UN AVVENIMENTO MEMORABILE !

COLLEGIO TOSCANO – NOTIZIE

UN AVVENIMENTO MEMORABILE !

“Special meeting” a Londra delle Gran Logge d’Europa: dopo 14 anni un Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia varca la soglia del tempio della Gran Loggia Unita d’Inghilterra !
Nei giorni scorsi, per la prima volta dal 1993, un Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia ha varcato la soglia del Tempio della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, in occasione del “Meeting speciale” sui principi della regolarità massonica e sui riconoscimenti internazionali tra le Gran Logge svoltosi a Londra.
Il Meeting al quale hanno partecipato tutte le Massonerie regolari europee, accolte dal Duca di Kent, Gran Maestro della Gran Loggia Unita d’Inghilterra è stato introdotto dal Pro Gran Maestro, Marchese di Northampton.
Al Gran Maestro Gustavo Raffi, invitato quale relatore ufficiale, insieme ai Gran Maestri di Austria, Francia, Estonia, Svezia, Repubblica Ceca, il compito di illustrare l’originalità delle linee guida dell’azione seguita in questi anni dal Grande Oriente per attualizzare i principi della Libera Muratoria e parteciparli alla società e alle nuove generazioni, nel rispetto della tradizione e della regolarità massonica.
“In questi anni – ha detto il Gran Maestro nel suo intervento – stiamo proponendo la Massoneria come esempio civile di impegno, di rigore etico e di confronto: oggi lo scenario è globalizzato e quindi il dialogo con le minoranze, con altre culture, trova anche nella Massoneria uno strumento di equilibrio, di assimilazione ed educazione ai valori della tolleranza, del rispetto e della costruzione di una società più giusta”.
“In presenza di una serie drammatica di nuovi fondamentalismi – ha proseguito – è determinante il ruolo storico della Massoneria come punto d’unione universale di uomini desiderosi di pace e di conoscenza, capaci di contribuire alla costruzione di un nuovo tessuto nei rapporti umani e sociali”.
“Non posso che esprimere la mia soddisfazione – ha detto ancora – per gli onori riservatimi, a coronamento di anni di lavoro supportati dall’impegno corale dei Liberi Muratori per l’affermazione dei valori di una Massoneria, attenta alle problematiche dell’oggi e del domani, forte della sua tradizione”.
(GOI)

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LIBERTÀ E MASSONERIA NELLA SOCIETÀ IN EVOLUZION

LIBERTÀ E MASSONERIA NELLA SOCIETÀ IN EVOLUZIONE
MESSAGGIO Dl PRESENTAZIONE
DEL GRAN MAESTRO DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA
VEN. FR. VIRGILIO GAITO
Carissimi Fratelli,
In parecchie Nazioni esiste una tendenza a considerare la Massoneria soltanto da un punto di vista filantropico, di associazione che si occupa di soccorrere i poveri, i malati, gli afflitti e questo è senz’ altro una delle cose più belle che la nostra Istituzione possa fare.
Ma dobbiamo riportarci alle nostre antiche tradizioni che si riallacciano alle Corporazioni dei Liberi Muratori costruttori dei templi di pietra. Ad esse sono subentrate le Logge speculative nelle quali i Massoni operano per la costruzione del Tempio ideale in cui l’iniziato si purifica e, giorno dopo giorno, raggiunge sempre più elevati gradi di perfezione e di conoscenza.
E proprio in virtù di questa particolare conoscenza noi siamo in grado di operare realmente al servizio dell’Umanità. Questa – e in particolare i giovani – ha oggi più che mai bisogno dei nostri Ideali.
Veniamo dalle spaventose esperienze di due guerre mondiali, di conflitü atomici, di deportazioni, genocidi, esperimenti scientifici sconvolgenti, stragi, conflitti etnici e religiosi che hanno pressoché annientato l’ alü•uismo, la generosità, lo spirito di solidarietà.
Viviamo dunque in un mondo caratterizzato dall’ edonismo, dal consumismo, dalla ricerca dell’ effimero e dalla sete sfrenata di dominio, non solo politico, ma soprattutto delle coscienze e delle scelte economicosociali dei popoli.
La libertà e la dignità dell ‘uomo vengono disinvoltamente calpestate e la mancanza di cultura rende intere popolazioni facile preda di furbi manipolatori dell’ opinione pubblica e dell ‘ andamento dei mercati.
Noi Massoni, che fin dalla prima esperienza dell ‘ Apprendista abbiamo imparato a distinguere attraverso l’ insegnamento del Maestro Venerabile quale sia la vera Luce, sappiamo che questa significa conoscenza e quindi cultura.
6 Agorà aprile-giugno 1997
E la cultura è ricerca continua della propria interiorità.
Ma tale ricerca può essere compiuta soltanto se si possiede la libertà.
Ma la libertà non può dissociarsi dalla dignità che si fonda sul rispetto profondo di se stessi e degli altri e su un convinto spirito di tolleranza.
Sono dunque queste conquiste straordinarie che un uomo può raggiungere nella sua vita e sono quelle che lo pongono in una posizione superiore e distaccata da cui egli può osservare con estrema obiettività tutte le problematiche del mondo che lo circonda individuandone gli aspetti negativi e le possibilità di soluzione.
Questa nostra caratteristica peculiare ci carica di una responsabilità verso l’ Umanità perché quell’ altruismo al quale ci ha esortato il Maestro Venerabile al momento della nostra Iniziazione deve spronarci a mettere a disposizione, non solo degli altri Fratelli, ma dell ‘ intero mondo profano, il patrimonio di conoscenze sublimi acquisito e di indicare con l’autorevolezza della straordinaria forza morale conquistata, la via del miglioramento e della salvezza degli uomini.
E questo compito deve essere sentito da ciascuno di noi in tutti gli aggregati sociali di cui facciamo parte apportando in essi il nostro equilibrio, la nostra preparazione, il nostro senso dello Stato. Ma in ogni nostra azione dobbiamo evitare di coinvolgere la nostra Istituzione come tale.
La Massoneria infatti non deve essere mai coinvolta in questioni di politica partitica o istituzionale, né in dispute religiose o teologiche perché essa deve rappresentare il centro di aggregazione di tutti gli uomini liberi e dediti al bene e al progresso dell’ Umanità.
In questo senso appare sempre valido il principio elaborato da Anderson che vieta le discussioni di politica e di religione nelle Logge. Tuttavia, poiché viviamo nel cosiddetto VILLAGGIO GLOBALE dove aspirazioni, bisogni, regole di convivenza sono ormai comuni a una moltitudine di uomini, i Massoni puri, che si riconoscono nella pratica e nella credenza degli stessi ideali, hanno il dovere di scambiarsi notizie, opinioni, suggerimenti per aiutarsi a vicenda nella ricerca delle soluzioni più idonee a beneficio di tutti.
Queste riflessioni, che già esprimemmo al II Convegno nazionale dei Gran Maestri tenutosi a Lisbona nel settembre 1996, sono oggi alla base del Simposio che il Grande Oriente d’Italia ha organizzato a Roma per i giorni 14, 15 e 16 novembre 1977.
In preparazione del III Congresso che avrà luogo a New York nel maggio 1998, abbiamo ritenuto molto importante che il Simposio di Roma dibatta principalmente il tema della “Libertà e Massoneria nella società in evoluzione” perché la libertà è connaturata al modo di essere del Massone ed è il bene ineludibile sul quale si fonda da sempre ogni società.
Poiché però il mondo del Terzo Millennio sembra avviato verso traguardi che non consentono l’ eguale realizzazione, con pari dignità, delle legittime e pure aspirazioni degli individui e dei popoli verso un mondo migliore e qualificato da vera fraternità, è indispensabile ed urgente che i Massoni riflettano sulla necessità che il valore essenziale della libertà venga difeso e fatto entrare nella coscienza di tutti a difesa del reale progresso dell ‘umanità.
Siamo certi che ognuno dei partecipanti al Simposio porterà il contributo della propria esperienza e dei propri saggi suggerimenti affinché la Massoneria possa essere sempre più apprezzata come apportatrice di pace, amore e unione nell’uguaglianza.
Arrivederci dunque a Roma a novembre. Fraternamente
IL GRAN MAESTRO

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CONOSCI TE STESSO NEL TEMPIO DI APOLLO

CONOSCI TE STESSO NEL TEMPIO DI APOLLO

Prima di rispondere a qualsiasi domanda, l’oracolo di Delfi spingeva il viaggiatore a indagare sulla propria essenza. Questo, e nessun altro, dovrebbe essere il punto di partenza per capire il mondo.
Conosci te stesso nel tempio di Apollo

Conosci te stesso: erano queste le parole iscritte come un monito nel pronao del Tempio di Apollo a Delfi. Con i suoi Dialoghi, Platone rese celebre questa frase ricca di valore etico che sprona alla riflessione; ci ricorda l’importanza di guardarci dentro prima di prendere qualsiasi decisione, prima di fare qualsiasi passo.

