PER UNA STORIA DELLA MASSONERIA LUCANA – I MASSONI Dl BERNALDA

                                   PER UNA STORIA DELLA MASSONERIA LUCANA

                                          I MASSONI Dl BERNALDA

di

Francesco Guida

I Massoni Lucani nella congiura Napoletana del 1794

Secondo lo storico Tommasio Pedio, alla fine del Settecento le province del regno di Napoli pullulavano di logge massoniche, il cui epicentro era la capitale. La visibilità del movimento massonico si manifestò nel 1794 in occasione della prima cospirazione liberale a Napoli, soffocata nel sangue ancor prima di nascere Tale vicenda è stata considerata dagli storici il primo vero episodio del Risorgimento italiano . Il progetto di rivolta, organizzato da Carlo Lauberg, uno dei capi della Massoneria napoletana, di concerto con i francesi fu una vera e propria congiura massonica, anche se gli affiliati non erano più chiamati tali ma giacobini. Tra questi primi patrioti si annoverano anche dei giovani lucani, allievi del massone Carlo Lauberg, che pagarono col carcere e col sangue il loro anelito ad una società più giusta. Gli inquisiti come rei di Stato della Basilicata alla Regia Udienza di Matera furono in tutto 107. Ricordiamo alcuni di loro, assurti a protagonisti delle cronache giudiziarie del tempo, consegnataci dalla storia:

GIROLAMO E MICHELANGELO VACCARO, nati ad Avigliano il primo il 19-9.1775, il secondo 1’8.9.1774. Studenti a Napoli si iscrissero al club rivoluzionario con partecipazione attiva. Girolamo ricoprì la carica di presidente della Società patriottica. Sfuggiti alla cattura nel 1794, organizzarono ad Avigliano un club giacobino morirono a Picerno il 10 maggio 1799 contro le orde sanfediste;

DIODATI SINISCALCHI di Lavello, sfuggito alla cattura nel 1794, partecipò alla rivoluzione del 1799 e condannato all’esilio.

FRANCESCO ANTONIO POMARICI di Anzi, elaborò con Lauberg 1a trasformazione della struttura massonica in club giacobino. Fu scelto dal Lauberg come Capo Supremo provvisorio.

VINCENZO SARLI di Abriola, nato nel 1770 si recò a Napoli con l’abate Verga per completare gli studi di diritto. Coinvolto nei fatti del 1799, durante il decennio francese entrò in magistratura e raggiunse il grado di Sostituto Procuratore generale presso la Gran Corte Criminale di Salerno. Alto dignitario della Carboneria aderì ai moti del 1820-21. Morì nel 1844

Le logge lucane dal 1810 al 1925

Da un’esaustiva ricerca bibliografica ed archivistica è emersa una rete di logge che, sebbene in diversi periodi, ha sostenuto l’azione pre e postrisorgimentale della Basilicata. La prima documentazione certa riguardo le logge delle province napoletane emerge dal Grande Oriente Napoletano fondato il 1806 e retto da Giuseppe Bonaparte sino al 1808 quando gli subentrò Gioacchino Murat, disciolto nel 1815 con la fine dello stesso Murat. Dopo tale periodo la massoneria cede il posto alla carboneria ed alle sette politiche e scompare dal suolo italiano sino al 1859.

Nel 1859 fu fondata a Torino la loggia Ausonia, da cui sorse il Grande Oriente Italiano.


Ma la situazione massonica della penisola non era affatto chiara. Sorsero, infatti, negli anni successivi altre Obbedienze che rivendicavano altrettanta legittimità e tradizione, indispensabili requisiti per la regolarità massonica. Tanto è vero che nel 1860 sorsero a Palermo, a Napoli ed a Torino tre Supremi Consigli di Rito Scozzese, ciascuno autonomo ed indipendente, in antagonismo con il Grande Oriente Italiano. Solo nel 1874 si giunse ad una riunificazione completa tra tali gruppi sotto l’egida del Grande Oriente d’Italia. Quindi dopo la riunificazione del 1874 tali logge confluirono nel G.O.I. oppure si sciolsero oppure, in minima parte, continuarono autonomamente senza speranza di continuità. L’elenco termina col 1925, anno in cui il regime fascista, con una legge liberticida, costrinse la massoneria italiana a cessare la sua attività. 
     
                    
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       
       

Ritratti di massoni lucani

Mario Pagano

Nato a Brienza 1’8.12.1748 da Tommaso e Maria Anna Pastore, di condizione agiata, si trasferì a Napoli all’età di dodici anni per studiare dapprima le materie classiche, poi diritto e filosofia all’Università. Alacremente studioso nonostante la cagionevole salute si dedicò ad approfondire il pensiero di G.B. Vico prima, e di Voltaire, Diderot e Rousseau dopo. Pagano vagheggiava una società basata sulla giustizia delle leggi, sull’eguaglianza civile ma non politica, nel senso che al potere dovevano assurgere non i più ricchi ma i migliori, i possessori della virtù in senso platonico.

L’opera maggiore per cui viene ricordato dai posteri è rappresentata dagli Scritti Politici, ove sono rappresentate le sue idee politiche, filosofiche e morali, che a metà dell’Ottocento lo resero famoso in tutta l’Europa. Affiliato alla Massoneria nella loggia nazionale “Zelo”, riconosciuta dalla Gran Loggia di Londra aveva come compagni di loggia Domenico Forges Davanzati, Gaetano Filangeri, Felice Lioy, alcuni dei quali saranno con lui protagonisti e martiri della repubblica del 1799. Successivamente, a seguito dell’incontro con il vescovo luterano danese Frederick Munter, alto dignitario massonico degli Illuminati di Baviera, di passaggio a Napoli, abbandonò l’Obbedienza inglese moderata e lealista e costituì una loggia a forte caratterizzazione razionalistica e radicale, dipendente dall’Unione Eclettica di Ditfurth. Una delle caratteristiche di tali logge era il nome massonico usato per celare l’identità la propria identità ai persecutori.

Tale organizzazione massonica era stata infatti sconfessata dalle altre Obbedienze e perseguitata dai sovrani europei perché pericolosa per l’ordine sociale e la sicurezza degli stati. Pagano assunse il nome di Ianus Baptista La Porta, traduzione latineggiata di Giovanni Battista della Porta, autore della “Magia Naturale” e fantasioso scienziato che nel secolo precedente aveva vissuto non lontano dalla sua casa. In quella loggia furono celebrati nel 1787 i funerali massonici di Gaetano Filangeri, occasione in cui il Pagano compose un’ode massonica in onore dell’amico scomparso.

Nel 1787 ottenne la titolarità della cattedra di diritto penale all’Università, ove vi insegnava da dieci anni; nel 1789 fu nominato avvocato dei poveri nel Tribunale dell’ammiragliato e consolato di mare, ove si distinse per la tutela dei diritti dei pescatori e per aspre critiche al sistema economico che danneggiava i più poveri. Erano ancora i tempi in cui i massoni riscuotevano il rispetto e le simpatie della regina Maria Carolina.

Ormai gli scritti di Pagano si rifacevano apertamente a Locke, Montesquieu e Rousseau, alfieri del pensiero moderno, ma tali approdi gli alienavano sempre più le simpatie dei sovrani. Pagano era ormai avviato irreversibilmente sulla strada della rivoluzione. Nel 1794 fu esonerato dell’incarico di docente universitario e di avvocato all’ammiragliato. Finì imprigionato per due anni, sino al 25-7.1798 quando, espulso dal regno, si trasferì nella Roma repubblicanizzata dai Francesi.

Nel nuovo ambiente, per nulla consono al suo temperamento attivo si impegnò nella vita pubblica e insegno diritto pubblico al Collegio romano, rinunziando allo stipendio.

Quando a Napoli fu proclamata la repubblica, il 22 gennaio 1799, fu nominato tra i 25 membri della commissione costituente, con il compito di elaborare uno schema di Costituzione, Pagano portò a termine tale fatica, che venne discussa ed approvata dalla commissione ma non votata a causa del precipitare degli eventi. Si interessò tra l’altro, delle riforme costituzionali relative alla proprietà ed all’agricoltura, alla feudalità, al diritto penale introducendo l’abolizione della tortura.

Il 5 giugno, in una repubblica ormai agonizzante, ebbe il coraggio di battersi sulle barricate a difesa della città. Prigioniero del cardinale Ruffo, in spregio ai patti che prevedevano l’esilio, venne giustiziato il 29 ottobre 1799 in Piazza del Mercato.

Il Vescovo Massone Giovanni Andrea Serrao

Nato il 4.2.1731 a Castelmonardo, l’odierna Filadelfia, presso Vibo Valentia in Calabria, da Bruno e Giuditta Feroce, sin dalla fanciullezza intraprese la carriera ecclesiastica traferendosi a Napoli, dove si formò culturalmente. Molto legato alla politica illuminata del sovrano Carlo III ed ai successori Ferdinando IV e Maria Carolina, si meritò la definizione di primo giansenista italiano.

Uno dei cardini del pensiero giansenista era la netta separazione tra Stato e Chiesa. Con i sovrani borboni, affascinati dalle idee liberali e massoniche, tanto che Maria Carolina, secondo alcuni storici. faceva parte di una loggia massonica femminile, ebbe un rapporto di feconda collaborazione.

A seguito del terremoto del 1783 che rase al suolo Castelmonardo, Serrao, oltre a prodigarsi per gli aiuti alla popolazione, progettò con il famoso giurista massone napoletano gaetano Filangieri, il progetto del nuovo paese conferendogli il nome di Filadelfia. I a pianta del paese, identica a quella della nota città americana, ricevuta dai massoni d’oltreoceano, era ispirata da criteri razionalistici ed illuminati di chiara matrice massonica, “lo schema rappresenta una tipica rielaborazione del castrum romano, fulcro della collaborazione tra architetto e filosofo, caldeggiata dal Grande Oriente’

Fu intimo amico dell’abate Antonio Jerocades, suo allievo nel Seminario di Tropea, noto massone fondatore delle prime logge in Calabria, e vivace agitatore politico. Era altresì noto il suo senso di carità. Istituì, tra l’altro, il maritaggio ( = dote) annuale per dodici ragazze povere.

Rientrato a Napoli Serrao assistette al mutamento della politica borbonica a seguito della rivoluzione francese del 1789, che aveva decapitato Maria Antonietta, sorella della regina napoletana.

Dalle simpatie per liberali e massoni la corona napoletana ne divenne acerrima nemica, allontanando e perseguitando gli stimati consiglieri come il Serrao. Rientrato a Potenza anche il vescovo illuminato manifestò la sua opposizione all’assolutismo regio benedicendo nel 1799 1’Albero della Libertà nella piazza grande della città. Passò, infatti, come tanti intellettuali “dall’idealismo monarchico all’idealismo democratico, che ha sempre per oggetto il bene sociale” ma non lo persegue più nell’opera illuminata del sovrano bensì nella forza del popolo. Ormai avversato dalla Chiesa di Roma e dai borboni, il 24. febbraio 1799 viene trucidato dalle bande sanfediste del cardinale Ruffo, che per disprezzo e monito portarono la sua testa infilzata su una picca in corteo per la città.

Non esistono prove documentali dell’affiliazione massonica del Serrao, ma tale appartenenza si deduce dai suoi scritti, dai suoi comportamenti, dalle sue frequentazioni, dalla stima che i massoni hanno sempre avuto di lui. A sua memoria sorsero tre logge, una a Filadelfia nel 1904, un’altra a Potenza nella seconda metà dell’Ottocento, retta da sacerdote Rocco Brienza, autore di una sua biografia, e l’altra a Chiaromonte nel periodo 1865-1869.

Rocco Brienza

Nato a Potenza 1’1.9.1818 da Luigi e Isabella Laguardia fu educato sin da tenera età agli ideali patriottici dal padre carbonaro e dalla memoria dello zio sacerdote giansenista, che partecipò nel 1799 alla lotta armata contro le bande sanfediste del cardinale Ruffo, morendo lo stesso anno di nascita di Rocco, in conseguenza delle torture inflittegli. Rocco Brienza, dopo un breve periodo a Napoli, continuò gli studi nel seminario di Potenza ove venne ordinato sacerdote. Il suo spirito libero si manifestò subito nell’ambiente ecclesiastico, guadagnandosi un trasferimento punitivo presso il convento dei frati cappuccini di Picerno, ove fu nominato docente con funzione di vicerettore.

Lì procurò letture proibite e condannate teologicamente e politicamente. Lo stato di ozio forzato non si addiceva ad una personalità dinamica come il Brienza. Così su sua richiesta venne inviato a predicare in provincia. Nel corso tale attività venne in contatto con la setta patriottica dell’Unità Italiana, attirandosi l’attenzione della polizia. Arrestato il 9-4.1849 per eccitazione contro l’autorità regia fu condannato definitivamente a tredici anni di reclusione, che scontò parzialmente. Dopo l’amnistia del 1859 tornò a Potenza dove collaborò alla raccolta di fondi per l’armamento dei patrioti e con una setta politica di Corleto. Prese parte all’insurrezione di Potenza del 18.4.1860 e venne nominato segretario del Governo provvisorio lucano per sette giorni, successivamente fu inviato in Irpinia per organizzare l’insurrezione. Soggiornò per breve tempo a Napoli dove era membro della commissione per la riforma dei luoghi penali e della commissione per la vigilanza sugli ospedali. Contrariato per l’espulsione di Mazzini tornò a Potenza come segretario della commissione elettorale lucana, da cui si allontanò subito perché la scoprì non conforme agli ideali di giustizia ed uguaglianza. Si interessò di numerose problematiche con incarichi istituzionali. Dalla questione sul brigantaggio alla questione agraria, dalla commissione per la riduzione delle feste religiose al Consiglio sanitario, da cui si adoperò valorosamente durante l’epidemia di colera del 1867 che gli fruttò un encomio dal ministro. Respinse tale onorificenza con questa motivazione che rivela la grandezza della sua statura morale e dell’autenticità della  sua esperienza massonica: “Nulla feci, e se molto avessi fatto, avrei scelto il principio umanitario, che non ripone in questo o in quello la sua ricompensa”.

Nel 1861 fu eletto consigliere comunale interessandosi di istruzione e di annona. Il suo idealismo radicale, rimasto integro nel tempo, gli impediva di accettare compromessi. Così dopo cinque mesi di impegno municipale si dimise. Si batté con l’associazione “Emancipatrice del Clero italiano” contro la chiesa di Pio IX per un ritorno alla purezza evangelica, ma anche tale iniziativa fu osteggiata dalle autorità locali perché sospetto di simpatie garibaldine. In Massoneria fu Venerabile della loggia Andrea Serrao di Potenza. nell’ambiente massonico Brienza non risparmiò critiche al governo dell’Ordine, fidando sulla stima e l’appoggio del Gran Maestro Ludovico Frapolli.

Eletto membro del Consiglio dell’Ordine raggiunse il 32 0 grado del Rito

Scozzese.

Partecipò nel 1869 al famoso Anticoncilio dei liberi pensatori a Napoli, costituito in contrapposizione polemica con il Concilio Vaticano. Gli ultimi anni della vita li trascorse scrivendo di storia risorgimentale. Morì a Potenza il 17 febbraio 1900.

Floriano Del Zio

Nato a Melfi il 2 aprile 1831 dal notaio Tolomeo e dalla nobildonna Anna Maria Mandile, subì l’influenza dello zio paterno Antemidoro, già ufficiale murattiano, poi carbonaro e costituzionalista nel 1848. Floriano studiò nel seminario di Melfi, ove fu sospettato dal vescovo Sellitti di simpatie liberali.- Trasferitosi a Napoli per studiare giurisprudenza fu invece affascinato dalla filosofia, che forgiò la sua personalità al punto da non esercitare mai la libera professione forense ma la ricerca e la docenza in filosofia. Fece parte del circolo di filosofia che elaborò il cosiddetto hegelismo napoletano. Del pensiero di Hegel Del Zio approfondì in particolare l’estetica e la filosofia della storia.

Nel 1860 tornò in Basilicata ove organizzò la Brigata lucana partecipando alle battaglie del Volturno, di Caserta e di Sant’Angelo. Venne inviato a Melfi dal Comitato d’Ordine napoletano per organizzare le giunte a Melfi, Rapolla, Barile, Rionero e Atella. Il 30 agosto 1860 proclamò nella cattedrale di Melfi la decadenza dei Borboni e Vittorio Emanuele re d’Italia. Quindi ritornò a Napoli dove riaprì la scuola privata e a dedicarsi agli studi hegeliani sino al 1862 quando venne nominato dal ministro dell’istruzione pubblica, il massone Francesco De Sanctis, docente di filosofia al liceo di Cagliari. Lì collaborò alla Gazzetta del Popolo, organo della democrazia sarda, che entrò in polemica con il giornale milanese Il Promotore. Nel 1865 fu eletto deputato per il collegio di Melfi, costringendolo a rinunziare all’insegnamento ed a dedicarsi all’impegno parlamentare nelle file della Sinistra. Collaborò anche al giornale di tendenza socialista Libertà e Lavoro.

