ altro perse nella notte dei tempi- ma la tradizione orale è alquanto viva ed in grado di farcene affermare la presenza.

Lo spirito massonico di cui è intrisa Filadelfia lo si riscopre in due eventi di particolare rilievo, che ne caratterizzano la sua storia durante il 1800. Nel 1846 è sindaco di Filadelfia Giovanni Gemelli, grande umanista, liberale ed anticlericale, autore di una serie di scritti di incontrovertibile fede massonica (vedasi la Chiesa ed i Preti innanzi al Tribunale della Bibbia e della Storia), nei quali esplicita il suo pensiero di un’Italia asservita al giogo papale, prima ancora che a quello straniero.

Nello stesso anno della Primavera di Popoli il Gemelli, che poi diventerà Prefetto del Regno d’Italia, è commissario di guerra ed instaura a Filadelfia il Quartiere generale degli insorti. Nel suo intento si avvale della collaborazione del barone Francesco Stocco di Nicastro, fondatore della loggia più grande della Calabria, vicino a Benedetto Musolino, massone di Pizzo Calabro. Il ché fa pensare ad una sorta di Triangolo tra Filadelfia,

Nicastro e Pizzo.

Ad ulteriore riprova dell’humus massonico esistente nel paese, nel 1870, il figlio di Giuseppe Garibaldi, Ricciotti, trova terreno fertile a Filadelfia per l’ instaurazione della Repubblica universale.

Tali tentativi non avranno esito positivo ma rappresentano, comunque, un’inequivocabile testimonianza dell’ aria liberale esistente in loco; aria tale da portare tutti i filadelfiesi ad appoggiare il Gemelli nel 1848 ed a convincere Ricciotti Garibaldi a provare proprio lì il suo esperimento.

L’attività massonica nel paese entra in crisi sul finire dell’800. Ciò, probabilmente, a causa del malessere generale dovuto al progetto di Crispi e Lemmi di fare della Massoneria un partito politico, lasciando che abbandoni il tradizionale dirozzamento della pietra filosofale per perseguire scopi più pratici. Se, purtroppo, in tutta Italia, a questo punto, le logge subiscono un ‘ inversione di tendenza, a Filadelfia, invece, la Giordano Bruno verosimilmente scompare.

Il nuovo secolo regala al paese un’intensissima attività massonica, con la fondazione, nel 1904, della Loggia intitolata a Giovanni Andrea Serrao, ad opera del Venerabile Raffaele Apostoliti, già cresciuto nella Tommaso Campanella di Catanzaro.

Pagine di verbali, corrispondenza con il Grande Oriente e scritti dell’ epoca ci consentono di evidenziare la vita della Loggia ed il ruolo all’interno di Filadelfia.

I Massoni detengono la suprema carica civica sino al 1917, svolgendo grandi opere di proselitismo: un ‘ opera sociale con l’ istituzione di quattro commissioni: Commissione per I ‘ Asilo infantile, Commissione per le Elezioni Amministrative e Commissione Permanente di Finanza, un’ opera politica con il varo di un Piano Regolatore in vigore sino al 1970; un’opera morale con la distribuzione gratuita di farmaci alla cittadinanza, preparati galenicamente nella sua farmacia da Ermio Apostoliti, fratello del Venerabile.

Una certa storiografia, risalente ai primi anni del 1900, ha voluto vedere nell’ attività della Giovanni Andrea Serrao e dei suoi adepti, privi di conati ideali, solo un modo per radicarsi territorialmente e gestire il potere politico. Giudizio questo, invero, eccessivamente fazioso per poter essere condiviso.

Vero è che il principio di mutuo soccorso tra i fratelli, per come si evince dalle Tavole Architettoniche, è all’ordine del giorno; emblematico il caso in cui la Giovanni Andrea Serrao accetta di riconoscere una Loggia femminile – contrariamente alle direttive di Palazzo Giustiniani, alle quali obbedisce – in cambio dell ‘elezione al Consiglio comunale di uno dei suoi fratelli.

Ma il voler sostenere la mancanza di un substrato ideologico all ‘interno della loggia è smentito da quelle pagine dei verbali intrise di spirito patriottico ed umanitario. Si pensi alle iniziative d’erigere un monumento alla memoria di Garibaldi e di Giosuè Carducci e d’ elargire contributi economici ai terremotati ed agli orfani.

Invero, Filadelfia nasce da ideali liberali e massonici, dei quali si nutre nell’ arco di secoli, lasciando che in personalità come il Serrao, il Gemelli, l’ Apostoliti ed i suoi seguaci, questi stessi ideali diventino un modus vivendi.

Aldilà di queste simbologie esoteriche, tutti gli eventi più importanti, verificatisi nel paese lungo il corso del tempo, hanno evidenziato la presenza fortissima di queste radici. Forse è vero che, di poi, sino a giungere al ‘900, si sia “perso” qualcosa e la loggia Giovanni Andrea Serrao sembri essere aliquid minus rispetto alla tradizione, ma é anche vero che è il mondo ad essere cambiato e non solo il clima esistente in Filadelfia.

L’ attività della loggia ottocentesca entra il sonno con l’avvento del Fascismo: l’ultimo verbale risale al 1924. Verosimilmente è in questo periodo che la vita della Loggia si interrompe per non essere mai più ripresa. •

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IL RUOLO DELLA SCIENZA E DELLA CULTURA NEL MONDO DI DOMANI

IL RUOLO DELLA SCIENZA E DELLA CULTURA NEL MONDO DI DOMANI

di

Baldo Conti

Introduzione

Il presente contributo, sul futuro ruolo della scienza e della cultura, non sarà certo dei più facili, almeno se si vuole “rimanere” con i piedi in terra, senza sconfinare nella retorica e nel “già detto”, ma cercherà comunque – nei limiti del possibile – di essere un concreto ed originale aiuto per la soluzione dei nostri travagli esistenziali, non certo “gratuiti” e fittizi, come un esclusivo fatto culturale, ma effettivi. Contemporaneamente il nostro impegno sarà anche quello di non far stancare e distrarre i lettori più del necessario, considerata anche la presunta astrusità dell ‘argomento non da tutti facilmente “digeribile”

Come sempre, in qualsiasi contesto ci troviamo, occorre definire fin dall ‘ inizio e mettersi d’accordo sul significato che si intende dare alle nostre parole. In questo caso è d’ obbligo chiarire cosa si intende per “scienza” e cosa per “cultura”. Spesso riteniamo di conoscere sufficientemente bene il significato delle parole che usiamo, ma in frequenti occasioni siamo costretti a registrare la nostra “ignoranza”, in altri contesti riteniamo che il significato che noi diamo ad un termine sia lo stesso dei nostri interlocutori, ma non sempre è così e molte delle incomprensioni e delle discussioni derivano anche da una differente interpretazione dei significati di parole e concetti. Per “scienza” (dal latino “sapere”) dobbiamo intendere il risultato di operazioni del pensiero come oggetto di codificazione su piani teorici ed applicativi in ambito pratico; conoscenza esatta e ragionata acquisita grazie allo studio ed all ‘esperienza; insieme di discipline essenzialmente fondate su calcoli ed osservazioni; complesso organico e sistematico di conoscenze di cui si dispone intorno ad un determinato ordine di fenomeni. In sintesi, possiamo definire la scienza quell ‘insieme di cognizioni che abbiamo la possibilità di acquisire in base allo studio, all ‘osservazione ed all’esperienza diretta e risultanti da precisi calcoli e deduzioni su fenomeni di varia natura posti anche su molteplici livelli.