Sono trascorsi secoli e la maggior parte di noi non ha ancora imparato a destreggiarsi in quella materia fondamentale che è la conoscenza di sé. Siamo una società che continua ad agire senza riflettere, che incolpa gli altri dei propri fallimenti e che continua a fraintendere l’onestà.

Abbondano i pregiudizi volti a proteggere se stessi e a manipolare gli altri. Quando sbagliamo, accampiamo scuse. È sempre più facile incolpare gli altri per i propri errori.

La conoscenza di sé, che ci piaccia o no, è l’essenza della maturità umana. È la nostra più grande responsabilità, il compito a cui dobbiamo dedicare tempo, intuito e fatica. Non serve andare in India o fare il Cammino di Santiago di Compostela per fare luce dentro di sé. Le persone si rivelano giorno per giorno; la conoscenza di sé è un compito quotidiano.

Come ha detto Thomas Hobbes nel suo Leviatano, “chiunque sia in grado di guardarsi dentro e considerare ciò che fa quando pensa e ragiona e su quali basi, sarà capace di leggere e conoscere i pensieri e le passioni di tutti gli uomini”.

In altre parole, sapere chi siamo non solo ci aiuterà a conoscere noi stessi, ma ci aprirà anche le porte verso la conoscenza degli altri.
Conosci te stesso, il messaggio degli dei
Non è un semplice consiglio, né una raccomandazione né un suggerimento. Le parole iscritte all’ingresso del tempio di Apollo a Delfi erano un’esortazione e perfino un monito che andava oltre il mero valore etico o religioso.

Pausania, il famoso turista del secondo secolo avanti Cristo, nella sua opera Descrizione della Grecia, racconta che questa frase appariva incisa in oro e si poteva leggere non appena si entrava nel tempio.

Nella stanza della sibilla, la saggia vergine che fin da bambina rivelava il messaggio degli oracoli, si poteva leggere a sua volta la seguente iscrizione:

“Ti avverto, chiunque tu sia, che desideri sondare gli arcani della natura, che se non trovi dentro di te ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le eccellenze di casa tua, come intendi trovarne altre? In te è nascosto il Tesoro dei Tesori. Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei”.

L’oracolo di Delfi, luogo di pellegrinaggio
Per molti secoli Delfi fu un luogo di pellegrinaggio, dove si recarono in visita personalità come Filippo II, re di Macedonia, Pirro, re dell’Epiro, Cicerone, Giuliano e molti altri.

Situato a 700 metri sul livello del mare e a 9,5 km dal Golfo di Corinto, era un luogo circondato dal mistero. Lì si trovava il famoso Oracolo di Apollo, presso il quale ogni mortale ambiva a ricevere un oracolo dagli dei per conoscere il proprio destino.

Le opere di autori come Eschilo, Cicerone, Plinio, Platone, Pausania, Plutarco testimoniano questo scenario di cui attualmente restano solo delle suggestive rovine ai piedi delle montagne del Peloponneso.

Si racconta, ad esempio, che ci fossero fontane e boschi di alloro e che le indovine o sacerdotesse del tempio interpretassero i messaggi offerti dagli dei.

Conosci te stesso.

Il tempio era stato eretto su un palcoscenico noto come Pito, in cui risiedeva un grande serpente o drago che, secondo la mitologia, custodiva il primo oracolo, finché Apollo non uccise la creatura e si impadronì del santuario.

L’oracolo di Delfi raggiunse il suo massimo splendore nel VII secolo a.C. C e perse la sua rilevanza con l’occupazione romana nel I secolo a.C.

Prima di fare una domanda, conosci te stesso
Che le parole “Conosci te stesso” si trovassero scolpite all’ingresso del Tempio di Apollo non era un caso. Plinio spiega che erano incise nell’oro e che era impossibile varcare la soglia senza guardarle, senza lasciare che le loro lettere rimanessero impresse negli occhi e nella mente.

Lo scopo era proprio questo. Si trattava di un’esortazione alla riflessione, a prendere coscienza di qualcosa di molto specifico.

Colui che desiderava che l’Oracolo di Delfi gli parlasse doveva prima guardare dentro se stesso.
Dalla conoscenza del proprio Io nascono le domande più corrette.
Nessuna domanda avrà senso se non rispondiamo prima alla domanda più importante: chi sono?
Solo i saggi, quando si tratta di comprendersi a fondo, sapranno utilizzare meglio ciò che l’oracolo rivela loro.
L’arduo compito di conoscere se stessi
Pochi messaggi sono più importanti di quello che ci ha lasciato il Tempio di Apollo nel suo pronao. Conosci te stesso è un motto che abbonda in qualsiasi libro di auto-aiuto, manuale di filosofia o storia di Instagram. Tutti lo abbiamo sentito prima o poi e cerchiamo di applicarlo quotidianamente.

Come abbiamo sottolineato all’inizio, questa competenza vitale non si acquisisce dall’oggi al domani. Non sono necessarie grandi imprese. L’avventura di conoscere se stessi dura una vita. E questo per un fatto molto semplice: le persone cambiano, maturano, migliorano, progrediscono.

Come afferma André Gide in Autumn Leaves (1950), “Un bruco che cerca di conoscere se stesso non diventerà mai una farfalla”.

Non si tratta, quindi, solo di cercare noi stessi, ma di ritrovarci nel quotidiano con chiari bisogni, sogni, potenzialità e aspetti da migliorare.

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L’ORIGINE DELLE SETTE NOTE MUSICALI

L’ORIGINE DELLE SETTE NOTE MUSICALI

Nell’XI secolo il monaco benedettino Guido D’Arezzo elaborò un ingegnoso sistema per ricordare facilmente le note della scala musicale

Nell’antichità ai suoni della scala musicale erano associate lettere dell’alfabeto o simboli
Nel Medioevo il monaco Guido D’Arezzo elaborò un sistema per ricordare le note
I nomi Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, derivano dalle prime sillabe di un antico inno in latino dedicato a San Giovanni Battista
In origine la prima nota (Do) era Ut e fu cambiata nel XVI sec. da Giovan Battista Doni
La settima nota “Si” fu introdotta nel XVII secolo col decadere del sistema costruito sull’esacordo

Nell’antichità le note della scala musicale erano associate alle lettere dell’alfabeto per essere più facilmente ricordate. Il metodo era utilizzato nelle civiltà orientali (Cina e India) e nella Grecia classica, mentre in altre culture si utilizzavano dei simboli.
Il monaco Guido D’Arezzo

I nomi delle note musicali, così come li conosciamo oggi, risalgono al Medioevo e la loro origine è strettamente legata alla tradizione liturgica e alla cultura musicale europea. I nomi Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, derivano dalle prime sillabe di un antico inno in latino. Nel XI secolo il monaco benedettino e teorico della musica Guido D’Arezzo cominciò a lavorare ad un sistema per memorizzare facilmente le note. Ad ognuna assegnò un nome (Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La) che corrispondeva alla prima sillaba di ogni verso di un inno gregoriano dedicato a San Giovanni Battista, composto da Paolo Diacono nell’VIII secolo.

L’inno di San Giovanni

Il testo dell’inno è il seguente:

Ut queant laxis

Resonare fibris

Mira gestorum

Famuli tuorum,

Solve polluti

Labii reatum,

Sancte Ioannes

Le prime sillabe di ciascun verso corrispondono ai nomi delle note musicali, con una disposizione scalare che aiutava i cantori a memorizzare la sequenza degli intervalli.

L’evoluzione del sistema

Guido utilizzò le prime sillabe di questi versi per dare un nome alle note della scala diatonica. Questo metodo rivoluzionò l’insegnamento musicale, rendendo più semplice per i cantori imparare e intonare le melodie senza memorizzarle esclusivamente a orecchio. Nel corso del tempo, l’ “Ut” iniziale fu sostituito da “Do”, più facile da cantare. Si ritiene che il cambiamento fu introdotto dal teorico musicale Giovanni Battista Doni nel XVI secolo, che propose di utilizzare “Do” come abbreviazione del proprio cognome o come un suono più rotondo e cantabile.

Leggi anche La musica è davvero un linguaggio universale, tranne che per le canzoni d’amore

La settima nota, “Si”, fu introdotta nel XVII secolo col decadere del sistema costruito sull’esacordo (la scala a 6 suoni) e con l’introduzione del sistema tonale di 7 note. Il nome deriva dal nome Sancte Ioannes presente nell’ultimo verso dell’inno gregoriano.