Eletto per sei legislature si concentrò sulle grandi questioni come il trasferimento della capitale da Firenze a Roma, le leggi sulle guarentigie ed i problemi delle comunicazioni ferroviarie. Parimenti il suo impegno massonico lo portò a fondare a Melfi la loggia Vulture Riacceso, di cui fu Venerabile’4. Partecipò all’Assemblea Costituente massonica del 1869 a Firenze, in cui contribuì all’elezione del Gran Maestro Frapolli, ed alla discussione di grandi temi per il progresso sociale come l’emancipazione della donna, l’istruzione obbligatoria, la promozione di una campagna di opinione per il suffragio universale, l’abolizione del duello. Per la storia massonica Del Zio merita un ricordo particolarmente grato perché si batté all’Assemblea di Firenze contro la proposta del massone Olivieri di sostituire la formula Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo con la formula Alla Gloria della Patria e del Progresso Infinito  . Se fosse passata tale innovazione la Massoneria italiana avrebbe perduto ogni crisma di regolarità e speranza di riconoscimento dalle massonerie estere, avendo abolito un simbolo di trascendenza essenziale per la sua tradizione.

Dopo l’impegno parlamentare Del Zio si ritirò nel 1866 a Melfi tornando al suo studio e dedicandosi all’impegno amministrativo nel locale municipio. Nel 1891 fu nominato senatore su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, il massone Giuseppe Nicotera. Morì a Roma l’1 febbraio 1914.

Pietro Lacava

Nato il 26.10.1838 a Corleto Perticara da Giuseppe e Brigida Francolini, fu educato in famiglia agli ideali patriottici. Il padre Giuseppe, laureato in legge a Napoli, liberale sin dal 1848, prese parte nel 1860 alla rivoluzione combattendo contro l’esercito borbone a Muro Lucano, al Volturno nella Brigata lucana, e contro il brigantaggio, di cui rimase vittima in un agguato 1’1.8.1861 a Rifreddo. Anche Pietro si laureò in legge a Napoli e partecipò dal 1857 al 1860 alle lotte risorgimentali. Negli anni giovanili subì l’influsso delle idee mazziniane e nel 1860 fu segretario del governo provvisorio della Basilicata, poi sottoprefetto a Pavia e questore a Napoli nel 1869.

Eletto alla Camera dei Deputati per 45 anni ininterrotti fu più volte ministro. Partecipò alla Assemblea Costituente Massonica del 1869 a Firenze insieme con il conterraneo Floriano Del Zio e rappresentò la loggia Manfredi di Napoli all’Assemblea Costituente del 1872 a Roma.

Eletto Consigliere dell’OrdineL8 contribuì alla stesura della Costituzione Generale della Massoneria italiana che, con l’entrata in vigore del 24-5.1874 innovò l’insegna dell’Ordine con la stella a cinque punte, la corona turrita sovrastante due mani strette a patto. Il simbolo della stella a cinque punte fu poi trasfuso nell’insegna della Re- • pubblica Italiana”).

Alla Camera dei Deputati faceva parte del gruppo progressista e fu stretto collaboratore del massone Giuseppe Nicotera che nel 1876 portò la sinistra al potere. I.acava non era uomo di impeto e di eloquenza ma di calma e moderazione, qualità che gli servirono a farsi apprezzare nei diversi ambiti. Aveva particolare competenza in materia di politica interna, lavori pubblici ed economia.

Rivestì, infatti, la carica di segretario generale del Ministero degli Interni, col primo governo Depretis, segretario generale nel III governo Depretis, ministro dei Lavori Pubblici nel governo Pelloux. Fu il primo ministro delle Poste e Telecomunicazioni fondato dal massone Crispi; ancora ministro dell’Agricoltura, dell’industria e Commercio nel governo Giolitti dal maggio 1892 al novembre 1893, ministro delle Finanze nel governo Giolitti dall’aprile 1907 al dicembre 1909. Durante l’ultimo governo Crispi si schierò con l’opposizione di destra appoggiando successivamente il governo Di Rudinì, e guadagnandosi da Depretis l’epiteto di “Lupo di Corleto”. Rivestì per qualche tempo anche la carica di vicepresidente della Camera. Morì a Roma il 1 Febbraio 1914.

I Massoni di Bernalda

Innanzitutto è doveroso precisare che a Bernalda non fu mai eretta una loggia massonica, ma è altrettanto vero che vi furono massoni anche a

Bernalda. In un meridione d’Italia, piagato dall’arretratezza economica ed in particolare dall’analfabetismo (85 % della popolazione di fine Ottocento non sapeva leggere né scrivere) le famiglie dotate di censo mandavano i loro rampolli a studiare nelle grandi città sedi universitarie. Per il Sud il polo di riferimento culturale era Napoli.

Pertanto, i figli di famiglie aristocratiche o borghesi lasciavano la terra natia per studiare a Napoli, ove il fermento culturale era tale che, oltre ad attendere agli studi universitari, erano contagiati dalla passione civile, espressa dalla novità delle idee liberali. Prima dell’Unità ingrossavano le file dei cospiratori, dopo l’Unità formavano l’ossatura della classe dirigente. E’ la storia comune di tanti patrioti che assursero a rango di parlamentari, ministri, alti funzionari, ecc.

Anche Bernalda mandò i suoi figli migliori a studiare fuori regione. Costoro, dopo la formazione culturale e professionale non ritornarono nella terra natia se non per gestire il patrimonio familiare, solitamente legato all’agricoltura. Diversamente, trovavano pubblico impiego nelle libere professioni o nel pubblico impiego, che li portava a trasferirsi in altre città. Di Bernalda risultano nel libro matricola dell’Ai•chivio Storico del Grande Oriente d’Italia otto massoni, che vissero temporaneamente o definitivamente in altre città, e sono:

BELLISARIO GIULIO, fu Cosimo, nato a Bernalda 1’8.5.1872, di professione medico, emigrato in Libia a Tripoli e lì iniziato nella loggia Leptis Magna il 3.6.1920, elevato al grado di Compagno il 28.4.1923. Altro medico che emigrò nella colonia italiana di Eritrea, ad Asmara, fu l’ufficiale RINALDI GIUSEPPE di Rocco, nato a Bernalda il 16.2.1884, iniziato il 5-7.1913 nella loggia Eritrea, elevato al grado di Compagno e contemporaneamente a quello di Maestro il 19.12.1916.

Una situazione differente riguardava i militari, soggetti a trasferimenti, come il caso di DELL’OSSO GAETANO, di Giuseppe, nato il 23.8.1897 a Bernalda, sottocapo meccanico, iniziato alla loggia Imbriani-Poerio di Napoli il 28.6.1921 ed elevato a compagno il 24.1.1922; o come il caso di LORITO GIUSEPPE di Angelo, nato a Bernalda 1’8.11.1869, ufficiale di Artiglieria, iniziato 1’1.4.1905 alla famosa loggia Propaganda di Torino. Altri casi riguardavano persone che avevano trovato sistemazione in aree non lontane da Bernalda, come CAPUTI DOMENICO fu Emanuele, nato a Bernalda il 25.10.1885, di condizione impiegato, iniziato alla loggia Pensiero e Azione di Bari il 18.1.1923; come l’avv. ALESSANDRO DE BIASE di Giovanni, nato a Bernalda 1’1.11.1889, iniziato il 6.4.1916 alla loggia Giulio Cesare Vanini di Taranto; come il dottore in agraria ANGELO FISCHETTI di Giuseppe, nato il 16.8.1885, iniziato alla loggia Giuseppe Tortora di Cerignola il 25-3.1912, elevato a Compagno il 22.4.1913 ed a Maestro il 23-3.1914; altro caso di emigrazione qualificata interessò DOMMARCO GIUSEPPE di Angelo, nato il 27.2.1881 e trasferitosi a Roma ove fu iniziato il 4.11.1910 nella loggia Giandomenico Romagnosi, elevato a Compagno il 4.11.1911 ed a Maestro il 23.1.1915.

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L’UOMO . . . VIENE DALLO SPAZIO ?

L’UOMO…viene dallo spazio?

L’origine della progenie umana spesso si accompagna a sfrenate congetture, quasi sempre divergenti. La biblica coppia iniziale “Adamo ed Eva”, da cui discendiamo, ha nomi e versioni diverse perché diverse sono le mitologie dei popoli.

L’inappellabile punizione, con il conseguente allontanamento dei nostri progenitori dal mitico Eden, viene spiegata difformemente dalle varie religioni. I racconti della “creazione del primo uomo ” assumono sempre più la connotazione di favole che riesce persino difficile raccontare.

Per la religione musulmana, ad esempio, Dio avrebbe concesso a creature angeliche che operassero per Lui la creazione dell ‘uomo. Adamo ed Eva, sontuosamente vestiti, solo dopo aver disobbedito, mangiando il frutto proibito, videro le loro vesti cadere: rimasero nudi, ed essi ebbero vergogna delle loro nudità. Dalla incorruttibilità passarono alla corruttibilità fisica, e furono condannati alla fatica ed alla fame. Compresero il profondo significato della morte.

Molto originale è la mitologica loro caduta dal Paradiso, raccontata nel Dizionario Storico-Mitologico, una rara opera del 1824. Adamo – si racconta – cadde su una montagna dell ‘isola di Ceylon, che ancora oggi si chiama Adam’s Peak (Picco di Adamo). Eva cadde dov’è oggi la Mecca. Il pavone, amico di Ebli (Lucifero), che tentò l’ uomo con il serpente, cadde nell ‘Indostan, ed il serpente, nella Persia. Dopo una separazione di duecento anni, Eva ritrovò Adamo nella collina della Riconoscenza (Ararat), nei pressi della Mecca.

Se si dovesse ammettere, secondo la mitologia musulmana, una zona di caduta che abbraccia l’ area del Golfo Persico, proprio là dove apparvero gli Oannidi, scomparsi poi nel nulla, il popolo eletto degli “Ebrei prebramitici “, chiamati anche “Habirù “, il mito della caduta lascerebbe spazio anche a supposizioni di natura extraterrestre, così come potrebbe esserlo per la diade uomo-donna.

Nel Talmud, la mitologia rabbinica descrive I ‘ aspetto fisico di Adamo, fatto di materia fine, sottile e delicata, simile a quella degli angeli. Egli venne creato da Dio nel quarto cielo, molto tempo prima dell’esistenza del mondo.

Una leggenda incaica, del Titicaca, sembra confermare la provenienza dagli spazi celesti di coloro che avrebbero colonizzato la Terra. Essa dice che il mitico Manco Capac e sua sorella Mama Oello, scendendo dal cielo, si sarebbero posati sopra una roccia della “isola del Sole dalla loro unione ebbe origine la dinastia degli Incas.

Trascorsero anni, secoli, millenni, ma l’uomo, dopo aver scoperto i continenti, esplorato in lungo e in largo la Terra, ponendo fine al geocentrismo, si avvia oggi alla scoperta di nuovi astri lontani per appagare, così, l’ ambito desiderio di contemplare la Terra dall’alto. L’inappagato egocentrismo che è in lui, l’ accompagnerà anche sui pianeti che esplorerà, e lo farà sentire sempre ‘centro” di ogni cosa.

Il tecnicismo, purtroppo, conduce l’uomo verso un benessere materiale tale da rispondere ad esigenze sempre più sfrenate. Nel contempo, inverso è il percorso del suo spirito che perde sempre più coscienza di sé, immergendosi fatalmente nella “lunga notte” di un tempo tanto lontano: quello da cui l’uomo stesso venne.

In Adamo, senza ombra di dubbio, è simboleggiato l’ arcano mistero delle nostre origini, ed ogni divulgazione di notizie scientifiche, ad esse legate, si accompagna ad un sistematico smantellamento di credenze, ovvero di verità ritenute tali fino a quel momento.

E’ di questi giorni la notizia che con l’esame del DNA, estratto dalle ossa dell’uomo preistorico ritrovato 141 anni fa, nella valle di Neander, in Renania. ed oggi conservato in un museo di Bonn, è stata accertata la totale assenza di consanguineità con l’uomo moderno. Analizzando il codice genetico, gli scienziati della Pennsylvania State University e della Università di Monaco hanno evidenziato ben 27 differenze sostanziali che escluderebbero, con assoluta certezza, una qualche parentela dell ‘uomo con il cavernicolo ominide di Neanderthal.

L’incontrovertibile confronto genetico con la creatura di Neanderthal, ovverosia l’anello di congiungimento tra l’uomo e lo scimpanzé – comparso in Europa circa 200.000 anni addietro e scomparso improvvisamente 30.000 anni avanti Cristo – non solo rimette in gioco teorie e supposizioni ritenute, fino a ieri, meno plausibili, ma ripropone un altro collegamento: quello con I ‘Homo Heildenbergensis, la cui età si aggirerebbe intorno ai 600.000 anni, la cui origine africana viene confermata dall ‘ antropologo Chris Striger.

 L’antenata dell’homo sapiens potrebbe essere stata, quindi, una “Eva nera” che un bel giorno si accoppiò con un essere angelico, venuto da un altro pianeta, mettendo al mondo il primo ” uomo “, un figlio appartenente per metà al cielo e per l’altra, alla terra.

Ancora oggi, sebbene a distanza di centinaia di migliaia di anni, in silenzio, l’uomo continua a guardare le stelle. In sé, semmai lo avesse dimenticato, è sempre viva la memoria storica di quel lungo viaggio infinito che uno sconosciuto padre intraprese, in un giorno tanto lontano dell’ esistenza umana, da un mondo completamente diverso dal nostro, tanto inconcepibile per la nostra mente che i più sono soliti chiamarlo Paradiso, aggiungendo “terrestre”, per dargli una connotazione più umana.

Ancora una volta, la scienza consegna un quesito irrisolto alla leggenda.

E la leggenda, quasi per incanto, si trasforma così, in una favola crudele senza fine…

Silvio Nascimben

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V.I.T.R.I.O.L.

VITRIOL

L’essenza della continuità iniziatica e la gnosi

di

Mariano L. Bianca

1. Trasmutazione/rigenerazione individuale e metafisica

V.I.T.R.I.O.L. è un acrostico fondamentale per comprendere la natura e il significato del lavoro che  ‘ iniziato compie con l ‘ ausilio di strumenti esoterici e intellettivi all’interno del suo mondo interiore e della comunità iniziatica.

In questa sede non consideriamo l’interpretazione strettamente alchemica, ma quanto diremo la include anche se non in riferimento a specifiche operazioni alchemiche.

Questo acrostico è un insegnamento che deve essere seguito da chi intende intraprendere un cammino iniziatico. Una volta superato il rito di iniziazione, l’iniziato si rivolge alla conquista di quel mondo interiore, di quel Vello d’ Oro, che prima dell ‘ iniziazione era sconosciuto e coperto da un velo. L’iniziazione è una ‘porta ermetica’ che si apre all’ iniziato per permettergli di ritrovare se stesso e dar senso alla sua vita e, ancor più, di dischiudere la sua mente alla realtà nella sua vastità e nella sua essenza. In senso gnostico ed ermetico, l’intero cammino iniziatico non è mirato, come a volte si dice, a trovare la verità in se stessi. ma a predisporre la mente in modo da colmare il vuoto interiore con quei contenuti che permettono di raggiungere l’oltre, l’invisibile, ciò che al di là di ogni percezione e che è il fondamento di ogni cosa.

Gli scritti ermetici indicano la via e gli strumenti. La via si attua con una apertura e con uno svelamento di se stessi e continua con l’appropriazione di quegli strumenti simbolici e intellettivi di comprensione che possono togliere il velo che ricopre la realtà e non permette di coglierla nella sua essenza, anche se non si potrà mai farlo in modo definitivo e totale.

La dottrina ermetica, quell ‘insieme di concetti che sono espressi nella tradizione impressa nei testi attributi ad Errnete Trismegisto, e a diversi altri autori antichi, medioevali e moderni, non soltanto indica gli strumenti, ma anche il contenuto dell’obiettivo finale del processo iniziatico. I contenuti di questo obiettivo sono anche la trasmutazione, la purificazione e la rigenerazione del sé, ma solo se riescono a condurre l’ iniziato verso una partecipazione dell ‘ essenza del mondo.

Nella tradizione gnostica ed ermetica il fine ultimo dell’iter iniziatico non è una trasmutazione/ rigenerazione fine a se stessa, ma quella che opera per cogliere l’ultimità, l’essenza, il ‘divino’ che sta a fondamento di ogni cosa. Per questo, trasmutazione e rigenerazione del sé non sono riducibili a un obiettivo etico, psichico, psicologico ed esistenziale; il processo iniziatico è una via che, attraverso la trasmutazione e la rigenerazione del sé, conduce sì al sé rinato, trasmutato e rigenerato ma entro una dimensione che va oltre il fenomenico, il sensibile, e il percepibile.

In altri termini, trasmutazione e rigenerazione del sé hanno una natura metafisica: non servono unicamente a risolvere il sé e a rendere soddisfatto l’individuo. La dimensione psicologica, esistenziale ed etica, è fondamentale nella trasmutazione/rigenerazione, fondata sugli insegnamenti gnostici ed ermetici, ma è soltanto una parte dell’ iter iniziatico. Tali insegnamenti non sono rivolti solo ad ottenere una riuscita della vita individuale, al contrario, hanno come obiettivo finale la trasposizione dell’uomo in una realtà metafisica differente da quella mondana: una trasmutazione/rigenerazione che ha una valenza metafisica. Dove il termine metafisico si riferisce a ciò che è al di là del fisico, del fenomenico.

