LA CATTEDRALE VERDE

LA CATTEDRALE VERDE

di

Diego Brancati

Tutti noi conosciamo il carciofo, pianta offense, della famiglia delle composite, che in Italia è coltivata su un’estensione di circa 60mila ettari, principalmente in Lazio, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il vegetale abbisogna per il suo sviluppo di terreni profondi, permeabili, impiegabili e di clima mite, in poche parole ciò di cui necessita è quell’ambiente mediterraneo che l’Italia di qualsiasi altro paese che si affaccia sul  mare e che fa dell ‘ Italia stessa la duttrice ed esportatrice di carciofo nel mondo (circa i 2/3 della produzione totale).

Il CYNARA SCOLYMUS, questo è i1 Suo nome scientifico, oltre che primo ingrediente di gustosi e innumerevoli piatti della nostra cucina è apprezzato per la sua azione terapeutica sulla ghiandola epatica. Come coleretico, diuretico e leggero lassativo, stimola beneficamente la funzione del fegato, esercitando un’azione-benefica sulle forme itteriche, subacute e croniche, e mente nei casi in cui l’insufficienza epatica manifesta sotto forma di stitichezza e oliguria; inoltre è antinfiammatorio ed antipruriginoso e gli amari è stato anche usato come lotta contro il paludismo.

Nell’ analisi della pianta tra i vari  zuccheri ed enzimi è stato individuato il principio attivo che è all’ origine di tale azione terapeutica: la CINARINA Con questo nome è indicato l’estere dicaffeico dell’ acido chinico ovvero una molecola organica nata dall’’unione dell’acido caffeico e dell’ acido chinico e che oggi è il componente principale di  pillole, fiale, sciroppi, bevande utilizzati nella terapia del fegato ammalato.

Ma il carciofo, umile e generoso  al quale  oggi si rivolge l’interesse scientifico ha una lunga storia, che si perde nelle nebbie del tempo e sfuma in mitiche lontananze da leggenda. Già il suo nome scientifico, CYNARA SCOLYMUS, richiama alla memoria la sfortunata e bella fanciulla di nome CYNARA, dai lunghi capelli color cenere (dalla quale il nome), che concupita da Giove, volle imporre il suo rifiuto al Dio, il quale sdegnato la mutò nella pianta, oggetto del nostro studio, spinosa, appuntita, pungente al tatto: (SKOLYMOS), in greco. Tale il mito, del quale peraltro non si rileva traccia nei maggiori autori antichi, ma che noi interpretiamo in tal senso: CYNARA SCOLYMUS è il simbolo della Dea Madre, sovrana assoluta della natura feconda, ovvero la bella fanciulla dai cinerei capelli, che è una probabile ninfa legata alla Madre Terra e al di Lei sposo Vulcano, dio delle manifestazioni endogene ed eruttive del nostro pianeta (ecco spiegati i capelli color cenere), rifiuta l’imposizione ordinatrice del Cielo che le si manifesta sotto le spoglie di un dio e sacrificando se stessa riafferma la -—ïofie non subordinata della Madre Terra e del

‘dLei sposo nei confronti del Cielo. Ma come vedremo inseguito gli esiti di simili vicende non sempre gli stessi.

Attori classici ed archeologi del nostro tempo, rispettivamente, trasmettono conoscenze sul carciofo a beneficio di noi uomini del XX secolo e che le avevamo perse quasi totalmente.

Veniamo a sapere che là nostra pianta è originaria ria dell’Etiopia ed attraverso l’Egitto giunge nel bacino in tempi remoti, precedenti alla nostra  era.. Essa, però non è il carciofo spinoso che noi  conosciamo, il quale prende il nome dalla  parola araba HARSCIOF o AL-KHARSHUF che significa “spina di terra” e “pianta che punge” e che fa la sua apparizione  definitiva in Toscana, nel 400, ad opera di agricoltori  italiani e sotto il patrocinio di Caterina de’ Medici. Il CYNARA dell’antichità è il caro, pianta allo stato selvatico, ovvero il CYNARA CARDUNCULUS coltura e selezione successiva deriverà il nostro

In campo medico-farmacologico Pedanio  Dioscoride con il suo “SCOLIMO”, galeno di Pergamo con il suo CYNARA  Teofrato  con il suo “Cactoo”, ci illustrano l’impiego terapeutico della pianta, descrivendone la collocazione sistematica, le caratteristiche, le droghe e le preparazioni.

Massimo Pallottino, archeologo insigne, ci testimonia la presenza e la coltivazione del cardo in terra di Etruria già durante il periodo di egemonia della Confederazione delle 12 città-stato.

 Afri autori antichi, fra tutti L.G.M. Columella, Plinio il vecchio, Esiodo ed Alceo, ci tramandano nozioni interessanti: Columella nel suo “De Re Rustica” da una descrizione sui tempi e i modi della coltivazione del carciofo spinoso e ci comunica che è bene piantarlo perché “…è il tempo che il mondo si scalda, che figlia il mondo e concepe Amo»; già s ‘affretta all ‘unione, già il grande respiro dell’orbe s ‘affanna per Venere, e spinto da desideri ardenti, i suoi parti carezza e riempie di vita…”; che caro sarà al bevitore Bacco e non ad Apollo canoro; che abbisognerà “di molta cenere, perché a questo ortaggio sembra adattarsi specialmente tale tipo di ingrasso“. Plinio il vecchio nel suo “Naturalis Historia” annovera diverse varietà di Cardui: lo Scolimo, schiacciato e spremuto prima della fioritura, fornisce un succo utile alla cura dell’ alopecia; lo Scolimo Orientale (Limonia) è diuretico, elimina il cattivo odore delle ascelle attraverso l’urina, unito all ‘ aceto è utile nella cura di alcune affezioni cutanee, nel vino ha effetto afrodisiaco. Inoltre la radice di qualsiasi varietà di Carduo, bollita in acqua, tonifica lo stomaco e l   ‘utero, sembra influire nel concepimento di figli maschi e provoca la sete ai bevitori.

Esiodo, in “Opere e Giorni”, ed Alceo, tratto dai frammenti, ci riferiscono che, quando questa pianta è in fiore, le cicale cantano più forte, e le donne sono più avide di piacere, mentre gli uomini sono più fiacchi nei riguardi del coito: per una sorta di provvidenza della natura, le proprietà eccitanti del carciofo sono allora massimamente attive.

Degli autori citati è bene mettere in evidenza alcune elle notizie forniteci:

  1. la pianta è particolarmente cara a Venere, l’ antica Dea italica, che Varrone e Plinio ci dicono divinità agricola, e quindi della fertilità, oltre che dell’ Amore, e che Etruschi e Romani conoscono ed identificano con i nomi di Turan e di Venere-Afrodite. Riappare in tal modo la Dea Madre in una delle sue tante identità e dona ai suoi figli mortali un frutto prodigioso (Pharmakon) per i dolci incontri amorosi e per la procreazione.
  2. Il carciofo abbisogna di cenere… Un ‘ulteriore ipotesi sul nome della pianta lo ritiene derivante dal vocabolo cenere, che ricca di potassio fertilizzante, ricopre la terra dove la pianta cresce. Ipotesi plausibile, ma a noi piace vedere, soprattutto in questa pratica concimante la più poetica ripetizione rituale e simbolica del connubio tra Venere e Vulcano.
  3. Il carciofo provoca la sete ed è caro al bevitore Bacco e non ad Apollo canoro… Sembra la descrizione dei sintomi provocati dall’eccessivo alimentarsi con il carciofo (molta sete e poca voce), ma come anche testimoniato da un rinvenimento archeologico presso la Città del Vaticano, evinciamo che il carciofo selvatico è caro allo stesso Dioniso e non solo a Venere. Il reperto, che suffraga la nostra tesi, è una fontana fatta costruire per la propria residenza decentrata dall ‘ imperatore Nerone e consacrata al dio del monte Nisa, del quale era adepto lo stesso imperatore. La fontana culmina con il tipico tirso bacchico, che tradizionalmente è un’ asta sormontata da un viluppo di foglie di edera, o di vite, o da una pigna, ma che in questo caso sembra essere proprio un carciofo spinoso (come da ipotesi degli stessi archeologi). Sappiamo che il tirso, oltre ad essere portato nei cortei dai seguaci del dio, era utilizzato nelle iniziazioni sessuali femminili durante i riti dionisiaci. Questo ci porta ad ipotizzare che pigna, carciofo o foglie che siano, in quanto simbolo del dio e del mondo vegetale a lui caro il tirso in ultima analisi è sacro alla divinità della natura feconda: Venere, appunto. Ogni forma vegetale che Etruschi e Romani sfruttano nella coltivazione è dono della Dea delle Messi, delf ‘ Agricoltura, della Fertilità e così anche ogni pianta che selvatica, cresce libemda ogni intervento umano. Ma per Dioniso il nesso con il mondo naturale è duplice ed innegabile. Lo stesso mito del concepimento e della nascita del Dio è altamente significativo: Semele, futura madre del Dio, che secondo due versioni distinte è figlia di Cadmo ed Armonia o Dea Madre di Frigia, viene concupita da Giove ed ella stessa accetta le attenzioni amorose del Dio, a patto che le si mostri nella propria pienezza. Allora il Padre Celeste, nell’ unione amorosa, si rivela nella sua piena potenza folgoratrice e al momento del concepimento Semele rimane incenerita dal la visione stessa del suo amante, che, pietoso, decide di salvare da morte certa e portare fino al momento della nascita protetto nella sua coscia il frutto del suo amore per la sfortunata Semele. Dioniso è il frutto, che nasce per così dire due volte: la prima come mortale sottoposto alle leggi di Madre Terra, la seconda come Dio, figlio della maggior potenza ordinatrice del Cielo. Questa volta Giove riesce, esprimendo la sua tremenda potenza, a vincere una già arresa Dea Madre. che aveva sì accettato I ‘ imposizione del Cielo, ma che l’aveva pur sempre sfidata volendone cogliere la pienezza qual pari divinità.

Giove vince e pone il suo ordine sul mondo naturale, che già aveva regole e leggi antecedenti alla stessa Forza Celeste. Ma qual figlio ha generato! Il Dio, nato due volte, conserva in sé il corredo genetico della madre sacrificata ed in tal senso non fa che manifestarsi come sovvertitore e vendicatore.

Primo passo di Dioniso, accolto tra gli Dei, è di condurre la Madre dall ‘ Oltretomba alle sedi celesti per restituire la dignità divina che le compete.

Successivo passo è quello di avvicinarsi al mondo della natura ed ai mortali. Dona agli uomini la viticoltura, la vendemmia e la preparazione del vino, ma principalmente reca il divino nella vita umana. Dioniso si presenta agli uomini sovvertendo con i suoi principi le leggi umane derivanti dall ‘ ordine superiore divino: viene soprannominato “Lo straniero in città”. Travolge le norme mortali e lo fa con la pazzia violenta ed incontrollata (vedasi a questo proposito la vicenda di Penteo, re di Tebe, ne: “Le Baccanti”), ma soprattutto con un contatto istintivo e diretto con il divino, senza bisogno di frapporre lunghi e stereotipati cerimoniafi per comunicare con il Superiore. Travolge in tal modo l’ordine divino che prevede gli uomini, e per prime le donne, alla base di una piramide senza possibilità di sottrarsi alla gerarchia e ai rituali religiosi. A Lui, inizialmente, si rivolgono ceti bassi o frustrati, ma soprattutto donne, che nello stile di vita e nella filosofia religiosa del Dio, vedono il modo di fuggire una realtà che le vede relegate, come per l’ordine divino, agli ultimi posti. Dioniso riporta a una dimensione naturale il divino e come reca il divino nella vita umana, altrettanto reca I ‘uomo nella vita divina. Ma il criterio e il percorso seguiti sono più semplici di quelli codificati in quanto il contatto è raggiunto con l’estasi, irrazionale, lontana dalla logica umana, che poco comprende di altri tipi di razionalità. Attraverso l’ebbrezza che il vino da al suo bevitore si raggiunge l’ acme di tale processo. Qui interviene il nostro carciofo, C YNARA, che secondo un etimo del nome potrebbe derivare dal verbo greco ” ” (Kineo), che vuol dire: eccitare, sconvolgere, agitare, scuotere. Qui interviene come predisponente al bere, come incrementante la sete, e spinge ad un più alto livello di ebbrezza estatica, lontano da ogni freno inibitorio stabilito dalle leggi scritte e non della società mortale, lontano dai criteri apollinei del quotidiano. Qui arriva la “Menade”, o comunque il seguace del Dio, che, come un asino (vedansi Apuleio ne “L’ Asino d’ oro”, Luciano in “Lucio”), sprofonda nell’ infimo per giungere al superno. Questa è la più grossa vittoria delle energie naturali, forze divine, ma sottoposte all’ ordine celeste. Forze che Dioniso condivide, ma che si rifanno tutte alla Dea Madre, madre del Dio e di tutti i mortali. per quanto riguarda l’Italia? In Italia il culto del Dio del Monte Nisa giunge prima in Etruria e in Italia meridionale, poi a Roma. Dai “Rasenna” Dioniso viene battezzato “FUFLUN” probabilmente dall ‘ appellativo greco ‘ . ‘ (della città di Biblos) e gli venne consacrata la città di Popluna (Populania). In breve il Dio acquista un notevole seguito perché nei suoi insegnamenti i Tirreni vedono la via di fuga da un edificio religioso che molto pessimisticamente non si sottrae in alcun modo al volere dei SUPERIORES INVOLUTI Dl (il fato greco e latino). FUFLUN e’ soprannominato PACHIE (Bacchico) e i suoi seguaci si riuniscono nei “PACHANA”.

A Roma, proveniente dall’Etruria e dall’Italia meridionale (Magna Grecia), Dioniso viene unificato con, Libero, dio italico della fecondità, con Bacco romano e con lacco, figlio di Cerere.

Dal sincretismo delle quattro divinità ne scaturisce la figura di Dioniso con caratteri che fondano spensierata allegria, benessere naturale e simbolismo filosofico-religioso.

Interessante e’ notare che il Dio ha contatti con Cibele di Frigia, Demetra greca e la figlia di lei Persefone, tutte divinità della natura feconda e personificazioni della vegetazione in tutto il suo rigoglio, tutte divinità che a lui sono associate o nei riti di origine agreste o nei Misteri a lui dedicati.

Ma ancor più interessante e’ dare un’occhiata al seguito divino di Dioniso. Intorno a lui si stringono le divinità naturali, che la religione del Panthen grecolatino ha emarginato o dimenticato del tutto. Sono i Daimones a cui si rivolgevano le popolazioni italiche prima che gli dei del cielo imponessero la loro supremazia unificatrice. Sono i Re-sacerdoti degli albori della civiltà, elevati a rango di divinità dopo la loro morte. Venerati come protettori dei campi, dei raccolti, delle foreste, aleggiavano come spiriti sorveglianti sulle comunità, ma in vita erano stati uomini dalle potenti doti soprannaturali, a lungo punto di riferimento per società che tramite loro si mettevano in contatto con il Superiore. Sciamani in grado di viaggiare lungo l’asse del Cosmo e attraverso i suoi molteplici piani, capaci di guarire le malattie dell’uomo non più in equilibrio con l’ Universo, dotati del dono della preveggenza. Questi saggi abitavano le foreste e le grotte, vivevano in piena sintonia con la Natura, con la Dea Madre, cogliendone i più intimi segreü. In simbiosi con gli animali (principalmente l’ orso, il lupo, il cervo e il capro) sentivano con loro e come loro lo scorrere dei flussi magici nell ‘Universo.

