INCONTRO CON LA VEGGENTE ROSEMARY ALTEA ALLO SHERATON HOTEL DI BARI

INCONTRO CON LA VEGGENTE ROSEMARY ALTEA ALLO SHERATON HOTEL DI BARI

di

Aida Giacobelli

L’appuntamento con Rosemary Altea, la nota veggente americana, conosciuta dallo stragrande pubblico televisivo, e da quello più ristretto di coloro che operano nel mondo del paranormale che, non a torto, potremmo definire i “ricercatori del messaggio perduto”, è andato oltre ogni ottimistica previsione.

L’incontro, fortemente voluto da Renato Gagliano, titolare della Libreria Roma di Bari, organizzato nei minimi particolari, è stata la palese dimostrazione che anche nel Sud d’Italia si possono promuovere interessanti e coinvolgenti iniziative, malgrado la ben nota carenza in loco di contenitori culturali. Alle ore 16. 00, sebbene l’incontro fosse previsto per le 17, il grande Salone dei Congressi dell’Ilotel Sheraton di Bari era già al completo, ed i 1600 partecipanti hanno potuto dal vivo assistere ai dialoghi che l’Altea, instancabile e dinamica come non mai, ha intrattenuto con le misteriose ed impalpabili presenze che la sollecitavano, come la stessa ha precisato, e la pregavano di porgere messaggi tranquillizzanti ai rispettivi familiari presenti.

Certo, non è stata una allegra serata, per quanto fossero evidenti la serenità e la gioia sui volti dei prescelti contattati, soprattutto perché la presenza della maggior parte dei partecipanti era legata alla speranza di ricevere un confortante segnale affermativo di vita postuma dai rispettivi affetti perduti. Ed è proprio la tragedia che si lega alla perdita di un proprio caro, ad indurci a fare alcune riflessioni sul significato che si attribuisce a questo estremo appuntamento, cui nessuno può sottrarsi, che siamo soliti chiamare “morte”.

Eppure, alla coesistenza con la morte dovremmo pur esserci abituati, visto che fin dal primo vagito ogni attimo di vita si accompagna ad un attimo di morte. Ogni cellula del nostro organismo, diventando adulta, invecchia e, morendo, cede il passo ad un’altra nuova, che nasce. Tutto in natura nasce e muore, come la notte e il giorno, la primavera che subentra all’inverno, il seme che perde la sua identità, allorquando immerso nella nuda e buia terra, germoglia per tornare nuovamente pianta.

Ed allora, la morte intesa come fine assoluta di ogni essere vivente, non esiste?

Se tutto in natura si trasforma, e né tantomeno può essere distrutto, ma si evolve, la morte, ne consegue, non esiste. Meglio sarebbe intenderla come un cambiamento di stato, un transito obbligato verso una “dimensione parallela”, adiacente la nostra dei cinque sensi, di cui percepiamo l’esistenza, ma per i vincoli che ci legano al mondo del reale, ovvero del concreto, non riusciamo a spiegarne le leggi che la governano.

La sottile membrana, che separa il mondo del “visibile” da quello del ‘reale”, viene penetrata però solo da alcuni soggetti che, ad un certo punto della loro vita, scoprono di possedere la chiave che consente l’apertura   della

  la porta di accesso di quel mondo sconosciuto in cui abitano coloro che impropriamente chiamiamo “non viventi”. E se fosse vero, come alcuni sostengono, che è proprio il corpo fisico, e di conseguenza le leggi che lo vincolano ai cinque sensi, ad impedire queste spontanee visitazioni, cosa avviene durante la notte, allorquando dormiamo, e la mente, finalmente libera, viaggia nel tempo e nello spazio portando con sé, al rientro, la memoria di esperienze e ricordi, a volte incredibili? Certo, è una materia, quella che unisce la vita alla morte, a dir poco affascinante e la presenza di Rosmary Altea, che si creda o non alle sue performances, ha contribuito a farci riflettere con più umiltà e benevolenza sulle azioni, spesso egoistiche e raramente meritorie, che quotidianamente compiamo in questo mondo dell’aldiquà. In quello dell’Aldilà, se tutto ciò che è stato detto è vero, come ci auguriamo che sia, le uniche leggi ed i comportamenti che i suoi abitanti osservano scaturiscono da una sorgente di vera luce e di amore infinito che soltanto un Essere Superiore come Dio è in grado di generare.
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DIRITTI E DISCRIMANAZIONE

DIRITTI E DISCRIMANAZIONE

                                        Carissimi Fratelli

E’ motivo di particolare giubilo e di grande soddisfazione per noi tutti la decisione presa dalla Corte Europea di Strasburgo che ha Nato ragione al Grande Oriente d’Italia   di Palazzo Giustiniani in merito ad una discriminazione operata dal tribunale di Prato diversi anni fa ed ora finalmente risolta.

ln quella circostanza era stato pubblicato dall’organo giurisdizionale del capoluogo toscano un documento nel quale “per l’iscrizione al registro dei periti” era richiesto ai candidati di dichiarare esplicitamente la loro eventuale affiliazione a logge massoniche. Di fronte a questa ennesima pregiudizievole discriminazione il Grande Oriente presentò un immediato ricorso alla Corte Europea adducendo in particolare la violazione dell’articolo 11 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che fornisce garanzie ad ogni individuo de’ diritto alla libertà di associazione ad eccezione di particolari motivi tra i quali non rientra l’appartenenza alla massoneria„

Il ricorso è andato avanti fino a quando lo Stato Italiano ha informato la Corte di Strasburgo della rimozione del documento prodotto dal tribunale di Prato. Il Grande Oriente d’Italia interpellato, a questo punto, ha dato il proprio assenso all’archiviazione della causa avendo lo Stato Italiano nel frattempo provveduto al ritiro delle violazioni contestate dal nostro Ordine.

Si può ben dire che “Giustizia è stata fatta” e che, per fortuna, c’è sempre

un giudice a Berlino, anzi in questo caso a Strasburgo, pronto a prendere una decisione giusta nei confronti ed a tutela dei diritti di tanti uomini, cittadini e massoni che non possono essere estromessi da qualsiasi ruolo e attività per la libera scelta di aver intrapreso la via iniziatica.

Ciò naturalmente non rimuove totalmente la discriminazione e il malevolo pregiudizio di chi continua a fomentare la caccia alle streghe mettendo la Massoneria ingiustamente nel mirino e calpestando i leciti diritti dei suoi iscritti. Lo hanno fatto negli anni scorsi anche la Commissione Parlamentare Antimafia allora presieduta da Rosy Bindi che fece sequestrare al Vascello dai finanzieri del Gico gli elenchi degli iscritti di Sicilia e Calabria. E lo ha fatto pure nel 2018 la Commissione regionale Antimafia della Sicilia guidata da Claudio Fava, portando all’approvazione dell’Ars la legge che prevedeva l’obbligo di dichiarare l’appartenenza dei politici alle logge massoniche. Anche in questo caso il Grande Oriente ha presentato ricorso alla Corte Europea.

Una vicenda analoga a quella di Prato per la quale restiamo in fiduciosa attesa, cosi come per la vicenda degli elenchi.

Non ci possono e non ci debbono essere liste di proscrizione e di proibizione, Nessuno ha il diritto di vietare qualcosa sol perché Libero Muratore. Discriminazione e Pregiudizio sono due brutte bestie che noi massoni non abbiamo nel nostro Dna e che non trovano spazio nel nostro lavoro, nei templi e nella vita civile, Sin dai primi momenti, durante la cerimonia d’ingresso, ad ogni iniziando viene ricordato il valore della Tolleranza anche di fronte all’eventuale presenza fra le colonne di una persona prima considerata nemica .

Ecco perché ci fanno sorridere coloro che parlano male di noi senza sapere nulla e senza conoscere i nostri alti e sublimi valori, le nostre azioni volte alia difesa del Libero Pensiero e dei diritti dell’uomo, la nostra discreta e silenziosa opera di Solidarietà. Parlino pure Inaler noi abbiamo fatto, facciamo e continueremo a fare del Bene nei confronti di tutti. Lo faremo a testa alta, fieri della nostra appartenenza e della nostra lealtà alla Costituzione e alle Istituzioni della nostra amata Repubblica che abbiamo contribuito a far nascere.

Lo faremo contro le ingiustizie e le violazioni esercitate contro di noi ad ogni livello. Liberi nella mente, nel cuore e nell’anima, di essere Massoni. Per Amore della Verità,

Stefano Bisi

Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia

Palazzo Giustiniani

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CONSIDERAZIONI IN MARGINE AD UNA REPLICA

CONSIDERAZIONI IN MARGINE

AD UNA REPLICA

di

Anna Maria Isastia

Non posso non sentirmi lusingata per l’attenzione che, ancora una volta, mi dedica Aldo Chiarle, un fratello molto giovane se è vero che la saggeza si accompagna alla maturità degli anni. Chiarle dunque ha risposto al mio breve saggio con un suo saggio dichiaratamente finalizzato a difendere il R.S.A.A., operazione che a me sembra superflua considerando il prestigio, l’importanza e il ruolo da sempre ricoperto da questa Istituzione che può vantare un respiro mondiale. Come sempre quando si affrontano con serietà questioni storiche o di attualità, la prima cosa da fare è quella di separare i principi e le istituzioni, che in genere sono ottimi, dagli uomini che quei principi e quelle istituzioni credono di servire, a volte servendosene anche se forse non sempre consapevolmente.

Non mi pare che la ricostruzione dei fatti quale compare nelle pagine del primo numero di Nea Agorà del 2000 sia molto diversa dalla mia se non nel titolo. Cambia invero l’ottica con cui si guarda agli avvenimenti. Mentre lo storico si sforza di rintracciare luci ed ombre nei comportamenti di tutte le parti in causa, e cerca di capire i perché, il giornalista si schiera rigettando le colpe a priori su una sola delle parti in conflitto.

Da fratello del Grande Oriente d’Italia, umanamente, difende il suo R.S.A.A. attribuendo tutte le responsabilità degli avvenimenti di quel fatale 1908 al campo avverso.

Proprio per questo ritengo che in genere i massoni siano troppo coinvolti nelle vicende della loro istituzione per poterle analizzare con la serenità necessaria allo storico.

Le eccezioni per fortuna non mancano come dimostrano ad esempio due volumi usciti all’inizio dell’anno: Valdesi e massoneria due minoranze a confronto di Augusto Comba e Massoneria…..di Natale Di Luca.

L’articolo di Chiarle in risposta al mio piccolo intervento suggerisce alcune considerazioni: Si danno per scontati fatti che scontati non sono affatto, per esempio l’appartenenza massonica di Bissolati. Si parla della sua attività politica come di un corollario del suo essere massone, quando in realtà i socialisti italiani contendevano ai massoni la leadership del movimento per la scuola laica. Dunque, era sufficiente essere socialista per impegnarsi con convinzione in quella direzione. Sappiamo del resto che i socialisti votarono compatti a favore della mozione che avrebbe dovuto eliminare l’insegnamento della religione cattolica dalla scuola primaria e i  massoni invece si spaccarono.

Sappiamo anche che molti socialisti erano massoni, a cominciare da Andrea Costa che volle essere sepolto con le insegne massoniche.

Ma Bissolati era massone?

Vogliamo almeno porci il problema dal momento in cui del suo nome non c’è traccia nei registri matricola del GOI e nel volume Mille volti di massone di Giordano Gamberini? Mola non accenna mai ad una appartenenza massonica di Bissolati, così come la ignora Rosario Esposito nel suo La massoneria e l’Italia. I fratelli della R.L. Bissolati di Cremona hanno inutilmente cercato per anni qualche traccia del preteso massonismo di Bissolati, senza trovarla.

Se Chiarle ha documenti che nessuno conosce li pubblichi, altrimenti sia più prudente.

Vorrei però soffermarmi su una questione che mi preme maggiormente.

Scrive Chiarle: “E’ a mie mani una cospicua parte dell’Archivio Fera, con le copie originali con cui lo stesso Fera vergandole a mano – comunicava a vari Fratelli di aver firmato il loro brevetto al 33 0 grado”

Dunque Chiarle possiede documenti di grande importanza storica che però nessuno conosce, eccetto lui. Mi sembra quanto meno poco elegante rimproverare qualcuno per non aver citato documentazione chiusa nel cassetto della scrivania di un privato che la conserva gelosamente. E Chiarle sa che non è la prima volta che si comporta così. Non mi risulta che lo studioso debba avere doti divinatorie e paranormali.

Sappiamo bene quali scempi sono stati operati nel tempo negli archivi della massoneria italiana, a partire dal fascismo, e come la scarsezza di materiale renda lo studio delle Comunioni italiane molto più difficile che altrove.

Invece di conservare tanti spezzoni di archivio destinati nel tempo ad andare perduti non sarebbe molto più utile se i tanti fratelli che possiedono lettere, diplomi, documenti rari o unici collaborassero a creare una banca dati, un inventario del materiale posseduto?

Non si tratterebbe di perdere la proprietà di ciò che si possiede. Una iniziativa del genere, che del resto sollecito da anni, avrebbe almeno due vantaggi:

  • permetterebbe di facilitare e arricchire le ricerche
  • eviterebbe la perdita definitiva di materiale prezioso e irrecuperabile. So bene che si tratta di una proposta impopolare, ma chi ha seguito le vicende dell’archivio Ferrari sa bene di cosa sto parlando. Il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e poi Sovrano Gran Commendatore del R.S.A.A. Ettore Ferrari aveva documenti del rito scozzese e dell’ordine che coprivano un arco temporale di circa cinquanta anni.

La famiglia si è sempre rifiutata di far vedere le carte agli studiosi. Poi quando negli anni settanta fu venduto il palazzo in cui Ferrari aveva abitato, le carte si sono disperse in mille rivoli.

Un enorme patrimonio culturale è andato disperso per la miopia di chi poteva intervenire e non intervenne.

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GNOSI E GNOSTICISMO – UNA SVOLTA

GNOSI E GNOSTICISMO – UNA SVOLTA          

 Il Congresso di Messina del 1966 e i Codici di Nag Hammady

Di Luigi  Polo Friz

Non è raro incontrarsi con un utilizzo improprio dei termini Gnosi e Gnosticismo. Anche il mondo accademico ha sentito il bisogno di sgombrare il campo dalle ambiguità. Con il concorso del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Cattedra di Religione dell’Università di Messina, e con la collaborazione dell’Associazione Internazionale per la Storia delle Religioni e della Società Italiana di Storia delle Religioni, nell’aprile del 1966 convennero a Messina i massimi esperti della materia. Avevano da discutere coe tema Le origini dello Gnosticisrno e molte e interessanti furono le relazioni presentate dagli studiosi intervenuti, i quali tuttavia dedicarono una particolare attenzione alla definizione dei termini cardine di questa dottrina’.

Durante i lavori un comitato ad hoc, formato sulla base di una proposta del professor C. Jouco Blecker, e composto da Geo Widengren, Hans Jonas, Jean Danièlou, Carsten Colpe e Ugo Bianchi, esaminò a lungo una serie di Proposte concernenti l’uso scientifico dei termini Gnosi, Gnosticismo, ecc… e lo presentò alla discussione nell’ultima seduta. La maggioranza dei congressisti si trovò d’accordo su un testo che venne pubblicato in quattro lingue (francese, inglese, italiano e tedesco) negli Atti del Convegno e del quale riassumiamo i punti salienti.

Luigi Polo Friz “Per evitare un uso indifferenziato dei termini Gnosi e Gnosticismo – così l’esordio – sembra utile identificare, con la cooperazione dei metodi storico e tipologico, un fatto determinato, lo Gnosticismo, partendo nwtodologicamente da un certo gruppo di sistemi del II secolo dopo Cristo, che vengono casualmente   così denominati. Si propone invece di concepire la Gnosi come conoscenza dei misteri divini riservata ad una èlite”. Appresso fu puntualizzato che “lo Gnosticismo delle sette del II sec. implica una serie coerente di caratteristiche che si possono riassumere nella concezione della presenza nell’uomo della scintilla divina, che proviene dal mondo divino, che è caduta in questo mondo sottomesso al destino, alla nascita e alla morte, e che deve essere risvegliata dalla controparte divina del suo Io interiore per essere finalmente reintegrata. Questa idea, di fronte ad altre concezioni di una degradazione del divino, è fondata ontologicamente sulla concezione di una degradazione del divino la cui periferia (spesso chiamata Sophia o Ennoia) doveva entrare fatalmente in crisi e produrre – benchè indirettamente – questo mondo, di cui essa non può d’altronde disinteressarsi perchè deve ricuperarvi lo pneuma. (concezione dualistica su un sottofondo monistico, la quale si esprime con un doppio movimento di degradazione e di reintegrazione)”. Venne precisato inoltre che nella letteratura scientifica l’aggettivo gnostico si riferisce allo Gnosticismo. Queste citazioni sfruttano un linguaggio alquanto specialistico, ma ci è sembrato che se ne dovesse rispettare il rigore originario per non creare ambiguità. Tradotte in una forma piana esse significano che nell’utilizzo del termine Gnosticismo non sono concesse licenze. La delimitazione del suo uso è netta: esso si riferisce ad una setta religiosa che ebbe vita tra il II e il III secolo dopo Cristo.