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DELL’ATTRIBUZIONE Dl FORZA E BELLEZZA Al DUE SORVEGLIANTI Dl LOGGIA

DELL’ATTRIBUZIONE Dl FORZA E BELLEZZA Al DUE SORVEGLIANTI Dl LOGGIA


Maestro Venerabile, carissimi Fratelli,
in merito all ‘argomento espresso dal titolo di questo lavoro, esistono in Massoneria due posizioni contrastanti ove l’una sostiene che la Forza debba essere attribuita al Primo Sorvegliante e la Bellezza al Secondo, mentre l’altra sostiene il contrario. Nell’ultima edizione dei Rituali editi dal G. O. I. ha finito per prevalere la seconda delle due posizioni o, meglio, non si è ritenuto di dover modificare i precedenti rituali in uso (editi nel 1969) nei quali la Bellezza veniva già attribuita al Primo e la Forza al Secondo Sorvegliante laddove, in quelli precedenti tale data, esisteva la dizione, a mio avviso più corretta, conforme alla prima delle posizioni citate: Forza al Primo Sorvegliante e Bellezza al Secondo,
Le considerazioni che seguono, pur non avendo la pretesa di trattare compiutamente questo argomento, spero possano contribuire ad una maggiore chiarezza su tale controversa questione. Per are ciò sono tuttavia necessarie alcune considerazioni di carattere generale sulla tematica delle “opposizioni”
Esistono in effetti due forme fondamentali di opposizione, l’una a carattere “verticale” e l’altra a carattere “orizzontale”. La prima esprime un rapporto analogo a quello esistente fra Essenza (polo superiore) e Sostanza (polo inferiore) o, per usare il linguaggio aristotelico, quello fra Forma e materia (impropriamente Spirito e materia). Gli esempi analogici di questo tipo di opposizione sono molteplici, eccone alcuni:
Testa e piedi (corpo umano); • Tetto e pavimento (edificio); e Volta stellata e pavimento a scacchi (Tempio); e Cielo e Terra (cosmologico); e Compasso e Squadra (attrezzi simbolici);
Maestro e discepolo oppure padre e figlio (rapporti umani) con numerosi altri dello stesso genere.
La inversione degli attributi avrebbe, in questo caso, un carattere propriamente “diabolico” in quanto sovvertirebbe, per effetto di tale capovolgimento, il senso dei riti e la corretta direzione della “discesa” delle influenze spirituali
Il secondo tipo di opposizione si esplica invece sul piano di intersezione della verticale con il piano orizzontale secondo quanto espresso dal simbolo della croce:
piano otzontale
Questo tipo di opposizione si configura come “speculare” o “simmetrica” ed ha un carattere meno radicale della precedente. Per tale motivo, gli scambi di attribuzione fra i due termini di tale opposizione o, per meglio dire, di tale complementarismo, pur essendo tutt’altro che indifferenti, sono in genere meno gravi di quelli dell’altro tipo e, in ogni caso, alquanto più frequentemente riscontrabili.
Deve tuttavia essere precisato che scambi di questa natura, pur non comportando una vera a propria sovversione come nel caso delle “inversioni verticali”, hanno comunque l’inconveniente di sminuire il simbolismo e, conseguentemente, di sminuire l’efficacia dei riti compiuti adottando I ‘errore.
Esemplificazioni analogiche di questo genere di opposizioni possono essere le seguenti:
• Destra e sinistra (nel corpo, in un edificio, ecc.); • Filo a piombo e livella (fra gli attrezzi simbolici); e Uomo e donna, moglie e marito, padre e madre (nei rapporti umani) e antri ancora.
Va detto per inciso che queste considerazioni molto generiche si complicano ulteriormente quando si considera che, sullo stesso piano orizzontale, esistono di nuovo due opposizioni cruciali: l’una “relativamente verticale” (asse Nord-Sud o dei Solstizi) e l’altra “relativamente orizzontale” (asse Est-Ovest o degli Equinozi) come illustrato qui di seguito:

Nord

Est Ovest

Sud
Pur non intendendo, in questa sede, approfondire in modo particolare questo punto, peraltro importante, vorrei annotare che, analogicamente a quanto detto in precedenza, anche qui sono maggiormente dannosi gli scambi riguardanti l’operazione relativamente verticale degli altri, a meno che, qualora le circostanze lo richiedano, non vengano effettuati in modo corretto avendo cioè in vista che, in questo tipo di configurazione, lo scambio di due dei termini deve Sempre comportare lo scambio degli altri due
Fatta questa premessa, appare evidente che, nel caso di Forza e Bellezza, ci troviamo in presenza di una opposizione orizzontale di tipo simmetrico come ad esempio nella psiche umana, quella esistente fra la “mente” e “l’anima emozionale”3 . La Saggezza verrebbe così ad essere il polo superiore di una opposizione “relativamente verticale” il cui polo inferiore, essendo rappresentato da tenebre ed ignoranza, non può trovare posto nel Tempio se non identificandolo con il lato Nord cui non è “assegnata”, essendo appunto il lato oscuro, alcuna Luce.
L’opposizione di Forza e Bellezza che. come si è detto, meglio sarebbe definire come “complementarismo”, presenta caratteristiche di tipo attivo-passivo aventi forti analogie con il binario uomo-donna, oppure con la volontà attiva (Marte astrologico) da un lato e l’affettività, nonché la sensibilità estetica (Venere astrologica), dall ‘altro.
Cominciano qui a delinearsi i rapporti analogici rispettivi del primo e del secondo grado massonici. Nel primo grado, il lavoro si svolge soprattutto agendo sul piano del carattere che è il piano femminile o animico dell’essere umano, ovvero l’insieme degli impulsi non razionali di natura “vitale” che condizionano il comportamento; questo piano deve essere riequilibrato affinché si possa poi procedere con profitto a quello superiore (secondo grado). In camera di Apprendista si impara a sviluppare le “virtù” sotto il controllo, quasi “materno”, del Secondo Sorvegliante. Qui si apprende ad essere plastici e flessibili nei confronti delle influenze superiori ed a percepire la bellezza attraverso un atteggiamento ricettivo di “ascolto”, rinunciando temporaneamente all ‘uso attivo della parola (il Silenzio dell ‘Apprendista).
Nel secondo grado, invece, il lavoro si svolge sul piano mentale o del pensiero (lato maschile) e comporta un processo di ordinamento delle facoltà razionali. Questo corrisponde alla squadratura e politura della pietra grezza, fino alla trasmutazione della stessa in pietra cubica de stinata,

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ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CONCETTO D’INIZIAZIONE

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CONCETTO m INIZIAZIONE
Maestro Venerabile, carissimi Fratelli,
essendo il termine “iniziazione” abbastanza poco compreso nel mondo profano, vorrei cogliere l’occasione della acquisizione di un nuovo Fratello da parte della nostra Loggia, per fare alcune considerazioni che spero possano portare qualche contributo in vista di un approfondimento del suo significato.
Come indica la parola stessa, trattasi qui dell’inizio di un qualcosa; il problema sta nel capire con una certa precisione ciò a cui, lo strano ed inconsueto rito che conferisce appunto la qualità di “iniziato”, dà l’accesso. E necessario, a tal fine, premettere qualche annotazione sulle modalità dei processi conoscitivi propri all’essere umano.
Il grado di consapevolezza dell’uomo ordinario gli permette di accedere a tre livelli di
conoscenza:
e il piano corporeo o sensoriale, cui corrispondono, come strumento conoscitivo, i cinque sensi; e il piano emozionale, dove la percezione avviene mediante dei particolari “centri psichici” situati a livello animico, il cui insieme funzionale può essere genericamente definito come “sensibilità”;
• il piano mentale, riguardante i processi del pensiero razionale (deduttivo o induttivo) e situato anch’esso a livello psichico.
Quest’ultimo piano è, a torto, sovente percepito come corrispondente al livello più alto delle
facoltà conoscitive dell’uomo, tanto che, quanto non rientra nella sua sfera, viene definito con il termine “irrazionale” e relegato, per ciò stesso, in una posizione di inferiorità; questo perché il punto di vista profano non concepisce la possibilità di una conoscenza “sovrarazionale”, pertinente cioè ad un livello di consapevolezza definibile come “superconscio” in contrapposizione al livello “subconscio” (peraltro assai noto in psicologia) che corrisponde, dal canto suo, all’insieme delle pulsioni “veramente” irrazionali presenti nell’uomo.
Essendo i tre livelli appena menzionati oggetto di comune esperienza, non è certamente a questi che l’iniziazione può riferirsi in senso stretto giacche non si deve certo fare ricorso a stranezze quali riti e simboli per sviluppare o perfezionare alcuno di essi, laddove i riti e i simboli sono invece rigorosamente indispensabili sia per conferire l’iniziazione in quanto tale, sia per lavorare in vista della trasformazione della stessa da virtuale ad effettiva cosa quest’ultima che corrisponde al passaggio da una condizione puramente “germinale” ad uno stato di pieno sviluppo.
Come già osservato, il livello dei sensi da un lato e quello psichico o animico dall’altro, riguardano due piani di consapevolezza: quello delle realtà corporee o sensibili e quello della realtà “sottili” (altrimenti anche detto “piano Intermediario”) nel quale si colloca l’insieme delle emozioni e dei pensieri organizzati; per comprendere ciò a cui dà adito il rito di iniziazione, bisogna però salire ad un livello conoscitivo superiore inerente ad una facoltà che nell’uomo ordinario è presente solo in modo latente; è questo il livello dello Spirito o Intelletto (“pneuma” nel mondo grecoromano, “buddhi” nel mondo indù).
Alle due dimensioni orizzontali del corpo e dell’anima, che si identificano con il piano della coscienza ordinaria, si ne aggiunge così una terza, questa volta “verticale”, che permette simbolicamente al cerchio di realizzarsi in sfera.
La simbologia tradizionale attribuisce abitualmente la forma quadrata al mondo corporeo (base e fondamento “stabile”) e quella circolare al mondo dello Spirito; per tale motivo, nella Libera Muratoria, quando si desidera fare riferimento a tali piani, vengono utilizzati la Squadra ed il Compasso così come si può agevolmente notare a lavori di Loggia aperti, ove, sul Libro della Sacra Legge (simbolo della Conoscenza Universale), sono posti appunto questi due strumenti di lavoro.
Deve comunque essere rilevato che, nella camera di Apprendista, la Squadra è sovrapposta al
Compasso, ad indicare che la “corporeità” ancora prevale sulla “spiritualità”. In effetti, lo sviluppo