Ad essi da voce nuovamente Dioniso, recuperandoli ad un mondo divino che li ha accantonati, dimenticandone il valore.

Alla corte del Dio Bromio sono presenti:

Sileno, precettore e compagno del Dio, famoso per la saggezza, per il bel canto ed il dono della preveggenza.

Fauno Luperco, detto Fatuo ovvero il vaticinatore, che in sogno appariva agli oracoli dei boschi a Lui consacrati.

Pan l’arcadico, Dio dei pastori, dei cacciatori e del bestiame, preveggente e taumaturgo.

Silvano (l ‘ etrusco Selvans), protettore delle selve, dei fmtteti e della campagna,’abitatore del bosco sacro di Cerveteri, quel bosco sacro (Vipina in eù-usco) che Virgilio, nel libro VIII de “L’ Eneide”, nomina quando Enea inconÙa la madre Venere presso le rive del Caetiüs Amnis (Fosso Vaccina). Bosco che Silvano, annoverato tra gli antichi pelasgi, divide con Lasa Mpinas (la Dea della foresta – Diana la Dea), in connubio con ella: sua sposa, sua madre, sua sorella.

Insomma, Dioniso il sovvertitore, si oppone anche con i suoi cortigiani alle catalogazioni, alle norme, alle leggi scritte ed imposte; così fa contrapponendo all’Ars Haruspicina di Tagete, genio fanciullo dai canuti capelli, e all’ Ars Fulgatoria della ninfa Vegoia il sentire più istintivo e diretto degli DeiSciamani. Ai Libri Sibyllini, che impongono l’interpretazione catalogata dei segni divini, risponde con la comunicazione continua, con il rapporto naturale tra Uomo e Divino, attraverso “canali” che non necessitano della gestione di schiere di sacerdoti indottrinati. Alla lettura del fegato degli animali, come prescritto nella Disciplina Etrusca, che tanto influirà sulla divinazione romana, ribatte con la stimolazione diretta del fegato di ognuno dei suoi adepti. Stimolazione che si ottiene anche con il carciofo spinoso, che da quanto sappiamo oggi in merito alla “cinarina”, agisce sulla ghiandola epatica attivandone le funzioni. Funzioni che per gli antichi, e non solo, vanno ben oltre la consueta fisiologia medica, poiché il fegato è considerato sede delle passioni e del coraggio, generatore delle forze endogene e recettore delle esogene.

Dioniso ci indica che non v’è bisogno di ulteriori metodi, di ulteriori strumenti, nell’uomo è già insito “…(l’organon) che lo pone in diretto contatto con il divino…”

La caduta dell’impero romano d’occidente determina il crollo definitivo dell ‘edificio socio-politico-religioso del mondo antico, che peraltro già aveva dato segni di cedimento strutturale.

La sapienza, accumulata in secoli di civiltà, sembra sparire calpestata dalla violenza e dall ‘ ignoranza; incalzata dalla barbarie si nasconde, come un animale braccato, in rifugi lontani dalla luce, in attesa di tempi propizi…

Il carciofo, continua ad essere coltivato, o meglio raccolto, per la preparazione degli infusi, decotti tisane, misto al vino e all’aceto, oltre che per una alimentazione che già Eratostene di Cirene aveva definito ”per poveri” (e noi aggiungiamo, se il carciofo è alla base di tutta l’ alimentazione).

In tal modo la cultura contadina conserva tratti della sapienza di un tempo.

Ma per il resto?

Per il resto bisogna aspettare qualche secolo, attendere che il Medio Evo sappia esprimere un ordine  e se pur precario, dopo il caos della barbarie.

Ed ora spunta di nuovo il carciofo, ma come altrc da sé. Compare come motivo decorativo nei capitelli che sostengono le statue della Cattedrale di Chartres.

Se prestiamo fede agli scfitti di Fulcanelli, una cattedrale è un libro di alchimia scolpito nella pietra, dove ogni elemento architettonico è un simbolo con precisi riferimento alchemici. E allora, come interpretare il carciofo?

L’alchimista dopo aver colto nei “campi” il Cinabro, lo deve sottoporre nell’ Atanor alle operazioni di trasmutazione secondo il criterio del “solve et coagula”. Il Cinabro, in quanto sale minerale, è composto di mercurio e zolfo, sotto forma di solfuro. I solfuri in alchinua sono detti “fegati”.

Sappiamo che il carciofo agisce sul fegato, ovvero il solfuro nell’ Atanor umano. Il solfuro deriva dallo zolfo. Insieme mercurio, zolfo e sale hanno colori distintivi e rappresentativi in ambito alchemico: il nero, il bianco, il rosso, rispettivamente. Questi stessi indicano le tre fasi della “Grande Opera”. Nelle rappresentazioni pittoriche l’Opera alchemica è raffigurata come un alambicco che contiene tre colombe: una nera, una bianca, una rossa (evidente il significato, come sopra detto), ma che rappresentano anche il corpo (mercurio/nero), I ‘anima (zolfo/bianco), lo spirito (sale/rosso).

L’anima, dunque, è una colomba bianca derivante dai solfuri.

Jung, nella sua interpretazione dell’ Arte Regia, mette in evidenza che I ‘ anima è per I ‘ alchimista l’ architetto femminile presente nell ‘uomo, comunque è sempre presente.

Gli antichi ci hanno tramandato che la colomba è simbolo dell’Eros sublimato e in quanto sublimato e in quanto sublimato è puro, ovvero bianco. Per questo Dodona inviava una colomba quale messaggera per vaticini e presagi favorevoli nella foresta a lei dedicata. Nella stessa foresta la quercia di Dodona aveva accanto a sé le colombe sacre, simboli della Grande Madre Tellufica. Panmenti, ad Afrodite, Dea della fecondità, erano offerte in dono, dagli amanti, colombe, perché care alla Dea. Nei bassorilievi funebli si vede spesso una colomba bianca, simbolo dell’anima.

Allora, se il carciofo contribuisce a far reagire i solfufi, i fegati/solfuri derivano dallo zolfo, ovvero dall ‘ anima, possiamo, senza timore di smentita, affermare:

Comunque è sempre, ognuno ha in sé la Dea…

Bentornata, Dea!•

neaAgox•

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C L I M A

Clima

La fine di El Niño è arrivata. Ci darà un’estate meno calda? Se non succede abbiamo un problema

di Giacomo Talignani

Un’inondazione in Russia

Un’inondazione in Russia (reuters)

Secondo il fisico Pasini se l’esaurirsi del fenomeno non porterà ad un abbassamento delle temperature “dovremmo davvero preoccuparci. Credo e spero di non essere arrivati a una fase in cui il riscaldamento accelera a tal punto da non poter tornare indietro. Altrimenti saranno guai”

16 Aprile 2024

El Niño sta finendo. Anzi, per l’ufficio meteorologico australiano è “già finito”, mentre per il Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) statunitense “si sta indebolendo”. Come sappiamo dai dati appena pubblicati da Copernicus climaticamente parlando gli ultimi dieci mesi – i più caldi di sempre e consecutivi, in grado di battere tutti i record precedenti – sono stati un vero e proprio incubo per il Pianeta. Il motivo principale dell’innalzamento delle temperature, con conseguenze drammatiche a livello di fenomeni meteo intensi, è da ricercarsi nella combinazione fra la crisi climatica innescata dall’uomo e il fenomeno naturale di El Niño .

Meteo, è stato il mese di marzo più caldo mai registrato: superato il record del 2016

09 Aprile 2024

Questo fenomeno, anche noto come ENSO, è periodico e provoca in generale un forte riscaldamento delle acque superficiali del Pacifico centro meridionale innescando un cambiamento della circolazione e una serie di condizioni, dalle ondate di calore alla siccità, dalle inondazioni sino all’aumento delle temperature, che impattano profondamente sulla vita della Terra. Dopo alcuni anni del suo fenomeno opposto, La Niña – che tende al raffreddamento (a seconda delle zone) – la scorsa estate gli scienziati avevano annunciato il ritorno di El Niño prevedendo la durata di circa un anno. Un anno in cui il fenomeno ha contribuito a pesantissime siccità (dall’America all’Africa passando per l’Europa) e record di calore superati uno dietro l’altro.

L’intervista

“L’Europa tra 50 anni sarà bollente e ancora più fragile, dobbiamo adattarci”

di Matteo Marini

08 Settembre 2023

Ora però la maggior parte degli scienziati concorda su una netta fase di indebolimento, dopo il picco raggiunto a dicembre e gennaio, e nelle prossime settimane si entrerà in una fase neutra. Poi, a partire da agosto circa, dovrebbe subentrare La Niña e ci si attende un generale abbassamento dellle temperature, anche se non è affatto per scontato dato che negli anni precedenti a El Niño, quando c’era appunto il suo opposto, non c’è stato quel contenimento termico che ci si poteva aspettare.

“Il fatto che stia finendo è noto – commenta Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr – e da agosto dovrebbe, dopo una fase neutrale, iniziare La Niña, anche se per esempio gli australiani sono ancora dubbiosi e indicano un possibile perdurare della fase neutrale”. L’ufficio meteorologico dell’emisfero sud sostiene a suo dire che non ci siano certezze sulla formazione de La Niña entro fine anno o prima, come previsto invece per esempio dal Noaa.

Crisi climatica

El Niño, gli effetti che preoccupano gli scienziati: eventi meteorologici estremi e temperature record

di Matteo Marini

15 Giugno 2023

Per l’Australia i segnali forniti dalla superficie del mare e altri indicatori oceanici mostrano che “ENSO resterà neutrale sino a luglio 2024” e non è chiaro quando subentrerà La Niña mentre per gli statunitensi c’è “una probabilità dell’85% che El Niño finisca e che il Pacifico tropicale passi a condizioni neutre entro il periodo aprile-giugno. C’è  poi una probabilità del 60% che La Niña si sviluppi entro giugno-agosto. Continuiamo ad aspettarci La Niña per l’autunno e l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale (circa l’85% di probabilità)” scrivono gli americani.

L’alternarsi delle due fasi è estremamente importante per le vite, l’economia e l’agricoltura globale, sebbene in Europa gli effetti di questo passaggio siano meno diretti. Con El Niño, ricorda Pasini, “si verificano siccità, ondate di calore in Australia e precipitazioni intense per esempio in America meridionale. Con La Niña ci si aspetta maggiore umidità e alluvioni in Australia o in certe zone dell’Asia. In generale a livello globale il passaggio a La Niña dovrebbe portare a un abbassamento delle temperature nel mondo. Il dovrebbe è d’obbligo però perché negli ultimi anni, fra i più caldi di sempre, La Niña c’è stata (in precedenza per oltre due anni, ndr) ma le temperature sono risultate comunque elevate. Quello in arrivo sarà dunque un banco di prova, anche perché attualmente ci sono molte cose che non tornano e che dobbiamo capire”.

Il riferimento è agli ultimi dieci mesi risultati estremamente bollenti a livello globale, con un trend del riscaldamento che sembra addirittura accelerato rispetto alle previsioni. “Quello che sappiamo di certo come scienziati è che il surriscaldamento globale di origine antropica e El Niño insieme hanno contribuito a questi nuovi record, ma ci sono anche altri aspetti ancora molto dibattuti nella comunità scientifica. Per esempio ci sono fattori come il surriscaldamento in Europa che potrebbe essere dovuto anche alla sottostima degli effetti di alcune leggi ambientali passate, come quelle che hanno portato a dire addio e a combattere le polveri raffreddanti, come i solfati e quei combustibili pieni di zolfo. Queste leggi attuate anni fa, che hanno tutelato in maniera importante la salute degli europei, potrebbero nel tempo aver favorito il brightening, cioè il fatto che la luce solare – senza più strati inquinanti – penetri più profondamente arrivando tutta sino al suolo che si riscalda di più riscaldando a sua volta l’atmosfera. Prima questo stato di inquinanti, nei bassi strati, in qualche modo la rifletteva all’indietro non permettendo che tutta arrivasse. Ora però le cose potrebbero essere cambiate”. Un altro fattore potrebbe essere legato all’eruzione dell’Hunga Tonga nel 2022: “Studi indicano la possibilità che il vulcano, avendo emesso molto vapore acqueo, che di fatto è un gas serra, possa aver influito”.

Secondo Pasini, se uniamo tutti questi fattori, dagli impatti di El Niño alla crisi climatica in corso sino potenzialmente agli effetti del vulcano o delle leggi, allora “in parte è comprensibile l’eccezionalità del riscaldamento degli ultimi 10 mesi, anche se secondo me potrebbero esserci altri aspetti, sfuggiti, da capire. Sicuramente, con l’arrivo de La Niña, sarà importante osservare i cambiamenti: se le temperature non dovessero abbassarsi, sarebbe un bel problema” spiega.

In attesa di comprendere come e se la formazione de La Niña potrà cambiare gli equilibri globali, il ricercatore del Cnr spiega che negli ultimi mesi un aspetto preoccupante è il fatto che “i mari si siano riscaldati molto, in particolare l’oceano Atlantico a livello tropicale. Gli oceani hanno una capacità termica alta, fanno fatica a riscaldarsi velocemente, e allora perché si è verificato tutto questo riscaldamento marino? Abbiamo innescato qualche feedback finora non considerato? Credo sia molto importante indagare: se il surriscaldamento assurdo degli ultimi dieci mesi dovesse in qualche modo stopparsi un po’ con l’addio a El Niño, allora molto probabilmente le cause sono da ricercarsi proprio in quel fenomeno iniziato un anno fa. Ma se non dovessero iniziare ad abbassarsi le temperature allora dovremmo davvero preoccuparci. Personalmente, credo e spero di non essere arrivati a un tipping point, una sorta di soglia in cui il surriscaldamento accelera a tal punto da essere estremamente complesso poter tornare indietro. Altrimenti sarebbero guai.

ARTICOLO SEGNALATO DAL FR.’. A. F.

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LA QUANTISTICA… E IL TELETRASPORTO DELLA MATERIA

LA QUANTISTICA… E IL TELETRASPORTO DELLA MATERIA

La fantascienza è ormai una realtà! 11 teletrasporto della materia, si proprio quel che avviene nella serie cinematografica di “Star Trek”, quando il capitano Kirk e i suoi uomini entrati in quella strana cabina trasparente simile a una doccia si dissolvono nel nulla per poi riapparire, nello spazio di pochi secondi altrove, è la imminente conquista della scienza.

Oggi, la scienza – ed era ora – incomincia a muoversi verso la fantascienza, confrontandosi con tematiche che seppur fantasiose, e in apparenza impossibili a realizzarsi, non vengono liquidate più come assurdità, senza alcuna prova d’ appello.

Lo scorso anno, sulla autorevole rivista “Nature” è stato pubblicato un articolo riguardo agli studi sul “teletrasporto della materia” effettuato da un gruppo di ricercatori guidato dal prof. Anton Zeilinger dell’Università di Vienna. Seguendo un analogo itinerario di ricerca, un altro gruppo di studiosi, italiano questa volta, coordinato dal prof. Francesco De Martini, è giunto alla conclusione, dimostrando sia pur in via sperimentale, che è possibile “teletrasportare” gli atomi della materia. E’ imminente, pertanto, la pubblicazione dei risultati relativi ai scienziati stiano oggi ricercando, si rende necessario fare riferimento alla peculiare proprietà della meccanica quantistica: quella cioè che consente il passaggio istantaneo di informazioni da un corpo all’ altro. La teoria quantistica, che consente di descrivere il mondo dell ‘ infinitesimo piccolo, ha radici lontane e il suo proporsi negli anni “trenta” innescò un conflitto scientifico di tale portata che i suoi sostenitori, Hesenberg, Bohr e tantissimi altri, si contrapposero a coloro che sostenevano la fisica classica, tra cui Einstein e Schrodinger. Quest’ ultimi, infatti, s ‘impegnarono non poco nel tentativo di demolire il principio dei “quanti”, pur riconoscendo la validità della nuova teoria.