Trasmutazione e rigenerazione del sé in senso metafisico permettono all ‘uomo di superare il piano dell’individualità, e quindi anche la mera purificazione, per permettergli di cogliere ciò che trascende l’individualità di ogni uomo. Questa ultimità che trascende non è intesa come un ente divino personale o semplicemente come un ente sovraterreno ed ultramondano, ma come ciò che supera l’individualità e la mondanità e che ne è il fondamento: la gnosi, il Nous, un intelletto supremo, un ente persona.

Nel senso gnostico-ermetico l’ ultimità, il divino, non è l’ ultramondano, ma è l ‘ultimità della mondanità: ciò che è oltre. invisibile al fenomenico, il residuo di tutto ciò che appartiene alla realtà fenomenica e sensibile. Ciò che è oltre non nel solo senso che trascende ed è posto in un luogo lontano e diverso dalla mondanità ma è anche parte di essa: del divino fanno parte anche l’uomo e il mondo, come affermano

Agorà novembre – dicembre 1997      23 teosofia e teurgia; si pensi, per esempio, alle concezioni di F. Baader e di J. Boehme.

Il V.I.T.R.I.O.L. , che è di tradizione gnostica ed ermetica, rappresenta il processo di trasmutazione e di rigenerazione che abbiamo chiamato metafisico, in quanto slegato dalla mondanità, o meglio, che comprende la dimensione etica, esistenziale e psicologica, ma va oltre cogliendo il senso della realtà, la sua costituzione, la essenza e il suo fondamento.

2.  I significati esoterici

Il V.I.T.R.I.O.L. può essere interpretato in modi diversi ed è in base a queste interpretazioni che è possibile comprendere i significati del cammino iniziatico e di ogni comunità, come la Massoneria, che lo ha posto come suo fondamento.

La versione tradizionale in latino del V.I.T.R.I.O.L. è la seguente:

Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem. La traduzione dell’acrostico è la seguente: Visita l’interno della terra e modificandolo troverai una pietra oscura.

L’acrostico è composto da sette parole ed è diviso in tre parti; la prima, costituita da tre termini (visita interiora terrae), è relativa al viaggio, al rivolgimento e all ‘obiettivo, quella centrale (rectificando) al processo e quella finale, anch’essa formata da tre termini (invenies occultum lapidem), a ciò che si raggiunge, il fine ultimo dell ‘iter iniziatico.

Per capire il significato dell ‘ acrostico è necessario analizzare i singoli termini.

  1. Visita

Il primo dei termini del ternario iniziale è ‘visita’. Il verbo ‘visitare’ fa riferimento a un atto che viene compiuto o a qualcosa che si fa: si dice visitare un amico, visitare un luogo. Per questo, la parola visitare ha il significato di intraprendere un viaggio: ci si sposta da un luogo per raggiungerne un altro, un luogo fisico o di altra natura. Intraprendere il viaggio iniziatico non significa, come usualmente si dice, rientrare meramente dentro di sé, ma in modo più ampio abbandonare il proprio luogo, la dimora attuale, e andare a scoprirne un altro. Viaggiare è quella dimensione che permette di abbandonare una condizione e di muoversi verso il raggiungimento di un ‘altra, anche se non è conosciuta. Il termine visita, allora, fa riferimento alla dimensione e all ‘ azione dell ‘iniziato di compiere un viaggio, di allontanarsi e spostarsi da ciò che egli è; dal luogo fisico, mentale ed esistenziale nel quale si trova, di abbandonarlo e di rivolgersi altrove, verso qualche altra cosa, verso un altro ‘luogo’ che non è certamente di natura fisica.

Il visita, inoltre, indica un rivolgimento verso qualche altra cosa: rivolgersi verso un obiettivo diverso, un alcunché che ancora non si conosce: mettere tra parentesi ciò che si è e rivolgersi altrove. Il rivolgimento, o meglio ancora l’intenzione di rivolgersi, è il primo momento dell’iter iniziatico che porta alla trasmutazione e alla rigenerazione in senso metafisico del sé.

  • Interiora terrae

L’acrostico precisa che questo iter, questo rivolgimento verso, è mirato all ‘interiora terrae. Nella via misterica, esoterica ed iniziatica, quindi, l’uomo dirige il suo rivolgimento verso ciò che è interno, che è interiore, che è dentro ma anche sotto.

Il viaggio inizia, così, con una discesa agli inferi, nell’interiorità della terra e del mondo: l’iniziato non si rivolge a ciò che appare e che è sensibile, ma verso ciò che è nascosto di ogni cosa. Questo atteggiamento è diretto anche al mondo concreto degli uomini che è anch’esso oggetto di attenzione esoterica.

L’iniziato si rivolge a ciò che è dentro, oltre, interno, profondo, ciò che sta negli inferi dai quali si parte ma dai quali ci si deve allontanare. La trasmutazione degli iniziati, degli eroi, per usare un termine usato da Della Riviera, secondo le tradizioni misteriche antiche, è sempre un viaggio verso e negli inferi. Solo rivolgendosi verso il profondo è possibile risalire: nel profondo si possono trovare gli strumenti che permettono di ritornare alla luce.

Gli inferi sono ciò che è oscuro, nascosto e non facilmente accessibile. Nell ‘ ambito dell ‘ iniziazione misterica l’interiorità della terra fa riferimento soltanto a una dimensione metafisica, che concerne la realtà, od anche alla soggettività? Spesso l’ interiorità della terra viene riferita all ‘interiorità dell’ uomo; il termine terra indicherebbe solo il mondo interiore di ogni uomo, per cui il processo iniziatico sarebbe solo un rivolgimento verso l ‘ interno del proprio sé. L’interiora terrae sarebbe allora solo il sé profondo di ogni uomo. Questa interpretazione fornisce una considerazione di natura soggettiva, esistenziale e psicologistica non solo del V.I.T.R.I.O.L. e dell’iter iniziatico, ma anche dell’esoterismo, come se la via iniziatica si riducesse all’ obiettivo di entrare nel proprio mondo interiore e solo in esso trovare la verità, quale ragione ultima delle cose. Questa concezione non corrisponde ai contenuti sapienziali né della tradizione iniziatica esoterica occidentale né, in particolare, di quella gnostica ed ermetica. L’interpretazione soggettivistica e psicologistica è inaccettabile se è intesa in senso riduttivo se, invece, è affiancata da quella che fa riferimento anche alla totalità del reale e quindi alla ultimità, allora la trasmutazione del sé individuale si presenta come parte di un processo più ampio che intende collegare intimamente il destino del singolo uomo con quello dell’ intera realtà.

A questo proposito è utile chiarire la natura dell ‘ iniziazione. Essa non può essere concepita con una accezione psicologistica e riferita meramente alla condizione individuale, ma deve essere considerata come un rivolgimento verso qualcosa che trascende l’individualità e che così dà ragione anche di essa. I processi iniziatici, sebbene coinvolgano anche aspetti psicologici, non hanno una natura meramente psicologica od etica riferita al solo piano dell’esistenza, al contrario, fanno sì che l’ individualità venga sospesa in modo che il sé individuale si trasmuti e si trasporti in una dimensione sopraindividuale che è l ‘ obiettivo di ogni iter iniziatico. L’ individuo viene trasportato dalla corrente iniziatica e in essa sfugge alla sua soggettività, pur mantenendo la sua esistenza terrena e ogni impegno mondano, ma fondato e regolato dai contenuti raggiunti con la trasmutazione/ rigenerazione.

L’ accezione psicologistica ed esistenziale è accettabile se affiancata da una interpretazione di carattere più ampio in cui l’interiorità della terra non è solo il mondo interiore, ma anche, in senso metafisico, l’interiorità di ogni cosa, ciò che è nascosto di ogni cosa, il senso specifico degli enti: ciò che va oltre l’involucro esteriore. Quanto detto vale per l’ involucro corporeo dell’ essere umano e per quello terreno, fenomenico e sensibile della realtà in generale.

In questa prospettiva, v’ è anche una valutazione positiva di questo involucro, del corpo, non soltanto dell’ individuo ma dell’ intero mondo; l’interiorità non è rifiutabile perché è ciò da cui si parte per rivolgersi ad altro. L’interiora terrae è allora ciò che sta dentro al mondo, che è interno alla realtà, che sta dietro l’ apparenza dell’involucro esteriore. Infatti, ciò che è interno non appare, è nascosto e non è interamente svelabile. L’interiora terrae, nel V.I.T.R.I.O.L. , ha un significato molto più ampio di quello strettamente soggettivo, psicologico ed esistenziale che è stato accettato da alcune correnti esoteriche ed anche, in modi diversi, da alcune istituzioni massoniche.

Soltanto se l ‘ interiora terrae non è inteso solo come l’ interiore dell’ individuo, ma come l’interno del mondo, allora il processo iniziatico non ha un obiettivo solo etico, psicologico od esistenziale ma. pur coinvolgendolo, si dirige al raggiungimento di qualcosa che travalica le esigenze psicologiche, esistenziali od etiche di ogni uomo.

Si compie così un iter come rivolgimento verso l’ oltre, e questo rivolgimento è diretto a ciò che è interno, che è sotto I ‘involucro, la scorza fenomenica del mondo: il sé, il mondo la realtà nella sua completezza. A questo punto occupiamoci del quarto termine dell ‘ acrostico: rectificando.

c) Rectificando

Il termine rectificando è quello ‘mediano’. La forma logica dell ‘ acrostico è una derivazione, per cui dalla parte iniziale (i primi tre termini) si giunge attraverso il termine mediano alla parte finale (gli ultimi tre termini).

Rectificando correla le parti dell’ acrostico dando luogo al suo significato completo. Il rivolgimento, una volta che è stato innescato, si sviluppa attraverso il processo della modificazione che conduce al risultato: invenies occultum lapidem.

Che significato ha la parola rectificando? Questo termine può essere interpretato in maniere diverse. Anche in questo caso viene superata, ma non esclusa, la riduzione esistenziale ed etico-psicologica, per cui il rectificando non sarebbe altro che un processo psichico, psicologico e intellettivo di modificazione del proprio sé. Se ci si chiede a che cosa sia rivolto e su che cosa sia attuato questo processo di modificazione e se l’ interiora terrae non è soltanto il sé individuale, ma anche il sé del mondo, ciò che è intimo, interiore del mondo, allora la ‘rettificazione’ non è mirata solo a una modificazione del .sé, dell’interiorità del soggetto, ma riguarda anche l’ intera realtà. Modificare, allora, l’interiorità della terra, rectificando, significa mutare poco alla volta sia il proprio sé che il mondo e operando così è possibile trovare l’occultum lapidem. E’ indubbio che in questo caso l’opera indicata dal rectificando ha un forte riferimento all ‘interiorità del sé, non inteso unicamente come rivolgimento di carattere riduttivamente psicologico, esistenziale ed etico, ma in quell ‘ ampio senso metafisico che è stato indicato. Il processo di rettificazione riguarda l’intera realtà e il modo in cui la si osserva; come l’ osservazione attenta del sé individuale verso il proprio mondo interiore è possibile solo viaggiando all’interno, dimenticando e mettendo da parte gli aspetti fenomenici, sensibili e superficiali, così la modificazione del mondo fa riferimento a ciò che è ultimo ed interno al di sotto delta sua scorza, dell’ involucro apparente e sensibile. Si tratta di un processo ‘teurgico’ per il quale la modificazione del sé conduce alla modificazione del mondo, in quanto uomo e mondo sono parte di una sola cosa, come si afferrna nel Pimandro.

Il significato del termine rectificando va però precisato; la modificazione che indica non è una qualsiasi, ma quella che intende riportare l’interiorità della tetra al suo stato originario. La radice latina del termine è rectus (da rego) che significa giusto, non nel senso morale, ma in quello di ciò che è originario, semplice, senza affici ed anche perfetto. Si fa quindi allusione a una condizione di deturpazione della interiorità (det sé e del mondo), per cui la modificazione intende riportarla a quella originaria. Rectificare, perciò, è una particolare azione di modificazione rivolta ad allontanare ciò che ha snaturato l’interiorità della terra e perciò riportarla alla sua vera natura, alla sua essenza. In termmi esoterici, si fa riferimento a un ritorno  dell’uomo a un periodo precedente alla ‘caduta’.

Passiamo ora di analizzare la terza parte dell’acrostico.

La parte finale dell’ acrostico indica i risultati che si ottengono partendo dal rivolgimento e attuando il processo di rettificazione. Come la prima, essa è costituita da tre termini: invenies occultum lapidem, troverai una pietra oscura (nascosta, segreta).

d) Invenies

Considenamo il ternune ‘invenies’ nel suo duplice significato di cercare e trovare. Trovare in questo caso è il risultato di un cercare che si può raggiungere se si parte dal rivolgimento e si attua il processo di rettificazione. Non è un trovare per caso, ma è il risultato di un’intenzione, quindi di una ricerca. Se vengono attuati i processi del rivolgimento e della rettificazione diretti all’ interiorità della terra, allora si potrà senz’ altro cercare e trovare qualcosa.

Invenies significa trovare, ma ancor più ricercare per trovare. Per questo, il termine non indica solo l’azione del trovare, ma anche quella della ricerca che porterà alla pietra occulta dopo aver modificato l ‘interno della terra. Il trovare è un risultato necessario; se il processo è stato svolto, si troverà senz’ altro qualche cosa. Dove si cerca e si trova questo qualcosa? E dove si colloca questo qualcosa che si cerca e si trova ? Esso sta nell’interiorità della terra. Ciò che ricerchiamo lo troveremo nell’ interiorità della terra: in ciò che è interno e nascosto. Nell’ ultimità, se si vuol dire, negli inferi, intesi come il mondo che sta sotto a quello fenomenico.

Ciò che si cerca lo si troverà nell’interiorità della terra sulla quale si è operato con l’ azione della rettificazione. Cercare e trovare sono riferiti a qualcosa che non era conosciuto, ottenendo così una nuova conoscenza. Si cerca e si trova sempre qualcosa non sapendo di trovare, per cui questo termine sta a

significare che ci si troverà di fronte a qualcosa che non conosciamo, con la quale non si aveva alcun contatto. Una dimensione nella quale non ci si era colti, un luogo che non si sapeva della sua esistenza, una realtà che era ignota. Ciò vale per il mondo interiore e per l’interiorità della realtà. E’ l’ ignoto del mondo che appare e in questo senso significa cercare e trovare qualcosa che non era noto, al di là di una significazione e dimensione riduttiva soggettiva, psicologica, esistenziale ed etica ma ampliata in senso metafisico che si ricollega al significato metafisico de termine terra. L’ insegnamento, allora, indica la necessità della ricerca e del ritrovamento come momenti fondamentali dell ‘ iter iniziatico.

Esaminiamo a questo punto gli ultimi due termini di questo ternario della seconda parte dell ‘ acrostico. Il temario collega l’invenies con l’obiettivo, con il suo risultato, con ciò che viene ricercato e con ciò che verrà trovato.

e) Occultum

La parola occultum fa riferimento a una realtà nascosta e segreta. Ciò che viene ricercato e trovato è nascosto in quanto non visibile, per il fatto che è al di là del fenomenico, dell’apparente e, come tale, è segreto. I termini nascosto e segreto (od occulto) non sono sinonimi; nascosto è riferibile a qualcosa che non è facile cercare e trovare, che è lontano dalla vista e dall ‘osservazione e che è coperto da un velo che bisogna togliere; segreto, invece, è relativo a ciò che non è dicibile e descrivibile in modo chiaro e il suo significato non è né accessibile né comprensibile a tutti. Segreto corrisponde a ciò che è esoterico, che non è per tutti, ma solo per coloro che hanno intrapreso una via verso la gnosi.

Inoltre, il termine occultum può essere inteso anche come qualcosa che ha il carattere di essere grezzo e quindi passibile di sottoporsi a un processo di levigazione: la rettificazione.

f) Lapidem

A questo punto esaminiamo l’ultimo termine del ternario della terza parte del V.I.T.R.I.O.L. , lapidem. Questo termine, come si è visto, può esser tradotto con pietra: quello che si cerca e si trova è una pietra oscura, nascosta, una pietra grezza. Nell ‘usuale interpretazione questa pietra è ciò che si trova nel proprio mondo interiore: quella forma grezza che può essere levigata e plasmata, e che dà luogo al sé rinato e rigenerato: quest’ ultimo è proprio il risultato della levigazione della pietra nascosta. Questa pietra nascosta, oscura e grezza dove si deve ricercare e trovare? Questa pietra, come dice l’ acrostico, è nella parte interna della terra, che non è, come si è detto, solo il mondo interiore soggettivo ma l’ interiorità del mondo, della realtà in generale; in altre parole, l’ultimità della realtà, ciò che è ultimo, ulteriore, al di là del quale non si può andare. Questa pietra oscura che si ricerca e si trova, come risultato di un’ opera esoterica, possiede, come il Graal o l’elisir alchemico o pietra filosofale, un potere e un significato in se stessa. Il simbolismo del Graal è assimilabile, anche se con diversi significati, a quello della pietra oscura, così come lo è l’interpretazione alchemica. Qual è il significato, e perché l’uso del termine lapidem in questo acrostico e in una dimensione esoterica? Ricercare e trovare una pietra, oscura e nascosta, significa trovare qualcosa che è solido, ha un peso, un valore e una rilevanza. La pietra non è un alito di vento, né un soffio, ma è una materia dura, inerte, ma viva e plasmabile. Se il processo di modificazione è una alterazione che riporta allo stato primievo. allora la pietra non si cerca, ma si ri-cerca, non si trova ma si ri-trova in quanto è sempre stata presente ma è stata occultata dalla deturpazione terrena, dopo la caduta, intesa in senso teosofico o strettamente gnostico come condizione di occultamento del sé e della realtà generato dall’ ignoranza.