Per “cultura” (sempre dal latino, “culto”, “cultura”) dobbiamo intendere invece il complesso armonico delle cognizioni di una persona, formato dalla propria sensibilità, dalla propria esperienza, da tradizioni, procedimenti tecnici e tipi di comportamento; tutto ciò che concorre alla formazione individuale sul piano intellettuale e morale ed all’acquisizione della consapevolezza del ruolo assunto nella società; “patrimonio” di conoscenze. In sintesi, la cultura è il nostro bagaglio spirituale, appreso o tramandatoci, è il substrato indispensabile alla nostra vita materiale ed intellettuale, è l’origine ed il punto di partenza del nostro comportamento e della nostra morale, è il nostro patrimonio proprio nel senso di ricchezza interiore ed è anche l’unica nostra “vera” proprietà che nessuno ci potrà mai usurpare, e tutto questo sia a livello personale sia come popolo sia come etnia.

Stabilito il significato da dare a “scienza” e “cultura” – e su questo almeno, c’è da ritenere, dovremmo concordare tutti, perché le definizioni sono un fatto di lingua e non sono un’opinione ed in ogni caso è questo il significato attribuito in questo nostro contesto a questi due termini – addentriamoci un po’ più profondamente nell ‘esame del problema posto, non perdendo mai di vista il fatto che siamo massoni, ma anche “italiani”, con tutti i nostri pregi ed i nostri, e non sono pochi, difetti. Di conseguenza nel corso del nostro esame dovremmo dimostrare, più che altro a noi stessi, anche di essere uomini liberi e di buoni costumi, aperti alle novità e proiettati nel futuro, non troppo ancorati e schiavi del passato e delle tradizioni che spesso sono un substrato insostituibile ma anche un peso dal quale è difficile liberarsi, non afflitti da pregiudizi e da preconcetti, lontani da integralismi e da dottrine dogmatiche di qualsiasi tipo, ma sempre animati invece da quell ‘indistruttibile senso di civiltà e di miglioramento individuale e collettivo che dovrebbe distinguerci, disposti sempre fraternamente verso il prossimo che, ricordiamolo, non è composto solo dall ‘uomo ma da tutto ciò che ci circonda e che comprende animali, piante e tutta la natura, “inanimata” compresa.

Come in ogni ricerca seria che si rispetti, prenderemo prima in considerazione il ruolo della scienza e poi quello della cultura, secondo l’ordine della loro apparsa nel titolo, accennando per forza anche un po’ al nostro passato ed al nostro presente, e successivamente trarremole nostre conclusioni se riusciremo ad individuarne qualcuna, con l’augurio di poter stilare una bozza di comportamento da utilizzare in un eventuale futuro anche se, di questo prossimo terzo millennio, i più fortunati di noi riusciranno ad intravederne solo l’inizio. Ma come già affermato in altre occasioni ciò che conta è stabilire la nostra “buona rotta” e proseguire nella direzione che riteniamo giusta senza preoccuparci troppo di quanta strada riusciremo a poter percorrere.

La scienza

Abbiamo accennato in precedenza che possiamo definire la scienza come quell ‘insieme di cognizioni che abbiamo la possibilità di acquisire in base allo studio, all’osservazione e all’esperienza diretta e risultanti da precisi calcoli e deduzioni su fenomeni di varia natura posti anche su molteplici livelli. E vediamo il perché. Fin dagli albori della storia umana che conosciamo, ma sicuramente anche molto prima dell’epoca “storica”, I ‘uomo si è sempre confrontato con la ricerca e la scienza e si presume, spesso, anche senza rendersene conto. La “scoperta” della ruota e del fuoco, la fusione dei metalli, l’utilizzazione della forza di gravità, la selezione delle razze animali per allevamento – ma potremmo fare un elenco molto lungo – sono stati un approccio empirico al mondo scientifico del quale l’uomo primitivo ne ignorava presumibilmente anche I ‘esistenza come già detto.

Le varie “discipline” furono ancora indagate ed approfondite, ma potremo dire sempre in maniera per noi oggi “superficiale” ed approssimativa e non certo sistematica, fino ad arrivare a Galileo Galilei (1564-1642) che – con i suoi studi di geometria, astronomia e fisica – può senz’altro essere considerato il primo ed effettiVo scienziato “moderno”. Con lui ebbe inizio infatti l’attuale metodo sperimentale che ancor oggi è di base a qualsiasi tipo di ricerca scientifica e che sicuramente lo rimarrà per molto, molto tempo ancora. Partendo da Galileo e dalla sua teoria del “sistema eliocentrico” si è avuta una vera e propria esplosione nella ricerca e nella sperimentazione in tutti i campi e, con l’aiuto della tecnica a disposizione, sono state raggiunte mete impensabili, specialmente in questi ultimi anni, nella chimica, nella medicina, nella fisica, nelle conquiste spaziali e nelle discipline scientifiche in generale.

La visione galileiana della natura ci ha aperto le porte verso un mondo nuovo, immenso nei confini e nelle esperienze, senza limiti nel tempo e nello spazio e quindi senza limite in tutte le direzioni. L’uomo in breve tempo si è riscattato dalla fatica, in parte dalla “paura” ed ha raggiunto una posizione di supremazia nei confronti di tutto il resto del creato. Anche se il sogno di poter “dominare” la natura rimane fortunatamente ancora un sogno, l’uomo si trova comunque davanti un futuro fitto di incognite, di interrogativi e di nuovi tipi di paure. Il timore di non poter disporre pienamente dei “giocattoli” che si è costruito, che qualcosa possa sfuggirgli di mano, che non riesca a conoscere fino in fondo ciò a cosa potrà andare incontro con le sue “scoperte”, lo rendono parzialmente dubbioso, interdetto ed impaurito.