Tornando al teletrasporto applicato con successo sugli atomi, è pensabile che a breve termine la sperimentazione possa, grazie a potenti calcolatori, aprire nuovi sconfinati orizzonti della scienza.

Il teletrasporto degli atomi, in verità, non può che sollecitare la realizzazione di un sogno fino ad oggi ritenuto impossibile: la scomposizione di un corpo vivente e la immediata ricomposizione in altro luogo, dello stesso corpo.

Consapevoli del prevedibile sconvolgimento del sistema preordinato delle cose che arrecherà questa straordinaria conquista, come non immaginarci, anche per un istante, quali e quanti cambiamenti potrebbero verificarsi nella quotidianità. Quale impareggiabile emozione, pensate un po’, raggiungere in attimo persone, città, continenti, senza l’utilizzo di alcun mezzo di trasporto, senza perdite inutili di tempo, di voli cancellati per scioperi o maltempo e così via. E poi, senza fatica alcuna. aver la possibilità di partecipare ad una tornata di lavori sulla Terra, oppure di una Loggia di una lontana stazione spaziale orbitante nello spazio e, al termine degli stessi, senza fare un passo, prender parte a una “Agape bianca” su una base lunare. Che dire poi di una romantica cena, ovviamente in buona compagnia, in un caratteristico ristorantino all’aperto, sul pianeta Venere, a lume di candela, e sotto le stelle del firmamento… ?

Silvio Nascimben

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LE INSIDIE DELL’ILLUSIONE

LE INSIDIE DELL’ILLUSIONE

di

Archita Gagliardi

La via spirituale, iniziatica, mistica, ermetica. esoterica, in una parola la via del risveglio è un percorso disseminato di insidie. Chi si è lanciato nella lunga alla scoperta e conquista di sé stesso rischia spesso di incontrare delle trappole che possono incastrarlo e rinchiuderlo in oscure e pericolose identificazioni. Nella sua opera, “L’ uomo perfettibile”, Robert S. de Ropp mette in risalto otto insidie corrispondenti ad otto sindromi. Vi propongo di scoprirle in voi stessi invitandovi a riconoscerle quando le incontrerete. Ma sebbene possa apparire strano, non dimenticate che queste sindromi non appartengono solo agli altri. Non dimentichiamo di guardare in noi stessi…

Prima insidia: La sindrome della parola pensata

Si presenta come una insidia raffinata e sono numerosi coloro che si lasciano prendere. Parlano dell ‘Opera e vi si riflettono, ma pensare all’Opera e parlarne non da risultato maggiore come i discorsi sull’ amore non danno la nascita ad un bambino. L’Opera esige infatti che si metta fine al dialogo interiore ma, abituati come siamo ad un incessante chiacchiera interiore. non ci sentiamo a nostro agio di fronte al silenzio. E necessario che parliamo di qualcosa a qualcuno, e se non troviamo nessuno con cui parlare ci indirizziamo a noi stessi. Questa abitudine, che consiste nel parlare dell’Opera è incoraggiata da coloro che, immaginandosi di essere sul Cammino, tendono a costituire dei gruppi. All ‘inizio questi gruppi presumono di essere utili, di permettere scambi d’ opinione, di favorire l ‘ obiettività. la sincerità e via dicendo. E raro che le raggiungano perché, nella maggior parte dei casi, i loro membri non si augurano per niente di confrontarsi alle loro debolezze.

Si proteggono contro l’eventualità di tale confronto con un complesso sistema di difesa che non hanno alcuna intenzione di sacrificare. Per aggravare ancora la situazione. coloro che dirigono questi gruppi sono molto spesso totalmente ignoranti di ogni disciplina. Quindi non sono in grado di comprendere le regole personali che reggono il comportamento dei membri del gruppo. Tra l’ignoranza del dirigente medio e il timore provato dalla maggior parte dei membri del gruppo all ‘ idea di   i propri labirinti personali, ne consegue che questi gruppi si rivelano inutili.

Seconda insidia: La sindrome del discepolo

Nello stesso modo si può parlare a tal proposito della sindrome dell ‘ammirazione sconfinata, che suppone la dedizione fanatica e la fiducia cieca suscitata da un maestro o da una dottrina.

Tale dedizione priva il discepolo di ogni discernimento e abolisce ogni capacità di ragionamento obiettivo di cui può essere dotato. Ogni emozione è incentrata sul maestro che assume agli occhi del discepolo I ‘ importanza di un dio. Il maestro non può sbagliare, i suoi insegnamenti devono essere accettati totalmente ed alla lettera. Se il maestro afferma che nel cielo ci sono due lune. esse devono esserci, anche se nessuno ha mai visto la minima traccia della seconda luna. Se il maestro dichiara che una legge cosmica trasforma i pianeti in soli ed i soli in galassie, questo dovrà essere vero, anche di fronte all’impossibilità materiale. La sindrome di ammirazione sconfinata è un‘insidia potente e temibile. è all’ origine di un gran numero di disastri che la razza umana si è inflitta. L’essere umano più pericoloso non è il ladro, né lo stupratore, né il comune assassino, ma il fanatico meravigliato che, in nome di una ideologia politica o religiosa, è disposto a sterminare tranquillamente una intera popolazione perfettamente convinto della buona fondatezza delle sue azioni. Nella maggioranza dei casi, le atrocità del XX secolo sono state commesse da individui di questo tipo, la cui capacità distruttiva pare illimitata. Sono totalmente ciechi nelle loro convinzioni, incapaci di pensare obiettivamente, avendo abolito dentro di sé ogni traccia di coscienza critica. Questi fanatici hanno due punti deboli, sono creduloni ed influenzabili. Se un giorno dovesse scoppiare la terza guerra mondiale. non sarà per maldestri errori militari o per uomini politici dalle idee confuse, ma per fanatici pronti a far saltare in aria il pianeta in nome della dottrina cui aderiscono.

Terza insidia: La sindrome del falso Messia

Questa insidia è il contrario dell’ammirazione sconfinata. Chi vi cade si sente  certo dj essere un maestro, capace di trasmettere ad altri verità certe ed essenziali al soggetto della vita spirituale. La categoria dei falsi Messia non comprende chi potrebbe definirsi un truffatore dello spirito. Quest’ultimo crea in modo totalmente deliberato. e nel suo proprio interesse. una falsa religione e spesso ne trae considerevoli vantaggi, comportandosi come un connerciante e venditore di suoni, assimilando la sua attività a una branca dell’industria dello spettacolo. Le vittime antitetiche di questa terza insidia sono effettivamente sincere. credono nel suo messaggio, spesso ha vissuto un • esperienza religiosa, talvolta è stato in India ed ha raccolto qualche idea da un guru, può essere un drogalo ed aver conosciuto quella che viene definita un’esperienza psichedelica. Si può dire che si sia accontentato di raccogliere alcune idee, raccontate qua e là e presentate sotto forma di “sistema”.

Chi cade in questa insidia è in maggior misura impegnato sulla via dell ‘ego, vuole adepti, e più sono numerosi più è felice. In questo aspetto si distingue dall’autentico Maestro che non tenta Inai di fare proselitismo. Al contrario. si sforza di scoraggiarli mettendoli in guardia contro le difficoltà del cammino. dicendo loro che è meglio restare comodamente “in sonno’ • che risvegliarsi a metà.

Altra caratteristica delle vittime della sindrome del falso Messia è che non si privano mai dei loro discepoli che sperano di vedere per sempre in stato di dipendenza. E per questo che le scuole create  dai falsi Maestri hanno un punto comune: nessuno riesce mai a prendere un diploma, nessuno può lasciare la scuola a suo piacimento. Il falso maestro fa dei suoi allievi degli schiavi. esige  obbedienza totale. scoraggia ogni pensiero ed ogni azione indipendente. Chi dovesse tentare di affrancarsi da questa schiavitù viene considerato un traditore. Il comportamento dell’autentico maestro è completamente differente. Stimola l’ allievo a costruirsi da sé. a trovare il proprio cammino, a scoprire il maestro che porta dentro sé. Non dà consigli se non quando gli sono richiesti, può presentare uno specchio ove chi vorrà vedere potrà vedere ma non forza nessuno a specchiarsi, non fa nulla per trattenere i propri allievi. se vogliono andarsene li incoraggia ad andarsene, non ci tiene a circondarsi di un gres.  e di pecore ipnotizzate che aderiscono servilmente ad ogni sua parola. cerca la liberazione non la sostituzione di una forma di schiavitù con un ‘altra. Quei giochi dell’ego non lo interessano. Che abbia uno, cento o nessun allievo. che gli importa ? L’altra caratteristica del falso maestro è la vanità, che prende forme differenti: il Maestro si veste con abbigliamenti stravaganti e si orna di titoli altisonanti. si qualifica come uomo giusto. maharishi, grande iniziato. mago. Tutti i suoi adepti devono chiamarlo Maestro e devono testimoniargli il filassimo rispetto. Il maestro autentico si comporta in modo totalmente differente. Rifiuta ogni titolo e non porta abbigliamento articolare. non pensa minimamente di incoraggiare i suoi adepti a venerarlo. ma li scandalizza volontariamente comportandosi in un modo che sembra incompatibile con lo status di Maestro. Liberato dall’ego, g1i è completamente indifferente se la gente l’ammiri o meno, in quanto non ha affatto bisogno della ammirazione altrui avendo raggiunto un livello in cui non può sentire né le lusinghe né gli insulti.

Quarta insidia: La sindrome del gruppo

Si tratta di un’insidia molto pericolosa in cui interi gruppi rischiano di cadere. Gioca un ruolo importante nell ‘Opera dell ‘illusione di cui si potrebbe dire che costituisce la chiave di volta.

La sindrome del gruppo appare quando un vero Maestro muore. Allora i suoi allievi più anziani ritengono, come gli dicevano. di continuare la sua opera. Formano quindi un gruppo e si costituiscono in gerarchia. Il rango che vi occupano non dipende dal loro livello di conoscenza personale ma dal tempo che hanno consacrato all ‘opera e dal posto più o meno vicino che occupavano presso il Maestro. Tali gerarchie hanno la tendenza a fossilizzarsi, scoraggiano l’indipendenza e la libertà di pensiero e si rinchiudono in una stretta ortodossia. Tutto quanto il Maestro ha insegnato diventa sacro, anche se si comporta platealmente con delle sciocche avances per mettere alla prova la credulità di un allievo. Ogni metodo che utilizzava il Maestro deve essere trasmesso tale e quale lui l’insegnava. I garanti dell’ortodossia” non tengono alcun conto del fatto che i tempi cambiano. che gli individui si evolvono. che i metodi che hanno veri ficato l’efficacia in dato periodo rischiano di non esserlo in un altro periodo e in altri luoghi. D’altro canto. non comprendono che, sul cammino. L’ anzianità non è sinonimo di progresso spirituale. che aver consacrato quaranta o cinquant’anni all’Opera o aver conosciuto bene un tempo il Maestro, non significa necessariamente aver conquistato la libertà. Si arriva al punto in cui i ‘veterani” dell’Opera abbiano cessato molto tempo di comprenderne le finalità, Funzionano qualche volta in modo meccanico. come  se avessero un pilota automatico, conoscono ogni slogans ed ogni tecnica omologata e possono citarle senza sforzo come se qualcuno pigiasse un bottone. Da queste cose sembrano di detenere un potere. ed i giovani che entrano nel movimento possono rischiare alla fine di essere soggetto di un vero lavaggio del cervello. Infatti. i membri più anziani si sono spesso trovati in un vicolo cieco, si sono impantanati avendo perso di vista i vari scopi dell’Opera. preoccupandosi dell’organizzazione politica del movimento: consacrano le loro energie alle piccole rivalità che esistono in tutti i gruppi. Lungi dall ‘essere dei Maestri, non sono altro che miserabili politicanti, Ci si può del resto domandare se ci sia qualcuno che. come si dice. possa continuare Opera del Maestro. L’ autentico Maestro perfeziona i suoi metodi. che sono conformi alle sue attitudini ed ai suoi interessi. Ma i “garanti dell’ortodossia” non comprendono che il metodo insegnato dal Maestro rischia di non essere adattato alle condizioni attuali. non riflettendo nemmeno se loro stessi abbiano compreso bene l’insegnamento del Maestro. La sindrome dei gruppo è tanto funesta per i discepoli quanto per i membri della gerarchia che dirigono l’organizzazione. E grave per i    perché offre loro un modo per rifugiarsi ncll ‘errore, nel nascondiglio. nel sotterfugio. nell’inganno. Solo perché sono affiliati ad un club ritengono di essere riusciti in qualcosa. pensano di essere • ‘sul cammino”. si sentono al loro posto. Se partecipano  alle riunioni del gruppo praticano gli esercizi, si sentono a loro agio. Se sono assenti per parecchio tempo si elevano nella gerarchia e diventano capi di gruppi. finiscono così con l’ immaginare di essere diventati loro stessi dei Maestri. Disgraziatamente tutte queste attività di gruppo  rischiano di diventare meccaniche, hanno pochissimo o nessun effetto su coloro che si dedicano, nello stesso modo in cui la regolare frequentazione della chiesa non ha quasi mai effetto fervore religioso. Per tali praticanti andare in chiesa è diventata un’ abitudine. Ci si va la domenica, nello stesso modo in cui il sabato sera si va al o al ristorante. E estremamente difficile sottrarsi all’ insidia ciel gruppo. sta per i membri della gerarchia che ne assicurano il funzionamento sia per i neoliti che essi sono tenuti a guidare. Vi sono molti che amano questa insidia e sono felici di starci dentro, preferiscono l’opera d’illusione all’opera reale ed amano chi dice loro cosa pensare e cosa fare, ciò che risparmia ‘ero dalla fatica di pensare da sé stessi. Talvolta capita che nell’ambito di una organizzazione moribonda appaia un autentico Maestro, dotato di un potere sufficiente per liberarsi dall’insidia ed affrancare chi ne è prigioniero presupponendone il desiderio di affrancamento. E quanto è accaduto alla Società Teosofica quando Krisnamurti. che era un autentico Maestro. ha fatto scoppiare l’organizzazione che era stata da lui (l’Ordine della Stella) messa a nudo, svelando senza pietà le false apparenze su cui si fondava questa particolare opera d’ illusione. Gli mancò molto coraggio per agire così, ma il coraggio è una delle caratteristiche dell’autentico Maestro. Essendosi lui stesso prestato a rompere gli idoli, a mettere fine ai a distruggere i sistemi di credenza già confezionati. opposto agli ortodossi e diffidente delle gerarchie, è uno spirito libero il cui solo interesse è aiutare gli altri a conquistare la libertà.

Quinta insidia: La sindrome della salvezza personale

E un’insidia raffinata e pericolosa che è stata la maledizione delle tre religioni uscite da Abramo,  Ebraismo. il Cristianesimo e l’Islam. E quella che  li ha stimolati a trasformarsi in culti della colpevolezza, dove i credenti supplicano i loro dei di perdonarli per i loro peccati e di accordare loro ciò che si designa con il termine approssimativo di salvezza. Da cosa dovrebbero essere salvati’.

Probabilmente dall’ Inferno. dalle fiamme eterne che sono uno dei modi dannosi che i preti di queste religioni inventate per le loro pecore sono molto terrificanti  per portarle dove vogliono.