Più elastico è il discorso riguardante la Gnosi. Questa parola è di origine greca e vuol dire conoscenza. Nella sua accezione corrente la traduzione potrebbe benissimo essere sfruttata in luogo dell’originale greco. Ma oltre ad avere un sapore esotico, essa viene anche preferita per dare sfoggio di una erudizione spesso molto dubbia. Fra i partecipanti al Colloquio siciliano vi fu chi avrebbe voluto restringerne l’impiego al solo Gnosticismo. Prevalse il gruppo che ne ammetteva l’utilizzo più esteso. Si precisò che ‘ non ogni Gnosi è lo Gnosticismo, ma solo quella che implica l’idea della connaturalità divina della scintilla che deve essere rianimata e reintegrata; questa Gnosi dello Gnosticismo implica l’identità divina del conoscente (lo Gnostico), del conosciuto (la sostanza divina del suo Io trascendente) e del mezzo per cui egli conosce. ” Hans Jonas, che a Messina presentò una articolata relazione sul tema, ha integrato tali concetti chiarendo che ” il suo significato, conoscenza, nel nostro contesto implica segreto, rivelazione e conoscenza salvifica” Fino agli anni Cinquanta lo Gnosticismo è stato prevalentemente studiato come espressione di un movimento eresiologico. fonti provenivano essenzialmente dalle indagini del fenomeno da parte dei Padri della Chiesa Cristiana, che si dimostrarono abbastanza obbiettivi, eccetto per forzature abbastanza occasionali che tendevano a mettere in cattiva luce la teoria e l’operato degli Gnostici. C’era ora una nuova ragione per mettere ordine in una materia nella quale specialisti e dilettanti avevano creato qualche disordine. si percepì anche nel Colloquio di Messina, durante il quale la Gnosi venne ulteriormente suddivisa in Manicheismo e Testi gnostici di Nag Hammadi. La prima sottoclasse vuole sottolineare le affinità della Gnosi gnostica con i principi espressi dal Manicheismo. Di grande rilievo si sarebbe rivelata la seconda. Nel 1945, a Nag Hammadi, a nord-est di Luxor, venne fatto un grande ritrovamento, comparabile per importanza a quello dei Rotoli del Mar Morto. Due fratelli, contadini del luogo, scopersero una giara alta un metro, contenente molti volumi manoscritti “la cui pubblicazione – ha affermato Giovanni Filoramo – era destinata a mutare profondamente lo stato delle conoscenze sullo Gnosticismo” . Commentando l’edizione fac-simile di tutta la biblioteca di Nag Hammadi, apparsa tra il 1972 e il 1977, Luigi Moraldi, che ne ha tradotto i testi più importanti, ha scritto che “l’opera ha offerto finalmente agli studiosi lo strumento indispensabile per l’inizio di un era nuova nello studio dello Gnosticismo, del Cristianesimo primitivo e dei movimenti culturali del tardo antico”. E’ ovvio che anche le forme di divulgazione meno scientifiche dello Gnosticismo non possono prescindere dalla pesante ipoteca posta dalle definizioni accolte dal mondo accademico. Inoltre non si potrà ignorare, come accade ancora oggi, la scoperta della ricca biblioteca di Nag Hammadi. Non vogliamo scoraggiare gli appassionati, ma chi voglia entrare ex novo in questo campo dobbiamo avvertire che l’opera è ardua: gli originali di Nag Hammadi sono in copto antico, le opere complete sono disponibili solo in inglese, i saggi più autorevoli sul tema nel migliore dei casi sono redatti in francese e in inglese, spesso in tedesco. Non abbiamo esperienza sufficiente per suggerire una modalità di approccio a questa fonte monumentale. Suggeriamo solo di iniziare dai testi in italiano che segnaliamo in bibliografia.

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L’INCESTO

L’INCESTO

di pub-Aldo   Tavolaro

L’incesto (dal latino incestus, composto di in negativo e castus casto, quindi non casto) è il legame amoroso tra consanguinei condannato dalla morale corrente.

 La Chiesa lo condanna, ma tra i giuristi ed i legislatori moderni è controverso se costituisca reato.

In Italia il codice penale (art. 564) lo considera talo solo se commesso in modo da derivarne pubblico scandalo (pena da I a 5 anni e da 2 a 8 anni in caso di relazione incestuosa, cioè di reato continuato; aumenta per chi, maggiore di età, commette incesto con un minore di anni 18).

Nell’Oriente classico, nell’Egitto e nel Perù precolombiano fu giustificato per le famiglie reali. L’Avesta, [a sacra scrittura della religione di Zoroastro, raccomanda i matrimoni consanguinei per accentuare la somiglianza con la divinità.

Nella mitologia irlandese tale usanza costituirebbe un riferimento ai tempi adamitici, quindi una specie di magia imitativa o pe-simpatica.

La magia imitativa la ritroviamo anche in quello che è considerato l’incesto cosmico, ossia il Sole padre e sposo della Terra, padre perché, nella genesi del sistema solare i pianeti sono generati dal Sole, qualsiasi

teoria si accetti (Kant-Laplace, Buffon, James, ecc). , sposo perché la Terra  è fecondata dal calore e produce la vita (uomini, animali, piante, ecc). . L’incesto, stando alla Bibbia, si presenta immediatamente con la comparsa dell ‘uomo

Adamo ed Eva, oltre Caino e Abele, ebbero altri figli e figlie e quindi la moltiplicazione non poté che avvenire tra consanguinei.

Il tema dell’incesto viene ripreso da ogni mitologia ed ogni religione arcaica ed, in un certo senso, sacralizzato per i motivi che si vedranno in seguito.

Nella mitologia egiziana Iside e Osiride erano gemelli e si accoppiarono già nell’utero materno. In vita divennero marito e moglie e generarono Horus. Questi, a sua volta, si accoppiò con la madre Iside ed ebbero quattro figli.

Sempre in Egitto, i faraoni notoriamente sposano le loro sorelle, in Persia il re Cambise sposa egli le sorelle (vedi Erodoto, Le storie, libro III, 31), sempre in Persia il re Artaserse Longimano sposa le figlie.

Nella mitologia classica Mirra si accoppia col padre, re di Cipro, e partorisce Adone, emblema della bellezza e quindi della perfezione per cui, in seguito, è stato detto che il profumo della mirra è il simbolo dell’amore perfetto.

Saturno sposa la sorella Opi, come dire Crono sposa la sorella Rea, Oceano sposa la sorella Teti (erano due dei primi dodici Titani).

Giove sposa la sorella gemella Giunone, come dire Zeus sposa Era. Eolo, re dei venti, ha sei figli e sei figlie sposati tra loro.

Forco ebbe dalla sorella Ceto due figlie (Penfredo ed Enio, chiamate Graie (vedi Esiodo). Macareo e Canace, figli di Eolo, si sposarono e dalla coppia incestuosa nacque Anfissa (Issa). Menéfrone di Cillene si accoppia con la madre.

Nictìmene si accoppia col padre e diviene civetta, l’uccello sacro a Minerva.

Proserpina, figlia di Demetra e di Giove, viene sedotta dal padre Giove mutatosi in serpente (Ovidio, Metamorfosi). Climeno, padre di Arpalice, avuta dalla moglie Epicasta, possiede la figlia e nasce un figlio che chiama Climeno.

Egisto (uccisore di Agamennone e amante di Clitennestra) nasce da Tieste che si accoppia con la propria figlia Pelopia.

Nelle mitologia irlandese Eri, personificazione della Irlanda, sposa suo fratello Elatha e nasce Bres, re usurpatore.

Nella stesse mitologia il re Conchobar sposa sua sorella Dechtire e nasce l’eroe Cuchulainn.

In Irlanda questo modo di procedere costituirebbe – come si è già detto – un riferimento ai tempi adamitici, quindi una specie di magia imitativa o simpatica.

Nella mitologia teutonica Wotan (Odino), padre degli dei, si accoppia con una donna mortale che partorisce anch’essa due gemelli, Sigmund e Siglinda, che da adulti si sposano. e danno alla luce Sigfrido.

Da notare che i nati dagli incesti sono sempre Personaggi eroici.

Plutarco (Vite parallele, Cicerone, 29) riferisce che Clodio (nipote del celebre Appio Claudio cui dobbiamo la via Appia) abbia avuto rapporti intimi con la sorella Clodia (la Lesbia di Catullo, moglie di Metello Celere) e con la sorella Terzia, sposata a Marcio Re, nonché con la terza sorella sposata a Lucullo.

A parte ogni altra causa dovuta a libidine o quant’altro, va tenuto conto che Roma risentiva da vicino dei costumi egiziani dove notoriamente i faraoni sposavano le sorelle per accentuare, come dice l’Avesta, la somiglianza con la divinità.

Sempre a Roma, Gneo Domizio, padre di Nerone, ebbe rapporti incestuosi con la sorella Lepida. (Svetonio).

L’imperatore Eliogabalo avrebbe avuto rapporti con la madre, Giulia Soemia, donna dissolutissima.

Sempre Plutarco (Vite Parallele, Cimone, 4) riferisce che Cimone in gioventù  ebbe rapporti con la sorella Elpinice. . E’ opportuno qui ricordare che Cimone, figlio di Milziade, aiutò Sparta tradendo i democratici, quindi Pericle, e fu bandito da Atene.

Quando fu processato, la sorella Elpinice tentò di blandire il risentimento di Pericle nei confronti del fratello – amante, ma si sentì rispondere da Pericle: “Povera Elpinice, sei troppo vecchia per trattare un affare così importante”.

Nella Bibbia, Lot si accoppia con le figlie.

In prosieguo di tempo, siamo nel XV secolo, Qobad sposa le figlie, il satrapo Sisimitro sposa la madre, nel XVI secolo il papa Alessandro VI Borgia si accoppia con la figlia Lucrezia che, a sua volta, si congiunge col fratello Cesare, il duca Valentino.

Presso alcune tribù africane il cacciatore di ippopotami, prima della caccia, si accoppia alla figlia per avere buona caccia. Ed ora parliamo degli Inca. . .

Il padre Sole ebbe pietà di loro (uomini selvaggi) e mandò due suoi figli,      Mancoccapac    e     la     moglie – sorella Mama-occllo…, in epoche successive ogni Inca e la sua moglie – sorella continuarono la possente razza. (da “Alle origini della cultura” di E. Burnett Tylor, ed. Ateneo, Roma, pag. 97).

E’ scontato che le unioni incestuose nell’antichità (con episodi, più recenti) sono dovute a superstizioni connesse a concezioni mitiche.

Ovidio sull’argomento porta ad esempio gli animali, più aderenti alla natura, che si accoppiano senza fare distinzioni e se la prende con gli scrupoli umani che hanno creato perfide leggi e con i codici invidiosi che proibiscono ciò che natura ammette.

Proporre qui Ovidio, poeta notoriamente poco castigato, può sembrare una scelta poco felice, ma il punto è proprio questo: la verità spessissimo bisogna andarla a cercare in quella che abbiamo stigmatizzata come trasgressione e risalendo alle cause troveremo chi è stato, e perché, ad operare le scelte, le elezioni, le criminalizzazioni, le demonizzazioni, le promozioni e le bocciature. E ci troveremo, purtroppo, con i soliti interessi di parte.’

Dicembre 2000 / Febbraio 2001

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2001: UNA PORTA SPAZIO-TEMPORALE, TRA PASSATO E FUTURO. , .

2001: UNA PORTA SPAZIO-TEMPORALE, TRA PASSATO E FUTURO. , . ?

L’uomo odierno, come del resto i suoi progenitori della preistoria, vive immerso in un’atmosfera di propensione religiosa nei confronti di forme e cose che non riesce a spiegarsi razionalmente.

Le scatenanti e incontrollabili manifestazioni della Natura, pur nel rispetto di una certa ciclicità, come per le stagioni, c ciò pertanto in parte prevedibili, sfuggendo al controllo umano, furono per l’uomo delle caverne collegate al volere di una Entità superiore e, di conseguenza, intese come messaggi del divino creatore d’ogni cosa.

L’innato atteggiamento mentale umano ad accostarsi al mondo dell’inspiegabile, poi, ancor più stimato dal recondito desiderio di tramandare ai posteri le tracce delle sue conquiste, dalle incisioni rupestri dei cavernicoli ai monolitici menhir, dai templi e le Piramidi di Gizah e quelle Maya, dal labirinto di Creta con le architettoniche testimonianze dell’antica Grecia alle cattedrali, ha fatto sì che tutto il percorso evolutivo dell’uomo fosse contrassegnato da segnali chiari e forti, difficilmente decodificabili dai più, ma accessibili soltanto da coloro che non ne fossero stati degni.

L’uomo, ad un certo punto, si accorse di poter occultare in ogni opera realizzata non solo il potenziale immaginativo che scaturiva dal prodotto C) artistico ma, cosa ancor più stimolante, un arcano messaggio che solo pochi eletti, e in possesso della giusta chiave di lettura, avrebbero in un giorno lontano decodificato. L’impiego di questo selettivo metodo di comunicazione con i posteri, da quel momento, divenne sempre più utilizzato anche, e soprattutto, per difendere le individuali conquiste sapienziali dei Maestri.

La chiave d’interpretazione dell’opera divenne così il passe-partout di lettura di ermetici segreti. E, ciò pertanto, figure geometriche, come quelle tracciate sulle pareti di caverne, dolmen, omphalos ed imponenti realizzazioni architettoniche, entrarono a far parte, come era logico che fosse, dell’infinta catena di simboliche testimonianze che costellano il lungo percorso.

In verità, l’influenza di sconosciute forze positive e avverse, potenziate soprattutto dall’intenzionale apporto emotivo conferito dall’esecutore di quel tempo, interagiscono misteriosamente. Malgrado i secoli trascorsi, infatti, l’opera-simbolo continua ad esercitare il suo iniziale magnetismo al punto tale da influenzare, talvolta, persino il percorso evolutivo dell’uomo. Ed ecco che Il simbolo, rafforzato ancor più dal misterioso messaggio che in esso si racchiude, diventa una “porta arcana” di accesso verso una dimensione spazio-temporale in cui presente, passato e futuro sono un tutt’uno.

Non è casuale l’esigenza di rivisitare, anche se spesso lo facciamo con la mente, episodi e luoghi legati agli anni di vita vissuta. La cosa strana è che avvertiamo un inspiegabile impulso, quasi un’attrazione fatale, che ci spinge ad andare oltre, l’esigenza forse, di oltrepassare la barriera convenzionale di quel primo giorno di nostra vita per scoprire da dove proveniamo, chi veramente siamo, qual è la nostra meta futura.

A questo punto, però, ci accorgiamo  stranamente del fascino inspiegabile che certi luoghi emanano, degli inspiegabili stati intenzionali che essi producono. decisamente estranei all’ambiente circostante. Immersi nel particolare stato di animazione sospesa che ne consegue, quasi per incanto, tutto ciò che ci è intorno diventa nebuloso, e svanisce. Ad un tratto, l’opera-simbolo che è dinanzi a noi, immersi nel ruolo di moderni temprati, austera per il segreto in sé racchiuso, risveglia nella nostra mente quel messaggio iniziale inci1a, so sul portale del ‘I’empio di Iside: “Sum quidquid fuit, est et  erit…nemoque rnortalil_nn veliurn detraxit’

Questi simboli meravigliosi, che tanti segreti hanno segreti ancora da svelare, sono l’incommensurabile patrimonio di verità velate che i grandi maestri sapienziali, iniziati nei sacri templi della, hanno  voluto tramandare all’umanità.