Per questa ragione ampi dibattiti si sono aperti sull ‘opportunità di proseguire alcuni tipi di ricerca ed in questa controversia, a torto o a ragione, si sono inserite forze politiche, industriali e religiose. Ma forse qui, qualcosa non è stata veramente afferrata nel senso giusto: il principio di scienza e ricerca cosiddetta “pura” in contrapposizione all ‘utilizzazione pratica dei loro risultati. Vediamo perché. Innanzi tutto c’è una distinzione doverosa da fare ed è quella di dividere la ricerca “pura” appunto da quella “applicata”. Per pura si intende la ricerca “fine a se stessa”, per esempio: il matematico che risolve un problema astratto di formule e che si era posto il problema “gratuitamente” senza alcuna “necessità” (anche se in seguito la soluzione potrà avere un ‘applicazione pratica), lo studio di Galileo sulle oscillazioni di un pendolo, perché incrociando una gallina bianca ed un gallo nero abbiamo dei pulcini bianchi, altri neri, ed altri ancora bianchi e neri (o grigi) in numero costante e sufficientemente prevedibile. Per applicata si intende invece quella ricerca che viene appositamente finanziata con uno scopo preciso ed al fine di ottenere dei risultati che diano un utilizzo immediato e remunerativo come la produzione di un antiparassitario utile ad un certo tipo di pianta, la possibilità di mettere in commercio un antibiotico specifico per un certo tipo di malattia, la costruzione di un razzo e di un satellite per I ‘utilizzazione nelle telecomunicazioni. Ed in genere, come già accennato, questo tipo di ricerca è sempre sostenuto finanziariamente perché dia risultati immediati, attesi ed utili, altrimenti l’appoggio ed il finanziamento decadono.

Quasi sempre – specialmente per coloro che non sono “addetti ai lavori” – c’è una grande confusione di idee in proposito. In genere non si riesce mai a distinguere le differenze esistenti tra i due “sistemi” che pure appaiono macroscopiche, ma si ritiene invece, erroneamente, che siano la stessa cosa, che la scienza e la ricerca scientifica siano di un unico tipo. Ma non è così.

La ricerca pura dovrebbe essere “intoccabile” in quanto porta sicuramente avanti l’umanità nel suo  processo evolutivo, tende esclusivamente ad appurare le ragioni di alcuni fenomeni altrimenti inspiegabili, soddisfa fino “a prova contraria” con il supporto di teorie ed ipotesi e, diciamolo pure, anche con la filosofia, tutte le curiosità ed i problemi che l’uomo si pone sia in ambito materiale sia spirituale.

La scienza o ricerca applicata è ben altra cosa. E’ la utilizzazione parziale di alcuni risultati della ricerca pura, è finanziata e finalizzata esclusivamente per scopi precisi quasi sempre commerciali, spesso intacca certi tipi di “morale” in quanto produce qualcosa che “disturba” (specialmente da un punto di vista economico) alcune classi o “caste” di cittadini, cerca esclusivamente un utile non essendo altro che un tipo di “investimento” a carattere finanziario.

E’ evidente che, esclusi per ragioni ovvie, coloro che sono interessati direttamente in imprese di ricerca finalizzata in senso applicativo, l’unica “scienza” che noi, come massoni, dobbiamo prendere in seria considerazione è solo quella pura che è a noi amne e risponde più ai nostri ideali ed alla nostra ricerca interiore. L’altra, l’applicativa, potrà coinvolgerci solo marginalmente ed in ambito profano (è più un qualcosa che riguarda professionalmente i tecnici, i medici, l’industria) e solo nel caso in cui provochi effettivamente dei traumi sociali e non ci costringa a fare un calcolo di spese e ricavi.

Ma ricordiamola sempre questa distinzione. La scienza “pura” – come dice appunto il termine – è pura, è composta di idee, di “buone” intenzioni, di progresso conoscitivo, di filosofia, di intuito, è un processo creativo e di conseguenza anche artistico, quindi non “criticabile” come principio e come “servizio” che rende a tutta l’umanità.

La cultura

Come indicato nell ‘Introduzione la cultura è il nostro bagaglio spirituale, appreso o tramandato che sia, è il substrato indispensabile alla nostra vita materiale ed intellettuale, è I ‘origine ed il punto di partenza del nostro comportamento e della nostra morale, è il nostro patrimonio proprio nel senso di ricchezza interiore ed è anche I ‘unica proprietà – come già detto – che nessuno ci potrà mai portare via, e tutto questo sia a livello personale sia come popolo e come etnia. Ed anche qui vediamo perché. Innanzi tutto dobbiamo accennare al fatto che secondo alcuni studiosi è possibile distinguere la “cultura” umana (e quindi animale) sotto molteplici modalità, ma almeno tre sono gli aspetti principali: (l) cultura di origine “genetica”, cioè ereditata insieme al nostro corredo cromosomico ed a tante altre cose utili, dove non è concesso ad alcuno di poter intervenire (salvo forse oggi a seguito di operazioni di ingegneria genetica o di mutazioni imprevedibili); (2) cultura tramandataci dal nostro “gruppo” e dalla nostra famiglia; e (3) cultura appresa per esperienza diretta.

  • La cultura trasmessaci geneticamente potremmo considerarla anche come qualcosa a livello di istinto ed è tutto ciò che noi utilizziamo appena nati e – come già accennato è comune anche a tutti gli animali. Rientrano in questo ambito, per esempio, la ricerca da parte del piccolo del seno materno, il pianto – sempre del piccolo – come “avviso” di qualcosa che non funziona, il carattere che ci ritroviamo, la predisposizione al sorriso o al broncio, e così via, che sono tutti atteggiamenti e comportamenti selezionati nel  tempo, nei millenni, e “scelti” dalla natura per essere tramandati nel tempo proprio perché vantaggiosi alla nostra specie (come si usa dire in ambito etologico).
  • La cultura tramandaci dal “gruppo” e dalla famiglia in genere, è senza dubbio più efficace secondo alcuni, meno secondo altri (la discussione su questa controversia è senza fine ed è già stata affrontata in Tavole ed articoli) ed è da considerare sicuramente come “cultura di seconda mano”. La ragione è semplice. Come è stato appurato in ambito scientifico il corredo cromosomico di un individuo è un qualcosa di unico ed irripetibile e personale come lo sono, per esempio, le impronte digitali. Ed è inoltre da considerare proprio di seconda mano perché ci è stata “tramandata”, in un certo senso ci è stata proprio “imposta” dagli altri: dalla nostra etnia (intesa come razza, area geografica), dal nostro “gruppo” (nazione, discendenza regionale), dalla nostra famiglia (amici e conoscenti stretti compresi), sotto forma.di usi, costumi, abitudini, tabù, sensi di peccato e di paura, e così via.
  • La cultura appresa per esperienza diretta che è quella che dovrebbe essere effettivamente poi la nostra, quella personale, quella che in qualche maniera noi abbiamo scelto ed adottato perché rispondente alle nostre personali necessità. E’ la cultura che abbiamo selezionato nel corso della nostra vita e che ci è costata molta fatica, con grandi o piccole vittorie e grandi o piccole delusioni. E sono proprio le esperienze le più tragiche, le più dolorose e catastrofiche che risulteranno sempre le più utili, indelebili e rimarranno impresse molto bene nel nostro patrimonio culturale, nella nostra memoria, e saranno quindi sempre presenti nell ‘approccio ad altre esperienze successive.