Sulla pietra che si ri-cerca e si ri-trova I ‘ iniziato incide il suo cammino iniziatico; una pietra difficile da incidere, infatti, la materia di cui è costituita è tale per cui è necessario avere strumenti appropriati perché possa essere lavorata. Allo stesso tempo, l’incisione del proprio cammino sulla pietra significa svolgere un’ opera solida che non verrà alterata dal vento né verrà distrutta, ma permarrà nel tempo.

La pietra è ciò che permane in quanto è il solido, la permanenza del mondo e del mondo interiore, la presenza forte, ultimativa, ineludibi le, proprio in quanto costituita da una materia che permane. Nell’interiorità e nel mondo essa rappresenta la loro permanenza e la loro continuità d’ essere; la loro differenziazione rispetto a ciò che passa, muta, è superficiale e leggero e che scompare nella vastità del nulla. La pietra non è un nulla, ma è ab eterno, una permanenza, una solidità del sé e del mondo.

Niente si costruisce sulla sabbia, come dice il testo sacro, e si può costruire solo su ciò che è pesante, rilevante, degno di permanere nel mondo, opposto al superficiale, che scompare ed è soggetto a continue trasformazioni. Il V.I.T.R.I.O.L. afferma che nella realtà e nel proprio mondo interiore si può ri-cercare e ritrovare una solidità, una permanenza, che è sempre presente e sulla quale si può agire con appropriati strumenti che permettono di ritrovare l’ originario (rettificando) e da qui operare sulla pietra oscura.

Questa permanenza è ciò che si trova scavando nella superficialità del mondo, nella leggerezza sfuggevole dell’esistere. Ri-cercare e ri-trovare una pietra oscura e nascosta. La pietra non è facilmente raggiungibile ma, una volta raggiunta, manifesterà la sua natura all ‘iniziato, cioè il fatto di essere oscura. Questa oscurità della pietra sta a significare che è qualcosa che non si manifesta in modo immediato; è necessario avvicinarsi ad essa, soffermarsi, voltarla e rivoltarla, incidere su di essa il proprio percorso; solo in questo modo ci si appropria di questa e la si rende parte attiva della vita come qualcosa a cui si è intimamente legati.

Più ci avvicina e ci si appropria della pietra oscura, più appare permanente, duratura ma sempre nascosta da un velo. La pietra rappresenta I ‘essenza, il significato, la solidità, la permanenza dell’ interiorità del proprio mondo e della realtà in generale, in contrasto con ciò che è superficiale, esteriore, scorza e involucro. La pietra è la permanenza rispetto al transeunte di sé e del mondo.

 Mondo interiore e realtà in generale sono costituiti da questa sostanza occulta, da qui il la’ esoterico che consiste nel considerarla come svelabile, che permane e che non è mai raggiungibile nelle interezza, ma qualcosa di essa può essere raggiunto.

La pietra occulta sta anche a significare il fatto che l’ iniziato vive entro I’ occulto, entro ciò che è seg nascosto, al di là di ogni cosa, oltre ed ultimo. L’iniziazione è così un processo che, come si è detto, apre porta, ma la apre all’ oscurità. L’ ignorante ritiene che il mondo sia ciò che vede, che appare, che gli è manif€ che gli è facilmente raggiungibile, mentre per l’ iniziato il mondo è mistero e solo la gnosi permette di rischia qualche aspetto, ma non potrà annullare il mistero dell’ultimità occulta delle cose.

L’iniziato viaggia sempre nella oscurità e nella luce, cogliendo l’una e l’altra. muovendosi in continuo alternarsi tra ignoranza e gnosi. La gnosi non potrà mai avere fine, né la luce piena potrai I essere raggiunta, Tuttavia, l’iter Iniziatico non permane nell’oscurità e la luce della gnosi  portare alla superficie qualcosa della pietra e di svelare allo stesso tempo la sua intima oscurità.

Il V. I.T.R.I.O.L., così inteso, permette di comprendere la natura dell’ iter iniziatico e della iniziazione, al contempo, di distinguere l’iniziato dallo pseudoiniziato, cioè quell’iniziato che ha percorso  qualche passo, che è stato solo illuminato, ma non ha continuato il cammino e crede che ciò sia sufficie e così resta nell’ignoranza e legato alla pochezza del mondo. Egli non ha capito che il cammino è continuo allontanarsi dagli intrighi del mondo e che l’essenza di esso è mistero e oscurità e che necess sempre del complemento continuo e permanente della gnosi.

La gnosi iniziatica si raggiunge con la comprensione che l’ ultimtà è mistero, che si è sempre difror alla pietra occulta, ma che si è anche difronte a un passo successivo di conoscenza che è la sola c permette di percorrere l’occulto e così continuare il cammino.

La via iniziatica, secondo quanto insegna il V.I.T.R.I.O.L., è un porsi sempre difronte alla piet oscura e la gnosi che si raggiunge permette di intraprendere il cammino nelle tenebre con una fiaccola mano. Come Diogene che con il suo lumicino cerca l’ uomo per tutta la sua vita, così l’iniziato cerca . stesso e l’ essenza del mondo, la gnosi, il divino, percorrendo le tenebre con una luce sempre più chiara rivolgendo la sua attenzione con continuità verso ciò che è oscuro, segreto e nascosto

Il V.I.T.R.I.O.L. fomisce indicazioni su come svolgere il cammino e la riflessione su di esso permette di comprendere l’ essenza esoterico-ermetica di ogni percorso iniziatico.

Se il V.I.T.R.I.O.L. è posto nel Gabinetto di Riflessione ed è parte della tradizione esoterica della Massoneria, allora indica la via del lavoro all’interno del proprio mondo e del Tempio. Nella tradizione massonica il V.LT.R.I.O.L. non è relativo solo alla condizione interiore e alla realtà in generale, ma anche alla vita nel Tempio e all’atteggiamento che il massone deve avere verso se stesso e gli altri e alla pratica della sua vita nel mondo. Il massone è sempre alla ricerca e ha sempre difronte a sé la pietra oscura, mistero di se stesso, degli altri del mondo; proprio perché a consapevole di questo, il suo atteggiamento è sempre un rivolgimento verso la gnosi che permette di percorrere le tenebre senza la paura di perdersi Il V.I.T.R.I.O.L. è un insegnamento esoterico-ermetico che inquadra e dirige ogni iter iniziatico e la sua comprensione permette di riempire il vuoto interiore, che si crea con la rettificazione dell’interiorità della terra, con quei contenuti di conoscenza che porteranno alla trasmutazione e alla rigenerazione del alla gnosi e, al contempo, contribuiranno alla costruzione del tempio interiore, di quello alla Gloria del Grande Architetto e allo svolgimento della vita concreta: il divino dell’ uomo si ricongiunge così al divin del tutto, come insegnano i testi ermetici.

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INCONTRO CON LA CHIARA LUCE

INCONTRO CON LA CHIARA LUCE

Il grande viaggio di andata e ritorno dall’Aldilà

di

Giorgio Cerquetti

In occidente il Tantra è comunemente conosciuto come l’arte di riconciliare la spiritualità con la sessualità. Nella scienza spirituale dello Yoga il Tantra è la capacità di armonizzare coscientemente i chakra inferiori con quelli superiori favorendo l’ascesa naturale dell’energia vitale (kundalini) e l’assorbimento dell’energia cosmica (prana). La kundalini, che anima ogni organismo umano dorme nel primo chakra, il vortice energetico legato all’elemento terra. Questo seminario ha uno scopo pratico: risvegliare la kundalini e guidarla nel suo cammino spirituale attraverso ogni chakra, per favorire questa condizione è necessaria la presa di consapevolezza del potere insito in ogni chakra. I grandi saggi dell’India scoprirono, migliaia di anni fa, che la kundalini nel suo viaggio assume diversi aspetti: sessuale, emozionale, mentale e spirituale. Ogni fase va vissuta in armonia con l’altra. Il docente che ha vissuto molti anni in India e negli Stati  Uniti

Uniti insegnerà, per la prima volta in Italia, la meditazione energetica tantrica basata sull’antica tecnica del cobra. Questa è un’antichissima pratica iniziatica del Kriya Kundalini Yoga praticata dagli Yogi tantrici del’Himalaya per sviluppare e mantenere i Siddhi, i poteri latenti in ognuno di noi.

Queste tecniche (non sono dogmi e non prevedono adesioni ad alcun gruppo o l’accettazione di un guru) possono essere praticate da tutti a qualunque età, da soli, in coppia o con un gruppo di amici. Possono essere usate con successo durante i rapporti sessuali ma questa non è la loro unica caratteristica.

Queste conoscenze, finalizzate alla liberazione dell’essere dall’ignoranza, per molti secoli sono state ferocemente combattute in India dalla dominazione musulmana e da quella puritana inglese e oggi sono sconosciute alla quasi totalità degli indiani, è arrivato il momento di restituire ad ognuno il diritto di conoscere e sperimentare liberamente l’ enorme potenziale che è, da sempre, dentro di noi.

L’autorealizzazione spirituale è il miglior investimento che un essere umano può fare nel corso della sua vita, il Tantra offre molte preziose tecniche, esercizi e meditazioni per migliorare la qualità della vita.

Quando la Kundalini scorre in modo sciolto e naturale e corpo mente e spirito operano in armonia allora l’individuo gode un’ottima salute fisica e mentale..

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LA LETTERA G

LA LETTERA G

di

Mark Dwor

Questo lavoro si basa su un articolo scritto da Henry Carr P.A.G.U C. P.M. Segretario della Loggia Quator Coronati nel volume 76 degli atti di quella Loggia, pag. 170.

La lettera G è una di quelle originali parti della storia massonica che non sembra seguire una strada di istruzione codificata.

La ricerca che ho condotto, come la ricerca che Henry Carr ha pubblicato, indica che è un esempio della natura non codificata dei simboli che sono stati trasformati in un nuovo significato.

Infatti, la questione è così potenzialmente confusa che l’ articolo di H. Carr termina con il seguente post scritto alla pag. 195: “Senza dubbio vi sono molte altre variazioni di pratica interpretazione che sono sorte durante i secoli, tutte sono interessanti e talune sorprendenti”.

L’ articolo fu scritto nel tentativo di accertare in che modo le pratiche .  siano sorte e in che modo si siano sviluppate. Non è nella mie intenzioni dimostrare che un particolare simbolo o una certa forma della parola sia giusta e che altri quindi siano errati, Vi è un grande bisogno di un ‘appropriata tolleranza in tale materia. Possiamo dolerci che certi simboli e frasi stiano tendendo a scomparire dalla pratica o che la loro importanza ed il simbolismo sia stato cambiato o trasformato di gran lunga oltre il loro originario significato. Entro i vasti confini della Massoneria Universale c’ è spazio per ogni forma di interpretazione e ritengo che l’ Ordine sia fortificato ed arricchito da queste variazioni e dall’ assenza di uniformità.

La vera questione sulla lettera G non è tanto da dove venga ma come sia gradualmente mutato il suo originale significato e come è che questo nuovo significato sia diventato ora quello predominante. Vi sono due distinti significati conferiti alla lettera G: il primo sta per Geometra, il secondo sta per God. Questo è molto chiaro nelle due differenti versioni fornite per questo come è sottolineato nel lavoro del Secondo Grado. Alla fine del rituale dell’iniziazione al Secondo Grado, si trova la dichiarazione in riferimento al numero sette che rende la loggia perfetta. Essi nello stesso modo alludono alle sette arti liberali e scienze, ovvero la grammatica, la retorica, la logica, l’ aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia.

La lettura del rituale del grado, allora, conclude così: “Dopo che i nostri antichi fratelli avevano conquistato l’apice della scala a chiocciola, passavano nella camera di mezzo del Tempio, dove la loro attenzione veniva diretta a certi caratteri ebraici che sono disegnati nella loggia di Compagni d’ Arte per mezzo della lettera G, che denota God, il Grande Geometra dell’Universo al quale noi tutti dobbiamo sottometterci e che tutti dovremmo umilmente venerare.

V1 sono due passi nel lavoro canadese, una dei quali può essere scelto dal Maestro del Culto da dare al Compagno d’ Arte. In uno di questi passi il riferimento alla G è il seguente: “la scienza della geometria è stabilita come base della nostra arte”. Nell’ altra carica il riferimento è come segue: “Specialmente la scienza della geometria è stabilita come la base della nostra arte”. Geometria o Libera Muratoria, originariamente termini sinonimi”.

E’ fuori dubbio che originariamente Geometria e Libera Muratoria erano sinonimi, e tanto può essere rintracciato in documenti all’inizio del 1410. Non si può affermare che il rituale, come noi ora usiamo, era in ogni modo contemplato nel XV secolo, ma la nozione della Geometria come sinonimo particolarmente di Massoneria è consistente, e la conseguente ragione, quella di diventare simbolo nell ‘ arredo del Tempio e conseguentemente oggetto del rituale. La prima volta che vediamo la lettera G come nient’ altro che geometria è in una pubblicazione inglese all’ inizio del XVIII secolo, all ‘ incirca nel 1727. Questo è un vago riferimento nel catechismo al significato secondario per la lettera G che era fino ad allora stato descritto come essere elemento centrale della loggia e stante per geometria. Il più specifico riferimento alla lettera G con un altro significato si trova in una pubblicazione francese del 1744, il Catechismo dei Frammassoni, e in grandi linee come l’ Apprendista diventato Compagno descrive il soggiorno nella camera di messa con il catechismo:

Domanda: Quando sei entrato (in camera di mezzo) cosa hai visto?

Risposta: Una grande luce nella quale ho percepito la lettera G.

Domanda: Cosa significa la lettera G?

Risposta: God.

Ciò è come dire Dio o qualcosa che è più grande di te. Deve essere ricordato che il XVIII secolo fu un tempo di grande rinnovamento della Massoneria sia nelle insegne che nei rituali. Ciò che abbiamo di quel periodo è una serie di rituali non autorizzati almeno fino all’ultima parte del XVIII secolo, e questi sono tutti piuttosto sospetti; tuttavia l’informazione che contengono è relativamente consistente. Un altro esempio di innovazione massonica nel XVIII secolo fu in Inghilterra, intorno al 1730, il cambio di un sistema a due gradi in uno a tre gradi. Nell’organizzare il sistema a tre gradi, il primo grado che era basato sulle due colonne del Tempio fu sostanzialmente scisso nei due gradi e l’esistente grado di Compagno dell’Ordine, che era basato sui cinque punti della fratellanza, divenne il terzo grado a cui fu aggiunta la leggenda di Hiram.

Più o meno nello stesso periodo ci fu un graduale cambiamento della forma del lungo catechismo e delle lunghe letture in una forma piuttosto facile da trattare. Una delle questioni che emerge ripetutamente è la relazione tra la Stella Fiammeggiante e la lettera G.

La Stella Fiammeggiante si ritrova nei disegni della loggia. ln alcune di queste pubblicazioni si presenta nelle iniziali pavimentazioni che sono tuttora esistenti, ed appare per tutto il XVIII e XIX secolo sempre nel centro della loggia, ove fu tracciata. Ricorda che i paramenti della loggia e il quadro di loggia volevano allora significare essere guardati dall’alto essendo sul pavimento e non come ora teniamo sollevate le nostre tavole attuali sui cavalletti.

Alcuni degli iniziali disegni hanno la G e la Stella Fiammeggiante separate, tuttavia gradualmente questi due simboli furono incorporati in uno e, intorno allo stesso tempo, venne praticato l’uso generale della G, che stava per God e specificata unita nel Secondo Grado, la Grande Geometria. Ciò accadde abbastanza sorprendentemente in Europa intorno al 1750 e non in Inghilterra sino alla fine del XVIII secolo. Infatti, in alcune delle pubblicazioni inglesi la lettera G fu interpretata “Gloria, Grandeur e Geometria”. Intorno alla fine del XVIII ed all’inizio del XIX secolo, la lettera G, almeno per quanto le autorità inglesi se ne preoccuparono, fu presa come significato simbolico di God, come comparato a Geometria.

Queste due separate nozioni sono tuttavia vive nei rituali come noi li pratichiamo oggi nel lavoro canadese. Vi è un riferimento alla stella fiammeggiante nel nostro rituale di Primo Grado: gli ornamenti sono il pavimento a mosaico, la cornice sopraelevata che circonda il pavimento e la stella nel centro. I Quadri di loggia stessi mostrano la relativa non conformità riguardo questa materia perché alcuni hanno dal 1801 la lettera G all’interno della stella fiammeggiante, ed alcune fino al 1840 non hanno la lettera G o una stella fiammeggiante su di toro.