Il linguaggio silente delle pietre, il magnetismo dei siti eretti in luoghi mai scelti a caso, le raffigurazioni simboliche, le allegorie, gli indecifrabili crittogrammi, la collocazione delle opere nel preciso rispetto dell’orientamento degli astri, l’osservanza e l’applicazione della geometria e della matematica nel calcolo dei rapporti di costruzione. non sono semplici coincidenze, come qualche sprovveduto vorrebbe far credere…

Migliaia di anni sono ormai trascorsi, secondo il calcolo del tempo terrestre, dalla comparsa dell’homo sapiens di quest’ultima preistoria, e l’uomo contemporaneo ha appena sfogliato le prime pagine del grande libro della storia dell’uomo.

Il 2001, potrebbe, a mio modesto avviso, essere il simbolico appuntamento di quel radicale cambiamento, tanto atteso dall’Umanità, soprattutto alla luce delle eclatanti conquiste della scienza – tasselli di antiche verità dimenticate – che si susseguono a ritmo sempre più incalzante.

E’ utopistico sperare di vedere debellati, una volta per sempre, gli endemici mali che affliggono i popoli della Terra come, ad esempio, la violenza che dilaga senza sosta, la fame, l’inquinamento ambientale, e così via…?

Sono tanti, troppi forse, e di vitale importanza, i quesiti in attesa di risposte chiare ed inequivocabili dall’Uomo del terzo millennio, come ad esempio per la clonazione e l’eutanasia.

Sono altresì fermamente convinto, e non potrebbe essere altrimenti, che il presupposto iniziale per affrontare con serietà i problemi primari dell’Umanità, e soprattutto senza dispersive dietrologie, non prescinda dal decisivo accantonamento di tutte le ideologie che imprigionano il libero pensiero e la libertà, come quelle che si legano alle religioni ed agli interessi personali di coloro che praticano la politica.

Dal sereno confronto di pensieri, idee, e conoscenze individuali, che potremmo definire il primo gradino di un’ascesa collettiva e responsabile nel rispetto degli altrui convincimenti, potrà nascere quella volontà fortemente protesa verso il miglioramento ed il benessere di tutti, senza più sopraffazioni ed egoismi personali.

Le testimonianze del nostro passato, frattanto, immobili nei siti che gli antichi maestri scelsero per la loro edificazione, osservano silenziose il frenetico dimenarsi degli uomini che inseguono, come nel passato, effimere ed illusorie conquiste.

All’alba del 2001, stranamente, il segreto di un antico nostro progenitore forse venuto dalle stelle, ermeticamente racchiuso nel simbolo più complesso ed arcano dell’Universo che noi chiamiamo “uomo”, ci appare meno lontano…e, come sempre in occasione di un nuovo anno che nasce, ci riscopriamo più ricchi di proponimenti buoni, e di speranza…

Silvio Nascimben

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NAPSTER

NAPSTER:

la rivoluzione della musica on line

di

Mchele Traversa

Le basi della moderna industria musicale vengono gettate all’inizio del dopoguerra, più o meno nel 1945′. il business musicale si organizza attorno al sistema di produzione e distribuzione del disco, che è controllato da un esiguo numero di grandi compagnie, a scapito degli editori che fino ad allora avevano dominato il mercato.

Questo provoca la prima grande rivoluzione nell ‘ambito della musica e la definitiva modificazione del pop da genere di intrattenimento di massa a musica di consumo. La radio diventa il canale privilegiato di promozione ed i dischi stessi vengono realizzati per il formato ed il pubblico radiofonico. La stessa situazione che si creò negli anni’40 si sta verificando ai giorni nostri con Internet.

Siamo in guerra. Certo, è una guerra che non si capisce bene contro chi dobbiamo combattere. Di sicuro, a giudicare dagli interessi che ha mosso, muove e muoverà, è una guerra ideale dove conta la sostanza, meno l’evolvere delle manovre sul campo. Ma lo è soltanto per una parte. L’altra parte la concepisce come ultima frontiera della globalizzazione e per questa parte diventa una guerra virtuale, in cui le armi sono invisibili ma producono effetti devastanti.

Tutto quello che bisogna fare, per essere dei bravi soldati, è ascoltare. Stiamo parlando di Napster, il sito telematico musicale più famoso al mondo che ha messo sul piede di guerra tutte le più grandi etichette musicali.

Napster e uno spazio tecnologico che può avere sviluppi didattico-culturali straordinari. Entrarvi significa ridiscutere il posizionamento fisico della propria discoteca. Lo si dice sempre: se le mettono il bavaglio, la musica comunque troverà il modo di salvarsi. L’industria colpisce duro. I “cd” costano troppo, le proposte sono sempre quelle, la libertà espressiva si fa sempre più precaria perché il mercato non prevede che il mondo, che è pieno di orecchie curiose e pieno di gente che vive di musica e forse per la musica morirebbe, possa autodeterminarsi: cioè possa decidere veramente quale musica ascoltare. Napster e i suoi fratelli mettono in contatto le discoteche personali di ogni angolo di mondo. Saltano quattro o cinque passaggi politici, snelliscono la burocrazia del consumo, che non è più dovere, che torna volontà di conoscenza. Cerchi un pezzo e poi vai a guardare cos’altro ha da offrire chi lo ha messo a disposizione. Ovviamente siamo ancora all’abc. Non tutto funziona. Non tutti gli utenti/fornitori sono svincolati dal sistema. Chi cerca Giacomo Puccini, può avere la sgradita sorpresa di ritrovarsi davanti Andrea Bocelli. Ma vi garantisco che se aspettate qualche mese potrete vedere moltissimi collezionisti che, stanchi della polvere sul loro arsenale di bellezze, registrino su un cd-r il loro vinile, aspettate che la storia delle canzoni inizi a sgomitare, e non solo i singoli dell’hit parade. Aspettate quel momento e poi: chi fermerà più la musica quando sarà libera e bella, quando, per il tuo vicino di e-mail, la tua discoteca sarà come una radio? E viceversa? Quella di Napster è la prima piccola battaglia che sarà decisamente più lunga e complessa, che coinvolgerà anche il cinema, i libri e in generale il mondo della cultura e dello spettacolo, quella della definizione del concetto di diritto d’autore nell’era di Internet. •

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CHIESA E MASSONERIA

CHIESA E MASSONERIA

Cronaca e storia di una controversia

di Delfo Del Bino

Recensione di Vittorio Vanni

Se la pace è il premio agli uomini di buona volontà, Delfo Del Bino ha dimostrato, pur con il rigore e l’oggettività delle argomentazioni, che la massoneria potrebbe avere tutta la volontà di pace possibile. Nella sua premessa, che è in realtà è più una sperata conclusione, l’autore afferma:

“Massoneria e Chiesa Cattolica procedano su piani diversi. E percorrono strade altrettanto diverse. Sono ancora rimasti in piedi alcuni equivoci a giustificare una presunta inconciliabilità tra cattolicesimo e massoneria. In questi pochi giorni ancora da trascorrere per chiudere un millennio e riaprirne uno nuovo, vi è l’attesa, legittima, di vedere cambiare il volto del mondo. E non già per nuove mirabolanti imprese tecnologiche, ma per l’impresa più importante che l’umanità si attende: una parola di pace che sorga dal rispetto reciproco di tutti gli uomini, e per tutti gli uomini della Terra’

Chiesa e Massoneria non è soltanto una disamina storica sulla nota controversia, ne è un libro a tesi, nel senso che lascia spazio a qualsiasi interpretazione, purché, finalmente, questa vi sia. Stranamente, anche l’esegesi massonica di questo antico contenzioso è carente. Il testo è sicuramente un parametro attuale ed aggiornato dell’atteggiamento clericale nei confronti di un perduto controllo della società, e del suo nostalgico e quasi disperato tentativo di recupero di una morale teologica sociale universalmente valida. In questo tentativo si spiega il fasto e la grandiosità delle attuali cerimonie pontificie e la presenza continua sui mass-media italiani del Papa, presentato come un eroico anziano, malato e sofferente, che regge sulle sue metafisiche spalle il peso di duemila anni di cristianesimo. Ma dietro le quinte del colonnato di S. Pietro vi è un’altra realtà. Quella della scarsità e dell’invecchiamento degli operai della vigna del Signore, obbligati alla cura di più parrocchie con una congrua che non corrisponde neanche alla paga di un operaio al primo impiego. Le poche vocazioni si rivolgano per lo più verso gli Ordini religiosi, mentre quasi più nessuno vuol fare il prete secolare. L’incremento delle vocazioni nel terzo mondo non può coprire questa difficoltà oggettiva, in quanto difficilmente i parrocchiani dei paesi latini accettano senza dubbi africani ed asiatici alla guida del gregge. Ma anche se nel tempo i sacerdoti colorati fossero accettati ed apprezzati, come sempre capita con la ragione che il tempo impone, quali culture porterebbero nella Chiesa, quali variazioni catechistiche e teologiche dovrebbe subire la morale cristiana, sempre più limitata ed obsoleta? La presenza di un cardinale eccezionalmente simpatico come Milingo, che ha portato nelle austere aule gotiche le sue canzoncine tribali, i suoi esorcismi un po’ macumba ed un po’ vudù, è paradigmatica, assieme alla illusoria speranza di molti massoni della sua assunzione al Soglio, come Pietro II. Il libro del Del Bino nasce dalla presa in considerazione di un movimento politico-religioso che negli ultimi decenni si è consolidato in alcune minoranze cattoliche. In questo caso la disamina è tratta da un libro d’Angela Pellizzari, Risorgimento da riscrivere— Liberali & Massoni contro la Chiesa, con prefazione di Rocco Buttiglione e Franco Cardini, ma da questo punto di vista la bibliografia sarebbe piuttosto vasta. Per quanto le radici di questo movimento controrivoluzionario e antirisorgimentale siano, come sempre, molto profonde, si può indicare la più vicina origine nel cenacolo fiorentino di Attilio Mordini (cfr. Vittorio Vanni

L’antimassoneria cattolica nelle sue origini fiorentine, I Quaderni della Biblioteca, Quad. n. 5 Firenze 1998), autore di grande intelligenza e lucidità, molto apprezzato dagli integralisti cattolici. Ma il loro cattivo maestro è certamente Plinio Correira de Oliveira, (cfr. Plinio Correira De Olivera, Rivoluzione e controrivoluzione, Cristianità, Piacenza, 1977) latifondista sudamericano e grande reazionario. La critica controrivoluzionaria esercitata contro la Rivoluzione Francese (e, in Italia, contro il Risorgimento) assume caratteri di irrazionalità ed isterismo mistico. Un esempio di questa prosa si può rintracciare in a Giovanni Cantoni, Metamorfosi del socialcomunismo: dal relativismo totalitario al relativismo democratico, in cui si oppone al soprannaturale i “misfatti” del naturalismo:

“Né si può negare l’ipotesi — avvalorata da significativi sintomi — di una macabra interiorità rispetto allo spogliamento, al denudamento, un processo di “naturalizzazione”, di trionfo del naturalismo, cioè di riduzione del reale a pura natura, con tematica negazione ed esclusione del soprannaturale; un processo spinto fino alla contronatura e al pre naturale diabolico, cioè ad un ‘orizzonte che includa positivamente il demoniaco: ecco lo scorticamento, di cui dà emblematica descrizione GustafMeyrink (1868-1932) nell’ultimo a capitolo del romanzo La notte di Valpurga, significativamente intitolato “11 tamburo di Lucifero”, nel quale narra appunto di un tamburo costruito con pelle umana ed al cui rullo vengono chiamati a raccolta e operano rivoluzionari…[…] uomini dai pugni di ferro, casacche turchine, fasce scarlatte sul braccio. Hanno formato una guardia del corpo. Sull’esempio degli antichi Taboriti si fanno chiamare i “fratelli del monte Horeb”[…] vessilli rossi sventolano con vapori di sangue davanti alle case. Una moltitudine urlante, in delirio, li circonda reggendo fiaccole accese

L’antologia del grandguignol integralista, di cui potremmo portare molti esempi, risente evidentemente d’accanite letture di grandi mistiche, come Caterina de’ Ricci, Maria Maddalena di Pazzi, Caterina Salimbeni e Teresa d’Avila ed Ildegarda, le cui orripilanti visioni sanguinolenti hanno tutto il carattere di morboso horror degli attuali “controrivoluzionari”. Come ci dicevano i vecchi e più saggi parroci, “quando si parla troppo del diavolo se ne vede spuntare la coda.

Lo stile rigoroso ed oggettivo di Delfo Del Bino, nella sua lucidità illuminista e nella sua oggettività laica, ribadisce i limiti (pag. 43) in cui il dominio spirituale (per chi lo accetta) non può, (o meglio non dovrebbe) interferire con il dominio della società civile, sempre più complessa e pluralistica: ” […]La Chiesa, si è data il compito di difendere la salute dell’anima. A lei spettano tutte le cure spirituali. È un magistero che non sopporta interferenze né manomissioni da parte di chicchessia, Stato compreso, ma che a sua volta non può sovrapporsi allo Stato, né, tanto meno, interferire nelle attività che riguardano la sfera civile” Ma non consistono proprio in questo, su un piano sociale, le motivazioni controrivoluzionarie ed ecclesiali dell’impossibile accettazione della massoneria come componente “normale” della comunità? Obiettivamente, non possiamo non riconoscere, e con orgoglio, che la Massoneria è stata una tenace promotrice ed operatrice della laicizzazione dello stato e della società, del pluralismo e della tolleranza religiosa, della parificazione ed integrazione della donna, della libertà, insomma, e della dignità di ognuno. Vediamo però con stupore come questi principi che consideriamo fondamentali non soltanto alla Massoneria, ma all’evoluzione umana stessa, siano ancora negati, con motivazioni a volte

 arcaicamente espresse, a volte ipocritamente eluse, a volte perversamente dichiarate, ma sempre collegate ad una presenza ed influenza del male, antropoformizzato nel solito onnipresente demonio. Ma l’attuale impegno sociale della Chiesa, il suo ecumenismo, la volontà di riappacificazione con le altre religioni cristiane, il desiderio di collaborazione con le religioni non cristiane, le tardive richieste di perdono d antiche e sanguinose persecuzioni non dovrebbe testimoniare che la sensibilità odierna, com’espressione di un processo evolutivo, ha mutato anche una teologia immutabile? Il comportamento morale pratico, ben diverso da quello indicato dal catechismo teologico, di un cattolico integralista d’oggi farebbe arrossire un libertino del’700. Nella realtà dei fatti la compassione, la misericordia, la benevolenza dell’uomo nei confronti dei suoi simili, non sono certo ben rappresentati dall’impostazione antiquaria della morale cattolica. Le antiche accuse alla Massoneria, espresse in forma abbondantemente riservata nella Lettera Apostolica di scomunica di Clemente, comminata, fra l’altro ‘per altri giusti e razionali motivi a Noi noti” trovano poi aperta espressione nella Storia del Giacobinismo dell’Abate Barruel. E il grande mito, ma più ossessione, del complotto massonico, derivante dalla ricerca esterna di un responsabile della caduta dell’Ancien Régime. Molti filosofi cristiani del’700, fra cui Louis Claude e De Saint Martin e persino Joseph De Maistre, ultrapapista, videro nella Rivoluzione Francese una punizione divina per la degenerazione, l’arroganza, la prevaricazione degli antichi poteri, che si pretendevano tali per diritto divino. La Rivoluzione, pur criticata negli inevitabili eccessi, era vista come una forma di catarsi irrinunciabile, una purificazione violenta ma necessaria, la forma estrema della Provvidenza. Chi non volle riconoscere l’imperscrutabile volontà divina nella distruzione di un mondo in cui il sovrannaturale era divenuto strumento terribile di una casta cinica e criminale, si rifugiò nella fantasia del complotto massonico, guidato occultamente dalle forze infere. Non è il caso qui di rivisitare il percorso storico di questa comprensibile, ma non accettabile, caduta nell’irrazionale. Da Don Bernardino Negroni al Taxil, dal Concilio antimassonico di Trento a Padre Giantulli si potrebbe in verità storicizzare le morbose ossessioni antimassoniche, ed anche abbracciare chi in buona fede, come noi, creda che l’evoluzione della spiritualità comporti il superamento dell’odio e dell’errore. È ciò che vuol auspicare Delfo Del Bino, quando afferma che “I motivi d’attrito con la Chiesa, almeno quelli di allora, non ci sono più”. Ma le motivazioni di dubbio su quest’ottimistica affermazione sono, purtroppo, ancora attuali. Introvigne (Le Teorie del Complotto, Istituto per la Dottrina e l’Informazione sociale) afferma che: “A partire dal Settecento una certa forma di pensiero religioso sarà tentata da teorie complottiste a fronte d’eventi imprevedibili e difficili da spiegare (sic! ) con cause puramente naturali: l’egemonia culturale dell’Illuminismo, la Rivoluzione Francese e più tardi l’esplosione dello spiritismo, la rapida scristianizzazione di numerosi paesi europei, il socialismo e il comunismo. Sono costruiti così schemi a forma di piramide che vedono fisicamente dietro i dirigenti politici e culturali visibili una classe dirigente invisibile costituita dalle società segrete, fra cui, ma non è la sola, la Massoneria. Dietro le società segrete opererebbero società ancora più segrete, apertamente sataniste. Dietro i satanisti opererebbe il Diavolo in persona, la cui azione non si limiterebbe alla modalità della tentazione, ma si manifesterebbe in apparizioni molto esplicite e dirette, in cui il Principe del Male dà istruzioni precise e dettagliate ai propri luogotenenti umani. Solo ad un’epoca relativamente tarda, nello schema — da qualche parte fra i massoni ed i satanisti — sono inseriti anche gli ebrei, intendendo quest’espressione, almeno fino al secolo XX, in senso non razziale ma religioso, dal momento che i teorici del complotto sono più spesso antigiudaici che antisemiti. 