fronte ad affermazioni tali da scontrarsi con quanto, a torto o a ragione, si è ritenuto fino a quel momento essere giusto ed incontrovertibile, persino collera.
Ebbene, è proprio in questi casi che, come Ercole con l’Idra di Lema, bisogna combattere e tagliare ad una ad una tutte le teste del mostro, ma poiché ciò non è ancora sufficiente, in quanto queste poi puntualmente ricrescono, bisogna anche cauterizzare i colli mozzati onde evitare che quei particolari tipi di illusioni, di cui “le teste” sono simbolo, possano in futuro ripresentarsi.
E possibile “cauterizzare i colli dell ‘Idra” solo a condizione di risalire all ‘origine profonda di quel che si sta affrontando; non basta pertanto limitarsi a prendere atto dell’esistenza di un certo tipo di reazione impropria (questo è solo un sintomo, non il male vero e proprio), ma è indispensabile andare oltre, ponendosi continui “perché” fino a quando non si arriva a comprendere la natura della stessa scoprendo sovente, alla radice, la presenzà di qualche, a volte insospettata, carenza individuale.
Aggiungo, senza dilungarmi, che alla operazione di “purificazione dell’anima”, necessaria per poter procedere lungo il cammino iniziatico, fanno anche riferimento i “viaggi degli elementi” (di cui il primo, quello della Terra, è rappresentato dal Gabinetto delle Riflessioni).
Non sarà forse inutile osservare che l’operazione di liberare la psiche dalle scorie delle emozioni incongrue e dei pensieri superflui, ben lungi dall’esaurirsi con il solo lavoro nel Tempio, deve essere portata avanti di continuo in tutti i momenti della vita: in famiglia, sul lavoro e, soprattutto, quando si è soli con se stessi. E importante ricordare che la piantina, germogliata con il seme dell’iniziazione, non potrà mai svilupparsi senza questo preventivo lavoro di “bonifica” e, pensare il contrario, significa andare incontro a pesanti disillusioni circa il risultato della ricerca iniziatica. La “Luce massonica” non è certo qualcosa alla portata di chi non vuole compiere sforzi proporzionali all ‘entità del bene da conseguire.
Quanto fin qui detto apre soltanto un piccolo scorcio su ciò che è l’oggetto di questo lavoro, molte altre cose ci sarebbero in effetti ancora da dire addentrandosi in temi come quello delle origini intemporali e sovra-umane dell’iniziazione, della natura del tipo di influenza spirituale che viene
trasmesso, delle condizioni per la sua efficacia, della varietà dei tipi di iniziazione a seconda delle epoche, delle culture o della natura dei soggetti umani a cui sono destinati e molte altre cose ancora, ma tutto questo va ben al di là dei limiti di una semplice Tavola e del resto vi sono Autori, di gran lunga meglio qualificati di me, che hanno trattato compiutamente tali argomenti ed ai quali, con un po’ di impegno e buona volontà, ci si può proficuamente riferire.
Lungi pertanto dal voler esaurire un argomento di tale vastità e portata, l’intenzione che mi ha guidato nel tracciare queste poche righe, è stata quella di fornire al nostro nuovo Apprendista ed a noi tutti, me compreso, alcuni spunti di riflessione su di un argomento a cui forse non si pensa con la frequenza che, vistane I ‘importanza, sarebbe auspicabile.
Detto ciò, vorrei concludere facendo al nuovo Fratello, oltre alle solite felicitazioni per essere diventato un nuovo anello della nostra catena, anche l’augurio di poter scoprire di persona il valore inestimabile di quella che, solo pochi giorni orsono, deve essergli apparsa come un’oscura pantomima, ma che in realtà è una “sacra epifania” compiuta, “from immemorial time”, per permettere all’uomo, mediante il ricollegamento con la sua obliata origine divina, di ritrovare il proprio Sé.

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MEDITAZIONI Dl UN VIANDANTE SOLITARIO… … VERSO LA LUCE

MEDITAZIONI Dl UN VIANDANTE SOLITARIO…
… VERSO LA LUCE
Non intendo sprecare il mio tempo commentando i difetti altrui. Se mi scoprirò incline a rallegrarmi nel criticare il mio prossimo, criticherò prima me stesso a voce alta, davanti agli altri.
Non criticherò nessuno se non richiesto dalla persona stessa e, anche allora, solo col desiderio di aiutarla.
Cercherò di rendermi gradito a tutti con atti di bontà e di considerazione verso gli altri, cercando sempre di rimuovere ogni malinteso da me, deliberatamente o meno.
Voglio continuare a tenere alta la fiaccola di gentilezza inesauribile, per guidare i cuori di coloro che mi fraintendono.
Mi asciugo le lacrime di amarezza, pensando che tu non ti curi se svolgo una parte piccola o grande, purché la svolga bene.
Cercherò DIO prima di tutto, e solo allora tutti i miei desideri saranno appagati. Vivere in un palazzo oppure in una catapecchia, sarà la stessa cosa.
Userò il denaro che mi sono procurato onestamente, per vivere con semplicità, eliminando ogni lusso.
Sono giunto alla determinazione che nessuno può provocarmi, insultandomi con parole o atti, e che nessuno può influenzarmi con le sue lodi, facendomi credere più grande di quel che sono.
Non mi curerò affatto di un atteggiamento critico, falso e spietato e nemmeno delle ghirlande di elogio.
Il mio unico desiderio e di fare la tua volontà e di piacere a te, Padre mio Celeste.
Voglio dire la verità, ma in ogni caso eviterò sempre di esternare verità spiacevoli o dannose. Non porgerò mai alcuna critica che non sia mossa dalla benevolenza.
Voglio diffondere la luce solare del mio benvolere, ovunque regni il buio dell’incomprensione. Paramahansa Yogananda

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MEDITAZIONI Dl UN VIANDANTE SOLITARIO… VERSO LA LUCE

MEDITAZIONI Dl UN VIANDANTE SOLITARIO… VERSO LA LUCE

Non intendo sprecare il mio tempo commentando i difetti altrui. Se mi scoprirò incline a rallegrarmi nel criticare il mio prossimo, criticherò prima me stesso a voce alta, davanti agli altri.
Non criticherò nessuno se non richiesto dalla persona stessa e, anche allora, solo col desiderio di aiutarla.
Cercherò di rendermi gradito a tutti con atti di bontà e di considerazione verso gli altri, cercando sempre di rimuovere ogni malinteso da me, deliberatamente o meno.
Voglio continuare a tenere alta la fiaccola di gentilezza inesauribile, per guidare i cuori di coloro che mi fraintendono.
Mi asciugo le lacrime di amarezza, pensando che tu non ti curi se svolgo una parte piccola o grande, purché la svolga bene.
Cercherò DIO prima di tutto, e solo allora tutti i miei desideri saranno appagati. Vivere in un palazzo oppure in una catapecchia, sarà la stessa cosa.
Userò il denaro che mi sono procurato onestamente, per vivere con semplicità, eliminando ogni lusso.
Sono giunto alla determinazione che nessuno può provocarmi, insultandomi con parole o atti, e che nessuno può influenzarmi con le sue lodi, facendomi credere più grande di quel che sono.
Non mi curerò affatto di un atteggiamento critico, falso e spietato e nemmeno delle ghirlande di elogio.
Il mio unico desiderio e di fare la tua volontà e di piacere a te, Padre mio Celeste.
Voglio dire la verità, ma in ogni caso eviterò sempre di esternare verità spiacevoli o dannose. Non porgerò mai alcuna critica che non sia mossa dalla benevolenza.
Voglio diffondere la luce solare del mio benvolere, ovunque regni il buoi dell’ncompresion.