Vi sono un numero di gioielli massonici, a partire dal 1760, che hanno la lettera G intrecciata con attrezzi di lavoro, tuttavia la pratica di aver la lettera G dentro squadra e compasso è relativamente moderna, sebbene essa sia usata in Irlanda, come farò notare sotto, per differenti propositi.

L’altra questione riguardante la lettera G è il suo collocamento nella loggia. Nella mia loggia è situata sulla parte sopra la poltrona del Maestro. In molte altre logge di questa giurisdizione cade dal soffitto. A Londra e nel sud dell’Inghilterra non vi è alcuna lettera G attaccata alla parete o sospesa al soffitto nel salone della loggia. Al nord dell’Inghilterra ed in Scozia, la pratica pare essere quella della G attaccata giusto al soffitto o alla parete dietro la parete del maestro. Nelle letture del rituale scozzese, conosciute come letture della camera di mezzo, il paragrafo finale recita come segue: “Fratello mio, noi ora siamo arrivati in un posto che rappresenta la Camera di mezzo del Tempio del Re Salomone, osserva la lettera G sospesa ad est; essa è la lettera iniziale di Geometria, la prima e più nobile scienza. In Irlanda d’ altro canto la G è esposta nel tempio, molto spesso intrecciata con squadra e compasso sopra la sedia del Venerabile.

Tuttavia la pratica rituale in Irlanda è tale che la G non significa God, non significa Geometria, molto precisamente ciò che significa è la prima lettera della parola del Maestro Venerabile. Nel lavoro degli Antichi Liberi Muratori, come praticato in questa giurisdizione, la G sta per entrambi God e Geometria, come sottolineato nel lavoro del loro secondo grado.

E’ difficile pervenire ad una conclusione, eccetto dire che la G, originariamente significava Geometria e gradualmente, quando il nuovo secondo grado fu stabilito nel XVIII secolo e richiesto dalle necessità dell’Ordine, venne anche a rappresentare God, sebbene l’originale significato geometrico non era mai scomparso, almeno nel nostro lavoro. Non vi è nessuna “A” nel lavoro del primo grado a dimostrare il Grande Architetto, né vi è una “M” o una “H” nel terzo grado a dimostrare il più alto, ma da qualche parte lungo la tradizione la G cominciò a rappresentare non già Geometria ma anche il Grande Geometra dell’ Universo (God) e cioè quanto il nostro rituale ha sviluppato.•

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LE DUE LEGGI DELLA CREAZIONE

LE DUE LEGGI DELLA CREAZIONE

di

Vittorio Vanni

Si sa che il termine Dio deriva dal sanscrito Deva, che significa “luminoso”; è evidente trattarsi della luce spirituale e non della luce fisica che non ne è se non il simbolo.

L’ Architetto è colui che concepisce, e I ‘ autore o il direttore dell ‘ opera; è evidente che non è materialmente il creatore, dato che l’architetto TRACCIA e l’operaio esegue. E’ questo concetto che induce il ricercatore ad accettare insieme le due “leggi” della creazione, con parole che non comprende, con esperienze di cui non sospetta neppure l’esistenza.

La prima Legge è da considerarsi “di chiusura” che misticizza il soggetto di cui si crede parlare.

La seconda impedisce che ci si fermi a questo punto perché questo mondo che appare a colui che lo CREA non solo più soddisfacente dell’ altro, ma più reale. Impressione menzognera, in effetti, indica una pseudorealtà particolare resa assoluta e divenuta immagine. La prima legge è in relazione alla sacra triade immutabile, discendente, bianca, eterna, chiusa e contemplante se stessa. La seconda legge è mobile, ascendente, nera, non eterna, aperta, e offre la possibilità di risalire alle cause prime. Tutto accade come se il fortuito, l’assurdo, il caso, fossero esclusi dalla realtà. E’ importante notare come sia possibile trasformare il rumore in “suono armonico”. E dalla fiamma violenta e lucida dell’emozione primaria che si effettua la sutura in “giuste immagini” di elementi disparati fra i quali esistono rapporti inauditi. Nessun ordine apparente si lascia distinguere in questo vortice indescrivibile di suoni, immagini, ricordi senza data, che escono sia dalle regioni più segrete dell’ anima che dal suo dominio meno intimo: QUELLO DEI SEGNI APPRESI. All’improvviso affiora un principio di coerenza nei suoni e nelle immagini dove gli elementi immaginativi verbali “utili” si organizzano secondo il movimento ritmico centrale “DAATH” (verbo) e secondo le forze che ne emanano, Ogni volta che nella ricerca si debba tener conto del ruolo e della posizione dell’ osservatore, ci si dovrebbe riferire non solo alla soggettività di un individuo, ma alla posizione di un essere teorico ideale utile come mezzo di misura. Lo slittamento del ruolo di questo osservatore ideale in quello della soggettività e della coscienza individuale è una delle principali fonti di malinteso e di confusione nella ricerca. Al contrario l’individuo nella sua soggettività e nell ‘esperienza della sua illuminazione interiore è il punto di partenza, anche se in seguito occorrerà comprendere come riconoscere o non riconoscere alcun interno ed esterno, attraverso l’intermediario dell’Io e del Tu e del volto dell’altro, verso un al di là dell’Essere, un infinito che apre e che annienta la totalità.

La Loggia del Cavaliere del Sole non deve essere illuminata che da un solo Lume, perché non ve n’è che uno da cui il mondo sia rischiarato, nella stessa guisa non vi è che una Loggia, cioè quella che Adamo ricevette da Di0. Il sigillante delle due leggi è simbolizzato dal numero 6 che è un numero potentissimo: rappresenta due volte il 3.

E’ il triangolo celeste, riflesso, sulla terra, è perfetto in quanto le parti addizionate fra di loro danno sempre il medesimo numero come risultato. Bisogna sempre considerare tutto ciò che ci sembra reale da ciò che è riflesso, capovolto.

Avere la possibilità di giocare a questo “gioco dei giochi” implica la conoscenza dei rispettivi limiti nei due tipi di procedimento, quello analogico e quello mistico, che utilizzano in maniera opposta le possibilità del va e vieni (ciò che è in alto non è uguale a ciò che è in basso, capovolto e sdoppiato) con il ricorso alle astuzie del linguaggio ed ai giochi sistematici tra la parola ed il silenzio.

Il  buddismo zen utilizza sistematicamente il paradosso e la contraddizione nei suoi insegnamenti, affinché risulti ben chiaro che questi non sono che una preparazione a quell’illuminazione che non può essere oggetto di discorso. L’ esperienza mistica consiste in quella fusione-separazione cui mal si adatta il linguaggio discorsivo.

Le parole non possono contenere I ‘ assoluto, ma sono indispensabili per esprimerlo, dato che tutti gli altri mezzi (simboli, gesti, etc). hanno i loro limiti. Un maestro cabalista dell’inizio del nostro secolo spiegava l’obbligo di nascondere la saggezza “segreta” rifacendosi al principio talmudico di svelare un cubito e di nasconderne due. Oppure se una parola vale qualcosa, il silenzio vale il doppio. Rabbi Yeohuda spiega il versetto 2 del Salmo 65. “Per Te il silenzio è lode con l’aforisma la migliore droga di tutte il silenzio”.

Questa espressione si colloca all’origine della prima legge, e all ‘impossibilità di fare intendere la totalità. La lode a Dio, o la lode all’infinito non è che finita, parziale e inadeguata e chi potrà cantarla? Eraclito ricorda, nel primo dei suoi frammenti: “prima di udirne, dopo averne udito, non intendono gli uomini quel Logos che è sempre e per cui tutto diviene, non ne sembrano esperti, anche se esperti”. E ancora “ascolto non danno, dire non sanno queste cose, molti che vi si imbattono travisano, né appresele comprendono. pur se lo credono”.

Così possiamo leggere nei Salmi (62, 12) “una parola Dio ha detto, in due parole io ho sentito”. Nella nostra esperienza, per cantarne la lode e amare la prima legge, possiamo, in silenzio, rispettarne il senso, l’indicazione di tutti coloro che ci hanno tramandato le loro conoscenze e ripetere con Eraclito: “umane parole, balocchi! ” Entriamo nel merito di ciò che è in basso, capovolto e sdoppiato. Non è possibile per questa seconda legge rinunziare alla spiegazione unica ed unitaria pur sapendo che l’ ambizione di ogni sistema esplicativo, che motiva e permette il suo progresso e la sua estensione a nuovi modi interpretativi, è sempre quella di fare come se fosse il solo possibile, di mirare appunto alla sezione aurea della spiegazione “VERA” unica ed unitaria.

Nasce dunque il bisogno di rendere presente il sacro nel profano, la luce NERA della notte nella luce CHIARA del giorno. Un tale bisogno permette l’interiorizzazione e la partecipazione dei rituali magici e religiosi. L’ unione, attraverso il rituale corrisponde ad un bisogno d’unione senza fusione.

E’ quella verità che non ci tocca, di cui parla Nietsche a proposito delle credenze, propone di considerare il fatto che il convincimento di una verità può essere più pericoloso della menzogna.

Egli definisce varie forme di menzogna delle quali la varietà la cui più comune è quella con la quale si inganna se stessi. L’ idea che questa legge derivi dalla cosmogonia e dal sistema esplicativo razionalizzante legato all ‘ esperienza contenuta ed individualizzata nelle tradizioni è illusoria.

Più semplicemente si tratta di un fatto compiuto, in cui questa legge esiste, dando risultati tramite lenti processi di maturazione ed evoluzione individuale, condizionati da interazioni complesse, coscienti ed incoscienti dovute alle diverse culture che abbracciano la storia, la geografia, gli usi i costumi etc. .

Queste man mano vengono razionalizzate, recuperate ed integrate in una visione globale dell’ individuo e dell ‘universo, generando le caratteristiche dei vari sistemi gnostici, intesi come “Conoscenza” totale ed assoluta delle FORZE e delle POTENZE rivelate nei vari periodi agli iniziati.

Le descrizioni quindi del reale arrovesciato in termini di mentale, sovramentale, ego, coscienza cosmica, ricorre costantemente in tutti quei tentativi di traduzione interpretativa dei sistemi orientali ed occidentali come sintesi illuminante.

Ma il “vitale” ed in particolare l’ attivo ed il passivo, la mascolinità-femminilità cosmica permane comunque dove si è generata, in India, nell ‘ antica Cina, in Giappone, nella mitologia greca, nella gnosi e nella cabala.

Quando si tratta poi di razionalizzare, di percepire, I ‘ unità del grande tutto, nell ‘esperienza interiore e quotidiana dell’Io, dell’estasi e dell’esperienza mistica in tutte le sue forme, si modella sul contenuto, usando la saggezza e l’ astuzia del serpente che si ritrova in ogni mito fallico. Si tratta della saggezza “Cochmah” della tradizione cabalistica, ossia come serpente di vita e di intelligenza allo stesso tempo.

Il termine ebraico Aroum designa sia la nudità che l’astuzia del serpente (Gen, II) e possiamo intravedere l’ azione, l’ atto della Genesi su un doppio registro, cosmico e mentale.

E ciò che Y. Elkana chiama la ragione “astuta”3. La ragione scaltra, dice, o abile è anche quella dell ‘ artista che modella la sua opera, non come un architetto pianificatore ma piuttosto come la crescita di un bambino, attraverso il gioco.

La saggezza parla di se stessa evocandosi come fosse già là, come Torah, prima della creazione del mondo, attiva come l’ artefice della creazione, o come un neonato che cresce con il Creatore, a seconda del modo di leggere la stessa parola, ma comunque giocando con gli uomini.

J. Schlanger nella conclusione del suo testo “Una teoria descrittiva della spiegazione ” dice che la spiegazione di un evento, per minima che sia, non è mai compiuta. poiché è stato necessario inserirla in un contesto che le attribuisce un significato. Ma tale contesto richiede anch’esso di essere spiegato in un contesto nel quale si inserisce; e così di seguito…

E inoltre la procedura di spiegazione soddisfa soltanto il desiderio di comprendere ed eventualmente di manipolare di chi spiega.

E’ chi spiega e non ciò che è spiegato, che subisce l’impatto della spiegazione. Ed a proposito della “Langue ebraique resituée” di Fabre d’ Olivet, la Schlanger constata: questo libro, gli storici della linguistica lo lasciano agli storici della mistica che a loro volta lo rinviano ai primi.

L’autorità della scienza e l’ autorità della Genesi, il giudizio individuale e l’ispirazione primitiva, agli occhi del Fabre dovevano rinforzarsi a vicenda.

Ma, forse giustamente, non è possibile ottenere nelle stesse pagine, attraverso lo stesso processo nello stesso movimento dello spirito, un sapere ed una saggezza. Il miglior modo di uscire da questo labirinto è nascosto nelle cose di questo o di quel sistema e quindi nell’accettare il gioco di più sistemi interpretativi differenti. Ciascuno di essi obbedirà alle regole che sono quelle della sua verità ed i suoi errori.

E così che la “distesa dei cieli” deve essere compresa come luogo di separazione tra acque dall’alto e acque dal basso (vedi tetractys) la questione diviene allora quella del ruolo di tale separazione rispetto alla nostra esperienza della luce del giorno. Questa riguarda, come abbiamo detto, le acque del basso, luogo della molteplicità delle cose visibili.

Mentre le acque dall’alto restano nell’ombra rispetto al sole per essere illuminate da una luce più potente – che c’è nascosta – quella del primo giorno, prima che il sole fosse creato nel mitico racconto dei sette giorni della creazione, come sette sono le sephire inferiori nell’albero della cabala, o nella tetractys.

La funzione della distesa dei cieli serve da schermo protettivo contro un eccesso di luce e di calore anche notturno perché l’ azione o meglio il suo effetto, si esercita nelle acque dal basso, attraverso la terra o regno (malkut) tramite uno schermo opaco che non impedisce al sole di riscaldare tutte le sorgenti (niente di nuovo si produce sotto il sole, è scritto nell’Ecclesiaste).

Partiti dall ‘ osservazione di due visioni cosmogoniche siamo giunti, tramite simbolizzazioni, ad una visione cabalistica o tradizionale dell’universo costruito o pensato ad immagine o somiglianza del corpo umano, dove lo schermo separatore fra l’alto, ed il basso funge da diaframma.

Questo diaframma separa le parti superiori dalle parti inferiori del corpo, ma non in modo che queste ultime siano luogo di una sessualità dedita alla generazione, piuttosto la parte inferiore del corpo deve venir percepita come meno vivente, meno collegata con gli infiniti rinnovamenti della vita cosmica.

L’unione fra questi due mondi, altrimenti separati. quelli della vita nella morte e della morte nella vita, nelle acque dal basso è da una parte assicurata dal sangue, luogo dell’ anima vegetativa, ed all’ altra dalla sessualità, i cui organi sono distribuiti al di sopra ed al di sotto dello schermo.

In effetti, se gli organi genitali sono in basso, a molti altri organi bisogna riconoscere una funzione erotica, compreso il cervello, come organo eterico dsecrezione dello sperma che scende poi, sempre etericamente, attraverso il midollo spinale nel basso regno

La sensazione che dietro ogni cosa che possa essere sperimentata vi sia qualcosa che il nostro spirito non può raggiungere, la cui bellezza è il sublime ci raggiungono solo indirettamente da Einstein nel “My Credo” del 1932:

“L’esperienza più bella e più profonda che un uomo possa avere è il senso del mistero. E’ il principio soggiacente alla religione, così come ad ogni seria impresa, chi non abbia mai fatto una tale esperienza, mi pare se non proprio morto almeno cieco. La sensazione che dietro ogni cosa che possa essere sperimentata vi sia qualcosa che il nostro spirito non può raggiungere, la cui bellezza è il sublime ci raggiungono solo indirettamente, come un riflesso lontano, è questo il religioso. In questo senso io sono religioso. Mi basta meravigliarmi di fronte a tali segreti e tentare umilmente di apprendere con il mio spirito una semplice immagine della struttura di tutto ciò che è”.

Ci sono dunque per noi due specie di verità, così come vengono rappresentate dall’albero della conoscenza e dall ‘ albero della vita, la verità attiva e la verità inerte. La prima verità ci viene data realmente, la seconda è solo presentimento. Il predicatore itinerante dell ‘ ordine rabbinico Maggid dice: “se vorrai raggiungere la vita eterna e non potrai che volerlo perché la conoscenza è questa volontà, dovrai distruggere te stesso prima di entrare nel Sancta santorum dovrai toglierti tutto, effettuare la spoliazione e una volta raggiunta la nudità togliere tutto quanto si nasconde sotto di essa, fino al limite del riflesso del fuoco eterno. Soltanto questo fuoco verrà risucchiato, perché si lascia risucchiare ed attraversando tutti i mondi diventerà un’ unità con il Santo”.