 In un opuscolo (Scopi e pratiche alchemiche dell’Ordine Egizio, Agapé, Milano, 1983, diffuso in un milieu particolare, vicino a pseudo-società esoteriche, il cui modello sono le false massonerie create nella Francia del Fronte Popolare, dell’occupazione nazista e del governo di Vichy, così si definisce gli “eggregori” (formazioni psichiche, spontanee o indotte, dai poteri particolari):

” Gli eggregori sono molto socievoli e si raggruppano volentieri in organismi astrali molto potenti, una sorta di consorterie, che generano a loro volta degli eggregori più forti e totalizzanti. I raggruppamenti si producano per affinità e sembrano prolungarsi fino alla costituzione e all’intrattenimento delle due genialità astrali che hanno un collegamento diretto al piano spirituale. Gli antichi chiamavano queste due astralità Adam Kadmon e Adam BeliaL che, da vicino e da lontano, presidiavano tutte le società segrete. ‘

Come spesso succede nei testi di queste organizzazioni criptiche, l’esoterismo che esprimono è non soltanto rozzo e ignorante, con un’interpretazione la cui matrice è evidente quanto aberrante, ma soprattutto tendenzioso e diretto ad affermare lo stesso sillogismo che si può desumere dall’affermazione dell’Arcivescovo di Firenze, Mons. Silvano Piovanelli, (La Nazione 1998): “L’esoterismo è diabolico”. La Massoneria ha un esoterismo, ergo, la Massoneria è diabolica. Ma la subdola strumentalità di collegare la Massoneria a movimenti occultistici od a sette riesce ad influenzare anche i governi, anche i quelli a matrice chiaramente laica, come quello francese. La Commissione d’inchiesta sulle sette dell’Assemblea Nazionale Francese nomina 175 società, esia stenti nel territorio, considerate come settarie, fra cui tutte le Obbedienze Massoniche Francesi, ed inserisce, fra le “sette” pericolose, fra gli Adoratori delle Cipolle, l’Internelle Syntetiques Opérative Zététique Energétique et Nucléoniques, il Club des Surhommes ed altre testimonianze della varietà del  la stupidità umana, anche il CLIPSAS che è, semplicemente la catena delle obbedienze massoniche non riconosciute dall’Inghilterra e del circuito del Grann de Oriente de France. Se dovessimo definire il significato di setta da un punto di vista storico-sociale nei suoi caratteri negativi è proprio la Massoneria che sfuggirebbe a questi parametri. Ma ne sfuggirebbe la Chiesa Cattolica? Vi sono  certamente due aspetti della inimicizia accanita della Chiesa nei confronti della Massoneria, che si attua anche oggi, quotidianamente, inimicizia che i Massoni d’oggi, spenti i roghi e abbattute le forche, credono superata. Il primo è un aspetto politico, che è una delle ragioni della Lettera Apostolica di Clemente. Guglielmo Adilardi, nel suo testo ” Lo stato nello stato La Chiesa Cattolica in Italia: una retrospettiva ed un bilancio attuale, I Quaderni della Biblioteca, Quad. n. 0 5, Firenze, 1997) mette in evidenza che “[…] Un potere, quello nascente dagli stati nazionali, che diverrà sempre più forte, tanto da arrogarsi il diritto di trattare anche in campo spirituale con il Papa. Per cui il papato, a causa di questa ascesa degli Stati nazionali, veniva estromesso letteralmente dalla scena europea fino a pervenire alla sua esclusione definitiva nei trattati di Utrech (1713) e di Rastadt (1714), pur avendo, come potere temporale, non poche questioni da portare al tavolo dei negoziati. Altresì era, con tali trattati, sancita la fine del papato quale elemento equilibratore fra gli e-stati in genere”.

La Massoneria, nei decenni susseguenti, costituì il legame ideologico dei nuovi tempi fra la parte più evoluta dell’aristocrazia e la nuova borghesia emergente, legame che in diversi modi, secondo le particolarità nazionali, produsse il rinnovarsi dei termini etici di stato di società. In questi termini l’influsso teologico del Papato era limitato alla coscienza individuale e non poteva più rivolgersi al controllo della comunità. Perché quindi stupirsi del rinnovato livore contro il costituirsi dell’unità politica degli italiani, quando questa non poteva che rivolgersi (e lo potrebbe essere ancor oggi) contro un dominio temporale cattolico che è Intimamente, indissolubilmente, inevitabilmente, collegato a quello spirituale?

Si potrebbe obiettare che un’antologia del pensiero dell’integralismo cattolico non può rappresentare quello del Cattolicesimo in generale. su internetici ufficiali della Chiesa Cattolica, così come su quello dell’Opus Dei. la ricerca alla voce “massoneria” non riporta nemmeno un risultato. su quelli della nuova Inquisizione, il GRIS (Gruppo Italiano Ricerca S ed il CESNUR (Centro sulle Nuove Religioni) diabolicità e massoneria, g ed aborto, criminalità ed esoterismo sono sempre collegati.

Ma la tattica cerca sempre di non far emergere la strategia che gli è spalle. Pochi giorni fa su Civiltà Cattolica è stato “perdonato ‘ Giordano I no. Secondo  l’organo dei Gesuiti, se la Chiesa è infallibile, i suoi uomini sempre lo sono, ma, naturalmente, quelli di ieri, non quelli di oggi. Il  dono” della Chiesa è spesso più offensivo della condanna. Il 17 di Febb del presente anno 2000, il movimento panteista internazionale celebrerà Campo de’ Fiori, Giordano Bruno. Pura coincidenza?

Ma la diabolicità della Massoneria e dei suoi aderenti non è adombrata  dal folklore un po’ ridicolo ed un po’ retrò degli integralisti cattolici. MonsignorJosef Stimpfle scrisse un articolo (riportato dai “Quaderni di Cristianità” anno II, n. 4, primavera 1986, pp. 45-67) contro la tesi di Padre Reinhold Sebot, che affermava che “La scomunica contro i massoni è abolita”.

Padre Stimpfle affermava in quest’articolo che alla Dichiarazione Lichtenau, sottoscritta il 5 Luglio 1970 da una commissione di nove m soni e tre cattolici, Monsignor De Thoth, i Professori Schwarzbaue Vorgrimler, non era da attribuire alcun valore.                                                                                                                        

 Da notarsi che la Commissione era stata indetta dalla Conferenza Episcopale Tedesca, e che suoi membri erano stati nominati dalla Congregazione per la Dottrina per la Fede, ma che in seguito il Card. Seper dichiarò che la sua Congregazione non ha nominato i membri di tale Commissione né approvi la dichiarazione di Lichtnau, che nelle sue finalità intendeva indurre Papa Paolo VI a modificare il giudizio della Chiesa sulla Massoneria, in vero già ben propenso a farlo, perché questo “avrebbe fatto capire che sarebbe stato molto lieto se da parte dei massoni, perlomeno quelli linea inglese, fosse pubblicata in una qualunque forma una dichiarazione alla quale ci si potrebbe riferire per fondare un nuovo esame della questione e per fornire i presupposti affinché, su tale base o seguito a questa dichiarazione, si delineassero nuovi tentativi si sol zione” (cfr. Kurth Baresch, Katholische Kirche und Freimaurerei. E brüderlicher Dialog 1968 bis 1983.  Chiesa Cattolica e Massoneria. Un dialogo fraterno dal 1968 al 1983], Vienna 1983, pg. 69). Per quanto i colloqui della Commissione non produssero i risultati auspicati da Paolo VI, due  viste sui massoni furono trasmesse dalla radio Vaticana il 27 gennaio 1980 il 2 marzo 1980, e in queste si sosteneva, con argomentazione diverse, una  sorta di ammissibilità dei cattolici alla Massoneria, poi sconfessata.

La dichiarazione di Lichtenau, per quanto non contenesse niente di sconvolgente e si limitasse a dichiarazioni di buona volontà per la continuità c dialogo fra massoni e Chiesa, fu sconfessata a motivo della diffidenza ecclesiastica, strumentale od in buona fede che sia.

Le dichiarazioni di Mons. Stimpfle superavano la questione del “machinatio” il complotto, cioè, della Massoneria contro la Chiesa: ” [. Chiarire il problema se la massoneria conducesse effettivamente una lotta contro la Chiesa oppure no, non era però assolutamente necessario per comprendere l’incompatibilità, quindi non è stato neppure oggetto della commissione di ricerca. Si afferma così che il problema politico, per quanto forse presente, è stato in qualche modo storicizzato e risolto. La guerra ecclesiastica per il controllo della società prosegue, ma in modalità che la Massoneria non può più contro combattere. Cui si potrebbe a questo punto attendere il perdono Dei e la benedizione del carnefice, qualche fresca goccia di acqua benedetta su ceneri orami spente.

Ma le motivazioni della scomunica sono molto più che storiche e politiche. Sono profondamente teologiche e profondamente feriscono l’immaginario collettivo della psiche cattolica. Pur sentendo altrettanto profondamente l’abissale fascino della massoneria e del suo esoterismo, l’inconscio   del monaco della Tebaide, sopravvissuto ai primi secoli, l’attribuisce alle non grazie perverse dell’Avversario. Le motivazioni di Mons. Stimpfle sono, da per- questo punto di vista, esemplari.

raio Dopo aver affondato la lama nel corpo corrotto della P 2, lobby che ha  inquinato la Massoneria e che comprendeva in sé notevoli esponenti della finanza democristiana e di quella vaticana, si arriva al centro stesso dell’ormai secolare prolasso antimassonico: seguiamo Mons. Stimpfle: 

In questo contesto è interessante quanto ha portato di nuovo la ricerca nel campo delle antiche religioni misteriche. ln una delle opere S.J. storiografiche più recenti relative al tema si dice: Notiamo, per inciso, che la disposizione del moderno Tempio massonico è del tutto e per tutto e di identica a quella dei Templi mithraici e che “nonostante una conoscenza   frammentaria dei riti d’iniziazione si può dire che alcuni dei suoi elementi prefigurano aspetti dell’iniziazione massonica ” (cfr. Cristian Jacq La m- Massoneria Storia ed Iniziazione, Mursia, Varese 1978).

 Non è solo Mithra, uno degli “antichi dei falsi e bugiardi” che è indiziato nadi esser l’ispiratore della massoneria (escluso quella inglese, quasi “buona”) ma anche Manete, Giamblico, Porfirio, Plotino, Marco lo gnostico, vato Basilide, ecc, cioè neoplatonici e gli gnostici, i grandi concorrenti del cristianesimo   nell’antichità. Considerando che sono più di mille ottocento anni orsono trascorsi dalla loro meteora nel campo filosofico e metafisico, ben grande deve essere stato lo spavento dell’ortodossia verso questi contesti, se ancora si agitano questi antichi spettri.

Le affinità del simbolismo e del rituale massonico con gli antichi misteri non dovrebbe poi scandalizzare i cattolici. Nel cristianesimo niente è originale nel campo liturgico, e non vi è calendario religioso, simbolismo, culto che non derivi dagli antichi Misteri.

Noi consideriamo la Massoneria come un ponte fra un lontanissimo passato ed un lontanissimo futuro e non rinneghiamo ciò che dai Misteri ci deriva. Se la Chiesa Cattolica crede che dietro Delfi vi siano la coda e le corna degli avversari, può cominciare a eliminare dal proprio culto ciò che da Delfi o da altri centri iniziatici deriva. Ma non rimarrebbe niente, a cominciare dalla mitra e dalla tiara dei Pontefici.

Vi sono poi, in questo documento, delle obiezioni ben più sensate. Quella ad esempio che la Massoneria attribuisce all’uomo la sua assoluta autodeterminazione, nei limiti che la società e l’umanità impone, o nel fatto che La Massoneria considera i dogmi religiosi delle costrizioni irrazionali che offendono la libertà e la dignità dell’uomo. Se queste sono le motivazioni etiche della condanna alla massoneria, siamo ben orgogliosi di tale condanna.

Ma la conferma più eclatante alla sua tesi di demoniaci influssi Mons. Stimpfle la trova in Stephen Knigth, autore di opere di fantasia a sensazione, divertenti quanto inattendibili. Lo Knigth nella sua opera The Brotherhod, London, 1984, che il Monsignore ritiene frutto di “interessantissime ricerche durate anni e svolte non senza considerevoli difficoltà” afferma che al posto del Grande Architetto dell’Universo, già nel grado alto (sic! ) dell’Holy Roy Arch subentra il nome di JAH-BUL-ON: JAH= Jahvè, BUL= Baal e ON Osiride). Ora, tutti i rituali massonici, di tutti i gradi conosciuti, sono stati pubblicati da più di duecento anni. Jabel, Jabulon sono delle parole di passo che hanno un’altra etimologia. Jabelon, fra, l’alto, parola di passo del XXI grado del R. S. A. A. ha significato di “giubilare”, ma anche di “giubileo. Stephe Knight, secondo il Monsignore, ha interrogato non meno di settantacinque massoni di questo (quale? ) grado. In quell’occasione egli dovette costatar che tutti parlavano, liberamente e senza esitazione, della Massoneria ma che alla parola Jahbulon settantuno degli interrogati perdevano la calma e la sicurezza di sé. Monsignore, si ricordi di Leo Taxil. Se un giorno a questo scrittor di fantascienza convenisse di dichiarare di aver detto delle sciocchezze, dove va a finire la attendibilità delle sue tesi?

La speranza è che il libro di Delfo Del Bino apra la strada ad una nuova  verifica dell’inconciliabilità fra massoneria e chiesa, oggi dimenticata da massoni, orientati in buona fede ad un dialogo che essendo, oltre che civile logico e razionale, non può aver punti di contatto con espressioni provenienti da un contesto illogico ed irrazionale.•

CONOSCERE LOUIS CLAUDE DE SAINT MARTIN

 di Ovidio La Pera

Che importanza può avere, in Massoneria, conoscere Louis Claude Saint Martin? e chi era costui? L. C. D. M. fu chiamato il Filosofo Incognite ed ebbe una notevole influenza sulla concezione esoterica della Massoneria moderna. Ma, in principio, fu Martinés De Pascally.

Con questo scritto l’autore, mettendo a disposizione del lettore la sua esperienza, dovuto allo studio più che ventennale della vasta opera filosofica e letteraria di L. C. De Saint Martin, arricchita anche dalla traduzione completa dei suoi testi, si propone di facilitare la comprensione della dottrina e degli insegnamenti di questo insigne maestro; evidenziando i principali aspetti di alcuni argomenti da lui affrontati e che tanta importanza e risonanza ebbero nel suo tempo, considerando la grande influenza che esercitarono su personaggi quali Joseph De Maistre, Honorè de Balzac, Chales Augustin de Saint Beuve, il filosofo Franz Von Baader, i romantici tedeschi ed altri, fino all’antroposofia steineriana. , e che non mancheranno ancora di esercitarla su tutti coloro che si accosteranno al suo pensiero, tenuto conto della sua vastità e della possibilità di ricerca e di rivelazione che esso racchiude.