Tutti e tre questi tipi di cultura formeranno, è ovvio, il nostro cosiddetto “bagaglio” culturale parte ereditato ed in parte costruito – che ci portiamo dietro da sempre, modificabile e modificato tutti giorni, anche se forse non siamo in grado di rendercene conto in modo così evidente. Solo in rare occasi01 ed a certi tipi di “scadenze” (in caso di malattie, di traumi improvvisi, di “sconvolgimenti” di varia origin€ noi realizziamo che la nostra cultura e noi stessi ci siamo modificati (evoluti) rispetto al passato.

Infine, per la cultura, anche se più difficile forse da individuare, possiamo distinguere – come per I scienza – due tipi di sistemi: quello della cultura “pura” e quello applicativo. Più difficile l’ individuazione del suo duplice aspetto proprio perché più labile ed indeciso il confine di separazione anche se, I commercializzazione della cultura assurta a fini industriali dovrebbe essere qualcosa di più evidente tangibile e quindi più facilmente individuabile.

Abbiamo già in precedenza acquisito il principio di cultura nel suo senso “puro” e possiamo dire ch la sua parte applicativa è già stata sufficientemente sviscerata quando abbiamo affrontato in passato i problema della “informazione”. L’ informazione infatti possiamo identificarla con la cultura “applicata” il quanto non risulta essere altro che cultura “manipolata” a fini socio-politici e quindi commerciali e indu striali, ed inversamente, la cultura applicata non è altro che informazione mirata a scopi “profani” ber precisi. E non è quindi il caso di soffermarcisi oltre, anche perché è augurabile che a suo tempo sia stato  ben compreso il suo meccanismo.

L’editoria, i film, la TV e tutti le fonti informative sono il supporto necessario a questa cultura. informazione applicativa che non è detto debba per forza essere un qualcosa di negativo, di anti-cultura, d] dannoso: sarebbe un pregiudizio pericoloso. Possiamo però fare un identico parallelo come abbiamo già fatto per la scienza.

Conclusione

Dopo tutto quanto esposto, cerchiamo di trarre delle conclusioni adeguate ed utili sia come massoni all ‘interno dei nostri Templi, sia come uomini comuni proiettati nella nostra società civile e nel futuro e se non altro per l’impegno costante nello studio, nella ricerca interiore e nell ‘introspezione; ancor più poi, certamente, da quella di cittadino qualsiasi nella nostra società più o meno laica e civile. Innanzi tutto, non sembra proprio che il concetto di scienza e di cultura dovrebbe cambiare nel mondo di domani e forse anche nei millenni successivi. Certo, potranno cambiare i dettagli e le tecniche di acquisizione della cultura e del sapere scientifico, ma i principi essenziali e I ‘esigenza di queste due “discipline” saranno necessariamente immutate. Non vedo come potremmo pensare una cultura ed una scienza differenti da come noi la intendiamo oggi, diversamente la cultura non sarebbe più cultura e la scienza non più scienza, ma sarebbero due cose con significati differenti dagli attuali e quindi presumibilmente anche con definizioni e lemmi differenti.

Quindi, è presumibile, che la funzione della scienza e della cultura continuerà ad essere identica a quella avuta nei millenni precedenti, precedenti anche alla nascita di Cristo, sicuramente. Queste due “intuizioni” umane, c’è da ritenere, rimarranno in vita fino a quando l’uomo rimarrà quello che è, e visto che i suoi cambiamenti “strutturali” e “psicologici” si verificano molto lentamente e nel corso di migliaia se non milioni di anni, la vita dell ‘uomo dovrebbe proseguire anche nel prossimo millennio “tranquillamente frenetica” ed “angosciata” come si è sviluppata fino ad oggi.

Come abbiamo avuto la possibilità di intuire da quanto affermato in precedenza, due sono i concetti che dobbiamo tenere ben distinti e nettamente separati e non quelli di scienza e di cultura, ma di scienzacultura “pura” e scienza-cultura “applicata”. I due significati “puri” possono senz’altro essere condivisibili sia dalla nostra Istituzione sia dai Fratelli massoni perché ci portano a considerare ed assumere la storia dell ‘uomo fino ad oggi e sono le premesse per un domani che tutti noi ci auguriamo certamente migliore.  Meno condivisibili e sicuramente meno interessanti da tutti i punti di vista – in antitesi – la scienzacultura “applicata”, almeno come base di esame e di studio da sviluppare all ‘interno dei nostri Templi. Le vicende umane di vita giornaliera in ambito “profano”, sono molteplici, complesse ed imprevedibili, spesso anche spiritualmente poco interessanti; condotte, finanziate, vendute ed utilizzate nelle maniere più disparate nelle varie società del sistema umano e come già osservato in precedenza, da prendere in veloce considerazione solo in caso di gravi “attacchi” alla integrità della natura e dell ‘esistenza della vita stessa, oppure solo nel caso nel quale il nostro interesse in ambito profano, ma solo profano, fosse indirizzato verso il sistema applicativo. Ed in questi casi le soluzioni dovrebbero essere tutte ovvie e facili da prendere. L’umanità affronterà questo nostro nuovo terzo millennio e c’è da credere in maniera non molto differente dai precedenti. Da un punto di vista “economico”, avrà debellato tante malattie ma altre sono già pronte in agguato per sostituirle ed entrare in azione, avrà allungato sì la vita dell ‘ individuo ma a “spese” – come sembra – dei più giovani, si sarà liberato quasi completamente dalla fatica ma dovrà sudare ugualmente nelle palestre, avrà una vita più comoda ma sarà prevedibilmente “disturbata” dalla noia e forse come ci dicono alcune discutibili ma pur preoccupanti statistiche – dall ‘aumento dei suicidi, si sarà inoltrato ancor più nello spazio su satelliti e pianeti ma forse senza aver compreso ancora la sua posizione effettiva nell ‘universo e senza aver trovato risposta ai tanti “perché”.

Infine, dal punto di vista definibile “puro” l’uomo, con l’aiuto della scienza, della cultura e di tutte le altre discipline che si è “inventato” – grazie a quelle sue grandi ed uniche doti nel mondo “animale”, che sono la fantasia e la capacità di astrazione – ci auguriamo che possa raggiungere quella “felicità” alla quale ha sempre aspirato e che non è altro poi che il raggiungimento del suo equilibrio interiore, nonostante gli “applicativi” sostengano esattamente il contrario. Il raggiungimento di questo equilibrio è sicuramente un processo che possiamo ritenere individuale, probabilmente già raggiunto da tanti grandi uomini in passato, e comunque raggiungibile solo con la effettiva consapevolezza della propria entità e posizione nel mondo e nell ‘universo che ci circonda.

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LA COMPONENTE ESOTERICA NELLA PRIMAVERA DEL BOTTICELLI

LA COMPONENTE ESOTERICA NELLA PRIMAVERA DEL BOTTICELLI

di

Francesco Rampini e Soliera Zuccherini

L’ interpretazione della Primavera è un’ impresa su cui si sono confrontate generazioni di studiosi.

La Primavera è stata terreno di scontro tra chi ha voluto vedere nel dipinto una complessa costruzione intellettuale e chi, al contrario, ha cercato di evidenziare un più immediato contatto con la realtà.