Anche il mito della caverna del VII libro della “Repubblica ” di Platone, illustra magistralmente il procedimento conoscitivo dell’ uomo, paragonato ad un prigioniero in una caverna nella quale si vedono solo le ombre degli oggetti proiettati sul fondo: questa è la conoscenza sensibile o l’ opinione di essa. La filosofia rappresenta l’ uscita dalla caverna: dapprima il prigioniero è abbagliato (inerzia dell’ idea) dalla luce del sole, poi riesce a scorgere la vera realtà, la conoscenza intellettiva. Quando apprendiamo il contenuto di una certa ricerca viene sempre fuori la domanda: è una cosa seria? La risposta dovrebbe essere sempre no! La serietà non è assolutamente garanzia di verità a priori: al contrario niente è più serio dei giochi della conoscenza. Le idee non devono essere serie, esse sono fatte perché si giochi, senza prenderle seriamente, ma prendendo sul serio il gioco. Nel gioco umano tutto il mondo si riflette su sé stesso, scintillano per pochi istanti tratti dell’infinito dentro il finito.

Questo stato paradossale permette di prendere sul serio la situazione dell ‘ uomo nel mondo. E. Flink, nel libro “Lejeu comme symbole du monde ” si rifà ad Eraclito per ritrovare l ‘ intuizione del mondo come potenza organizzatrice universale, il gioco come un’irruzione come un riflesso in mezzo alle cose ordinarie. Esso è meno nelle cose della metafisica, ove è relegato come al posto di copia deformata ed ingannevole che Platone assegnava all’arte ed alla poesia. Ma è anche gioco del culto dove l’ordine nascosto del mondo viene rappresentato. Il gioco è insieme umano e cosmico. Tutto è caratterizzato da un ‘ onnipotenza organizzatrice, che include il possibile come il reale, il cui effetto è ciò che egli chiama l’individuazione, cioè l ‘ apparizione e la scomparsa degli individui. E’ la stessa potenza organizzatrice che Eraclito chiamava fuoco, luce, tempo, gioco e ragione; nomi diversi per una medesima attività cosmica della quale il gioco umano è il simbolo riflesso nel mondo.

La celebre immagine del fanciullo che gioca (nel frammento 52 di Eraclito) alcuni l’hanno definita natura o Logos, altri “il tutto del mondo”. Altro da una cosa nel mondo perché per quanto grande, potente, forte e saggia possa essere la persona non è possibile immaginarla onnipotente, potente come il tutto, perché l’ onnipotenza non può essere una persona e nessuna persona può essere onnipotente. •

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ANNO 2000: APPUNTAMENTO CON L’ANTICRISTO…?

ANNO 2000: APPUNTAMENTO CON L’ANTICRISTO…?

di

Silvio Nascimben

“…l’Anticristo è già nato. Lo avrebbe partorito una ragazza madre, in una notte di tempesta. Caino ucciderà nuovamente Abele. Pietro Il concluderà la successione papale. L’Anticristo verrà crocefisso in piazza S. Pietro e l ‘ Umanità si avvierà verso la fine dei Tempi. Cristo ritornerà.

Dietro I’ apparente semplicità dei racconti dei profeti si nascondono, quasi sempre, messaggi occulti di eventi che riusciamo a cogliere dopo il loro verificarsi, col “senno del poi”.

Cosa si nasconde allora dietro I ‘ espressione ”fine del mondo”, al di là del significato letterario delle pamle?

Secondo i teosofi orientali, negli ultimi 25 anni di questo secolo gli uomini si sono avvalsi dell’ aiuto di Grandi Esseri Spirituali, i Superiori Sconosciuti, che da sempre seguono il processo evolutivo del mondo, e solo grazie al loro intervento l’ Umanità riuscirà a superare il più critico appuntamento della sua storia: quello con l ‘ Anticristo.

Il dilagante progressivo deterioramento dei vaIori  spirituali e morali ci vede oggigiorno fatalmente

stranamente accondiscendenti, malgrado la diffusa sensazione del progressivo avanzare del Male Assoluto: premessa di uno sconvolgimento generazionale, di portata epica, ahimè, che nessuno potrà più arrestare. La catastrofe rigeneratrice dovrebbe, secondo le profezie, porre definitivamente fine a tutte le tragedie che da sempre affliggono l’umanità, come le guerre fratricide, la violenza, la crudeltà e le prevaricazioni di ogni sorta.

L’ eterno e ciclopico scontro tra le forze del Bene e del Male — come si rileva dai profetici messaggi – non poteva non contrapporre al Cristo, riferimento spirituale di pace e amore dell’umanità, l’immagine speculare contraria, l’Anticristo, ovverosia il maligno dispensatore di inganni, di odio e morte: l’immonda bestia del Male. LI primo, venuto dalla casa di Davide, dalla terra dei figli di Abramo, mentre il secondo, come precisa il libro di Daniele, I ‘esatto opposto del Cristo: una bestia dalle forme mostruose e ripugnanti, proveniente da una misteriosa “casa gialla”, che alcuni studiosi delle scritture identificano col Sole. Nell’ Apocalisse di San Giovanni è spesso presente, infatti, quest’essere mostruoso e disumano, mentre risuona l’inquietante profetico sermone: “…falsi cristi e falsi profeti sorgeranno e faranno grandi segni e miracoli… “.

L’ Antimessia — dicono – è nato da una ragazza ingenua, violentata da un uomo di nobile e potente famiglia: è il figlio naturale di un padre violento e malvagio. Per le Profezie del Ragno Nero, la data di nascita di questo oscuro personaggio è l’ anno 1967 perché “la soglia dei tempi della grande mietitura” è il 2000 e l ‘ Anticristo concluderà il suo percorso terreno, come il Cristo, a trentatré anni.

Santa Ildegarda, nelle sue “Memorie”, scrive “…renderà a volontà gli uomini sani e malati, esorcizzerà i demoni e farà rivivere i morti. Egli comparirà… . Il Beato Beda, di contro, a proposito dell’Anticristo preannuncia. • ‘ …apparirà con il manto del vero Cristo per ingannare le genti e alla soglia dei tempi (l’anno 2000) verrà bruciato nella sua perfidia mentre la chiesa brillerà di grande splendore ‘ .

Emblematico appare il collegamento dell’Anticristo al “sole”. Ubertino da Casale, in una ballata, dice.• “…il disprezzo de la legge scenderà dal sole… e aggiunge, riferendosi agli ultimi papi, che dal sole pioverà una non specificata gialla “. Nelle profezie di Malachia, poi, il terzultimo papa viene definito “De Labore Solis ” (dal lavoro o, per alcuni, dal travaglio del sole). L’ Anticristo, sotto il pontificato di questo papa, inizierà a far parlare di sé. Le profezie, molto ermetiche in verità e spesso discordanti, sono tutte concordi nell’affermare che il Figlio del Male si macchierà del delitto dell ‘uccisione del padre adottivo: la lunga parentesi dedicata allo studio, terminerà al trentesimo anno, il 1997. Apparirà un gran segno nel cielo, una aurora boreale, o forse un segno di morte provocato dall’uomo: l’inquinamento atmosferico, potrebbe essere una plausibile interpretazione.

Da eloquente oratore, l’ Anticristo impronterà la sua dottrina parlando di fratellanza e di amore, ed ogni sua parola conterrà veleno e seminerà violenza e morte. Il figlio colpirà a morte il proprio padre, la violenza si abbatterà sugli innocenti e sulle terre incolte, macchiate di sangue, crescerà solo la gramigna. Il malefico Maestro, dice Santa Ildegarda, farà tanti miracoli.• “…sembrerà muoversi nell’aria, farà venire giù fuoco dal cielo, produrrà lampi, tuoni e grandine. Toglierà il verde degli alberi e poi lo ridarà… Ventuno apostoli si raccoglieranno intorno al Figlio del Male ed uno di questi sarà un prelato cattolico che abbandonerà la legge di Cristo.

Per le profezie del Ragno Nero, questo emblematico personaggio di nome Tipore – anagramma di Pietro – sarà l’ombra, il consigliere fidato dell’ Anticristo e, nello stesso tempo, il Giuda. L’ Anticristo verrà crocifisso “sulla piazza della pietra millenaria, dove vigila il Faraone “. La piazza potrebbe essere San Pietro, al cui centro è collocato I ‘obelisco egiziano.

Con la morte di questo oscuro ed inquietante personaggio, non morirà il suo messaggio malefico, di veleno e di morte, che qualcuno continuerà a divulgare, infiltrandosi, in ogni strato sociale dell ‘Umanità.

Solo allora “i cieli crolleranno e lingue di fuoco “, dicono tutte le profezie e Nostradamus aggiunge: “e spazzeranno la terra fino a ridurla in frammenti”.

Avvicinare questa angosciante profezia alla devastante potenza disintegratrice dell ‘ energia atomica non è cosa difficile, anche perché il termine “disintegram” altro non vuol dire che “spezzare l’integrità di un corpo”. Il segnale della “fine dei tempi” verrà da Oriente e tutto l’Occidente lo vedrà chiaramente.

“La grande morte verrà da Oriente ” – annuncia santa Ildegarda – “preceduta da un lampo e la terra diventerà una sterminata pianura di cenere e di morte. L’umanità non finirà”.

Potrebbe darsi, chissà, che quell ‘ enorme cimitero di cenere – a duemila anni di distanza dalla venuta del Cristo — induca finalmente gli uomini, i pochi scampati alla morte, a riscoprirsi fratelli. Solo allora, stretti in un abbraccio disperato, s’impegneranno al vicendevole rispetto di quella universale ed eterna massima, sempre disattesa: “non fare agli altri ciò che non vorresti fatto a te…

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MAESTRI VENERABILI E FALSI GENTILUOMINI

MAESTRI VENERABILI E FALSI GENTILUOMINI

di

Vittorio Vanni

Mercuzio: “Bene, maschera su maschera ora non temo occhi curiosi che vengono a spiar le mie bruttezze. Questa posticcia maschera arrossir dee per me

(da Romeo e Giulietta – Atto I scena IV)

Per tutti i membri della nostra Rispettabile Loggia tu eri il più sicuro e perfetto candidato all’Oriente, o austero | 0 Sorvegliante, forse perché il tuo piglio era nobilmente compassato ed i modi squadrati ed inimitabili, come se tu fossi nato nel Tempio e cresciuto fra le Colonne.

Alto per doti fisiche, ma più per naturale eleganza, la tua fronte augusta accennava cesaree canizie e marcata da linee profonde dimostrava temperata forza e maturo ingegno.

La nostra Loggia, lacerata da dissidi e conflitti; divisa in sette e fazioni, ti vedeva come l’ ago di una inflessibile bilancia, futuro Maestro di giustizia e pace operosa.

Il tuo sguardo, tollerante e severo assieme, osservava altissimo la turba dei Baroni e dei loro lacchè, affaccendati nei loro traffici da Tempio oda mercato, la massa amorfa dei barbagianni sonnacchiosi, tesi solo ad osservare dove tirava il vento appiccicoso e grasso del potere, e lo sparuto ma turbolento gruppi dei Magi scardassati, cercanti sperdute stelle all’Oriente.

Ma all’Oriente non vi era che ipocrisia Sopraffina, intrallazzo patente e torva ignoranza. E i Magi

vedevano  nei tuoi vestiti eternamente grigi e stirati lisi il labaro dell’onestà e della rettitudine, mentre il tuo parlare, pesato ed esatto, garanzia di illuminato equilibrio, gli addormentava cullandoli, i sognatori di stelle.

         Ma I ‘occhio acuto dei Baroni valutava ben meglio il panno cui ti vestivi e ti prendeva con il mignolo le misure del borsellino, nella furbesca sapienza che necessità è prima legge degli uomini.

Così unanime, una Loggia disunanime ti elesse a capo desiderando vedere innanzi a te il tuo volto degno di borghese illuminato e dignitosamente povero, di massone autorevole, tollerante e sapiente.

Ma con te non riapparve la Stella all’Oriente e gli scalcagnati Magi videro  con inquietudine che il tuo sorriso, che appariva saggio e conciliante all’ombra-delle Colonne si trasformava, fra Sole e Luna un rictus sogghignante a pieni denti, un falso e legnoso vezzo da marionetta, ed il solito, leggero inchino del capo con cui lo accompagnavi non era più, come prima sembrava, un benevolo e paterno omaggio al minor Fratello, ma un ossequio mendace e Sarcastico, o peggio un ipocrita insulto a quei reietti Magi che rifiutavano e torta e briciole.

Novello Cenerentolo, non invano perdesti la tua specchiata scarpetta, e certe buone fate Spazzarono via il tuo onorato  e livido doppiopetto con una livrea luccicante e più adatta ad un novello Barone.

E se l’aquila si vestì con le penne  che cosa non fecero i barbagianni i di Meridione e di Settentrione, dai grandi e finalmente attenti  gfi occhi’ d’ oro, coperchi del nulla„

Non aspettarono certo il terzo canto del gallo per affermare Che di Stelle all’ Oriente non se ne era mai Miste, e che se ve ne fossero state avrebbero guastato l’estetica, il sonno e la buona digestione.

 Fu così, falso gentiluomo che scese da cavallo la tua maschera di cavaliere e mostrò i lunghi denti alla polenta scodellata dal potere. Nella tua Loggia di oscuro passato e di incerto’ avvenire i Baroni ed i

loro sculettanti manutengoli si disputano ancora brandelli di onori meschini e le piume dei polli rubati; i barbagianni sonnacchiosi x sobbalzano ancora ai tuoi colpi di maglietto, spalancando i grandi occhi d’ oro come gli scudi sognati e mai avuti. Solo la rutilante e fantasmagorica troupe dei magi ha ripreso da tempo l’infinita via di un impossibile Oriente.

“I conti tornano sempre” – disse il calcolatore.

Nessuno gli ha mai detto che l’acqua amara rinforza il collo e rende svelto il passo.

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VITA BREVIS ARS LONGA

Hedley, Ralph; Ars longa, vita brevis; South Shields Museum and Art Gallery; http://www.artuk.org/artworks/ars-longa-vita-brevis-34779

VITA BREVIS ARS LONGA

di

Bruno Marini

Non solo nel mondo degli affari ma anche in quello delle idee, il nostro tempo sta attuando un ‘autentica liquidazione. Tutto si ottiene a un prezzo talmente vile, che vien da chiedersi se alla fine ci sarà ancora qualcuno disposto ad offrire. Kierkegaard

Prometeo si mise a gareggiare in furbizia con Giove; uccise un toro e ne fece due mucchi. Uno, formato con le carni migliori, lo inserì nella pelle dell’animale appena ucciso, l’altro, composto solo dalle ossa, lo ricoprì di grasso e mise in bella evidenza il fegato, la parte migliore in assoluto. Giove, ingordo, scelse il secondo mucchio… Accortosi della beffa, arrabbiato, tolse agli uomini il fuoco ma Prometeo, con fare astuto, riuscì a riprenderlo e a riportarlo agli uomini nascosto in una canna.

In passato avveniva che illuminati come Buddha, Zoroastro, Ram, Socrate, Eraclito, Platone, Gesù, Apollonio, con il loro esempio di vita e il loro insegnamento scuotevano gli animi così profondamente da provocare dei veri e propri terremoti spirituali, dando origine a culti che in alcuni casi sono ancora vitali e non danno segno di logoramento.

Oggi si parla di marasma spirituale, morale, politico… In effetti viviamo un tempo eccezionale: mai tante persone sono state baciate dalla “Pura Rivelazione”. Miriadi di nuovi messia sorgono in questa nostra “Nuova Era”: sono il frutto della mancanza di valori sicuri, il prodotto di una società consumistica esasperata dalle regole del mercato, sospinta da una forza centrifuga che non consente alcuna possibilità di ritorno.

Uscire dal gioco imposto dalle forze del mercato globale e dal bombardamento delle sterili promesse fatte dalla classe politica che si alterna al potere, supportate dai grandi e potenti gruppi economici che sfruttano la credulità della gente semplice, usando la tecnica delle proiezioni e dei sondaggi falsi, frutto di mediocrità intellettuale, per ottenere vantaggi e profitti a scapito dei tapini che devono venire a patti con gli stessi gruppi di potere, economici, nel tentativo di mantenere il loro mediocre status sociale, per tramite i paladini sindacali che tutto fanno all’ infuori dell ‘ interesse di chi rappresentano.

Guai a chi perde il passo “significa regredire di secoli”, vien suggerito dai governanti deboli che non sanno quello che fanno! In questo clima di desolazione sociale nasce il bisogno, in coloro che a fatica sopravvivono privati dei valori fondamentali come la morale, la giustizia, I ‘equità, la solidarietà, di ricercare un rifugio sicuro, una protezione che si discosti dal concetto consumistico. Questo rifugio fino a non molto tempo addietro veniva identificato esclusivamente nei vari credi o culti fideistici. Oggigiorno quei rifugi non dispensano più tanta sicurezza ed ecco, sentiti i malesseri che aleggiano nell’ aria, in questa fase d’incertezza e di debolezza morale, venire in soccorso all ‘essere umano, che ha innato il bisogno di capire e di capirsi per vincere il terrore della propria precarietà, i dispensatori di sicurezza, di salute, di benessere economico, di felicità, ecc… Assistiamo al proliferare di tutte le deviazioni, di tutte le prevaricazioni, di tutte le aberrazioni che affiorano, con fasi sotterranee, nella nostra società in profonda crisi d’ identità. Abbiamo a portata di portafoglio la chiromante, l’astrologo, il veggente, la fattucchiera, l’esorcista, il guaritore, il dispensatore di prana e chi più ne ha più ne metta! Anche queste bestialità non a tutti bastano, si allarga il campo operavo, nascono e prolificano sette sataniche o similari, con a capo santoni, orientali e locali, che garantiscono a tutti il paradiso: sufficiente è la quota associativa mensile…

Mi è pervenuta una lettera, da parte di un gruppo culturale, contenente l’informativa della realizzazione di un limitato numero di libri molto particolari a contenuto magico, rituale, ecc.. Scopo del centro, tengono a precisare nella lettera, è quello di non lasciare in mano a pochi individui il patrimonio Iniziatico Tradizionale. Tutta l’umanità, a loro giudizio, ha il diritto di conoscere le risposte alle domande che da sempre la tormenta; risposte finalmente rivelatrici su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. In fondo all ‘opuscolo c’è un ‘ aggiunta: “N. B. Il tutto sarà tuo prenotando in anticipo i testi, con la modica cifra di €…

Basta inviare soldi ed avere fede per veder risolti tutti i nostri problemi. Chi ci casca deve solo subire, e così sia!