L’importanza massonica di L. C. De Saint Martin deriva dalla sua particolare esperienza di segretario e coautore degli scritti di Martinéz De Pascally, Gran Maestro degli Eletti Cohen, un Ordine massonico settecentesco con dei caratteri molto peculiari, dalla sua influenza diretta sul Rito Scozzese Rettificato di Willermoz, che ancor oggi rappresenta una impostazione massonica molto diffusa nei paesi francofoni e nell’Europa del Nord, oltre al ricollegamento ideale con gli Ordini martinisti tuttora presenti in tutto il mondo.

Conoscere Louis Claude De Saint Martin è un’opera propedeutica alla prima stampa in lingua italiana dell’opera omnia di questo Filosofo Incognito, che Ovidio Pera ha tradotto completamente con estrema cura, usando non soltanto dizionari dell’epoca, ma anche con il suo trentennale studio delle opere di questo grande massone.•

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GLI ALBORI DELLA COSCIENZA UMAN

    GLI ALBORI DELLA COSCIENZA UMANA

    Sin da quando l’uomo è apparso sulla terra, si è sempre trovato di fronte al mistero della propria natura e del proprio ambiente. Per migliaia di anni la sua esistenza si è praticamente limitata alla conservazione del benessere fisico. All’alba dell’umanità, viveva continuamente nel timore di essere sbranato dalle belve, sopraffatto dagli elementi naturali, ucciso dai propri simili. Incapace di riflettere sul passato per essere in grado di progettare il futuro, la sua memoria e immaginazione erano prigioniere di un eterno presente. Lo spazio, che fungeva da cornice alla sua attività cosciente, era quello che le facoltà sensorie gli permettevano di percepire: l’orizzonte segnava i confini del mondo terreno e la volta stellata i limiti dell’universo celeste. Ma il tempo domina l’evoluzione e, dopo molte generazioni, l’uomo giunse a esercitare una certa forma di dominio sul proprio ambiente e ad accedere definitivamente a una condizione di vita superiore a quella animale.

    La scoperta del fuoco fu probabilmente l’evento che più rivoluzionò la vita dell’uomo preistorico poiché gli portò un benessere inestimabile sia sul piano fisico che emozionale. Poté vincere le tenebre, scaldarsi, cuocere il cibo, difendersi dalle fiere e prolungare le ore di veglia. Progressivamente il timore nel quale viveva lasciò il posto a un sentimento di sicurezza. Incominciò allora a riflettere sul posto che occupava nell’universo, sul senso della nascita, della vita e della morte. Si risvegliò alla coscienza di sé e, senza rendersene conto, incominciò a percorrere il sentiero del “Conosci te stesso”. In altre parole, si iniziò alla propria anima e pose in essa le basi della propria evoluzione spirituale.

    Molti secoli sono trascorsi da quando l’uomo ha capito di essere ben più di una semplice creatura vivente. Tuttavia, i quesiti che continua a porsi sul perché e il come della propria esistenza non sempre trovano risposte soddisfacenti. La scienza può oggi spiegarci la maggior parte dei processi fisiologici che permettono la vita organica di un essere umano, dal concepimento alla morte. Ma non è sempre in grado di dire con precisione ciò che avviene dopo l’ultimo soffio. Nessuno può negare che la dipartita verso l’aldilà costituisce uno dei più grandi enigmi che si siano mai presentati alla coscienza umana.

    Possiamo quindi affermare che la morte è veramente il mistero dei misteri.

Dalla nascita alla morte

    Per i nostri antenati, la nascita di un bambino era indubbiamente un avvenimento miracoloso che suscitava al tempo stesso ammirazione e paura. Non potendola comprendere né spiegare, l’attribuivano a uno spirito invisibile che aveva preso possesso del corpo della madre e lo lasciava a un dato momento sotto forma di neonato. L’evento della morte li rendeva ancor più sgomenti poiché, contrariamente alla nascita, è caratterizzato da un’inerzia totale e definitiva. Immaginate ciò che l’uomo primitivo ha potuto sentire quando si è trovato, per la prima volta, di fronte alla nascita di un bimbo o alla morte di una persona cara! In entrambi i casi si trattò di un’esperienza interiore molto importante. Mai più, in seguito, poté dimenticare quanto aveva visto e provato in queste circostanze.

    Durante la sua evoluzione, l’uomo giunse a capire che lui stesso aveva dovuto nascere così come aveva visto fare. Capì anche che lui stesso sarebbe morto un giorno sprofondando nello stato di totale inerzia che aveva osservato negli altri. Il fatto di essere nato non lo toccò, forse, quanto il presentimento che sarebbe morto, poiché aveva potuto vedere personalmente ciò che faceva seguito alla nascita, mentre non aveva idea di quanto accadeva dopo la morte. La fine dell’esistenza terrena divenne così uno dei più grandi misteri per l’uomo e lo è ancora ai giorni nostri. Questo perché essa porta verso l’ignoto e contiene la risposta alla domanda fondamentale che inevitabilmente ci poniamo: “Perché siamo su questa Terra?”.

I vincoli del materialismo

    Coloro che hanno una visione materialista dell’esistenza, considerano la morte in maniera negativa poiché non vedono alcuna ragione di concepirla diversamente. Ritenendo l’uomo solo una massa di carne tenuta in vita da determinate funzioni fisico-chimiche, controllata da una coscienza essenzialmente cerebrale, limitano la vita umana a un processo meccanico che viene ad arrestarsi con l’interruzione di queste funzioni e l’annichilimento di questa forma di coscienza. In altre parole, la morte porta soltanto al nulla. Sentono che il destino di ognuno è determinato dal caso e che l’umanità evolve unicamente sotto l’effetto di un istinto collettivo di sopravvivenza.

    Per colui che nega la dimensione spirituale nell’essere umano, tutto sulla scena dell’esistenza è teatro dell’ingiustizia e dell’incoerenza. È così perché vive nel mondo degli effetti e ignora il regno delle cause. Non comprende che il mondo di illusioni e apparenze nel quale si dibatte, procede da una Realtà Cosmica ove regnano ordine e armonia. Per tale ragione è incapace di cogliere che il visibile è in effetti un’emanazione dell’invisibile e il finito un’estensione dell’infinito. Prigioniero della ragione, costruisce la propria vita su basi giudicate razionali ma, ahimè, fragili come gli ideali che persegue. Vede i giorni scorrere inesorabilmente e si incammina con angoscia verso la morte, scadenza ultima che ha portato come una croce per tutta la vita.

La dualità dell’uomo

    Da secoli i mistici affermano che il destino dell’uomo oltrepassa ampiamente l’interludio cosciente che scorre dalla nascita alla transizione, impropriamente chiamata “morte”. Per loro l’essere umano è duplice. Possiede un’anima che si incarna nel momento in cui il neonato inspira per la prima volta, facendo di lui un’entità vivente e cosciente. Nell’istante in cui l’uomo esala l’ultimo respiro, essa si dissocia dal corpo al quale ha dato vita terrena e si fonde di nuovo con la Grande Anima Universale. La morte è solo il passaggio da un piano di coscienza a un altro, il ritorno a una condizione preesistente all’incarnazione in questo mondo materiale. In altre parole, corrisponde a una rinascita nel mondo invisibile. Per questo i Rosacrociani pensano che la morte sia soltanto una transizione dell’anima e costituisca uno dei due aspetti della Vita Universale.

Raffigurazione egizia della dualità (Per gli antichi Egizi la dualità dell’uomo era un dato di fatto. L’anima, chiamata “bà”, era rappresentata da un uccello: pensavano si elevasse verso il regno di Osiride dopo la morte. Il corpo, chiamato “khàt”, era simboleggiato da una statuina)

    Quando lascia il corpo fisico al momento della morte, l’anima resta cosciente della sua identità e si eleva gradualmente verso la nuova dimora, guidata da entità spirituali che hanno questo ruolo e dagli esseri cari che l’hanno preceduta nell’aldilà. Raggiunto il piano di coscienza corrispondente al suo livello di evoluzione, prosegue nell’invisibile un’esistenza basata sulle grandi lezioni che deve trarre dalla vita terrena appena terminata. A partire da questo bilancio e dai decreti karmici che ne derivano, si stabiliscono non solo le condizioni del suo soggiorno nel mondo spirituale, ma anche la trama dell’incarnazione successiva. Teniamo a precisare “incarnazione successiva”, poiché non si può vedere la morte dal punto di vista mistico senza essere al tempo stesso convinti che sarà seguita da altre vite sulla Terra.

Il dominio della vita

    Basta osservare l’atteggiamento dei nostri contemporanei di fronte alla morte, per capire che l’idea che se ne fanno influenza considerevolmente il loro modo di vivere. Ciò che la rende così angosciante, per molte persone, è l’ignoranza nella quale si mantengono o sono mantenute nei suoi confronti. Perciò è importante rompere i tabù che circondano questo grande avvenimento della vita umana. La scienza materialista non può arrivare a spiegarlo perché, nella sua preoccupazione di voler interpretare tutto razionalmente, pensa che la morte corrisponda alla cessazione di un processo biologico e alla sparizione definitiva dell’entità cosciente che beneficiava di questo processo. La religione, dal canto suo, pur predicando l’esistenza dell’anima e del dopo-vita, si perde in congetture contraddittorie sul perché e come della dimensione spirituale dell’uomo.

    Nell’interludio cosciente che trascorre tra la nascita e la morte, l’uomo vive il suo destino cercando di sopportare come meglio può le vicissitudini dell’esistenza. Egli aspira profondamente alla felicità, però non sa come né dove trovarla. La ricerca spesso nei piaceri dell’esistenza materiale, ma la realtà quotidiana gli dimostra che tali piaceri sono effimeri e lasciano sempre un vuoto da colmare. Questo vuoto rappresenta appunto l’abisso che esiste, per molti di noi, tra l’anima e il corpo. Allo scopo di riconciliare l’uomo con se stesso e permettergli di meglio padroneggiare la sua vita, un’Organizzazione come l’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce perpetua da secoli l’insegnamento che gli Iniziati si sono tramandati nei tempi.

    La Sfinge di Giza

    (Le origini tradizionali dell’A.M.O.R.C. risalgono alle scuole di misteri dell’antico Egitto. I candidati all’iniziazione dovevano prestare giuramento davanti alla Sfinge)

    STORIA DELL’ANTICO E MISTICO ORDINE

    DELLA ROSA-CROCE

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce, conosciuto nel mondo con la sigla A.M.O.R.C., non è un movimento filosofico di recente creazione. La Tradizione ne ascrive le origini alle scuole di misteri dell’antico Egitto. In queste scuole, mistici illuminati si riunivano regolarmente per studiare i misteri dell’esistenza da cui il nome “Scuole di misteri”. Raggruppavano tutti coloro che ricercavano una migliore comprensione delle leggi naturali, universali e spirituali. La parola “mistero”, ai tempi antichi, cioè all’epoca delle grandi civiltà egizia, greca e romana, non aveva l’odierno significato di “insolito” o “strano”, bensì si riferiva a una gnosi o saggezza segreta.

Le scuole di misteri

    In Egitto, una delle prime scuole di misteri fu la Scuola Osiriaca. Gli insegnamenti trattavano della vita, la morte e la risurrezione del dio Osiride. Erano presentati sotto forma di lavori teatrali o più precisamente dì drammi rituali. Solo coloro che avevano dimostrato il proprio sincero desiderio di conoscenza potevano assistervi. Nel corso dei secoli queste scuole aggiunsero una dimensione ancora più iniziatica al sapere che trasmettevano. I loro lavori mistici assunsero un carattere più chiuso e si tennero esclusivamente in templi costruiti allo scopo. Secondo l’insegnamento rosacrociano, i templi più sacri per gli iniziati erano le grandi piramidi di Giza. Contrariamente a quanto affermano alcuni storici, queste piramidi non sono state costruite per la sepoltura di qualche faraone: erano luoghi di studio e di iniziazioni mistiche.

    Le iniziazioni ai misteri egizi comprendevano una fase finale durante la quale il candidato faceva l’esperienza di una morte simbolica. Disteso in un sarcofago, mantenuto mediante apposite tecniche mistiche in uno stato intermedio, veniva indotto a sdoppiarsi, cioè conoscere una separazione momentanea tra corpo e anima. Ciò doveva dimostrargli che era un essere duplice. Così non poteva più dubitare che l’uomo possedesse una natura spirituale e fosse destinato a ritornare al Regno Divino. Dopo aver fatto la promessa di non rivelare nulla dell’iniziazione ed essersi impegnato a seguire il sentiero del misticismo, era gradualmente istruito sugli insegnamenti più esoterici che un mortale potesse ricevere.

    Gli Iniziati dell’antico Egitto lasciarono una parte della loro saggezza sui muri dei templi e su numerosi papiri. Un’altra parte, non meno importante, fu segretamente trasmessa in modo orale. Il celebre egittologo E. A. Wallis Budge, in una delle sue pubblicazioni, cita con rispetto le scuole di misteri. “Uno sviluppo progressivo – egli scrive -, deve aver avuto luogo nelle scuole di misteri e sembrerebbe che alcune fossero totalmente sconosciute sotto l’Antico Regno. Senza dubbio i “misteri” erano parte integrante dei riti egizi. Si può quindi affermare che l’Ordine costituito dei Kheri-Hebs (sacerdoti) possedeva un sapere esoterico e segreto gelosamente custodito dai suoi Maestri. Avevano acquisito una gnosi, una conoscenza superiore che non fu mai posta per iscritto, ed erano anche in grado di accrescere o ridurre il suo campo di azione secondo le circostanze. È quindi assurdo cercare nei papiri i molteplici segreti che formavano la gnosi esoterica dei Kheri-Hebs”.

Sigillo del Faraone Tutmosi III(Sigillo del Faraone Tutmosi III, fondatore dell’Ordine)

I faraoni mistici

    La Tradizione rosacrociana riporta che il faraone Tutmosi III (1504-1447 a.C.), considerato dagli storici uno dei più grandi della 18° dinastia, faceva parte degli iniziati che frequentavano le scuole di misteri dell’Egitto.

Alla sua epoca funzionavano in modo totalmente indipendente e adottavano regolamenti propri. Designato dai Kheri-Hebs a succedere al padre sul trono, Tutmosi III decise di raggruppare tutte queste scuole in un solo Ordine retto dalle stesse regole, al fine di farne una Fraternità Unica. Per la sua intelligenza e saggezza fu scelto come Gran Maestro, funzione che mantenne fino alla morte. Fu il primo sovrano a portare il titolo di “faraone”, cosa molto significativa sul piano mistico.

    Circa settant’anni più tardi, il faraone Amenhotep IV nacque nel palazzo reale di Tebe. Ammesso giovanissimo nell’Ordine fondato da Tutmosi III, ne divenne Gran Maestro e ne ristrutturò gli insegnamenti e i rituali. In un’epoca in cui il politeismo era diffuso su tutta la Terra, instaurò ufficialmente il monoteismo. Cambiò il proprio nome e si fece chiamare “Akhenaton” che significa “devoto di Aton”. Fu il promotore di una rivoluzione nel campo dell’arte e della cultura. Profondamente umanista, consacrò tutta la sua esistenza alla lotta contro le tenebre dell’ignoranza e alla propagazione degli ideali più elevati. Poco dopo la sua morte che avvenne nel 1350 a.C., il potente clero di Tebe ristabilì il culto di Amon, ma la sua opera apparteneva già alla storia.

Museo di Luxor: testa di Akhenaton(Akhenaton, assieme alla sua sposa Nefertiti, fondò la prima religione monoteista della storia. Scelse il disco solare per simbolizzare il Dio unico della sua comprensione)

L’estensione dell’Ordine in Occidente

    Dall’Egitto, l’Ordine si diffuse in Grecia grazie soprattutto a Pitagora (572-492 a.C.), poi nell’antica Roma sotto l’impulso di Plotino (203-270). All’epoca di Carlo Magno (742-814) fu introdotto, per merito del filosofo Arnaldo da Tolosa, in Francia, Germania, Inghilterra e Paesi Bassi. Nei secoli successivi gli Alchimisti e i Templari contribuirono alla sua estensione in Occidente e in Oriente. Poiché la libertà di coscienza era limitata, l’Ordine dovette nascondersi sotto nomi diversi e svolgere le sue attività nel segreto. Tuttavia non le interruppe mai perpetuando ideali e insegnamenti, partecipando in maniera diretta o indiretta all’avanzamento delle arti, delle scienze e della civiltà in genere, dichiarando sempre l’uguaglianza dei sessi e una vera fraternità tra gli uomini.