La sindrome della salvezza personale  poggia  un grande errore. Chi ne è colpito immagina che l’io. o l’ego. sia condannato alla dannazione. Se va in cielo. è il suo “io’“ che salirà in Cielo, vivrà l’eternità attorniato da angeli che suonano l’arpa: se va all’inferno. fremerà e urlerà tra diavoli e le fiamme  eterne. Perciò chi è invasato da tale assurda superstizione in di un sentimento  di peccato e di colpevolezza dunque il desiderio

uori posto di accede alla salvezza individuale. . Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione. in quanto proprio l’ identificazione distrugge sempre l’opera reale per sostituirla con l’ opera dell’ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato forviato.

. Sesta insidia: La sindrome dello sforzo supremo

Si può tratteggiare questa insidia usando anche il nome di sindrome della scalata dell’Everest. Consiste nel ritenere che I ‘ opera esige degli sforzi smisurati, analoghi a quelli dell ‘ alpinista che intraprende da solo l’ ascensione della cima più elevata del mondo. L’insidia è tanto più sottile quanto l’ idea su cui poggia non è lontana dalla verità. L’ opera necessita effettivamente di sforzi considerevoli ma sono sforzi di un genere molto particolare, che esigono il mantenimento dell ‘ equilibrio e della coscienza. Possono essere assimilati più all’abilità di un funambolo o di un giocoliere che ai tentativi accaniti che si fanno serrando i denti per realizzare delle prestazioni eroiche tali come la scalata dell ‘Everest. La sindrome dello sforzo disperato poggia su una profonda incomprensione di ciò che è la natura dell ‘ opera. La vera opera consiste nella lotta contro l’ identificazione. Per identificazione si intende lo stato in cui si è interamente assorbiti da ciò che si fa, perdendo ogni coscienza obiettiva della propria esistenza. Molta gente versa in tale condizione per tutta la vita e la nostra civiltà è concepita in modo tale che si perpetua. Ogni momento siamo incitati ad identificarci in un sogno, un progetto, una fede, un gioco, un’ ambizione, un desiderio. Questa identificazione ci è talmente abituale che facciamo fatica a credere che si possa vivere diversamente. Capita spesso che gli individui s’ identifichino in ciò che credono essere l’opera, dandole inizio in uno stato drammatico e grave, ritenendo di dover fare non solo degli sforzi, ma degli sforzi disperati, non comprendendo così che l’opera è un gioco di equilibrio che deve essere agito da un cuore leggero e con senso di distacco. Per costoro l’opera si trasforma in una sorta di prova. Tale lugubre attitudine si traduce con impressioni di tensione e di disagio. Ogni al•resto nel perseguimento degli sforzi sovrumani comporta come conseguenza un senso di colpa. La colpa, a sua volta, fa nascere reazioni auto punitive, che sono state, e continuano ad essere, uno degli aspetti particolarmente odiosi della vita di certi fanatici. Si puniscono portando il cilicio, digiunando, praticando la continenza, caricandosi di catene, impedendosi di dormire, flagellandosi, ecc. ,  spesso prendono l’abitudine di punire chi non prende parte alle loro credenze. Furono proprio tali eccessi che indussero il poeta romano ad esclamare: “Tantum religio potuit suadere malorum” (Tali sono i mali cui la religione può dar vita). La sindrome dello sforzo disperato può avere un altro effetto, più sottile. Gli organizzatori dell’opera, che si lasciano frequentemente prendere da questa piaga, hanno l’abitudine di riservare un periodo finalizzato allo sforzo sovrumano. Durante tale periodo, ogni cosa è concepita per rendere l’esistenza più difficile e disagevole possibile. Viene prevista la lettura interminabile di vari libri sacri, l’intensa pratica di un difficile lavoro manuale, degli speciali esercizi che si presumono contribuire alla presa di coscienza. E possibile anche che l’ alimentazione venga ridotta al minimo, così pure il tempo concesso al sonno ed al riscaldamento in inverno, e che le condizioni di vita siano, in linea generale, difficili. La parola chiave è lo sforzo incessante senza tregua. Bisogna vincere o morire.

E possibile che chi si rende conto di essere disposto a tanto trae beneficio da tali prove.

Disgraziatamente, sono numerosi coloro che accettano tale sfida senza aver la minima idea di ciò che li spinge a farlo. La prova serve allora come scusa per la gratificazione dell’ego, si instaura uno spirito di competizione tra chi riesce a soffrire di più senza lamentarsi. I guai seri cominciano nel momento in cui termina l’orgia di sofferenza che si sono imposti. Inizia la reazione, l’energia acquisita, invece di essere utilizzata in modo costruttivo viene sperperata negli eccessi cui si aveva fatto rinunzia durante il periodo di privazione. Chi ha sofferto ritiene di aver diritto di lasciarsi andare. Non ha tentato degli sforzi eroici’? Non è, pertanto, autorizzato a rilassarsi ed a godersi la vita? Così disperde tutto ciò che si è guadagnato dedicandosi a cose futili, spesso nocive. La sindrome dello sforza supremo impedisce chi né è affetto di comprendere la natura dell’autentica opera. L’opera non è eroica e non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra’ l’avorio. Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione, in quanto proprio l’identificazione distrugge sempre l’ opera reale per sostituirla con l’ opera dell ‘ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato favorito.

Sesta insidia: La sindrome dello sforzo supremo

Si può tratteggiare questa insidia usando anche il nome di sindrome della scalata dell’Everest. Consiste nel ritenere che I ‘ opera esige degli sforzi smisurati, analoghi a quelli dell ‘ alpinista che intraprende da solo l’ ascensione della cima più elevata del mondo. L’insidia è tanto più sottile quanto l’ idea su cui poggia non è lontana dalla verità. L’ opera necessita effettivamente di sforzi considerevoli ma sono sforzi di un genere molto particolare, che esigono il mantenimento dell ‘ equilibrio e della coscienza. Possono essere assimilati più all’abilità di un funambolo o di un giocoliere che ai tentativi accaniti che si fanno serrando i denti per realizzare delle prestazioni eroiche tali come la scalata dell ‘Everest. La sindrome dello sforzo disperato poggia su una profonda incomprensione di ciò che è la natura dell ‘ opera. La vera opera consiste nella lotta contro l’ identificazione. Per identificazione si intende lo stato in cui si è interamente assorbiti da ciò che si fa, perdendo ogni coscienza obiettiva della propria esistenza. Molta gente versa in tale condizione per tutta la vita e la nostra civiltà è concepita in modo tale che si perpetua. Ogni momento siamo incitati ad identificarci in un sogno, un progetto, una fede, un gioco, un’ ambizione, un desiderio. Questa identificazione ci è talmente abituale che facciamo fatica a credere che si possa vivere diversamente. Capita spesso che gli individui s’ identifichino in ciò che credono essere l’opera, dandole inizio in uno stato drammatico e grave, ritenendo di dover fare non solo degli sforzi, ma degli sforzi disperati, non comprendendo così che l’opera è un gioco di equilibrio che deve essere agito da un cuore leggero e con senso di distacco. Per costoro l’opera si trasforma in una sorta di prova. Tale lugubre attitudine si traduce con impressioni di tensione e di disagio. Ogni al•resto nel perseguimento degli sforzi sovrumani comporta come conseguenza un senso di colpa. La colpa, a sua volta, fa nascere reazioni auto punitive, che sono state, e continuano ad essere, uno degli aspetti particolarmente odiosi della vita di certi fanatici. Si puniscono portando il cilicio, digiunando, praticando la continenza, caricandosi di catene, impedendosi di dormire, flagellandosi, ecc. ,  spesso prendono l’abitudine di punire chi non prende parte alle loro credenze. Furono proprio tali eccessi che indussero il poeta romano ad esclamare: “Tantum religio potuit suadere malorum” (Tali sono i mali cui la religione può dar vita). La sindrome dello sforzo disperato può avere un altro effetto, più sottile. Gli organizzatori dell’opera, che si lasciano frequentemente prendere da questa piaga, hanno l’abitudine di riservare un periodo finalizzato allo sforzo sovrumano. Durante tale periodo, ogni cosa è concepita per rendere l’esistenza più difficile e disagevole possibile. Viene prevista la lettura interminabile di vari libri sacri, l’intensa pratica di un difficile lavoro manuale, degli speciali esercizi che si presumono contribuire alla presa di coscienza. E possibile anche che l’ alimentazione venga ridotta al minimo, così pure il tempo concesso al sonno ed al riscaldamento in inverno, e che le condizioni di vita siano, in linea generale, difficili. La parola chiave è lo sforzo incessante senza tregua. Bisogna vincere o morire.

E possibile che chi si rende conto di essere disposto a tanto trae beneficio da tali prove.

Disgraziatamente, sono numerosi coloro che accettano tale sfida senza aver la minima idea di ciò che li spinge a farlo. La prova serve allora come scusa per la gratificazione dell’ego, si instaura uno spirito di competizione tra chi riesce a soffrire di più senza lamentarsi. I guai seri cominciano nel momento in cui termina l’orgia di sofferenza che si sono imposti. Inizia la reazione, l’energia acquisita, invece di essere utilizzata in modo costruttivo viene sperperata negli eccessi cui si aveva fatto rinunzia durante il periodo di privazione. Chi ha sofferto ritiene di aver diritto di lasciarsi andare. Non ha tentato degli sforzi eroici’? Non è, pertanto, autorizzato a rilassarsi ed a godersi la vita? Così disperde tutto ciò che si è guadagnato dedicandosi a cose futili, spesso nocive. La sindrome dello sforza supremo impedisce chi né è affetto di comprendere la natura dell’autentica opera. L’opera non è eroica e non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra  non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra, o l ‘ avorio. Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà o necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione, in quanto proprio l’ identificazione distrugge sempre l’ opera reale per sostituirla con l’ opera dell’ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato forviato.

Settima insidia: La sindrome del ritualismo

E una delle insidie più evidenti ed ha qualche somiglianza con la sindrome del gruppo.

Chi cade in questa trappola perde di vista il suo vero obiettivo. Invece di lavorare su sé stesso si contenta di assistere regolarmente alle riunioni del gruppo, agisce meccanicamente andando avanti con la forza dell ‘ abitudine, maturando l’ impressione di appartenere ad un gruppo e la certezza di essere realmente impegnato nel Cammino; durante le riunioni compie ogni gesto previsto, fa qualche osservazione, ascolta le conferenze, le letture, e così di seguito, ma una volta terminata la riunione dimentica l’opera. Per tale soggetto l’opera è diventata una manifestazione della sua personalità, manifestando un comportamento completamente ipocrita. Può darsi che una volta abbia avuto un senso, ma da molto tempo ha perso contatto con la realtà. Il suo lavoro poggia su un’illusione pura e semplice. è il prodotto del meccanismo che funziona senza pausa nel cervello umano per creare l’ illusione.

Ottava insidia: La sindrome della ricerca del Maestro

Si manifesta come una insidia molto riconoscibile. Chi ne è vittima passa la propria vita passando da maestro a maestro, chiedendo a ciascuno di loro di rivelargli i segreti dell’opera, non potendo o non volendo comprendere che non esistono segreti da rivelare. I segreti dell’opera sanno proteggersi, non possono essere scoperti che con la pratica tesa a raggiungere un certo livello d’ intensità e di continuità prima che il segreto possa essere scoperto. Chi cade nella insidia della ricerca del maestro non ha alcuna intenzione di lavorare intensamente e costantemente.

Aspetta che tutto gli sia servito su un piatto, se l’opera non gli si è presentata in questo modo ne deduce che il maestro è un impostore e se ne va alla ricerca di un altro. La sua ricerca non ha mai termine se non con la morte, per la semplice ragione che non vuole che abbia un esito.

Per questo soggetto la ricerca è diventata un gioco in sé. Da molto tempo ha dimenticato cosa cercava.•

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IL CULTO

IL CULTO

di

Anna Maria Tun:i Sisto

1 700 anni prima della nascita di Cristo. agli inizi della media età del Bronzo. una popolazione indigena stabilita nel Tavoliere pugliese a poca distanza dal fiume Ofanto costruì numerosi ipogei edifici sotterranei che vennero frequentati come luoghi di culto.

Questa parte del Tavoliere costituiva a quel tempo un habitat ideale per la vita umana, ricco di vegetazione boschiva, selvaggina e acqua, prossimo alla costa e ai vivaci approdi frequentati dai navigatori micenei.

La natura del sottosuolo favoriva la realizzazione di queste imponenti strutture per la conformazione della roccia calcarea. chiamata dai contadini “crusta”: essa è infatti particolarmente tenera e dunque agevolmente scavabile. sia pure a mano e con l’ausilio di piccozze ed altri attrezzi in pietra.

Nelle contrade di Terra di Corte, nei pressi della cittadina di San Ferdinando di Puglia e Madonna di Loreto, alle porte di Trinitapoli dal 1987 ad oggi sono stati scoperti dodici ipogei, quattro dei quali esplorati. ma eloquenti tracce sul terreno rivelano che il loro numero è destinato ad aumentare.

L’architettura ipogeica, che ricorda in qualche modo strutture micenee realizzate in Grecia nello stesso periodo, si basa su precise e complesse norme che si ripetono costantemente, con differenze legate essenzialmente alle dimensioni e alla forma della pianta. L’accesso è costituito da un dronzos, stretta e rapida rampa a cielo aperto proporzionata in lunghezza alle dimensioni dell’ambiente principale. a cui segue uno stretto corridoio sotterraneo detto stornion, con la volta terminante con un inconfondibile particolare a forma di cupoletta apicale.

La grande sala principale presenta al centro della volta un” apertura circolare per l’aerazione e la fuoruscita del fumo.

Gli ipogei del Tavoliere erano dei templi sotterranei in cui si svolgevano suggestivi riti di carattere propiziatorio, probabilmente collegati alla caccia e alla fertilità del raccolto, come sembra dimostrare la frequente presenza di palchi di cervo e di offerte di animali (cinghiali e maialini da latte).

La chiusura (col conseguente abbandono) di un ipogeo coincide con la pratica più solenne del rituale, tesa ad impedire in futuro ad altri la violazione delle strutture. A tale scopo il dromos veniva accuratamente interrato e poi sigillato con poderosi filari di grandi pietre, una delle quali al termine della procedura di chiusura veniva infissa verticalmente con funzione di sema, ossia di segnacolo. Nel corso del riempimento venivano deposte numerose offerte, si consumavano pasti rituali e libagioni e si rompevano di proposito dopo l’uso le stoviglie adoperate.

La più singolare tra le cerimonie legate all’abbandono è la “semina” di isolate parti di corpi umani che venivano deposte a varie quote durante la procedura di colmatura. con particolare enfasi per quelle considerate “nobili” come il cranio e la mandibola.

Non conosciamo molto del popolo che realizzò gli ipogei del Tavoliere e a Terra di Corte e a Madonna di Loreto sembrano mancare tracce riferibili a grandi abitati ricollegabili alla loro presenza.

In ogni caso. il numero elevato di strutture ipogeiche e le modalità di costruzione comportarono un massiccio impiego di forza-lavoro c labilità di maestranze specializzate, propri di un’ organizzazione collettiva difficilmente compatibile con le risorse umane di un singolo villayio.

E’ perciò possibile che entrambe le località costituissero una sorta di area sacra che attirava i fedeli che vi si recavano per soddisfare esigenze connesse al sacro.