Esistono anche le scuole definite Iniziatiche e Tradizionali. Ma quante sono oggi le scuole iniziatiche? Impossibile definirne la quantità, ogni giorno assistiamo a qualche nuova nascita, a qualche nuova scissione, anche in questo mondo esistono degenerazioni, e aberrazioni. Questo mondo però ha da sempre avuto la capacità di ribellarsi, come del resto fa madre natura per difendersi dallo scempio prodotto dai suoi figli prediletti. La forza esistente nel tessuto iniziatico ha la capacità di rigenerare costantemente il proprio manto protettivo, scrostandosi di dosso tutta la sporcizia. Il segreto consiste nella saggezza o chiave arcana posseduta dai membri che compongono la cerchia interna. Un tempo anche le religioni avevano una cerchia interna che possedeva la chiave.

In cosa consiste questa difesa così sicura? Per soddisfare quest’esigenza sono, fin dai tempi più remoti, state create tante scuole esterne, tanti vivai, sono sempre esistiti movimenti legati a piccoli misteri e cerchie interne legate a grandi misteri. La strada Iniziatica consente tante vie dove camminare, tante combinazioni, non si torna indietro, e quelli che non riescono a procedere nel cammino, per I ‘impossibilità di comprendere la giusta combinazione, si fermano, e tentano di formare dei gruppi, dei cenacoli o delle logge, insegnando quanto da loro appreso. Sono questi i così detti o ordini essoterici o pseudoiniziatici: esempio lampante è la grande quantità di ordini Massonici oggi esistenti ed operanti. ln questi Ordini non viene mai svelato nessun segreto, perché non ne conoscono alcuno. Offrono però, l’opportunità ad altre persone di inserirsi nell’ingranaggio e se qualcuno di quest’ultimi riesce a realizzare qualcosa automaticamente si stacca, abbandona il gruppo nel quale non si sente più a proprio agio. Chi trova una delle tante chiavi di accesso esperimenta una realtà inspiegabile a tutti gli altri. Se decide di rimanere, in detti contesti, lo fa esclusivamente per lanciare dei messaggi.

Pensiamo un attimo agli enormi progressi fatti nel campo della ricerca scientifica: attualmente risulta possibile realizzare il primo cervello artificiale; non è assurdo, in fondo si tratta di realizzare un elaboratore capace di sintetizzare, di elaborare autonomamente, in rapporto a determinati stimoli, le informazioni che gli sono state inserite nella sua memoria di massa. L’essere umano vive, pensa, sogna, elabora, adoperando solo una piccola parte del suo cervello, non è capace di accedere alle altre parti: ha perduto le chiavi. Non serve portare esempi di tempi lontani a suffragio di questa tesi; nel 1992 una ragazza napoletana, lo riportavano tutti i quotidiani questo fenomeno inspiegabile, una bella mattina nel dialogare con i suoi familiari ha iniziato ad esprimersi in un idioma sconosciuto, dopo lo sconcerto, in quanto la ragazza si esprimeva esclusivamente in quella lingua, sono stati chiamati a consulto esperti in linguistica che hanno riconosciuto nel greco antico (lingua morta) l’idioma nel quale la fanciulla si esprimeva. Dopo qualche tempo, alcuni mesi, la ragazza ha ripreso a parlare nel suo dialetto senza più ricordare o compren dere una parola dell’ antica lingua.

Come spiegare questo caso particolare? Non altrimenti che nell’ ammettere la capacità del nostro cervello di mantenere intatte, nell’ arco dell’evoluzione individuale, tutte le informazioni del nostro passato. Per accedere a questa magnifica banca dati bisogna essere in possesso delle varie chiavi di accesso. Le grandi invenzioni, dovute ai grandi ingegni, probabilmente sono i prodotti di aperture con chiavi di accesso casuali e temporanee, di angoli oscuri, di spazi contenenti informazioni nel loro cervello.

Anche Giove, come accennavo all ‘inizio, portò via il fuoco agli uomini, Prometeo lo riportò nascosto… Egli nascose dunque il fuoco e lo divise in tante parti, come a formare un labirinto… , lo stratagemma ha consentito agli esseri umani l’evoluzione e agli Dei l’impossibilità di fermarla (Prometeo significa ‘rifletto prima ” e rappresenta, nella mitologia, la potenza del pensiero umano che insorge audacemente contro la forza divina. Le tante forme del labirinto, a noi pervenute dall’antichità, hanno tutte la forma dei due emisferi del cervello umano).

Esiste per il ricercatore un tipo di labirinto, quello formato dalle tante espressioni religiose, sette, ordini occulti, nel quale si trova sperduto; sarebbe troppo semplicistica l’indicazione che ogni religione ha la sua parte di verità, che non esiste la via umida o la via secca, ma esiste solo la via, che non esiste magia bianca o magia nera, ma sempre e solo la via…, ecco il ruolo del Maestro: di colui che ha già superato questo primo stadio di sbigottimento. Se esiste un pericolo questo si può identificare con la parola controiniziazione, forma negativa, ritardante, che interessa esclusivamente coloro che già in partenza si avvicinano alle scuole essoteriche per poter poi sfruttare certi titoli a loro esclusivo uso e consumo. Come esistono i malfattori e gli imbroglioni, questi infiltrati intendono usare una pseudo conoscenza allo scopo di spillar quattrini ai deboli, agli indifesi, e a tutti i cretini. Realtà umana che mai cambia e mai cambierà: l’ emanazione del Tutto tutto deve comprendere.

Nella letteratura esoterica non ci sono in commercio testi migliori o testi peggiori, quasi tutti si rifanno a scritti del passato, mal compresi e mal tradotti, oppure ripropongono come attuali testi rabberciati, spezzoni messi assieme senza alcun senso logico, raccattati forse in certi circoli, riproposti con nomi di autori mai esistiti; altri, più modesti, disquisiscono su scritti di qualche contenuto esoterico, con risultati quanto mai esilaranti. Vita brevis, Ars longa, questo primo aforisma di Ippocrate, mi viene in mente mentre sfoglio una rivista specializzata nella ricerca esoterica, il solito illuminato di turno spiega con parole semplici come è giusto intendere il Sefer Yetzirà. In circa 32 righe trovo scritte le seguenti parole: trono, creazione, quabbalismo, misdraim, sekhinah, galut ha sekhinah, esilio della scehinà, Israele, Templi, numinosità, talmudici, midrasica, Adamo, Eva, Babele, Sodoma, Egitto, mar Rosso, tabernacolo, Beresit, sabba, midrasima, mitema, quabalah, sophia, gnostica, pleromica. Garantisco che chi riesce a capire qualcosa è già un grande Iniziato! Socrate, che non ha mai scritto niente, dice per tramite la penna di Platone: “erano davvero grandi quelli che per noi istituirono i misteri, realmente sin dà più antichi tempi abbiano voluto lasciarceli intendere in maniera enigmatica: perché dicono gli interpreti dei misteri, molti sono i portatori di tirso ma pochi gli invasati dal Nume”. Questo discorso di Socrate è stato poi ripreso da Gesù con parole del suo tempo: “molto sono i chiamati pochi gli eletti”. Niente cambia, sia Socrate che Gesù avevano trovato la stessa chiave!

Quanto è stato esposto può far pensare che chi scrive ha compreso, ha trovato una chiave, oppure ha  qualche gradino sulla famosa scala, niente di tutto questo chi scrive non  è proprio nessuno sulla via Iniziatica, ha fatta qualche esperienza in alcuni gruppi essoterici; attratto da alcuni scritti li ha comparati e il risultato lo ha fermato nella carta. Si è ritrovato, questi sì, nel pensiero di Socrate quando nel Teeteto afferma: “per conto mio io non sono punto sapiente, né di mio c’è nemmeno alcuna cosiffatta scoperta che sia generazione della mia anima; di quelli però che praticano con me, da principio alcuni appaiono anche affatto ignoranti, ma tutti poi, continuando a frequentare la mia compagnia, ne traggono – quelli a cui Dio lo concede – un profitto straordinario. Ed è evidente che ciò avviene senza che abbiano imparato mai nulla da me, bensì perché da se medesimi hanno trovato e partorito molte cose e belle; ma l’averli aiutati a partorire di questo certo il merito risale al Dio e a me”.

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SIMBOLISMI E SIGNIFICAFICAZIONI MASSONICHE NELLA TURANDOT DI GIACOMO PUCCINI

SIMBOLISMI E SIGNIFICAFICAZIONI MASSONICHE NELLA TURANDOT DI GIACOMO PUCCINI

di Livio De Luca

 Non è facile compendiare in poche pagine una ricerca la cui maggiore difficoltà è consistita nel proporre delle risultanze che possano risultare significative sia per eventuali lettori profani che Massoni: per i primi risulterà interessante comprendere come il nostro patrimonio artistico e culturale sia costellato di riferimenti simbolici e concettuali ascrivibili al patrimonio valoriale della Libera Muratoria.

Per i Fratelli il lavoro potrà costituire motivo di esortazione a non adagiarsi nell’esaltazione di un obsoleto repertorio di testimonianze massoniche, sforzandosi invece di individuare di quei segni iniziatici che adornano la nostra esistenza e che troppo spesso vengono sottovalutati o misconosciuti: è nostro fermo convincimento che se si intende operare per il Bene ed il Progresso dell’Umanità sia necessario recuperare la capacità di “meravigliarsi”, ovvero di osservare sotto una diversa ottica le tante componenti che costituiscono il nostro sistema ideale e relazionale, una rinnovata capacità interpretativa quale primaria conseguenza della rinascita iniziatica.

È proprio da una simile circostanza che trae origine questo studio, una sorta di serendipità che ci ha indotto a riconsiderare secondo una rinnovata prospettiva alcune informazioni rinvenute nel corso di uno studio che tanti anni fa abbiamo condotto circa alcuni aspetti del rapporto tra Fascismo e Musica, allorché ci imbattemmo in una pubblicazione in cui era contenuta un’ampia descrizione delle circostanze riguardanti la morte di Giacomo Puccini e le onoranze che gli furono tributate: nel leggere il paragrafo “L’omaggio alla salma” ci destò meraviglia notare che l’immensa corona con la scritta «La tua Elvira» è di crisantemi e mimose. Se ha suscitato il nostro stupore la presenza di questo fiore, raramente se non straordinariamente incluso nelle composizioni floreali funebri, maggiore interesse ci ha destato il successivo passo «La bara di Giacomo Puccini è posta, quindi, sul catafalco. Ora Antonio [il figlio) con impeto d’amore, ritorna ad aggiustare la cravatta che si era un poco scomposta e depone nelle mani un ramoscello di mimose preso dalla corona inviata dalla mamma. Sono gli unici fiori che Giacomo Puccini porterà con sé sotto terra».

Indipendentemente dalle contingenze geografiche e meteorologiche che invalidano l’ipotesi di un inserimento casuale di tale fiore nell’omaggio che gli affetti più cari gli tributarono, in questo gesto non siamo riusciti a rintracciare alcun simbolismo ulteriore se non quello ben noto ai Fratelli, del “Funerale Massonico”, tributato ai Liberi Muratori passati all’Oriente Eterno. Ovviamente non abbiamo la presunzione di fornire risposte certe ed inequivocabili, potendo soltanto proporre degli spunti di riflessione; non sarebbe, d’altronde, possibile altrimenti se si considera la natura dell’argomento trattato, quell’ambito esoterico la cui ineffabilità comporta appunto un percorso costituito da successive verità, anche contraddittorie, delle quali nessuna può essere considerata conclusiva.

Per correttezza metodologica ricorderemo che la Massoneria è un Ordine iniziatico di carattere tradizionale e simbolico e che questi due aggettivi stanno ad indicare prerogative imprescindibili per assumere lo status di Massone, ovvero che si sia stati sottoposti ad una regolare iniziazione officiata da persone e secondo modalità tramandate nel corso di una ininterrotta tradizione: precisiamo tali concetti per chiarire che non attribuiremo la qualifica di Massone a seguito di un’adesione a principi ed ideali muratori o per l’appartenenza a generiche correnti iniziatiche o esoteriche mentre, nell’impossibilità di effettuare ricerche approfondite, ci limiteremo ad accettare tale qualifica se ci sono più fonti concordanti che lo attestano o studi che lo abbiano verificato anche senza riportare i riferimenti documentali.

Dichiariamo che allo stato non si è in possesso di alcuna testimonianza da cui si possa desumere che Giacomo Puccini sia stato iniziato a quest’Ordine tradizionale: lo stesso Grande Oriente d’Italia, che pure non esita ad inserire il compositore nell’elenco dei “Massoni Illustri”, da noi interpellato ha dovuto ammettere che nell’Archivio Storico non è presente documentazione a riguardo, mentre non ci è stato possibile rivolgere la medesima richiesta ad altre Comunioni massoniche, Per converso non si può sottovalutare che sono innumerevoli le fonti, italiane e straniere, che asseriscono fermamente l’adesione del compositore toscano alla Libera Muratoria: la nostra proposta è inoltre confortata da un’evidenza inoppugnabile, ovvero che la prima rappresentazione di “Turandot”, il 25 aprile 1926 al Teatro alfa Scala di Milano, fu realizzata con musiche di Giacomo Puccini – indicato come Massone, essendo completata da Franco Alfano – Massone•, diretta da Arturo Toscanini – indicato come Massone- e sotto la regia di Giovacchino Forzano – Massone-, mentre ci sentiamo confortati dalla necessità di individuare giustificazioni a particolari che ci appaiono incongruenti e che di seguito proporremo congiuntamente ad una rinnovata prospettiva interpretativa. A tale proposito, è necessaria un’ineludibile considerazione per giudicare le modalità metodologiche e le finalità del presente studio: non si può non tener conto della sua valenza “pionieristica” in quanto sono pressoché, se non totalmente, assenti altre indagini orientate in questa prospettiva, il che determina l’impossibilità di ricorrere a confronti con altre fonti o con riferimenti documentali o interpretativi precedenti.

Si renderà necessario condurre l’indagine su due filoni paralleli ma distinti: il primo, proponendo una serie di testimonianze che possano contribuire a far luce su aspetti della personalità e delle modalità relazionali di Puccini, l’altro teso a rintracciare se nelle sue manifestazioni espressive sussistano elementi simbolici o significazionali che possano rappresentare espliciti richiami al patrimonio valoriale e rituale della Libera Muratoria.

L’epistolario pucciniano sin qui pubblicato comprende soltanto la corrispondenza inviata dal compositore fino a tutto il 1904 ed in esso sono rari i riferimenti riconducibili alla Libera Muratoria: tra questi, tuttavia, ci limiteremo ad indicare quello contenuto nella lettera del 26 maggio 1893 al cognato Raffaello Franceschini, quando utilizza una formula alquanto particolare «…cercare di conservare quell’armonia che è la reggitrice dell’universo mondo civile e fraterno».

Nella lettera del 1 4 giugno 1898 ad Alexandre Luigini – che il successivo 1 9 giugno dirigerà la prima rappresentazione di Bohème a Parigi- scrive «Mon cher e valereux maestro, il faut queje remercie du profond de mon coeur, pour le soin fraternel…» [fraterne cure]. Desta poi interesse l’incipit della lettera indirizzata a Jules Massenet «Caro ed Illustre Maestro, Mille grazie del vostro Mattiniero biglietto- L’ho gradito moltissimo perché mi arriva da un insigne confratello…»: significativo che anche Massenet rivolgendosi a Puccini in un biglietto da visita non datato esordisca con «Mon Illustre e cher confrere…». Potrà inoltre stupire la particolare imprecazione contenuta nella lettera inviata alla sorella Ramelde il 21 settembre 1898, «Accidenti a Guido Monaco col suo Ut Resonare…nel culo a Lui e al suo predecessore magnano vile Tubalcain».

Se per ragioni di spazio non ci dilunghiamo su altri particolari del carteggio pucciniano, per gli stessi motivi non riporteremo la carrellata di personaggi che costituiva l’entourage del musicista limitandoci a segnalare che moltissime delle sue frequentazioni erano rappresentate da Liberi Muratori: senza entrare nello specifico della loro appartenenza, fra questi ci limiteremo a ricordare Arrigo Boito, Mattia Calandrelli, Gabriele D’Annunzio, Luigi Illica, Giuseppe Martucci, Leopoldo Mugnone, Giovanni Pascoli, Giulio Ricordi, Edoardo Sonzogno, Arturo Toscanini.