La Primavera fu dipinta da Botticelli per Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, cugino in seconda di Lorenzo il Magnifico.

Giorgio Vasari nelle Vite dice che nella Villa di Castello, vicino Firenze, proprietà appunto di Lorenzo di Pierfrancesco c’è una “Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la primavera” da qui il titolo del quadro.

Le prime ipotesi di interpretazione – le meno attendibili – interpretano il quadro come un celebre love affair quattrocentesco – lui era Giuliano dei Medici (fratello di Lorenzo il Magnifico ucciso nella “congiura dei pazzi” nel 1478) lei è Simonetta Vespucci morta di tisi nel 1476.

Secondo questa lettura Giuliano compare nel dipinto  come Mercurio, Simonetta è la figura centrale.

Aby Warburg (1893) è il primo a porre il problema del soggetto della Primavera in termini filologici.

Il suo metodo di indagine si fonda sulla ricerca delle fonti letterarie su cui è stata costruita I ‘ iconografia del dipinto.

Warburg arriva alla conclusione che Botticelli si deve essere ispirato sia per la nascita di Venere che per la Primavera alla poesia di Angelo Poliziano.

L’interpretazione della Primavera che ha avuto più largo seguito è quella di Ernest Gombrich (1945).

Il bandolo della matassa sta in una lettera di Marsilio Ficino databile tra il 1477 e il 1478 indirizzata a Lorenzo di Pierfrancesco.

Dal testo Gombrich ricava il significato generale del dipinto: L’ esaltazione della Venere – Humanitas sotto i cui auspici si deve porre il giovane committente.

Il punto di forza dell’ ipotesi di Gombrich consiste nella capacità di dare un’interpretazione complessiva del dipinto.

Venere rappresenta I’Humanitas-Virtù etico morale e prodotta da quel sincretismo tra cristianesimo e filosofia neoplatonica elaborato nella Firenze del 1400.

La lettura di Gombrich ha i suoi punti deboli. Secondo lo studioso la Primavera è una rappresentazione del Giudizio di Paride – tratta da un passo dell’ Asino d’oro di Apuleio. Non mancano le discrepanze tra testo e quadro: per esempio non c’è Paride.

Il saggio di Gombrich, comunque è il caposaldo delle interpretazioni in chiave neoplatonica della Primavera.

Da qui è partito Ervin Panofsky che suppone un nesso tematico tra la Nascita di Venere e la Primavera.

La Venere celeste generata dai genitali di Urano (cielo) caduti nel mare è il soggetto del primo quadro; nella Primavera invece la donna al centro del dipinto va identificata nella Venere naturale, il turgore del ventre potrebbe essere una allusione alla forza generatrice che la dea rappresenta.

Edgard Wind ( 1958) elabora I ‘ interpretazione più radicale in chiave neoplatonica. Wind parte dai principi della teologia platonica basati su movimento di “emanazione – volgimento e ritorno” e sul rapporto unità – trinità.

Su un fronte diametralmente opposto si collocano le interpretazioni di tipo “pragmatista” Francastel (1952) mette in relazione la Primavera con feste e spettacoli teatrali del tempo.

Charles Dempsey, basandosi su fonti letterarie, arriva alla conclusione, constatando che il quadro era stato realizzato per una casa di campagna, che nella Primavera sono stati rappresentati i tre mesi di questa stagione. Una  sorta di calendario figurato.

Prima di procedere a commentare il quadro inquadriamo il tempo culturale nel quale l’artista dà nascita al suo lavoro.

   

La civiltà mediterranea ha avuto come culla l’ Africa settentrionale e il vicino Oriente.

Di tutto ciò la scienza moderna ha una precisa nozione basata sui reperti; gli antichi ne ebbero una vaga intuizione che l’età del

rinascimento ereditò localizzando in Egitto la nascita della civiltà.

“Primi tra gli uomini dicesi che gli Egizi ebbero conoscenza degli iddii rizzarono templi e sacri edifici e celebrarono sacre solennità; e primi ancora trovarono sacri nomi e composero sacre leggende ” – così scriveva Luciano di Samosata nel II secolo d.c..

Gli scarsi riferimenti figurativi nelle arti del Rinascimento alla civiltà egizia non sono sintomo di un interesse secondario, sono semplicemente conseguenti ad una conoscenza estremamente povera dei manufatti, limitata in pratica, quasi soltanto agli obelischi che si potevano ammirare in Roma. Ma il mito dell’Egitto svolgeva in quella cultura un ruolo fondamentale, imperniato sulla figura di Ermete Trismegisto (tre volte grande).

Alle origini la figura di Ermete Trismegisto si confonde con quello del dio Ermete che i greci identificavano con il dio egiziano Thot, depositario della divina sapienza.

I latini che chiamavano Ermete – Mercurio, fecero propria questa credenza.

Nel periodo ellenistico fiorì quella copiosa letteratura che risultava scritta da Ermete Trismegisto e che gli uomini del rinascimento “riscoprirono”; questa letteratura contiene elementi di platonismo, stoicismo, filosofia popolare greca, cultura ebraica.

La riscoperta di Ermete Trismegisto nel 1400 prese avvio dal Concilio del 1439 che vide arrivare a Firenze legazioni orientali, risvegliando I ‘ interesse per la lingua greca.

Cosimo il Vecchio mobilitò agenti incaricati di reperire antichi manoscritti e nel 1460 arrivò dalla Macedonia una copia del Corpus Hermeticus e

Marsilio Ficino fu incaricato di tradurlo.

“C’è una teologia antica (prisca theologica) scrive Ficino – che ha la sua origine in Mercurio e culmina nel divino Platone”.

Il ribaltamento storico è totale: ciò che era frutto di un platonismo contaminato dall ‘interferenza di altre culture diventa la Dottrina sorgiva che in tempi lontanissimi da un punto del continente africano si era sparso in tutto il mondo influenzando lo stesso Platone.

I dettami ermetici (“egiziani”) si fondono così con quelli platonici e diventano il fondamento di un filone centrale della cultura del Rinascimento, di una sapienza intrisa di magia, astrologia, alchimia che nel nome di Ermete cerca il proprio congiungimento con la dottrina cristiana. All ‘Egitto si guarda come al luogo originario di questa che è una Sapienza totale comprendente ogni ramo della conoscenza.

L’ accesso alla sacrale sapienza era riservato ai dotti, non poteva essere profanato con la divulgazione, di qui il carattere criptico dei testi e il significato di oscuro che ha assunto il termine ermetico.

Ficino, come uno dei maggiori esponenti del platonismo italiano raccolse intorno a sé un cenacolo di amici e discepoli che prese il nome di Accademia Platonica.

Attraverso la dottrina platonica Ficino vede la possibilità di operare una saldatura tra religione e filosofia tese al rinnovamento dell’ uomo.

Quest’ultimo è il vero centro della filosofia di Ficino che gli attribuisce una posizione privilegiata nel cosmo.

Occupando una posizione centrale nella gerarchia dell ‘essere, l’ anima umana si rivolge a Dio pur prendendosi cura e dirigendo i corpi.