Una rinascita ciclica

    In alcune opere letterarie che trattano dell’Ordine Rosa-Croce, si fa riferimento a un personaggio chiamato “Christian Rosenkreutz” (1378-1484) come al fondatore della Fraternità dei Rosa-Croce. È errato. In realtà l’Ordine esisteva già da secoli, ma funzionava per cicli di attività di 108 anni, seguiti ogni volta da un uguale periodo di sonno. Quando era giunto il momento di procedere alla sua rinascita, venivano prese delle disposizioni per annunciare l’apertura di una “tomba” nella quale si ritrovava il “corpo” di un “Gran Maestro C.R.C.” con gioielli rari e manoscritti che autorizzavano gli autori della scoperta a procedere al suo risveglio per un nuovo ciclo di attività. Questo proclama era allegorico e le iniziali “C.R.C.” non si riferivano a una persona realmente esistita. Bisogna quindi considerare il leggendario Christian Rosenkreutz e la sua storia alla luce di queste spiegazioni.

    Nel XVII secolo l’Ordine raggiunse la sua fama più considerevole in seguito alla pubblicazione di tre Manifesti stampati in Germania e attribuiti erroneamente a Valentin Andreae (1586-1654). Si tratta della “Fama Fraternitatis”, della “Confessio Fraternitatis” e delle “Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, risalenti rispettivamente al 1614, 1615 e 1616. In realtà questi tre manifesti, che uniscono racconti storici e allegorici, furono redatti da un Collegio di Rosacrociani e segnarono l’inizio di un nuovo ciclo di attività per l’Ordine che si fece conoscere allora pubblicamente con il nome di “Ordine della Rosa-Croce”.

    Nel 1693, sotto la guida del Gran Maestro Johannes Kelpius (1673-1708), Rosacrociani provenienti da vari paesi d’Europa si imbarcarono per il Nuovo Mondo a bordo della “Sarah Maria”. All’inizio del 1694 sbarcarono a Filadelfia, dove si stabilirono. Qualche anno più tardi alcuni di loro si recarono nell’ovest della Pennsylvania dove fondarono una nuova colonia. Dopo aver istituito una propria stamperia, pubblicarono parecchi capolavori della letteratura esoterica e introdussero in America gli insegnamenti Rosa-Croce. Sotto il loro impulso, numerose istituzioni americane vennero alla luce e il mondo delle arti e delle scienze conobbe negli Stati Uniti uno sviluppo senza precedenti. Personaggi eminenti come Benjamin Franklin (1706-1790) e Thomas Jefferson (1743-1826) furono in stretto contatto con l’opera rosacrociana di questo paese.

Il ciclo attuale dell’A.M.O.R.C.

    Nel 1801, secondo le regole stabilite, l’Ordine negli Stati Uniti entrò in un periodo di sonno. Restava però attivo in Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Spagna, Russia e in Oriente. Nel 1909 Harvey Spencer Lewis (1883-1939), che da anni studiava l’esoterismo interessandosi in particolare alla filosofia rosacrociana, si recò in Francia per incontrare i responsabili dell’Ordine. Dopo aver affrontato numerosi esami e diverse prove, fu iniziato a Tolosa e ufficialmente incaricato di preparare la rinascita dell’Ordine in America.

    Quando tutto fu pronto per la rinascita, negli Stati Uniti venne pubblicato un Manifesto per annunciare il nuovo ciclo di attività dell’Ordine che venne allora chiamato “Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce” (A.M.O.R.C.). Nominato Imperator, Harvey Spencer Lewis sviluppò le attività dell’Ordine in America e incominciò a mettere per iscritto l’insegnamento rosacrociano utilizzando gli archivi affidatigli dai Rosa-Croce francesi. Dopo la seconda guerra mondiale questo metodo di insegnamento fu esteso al mondo intero. Così l’A.M.O.R.C. divenne il depositario dell’autentica Tradizione Rosa-Croce in tutti i paesi dove poteva esercitare liberamente le sue attività.

    Attualmente il francese Christian Bernard, eletto all’unanimità dai membri del Consiglio Supremo alla funzione di Imperator, ha la più alta responsabilità dell’A.M.O.R.C. A questo titolo è il garante delle attività rosacrociane per tutti i paesi del mondo, assistito in questo dai Gran Maestri.

Ritratto di Sir Francis Bacon(Francesco Bacone – Sir Francis Bacon – filosofo e uomo di stato inglese del XVII secolo, fu Imperator dell’Ordine della Rosa-Croce. Autore della “Nuova Atlantide”, a lui i Rosacrociani attribuiscono le opere di Shakespeare)

L’INSEGNAMENTO DELL’A.M.O.R.C.

    L’insegnamento non è opera di una persona, ma di un gran numero di Iniziati che si sono succeduti attraverso i secoli. Risulta dal lavoro che i mistici hanno sempre svolto per penetrare i misteri dell’universo, della natura e dell’uomo, fin dalla più remota Antichità. Come abbiamo affermato precedentemente, ha la sua fonte nell’eredità sacra che l’A.M.O.R.C. ha ricevuto dalle scuole di misteri dell’antico Egitto, soprattutto durante la 18° dinastia.

    Ai nostri giorni l’esistenza di queste scuole è riconosciuta dalla maggior parte degli storici e degli egittologi.

    Alle conoscenze perpetuate dai saggi dell’antico Egitto, si sono aggiunti i concetti filosofici dei grandi pensatori dell’antica Grecia e, alcuni secoli più tardi, di quelli del neoplatonismo. Poi la gnosi segreta fu arricchita dai precetti degli alchimisti rosacrociani del Medioevo. Eminenti personaggi vissuti in epoche meno lontane hanno precisato e sviluppato alcuni aspetti dell’antico retaggio. Per citare solo alcuni nomi, personalità come Dante Alighieri, Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, Cornelio Agrippa, Paracelso, Francesco Rabelais, Giordano Bruno, Francesco Bacone, Jakob Bòhme, Cartesio, Isacco Newton, Goffredo Leibniz, Beniamino Franklin, il conte di Saint-Germain, Cagliostro, Louis-Claude de Saint-Martin, Michael Faraday, Giulio Verne, Giuseppe Mazzini, Claude Debussy, Eric Satie, sono stati membri dell’Ordine o in diretto contatto con esso.

    Dal 1909, inizio del ciclo attuale dell’A.M.O.R.C., altri Rosacrociani, eminenti autorità in vari campi del sapere, hanno dato il loro contributo all’insegnamento dell’Ordine. Tra essi troviamo quelli che hanno svolto o svolgono ancora delle funzioni in seno all’A.M.O.R.C. e membri che come fisici, chimici, biologi, medici o filosofi, lavorano costantemente per l’arricchimento culturale della Conoscenza rosacrociana. Precisiamo “culturale” perché la dimensione spirituale della Tradizione iniziatica dell’A.M.O.R.C. è ciò che è sempre stata e sempre resterà.

    Ai nostri giorni l’insegnamento rosacrociano è diviso in dodici gradi e si presenta sotto forma di monografie inviate mensilmente ai membri dell’A.M.O.R.C. Ogni invio ne comprende quattro. Per quanto possibile devono essere studiate una alla settimana. Una monografia contiene da cinque a dieci pagine circa. L’elenco dettagliato dei soggetti studiati nell’Ordine sarebbe veramente troppo lungo per essere riportato in questa sede. Quindi diamo soltanto un breve excursus dei soggetti trattati nei primi nove gradi.

Il contenuto dell’insegnamento rosacrociano

– Il primo grado è un’esposizione delle leggi fondamentali che reggono il macrocosmo e il microcosmo. Costituisce una sintesi di ciò che i mistici del passato, in particolare i filosofi dell’antica Grecia, hanno insegnato riguardo alle vibrazioni dell’Etere e la struttura atomica della materia. Tale sintesi include i dati scientifici più recenti in questo campo.

– Il secondo grado è dedicato alle leggi della coscienza. Le sue fasi oggettiva, soggettiva e subcosciente vengono studiate in modo approfondito permettendo così una comprensione chiara di quanto gli psicologi insegnano riguardo alle facoltà mentali. Le nozioni sono trattate dal punto di vista della filosofia rosacrociana e, di conseguenza, danno luogo a spiegazioni che trascendono il campo della psicologia.

– Il terzo grado tratta le leggi della vita. Viene dimostrato che queste leggi manifestate sulla Terra traggono origine da un’energia cosmica chiamata Forza Vitale. Viene anche spiegato che i regni minerale, vegetale, animale e umano, costituiscono una catena naturale che l’Intelligenza Divina utilizza per raggiungere lo scopo che si è prefissata, ossia l’evoluzione della coscienza. Dopo aver definito i criteri comuni a tutte le creature viventi si giunge allo studio della vita umana.

– Il quarto grado è interamente basato su un antichissimo manoscritto tratto dagli archivi dell’A.M.O.R.C. Riferendosi ai concetti in esso espressi, costituisce una sintesi dei tre gradi precedenti e tratta soggetti filosofici particolarmente ispiranti. In questo grado sono esposte le leggi principali dell’Ontologia rosacrociana e i principi mistici che uniscono in un tutto coerente materia, coscienza e vita.

– Il quinto grado consiste in un’esposizione unica sulla vita e l’opera dei maggiori filosofi dell’antica Grecia come Talete, Pitagora, Platone, … Il suo scopo è familiarizzare lo studente Rosacrociano con l’insegnamento dei Saggi dell’Antichità greca e i precetti filosofici e scientifici che hanno trasmesso all’umanità. Precisiamo che tutte le monografie di questo grado sono tratte dagli archivi dell’Ordine e si riferiscono a fatti sconosciuti agli storici.

– Il sesto grado è dedicato alla terapeutica rosacrociana. Presenta in modo semplice ma esauriente le principali funzioni del corpo umano, includendo in questo studio un gran numero di regole da seguire per mantenersi in buona salute. La grande originalità di questo grado consiste nello studio dei principi mistici usati da secoli dai Rosacrociani per alleviare e guarire numerose affezioni. Tali principi fanno parte del retaggio trasmessoci dagli Esseni i quali erano esperti guaritori.

– Il settimo grado si riferisce al corpo psichico dell’uomo e alle funzioni che gli sono proprie, tra le quali la proiezione psichica (viaggio astrale). Questo grado comprende anche uno studio approfondito dell’aura umana e dei centri psichici, la maggior parte dei quali corrisponde ai “chakra” delle tradizioni orientali. Segue un esame approfondito dei suoni vocali tradizionali (i mantra) e dell’influenza fisica, psichica e spirituale che esercitano sull’uomo.

– L’ottavo grado è filosofico poiché tratta essenzialmente delle origini dell’uomo e del suo destino. Vi si studiano, di conseguenza, soggetti che riguardano direttamente la sua evoluzione spirituale. Tra questi: il concetto di Dio, l’Anima Universale, l’anima umana e il suoi attributi, il pre-vita, il mistero della nascita, l’applicazione del libero arbitrio, il karma e il modo di padroneggiarlo, il mistero della morte, il dopo-vita, la reincarnazione, l’assistenza ai morenti, il potere della preghiera…

– Il nono grado è consacrato allo studio del simbolismo tradizionale e dei relativi principi mistici. Inoltre i Rosacrociani vengono iniziati a facoltà legate all’anima e che permettono all’uomo di trarre profitto dalla sua natura divina. Precisiamo che queste facoltà non hanno alcun legame con la magia, la teurgia o la taumaturgia, ma fanno appello a leggi spirituali che i Rosa-Croce hanno sempre messo al servizio del Bene. Rientrano piuttosto nell’ambito dell’attuale “parapsicologia”.

    In virtù di una regola tradizionale, non sveleremo il contenuto del decimo, undicesimo e dodicesimo grado. Precisiamo che fin dall’inizio degli studi, l’insegnamento rosacrociano, oltre ai temi citati, comporta delle esperienze consacrate all’apprendimento di tecniche mistiche fondamentali quali la concentrazione, la visualizzazione, la meditazione, l’alchimia spirituale.

    Un Tempio Rosa-Croce

    (Nelle Logge dell’A.M.O.R.C., che sono in genere di stile egizio per tramandare le origini tradizionali dell’Ordine, vengono conferite le iniziazioni rosacrociane)

    L’INIZIAZIONE ROSACROCIANA

    Ogni grado dell’insegnamento rosacrociano è preceduto da una monografia speciale consacrata a un’iniziazione che il membro è invitato a effettuare a casa propria. Oltre a questa iniziazione individuale può recarsi in una Loggia dell’A.M.O.R.C. e partecipare a una cerimonia collettiva che costituisce una preparazione simbolica al grado da studiare. Tale cerimonia, che riunisce vari candidati, si svolge in tutta la sua purezza tradizionale e si ispira a riti effettuati nelle scuole di misteri dell’Antichità. Benché facoltativa, presenta un grande interesse sul piano interiore.

    Senza entrare in considerazioni mistiche che non possiamo sviluppare nel quadro di questo scritto informativo, diremo semplicemente che lo scopo di tutte le iniziazioni rosacrociane è rivelare ai membri un nuovo aspetto della Tradizione Rosa-Croce permettendo loro di prendere maggiormente coscienza della loro anima. Precisiamo che non hanno nulla a che vedere con le pratiche occulte poiché l’A.M.O.R.C. non le ha mai insegnate né approvate. In genere consistono in rituali di grande profondità filosofica e simbolica.

    L’iniziazione rosacrociana non si limita alle cerimonie puntuali che precedono ogni grado. Si tratta in realtà di un processo che continua interiormente per tutta la durata dell’affiliazione all’Ordine. Il suo impatto spirituale è proporzionale all’impegno che ogni Rosacrociano mette nello studio e nell’applicazione dell’insegnamento che gli viene trasmesso. Nell’assoluto permette di raggiungere lo stato di Rosa-Croce, chiamato “stato cristico” nella tradizione cristiana, ma che si può anche chiamare “stato buddhico”. Il Rosacrociano che abbia raggiunto questo stato può essere considerato un vero Iniziato.

Manifesto della F.U.D.O.S.I.

    (Questo manifesto fu firmato a Bruxelles nel 1934 dai più alti responsabili della F.U.D.O.S.I., Federazione Universale degli Ordini e Società Iniziatiche. Stabiliva che l’A.M.O.R.C. è la sola Organizzazione tradizionale e iniziatica  a perpetuare l’eredità dell’autentica Tradizione Rosa-Croce)

    L’ATTUALE ORGANIZZAZIONE

    DELL’ A.M.O.R.C.

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce è attualmente presente in tutto il mondo e costituisce di conseguenza una Fraternità internazionale. Comprende parecchie giurisdizioni ciascuna delle quali riunisce tutti i paesi della stessa lingua al di là delle frontiere. Esiste così una giurisdizione per i paesi di lingua francese, giapponese, greca, inglese, italiana, nordica, olandese, spagnola, tedesca, ecc. La sede di ogni giurisdizione, tradizionalmente chiamata “Grande Loggia”, è diretta da un Gran Maestro eletto con un mandato di cinque anni.

    Nel suo insieme l’A.M.O.R.C. è diretto da un Consiglio Supremo composto dai Gran Maestri di tutte le giurisdizioni. Questo Consiglio è posto sotto l’autorità e la presidenza dell’Imperator, titolo tradizionale e simbolico che designa il più alto responsabile dell’Ordine. In quanto tale è il garante della Tradizione rosacrociana e sovrintende alle attività amministrative e mistiche di tutte le Grandi Logge. Come ogni Gran Maestro, viene eletto a questa funzione per una durata di cinque anni.