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oarama

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L’ALBERO DELLA VITA

Di tutto il sistema Lurianico ( Rabbi Luria -Ari il Leone 1534 – 1572 ) è diffusamente noto soltanto lo schema chiamato
“L’Albero della Vita”. Egli esamina invece molti concetti del pensiero mistico giudaico con la tecnicmaieutica del porre domande pertinenti, ma provocatorie. Inoltre da una spiegazione ben specifica del modo di agire delle forze spirituali, in un suo senso del tutto particolare. Cercheremo di esaminare pi profondamente qualche concetto della Cabala. Non si pensi di apire con questo l’ultima Porta della Conoscenza, e di accedere cosi alla Verità. Nella Cabala si parla sempre soltanto di proposte e di ipotesi,che sono da verificare innanzitutto alla luce della conoscenza in generale e poi nella propria coscienza.
L’approccio a tale comprensione consiste necessariamente in un continuum di esperienze fìsiche , intellettuali e spirituali , ricavate da fonti diverse in un lungo periodo di tempo, oltre che di illuminazioni vere e proprie. Il desiderio dell’uomo di comprendere la sua posizione nel mondo e la sua relazione con il Creatore é universale, sebbene si manifesti nella vita pratica in modi diversi, la via della Cabala é una via specificamente adatta alle mentalità scientifiche e mistiche contemporaneamente. Storicamente la Cabala è un Corpus di opere che può ben essere considerato come l’esoterismo giudaico.MTratta dell’ intersezione delle forze cosmiche spirituali e la loro relazione con l’uomo, del concetto di Creazione e delle su conseguenze nella vita. La parola stessa, Cabalà, esprime un’idea di ricezione attraverso la tradizione (infatti il verbo ebraico Le-Kabel signifìca Ricevere), tramandata da generazione in generazione, e ricevuta dagli ebrei come parte della rivelazione del Sinai. L’opera principe della Cabala è lo ZOHAR, un lungo trattato scritto in aramaico, che si presenta come un commentario ai cinque libri di Mosè. La Cabala o Albero
della Vita è la struttura e il diagramma più noto e importante nella dottrina cabalistica, che non può essere considerata come una branca qualunque delle scienze umane, ma è la ” Scienza della Vita e della Morte”. Studiandola l’uomo Mcomincia a comprendere le leggi sacre che governano l’Universo, il suo ruolo, la sua missione nella Vita L’Albero della Vita descrive,la via che unisce ilNCreatore al creato, l’InfinitoNcon il finito, il PerfettoNcon l’imperfetto, l’Eterno Mcon l’ impermanente .NÈ una fonte costante d’ispirazione per chiunque ricerchi la verità interiore, ed è il cuore della tradizione misterica occidentale. Seguendo tale Mvia potremo espandere la consapevolezza al di la dei confini che tutt’ora la restringono e la angustiano. L’Albero Sephirotico è l’insieme degli insegnamenti rivolti a farci conquistare e mostrarci il dono più importante, l’eternità della vita, della consapevolezza. La rappresentazione dell’Albero della Vita è un disegno schematico costituito da dieci entità, chiamate Sephiroth, disposte lungo tre pilastri verticali paralleli: tre a sinistra, tre a destra e quattro al centro. Il pilastro; centrale si estende al di sopra e al disotto degli altri due. Le Sephiroth non rappresentano solamente importanti concetti metafisici, ma anche situazioni pratiche Med emotive che ognuno di noi attraversa nella vita di ogni giorno: sono infatti dieci stazioni che unificano la complessità della vita umana. Il loro studio esprime la tecnica, i procedimenti operatori, con cui l’Assoluto o Verbo Creatore condiscende alla Sua creatura per innalzarla a sé.
Secondo gli insegnamenti dei Maestri, l’Albero della Vita è il programma secondo il quale si è svolta la creazione dei mondi, è il piano usato da Dio per rivelare la Sua infinita potenza creatrice, è il cammino di discesa lungo il quale le anime e le creature hanno raggiunto la loro forma attuale. Esso è anche il sentiero di risalita lungo il quale l’intero creato può ritornare al traguardo a cui tutto anela: l’unità perfetta presente all’interno del grembo del Creatore” secondo una famosa espressione cabalistica.
L’Albero della Vita è la scala di Giacobbe, la cui base è appoggiata sulla terra e la cui cima tocca il cielo. Lungo di essa gli angeli salgono e scendono in continuazione, insieme alla consapevolezza degli esseri umani. Suo tramite scende il nutrimento energetico che ha origine nei campi di Luce Infinita che circondano la creazione, restringendosi e suddividendosi fino a raggiungere gli esseri che ne hanno bisogno per sostenersi in vita. Lungo di esso salgono le preghiere e le forme di coscienza di coloro che cercano Dio,
per esplorare reami sempre più vasti e perfetti dell’Essere. Secondo lo ZOHAR (Libro dello Splendore), la
grande novità che l’Albero della Vita ha rivelato nei mondi è la presenza di tre pilastri o vie, grazie alle
quali il mondo viene unito alla MATKALA, la Bilancia superna, sede di tuttol’equilibrio e l’armonia.
Senza tale connessione il mondo non può raggiungere l’eternità, ma deve subire ciclicamente delle
distruzioni catastrofiche. Lo Zohar parla di due creazioni: la prima è chiamata “stare in piedi su di una
gamba sola” e si riferisce ad una situazione nella quale le dieci potenze cosmiche, le Sephiroth, si trovano disposte’lungo una sola linea, ciò è simbolo di instabilità e provvisorietà, cosi come un essere umano non può stare a lungo in piedi appoggiandosi su di un’unica gamba, anche la prima creazione era temporanea e impermanente. Viceversa, esiste una seconda creazione, modellata secondo l’Albero della Vita e la Bilancia superna. I suoi pilastri le conferiscono stabilità, durata e solidità. La sua continuità si estende all’infinito, e permette al mondo di vincere la legge dell’entropia, che nell’essere umano significa la morte.1 tre pilastri dell’Albero della Vita corrispondono alle tre vie iniziatiche: Facile (destra) Difficile (sinistra), Regale (centro). mediana ha in sé la capacità di unificare gli opposti. Tuttavia anche le altre due vie sono ugualmente portanti e sante, e nessuna creatura può fare a meno di muoversi lungo tutte e tre. Se privato del pilastro centrale l’Albero diventa quello della conoscenza del bene e del male, dal quale proveniva il frutto che portò la morte in Adamo e nel genere umano. L’insegnamento principale contenuto nella dottrina cabalistica dell’Albero della vita rimane quello che, data una qualsiasi coppia di opposti, è sempre possibile trovare un terzo fattore equilibrante, che li integri in un insieme coerente.
Il discorso vale soprattutto per le componenti maschilee femminile della coscienza umana, ma anche per ogni qualsiasi coppia di opposti, sia dal mondo fisico che in quello psicologico come pure in quello spirituale. Spiegano i cabalisti che il motivo principale per cui Adamo ed Eva si lasciarono ingannare dal serpente va rintracciato nel fatto che il loro rapporto non era ancora perfetto. Il peccato di Adamo consiste nell’aver dedicato la sua attenzione e interesse alla dualità e alla separazione, senza prima aver portato tale unità all’interno della sua relazione con Eva. in altre parole Adamo avrebbe dovuto prima di tutto cibarsi dell’Albero della Vita, e solo in seguito di quello della conoscenza. cosi avesse fatto, il primo frutto l’avrebbe irrobustito a sufficienza da far sì che il secondo sarebbe stato innocuo.
Dopo aver perso lo stato paradisiaco del Giardino dell’Eden, l’umanità non ha più accesso diretto all’Albero della Vita, l’unica vera risposta ai bisogni di infinità, di gioia e di eternità che ci portiamo dentro.
Nella nostra esperienza quotidiana, le due polarità fondamentali dell’esistenza, interagendo continuamente
tra di loro, danno luogo ad una moltitudine di espressioni via via sempre più complesse. L’Albero della Vita esemplifica tale mutevole realtà in dieci componenti principali, chiamate SEPHIROT.
Esse sono l’origine di interi settori del creato, sia nel mondo fisico, che in quello psicologico, che in quello
spirituale. Il primo esempio di divisione in dieci ci viene dalla stessa Scrittura, che nel Sefer Bereshit (Libro dalla Genesi) nomina dieci volte la frase: “va- yomeElohim” (E Dio disse,,,). Ad ognuna di queste espressioni seguì la creazione di dieci diversi gruppi di entità ciascuna corrispondente ad una particolare Sephirah dell’Albero della Vita.
Osservando l’universo fisico, un primo esempio di come L’Albero della Vita sia il piano secondo il quale
la creazione è avvenuta, ci viene dalla struttura stessa del sistema solare. Al suo centro c’è il Sole, che rappresenta la Sephirah chiamata KETER o CORONA, la più alta dell’Albero, dalla quale proviene la luce che
riempie e vitalizza tutte le altre. I nove pianeti chegirano intorno al Sole rappresentano le altre nove
Sephiroth.
Nello studiare le caratteristiche di ciascuna di esseè possibile vedere emergere una spiccata similitudine
con le caratterstiche astronomiche e astrologiche possedute dal pianeta corrispondente. Si noti come
la struttura dell’Albero già conteneva il posto per i trepianeti più lontani dal Sole, scoperti solo di recente.
Nel caso in cui la scienza rivelasse l’esistenza di un altro pianeta, esso si collocherà al posto dell’undicesima
Sephirah, chiamata DA’AT o CONOSCENZA, una misteriosa Sephirah che pur avendo un ruolo importantissimo nell’Albero non è tuttavia contata insieme alle altre. Nell’ambito umano le dieci Sephiroth
sono dieci stadi della consapevolezza individuale, o le “dieci potenze dell’anima”.
Al primo posto in alto troviamo la condizione per altro raramente sperimentata, di totale trasfigurazione di sé stessi nel trascendente (Keter – Corona). Vi sono poi due forme diverse di conoscenza intellettuale (Chokhmà e Bina, Sapienza e Intelligenza), corrispondenti ai due modi diversi di percepire la realtà, tipici dei due emisferi cerebrali: il primo più artistico e intuitivo, il secondo più logico e razionale. Dopo ciò, vi sono dall’opposizione fondamentale tra CHESED o AMORE e GHEVURAH o FORZA. Queste due Sephiroth corrispondono alla forza dell’attrazione e a quella della repulsione, all’amore e al suo opposto. Infine l’ultima Sephirah (Malkhut – Regno) corrisponde ad uno stato psicologico molto vicino alle contingenze del mondo fisico e delle, sue necessità.