Per questa sua funzione I ‘ anima è detta copula del mondo, cioè principio unificante di immanenza e trascendenza immortale e libera, essa, pur partecipando ai tre ordini che governano le cose (la provvidenza che è I ‘ ordine del mondo spirituale, il fato che è quello del mondo animale e la natura che è I’ ordine dei corpi) si sottrae alla loro necessità dominandoli.

Alla dottrina dell’anima è collegata quella dell’ amore inteso come principio unificatore della realtà in quanto tendenza del mondo verso Dio e amore di Dio verso il mondo.

 

L’ opera di Ficino ebbe un ‘ importanza straordinaria nella storia della cultura: per vari secoli i dotti europei conobbero Platone e i neoplatonici attraverso le traduzioni e i commenti ficiniani.

Ma quei testi ebbero un’ importanza più ristretta: da essi trasse i suoi stimoli più vivi l’ambiente raffinato della Firenze medicea, dove la filosofia di Ficino s’incarnò idealmente in opere come la Stanza di Poliziano e la Primavera del Botticelli.

Tra la Primavera del 1477/78 e la nascita di Venere 1483/85 è compreso il periodo centrale dell ‘ arte del Botticelli, quello che può intitolarsi il suo umanesimo.

Attraverso la decantazione degli elementi di cultura figurativa che I ‘ ambiente gli offriva, Botticelli pervenne ad una visione nella quale si esalta la purezza dell ‘ immagine per attingere al clima più rigoroso dell ‘ allegoria del mito.

gusto appunto del mito inteso come specchio delle verità intellettive e morali, insieme alla capacità di filtrare il linguaggio moderno attraverso chiare allusioni a motivi della cultura antica, facevano del Botticelli il pittore più adatto a tradurre le favole che i suoi committenti medicei, L. Pierfrancesco e lo stesso Magnifico, e gli umanisti e filosofi che lo circondavano, il Ficino e Poliziano, andavano elaborando.

Il fatto pertanto che il contenuto della Primavera verta attorno alla equazione neoplatonica VenusHumanitas, simboleggiante un ideale equilibrio di natura e civiltà, che Pallade domante il Centauro rappresenti la pacificazione della ragione con l’ istinto che insieme compongono I ‘ anima dell’ uomo, che la scena di Venere e Marte non sia soltanto un soggetto erotico, ma celebri il trionfo dell’ amore civiltà sulla forza bruta, che la nascita di Venere significhi il sorgere della bellezza dall ‘ unione dello spirito con la materia, tutto ciò, lungi dall’essere antefatto, è linfa della poesia dell’ artista, che era, come lo definisce il Vasari, una “persona sofisticata”.

Il quadro va letto da destra a sinistra, nella concezione neoplatonica di emanazione, volgimento e ritorno.

La prima triade è composta da Zeffiro, Chloris e Floro e questo primo guppo rappresenta I’ emanazione.

Il vento di primavera Zeffiro, insegue impetuosamente I ‘ innocente ninfa Chloris, ella cerca di sfuggire, ma come Zeffiro la tocca, dalla bocca escono fiori e viene trasformata in Flora, araldo splendente della primavera.

“Ero Chloris, io che ora sono chiamata Floris” (Fasti di Ovidio)

Venere, posta al centro del dipinto con sopra Cupido bendato che lancia la sua freccia, rappresenta I ‘ Amore inteso come “puro sentimento”.

Nel “De Amore” di Plotino, che fu tradotto e commentato dal Ficino, vi è una definizione che sembra spiegare la posizione di Venere e Cupido: “Se I’ anima è la madre dell’ amore, allora Venere si identifica con l’ anima e l’amore è I ‘ energia dell’ anima”.

Secondo questa opinione Venere tiene sospesi i poteri dell’ amore che vengono liberati dalla volubilità dell’ amore stesso.

Ora, la freccia di Cupido è diretta verso la Triade delle Grazie: Voluttà, Bellezza e Castità (triade di volgimento) e precisamente sembra diretta alla Castità che è tra le tre, quella di spalle, vestita più modestamente delle altre, senza ornamenti, e la danza intrecciata dalle tre fa sì che le braccia di Voluttà e Bellezza formino una corona, sopra la testa di Castità.

La castità va qui intesa come purità di intenti, di parole e di atti, una cosa è la castità come stato mistico che intende rifuggire da un preteso peccato della carne e l’ altra è la cosciente determinazione della volontà i dominare le passioni ed esserne signore.

In contrasto con l’inseguimento e la trasformazione di Chloris, la danza delle Grazie è più dolce, non vi è traccia della vitalità diretta ed esplicita che animava Chloris e Zeffiro, l’ armonia della discordia è ora un nodo ben studiato fra le tre sorelle.

Nel soggetto del dipinto a questo innalzamento dello spirito corrisponde un innalzamento del significato.

Quando la passione (nel personaggio di Zeffiro) trasforma la fuggente e casta Chloris nella Bellezza-Flora la progressione rappresenta quella che Ficino chiama una triade produttiva.

Il gruppo sembra avanzare e scendere secondo un movimento che sfocia nella figura di Flora.

Ma quando le Grazie riprendono il tema e lo sviluppano, esse rovesciano la sequenza: Castità prendendo come termine di partenza la Bellezza, si muove incontro a Voluttà e il gruppo che ne risulta è una triade convergente in cui Castità volge le spalle al mondo e guarda verso l’ Aldilà.

Il suo sguardo è rivolto verso Mercurio che si disinteressa alla scena e gioca con le nuvole.

Per tradizione Mercurio è considerato scorta e duce delle Grazie, ma questo fatto non sembra spiegare il suo posto vicino a loro, ed è difficile da conciliare con il suo atteggiamento distaccato.

Ma che il più mobile degli dei se ne stia tranquillamente a terra unendo a sé I ‘ aspetto di colui che dissipa le nubi a quello di pensosa divinità, esprime con tutta certezza una idea “filosofica” di Mercurio.

Mercurio non era soltanto il più veloce degli dei, il dio dell’eloquenza, la guida delle Grazie, il mediatore tra gli uomini e gli Dei, Mercurio era soprattutto il dio ingegnoso, l’intelletto che indaga, sacro ai metafisici ed ai grammatici, il rivelatore della conoscenza segreta ed ermetica.

“Poiché egli richiama alla mente le cose celesti tramite il potere della ragione…” così lo definisce Ficino che per questo gli assegnò il primo posto nella triade convergente che riconduce al mondo superiore.

La rimozione delle nubi sarebbe dunque un’occupazione appropriata a un dio che presiede all ‘ anima raziocinante.

Mercurio gioca con le nuvole come uno ierofante, toccandole ma solo leggermente, perché esse sono i veli attraverso i quali lo splendore della verità trascendente può raggiungere lo spettatore senza distruggerlo. L. C. de Saint Martin dice, infatti, che le nuvole avvolgono i lampi di luce che solcano le tenebre umane, perché i nostri sensi non potrebbero sostenerne il bagliore.