L’ esposizione itinerante, già allestita a Manfredonia, Bari e Trinitapoli, viene riproposta a Toma in una versione ampliata con l’ aggiunta di nuove strutture recentemente scoperte. ln particolare, è di grande suggestione l’angolo dedicato ad una sepoltura femminile di alto rango, la Signora delle Ambre. il cui corredo funerario ne rivela l’ importanza e il ruolo rivestito.• (Anna Maria Tun:i Sislo – Curatrice della mostra)

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IL RITO DEL FUOCO

IL RITO DEL FUOCO

di

Alfredo Di Prinzio

Da cacciatore di selvaggina, mi convertii a cacciatore di immagini della Natura.

Ad ogni week-end che si rispetti, preparo i miei attrezzi otografici e, secondo un rito ormai consolidato, m’incammino tra i boschi per scoprire i segreti della Natura.

Quella domenica, era il 21 marzo, mentre camminavo tra gli alberi, qualcosa mi diceva che avrei fatto, quel giorno, delle fotografie inconsuete. E così fu. Mi trovai, ad un tratto, in mezzo ad una radura di forma circolare: un cerchio perfetto entro il quale non cresceva nulla. C’era solo terra. così piatta da sembrare battuta o calpestata.

Il cerchio era delimitato da un cordone   di pietre levigate perfettamente. Le pietre erano 72 in tutto. Le avevo contate, ed al centro del cerchio vi era una roccia, anch’essa piatta e squadrata, di media dimensione. L’oriente era segnato con un piccolo masso, mentre ad occidente si apliva un sentiero stretto e lungo che portava nel folto del bosco.

Non c’era alcun dubbio che tutto quello fosse opera umana: il luogo, mi attirava e m’ intimoriva al tempo stesso.

Solo quando la luce s’affievolì, scomparendo tutto d’un tratto per lasciare il posto alle tenebre della notte, m’ accorsi del tempo trascorso. Alzando lo sguardo. notai come la volta stellata, spuntando tra le cime degli alberi, sembrasse come una specie di tetto per quell’edificio naturale. Ma la cosa più sorprendente fu il cambiamento che avvenne all’interno della radura: alla luce delle stelle, sembrava che tutto fosse vellutato. Poi. udii il silenzio che avvolgeva la radura: tutti gli animali. grandi e piccoli. si erano zittiti di colpo nell’attesa di qualcosa.

Il mio istinto di cacciatore mi consigliò di trovarmi al più presto un nascondiglio. Così feci. Mi nascosi tra i rami di un albero, in modo da poter osservare tutta la radura.

Passarono attimi che mi sembrarono eterni. ed alla fine qualcosa successe: due fanciulle bellissime, vestite di bianche tuniche, incoronate da ghirlande fiorite. entrarono nel cerchio.

Preparai la macchina tOtogratica, montando un teleobiettivo potente. e riinasi nell’ attesa. Le seguii con lo sguardo, senza perdere nemmeno uno dei loro aggraziati movimenti: si muovevano così dolcemente da sembrare sospese nell’ aria, mentre collocavano strani oggetti certamente necessari per officiare un rito.

Le due fanciulle, ad un certo punto, disposero sulla bianca pietra centrale un mantello bianco dai bordi rossi e, su di esso, al centro, un gran vassoio dorato in cui erano disposti dei piccoli tronchetti di legno e un incensiere acceso. Immediatamente dopo, esse versarono qualcosa che non riuscii a distinguere, e dall’incensiere si sprigionò un fumo bianco e profumato. Entrambe, una dietro l’altra, girarono attorno al cerchio reggendo l’incensiere. formando un anello di fumo che presto si alzò fino alle stelle. Fu allora che m ‘accorsi .della luce che andava diffondendosi nell’ ambiente circostante. nonostante le tenebre della notte. Era verdastra quella luce.

ottima per scattare fotografie, e così mi accinsi a scattare le prime immagini. ln un attimo le fanciulle scomparvero e, malgrado scrutassi attentamente la radura, della loro presenza non rimase alcuna traccia. Frattanto, sentii provenire dal profondo del bosco una dolce cantilena che andava sempre più aumentando con trascorrere del tempo, finche una fila di personaggi, con strani copricapo, tutti vestiti di bianco, spuntò dal sentiero d’ occidente. Le lunghe e candide tuniche bianche conferivano ai loro movimenti la stessa leggerezza e la grazia che avevano contraddistinto le fanciulle che li avevano preceduti. Essi, sembravano galleggiare, sospesi nel vuoto, a pochi centimetri dal suolo. Notai che essi – erano in tutto 72 – procedevano in fila, secondo l ‘ età, e l’ ultimo, doveva certamente essere il più vecchio.

Dopo aver completata, in processione, la rotazione del cerchio, si sedettero uno dopo l’altro e l’ultimo, il più vecchio, sulla pietra che segnava l’oriente. M’ accorsi, subito dopo, che ricomparvero le due angeliche fanciulle: la prima, seduta accanto al vecchio, ad oriente, e l’altra ad occidente. Entrambe, impugnavano un regolo.

Ad un certo momento, un vecchio mezzo curvo accese tre candelotti disposti a triangolo al centro del cerchio, che prima non avevo notato. Completato il rituale dell’accensione, tutti si alzarono in piedi ed iniziò, tra loro, un intenso dialogo.

Parlavano una lingua sconosciuta, e per quanto ce la misi tutta per capire quel che si dicevano, non riuscii a comprendere una sola parola. Scattai quante più foto potei, cercando di non perdere niente. Ad un tratto, il vecchio si alzò dal suo scranno di pietra e, avvicinatosi al centro, appiccò alla pila di tronchetti posti sul vassoio dorato, sulla pila centrale. Tutti si alzarono, e potei così vedere i loro volti illuminati dal fuoco. Ero veramente emozionato. anche perché non riuscivo a spiegarmi come mai un evento così eccezionale fosse capitato a me.

Il vecchio intonò, alzando le mani al cielo, e sempre davanti al fuoco, un canto melodioso in quel linguaggio alieno. Guardando il volto bello del vecchio, la cui l’età era pari al suo linguaggio, avvertii un ‘ accelerazione del flusso sanguigno sentendomi pervaso da un ‘emozione sempre più crescente. Il fuoco sembrava danzasse, seguendo intelligentemente la melodia, e creando bizzarre ed ipnotiche figure. Rispondendo ad un segnale convenuto, tutti si avvicinarono al fuoco ed ognuno, a turno, prese una fiammella ponendosela sul capo. Calò il buio, e nell’ oscurità vidi chiaramente risplendere le settantadue fiammelle che, muovendosi quasi danzando, disegnavano strane geometrie.

Non so per quanto tempo, rimasi stupito ed incantato dalla magnificenza di quello spettacolo, tanto, però, da non accorgermi che il cerchio era tornato nuovamente vuoto. Solo una lieve penombra era rimasta a testimoniare la luce di poco prima. Ci vedevo appena e, per paura, continuai a guardare ed aspettare. Trascorse molto tempo, prima che mi decidessi a scendere dal mio osservatorio, per fuggire serrando ben stretta la macchina fotografica col prezioso rullino.

Raggiunsi la macchina, avviandomi verso casa pregustando lo sviluppo delle foto che avevo fatto. Freneticamente avviai tutte le procedure per lo sviluppo dei negativi. Li sviluppai e.. .con gran sorpresa, m’ accorsi che nulla di quanto avevo visto era rimasto impressionato. Era come se avessi scattato delle foto al buio.

Mi domandai, allora. se tutto quanto avevo vissuto non era stato un sogno. Risalii sull’auto e ritornai verso il bosco. Dopo averla parcheggiata, rifeci a piedi il tratto già percorso, fino all’osservatorio da cui avevo seguito lo strano rituale. Nel bosco, non v’era più traccia della radura, né tantomeno del cerchio, e di quegli strani esseri che prima l’avevano popolata. . ..

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CASTEL DEL MONTE:

CASTEL DEL MONTE:

“COSMICUM TEMPLUM Dl FEDERICO 11 Dl SVEVIA”

di

Vincenzo Dell’Aere

Già da lontano lo si scorge indorato dai raggi del sole con la sua misteriosa forma ottagonale arroccato sulla Murgia a quasi 600 metri di altezza. Il” faro di Puglia” ha sfidato il tempo per tramandarci la Conoscenza di Federico II, per vegliare sugli uomini, per ribadire il “Verbo Superior” dello “Stupor Mundi”, Ogni volta che supero il portale di ingresso è come se fosse la prima volta e nel ripercorrere il viaggio iniziatico le mie membra si rigenerano, avverto la necessità di continuare la ricerca per me e per tutti quei fratelli che ancora oggi credono fermamente nel messaggio universale di fratellanza lanciato dall’Imperatore in occasione della “Pactio Secreta”

E’ bene ricordare che fino a qualche anno fa esisteva una gran confusione circa la destinazione d’uso originaria dell’enigmatico maniero, ma Castel del Monte è il Tempio. Al suo interno. in una sorta di caccia al tesoro interattivo, possiamo “riscoprire” i messaggi cifrati fatti incidere da Federico sulle nuda mura. Messaggi occultati per secoli da policromi marmi ancorati alle pareti da “grappe” in piombo. a partire dal tardo ‘400, che qualche “profano prezzolato” ha cercato di distruggere, dissimulando la “Verità”. Ma la “damnatio memoria” nulla ha potuto contro la consapevolezza di chi ha voluto perpetuare il pensiero del “Gran Maestro” squarciando il buio della fumosa ignoranza clericale ed a dispetto di chi, mettendosi al suo servizio, non ha potuto fare altro che assistere passivo a ciò che il “Grande Architetto” aveva già tracciato per la futura umanità: il sentiero della Conoscenza. Il “Cesare” Federico, che era il vero sovrano del mondo, si mise a scrutare i misteri dei cieli ed a penetrare nei segreti della natura e venendo a conoscenza di qualcosa di straordinario c potente ne celò il segreto nel suo Castel del Monte, costruito secondo l ‘ architettura egizia e del Tempio di Salomone conformemente alle quattro misure chiave: 60 — 30 — 20 — 12 cubiti. E per far si che questo “sapere” non andasse irrimediabilmente perduto lo portò a conoscenza dei Templari, dei Cavalieri Teutonici, dei Fàlas saraceni e dei Batinyah, dei quali forse per questo motivo la “Chiesa” ne determinò la sistematica distruzione onde evitare la divulgazione di scienze, che a suo parere, potevano influenzare non poco “le anime e le menti” degli uomini. Ma Federico sotto il suo verde manto (khidr) volle che “il segreto velato in un segreto” fosse perpetuato anche attraverso altri “siti sacri”, sedi di potenti omphalos, da lui “scelti” personalmente come la Basilica di San Nicola o la chiesa di Sovereto. Certo è che l’ Imperatore svevo, consapevole dell ‘imminente attentato che Innocenzo IV aveva ordito a suo danno, aveva già preso le dovute precauzioni non per salvare la sua vita bensì per “custodire” ciò che aveva scoperto. Ma ben sappiamo che a quel tempo la regola o la formula scritta esisteva soltanto in pochi esemplari.

E allora cosa escogitò il “Puer Apuliae” per tramandare il “grande segreto”?

Semplicemente ciò che né l’uomo e né il tempo avrebbero completamente potuto distruggere: il libro di pietra Castel del Monte. Ecco che ritorniamo all’ origine delle cose: i criptogrammi. le chiavi di volta, i simboli celati nelle superstiti sculture come quella posta sopra la porta di destra del cortile ottagonale. Il rilievo statutario rappresenta un cavaliere, del quale è rimasto purtroppo solo il torso, con il braccio destro  piegato che presumibilmente doveva reggere un “oggetto” orinai “distrutto”. Lo stesso dicasi di quel che rimane del bassorilievo di fattura classica situato sulla parte alta della parete nord-est che rappresentava originariamente  un  “drappello di cavalieri” che trasportavano qualcosa di importante.

Ancora oggi è oggetto di studio da parte mia l’enigmatico criptogramma inciso a sinistra del rettangolo che troviamo di fronte alla “sala del trono”. Ma dell’altro. Nella “torre del tempo” (denominata allegramente da alcuni “studiosi di spessore” “torre del falconiere”) è ancora oggi visibile il muro superstite di un “tempietto isideo” sul quale sorgeva il volto di Federico II, distrutto in seguito dagli Angioini. Non va nemmeno trascurata una “misteriosa” prova alchemica le cui tracce sono visibili su di un muretto, coevo alla costruzione, posto sul lato destro della finestra di una delle sale del primo piano. Lo stesso “metodo” è stato adottato per incidere le “sfere celesti” sui gradini che portano dal pianterreno alla 3 0 torre. Per l’occasione tu adoperata una forte energia (la saetta di Ammon) o un micidiale liquido (la “saliva del serpente’ )’? Cosa dire dei particolari “campi magnetici” che. in alcune torri ormai chiuse al pubblico. mettono in tilt macchine fotografiche e videocamere lasciando alquanto “perplessi” i malcapitati turisti di turno? Cosa dire poi della “misteriosa musica” che è udibile e registrabile prevalentemente in occasione di ogni solstizio d’estate? Così il Tempio di Federico diviene “l’ottava” che aziona, fino alla trasmutazione completa. “l’harmonia mundi”

Il 29 e 30 maggio ho avuto la graditissima occasione di accompagnare un cospicuo numero di ‘amici” nella visita di Castel del Monte, della chiesa di Sovereto e della Basilica di San Nicola.

La sera del sabato si è tenuta in Villa Romanazzi Carducci una cena medievale con originali ricette fedeliciane innaffiate dal buon “octagone” o vino dell’Imperatore. Hanno fatto da cornice alla splendida serata I ‘esibizione di giocolieri, mangiafuoco. trampolieri, musici con strumenti originali ed un avvenente danzatrice del ventre di origine saracena proveniente dalla vicina Lucera. tutti rigorosamente in costumi d’epoca.

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CASTEL DEL MONTE:

“COSMICUM TEMPLUM Dl FEDERICO 11 Dl SVEVIA”

di

Vincenzo Dell’Aere

Già da lontano lo si scorge indorato dai raggi del sole con la sua misteriosa forma ottagonale arroccato sulla Murgia a quasi 600 metri di altezza. Il” faro di Puglia” ha sfidato il tempo per tramandarci la Conoscenza di Federico II, per vegliare sugli uomini, per ribadire il “Verbo Superior” dello “Stupor Mundi”, Ogni volta che supero il portale di ingresso è come se fosse la prima volta e nel ripercorrere il viaggio iniziatico le mie membra si rigenerano, avverto la necessità di continuare la ricerca per me e per tutti quei fratelli che ancora oggi credono fermamente nel messaggio universale di fratellanza lanciato dall’Imperatore in occasione della “Pactio Secreta”

E’ bene ricordare che fino a qualche anno fa esisteva una gran confusione circa la destinazione d’uso originaria dell’enigmatico maniero, ma Castel del Monte è il Tempio. Al suo interno. in una sorta di caccia al tesoro interattivo, possiamo “riscoprire” i messaggi cifrati fatti incidere da Federico sulle nuda mura. Messaggi occultati per secoli da policromi marmi ancorati alle pareti da “grappe” in piombo. a partire dal tardo ‘400, che qualche “profano prezzolato” ha cercato di distruggere, dissimulando la “Verità”. Ma la “damnatio memoria” nulla ha potuto contro la consapevolezza di chi ha voluto perpetuare il pensiero del “Gran Maestro” squarciando il buio della fumosa ignoranza clericale ed a dispetto di chi, mettendosi al suo servizio, non ha potuto fare altro che assistere passivo a ciò che il “Grande Architetto” aveva già tracciato per la futura umanità: il sentiero della Conoscenza. Il “Cesare” Federico, che era il vero sovrano del mondo, si mise a scrutare i misteri dei cieli ed a penetrare nei segreti della natura e venendo a conoscenza di qualcosa di straordinario c potente ne celò il segreto nel suo Castel del Monte, costruito secondo l ‘ architettura egizia e del Tempio di Salomone conformemente alle quattro misure chiave: 60 — 30 — 20 — 12 cubiti. E per far si che questo “sapere” non andasse irrimediabilmente perduto lo portò a conoscenza dei Templari, dei Cavalieri Teutonici, dei Fàlas saraceni e dei Batinyah, dei quali forse per questo motivo la “Chiesa” ne determinò la sistematica distruzione onde evitare la divulgazione di scienze, che a suo parere, potevano influenzare non poco “le anime e le menti” degli uomini. Ma Federico sotto il suo verde manto (khidr) volle che “il segreto velato in un segreto” fosse perpetuato anche attraverso altri “siti sacri”, sedi di potenti omphalos, da lui “scelti” personalmente come la Basilica di San Nicola o la chiesa di Sovereto. Certo è che l’ Imperatore svevo, consapevole dell ‘imminente attentato che Innocenzo IV aveva ordito a suo danno, aveva già preso le dovute precauzioni non per salvare la sua vita bensì per “custodire” ciò che aveva scoperto. Ma ben sappiamo che a quel tempo la regola o la formula scritta esisteva soltanto in pochi esemplari.