Cercheremo di capire meglio di cosa si parli quando si nomina la parola “Sephiroth”. È questo uno deconcetti più importanti della Cabala, il più popolare e noto tra tutti i concetti di questa disciplina così complessa. La prima delle dieci Sephiroth, contando dal basso, è Introduzione alla Cabala
Malkhut, il Regno. È la stazione di partenza nel cammino di risalita lungo la via dell’Albero della Vita,
per ritornare al luogo ove il potere della morte cessa completamente. Agli inizi Malkhut è solamente una
sensazione di mancanza, di vuoto, di dipendenza e di passività, è la stazione finale della discesa del flusso
luminoso, è il luogo dove il processo deve capovolgersi, e dove le creature devono imparare a trasformare il
desiderio di ricevere in desiderio di dare. Malkhut è per eccellenza la Sephirah “femminile”, il
culmine di ogni processo di ricezione, pur essendo la più bassa e “povera” delle Sephiroth ha un ruolo fondamentale e insostituibile, in quanto raccoglie in sé il significato profondo di tutto l’Albero della Vita.
Pur essendo YESOD al di sopra di MALKHUTH, esso è chiamato “il fondamento”, poiché Mlkhuth
da sola non potrebbe sostenersi. Yesod è il canale nel quale confluiscono tutte le diverse energie e le luci
provenienti dalle varie Sephiroth dell’Albero della Vita, è che le unifica e le concentra, prima di farle
scendere dentro i recipienti inferiori.
Yesod è la prima (dal basso) di un gruppo di sei Sephiroth che costituiscono tutt’insieme il mondo dell’emotività, nelle sue varie tonalità e componenti. Esse sono: Chesed (amore), Ghevurà (forza), Tifereth
(bellezza), Netzach (vittoria), Hod (splendore), Yesod (fondamento). La Cabala dice che esse esemplificano
tutta la possibile gamma delle emozioni umane.
Continuando a percorrere la via della crescita spirituale, il cammino di risalita dal luogo della morte e dell’oscurità a quello della vita e della Luce infìnita, arriviamo alla Sephirah HOD. In Hod siamo animati dal desiderio di trovare la comunità a cui apparteniamo, qui i discepoli si riuniscono intorno al Giusto che genera un tipo particolare di energia. Ciò avviene soltanto se l’amore e l’amicizia controbilanciano le spinte centrifughe che inevitabilmente si creano tra i vari membri di un gruppo. Inoltre, Hod è quel tipo di luce e di energia particolare che esce dalle mani del Gran Sacerdote, tese a benedire il suo popolo, o del maestro mentre sta dando l’ordinazione o l’iniziazione al discepolo. L’Albero della Vita contiene una serie quanto mai vasta di dinamiche interattive tra le varie Sephiroth, sia se considerate nel loro insieme, sia se suddivise in coppie o in triadi.
NETZACH e HOD sono una di tali coppie fondamentali, in quanto si trovano sullo stesso livello e sono posti
l’uno a destra e l’altro a sinistra. Ciò significa che esse posseggono qualità polari e mutuamente integrative.
NETZACH significa ETERNITA’, e consiste nella capacità dell’anima di dare continuità nel tempo alle emozioni positive, la prima delle quali è l’amore. L’altro significato del nome Netzach è: VITTORIA,
possiede infatti sia il senso di ETERNO che di VINCERE. La Vittoria è il premio della perseveranza, della
fedeltà ai propri impegni morali e spirituali, e la vittoria contro la morte stessa.
Dopo HOD e NETZACH, continuando la nostra ascesa lungo l’Albero della Vita, arriviamo alla Sephirah più
centrale, al suo stesso cuore: TIFERETH. la bellezza. Essa è posta a metà del cammino: è il giusto mezzo,
a metà strada tra alto e basso, tra destra e sinistra, è la constatazione e la rivelazione della profonda bellezza Insita nella creazione e quindi nel suo Autore.
Le sette Sephiroth inferiori sono emozioni dell’anima, Tifereth è il sentimento-emozione che il cuore prova
nel l’osservare, nell’ammirare e nel vivere la bellezza.
La Sephira immediatamente al di sotto di Tifareth è Yesod, il Fondamento e la Verità. Dunque Tifereth è la
Bellezza fondata sulla Verità. Le prossime due Sephiroth che esamineremo, GHEVURAH (Forza) e CHESED (Amore) costituiscono una coppia altamente complementare, una essendo il braccio sinistro e l’altra il braccio destro dell’Albero della Vita. Forza e Amore sono le due emozioni basilari
dell’anima. L’importanza del loro interagire si può dedurre dalla metafora che afferma che queste due Sephiroth,sono le due ali dell’essere umano, ciò che lo rende simile agli angeli. Ghevurà è una prova iniziatica molto severa e difficile, è l’accorgersi di essere saliti in alto, è la paura di compiere uno sbaglio che ci faccia cadere rovinosamente, poiché nel cammino spirituale più si cresce e più aumentano le responsabilità. Ghevurà è tutto ciò che pone un limite all’espansione e alla crescita indiscriminata.
nasconde e oscura, nega, giudica e punisce, nulla viene dato gradualmente ma ogni cosa va guadagnata
con fatica e sforzo. Con CHESED raggiungiamo la sesta delle emozioni dell’anima, l’ultima partendo da Yesòd. L’Amore è la forza d’attrazione che tende ad avvicinare e ad unificare a dispetto delle differenze e delle divisioni, è l’elemento fondamentale dell’esistenza, il donare gratuitamente se stessi, è il principio su cui il cosmo intero è basato e trae l’esistenza.
Dopo Chesed, lungo il cammino di risalita dell’Albero della Vita, entriamo in un regno completamente diverso: quello della Triade superiore. BINA è il senso discriminante e indagatore, che permette la percezione dell’intelligenza operativa che anima la realtà naturale, è l’intelligenza di pianificare e di effettuare un processo mirante non solo alla liberazione dell’anima del corpo e dei desideri fisici, ma a trasformare la materia intera in una dimora per il divino “costruendola” in un modo
ben specifico, secondo le istruzioni Divine. La felicità è la caratteristica costante dell’operare di Bina. Essa è madre, è il pensiero che controlla le emozioni, non reprimendole, ma generandole e dirigendole, come una
madre che dà la vita ai suoi figli, li nutre e li educa. Bina è la decisione consapevole di amare ciò che è
bene e di respingere ciò che è male. CHOKMà è la Sephira che si trova all’origine del lato destro dell’Albero della Vita. Bina rappresenta uno stato al di sopra della percezione diretta, Chokhman sottolinea tale trascendenza, inaccessibile al comune intelletto umano, per questo motivo la sapienza è il più raro e prezioso dei doni. Chokhmà è la rivelazione improvvisa e brevissima di una luce, di un’idea troppo potente se essa colpisce direttamente il cervello. È un attimo di visione della verità superiore, Chokhmà é infatti la velocità.
Con DA’AT arriviamo ad una stazione molto misteriosa della nostra ascesa lungo l’Albero della Vita. Pur essendo chiamata “conoscenza” Da’at e ben lungi dall’identificarsi con ciò che i vari tipi di culture umane, intendono con questo concetto. Da’at è una sephira molto paradossale, poiché pur facendo parte dell’Albero della Vita non viene contata con le altre. Dice il Libro della Formazione “dieci e non nove, dieci e non undici”. La presenza di Da’at contraddice la dichiarazione del Libro della Formazione. Com’è possibile che pur avendo detto che le sephirot sono solo e soltanto dieci ne
salti fuori un’undicesima? La risposta alla domanda va trovata nel fatto che Da’atnon è una sephira vera e propria ma soltanto d’unione di tutte le altre. Ogni sephira è costituita da un recipiente che ospita un tipo di luce particolare. Da’at non ha un recipiente suo proprio, ma utilizza quello di Bina. Per questo che “conoscenza” (Da’at) e “intelligenza” (Bina) sono sinonimi. Quando Da’at non funziona in modo sufficiente, la conoscenza cessa di essere unificatrice. Dell’Albero della Vita si dice che era “nel mezzo del giardino”, e dopo di esso si fa menzione dell’Albero della Conoscenza . La differenza tra i due non è così grande. Essi sono vicini: l’Albero della Vita ha la sephira
Da’at rettificata, e funziona su tre pilastri. Il pilastro centrale offre la mediazione continua tra ogni tipo di
opposti , permettendo il riciclaggio dell’energia e il suo Introduzione alla Cabala periodico rinnovamento. L’Albero della Conoscenza del Bene e del Male invece ha solo due colonne, destra e sinistra, la conoscenza è separatrice, il giudizio è la forza dominante. Gli opposti non possono integrarsi e le sephirot restano isolate le una dalle altre. Se Da’at ha dei difetti abbandona il pilastro centrale e si ritira a sinistra nella sephira Bina. Privata della sua radice più importante, la colonna centrale cessa di funzionare.
Keter è troppo in alto per poter far sentire i suoi effetti sul resto dell’Albero, se non tramite Da’at. Il peccato di Adamo-Eva consiste nell’aver preposto la conoscenza separatrice a quella unificatrice.
Siamo così arrivati al culmine del percorso di risalita dell’Albero della Vita, più alta e più perfetta.
Alla radice superiore dell Albero ogni altra sephira è un misto di luce e oscurità, KETER è pura luce.
Keter é il serbatoio di luce infinita che alimenta tutto il creato, la totalità dell’essere, la somma di tutta
l’esistenza e di tutta la non-esistenza. Keter è nel Super-cosciente, onniveggente ed onnicomprensiva,
è il Divino in noi, fiume di energia positiva prodotto dalle buone azioni, dalle lodi e dalle preghiere che
gli esseri umani rivolgono a Dìo, è la sorgente della Luce Diretta che rinnova e mantiene l’intera creazione
istante per istante, e gioisce delle buone azioni e delle preghiere di quelli che sono coscientemente
sulla via del Ritorno e si sono caricati del giogo del Regno dei Cieli.
In Keter non c’è alcuna forma, né movimento, ma soltanto pura Esistenza, Coscienza e Beatitudine.
La mente umana non conoscendo alcun modo di esistere che prescinda dalla forma e dall’attività,
non può formulare nessun concetto adeguato ad uno stato di completa passività, senza forma e tuttavia ben distinto dal Non-Essere.
Questo sforzo va fatto, se non vogliamo rimanere confinati in una perpetua dualità dove Bene e Male si trovano in eterno conflitto. Dobbiamo raggiungere Keter e completare la Grande Opera.
Le buone intenzioni hanno scarso peso nella bilancia della Giustizia Cosmica, saremo riconosciuti e potremo
entrare nel Palazzo del Re soltanto quando sarà completa la Grande Opera. Non esiste Grazia nella Giustizia Perfetta, tranne quella che ci dà il permesso di provare sempre di nuovo.
Gli Apocrifi di Tommaso Se c’è un testo, tra quelli scoperti nella biblioteca