    L’A.M.O.R.C. è dunque mondiale e i suoi dirigenti, di qualunque nazionalità siano, svolgono le attività rosacrociane non come cittadini di questo o quel paese, ma come responsabili di un’Organizzazione mistica le cui attività si estendono al mondo intero. In altre parole, tutte le giurisdizioni riunite formano l’Ordine nel suo insieme e operano in una unità perfetta al servizio di uno stesso ideale, quello della Rosa-Croce. Ne risulta che non vi è obbedienza in seno all’A.M.O.R.C., poiché tutti i Rosacrociani del mondo possiedono le stesse prerogative e ricevono lo stesso insegnamento.

    In ogni giurisdizione i Rosacrociani che lo desiderano possono riunirsi negli Organismi locali che, secondo le attività svolte, hanno il nome di “Loggia”, “Capitolo” o “Pronaos”. Questi organismi operano sotto la responsabilità e l’impulso della Grande Loggia alla quale fanno capo. In generale servono da cornice a incontri fraterni e a lavori che completano lo studio individuale dell’insegnamento scritto dell’Ordine. In questo perpetuano l’aspetto orale della Tradizione Rosa-Croce. Precisiamo inoltre che nelle Logge vengono conferite le iniziazioni rosacrociane.

    Per consentire ai membri che lo desiderano di incontrarsi, l’Ordine organizza dei Convegni mondiali, nazionali o regionali. Secondo il caso, riuniscono Rosacrociani venuti dal mondo intero o residenti in un determinato paese. Comunque sia, danno luogo ad attività culturali e spirituali durante le quali vengono presentati ai partecipanti degli esposti scientifici e filosofici. Non sono naturalmente obbligatori, essendo ogni membro libero di parteciparvi o meno.

    Parallelamente all’insegnamento mistico che mette a disposizione dei membri, l’Ordine possiede una Università interna conosciuta con il nome di “Università Rosa-Croce Internazionale” (U.R.C.I.). Formata essenzialmente da Rosacrociani, effettua ricerche in campi diversi come l’astronomia, l’egittologia, la medicina, la musica, la psicologia, le scienze fisiche e le tradizioni esoteriche. In genere il risultato di queste ricerche viene comunicato solo ai membri dell’Ordine. L’ U.R.C.I. organizza comunque anche conferenze e seminari aperti al pubblico.

    LO STATUTO DELL’ A.M.O.R.C.

    Per definizione, l’A.M.O.R.C. è un’Organizzazione filosofica, iniziatica e tradizionale che perpetua nel mondo moderno l’insegnamento che gli Iniziati si sono trasmessi attraverso i secoli fin dalla più remota Antichità. Non essendo una religione, riunisce membri appartenenti a tutte le confessioni religiose e lascia a ciascuno la possibilità di seguire liberamente il credo di sua scelta. È totalmente apolitico e ciò spiega perché i Rosacrociani provengono da tutti gli ambienti socio-culturali. Naturalmente non è una setta e non è mai stato classificato tale nei rapporti ufficiali pubblicati al riguardo. È privo infatti di ogni settarismo e ha sempre fatto della libertà di coscienza il fondamento della sua filosofia.

    In tutti i paesi del mondo, l’A.M.O.R.C. è riconosciuto come un’Organizzazione senza scopo di lucro. Non ha infatti carattere commerciale. In virtù di questo principio l’insegnamento rosacrociano non viene venduto sotto forma di libro e non può essere in alcun modo acquistato. Come ogni Organizzazione fraterna e culturale, l’Ordine deve sopperire ai propri bisogni e lo fa grazie alla quota annuale versata dai membri. Nonostante le spese considerevoli per l’insegnamento individuale loro dispensato (segreteria, informatica, invii postali, stampa, ecc.), questa quota annuale è molto ragionevole. È tra le più modiche fissate per un movimento filosofico e tradizionale di questo tipo. Inoltre può essere versata semestralmente.

    IL MOTTO DELL’A.M.O.R.C.

    “La più ampia tolleranza nella più rigorosa indipendenza” è il motto dell’A.M.O.R.C. Infatti non è legato a nessuna Organizzazione, eccetto l’Ordine Martinista Tradizionale, movimento filosofico con sede presso la Grande Loggia di Milano, che perpetua l’insegnamento di Louis-Claude de Saint Martin, grande filosofo del 18° secolo. L’Ordine della Rosa-Croce, attento a preservare la propria indipendenza, si mostra tollerante verso tutti gli altri movimenti, poiché il suo ruolo non è giudicarli o criticarli, ma trasmettere il suo insegnamento a coloro che cercano la Conoscenza.

    Il motto che l’A.M.O.R.C. applica nei confronti degli altri movimenti, si ritrova nella natura stessa del suo insegnamento. In altre parole, è spoglio di ogni dogma e non comporta alcun credo settario. Così il rosacrociano, fin dall’inizio della sua affiliazione, è invitato a rimanere un punto interrogativo vivente in rapporto alla conoscenza che gli viene trasmessa. È libero di rifiutare i principi contrari alla propria comprensione personale e quelli che non incontrano la sua approvazione. Scopo del rosacrocianesimo è infatti indurre i membri a porsi delle domande piuttosto che fornire delle risposte categoriche sui vari argomenti. Questo approccio coltiva uno spirito tollerante e pone le basi di una personalità indipendente nella scelta delle proprie convinzioni filosofiche.

    In accordo con il motto, uomini e donne godono di una condizione di totale uguaglianza all’interno dell’Ordine. Come nei cicli anteriori, anche oggi non esiste nell’A.M.O.R.C. segregazione o discriminazione in materia di sesso, razza, nazionalità o religione.

    L’AMMISSIONE ALL’A.M.O.R.C.

    Le qualità richieste per essere ammessi nell’A.M.O.R.C. sono molto semplici: essere interessati al misticismo e aver raggiunto la maggior età. I minori, che abbiano compiuto almeno 15 anni, possono essere accettati con l’autorizzazione dei genitori.

La candidatura individuale

    Qualora dopo aver letto questa pubblicazione, sentiste il desiderio di diventare membri dell’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce e condividere il suo insegnamento filosofico, iniziatico e tradizionale, vi invitiamo a scrivere alla sede di Milano per ricevere una domanda di affiliazione all’A.M.O.R.C. Dopo averla compilata, sarà sufficiente rinviarla accompagnata dal diritto d’entrata e dalla quota.

I membri associati

    Se un vostro congiunto, membro della vostra famiglia o amico, domiciliato al vostro stesso indirizzo, desidera diventare Rosacrociano, avete la possibilità di affiliarvi come membri associati. In tal caso sarete entrambi considerati membri dell’Ordine a pieno titolo, ma riceverete un solo invio di monografie e generalmente una sola copia di tutto ciò che viene inviato nell’ambito dell’affiliazione all’A.M.O.R.C.

    Il vantaggio di un’affiliazione associata sta nell’ammontare della quota che è molto meno elevata di quella di due membri individuali. È frequente però che amici, membri di una stessa famiglia o congiunti, preferiscano affiliarsi individualmente per disporre con maggiore libertà dei documenti inviati e poterli studiare nelle migliori condizioni.

    Nel caso desideraste affiliarvi con un’altra persona come membri associati, compilate una domanda di affiliazione ciascuno e inviatela insieme a Milano, allegando una lettera che spieghi il vostro desiderio di essere membri associati. In essa precisate a chi dovranno essere inviate le monografie, perché nell’eventualità di una separazione, al destinatario ne spetterà la custodia. Inoltre, non dimenticate di accludere il versamento dei due diritti di entrata e la quota di membri associati.

    Se, dopo essere stata esaminata, la vostra domanda viene accettata, riceverete la tessera di membro e poco dopo il primo invio di monografie. Così comincerà per voi uno studio che, secondo la vostra motivazione e perseveranza, potrà durare tutta la vita. Nel caso la vostra candidatura fosse rifiutata, il versamento del diritto d’entrata e della quota vi sarà restituito.

Una totale libertà

    Ci sembra importante insistere sul fatto che un Rosacrociano può, in ogni momento e senza alcuna riserva, porre fine alla propria affiliazione. In tal caso gli viene semplicemente richiesto di restituire alla sede della sua giurisdizione tutte le monografie ricevute in quanto proprietà legale e morale dell’Ordine. È il solo obbligo cui si deve sottostare in caso di dimissioni. Tuttavia di rado viene presa tale decisione dopo aver studiato soltanto per qualche mese l’insegnamento rosacrociano. L’esperienza prova infatti che esso costituisce una fonte di benessere inestimabile e permette di comprendere meglio il senso del destino umano.

    Nei secoli passati, l’Ordine della Rosa-Croce era considerato, giustamente, una società segreta. Se esce dalla sua discrezione, lo fa perché il contesto mondiale lo necessita. I suoi dirigenti e membri, infatti, sono convinti che l’epoca attuale è determinante per il genere umano. Come dice André Malraux in una frase divenuta celebre, “Il ventunesimo secolo sarà spirituale o non lo sarà affatto”, nel senso che l’umanità sopravviverà solo se si libera del materialismo eccessivo nel quale si è immersa e dà una direzione spirituale al suo avvenire. Per questo l’A.M.O.R.C. compie degli sforzi per sensibilizzare il mondo al misticismo e presentare l’insegnamento tradizionale e iniziatico, che mette a disposizione di tutti coloro che sono alla ricerca di maggior Luce.

    Prima di concludere e lasciarvi meditare sul seguito che conviene dare a questa pubblicazione, insistiamo sul fatto che il misticismo rosacrociano non è una via facile e si rivolge unicamente ai ricercatori sinceri. La Rosa, infatti, non è senza spine e la Croce è talvolta difficile da portare. In altri termini, non pensate che un’affiliazione all’A.M.O.R.C. farà di voi un Maestro in pochi mesi o vi preserverà dalle prove dell’esistenza umana. Il sentiero che porta alla Conoscenza è sempre stato arduo, tortuoso e pieno di ostacoli. Tuttavia esiste e può essere intrapreso da chiunque aspiri a elevarsi verso una migliore comprensione delle leggi che reggono il proprio destino. Si tratta, innanzitutto, di una questione di motivazione interiore fondata sul desiderio sincero di vivere in armonia con se stessi e con l’ambiente.

Simbolo ufficiale dell’Ordine

    L’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce viene chiamato anche “Ordine della Rosa-Croce A.M.O.R.C.”. Denominazione usata per associare con uno stesso vocabolo il nome tradizionale dell’Ordine e la sigla con la quale è conosciuto nel mondo dal 1909, inizio del suo ciclo attuale di attività. Entrambi gli appellativi designano dunque la stessa Organizzazione.

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BUON GOVERNO E ILLUMINISMO MASSONICO SOTTO LA DINASTIA LORENESE

BUON GOVERNO E ILLUMINISMO MASSONICO SOTTO LA DINASTIA LORENESE

di

Blasco Mucci

Premessa

Anche noi toscani abbiamo appartenuto indirettamente a quella “Austria felix”, così definita dal buon governo di principi illuminati, dall’esistenza di una amministrazione onesta e parsimoniosa, di tecnici attivi e competenti, ma soprattutto da una concezione austera ed armoniosa della vita in cui ognuno, nella sua situazione e nelle sue competenze, trovava soddisfazione, rispetto e dignità.

Gli Asburgo-Lorena, successori dei Medici, diedero alla nostra regione sviluppo artigianale, industriale ed agricolo, strade ancor oggi essenziali ai nostri trasporti, bonifiche di terre trascurate da secoli, regimentazioni delle acque ancor oggi indispensabili e, purtroppo, mai più continuate, con i risultati che tutti i fiorentini ben conoscono. Più ancora, gli Asburgo-Lorena diedero, alla Toscana ed ai Toscani, diritti e libertà che precorsero quelli auspicati dalla Massoneria.

Quelli che furono poi i primi membri fiorentini della Massoneria ebbero un notevole ruolo nell’auspicare prima, e nello stabilizzare poi, il passaggio del Granducato a Francesco di Lorena, sotto il nome di Francesco Ill. Il Marchese Giulio Rucellai, Segretario della Giurisdizione, il Marchese Carlo Rinuccini, Ministro sotto Gian Gastone e poi del primo dei Lorenesi, Giovanni Lami, noto ed influente erudito, ed altri minori personaggi, avevano, infatti, appoggiato l’avvento dei Lorena

La gratitudine di questo sovrano, chiamato dai fiorentini “il fratello lorenese” protesse poi l’Ordine ed i suoi membri, contro lo strapotere ecclesiastico dell’inquisizione, fino alla sua abolizione, il 5 luglio 1782. I Lorena suoi successori mantennero lo stesso benevolo atteggiamento verso la Massoneria. Non è da dimenticare che, proprio in Toscana, a Lucca e Livorno, con il sostegno di Pietro Leopoldo, furono pubblicate le prime due edizioni dell’Enciclopedia, la monumentale opera illuminista, quando era stata già posta all’indice, nel Marzo del 1759.

La concezione politica dei primi Granduchi Lorenesi era improntata agli ideali massonici, che ponevano nella pubblica felicità lo scopo dei governi, attraverso la tolleranza ed il rispetto dei diritti altrui, e, nel loro fine ultimo, la Fratellanza universale. La libertà di culto, l’abolizione della pena di morte, il principio della reciproca collaborazione e fiducia fra governanti e governati, ciò che Pietro Leopoldo stesso definiva la “cooperazione ed il consenso dei soggetti interessati”, fecero scrivere al fratello Mirabeau che:

”L’Europa del XVIII secolo può essere veramente felice perché ha voluto mettere alle due estremità del continente due sovrani, così rari in tutti i secoli, quali Gustavo [di Svezia] e Leopoldo”.

La raffinata ideologia umanistica di Pietro Leopoldo non penetrò purtroppo nell’anima popolare, in cui godeva in ogni caso considerazione e rispetto, ma rimase appannaggio delle classi colte fiorentine, che ebbero modo di formare delle colte accademie tuttora esistenti e culturalmente vivaci.

La validità riformistica indotta dall’illuminismo in Pietro Leopoldo ebbe quindi degli altissimi estimatori, che formarono una élite, cosciente di essere all’avanguardia in Europa. maggiori spiriti toscani, nei principi della costituzione Leopoldina, videro un equilibrato ed efficiente compromesso fra la libertà nazionale e autocrazia illuminata. .

In quest’ambiente la stessa Rivoluzione francese fu vista come derivante da quegli stessi mali debellati pacificamente in Toscana, ed i suoi eccessi furono condannati, anche se compresi nel loro aspetto di dolorosa catarsi sociale.

Quest’equilibrio, politico e sociologico, ha una intrinseca natura massonica; per la sua ideologia umanistica a Massoneria è riformista o anche rivoluzionaria quando a  ciò è necessario all’evoluzione umana, ma, per le stesse motivazioni, ha in se anche elementi, bilancianti, di conservazione e di moderatismo.

Pietro Leopoldo, lasciando la Toscana per l’Impero, nonostante le gravi difficoltà e responsabilità dell’altissimo incarico, e le persistenti dicerie sul complotto massonico contro i troni e gli altari, sfociato nella Rivoluzione, mantenne una profonda coerenza di riformista, proteggendo coloro che, indicati come illuminati dalla propaganda antimassonica, conservarono, sotto il suo regno, proprietà, libertà e titoli. È inoltre nota la protezione e a benevolenza verso la Massoneria di un altro grande Asburgo-Lorena, l’imperatore Giuseppe: in un suo noto editto, l’esistenza della Massoneria nelle nazioni sottoposte all’impero era accettata e regolamentata.

La reazione dei principati europei, e soprattutto quella clericale, vide negli eccessi rivoluzionari la conseguenza dell’illuminismo e del riformismo della Massoneria, che avrebbe invece voluto un equo e pacifico trapasso di una parte dei poteri sovrani ai rappresentanti del popolo.

La leggenda del complotto massonico non ebbe tuttavia troppi estimatori in Europa, tranne che in Italia dove l’esistenza del potere temporale del Papato stravolse ogni possibilità… di contatto e rapporto fra Massoni e grandi masse popolari. Quando un principe come il popolare “Canapone”, ultimo Granduca lorenese di Toscana, prese la strada dell’Austria in carrozza, come un privato cittadino, la Massoneria toscana, nell’entusiasmo dell’unità italiana, non si rese conto di aver perso forse l’ultimo difensore ed assertore nei fatti dell’essenza ideologica più profonda e vera della Massoneria.