E allora cosa escogitò il “Puer Apuliae” per tramandare il “grande segreto”?

Semplicemente ciò che né l’uomo e né il tempo avrebbero completamente potuto distruggere: il libro di pietra Castel del Monte. Ecco che ritorniamo all’ origine delle cose: i criptogrammi. le chiavi di volta, i simboli celati nelle superstiti sculture come quella posta sopra la porta di destra del cortile ottagonale. Il rilievo statutario rappresenta un cavaliere, del quale è rimasto purtroppo solo il torso, con il braccio destro  piegato che presumibilmente doveva reggere un “oggetto” orinai “distrutto”. Lo stesso dicasi di quel che rimane del bassorilievo di fattura classica situato sulla parte alta della parete nord-est che rappresentava originariamente  un  “drappello di cavalieri” che trasportavano qualcosa di importante.

Ancora oggi è oggetto di studio da parte mia l’enigmatico criptogramma inciso a sinistra del rettangolo che troviamo di fronte alla “sala del trono”. Ma dell’altro. Nella “torre del tempo” (denominata allegramente da alcuni “studiosi di spessore” “torre del falconiere”) è ancora oggi visibile il muro superstite di un “tempietto isideo” sul quale sorgeva il volto di Federico II, distrutto in seguito dagli Angioini. Non va nemmeno trascurata una “misteriosa” prova alchemica le cui tracce sono visibili su di un muretto, coevo alla costruzione, posto sul lato destro della finestra di una delle sale del primo piano. Lo stesso “metodo” è stato adottato per incidere le “sfere celesti” sui gradini che portano dal pianterreno alla 3 0 torre. Per l’occasione tu adoperata una forte energia (la saetta di Ammon) o un micidiale liquido (la “saliva del serpente’ )’? Cosa dire dei particolari “campi magnetici” che. in alcune torri ormai chiuse al pubblico. mettono in tilt macchine fotografiche e videocamere lasciando alquanto “perplessi” i malcapitati turisti di turno? Cosa dire poi della “misteriosa musica” che è udibile e registrabile prevalentemente in occasione di ogni solstizio d’estate? Così il Tempio di Federico diviene “l’ottava” che aziona, fino alla trasmutazione completa. “l’harmonia mundi”

Il 29 e 30 maggio ho avuto la graditissima occasione di accompagnare un cospicuo numero di ‘amici” nella visita di Castel del Monte, della chiesa di Sovereto e della Basilica di San Nicola.

La sera del sabato si è tenuta in Villa Romanazzi Carducci una cena medievale con originali ricette fedeliciane innaffiate dal buon “octagone” o vino dell’Imperatore. Hanno fatto da cornice alla splendida serata I ‘esibizione di giocolieri, mangiafuoco. trampolieri, musici con strumenti originali ed un avvenente danzatrice del ventre di origine saracena proveniente dalla vicina Lucera. tutti rigorosamente in costumi d’epoca.

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LA DAUNIA PRIMA DEI DAUNI

LA DAUNIA PRIMA DEI DAUNI

IDENTIKIT Dl UN POPOLO MISTERIOSO

Pino Bruno

II viaggio che vi proponiamo comincia più o meno millecinquecento anni prima di Cristo nel territorio che oggi è compreso tra il promontorio del Gargano, il Subappennino Dauno e il Tavoliere di Puglia. Una zona coperta allora di fitti boschi. a cui si alternavano gli appezzamenti strappati alla foresta e resi coltivabili, grazie anche alle numerose sorgenti per l’ approvigionamento idrico. Il clima era temperato e continentale. A quei tempi il fiume Ofanto era un grande collettore di acqua. Il suo corso era navigabile e al suo sbocco in Adriatico c’era un fitto sistema di lagune e saline, insomma, condizioni particolarmente favorevoli agli insediamenti umani.

E’ nel territorio appena descritto che incontriamo il popolo degli ipogei raccontato in questa mostra. Archeologi ed antropologi affidano alla nostra conoscenza una civiltà dedita ad un’ agricoltura evoluta e alla caccia, con una sua struttura sociale in transizione, ben organizzata. come confermano alcuni indicatori di ruolo e di rango ritrovati nelle sepolture. Un popolo che conosceva l’arte della guerra e, quasi certamente, l’uso delle tecniche per imbrigliare i cavalli e della costruzione del carro leggero. Una civiltà che aveva perfezionato l’arte della ceramica e della tessitura e si era aperta a fitti scambi culturali e commerciali con i popoli dell’ Egeo e dell ‘ altra sponda dell’ Adriatico.

Tra le tante tracce che i detective dell antico hanno portato alla luce ci sono vasti magazzini per conservare derrate alimentari di pregio, quali vino e olio, segno di intensi traffici con i navigatori micenei. Un popolo. infine, che aveva sviluppato nel sottosuolo un profondo e, per molti versi ancora indecifrabile, rapporto religioso con le divinità della natura. con i sacrifici rituali ed i cicli naturali della morte e della rinascita. Particolarmente intenso il culto degli antenati. come attesta, negli ipogei funerari, la mancata mozione delle sepolture più antiche. La costruzione degli ipogei conferma I ‘ esistenza di un ‘ organizzazione sociale estesa a più villaggi vicini. per l’impegno massiccio di manodopera e di strumenti di lavoro.

Facciamo allora uno sforzo d’immaginazione e pensiamo a questi uomini, a queste donne che gli esperti ci dicono essere alti tra i 171 – 172 centimetri – gli uomini – e 158 – 159 – le donne.

Un popolo, dicevamo, che è riuscito ad evolversi anche grazie al mix di fattori genetici e ambientali particolarmente favorevoli. Alimentazione sana, ricca di fibre. con ridotto consumo di carboidrati e zuccheri semplici: le malattie dentarie attecchivano con difficoltà e le popolazioni della Daunia avevano una bocca certamente più sana rispetto a quelle dell’ Egeo.

Uomini ambidestri o addirittura mancini, che facevano uso di giavellotti o arpioni. alcuni di loro fondisti impegnati in intensi allenamenti. Uomini che cacciavano o coltivavano la terra o realizzavano pregevoli manufatti in ceramica o gioielli in ambra, faïence e pasta di vetro. Uomini che avevano ideato rasoi a doppia lama con manico a giorno, sorprendentemente attuali. Uomini che sapevano come difendere il territorio dai nemici: abbiamo testimonianze di una guerra o di una battaglia particolarmente cruenta, per un improvviso aumento di morti in età adulta. sepolti con pugnali e spade in bronzo. E queste donne dallo stile di vita più sedentario, che filavano e tessevano. Ecco, tra loro, la Signora delle Ambre, con il suo ricco corredo funerario di collane, anelli e orecchini. Una donna elegante e raffinata. Una signora di rango. L’ambra, a quell’epoca, aveva la stessa valenza che oggi ha l’oro per noi. Questa rara resina fossile veniva dal nord Europa. Dai paesi che si affacciano sul Baltico. In tempi di commercio elettronico e shopping on line, le distanze ci fanno sorridere. Ma se seguiamo sulla carta geografica il percorso che dal Baltico porta fino al basso Adriatico la via dell’ambra – possiamo figurarci la complessità di tale operazione commerciale. il lungo viaggio attraverso il reticolo di vie d’ acqua che caratterizzava l’ Europa centrale. D’ altronde la presenza dell’ avorio e della pasta vitrea fa pensare ad un’ altra rotta di scambio. quella verso il Mediterraneo orientale.

Cultura, commercio e -perché no – anche scambi genetici con le popolazioni egee e dalmate. L’archeologia e l’ antropologia ci confermano che per la Puglia i rapporti con l’ altra sponda dell’ Adriatico e con il Levante non sono storia degli ultimi anni. E semmai la cronaca ad avere la memoria cotta, se continua a stupirsi e ad allarmarsi per le migrazioni periodiche. più o meno di massa, che caratterizzano i drammatici avvenimenti sociali e politici dei Balcani. Dal popolo degli ipogei della Daunia possiamo ricevere una lezione di storia. E di civiltà.

(Pino Bruno – Giornalista Rai)

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AMICIZIA E MASSONERIA

AMICIZIA E MASSONERIA

di

Baldo Conti

Quella che gli uomini hanno chiamato amicizia non è altro

che un’alleanza, una reciproca cura d’ interessi ed uno

scambio di servigi: insomma, una relazione in cui

I ‘egoismo si prefigge sempre qualche utile.

(Francois de la Rochefoucauld, 1613-1680)

Introduzione

Innanzi tutto occorre definire, come sempre, il soggetto del nostro tema e quindi cosa sia quest’ amicizia, dando ovviamente per scontato che per noi non sia necessario stabilire il significato da attribuire alla Massoneria. Essa, l’ amicizia, può essere considerata, a grandi linee, nel suo significato più corrente e tanto per mettere un punto fermo — quel sentimento affettivo che unisce reciprocamente una o più persone in modo “disinteressato”. Tra l’ altro, sarà da verificare se questa definizione è da considerare proprio esatta nei suoi termini, oppure no.

Stabilita più o meno la definizione del concetto, dobbiamo subito ammettere che, da un punto di vista strettamente operativo, non è facile la realizzazione di un duraturo e stabile rapporto amichevole anche tra due sole persone. un po’ per la vita frenetica o comunque abbastanza di tutti i giorni. che ci impegna sicuramente più del necessario e poi, diciamolo pure, anche per la pigrizia, il rilassamento e forse l’immobilismo che spesso hanno il sopravvento sulle nostre più buone intenzioni. Da tutte le parti, infatti, siamo continuamente sollecitati da un ‘infinità di stimoli, ma pochi di essi, in verità, si rivolgono solo alla purezza dei nostri sentimenti in modo definibile “disinteressato”. che non ci coinvolga in qualcosa che si possa considerare comunque materiale.

L’ eccezione può essere costituita solo da un ‘ amicizia cresciuta con noi, nata nell’infanzia c proseguita poi nel tempo fino alla maturità. Questa modalità è certo la più semplice, ovvia nel suo divenire e non ha perciò bisogno di ulteriore indagine.

Nei tempi trascorsi, sicuramente, non possiamo sapere in quale forma il rapporto amichevole sia stato possibile e come potesse differire da quello di oggi: la letteratura, la retorica diffusa da scrittori e poeti (ma anche da regimi), la storia stessa, non sono per noi fonti sicure in quanto sappiamo molto bene che tanti degli atteggiamenti del passato possiamo considerarli “artificiosi”‘ nel senso deteriore del termine, spesso “imposti” da tipi di morale corrente mirata a scopi precisi e non abbiamo appunto la certezza che tutti quei rapporti instauratisi tra gli uomini siano stati effettivamente “liberi”, ma più che altro autentici e disinteressati, secondo la definizione proposta. Possiamo comunque ritenere, a grandi linee, che in passato la situazione non doveva divergere molto da quella di oggi, visto e considerato quel che succede in altri contesti. Come ormai risaputo e più volte detto, lo sviluppo o la modifica del pensiero e del comportamento umano sono piuttosto lenti, almeno rispetto alla lunghezza della nostra vita ed al trascorrere del tempo così come lo percepisce I ‘uomo. Il tema che stiamo affrontando quello dell ‘ amicizia appunto può essere considerato da molteplici punti di vista, come del resto qualsiasi altro tema, ma vediamo di esaminare qui quelli che sono più consoni al caso nostro e, visto il contesto nel quale ci troviamo, da un’angolatura ovviamente anche massonica. Ceno I ‘argomento è stato sviscerato a fondo ed esaminato da tutte le prospettive possibili fin dall’antichità ed anche oggi scrittori, psicologi, sociologi, cercano di approfondirne lo studio. evidentemente perché l’ amicizia. in senso lato, deve essere per forza ritenuta una delle componenti principali ed essenziali del rapporto tra gli uomini e quindi della vita quotidiana di ogni individuo. Coloro poi che studiano a fondo, anche scientificamente, il comportamento dell’uomo — i cosiddetti etologi umani .— vedranno sicuramente nell’ amicizia anche un qualcosa che va oltre le apparenze ed ha a che fare con la selezione naturale, portatrice quindi di un valore biologico importante e molto selettivo per tutta la specie umana. Anche qui dovremo verificare se quanto affermato è vero e perché.

Il rapporto di amicizia nella vita dell’uomo

Generalmente. nel linguaggio comune, “un amico” è colui che si conosce anche superficialmente, è un conoscente, una persona che magari abbiamo avuto occasione di incontrare e forse spesso diamo al significato di amicizia solo una conoscenza approssimativa nell’ ambito di una cerchia ristretta di persone. Ma l’ amicizia, quella che a noi interessa, è qualcosa di più di un rapporto superficiale, anzi è un sentimento molto profondo ed un legame che in teoria se effettivo — dovrebbe essere inscindibile ed uno dei primi nella scala delle priorità di ognuno di noi. forse contrastato solo dall’ amore verso il sesso ‘opposto” (che certo non ne ha l’esclusiva). valido perciò per coloro che si ritengono e sono eterosessuali e che si autodefiniscono pure “normali”, ma non sono da tralasciare anche gli “altri”.

Un dato di fatto però è alla base e condiziona l’amicizia tra una o più persone ed è il principio, appunto, di rapporto “disinteressato”, accennato all’inizio come definizione generale da verificare. In tutte le sue manifestazioni la vita ci offre una molteplicità di esempi in questo senso: in genere, niente è casuale. qualunque cosa ha sempre una ragione di esistere ben precisa anche se apparentemente noi non riusciamo a vederla. c’è sempre in particolare nella vita biologica scambio d’ informazione, di sostanze e prodotti, vantaggio reciproco in qualsiasi contesto, altrimenti, sembrerebbe proprio impossibile possa esistere da parte di due o più contraenti un qualche interesse per l’instaurarsi di un qualsiasi rapporto.