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IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA di Angelo Scrimieri

IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA di
Angelo Scrimieri
Far luce sulla religione buddista non è cosa facile ma, è pure vero, una interpretazione personale posso azzardarla con la speranza di non andare oltre i confini della realtà ed inoltrarmi nel mondo della fantasia.
Dunque chi è veramente, e cosa significa Buddha che in sanscrito significa “lo svegliato” ?
Con questo nome la tradizione indiana indica speciali personaggi i quali, conseguita la suprema illuminazione spirituale (bodhi) hanno il compito di impartire all’umanità l’insegnamento salvatore.
L’ultimo di costoro, il Buddha per antonomasia, fu Siddharta, detto Gautama Sakyamuni.
Gli episodi più salienti della vita di Buddha sono tratti da testi pali, che, pur non essendo documenti strettamente storici, rappresentano la tradizione più antica.
Secondo tali documenti Buddha nacque a Lummini nel 557 a.C. La leggenda posteriore fa nascere Buddha dal fianco della madre Maya ed è questo uno degli episodi più cari alla iconografia buddista. Morì nel 477 a.C. Due scoperte archeologiche comprovano sia la data che il luogo della sua nascita che quelli della sua morte. Nel 1896 venne trovata una colonna eretta nel 244 a.C. a Lummini dall’imperatore Asoka per ricordare il luogo dove era nato Buddha. La seconda scoperta venne fatta da Claxton Peppè che dopo 24 secoli ritrovò a Kusinagara il tumulo contenenti le ceneri di Buddha.
Si narra che il padre tentasse di distrarlo dal portentoso destino, profetatogli’ sin dalla nascita, allevandolo fra gli agi e sposandolo all cugina Yasodhara, da cui ebbe un figlio, Rahula. Ma la vocazione ascetica risvegliatasi alla vista dei funerali di un malato e di un asceta vagante, Buddha abbandonò famiglia e beni, per cercare la verità.
Ritiratosi nella foresta a meditare, con la guida di due brahmana, indi seguitoda cinque discepoli che più tardi lo abbandonarono, Buddha, dopo terribili prove, raggiunse l’illuminazione interiore e riconobbe le cosiddette “Quattro Verità “: la realtà del mondo è dolore; l’origine del dolore è il desiderio o attaccamento alla vita; la liberazione dal dolore è possibile mediante l’estinzione del desiderio, il nirvana (condizione estatica corrispondente al puro godimento dello spirito o all’annullamento di ogni concreta realtà).
Nel Buddismo, per meglio intenderci, la felicità consistente nell’assenza di ogni sensazione e quindi del dolore, esiste una via per tale estinzione: la Legge (dharma).
Dopo profonda meditazione e riflessione Buddha decise di rendere partecipe l’umanità, della sua esperienza liberatrice, ed iniziò la predicazione di una dottrina che chiamò Via Mediana, perché distante sia dai piaceri sia dagli eccessi ascetici. Non elaborò una particolare teoria sul mondo: questo è ciò che è, occorre solo liberarsene. A tale fine si deve seguire l’ottuplice Sentiero, consistente in: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta via, retto sforzo, retta consapevolezza, retta meditazione. Quest’ultima rappresenta il precetto principale di Buddha, dato che la personalità umana non è fondata sull’Io, ma sulla consapevolezza individuata dal potere di rappresentazione, legata a sensazioni dipendenti da impulsi prenatali, limitata da forma materiale: i cosiddetti cinque Skandha.
“L’uomo è responsabile del suo destino e lo determina con le sue azioni (Karma) da una vita all’altra
Il ciclo di nascita e morte (Samsara), articolato in dodici momenti che sono causa l’uno dell’altro (ignoranza, predisposizioni innate, forma, facoltà, percezione, sensazione, sete e vincolo della vita, esistenza, nascita, vecchiaia, morte), deriva da una ignoranza innata che solo il Nirvana può sradicare.
Per 40 anni Buddha predicò nell’India settentrionale, con immenso successo, una dottrina fatta di serenità, amorevolezza, stoica sopportazione dei mali, di cui egli fu esempio vivente. Quando egli morì il suo Ordine Monastico (Sangha) era stato già costituito ed era ormai in atto la diffusione del buddismo in tutto il mondo: un sistema filosofico-religioso, un notevole esempio di religione atea in quanto non incentrata nel culto di divinità ma elabora una dottrina per la salvezza dell’uomo, con l’estinguersi del dolore, nel Nirvana.
Il Buddismo è altresì una filosofia tesa alla risoluzione di problemi etici sempre al fine di eliminare il dolore, senza elaborare una particolare teoria del mondo.
Le numerose “sette” e “scuole” del Buddismo, si raggruppano in due grandi correnti dette rispettivamente del “Piccolo Veicolo ” e del “Grande Veicolo”.
Tale dottrina è chiamata “veicolo” perché concepita come “un mezzo che trasporta i seguaci alla santità e alla liberazione dalla rinascita”: Piccolo Veicolo, per portare alla salvezza coloro che praticano rigidamente la vita monastica, Grande Veicolo, perché porta a salvamento tutti fedeli i fedeli.
Ora però occorre fare delle riflessioni attente e mirate; quindi e necessario sapere in che cosa consiste la responsabilità dell’uomo, dato che il Buddismo nega l’esistenza di un Io permanente, pur affermando che dalla libera azione, buona o cattiva dell’uomo viene occultamente foggiato il destino a cui questi va incontro, nella presente vita e nelle successive.
Per quanto riguarda l’uomo, il Grande Veicolo afferma che esso deve realizzare l’essenza cosciente del proprio spirito mediante lo sviluppo di mistica conoscenza attraverso le meditazioni e le pratiche di comprensione, che è il mezzo per eccellenza.
Il caratteristico sviluppo del monachesimo ha dato luogo alle “sette” dei Berretti Rossi e dei riformati Berretti Gialli, dalle quali viene scelto il “DALAI-LAMA”, sovrano temporale del Tibet.
Si può, a questo punto, affermare che questa dottrina etico-filosofica, elaborata dal veggente indiano Gautama Buddha (VI sec. a.C.), si concretizza in religione predicata come mezzo di salvazione.
Tentare una analisi, con l’illusione di approfondire i concetti più fondamentali che l’argomento richiede, è utopistico. Non ci resta altro da fare che tentare una analisi dei concetti più fondamentali, sperando che l’approfondimento sbocchi in una logica più vicina ai nostri tempi.
Ma superate queste considerazioni, è necessario tentare di sintetizzare il “modo” in cui noi ci poniamo dinanzi al grande Tema. Di rende necessario, quindi, che le menti e gli animi dei Fratelli raggiungano la serenità cosciente del ruolo loro affidato dall’aristocrazia dello spirito alla quale appartengono di diritto, per parlare di politica e di religione.