La nuvola è anche il simbolo stesso della metamorfosi vista non in uno dei suoi termini, ma nel suo stesso divenire.

Mercurio leva quindi gli occhi alla nascosta luce della bellezza intellettuale e alza la sua magica verga, ed il suo atteggiamento concorda così anche con il suo ruolo di guida delle Grazie. Distogliendosi dal mondo per contemplare l’aldilà egli continua l’ azione iniziata nella loro danza. La Castità guarda nella sua direzione perché è verso l’amore trascendente – l’amore divino – che essa viene spinta dalla freccia di Cupido bendato. Mentre resta legata alle sorelle dal nodo che le altre sono restie ad allentare, essa unisce e trascende le particolarità della Bellezza e della Passione seguendo Mercurio guida degli spiriti.

E forse è all’ amore divino, come variante della morte, che si è voluto alludere con le fiamme rovesciate dipinte sul mantello di Mercurio, dato che fiamme simili compaiono anche sul mantello della Madonna Poldi-Pozzoli e riempiono le sfere celesti nelle illustrazioni del Paradiso del Botticelli.

Se vogliamo riassumere tutto questo potremmo dire che noi, come umanità, siamo Venere, equilibrio e amore tra umano e divino.

Sta a noi scegliere tra la generazione, la bellezza e la forza che la natura ci impone (I Triade) e le Grazie, cioè la possibilità che ha l’uomo di guardare oltre l’uomo.

Mercurio simbolo di questa scelta con Castità ci danno la chiave per interpretare questo nuovo stato da acquisire. •

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IN IMAGO DEI

In Imago Dei

(21/03/2019)

“Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.” 

(Genesi 1,26-27)

Creazione di Adamo

Dio creò l’uomo a sua immagine?

O fu l’uomo a creare Dio a sua immagine?

Questo è il dilemma.

Quanto c’è dell’uomo nella visione di Dio che abbiamo oggi?

Quanto la religione, in ogni tradizione, ha da sempre umanizzato ciò che di umano non ha nulla?

Il problema principale di ogni credenza, di ogni religione, è sempre stato proprio questo: immaginare Dio e umanizzarlo, per renderlo reale, più simile all’uomo, trasformandolo, purtroppo, in un’entità antropomorfa, sia fisicamente, che mentalmente, che emotivamente, attribuendogli tutti i limiti che un essere umano è capace di esprimere.

Ancora oggi in un mondo sempre più laicizzato, almeno apparentemente, basta scorrere le pagine di internet o di qualsiasi social network per scoprire una gran quantità di interpretazioni su ciò che si nasconde dietro il volto divino.

C’è chi interpreta le scritture e riconosce in Dio qualità di giudizio, di vendetta, di ira; un Dio in perenne lotta con le forze del male da lui stesso create, un Dio che promette pianto e stridore di denti a chi non si piega alle sue leggi eterne.

Chi invece lo vorrebbe benevolo, tutto amore e sentimento, indulgente e misericordioso, o chi lo riconosce, in fenomeni miracolosi o in manifestazioni “energetiche” e negli stati emotivi di estasi e bellezza.

Tutti aspetti e forme di interpretazione molto valide, secondo i singoli punti di vista, ma che alla fine non riescono, in nessun modo, a penetrare quel velo d’illusione e di relatività da cui hanno origine.  

Da millenni gli uomini si rifanno a scritture, definite sacre, proprio perché, a loro parere, direttamente ispirate da Dio, per scoprire, dietro interpretazioni di vario genere, quale sia la Verità, cosa ci sia dietro al velo del Mistero attraverso cui scorgere il suo vero volto.

Ma è destinata ad essere una ricerca senza fine poiché ciò che chiamiamo Dio non è né definibile né circoscrivibile.

Sarebbe come chiedere ad un uomo di descrivere quale sia stata la propria realtà prima della propria nascita.

L’uomo non può descrivere Dio.

Non può conoscerne il pensiero, non può conoscerne la Natura.

Ciò che l’uomo può conoscere è la creazione divina, ciò che da Dio ha preso forma e che di Dio incarna le leggi e le manifesta.

Non è un caso che per le tradizioni più antiche, come per quella cabalistica-ebraica, l’uomo è separato da Dio da un Abisso insondabile.

L’Albero sephirotico della Vita

Dietro quell’Abisso, Dio non è “Yahweh”, manifestazione divina nei quattro elementi, ma “Ain Soph”, Dio prima della sua manifestazione, nella sua Potenza creativa, prima di passare all’atto, “Uno” nel suo pensiero profondo.

Oltre quell’Abisso l’uomo non può vedere perché non è nelle condizioni di farlo.

Potrà riuscire a vedere, nelle condizioni più favorevoli, solo le manifestazioni intermedie di quella realtà, filtrata dall’Abisso, attraverso i diversi gradi di materializzazione del pensiero, fino alla realtà creata.

L’uomo potrà sforzarsi in eterno di interpretare correttamente ciò che si manifesta attraverso l’Abisso, ma ne avrà sempre una risposta parziale e scorretta, in quanto non potrà mai conoscere il vero pensiero originario divino.

L’albero sephirotico descrive molto bene i passaggi attraverso le Sephiroth del Raggio Divino fino al suo consolidarsi nella piena manifestazione della materia, in Malkuth, la sephirah del Regno.

Cogliere solo uno di questi passaggi non ci permette di cogliere comunque il progetto completo che c’è dietro.

Ma cos’è che spinge l’uomo a volere, a tutti i costi, rappresentare in forma ciò che in realtà è al di là della forma?

L’uomo essendo forma di Dio, immagine di Dio, tende continuamente ad imitarlo, dando forma alle cose e dando un nome ad esse.

Ma c’è differenza tra conoscere la natura delle cose e dare il nome alla loro forma.

L’uomo non può creare, può solo generare.

È ridicolo, se non addirittura presuntuoso, pretendere di interpretare il pensiero divino.

L’uomo, nella sua condizione limitata, molto prossima alla natura animale, può soltanto contemplare ciò che è manifestazione divina.

Non è un caso che quasi tutte le tradizioni pongano, tra l’uomo e Dio, delle gerarchie, dei gradi qualitativi di Entità, ognuna delle quali filtra la Potenza dell’Altissimo, Ain Soph, fino al più piccolo minerale.

La Forza e Potenza divina, passando attraverso i gradi inferiori, perde la propria qualità originaria, come la luce lo farebbe attraversando diversi filtri.

Ma tutto ciò è necessario poiché il destinatario di tutto questo, nel nostro caso l’uomo, non sarebbe in grado di sostenere tanta Potenza e Forza e ne verrebbe altrimenti schiacciato.

Per questo, quello che noi riceviamo dalla Sorgente è sempre una forma “vaga” di ciò da cui ha origine.

È quindi un grave errore quello di voler interpretare a proprio piacimento e secondo propria disposizione ciò che viene dall’alto.

Perché è giusto non giudicare?