Per esempio, tanto per citare qualcosa di molto semplice, ma potremmo farne molti altri ancora, possiamo osservare cosa succede nell’ ambito di alcuni piccoli, ma numerosi animaletti: un gruppo di Vespe definite “sociali”. Come si sa, al momento opportuno le uova sono deposte nelle cellette del nido in precedenza costruito. dove  si svilupperanno e daranno vita a larve che si trasformeranno poi in pupe. Dal quel momento inizierà quel processo definibile “egoistico-altruistico” tra pupa ed operaia: l’adulto fornirà alla pupa le sostanze nutritive per il suo accrescimento  che avrà trovato all’esterno e nello stesso tempo usufruirà dei rifiuti del processo di digestione della pupa dei quali è ghiottissimo  E evidente che questa strategia di sopravvivenza — operata dalla selezione naturale si è evoluta nel corso di milioni di anni proprio perché è la più vantaggiosa per questa specie di Insetti. Questo sistema, però, che potremmo definire conne mimmo, “curioso”. non è unica prerogativa delle Vespe sociali. Tutto ciò — fatte le dovute proporzioni e secondo le più varie modalità  è valido almeno per tutto il mondo animale e quindi anche per l’uomo. L’unica differenza è che l’uomo. almeno teoricamente, dovrebbe essere un animale “superiore” e quindi più “intelligente” di una Vespa o di un insetto comune, avendo non solo la possibilità di essere “guidato” da madre natura, ma anche di poter selezionare e scegliere sempre autonomamente la soluzione migliore per lui come individuo e come specie. Ma non sempre invece è così, anzi questa condizione sembra verificarsi raramente. Nella vita di tutti i giorni, nella società “profana”, ma talvolta anche nel nostro ambito massonico non sempre  la situazione è da considerarsi ottimale. Indubbiamente, dove finisce l’egoismo ed inizia l’altruismo è un confine non troppo definibile con precisione (come sostiene pure Rochefoucauld, citato all’ inizio) anche perché sembra che l’ altruismo  e di conseguenza l’amicizia — non sia altro che un meccanismo di “egoismo” mascherato dalla natura che usa spesso la strategia di dare vantaggio apparente al singolo individuo, ma solo in funzione del mantenimento della specie alla quale poi il singolo stesso appartiene. Sembrerebbe proprio un complicato gioco di parole. se non sapessimo invece che il tutto è vero. Indubbiamente l’uomo è diverso da una Vespa e da una larva e qualsiasi paragone sarebbe certo improprio. ma è il “sistema” adottato dalla natura che ci interessa, sistema che se abbiamo I ‘ accortezza di osservare è adottato più o meno da tutte le specie animali (vedi per esempio i leoni africani che nella savana si nutrono delle gazzelle più deboli o meno veloci —cioè di quelle più facilmente catturabili — e. contemporaneamente, provocano la selezione dei migliori esemplari; nelle foreste, le scimmie in branco se attaccate da predatori si dispongono in cerchio ed i vecchi ed i malati disponendosi alla periferia si lasciano sopraffare per difendere così gli altri e per mantenere il gruppo integro e sano, e quindi migliorando la specie) e l’uomo, essendo né più né meno che un animale, obbedisce consapevolmente o no a questo tipo dl leggi ed adotta con ogni probabilità identico sistema. Anche l’amicizia quindi — così a occhio — dovrebbe rientrare, in qualche maniera, in questa categoria di rapporto, ma ricordiamolo, presumibilmente non per vantaggio individuale primario, ma per quello della specie. Come sopra già detto, in ogni caso ed è anche cosa ovvia se viene avvantaggiato il singolo ne ha beneficio l’intera specie e viceversa. In pratica, possiamo ritenere che da un punto di vista strettamente biologico o usando un termine forse più fastidioso — animale le condizioni dovrebbero essere proprio queste. Un qualsiasi rapporto. amicizia compresa, è solo possibile in presenza di un reciproco vantaggio, sia che si tratti di un qualcosa di materiale e concreto, sia che riguardi esclusivamente la sfera dei sentimenti, cioè di quel benessere interiore che solo la certezza di non essere “soli” può dare. Questo tipo di sentimento e di sensazione può sembrare a prima vista una cosa molto labile, ma ricordiamoci tutti noi lo smarrimento che in qualche occasione abbiamo provato nel sentirci proprio “soli”, nella sgradevole condizione di non poter interloquire con qualcuno, nella spiacevole c frustrante sensazione di non essere “compresi”, oltre che da coloro che stimiamo o amiamo anche dal prossimo in generale. Anche ora. in questo momento, io stesso, se ritengo di essere compreso, più o meno approvato, considerato. stimato da coloro che mi stanno leggendo e con i quali ritengo di avere identiche vedute ed aspirazioni, avrò dentro di me un diffuso e piacevole senso di benessere, in sintesi, ho la sensazione di essere effettivamente “ricambiato”. Diversamente se fossi sicuro che ho scritto inutilmente. per chi non condivide il mio pensiero, in pratica per chi mi è ostile, avrei per certo una sensazione sgradevole e di disagio. cioè non riterrei di avere i miei sentimenti contraccambiati, indispensabili, come accennato in precedenza all’instaurazione di un effettivo rapporto di Ecco, in pratica. come può essere inquadrato il significato della mancanza di “gratuità” in un rapporto amichevole. Tra noi. ora, in questo nostro ambito, non è scorso di certo denaro, ma ritengo e mi auguro che ci sia stato invece uno scambio invisibile. ma reciproco. di stima, forse di approvazione. di amicizia appunto: la creazione cioè di un rapporto più stretto ed efficace di sentimenti. di affinità spirituale. di profonda considerazione reciproca. che torse prima era latente. ma non ancora completamente emersa in noi stessi. Ripeto. è questo lo ‘-scambio” o la “reciprocità” che può intercorrere anche in un rapporto di amicizia che, se si vuole essere molto precisi, non è proprio “gratuito”, ma è protagonista di un “passaggio” di valori. Fin qui sembrerebbe tutto chiaro.

L’amicizia in relazione alla Massoneria

All’interno della nostra Istituzione il meccanismo sopra esposto, già osservato nel mondo profano. dovrebbe verificarsi ugualmente e forse lo si verifica effettivamente. Ma questa procedura è da ritenere ancora valida tra Fratelli, oppure dovrebbe esistere qualcosa di leggermente differente? Cerchiamo quindi di dare una risposta esauriente a questi interrogativi, senza retorica, né ipocrisia.

Dobbiamo ritenere che all’interno della nostra Istituzione dovrebbe verificarsi inequivocabilmente quel fenomeno di “scambio” sopra accennato. Siamo uomini comuni inseriti nell’ ambito della nostra società e quindi obbedienti a tutte quelle leggi che regolano il mondo biologico ed animale.

Bisognerebbe però, per differenziarsi dal contesto che noi usiamo definire profano, che il nostro rapporto, almeno tra massoni. avesse delle valenze superiori e ben visibili, ben distinguibili dalle consuetudini della profanità. In sintesi, il “dare gratuitamente” concetto ritenuto improbabile o impossibile sia da un punto di vista biologico sia filosofico — dovrebbe essere alla base di un rapporto fraterno. che non è detto debba avere per forza una base di “reciprocità”. ma dovrebbe essere invece un qualcosa di offerto proprio “a senso unico”, senza la necessità o la gratificazione di un qualsiasi “ritorno”, come avviene di norma nel mondo estraneo all’ atmosfera dei nostri Templi.

Ecco. questo dovrebbe essere il meccanismo dell’amicizia. quella vera. l’unica. quella che il vero massone dovrebbe considerare con molta attenzione e concretamente. Come sempre, sarà molto difficile la realizzazione pratica di un progetto. di un pensiero, di un’intuizione.

Tutto il nostro impegno però dovrebbe essere rivolto in questo senso e forse non solo nell’ambito dei Fratelli. ma proprio come scelta di comportamento civile anche nella società profana. Questo sistema di gratuità c di “non ritorno” dovrebbe distinguerci effettivamente dagli altri. dovrebbe insomma fare la differenza tra il profano ed il massone. Sarà questo mai possibile? Riusciremo mai ad essere vincitori a livello personale o collettivo in questa impresa? Saremo in grado di dominare questa situazione? Di fare effettivamente questo tipo di scelta? Infine, un’ altra marginale considerazione c’è da fare e che non è possibile prendere qui in seria considerazione, ma che è doveroso citare comunque per opportuna riflessione dato che, nell ‘ ambito del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani, essa assume una veste precisa ed un significato che esulano però da questo contesto. Specialmente nel mondo maschile, si ritiene che l’amicizia tra un uomo ed una donna sia una cosa praticamente impossibile, vista l’ abitudine e la componente sessuale che si ritiene abbia priorità assoluta nel rapporto uomo-donna e che sembra quindi impegnare l’ attenzione dei due partner da tutto il resto del mondo circostante.

Conclusioni

Proviamo a formulare qualche suggerimento operativo, il progetto per una nuova strategia, un tentativo. Può darsi che noi non si riesca a realizzare nel mondo profano la procedura sopra suggerita, ma almeno all’ interno della nostra Istituzione — tanto per cominciare e per “costringerci” a fare qualcosa di più concreto in questo senso bisognerebbe sforzarsi almeno un po’

Dato per scontato l’ estremo interesse di ognuno di noi per tutte le questioni definibili “spirituali”, che coinvolgono comunque la cultura ed i rapporti umani, per prima cosa sarebbe necessario effettuare regolarmente qualche incontro in più ed al di fuori anche della routine delle nostre Tornate di Loggia, anzi bisognerebbe insistere maggiormente in questa direzione e ritrovarci più spesso anche in altri ambienti, in altre città, con i Fratelli, in altri Orienti, anche in modo informale. C’è la inderogabile necessità di conoscerci meglio e ricordiamoci che solo questa reciproca conoscenza potrà “salvarci”.

Solo conoscendoci meglio avremo la possibilità di apprezzarci, di aumentare le nostre esperienze, insomma di progredire. Non diamo ascolto ad Oscar Wilde (mi sembra proprio che fosse lui) il quale sosteneva di non dover approfondire le varie situazioni, ma più che altro l’animo umano, perché diceva “Lo fai a tuo rischio e pericolo”.

(Proprio tra parentesi, ma dovrebbe essere già dato per scontato, abbiamo anche il dovere di non essere supercritici nei confronti degli altri, specialmente se Fratelli. Ricordiamoci che tutti, chi più chi meno, siamo sottoposti a sbagliare ed abbiamo quindi il dovere di essere “generosi” con coloro che riteniamo siano nell ‘errore. a prescindere dal fatto che è piuttosto complicato e difficile poter stabilire chi ha “ragione” e chi “torto”, mancando al riguardo parametri sicuri: tra l’ altro non è stata inventata ancora una unità di misura in questo senso. Dobbiamo anche tener presente e dare per scontato che, almeno tra noi, dovrebbe esistere la “buona fede”. e colui che nel caso dovesse proprio sbagliare, si ritiene lo abbia fatto nella stessa identica maniera che avremmo potuto fare noi. Non dimentichiamo mai questo, come non dobbiamo mai dimenticare di essere particolarmente generosi con coloro che riteniamo amici).Tra le nostre attività massoniche, ancora, la Gran Loggia annuale, anche se assolve in parte a questa funzione di reciproca conoscenza e forse anche di coesione, è pur sempre troppo formale e densa di avvenimenti più o meno interessanti e poco spazio è lasciato proprio allo scambio di idee ed all’amicizia, quella vera, anzi. I Convegni poi, che per fortuna sono spesso organizzati, sono sempre mirati a qualcosa di preciso e la “fuga” verso casa alla loro conclusione è sempre cosa un po’ squallida, condizione che tra I ‘ altro si verifica spesso anche alla fine delle nostre riunioni regolari di Loggia. Bisognerebbe proprio alzarsi la mattina con I ‘ inderogabile volontà, non di fare quattrini o di imbrogliare il prossimo (qualcuno — non certo tra noi massoni —sembra abbia incubi notturni se nel corso della giornata non è riuscito a fregare qualcuno o qualcosa), ma proprio di riuscire a dare “gratuitamente” agli altri tutto ciò che abbiamo acquisito, sia che si tratti di conquiste genericamente spirituali o culturali, sia di altro. E ricordiamo ancora che questa strategia non ripaga subito, forse non ripagherà mai, ma è solo l’indice di un comportamento socialmente civile, al quale   ‘uomo ha sempre aspirato, forse anche come semplice utopia, visto che raramente è riuscito a realizzarlo. Il mondo cristiano — quello filosofico s ‘ intende e non quello delle madonne piangenti o dei giubilei  al quale tutti noi più o meno apparteniamo, almeno come cultura, sembra che in origine fosse orientato proprio in questo senso, ma fino ad oggi, cioè dopo circa duemila anni di tentativi, non c’è ancora riuscito e sembra che la meta sia ancora molto, troppo lontana. In fondo, anche le utopie fanno parte dell’ animo e dei sentimenti umani e quindi accogliamo nel nostro intimo anche questa, sarà una compagna sempre presente in noi, un po’ come la nostra coscienza, che ci ricorderà sempre la migliore e la più civile strada da percorrere. per noi stessi e di conseguenza per la specie umana. ma direi anzi per tutto il mondo che ci circonda ed a qualsiasi   appartenga.•

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L SIMBOLISMO DEL SERPENTE

IL SIMBOLISMO DEL SERPENTE

di

Anne Osmont

A tutti coloro che si interessano di ricerche psichiche vien posta sempre la stessa domanda, a volte seriamente, altre volte con aria maliziosa e che lo vorrebbe rendere di sapore spirituale: “Credete al Diavolo’? Avete paura del Diavolo? Come considerate l’ antico Serpente?” La risposta di quelli che non hanno conoscenza è sempre la stessa: “Credo al Diavolo, non ho paura del Diavolo, conto di dominare l’antico Serpente per non essere dominato da lui”. Per penetrare completamente il senso di queste domande e di queste risposte, definiamo innanzitutto cosa è questo Serpente che tutte le religioni mettono all’ inizio dell ‘evoluzione umana come “il più sottile ed astuto degli animali”.

Il Serpente, per la sua agilità, significa una forza fluida ed adattabile, suscettibile di ritornare su sé stessa per formare il cerchio dove chiude ogni altra figura. E’ questo il significato della parola con cui la Genesi qualifica il Serpente: Nahash, che è esotericamente l’ attrazione di sé per sé, l’ egoismo, o, meglio egotismo, perché l’egoismo è esclusivamente un difetto, mentre nell ‘ egotismo c’è la necessità di occuparci di noi stessi, non fosse altro che per durare, mantenere la nostra vita fisica e morale, alimentarci: evolversi.

Quando Nahash si presenta a Eva (considerata come la parte sensitiva e volitiva dell’uomo), ciò che propone è di rinunziare alla pace felice del Paradiso Terrestre dove l’ Umanità vive senza timore e senza responsabilità, di rinunziare a tanto per cercare la sua salvezza con le proprie forze, a suo rischio e pericolo. “Felice errore” – dice Sant’ Agostino che ha condotto il Figlio di Dio, il Verbo ad incarnarsi, a prendere sembianze umane, per rendergli la sua originaria dignità. Naturalmente, il Serpente bussa a quella porta che si aprirà più facilmente. Non va a chiedere alla fredda e severa Ragione di lasciare un bene tranquillo e che è conosciuto per cercare la pericolosa avventura dell’evoluzione. E’ solo il sentimento che è suscettibile di una uguale attrattiva; è questa parte di noi stessi, che chiamiamo subcosciente, quella che ci conduce, a seconda del fatto se la dirigiamo o se ci facciamo dirigere da lei, verso i più alti entusiasmi o verso gli errori più grossolani. E’ per questo che, quando l’anima dell’Egizio è pesata dopo la morte, in presenza di 42 giudici, sotto gli occhi dell’ Osiride nero, l’ infelice implora non il suo spirito che ha potuto restare impavido e puro, ma la parte sensibile e sentimentale del suo essere: “Il suo cuore, il suo vero cuore, ciò che gli viene trasmesso da sua madre”. E’ l’essere istintivo ed impulsivo che bisogna estirpare costantemente alla parte del mondo astrale che i filosofi indù chiamano, così giustamente, Kama Loka, il luogo del desiderio.