Possiamo, quindi, disporci ad individuare elementi cui possa essere attribuita una significazione muratoria, ma per effettuare tale indagine diventa essenziale comprendere di quale natura siano le componenti che possano indurre a tale considerazione: sono numerosissime le testimonianze massoniche presenti nel patrimonio artistico afferente al nostro sistema culturale, risultando immediatamente evidenti quelle che dichiaratamente trattano una tematica moratoria, come le poesie “La Loggia Madre” di Kipling o “La livella” del Fratello de Curtis, ma anche quelle che si riferiscono alla nostra Istituzione pur senza indicarla chiaramente, come nel caso della commedia “Le donne curiose” di Goldoni. Altrettanto agevole risulta individuarle nel contesto delle arti visuali o in ambito cinematografico o addirittura fumettistico ma non è a questa tipologia di esempi cui ci vogliamo riferire; per comprendere l’indagine da noi compiuta intendiamo ricordare la “meraviglia” da noi precedentemente invocata che ci induce a riconoscere significazione simbolica ad elementi che a prima vista apparirebbero privi di ogni valenza esoterica. Presentiamo un’esemplificazione, pur consapevoli che la nostra proposta possa risultare non condivisa, ricordando che il Simbolo, per sua stessa natura, non trasla una significazione univoca ma una pluralità di valenze che inducono a differenti interpretazioni: ci stiamo riferendo ad alcune statue presenti nel Palazzo Reale di Napoli tra le quali, ospitata nella sua facciata, quella di Gioacchino Murat, Re di Napoli dal 1808 al 181 5 e fondatore nel 1809 del Supremo Consiglio di Napoli del Rito Scozzese Antico ed Accettato, ‘a cui posa è dai più interpretata come l’atteggiamento confacente alla sua volontà di essere fucilato al cuore, non potendo però sfuggire che la sua postura è la medesima che viene assunta dai Fratelli nel corso della ritualità di Apprendista Libero Muratore. Soprattutto, però, vogliamo proporre una riflessione su una circostanza che ha sempre colpito la nostra attenzione ma che non abbiamo visto sottolineata da altre fonti: la presenza ai Iati dello scalone monumentale di tre statue identificabili come Ercole, Venere e Minerva e non può sfuggire che proprio sotto l’egida di queste tre figure emblematiche si svolgono i Lavori rituali nei diversi gradi.

Riferendoci, invece, al rapporto tra simbologia massonica e linguaggio musicale dobbiamo dolorosamente constatare che nella storia dell’arte occidentale non è mai stata codificata una simbologia massonica realizzata per mezzo di componenti musicali: una trattazione compiuta della problematica risulterebbe troppo lunga ed esulerebbe dagli intendimenti del presente scritto per cui ci limiteremo ad affermare che proprio i musicisti massoni non hanno mai redatto un lessico condiviso di strutture nutazionali in grado di rappresentare i simboli della ritualità moratoria, potendo così identificare tante musiche massoniche ma senza mai poter individuare una “Musica massonica” nel senso di un linguaggio riconosciuto e condiviso  che ponga in relazione strutturazioni musicali e simbolismo.

Probabilmente una spiegazione di tale carenza può essere individuata nelle modalità che fin dalla nascita dell’istituzione massonica hanno conformato il rapporto tra questa e la musica, in quanto già dalle “Constitution of the Freemasons” redatte dal reverendo Anderson nel 1723, non viene fatta menzione della musica quale componente della ritualità: l’autore si limitò ad accludere 4 songs da intonarsi durante il banchetto che faceva seguito alla Tornata rituale, favorendo una considerazione dell’elemento musicale quale modalità per accomunare i Fratelli nel proclamare i medesimi ideali oppure a fini emotivi ed evocativi. Appare dunque evidente che la qualificazione massonica può essere attribuita in relazione alla componente testuale o, in subordine, alla destinazione d’uso, non giudicando sufficienti quei pochi elementi vagamente interpretabili come “muratori” quali fa triplice ripetizione di una clausola musicale, presente in innumerevoli composizioni, o l’armatura di chiave formata da tre bemolli, per Io più giustificata dall’utilizzo di tonalità agevoli per gli strumenti a fiato oppure particolari secondari suscettibili di qualsiasi giudizio, come <le note legate a due a due, simbolica allusione al legame di amicizia che stringe j fratelli>.

Volendo approssimarci all’argomento principale di questo studio, premetteremo l’osservazione dei riferimenti muratori e di tutti quei particolari che hanno comunque richiamato la nostra attenzione nelle precedenti opere di Giacomo Puccini, presentandone, per ragioni comprensibili, un’esigua selezione. Appare indubbio che nell”‘Edgar” non mancano elementi suscettibili di traslare un significato simbolico con chiara correlazione con la ritualità muratoria: tra essi indichiamo la bara vuota, la “resurrezione” di Edgar, il raggio di sole foriero dell’apparizione del protagonista e le sue parole «Per conoscer la vita/io simulai la morte», esplicitamente riconducibili alla cerimonia massonica di elevazione al III grado.

Riguardo a “Madama Butterfly”, non sottolineeremo quelle numerose componenti testuali, parole o frasi, ripetute tre volte, tra le quali la triplice invocazione «Butterfly!» proferita da Pinkerton a chiusura dell’intera opera, o al «Tu?» ripetuto 7 volte dalla protagonista nella sua ultima aria ma non possiamo trascurare

che espressamente indicati in partitura, nel I atto sono presenti 3 triplici battute di mani (due volte Goro e una volta Pinkerton), mentre nella  II  sequenza di tintinnii di campanelli “per attirare l’attenzione degli Dei” è composta da 5 (3+2) rintocchi, e nel III la bussata alla porta d’ingresso è indicata in 7 (3+4) colpi: tali numeri corrispondono a quelli simbolici che connotano rispettivamente le Camere di Apprendista, di Compagno e di Maestro nel lavoro muratorio. Ne “La Fanciulla del West” è da notarsi innanzitutto la geometria della “Polka”, lo stanzone nel quale si svolge l’azione iniziale, esplicitamente indicata nella prima didascalia «a forma di triangolo; indubbiamente sono poi correlabili col rituale di iniziazione massonica i preparativi per l’impiccagione del protagonista, il cavaliere che tiene stretto, innanzi a sé, sulla sella Johnson’ non può non ricordare la figura del Fratello Esperto che conduce il recipiendario nel corso della cerimonia, i minatori espressamente indicati in numero di 3 incontrovertibilmente rappresentano le Tre Luci della Loggia che officiano il rito, mentre il “laccio al collo” e la “camicia strappata su una spalla” descrivono precisamente l’aspetto dell’iniziando; non si può inoltre sottovalutare la valenza simbolica dell’atto, cui viene esplicitamente attribuito un significato di “rinascita” dalle parole di Minnie che esclama «Il bandito che fu è morto laggiù».

Giudichiamo, però che sia giunto il momento di rivolgere la nostra attenzione all’ultimo capolavoro del Maestro toscano indicando un particolare ignoto ai più, ovvero che in persiano Türândokht vuol dire “fanciulla del Turan”, antica denominazione iranica dell tAsia Centrale, e tale nome è attribuibile ad un personaggio presente nel poema “Haft Peykar” composto da uno dei maggiori poeti persiani, Ilyas ibn Yusuf Nizami (1 141-1209): risultando impossibile la disamina dei numerosi lavori dedicati a quest’argomento, non potremo sottacere la versione teatrale realizzata dai Fratelli Schiller e Goethe, da cui trae spunto il capolavoro pucciniano, né la prima trasposizione italiana per il teatro musicale della fiaba di Gozzi, ossia “Turanda”, musicata da quell’Antonio Bazzini che fu maestro di Giacomo Puccini, assolutamente pervasa di religiosità zoroastriana, in cui frequenti sono i riferimenti al “Sole” ed alla Luce.

Dal punto di vista strutturale è incontrovertibile che la trama della Turandot si strutturi partendo da un’azione funebre, ed si sviluppi attraverso una duplice serie di tre prove e due momenti sacrificali, fino una risoluzione “magica” che implica una “trasfigurazione” della protagonista («Il contatto incredibile l’ha trasfigurata>), concludendosi con l’esaltazione dell”‘Amore” e della “Luce” che hanno operato tale rinascita. Merita invece di essere chiarita la questione del “finale incompiuto”, da alcuni studiosi non esclusivamente implicato dalla morte del compositore mentre da altri posto in correlazione con l’incompiutezza del Tempio: giudichiamo tale tesi ampiamente smentita dal contenuto del carteggio tra Puccini ed i suoi librettisti ma anche dalla testimonianza di Guido Marotti, frequentatore ed amico del compositore, che dichiara «Pensi che gli ho visto scrivere Turandot e Turandot l’ha virtualmente finita. Se ci fossero stati i registratori si poteva incidere quello che mi ha suonato più di una volta, cioè il duetto finale e ricordo che non era per niente affatto simile a quello che poi ha scritto Alfano […l Naturalmente non era sempre uguale, ma su quegli appunti, suonando e cantando, dimostrava chiaramente che già aveva completato la Turandot».

Incamminandoci invece alla ricerca di elementi che possano supportare una valenza simbolica all’interno della componente letteraria della “Turandot”, riferiremo di particolari minimi, secondari, apparentemente insignificanti, confermando la tesi per cui il simbolismo risulta antitetico alla spettacolarità, ma che proprio per questo giustificheranno la loro presenza, in quanto avulsi dal contesto o dall’economia musicale e drammatica. Proponiamo quindi dei rimandi numerali, notando che sono ben 35 le triplici sequenze terminologiche ovvero le ripetizioni di vocaboli o di espressioni complesse, che si susseguono senza interpolazione di altri elementi, e se alcune di esse possono essere state imposte da esigenze di simmetria, ad altre non sembra attribuibile alcuna motivazione razionale o razionalizzabile; non possiamo, poi, non porre in risalto i 3 colpi di gong con cui il Principe ignoto chiede di essere sottoposto alla prova sottolineando che essi sono preceduti da una triplice invocazione a Turandot.

Quanto invece cattura la nostra attenzione è costituito da dettagli descritti con precisione nelle didascalie ma che non ricorrono successivamente nella scenografia o nell’azione drammatica: ci riferiamo a particolari che a molti potranno apparire insignificanti o marginali ma che a noi richiamano corrispondenze caricate di un pregnante valore iniziatico. Sia nel I che nel II atto la didascalia iniziale descrive la presenza di 3 porte <A sinistra e sul fondo si aprono tre gigantesche porte> (I), «[a scena…ha tre aperture: una centrale e due laterali> (II); sebbene possa essere giudicata una forzatura, l’assenza di ulteriori riferimenti funzionali rimanda la nostra memoria alle “Tre porte» incluse da Hiram Abif nel progetto del Tempio di Salomone. Parimenti altre due didascalie, poste l’una all’inizio del Quadro secondo del II atto e l’altra all’inizio del Quadro primo dell’atto III, prevedono fa prima <La scala è a tre larghi ripiani> e la seconda <A destra sorge un padiglione di cinque gradini>: oltre a notare la ricorsività dei numeri 3 e 5, che rappresentano rispettivamente il “maschile” ed il “femminile”, non possiamo dimenticare un passo del Rituale che riporta «L’ho visto salire una scala divisa in due rampe, l’una di tre scalini, l’altra di cinque>.

Mentre trascureremo l’aggettivo “venerabile” che compare nella descrizione di Altoum all’inizio del Quadro secondo del II atto, non sottovaluteremo l’invocazione intonata da Ping nel Quadro primo del medesimo atto «O grande Marescialla de/ Cielo» espressione che può agevolmente essere considerata un calco di “Grande Reggitore (Architetto) dell’Universo”, il che avvalorerebbe l’idea che la Principessa rappresenti un personaggio emblematico e non soltanto drammatico. Riguardo alle prove cui viene sottoposto il Principe ignoto, la libertà esegetica ci consente di riconoscere nelle prime 3 risposte – “La Speranza”, “II Sangue”, “Turandot”• una correlazione con l’elemento aeriforme, quello liquido e quello igneo: è poi da sottolinearsi che una seconda serie di prove – quella cui viene sottoposto dai tre dignitari che gli prospettano “il Piacere”, “la Ricchezza” e “la Morte”• è presente soltanto in questa trama mentre manca nelle altre versioni letterarie o teatrali della vicenda. È poi innegabile che il percorso iniziatico si sviluppi attraverso il sacrificio di due personaggi, il Principe di Persia e Liù, ed è proprio attorno a questa circostanza che si incentra la nostra attenzione: appare incredibile che in un melodramma il cui libretto si conclude con la parola «Amor» vengano messi a morte due innocenti, rei soltanto di aver amato.

Se c’è un personaggio che in quest’opera incarna l “‘Amore”, quell’Amore costantemente ricercato dall’uomo Giacomo Puccini che ha sempre mirato a celebrarlo ed esaltarlo nella sua produzione artistica, quello è senza dubbio Liù, la donna che sceglie volontariamente il sacrificio per donare felicità all’uomo che ama. Oseremmo definire “raccapricciante” l’assoluta mancanza di pietà che suscita la morte della fanciulla: “La Folla”, che pure si era commossa alla vista del Principe di Persia, appare solo preoccupata per le ripercussioni che potranno essere causate dalla morte di un’innocente, mentre addirittura “disumano” può essere considerato l’atteggiamento del Principe ignoto che si limita a rivolgerle poche parole «Ah! tu sei morta, tu sei morta o mia piccola Liù!» senza mostrare alcun segno di coinvolgimento o di pietà; l’unico che sembra mostrare dolore per la triste sorte della ragazza è Timur, il quale, nell’accompagnare la fanciulla in una specie di corteo funebre e presagendo la propria prossima scomparsa, insieme ad espressioni di sentito affetto verso la fanciulla, pronunzia una frase che ha colpito la nostra attenzione: le dichiara, infatti, che presto sarà a lei vicino «nella gran notte che non ha mattino… che siamo portati ad identificare con una sorta di “perenne occidente” da contrapporsi alfa locuzione “Oriente Eterno” con cui i Liberi Muratori  simbolizzano la condizione cui si perverrà dopo la morte terrena.

Crediamo sia ipotizzabile una lettura diversa della storia per cui ai tanti conflitti particolari ne sia sotteso uno ben più essenziale: quello tra le due componenti conflittuali ma complementari, che in ogni cultura raffigurano la dialettica vitale, costituite da Liù e da Turandot, e che rappresentano i due opposti approcci alla conoscenza, l’illuminazione e l’annichilamento.

L’antinomia tra i due personaggi risulta evidente già dalle parole con cui essi sintetizzano la propria natura, «Nulla sono!» (Liù) «Cosa umana non sono» (Turandot), segnando la differenza tra le antitetiche strade che possono essere intraprese, quella che denominiamo “lunare” contrapposta alla “solare”. La prima è indubbiamente di stampo taoista, la cui spiritualità pervade costantemente le parole affidate nel libretto ai tre dignitari «O ragazzo dementenurandot non esiste!/Non esiste che il Niente/nel qual ti annulli! »; per converso è innegabile riconoscere i numerosi riferimenti tesi a mostrare un percorso di perfezionamento «solare”: «O sole! Vita! Eternità! Luce del

mondo è amore. Il tuo nome, o Principessa, è Luce» e «L’alba! Luce» (La Folla), «È l’alba!… e amor nasce col sole» (Calaf), «Nel cielo è la luce!» (Turandot), così come espressioni che indicano chiaramente il termine di una fase e l’inizio di una nuova condizione «È l’alba! È l’alba! Turandot tramonta!» mentre la didascalia sottolinea cielo è tutto soffuso di luce» La nostra proposta interpretativa può certamente risultare poco fondata ma non riusciamo ad individuare differenti significazioni ad una celebrazione della “Luce” identificata con I’«Amore», la «Vita», l’«Eternità», il «Sole»: da un sacrificio, una “morte sacrificale”, si genera la nuova esistenza nell’Amore e nella

La nostra lettura, seppur confutabile, conferisce pienezza di significato all’ambientazione temporale indicata all’inizio dell’opera, quell'<Al tempo delle favole> che colloca la vicenda in una dimensione extratemporale senza però vanificarne la connotazione umana:

1906 quell’ambito metafisico che spinge molti individui a ricercare il proprio itinerario di perfezionamento nell’ambito di una scuola iniziatica quale, appunto, la Massoneria. Siamo consapevoli che in molti potranno rimanere delusi dalle risultanze di questo lavoro ma non bisogna inoltre dimenticare che l’oggetto della ricerca interagisce dialetticamente con le modalità metodologiche: quando ci si incammina lungo gli indeterminati percorsi dell’esoterismo non ci si può illudere di giungere a conclusioni certe ed incontrovertibili. La sapienza, diversamente dalla conoscenza, si alimenta delle progressive crisi che ogni nuovo apprendimento genera, vivificando i simboli del “Pavimento a Scacchi” e dell “Incompiutezza del Tempio”.

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