Perché non conosciamo e non conosceremo mai cosa c’è dietro il velo dell’Abisso: ne conosciamo solo riflessi distorti.

Le gerarchie angeliche e le sephiroth attribuite

Anche le schiere angeliche più alte, quelle che siedono accanto al trono dell’Altissimo non conoscono l’intima essenza del pensiero Divino.

Esse eseguono la sua volontà, senza giudizio.

Chi siamo noi per giudicare? Noi che siamo l’ultima ruota del carro?!

Chi giudica è solo chi non conosce.

Per questo non può esserci un Dio giudice dietro il velo dell’Abisso.

Poiché Dio è onniscienza e conosce ogni sfaccettatura del suo progetto, in tutte le sue dinamiche evolutive e involutive.

Ciò che per l’uomo potrebbe sembrare un orrore non lo è agli occhi di Dio.

Le cose vanno secondo le leggi cosmiche.

Dio è Legge, non Giudizio.

È legge in quanto ordina la sua creazione.

È legge in quanto “Noumeno”, mente cosmica, che armonizza ed equilibra ciò che da Lui emana.

La grandezza di Dio non è misurabile, in quanto l’Amore non è misurabile, non ha quantità, essendo qualità.

Non è misurabile in quanto la misura è la limitazione della stessa qualità e della stessa Unità che risiede in Dio.

Sorrido quando leggo le tesi dicotomiche di qualcuno sulla realtà, in cui viene descritta, in maniera riduttiva, la Storia della Vita Eterna, rilegata ad una battaglia tra fazioni. Tra Luce e Tenebre.

La dicotomia è in chi la teorizza!

Quello di cui si parla, non è il contenuto, ma la dinamica evolutiva che porta al contenuto.

Tutto il creato è “maschio e femmina”, tutta la creazione si basa sugli opposti, proprio perché attraverso la “contrapposizione” di questi opposti l’Origine possa manifestarsi.

Non si tratta, quindi, di una contrapposizione destinata all’annientamento di uno dei due poli, ma di una contrapposizione destinata alla ricerca continua di uno stato di equilibrio, di una modulazione che genera molteplicità di genere.

Le diverse forme create non sono altro che la conseguenza di queste continue contrapposizioni atomiche che, a seconda del prevalere di una o l’altra forza, determinano quella o l’altra forma.

Nell’albero sephirotico della creazione il passaggio da una sephirah all’altra è lo stesso processo in cui, nella teoria hegeliana, la manifestazione della Sintesi si palesa attraverso la contrapposizione di Tesi e Antitesi.

Giudicare qualcosa con accezione di bene o male sarebbe come giudicare qualcosa con qualità maschile o femminile.

La contrapposizione e la lotta, come già espresso, sono il motore dell’Universo.

Sono aspetti motori e non morali.

Le leggi che ci governano sono forze che mantengono il Sistema in equilibrio e la loro natura sarà per noi sempre un mistero poiché ancora non ci siamo innalzati al di sopra di esse.

Finché guarderemo la realtà dal basso della nostra statura vedremo sempre tutto sul piano della nostra piccola statura.

Di fronte a questa limitata condizione cosa può fare l’uomo per connettersi a Dio e cogliere pienamente il suo raggio di emanazione senza distorcerlo?

Per prima cosa, non riflettere in Dio i limiti che lo caratterizzano.

Secondo, considerare tutto ciò che succede intorno a lui come non giudicabile, in quanto ciò che è percepito è soltanto un riflesso lontano della realtà Prima.

L’ostacolo principale che si frappone tra l’uomo e Dio è proprio la Paura.

L’uomo ha paura di ciò che non conosce tanto da rendere ciò di cui ha paura simile a lui, per esorcizzarla.

Da qui l’umanizzazione di Dio.

Da qui la creazione da parte dell’uomo di un Dio iracondo, geloso e pieno di debolezze umane.

L’uomo ha paura di Dio perché non riesce a “comprenderlo”.

Ma cosa può salvare l’uomo da questo distacco dalla vera sorgente divina? Sorgente che in forma microcosmica risiede in lui?

La Fede.

Ma non parliamo di Fede in senso religioso.

La Fede di cui parlo è la Visione “muta” e “cieca” del raggio divino, l’abbandono in ciò che è insondabile, ma nello stesso tempo presente in noi stessi come Essenza e Presenza.

La lama del Matto

È il contatto col proprio Centro Edenico che ci ricongiunge alla Sorgente, attraversando l’Abisso.

Questo stato lo ritroviamo nella lama “0” dei tarocchi: “il Matto”, dove si vede un uomo che cammina senza timore verso l’Abisso, mentre un cane svela la sua nuda Verità strappandogli con un morso un lembo dei pantaloni.

Nell’Albero sephirotico della Vita tale centro è rappresentato dalla sephirah “Daath”, la sephirah nascosta, la sephirah della Conoscenza, che una volta rivelata ci riporta a Dio.

Questa Sephira mi piace associarla al frutto “proibito” della Conoscenza, strappato dallo stesso albero, nel giardino dell’Eden, da Adamo ed Eva, e per questo invisibile, in quello sephirotico, fino a quando non sarà nuovamente riposizionato al suo posto e, quindi, “svelato”.

Tale Conoscenza non è quindi una conoscenza mentale, ma un’identità, un riconoscere nel seme divino che vive in noi la stessa natura divina della Sorgente.

In questo, l’uomo è immagine di Dio e, grazie a questo, l’uomo non ha bisogno di immaginare Dio simile a lui, ma prende coscienza di essere parte di Lui.

L’Apertura del cuore, inteso come svelamento del Daath è l’attivazione di quell’atomo divino che, per risonanza, riconosce il raggio di emanazione divina nella creazione e trasforma in Fede, sintesi di conoscenza, fiducia e consapevolezza, ciò che prima era paura e non conoscenza.

Nell’albero sephirotico, il percorso del raggio divino non termina nella materializzazione in “Malkuth”, ma, in un viaggio di andata e ritorno, si sublima nuovamente nell’Ain Soph.

Ogni cosa ritorna a Dio.

Lo stesso percorso di andata e ritorno lo ritroviamo nel processo alchemico, ma capovolto.

L’alchimista, infatti, parte dalla materia formata e la lavora riportandola allo stato spirituale per poi riportarla alla materia in forma rettificata.

In questo, l’uomo imita Dio e, simile a lui, trasforma la materia, aiutando la Natura ad evolvere.

La materia di cui parliamo è chiaramente la materia dell’uomo.

I propri difetti, che oscuravano la luce divina, vengono rettificati, lasciando spazio ad essa di manifestare la scintilla divina che, una volta attivata, connetterà la materia allo spirito. Materializzando lo Spirito e spiritualizzando la Materia.

L’azione congiunta dell’uomo con Dio, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, è l’incontro tra il creatore e la creatura attraverso la creazione.

È la sintesi tra l’azione del Padre con quella del Figlio.

Tra colui che dà la Vita e Colui che, attraverso la Morte, la rigenera nella Resurrezione, riportandola al Padre!

Eleazar

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