Soltanto che – ed è ciò che ci differenzia enormemente da queste filosofie- esse considerano tutto il desiderio come impuro, tutto il sentimento come dannoso, mentre al contrario, stimiamo che tutto il sentimento elevato è la via più sicura per condurci su piani superiori, e che tutto il bene che viene dall’ Amore ritorna all’ Amore, che è quindi lo Spirito Santo. Questo Kama Loka, questo mondo del desiderio, che è anche il mondo delle immagini e dei miraggi, è il mondo del serpente, e le sue energie sono sottomesse all ‘ uomo, quando egli ha sottomesso ad una stretta direzione questo “cuore che gli viene da sua madre”, questo cuore che deve obbedire alla ragione, pur aggiungendogli le ali, così come un buon cavallo obbedisce al suo cavaliere, pur quando sembra abbandonarsi al piacere della sua fantasia. Ci troveremo dunque in presenza di un mondo fluido, mobile, instabile, che la nostra volontà può modellare in certa misura, ma soltanto quando è completamente agguerrita contro la potenza incantatrice dei suoi miraggi.

E’ giusto questa la differenza che viene da noi stessi, questa necessità di vincere o di essere vinti che ci fa capire talmente le immagini, e le differenze tra loro, dell ‘ antico serpente, simbolo contemporaneamente della stregoneria e della medicina, della colpa e del riscatto. E’ per questa mutabilità, questa versatilità costante, il serpente si apparenta a Mercurio; il trasformatore, l’essere magnetico per eccellenza, il Dio che conosce le parole e può insegnarlc, guida a volte insidiosa ma sempre potente, che bisogna dominare con scioltezza, e da cui l’emblema, come lui doppio e come lui salutare a chi sa comprendere il caduceo, il doppio serpente arrotolato attorno al bastone alato.

Si ricorda che il caduceo tronco fu trovato quasi fortuitamente da Mercurio. Un giorno che passeggiava tra le belle strade della Grecia vide due serpenti che si combattevano: gettò su di loro per separarli la bacchetta che aveva tra le mani e i serpenti si arrotolarono attorno la bacchetta e forrnarono il caduceo che incorona un paio d’ ali.

Notate del resto che le ali, in tutte le manifestazioni di Mercurio, non fanno mai parte integrante della sua penona. Sono attaccate al suo cappello, al suo caduceo, ai suoi talloni, ma non alle sue spalle.

E’ che, giustamente, queste ali sono le forze che il desiderio dove la volontà aggiunge all ‘agente magnetico e magico, facendolo servire ai nostri interessi, alle nostre passioni (ali inferiori) dove sono meno rigide, grazie a lui, nelle sfere superiori dell ‘ astrale, le forze che poterono essere sottomesse alla luce, alla scienza, al ritmo: materia dell’opera d ‘ arte, dell ‘utile scoperta, dell ‘ insegnamento perfetto. In questo caso il Serpente diventa l’ agente del legame tra Hereb il Corbo e Giona la Colomba, tra il tempo e lo spazio. Diventa il Ritmo, il Cerchio alato che fa girare i mondi nella sua orbita mobile e danzante .E questo ha voluto simbolizzare il genio fiorito della Grecia facendo inventare la Lira d i Mercurio, facendogli inventare lo strumento magico che misura senza deformare la parola umana nell ‘inerte corazza della tartaruga; perché non è di ostacolo per il ritmo che, lontano dal voler sfuggire la resistenza, come dicono le attuali scuole d’arte, la ricerca e la domina; perché non si può far affidamento effettivamente se non su ciò che si può reggere . Se guardiamo con attenzione il significato del mito, constateremo che i due serpenti sono il riflesso l’uno dell’altro che la bacchetta del caduceo è l’alta ragione dell ‘ inizio che domina ed equilibra le forze avverse per condurle alla realizzazione dell’opera: “Ciò che è in alto e come ciò che è in basso; disse Ermete nella Tavola di Smeraldo; ciò che è in basso è come ciò che è in alto per la realizzazione della cosa unica”. E se le sappiamo comprendere, queste parole riassumono da sole tutti gli insegnamenti dei Saggi.Ma, questo mondo astrale che sarà il domani del Serpente, possiamo considerarlo ciecamente come il nostro proprio domani e pensiamo che potremo corrervi secondo le nostre fantasie? No, mille volte no.

Prima che le sue porte ci siano aperte, le antiche iniziazioni avevano saggiamente stabilito delle prove dure e difficili il cui scopo era di dare al futuro adepto la perfetta padronanza del proprio subconscio.

Non occorre che il visitatore del mondo astrale, lanciatosi sconsideratamente su questa terra sconosciuta, diventi la preda delle sue incitazioni fallaci. Gli benevoli dei degli antichi, che non sono altro che l’ombra di Dio, avevano piazzato alla soglia del mistero un essere terribile che è stato confuso con Nahash: il Guardiano della Soglia.

Ma il Guardiano della Soglia non è proprio il serpente, maestro del mondo delle immagini; è solamente l’ immagine realizzata del nostro proprio pensiero, dei sentimenti che ci animano, del nostro terrore, del nostro odio, del nostro amore, della nostra carità, a seconda che è l’uno o l’altro di questi sentimenti che ci trascina su questa terra mobile. E’ per questo che le descrizioni sono così profondamente differenti che ci sono state fatte dell ‘essere così chiamato. La maggior parte degli uomini vedono in lui un sinistro spaventapasseri. Basta leggere Zenone per sentire quali spaventi può portare ai curiosi, ma per il santo, per l’ispirato, per chi si sente condotto da una forza buona, dall ‘ amore e dalla pietà, questo Guardiano della Soglia è un angelo di Luce, l’angelo Anael, il maestro della forma.

Alla soglia del mistero regna il guardiano, affinché sia ancora offerta ana possibilità agli imprudenti di tornare indietro in tempo prima di lanciarsi nella loro perdita. I malvagi non si fermano per così poco.

Non hanno saputo vedere che una immagine orrenda e terri bile e, non potendola vincere poiché soli, l’amore, la fede ed il ritmo la dominano, si sono prostrati davanti a questa immagine, l’hanno adorata, ne hanno fatto il Diavolo, maestro di incantesimi e di filtri, ignorando o volendo ignorare che ha degli incantesimi di bontà e dei filtri di amore santo. Non hanno voluto ricordare che prima di essere “il Diavolo”, colui che ha lasciato la retta via per essere “buttato ai margini”, era l ‘ Angelo più bello, Lucifero il portatore di luce, che ha lasciato il cielo per una propria volontà, per il suo insormontabile orgoglio, che ha rinunziato ad ogni cosa per pronunziare il riprovevole “non servirò”.

E tuttavia, se sappiamo comprenderlo, il mondo asfrale ci è aperto e, se vi penetriamo con cuore e mani pure, dimenticando la nostra propria volontà ed il nostro bene personale per conformarci alla norma, questo possesso è il mezzo di rendere all’Umanità il suo posto originario, di renderle il Giardino dell ‘ Eden perché. questo mondo del Desiderio, è appunto il Paradiso Terrestre che dobbiamo riconquistare con una volontà pura per entrarvi, obbediente al ritmo con una conoscenza piena, al mondo superiore che ci siamo chiusi. Questa adesione tranquilla, questa assunzione di uno spirito vergine portato sulle ali degli angeli. è malata e siamo obbligati, se ci auguriamo realmente di raggiungerla, di rinunziare completamente a delle cose che ci sembrano molto piacevoli. E’ per questo che la maggior palte della civiltà hanno considerato il serpente, immagine del mando astrale, come un dio malvagio e terribile, il maestro della magia distruttiva. Il rimpianto Edouard Schurè ci mostra, nel suo studio su Krishna, il dio solare, incamazione di Vlshnù, in lotta con Nysumba. Regina dei serpenti, che tiene prigioniero dei suoi prestigi il re nero, cui il paese è sottomesso. Quando l’eroe uccide il serpente, la strega perde la sua bellezza ed il suo potere: è la volontà distruttrice scacciata dal genio chiaro delle altezze. E’ con lo stesso sentimento che la tradizione ebraica ci mostra due serpenti molto inferiori a Nahash, ma insidiosi come lui e incontrati più frequentemente. Uno è Lilith, la serpe tortuosa che ha pervertito i cuori e le anime con la voluttà e che ha prosciugato nei piaceri impuri le energie dell’essere e della razza; l’altro è Samael, it serpente insinuante, che ha inondato di odio e di vendetta il cuore dell ‘umanità.

Entrambi sono forme dell ‘ astrale, forze malvagie che deviano dalla retta via il cuore dell’uomo, che lo riempiono di vibrazioni negative per sottometterlo alle dissolute passioni. E’ già la concezione di una razza molto dotta e civilizzata, ma i primitivi hanno anche del serpente una paura, una impressione che dimostra che, fin dai primi tempi, si è visto come molto misterioso questo strano animale. In effetti, cosa dovette pensare il primitivo abituato a lottare contro gli esseri formidabili quando conobbe un così piccolo strisciante che debole, senza risorse, senza armi apparenti uccide con un morso così leggero? Cosa più singolare, quest’essere cade in un sonno così profondo simile alla morte, quando si risveglia, rigettando la sua vecchia pelle diventata troppo snella, appare, luccicando e sibilando come una spada, forte di una nuova giovinezza. Lo si vede alimentarsi raramente, sembra che non debba mai morire. Così colui ” che prende senza mani e cammina senza piedi” ha l’aria di un animale fatato. Senza cercare da dove viene la sua potenza né a cosa corrisponde è diventato il simbolo di tutto ciò che è segreto, profondo e terribile. La lotta è aperta tra la donna ed il serpente e l’esito di questa lotta non ci può essere nascosto. Verrà il giorno quando il sentimento guidato dalla ragione, Eva sostenuta da Adamo, gli schiaccerà la testa. Questo fatto di schiacciare la testa del serpente è dappertutto il simbolo delle opere della luce. Ercole, nel quale si magnifica la fatica umana, schiaccia le teste dell’ idra di Lerno. Allo stesso modo, Apollo rompe la testa del serpente Pitone. Ma lui, che è un dio , non sottomesso come Ercole ai limiti delle forze umane, non uccide appunto il serpente ma lo sottomette al suo potere, I utilizza nelle proprie forze, ne fa l’ispiratore della Pitonessa, della veggente che porterà a tutto il mondo civilizzato gli ordini e gli insegnamenti del dio per mezzo dell’oracolo di Delfi, il luogo più santo della terra. Cosa che apparirà singolare, se non sappiamo che tutte le Iniziazioni erano in rapporto costante e si intrecciavano armoniosamente, i libri mosaici danno agli spiriti divinatori lo stesso nome che i libri greci. E’ da uno “spirito di Pitone” che è ispirata la divinatrice di Endor: sono le streghe che si servono nei loro lavori dello “spirito di Pitone” che colpiscono le leggi di Mosè. Queste leggi ci fanno comprendere che erano gli spiriti cui era vietato rivolgersi. Sappiamo che la Pizia di Delfi era seduta su un treppiede esposto davanti all’ingresso di una caverna in cui lavorava nelle profondità della terra. Sono gli spiriti dei morti, gli spiriti sotterranei che evocano le streghe colpite da maledizione. Ed è impossibile non raffrontare il loro nome all”‘ob” di Reichenbach, I ‘ astrale passivo, la luce blu, il mondo dei disincarnati. La strega si chiama l”‘aoboth”. Mosè disse nel modo più categorico: “Non lascerete vivere l’aoboth; sarà lapidata fuori dal campo”. L’aoboth è molto semplicemente un medium od incorporazione. Ciò ci sembra molto rapido. ma dobbiamo ricordarci che Mosè, guardiano della razza, della tradizione di un dio unico usciva come liberatore delta terra d’Egitto e che aveva a temere il culto dei morti, dell’Osiride sotterraneo, di tutte le potenze nere che era necessario evitare immediatamente. E questi ordini, molto spesso trasgrediti, non furono mai aboliti. E’ in base a queste leggi che Saul proibisce di consultare le pitonesse, perché, e andando lui stesso a consultarne una, le ordina di evocare l’ anima di Samuele da cui apprende di essere maledetto, che la sua razza è respinta e che lui l’indomani morirà vinto. In Africa le streghe indigene portano Io stesso nome. Il mago nero è l’obi e la strega è l’obbeyab; entrambi portano su di loro la pelle del serpente e ne auspicano la forza. Lanciare l’obi contro qualcuno vuol dire scatenare contro di lui gli spiriti impuri, lanciargli contro, come si chiama in termini magici, il maleficio al suo spirito.

Cioè si fa tormentare la vittima dallo spirito di un disincarnato giudiziosamente scelto tra quelli che sono ancora molto bassi sulla scala della loro evoluzione, proprio per ad agire di conseguenza sul piano fisico, e che conservano ancora abbastanza forza per servire le nostre passioni ed i nostri desideri. Inoltre, questa forma di maleficio ha il vantaggio di sottrarre in parte la strega ai rischi del contraccolpo.

Trasferita dall’ Africa in America tramite gli infelici schiavi negri, l’obi non ha per niente perduto il suo potere; è diventato il papetto del Vudù. Il vudù è il culto del serpente, culto spaventoso, in quanto è deformazione delle antiche iniziazioni. Non vede altro che l’odio – anche legittimo che un odio può essere – dei bianchi che sradicano i negri dalla loro patria per farli servire alle opere della loro ambizione e della loro avidità. ln una radura nei boschi, di quei boschi che sono sempre stati il rifugio dei fuorilegge, del perseguitati, si radunavano i negri. Una gabbia di vimini solidamente contiene un grosso serpente, il serpente sacro, il signore diavolo. E lui, il dio del bambino, che significa allo stesso tempo il bambino ed il caprone – e che non è sempre il caprone ma “il caprone senza corna” – che viene sgozzato. Le sue viscere sono divorate dal semente; il suo sangue mescolato col rhum forma la bevanda con cui si comunicano tutte le detestabili formule necessarie, con degli oggetti che erano appartenenti a coloro su cui si vuole “lanciare l’obi”, il terribile maleficio. Delle danze frenetiche delle strane preghiere accompagnano il sacrificio, ma è il sacrificio del bambino al serpente che costituisce il punto centrale della cerimonia, il sacramento diabolico degli adepti del vudù. Da dove provengono questi riti atroci’? Vengono dagli Atlantidi? Può darsi; gli antichi messicani offrivano al dio serpente Witriliputzli il cuore dei ragazzi in odio al Sole, perché il dio serpente era un dio nero, una divinità eoniana. Viene dall’Egitto e l’ Egitto le ha date in prestito alla razza nera? Non è impossibile Ecco in ogni caso una imprecazione egiziana che accompagnava i riti di maleficio. Si indirizza a Ophon-Sith: “O tu che odi perché sei stato scacciato, io ti invoco: sovrano molto potente degli dei distruttori e sterminatori, tu che scrolli tutto ciò che non è vinto! Io ti invoco, o Typhon-Sith! Vedi: compio i riti prescritti per la magia. E con il tuo vero nome che ti chiamo. Vieni dunque a me apertamente, perché tu non possa rifiutarmi. Ed anch ‘io odio quella casa che è ricca, quella famiglia che è felice. Attaccala, e rovesciala perché mi fa ingiuria”. Non è senza interesse confrontare i termini di questa imprecazione con il saluto degli gnostici Albigesi, i Catari perseguitati: “Che colui cui è stato fatto torto ti saluta”.•

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