Analizzando il significato del termine “Filosofia”, l’etimologia è chiara, si tratta di un composto: amare, aspirare a sapienza, saggezza , quindi, amore della sapienza, aspirazione al raggiungimento della sapienza. Si pone in evidenza il nesso logico con le “Quattro Nobili Verità” che sono, senzadubbio, alla base di tutto il pensiero buddista e la nostra cultura religiosa.
Si può ritenere che le varie forme, in cui il buddismo è conosciuto e praticato nel mondo, esprimono a tutti gli effetti, questo insegnamento semplice ma di enorme importanza.
Le “Quattro Nobili Verità” sono: la Sofferenza, l’origine della Sofferenza, la fine della Sofferenza, la via che conduce alla fine della sofferenza. La nostra cultura religiosa come reagisce di fronte a tanta saggezza?
Con interesse certamente, ma anche confortandosi con quanto il DALAI-LAMA, Sua Santità Gyawa Tenzin Gyatso XIV, dice con molta disinvoltura: “Invito tutto l’Occidente a non cercare di cambiare la propria cultura tramandata nei secoli. Il Dharma deve essere insegnato e non diffuso, e questo insegnamento deve essere completo ed obiettivo, altrimenti potrebbero nascere settarismi”.
Egli, con la sua saggezza, leader politico di un paese privato dal 1959 della sovranità nazionale, gira il mondo alla ricerca della solidarietà dei popoli.
Platone approfondisce il concetto socratico di filosofia come aspirazione al sapere: essa nasce da quel sapere di non sapere che non è totale ignoranza e nemmeno sapienza, ma perenne atteggiamento di dubbio e di critica che ha in Eros, il Dio dell’amore, figlio di povertà e di abbondanza, la sua splendida personificazione.
La filosofia è in questo senso, vita morale e soprattutto “preparazione alla morte”, desiderio non solo del vero ma anche del bene e del bello. Anche per Aristotele, la filosofia è aspirazione a possedere la “scienza divina”, la conoscenza dell’universale; quindi, per entrambi, contemplazione disinteressata della realtà, non dei suoi aspetti accidentali ma in quelli sostanziali (i principi metafisici e le cause prime). La filosofia, come scienza “dell’ente in quanto ente” , si distingue rigorosamente non solo dalle scienze prati- che e poetiche, ma anche dalle altre scienze teoretiche, quali la fisica e la matematica.

Nella storia della filosofia, la conoscenza è stata intesa come una possibilità garantita a tutti, come qualcosa di impossibile o come qualcosa di possibile in determinate condizioni. La filosofia, quindi, se vuole affrontare le problematiche connesse con la conoscenza, deve poter contribuire con chiarificazioni interne alle metodologie specifiche.
Francamente mi preoccupa porre in corelazione o in parallelismo la filosofia della conoscenza, con il Buddismo, religione che si discosta e non si identifica con la nostra cultura. Religione che vive in un suo ermetismo alquanto particolare e singolare nelle sue regole-leggi. Non fosse altro che per accettare con me stesso la scom- messa di trovare alla fine un nesso logico, valido e significativo tra la nostra cultura le la Civiltà Buddista.
36 Agorà gennaio – marzo 1997 Permettetemi ancora qualche personale considerazione ricordando a tutti voi l’ ancoraggio massonico ai Libri Sacri dell’Umanità: la Bibbia ed il Vangelo. Fatto salvo questo principio devo necessariamente citare come termine di confronto i Codici Sacri delle Indie e della Persia, la Bibbia, il Vangelo, il Corano, le massime di Confucio, le dottrine di Pitagora e di Platone. Tutti sono improntati di morale purissima talvolta anche trascendente la possibilità della pratica razionale; ma tutte le credenze dogmatiche hanno il difetto che, quando cessa o diminuisce la fede in Dio punitore, anche la morale, che in quella fede si appunta e si ravviva, necessariamente si scolora e si perde nel nulla. Ecco perché noi “crediamo” senza imposizioni dogmatiche e facciamo il possibile perché la nostra fede non diminuisca: perché non si perda la morale che in essa si incentra e si avviva.
In una conversazione-relazione di Fausto Taiten Guareschi si legge che da qualche tempo si ricomincia a sentir parlare di “Maestri”. Ed insieme al tema dei “maestri”, risorge un dramma che era stato violentemente rimosso negli ultimi decenni: quello dell ‘apprendimento reale, diretto, frutto del rapporto dialettico tra persone vive.
La filosofia buddista che più si avvicina agli occidentali non è molto complessa. Essa essenzialmente dice: “I maestri non scrivono, insegnano, trasmettono, comunicano”. Thomas Mann diceva: “O uno muore giovane, o diventa maestro”.
La vocazione dell’uomo è quella di insegnare, non di scrivere. La parola, quindi, deve essere un evento, perché abbia senso.
Per concludere devo necessariamente dedurre, senza timore alcuno e senza creare pregiudizi, che la nostra religione ci ha permesso di sentirci a posto con la nostra coscienza, di sentirci a nostro agio e con serio raccoglimento spirituale tanto nella Cattedrale quanto nella Moschea, tanto seguendo il rito Ortodosso quanto ascoltando quello Mussulmano e quello Buddista.
Ma al di là di questo, credetemi, non ci si può spingere. •
IL LAMENTO PER IL GIORNO DEI DIRITTI UMANI

Per coloro che si afferrano alle sbarre della prigione, senza speranza, perché noi si cammini liberi un pensiero
per coloro che marciscono nella tenebra perché noi si possa camminare nel sole un pensiero
Per coloro ‘le cui costole sono state spezzate perché noi si respiri a pieni polmoni un pensiero
Per coloro la cui schiena è stata piegata perché noi si possa stare eretti un pensiero
Per coloro che sono stati schiaffeggiati perché noi si possa andare avanti senza timore di essere colpiti un pensiero
Agorà gennaio – marzo 1997
Per coloro le cui bocche sono state imbavagliate perché noi si possa parlare liberamente un pensiero
Per coloro la cui dignità giace lacerata sulla pietra del carcere perché noi si cammini a testa alta un pensiero
Per coloro le cui spose vivono nell’angoscia perché le nostre vivano felici un pensiero
Per coloro il cui paese è in catene perché il nostro sia libero un pensiero
E per chi imprigiona e tortura un pensiero, il più triste di tutti, perché essi sono i più degni di compatimento nell ‘aspettaziohe del giorno della Verità.
Salvador de Madariaga
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