Ma dei Lorena, in Toscana, non rimane soltanto il globo chiodato ai crocicchi delle vie, ma un’impostazione di vita e di pensiero che per quanto patrimonio d’élite trova risposta anche nell’istinto del popolo, che, alla fine, ritrova sempre il fiuto per l’odore che distingue i buoni dai cattivi padron

Note

Francesco d’ Asburgo, Duca di Lorena era stato iniziato all’Aia in Olanda, nel 1731.

Il Granduca inviò a Benedetto XIV una lettera in cui difendeva la libertà di stampa vigente in Toscana, in cui si affermava, a proposito del comportamento dell’inquisizione nel caso Crudeli,: ” Prima che io mi partissi di Toscana mi fu domandato l’arresto di due dei miei sudditi per supposti delitti di fede, mai non può immaginarsi un caso più Circostanziato di quello, per poter negarlo. E noto a V. S. l’esito di quel processo, com’è noto a me, ch’ho avuti in mano i documenti autentici, ond’ella avrà una giusta idea dell’impressione che mi deve aver prodotto, e s’io abbia luogo senza offendere il dovere ed il lume della mia ragione medesima di restare ancora in dubbio o nell’indifferenza su questo punto” Traduzione di un biglietto di propria mano della Maestà Imperiale e Reale l’ Imperatore, concernente l’Ordine dei Liberi Muratori.

“La Libera ‘Muratoria si è talmente diffusa nei miei Stati, che non vi è alcuna piccola città di provincia ove non vi sia una Loggia e vi è la più grande necessità di stabilire un certo ordine. Io non conosco i loro misteri, e non ho mai avuto la curiosità di penetrarli; mi è sufficiente di sapere che i Liberi Muratori fanno sempre qualche bene, che sostengono i poveri. coltivano e proteggono le lettere, per fare per essa qualcosa in più che in ogni altro paese.

Ma siccome la ragion di stato ed il buon ordine domandano di non lasciare alcuno a se stesso e senza alcuna particolare ispezione, penso di prenderli sotto la mia protezione e di accordargli la mia grazia speciale se si comportano bene, alle seguenti condizioni:

I – Non vi sarà nella Capitale che una o due Logge, o se fosse impossibile riceverci tutti i Fratelli, tre tuttalpiù. Nelle città ove vi sia un’autorità, si permetterà una, due o tre logge. Tutte le Logge nelle città di provincia dove non vi sia autorità, sono rigorosamente vietate, e l’ ospite che accetta assemblee nella sua casa, sarà punito come un criminale che permette dei giochi proibiti.

2 – Le liste di tutte le Logge e dei loro membri saranno inviate al Governo, i giorni dell’assemblea sempre comunicati; ogni tre mesi si invierà un esatto dettaglio dei membri che sono stati ricevuti nella Loggia, o che l’hanno lasciata, ma senza annunziare i titoli. dignità e gradi che vi sono nelle Logge. Soddisfatto tutto ciò il Governo accorda ai Liberi Muratori accettazione, protezione e libertà; lascia interamente alla loro direzione le questioni interne delle Logge e delle loro costituzioni, senza far mai delle curiose inquisizioni. In questa maniera, l’Ordine dei Liberi Muratori, che è composto da un gran numero di gente onesta da me conosciuta, può divenire utile allo Stato: si comunichi questa ordinanza al Governo delle Provincie”. P. S. L’esecuzione di questa ordinanza cominci dal primo di Gennaio.

Quando. nella metà del XVIII secolo, si venne compiendo una vasta opera riformatrice, questa si ispirò alla necessità di eliminare il dislivello tra città

dominante e provincia soggetta. Infatti tutti i ministri e gli uomini di Stato che promossero queste riforme si sforzarono di dimostrare l’enorme sacrificio

che la provincia aveva sopportato nei confronti della metropoli. L’ industria della capitale. che aveva monopolizzato il mercato e subordinato ai propri interessi  l’economia generale dello Stato toscano, apparve allora come la principale causa di questa sperequazione. L’origine era nel Comune, manifatturiero e commerciale, che aveva combattuto per la conquista dei mercati e per l’egemonia economica, e che nella legislazione protettiva e proibitiva, aveva trovato l’arma più valida per mantenere il contado prima e, dopo le conquiste, il distretto in una condizione di dipendenza.

La dinastia dei Medici aveva sì guardato al di là delle mura cittadine e constatato la necessità di favorire l’evoluzione in certe città del dominio come Pisa e Livorno. ma sempre in correlazione con i privilegi mercantilistici della metropoli che non furono mai intaccati ma anzi rafforzati. In questa contraddizione consiste il difetto maggiore della politica medicea, che da un lato è l’espressione di una unità più coerente dello Stato, e dall’altro è un processo di accomodamento e di compromesso tra i nuovi bisogni di uno Stato accentrato ed i sistemi e gli istituti del vecchio regime.

I ministri della reggenza di Francesco Stefano di Lorena, quando questa dinastia ebbe il governo della Toscana. notarono gli anacronismi, le incongruenze e la eterogeneità del sistema. In Toscana non si era ancora sviluppato nella sua pienezza lo Stato moderno che ha per fine l’assoluto assoggettamento di tutti i sudditi alla sovranità del principe, ponendo fine all’esclusivo dominio di una classe o di un gruppo. Se in uno Stato, col persistere dell’economia cittadina mercantilistica resta in piedi la struttura sociale che da questa è nata, tutte le istituzioni privilegiate conservano la prevalenza perché sono artificiosamente mantenute le condizioni necessarie al loro sussistere. Non essendo perciò in Toscana cambiato indirizzo nella politica economica. la progressiva decadenza del sistema ha reso questo più rigoroso ed ha fatto incrudelire la legislazione.

Al Consiglio di Reggenza di Francesco di Lorena, le condizioni della Toscana apparvero ovviamente artificiali e dovute ad un sistema coercitivo mantenuto saldo da ceti interessati a non rinunciare agli utili che questo sistema loro assicurava. Si presenta la necessità di risolvere il problema del dualismo città-campagna e molte opere furono scritte per combattere I ‘ esclusiva egemonia della metropoli nella sua forma più esosa: la politica annonaria. Questa politica sacrificava agli interessi delle classi cittadine quelle dei contadini e salvaguardava i privilegi di cui godevano le arti e le industrie a danno degli altri ceti produttivi. Il concetto di questa politica è che la capitale è tutto, e lo Stato deve servire ad essa.

Quando si parla di “popolo” e quando si dice  che i prezzi bassi imposti dall’ Annona sono a favore di esso. in realtà non si pensa che ai consumatori cittadini e all’oligarchia sorta dalle manifatture e dai commerci della classe dominante. L’esclusivismo feudale ereditato dal Comune aveva generato il privilegio cittadino e questo privilegio non muore di consunzione ma occorre un coraggioso movimento riformatore per debellarlo completamente. Bisogna arrivare alle riforme leopoldine per assistere ai primi albori di una politica liberale perché il fine di queste riforme mirava ad abbattere il dualismo tra città e provincia. a eguagliare i sudditi nei loro diritti essenziali ed a potenziare l’ agricoltura per ottenere il maggior aumento possibile di prodotti alimentari.

Il successore di Ferdinando. Cosimo II. fu studioso di agricoltura. di botanica e di idraulica ed iniziò una vasta opera di bonifica delle paludi, accordando privilegi ed esenzioni a coloro che si fossero trasferiti nelle zone bonificate. Sotto Ferdinando II. successore di Cosimo II. le cose tornarono al peggio, sia per gli aggravati oneri fiscali e sia per la fissazione dei prezzi di imperio dei cyrani che indussero i contadini ad abbandonare i campi e ad annullare così i benefici delle bonifiche di Ferdinando I.

Verso la fine del Seicento. con Cosimo III, si tentò di mitigare la crisi dell’agricoltura con il diminuire le imposte e ripartire la spesa delle bonifiche tra i vari interessati non tenendo conto alcuno delle resistenze ecclesiastiche. Alcuni risultati positivi furono ottenuti da imprenditori privati, che favoriti da alcuni provvedimenti del principe, si interessarono a considerevoli opere di bonifica delle paludi della Maremma e della Valdichiana. Ma ben altro si rendeva necessario!

Al principio del Settecento. il Granducato di Toscana appariva consunto e disgregato. Nel 1737. con la morte di Gian Gastone. si estingueva la dinastia dei Medici e Francesco Stefano di Lorena assumeva il governo della Toscana. E sotto il nuovo principe che si creano le basi per la nascita di uno Stato moderno ed efficiente. anche se le vecchie istituzioni rimangono ancora in vigore. In Toscana, il principale problema dell’agricoltura era quello della proprietà della terra e della diversità delle leggi tra metropoli e provincia.

Il principe si volge pertanto a tutelare gli interessi dello Stato sottoponendo ad una legge comune quelle classi che avevano consolidato i loro privilegi ed i loro monopoli. Le conseguenze che i riformatori si prefiggono sono: a) sostituire un’economia territoriale all’esistente economia cittadina;

b) sostituire un’economia libera ad una economia di monopoli.

E ovvio quindi che i giuristi e gli uomini di cultura seguaci delle teorie illuministiche elaborino programmi

destinati in futuro a risolvere le aspirazioni dei lavoratori della terra a disporre liberamente sia della conduzione dei terreni sia dei prodotti ottenuti con Io sfruttamento degli stessi.

La tesi fisiocratica del libero commercio dei grani aveva fatto sentire la necessità di abolire le antiquate manomorte ecclesiastiche e di risolvere una volta per sempre i vecchi dissidi tra l’aristocrazia terriera ed il nuovo ceto medio agrario. E poiché al diritto di chiusura e difesa dei fondi coltivati si oppongono i celi più retrivi della società, i grandi proprietari di greggi ed anche le popolazioni più povere delle campagne, il movimento riformatore deve tenere conto di questi contrastanti interessi ed arrivare ad un compromesso che varia da regione a regione, da comunità a comunità, da popolazione a popolazione.

E aumento dei prezzi dei cereali e l’aumento dei profitti favoriscono i provvedimenti presi dai riformatori tendenti a limitare gli usi comunitari del pascolo. a facilitare la chiusura dei fondi, a togliere gli impedimenti alla libertà di coltura c di rotazione ed a riscattare terreni mediante opera di bonifica.

Francesco Stefano di Lorena non governò direttamente la Toscana ma attraverso un Consiglio di Reggenza presieduto dal ministro Emanuele di Richecourt. Francesco non fu ovviamente il restauratore della Toscana, Ina egli ha il grande merito di aver avuto fiducia in collaboratori intelligenti c favorevoli alle più ardite riforme.

La dinastia medicea aveva conservato quasi tutte le forme esteriori della repubblica. Da Cosimo I a Gian Gastone, l’ultimo granduca mediceo, i fiorentini erano stati amministrati da uffici con i nomi repubblicani. Ma non erano ormai più i tempi degli ordinamenti comunali. Se i

 nomi ed i sistemi erano gli stessi diversi erano i desideri. le necessità e le aspirazioni della popolazione del Granducato. Inoltre lo Stato non era formato da una unica struttura omogenea ma da tre parti distinte: Firenze, Pisa e Siena. Di queste. Firenze godeva di una posizione di da privilegio poiché i fiorentini esercitavano una vera e propria tirannia amministrativa nei confronti della provincia a di causa del loro diritto di esercitare gli atti amministrativi per mezzo di uffici  “estrinseci” solo ad essi riservati. es- Il Richecourt era stato profondamente colpito dall’ ingiustizia della diversità di trattamento applicato alle singole parti dello Stato. Il problema più importante era però quel del lo finanziario. Il debito pubblico era enorme e colpiva il consumo dei beni di prima necessità come il pane e il sale con imposte e gabelle che erano applicate con severità perché molto facile ne era la riscossione. Sulla popolazione delle campagne gravavano inoltre delle gabelle di superiori alla popolazione delle città ed era imposta anche l’iniqua tassa sul bestiame da lavoro. Il Richecout si o- adoperò ad alleviare il debito pubblico e ci riuscì operando la conversione della rendita. Fu perciò possibile ridurre il prezzo del sale ed abolire la tassa sul bestiame.

-Sotto Francesco fu iniziata la riforma giudiziaria, continuata e compiuta da Pietro Leopoldo, nello spirito della assoluta  tra le varie parti del Granducato per differenza di legislazione dello Stato ai territori sottoposti alla giurisdizione civile e penale  dei feudatari. liberò le comunità da ogni ingerenza amministrativa degli stessi feudatari. proclamò inviolabile la libertà dei vassalli e adettò ad essi, in caso di abusi. il diritto di ricorso diretto al granduca. Non era ancora abolita la feudalità ma ne era limitato il potere e proibito senz’altro ogni abuso. Francesco attuò anche una nuova politica nei confronti della Chiesa, che incontrò opposizione e contrasti nella parte più retrograda della società ma che, nonostante ciò, continuò per I a energia di governo del Richecourt e di Giulio Rucellai.

Una legge importante fu quella del 1751 che mirava ad arrestare lo sviluppo della “manomorta” ecclesiastica. lega che favorì la libera disponibilità della proprietà terriera e fu il primo passo delle ardite riforme di Pietro Leopoldo. La preparazione della legge fu scrupolosamente accompagnata da preziose tabelle statistiche, risultato di indagini difficilissime per quei tempi. Francesco aveva già dal 1745 riunito la corona di granduca a quella dell’Impero. Stabilì però che alla sua morte la corona granducale, nuovamente staccata da quella imperiale, sarebbe passata al di lui figlio secondogenito, Pietro Leopoldo. Alla di lui morte, avvenuta nel 1765, la Toscana con il nuovo granduca riacquistava la propria autonomia.

Pietro Leopoldo aveva 18 anni quando, nel 1765, divenne granduca di Toscana. Nessun altro principe lo supera per la sua intelligente, ardita e umana opera riformatrice. Iniziò la sua opera con la riforma oraria e trovò nel popolo toscano la comprensione e seguito. Ebbe consiglieri e cooperatori illuminati. Forse per tutte queste convergenze la riforma fu efficace.

Contemporaneamente venivano ripresi con maggior v1gore la bonifica ed il ripopolamento dei territori paludosi e malsani. Questi lavori erano stati iniziati da Ferdinando I ma erano stati interrotti all’inizio del XVII secolo. Pietro Leopoldo staccò la Maremma dal territorio amministrativo senese e ne costituì una amministrazione speciale. ponendovi a capo tecnici idraulici e agrari. Furono costruiti canali. arginati fiumi, fatto colmate, costruite case coloniche e grandi strade di comunicazione. La Toscana ebbe allora una rete stradale che allacciava centri minori ai maggiori e le terre bonificate con i centri di consumo e di mercato.

Più degli interessi di una città, di quella che era stata la città dominante. la rete stradale serviva ai nuovi centri di popolazione rurale che la bonifica creava. Vi è un impulso che agisce su Pietro Leopoldo: la fede nell’avvenire agricolo del Granducato secondo le nuove c interessanti teorie fisiocratiche del tempo. La legislazione leopoldina è animata da tale fede. Già avevamo osservato che uno dei principali problemi dell’  

agricoltura toscana era quello della proprietà. Furono aboliti tutti i vincoli che inceppavano la libertà di produzione, furono sciolti i fidecommissi che la Reggenza non aveva interamente soppresso, furono abolite le “comandate”, le prestazioni servili da parte delle comunità. furono aboliti i prezzi d’ imperio e confermata la piena libertà del commercio dei grani.

Il problema economico agrario era stato da Pietro Leopoldo collegato a quello sociale per revelazione e l’emancipazione del lavoratore. Prese pertanto concreta forma il sistema livellare leopoldino dopo che il latifondo si era frazionato mercé appunto l’istituzione del contratto di enfiteusi. Al frazionamento del latifondo contributi ovviamente la legge creata per l’abolizione della manomorta. del feudo e dei fideocommissi. Il lavoratore si trovava così per la prima volta nella facoltà di poter disporre della terra da ILIi coltivata essendogli conferito il diritto dell’ alienabilità e dell’affrancazione dei terreni. La Toscana trasse dalla riforma agraria elementi favorevoli ad un rapido sviluppo dell’agricoltura.

La riforma amministrativa. creando un nuovo sistema municipale basato sulle rappresentanze civiche, spostò decisamente l’ assetto economico-sociale dalla città alla campagna, formando una borghesia rurale capace di conoscere e regolare da sé gli interessi propri e delle comunità. Assistiamo pertanto alla frenetica attività dei municipi che. controllati dal potere centrale soltanto negli affari che riguardavano controversie con altre comunità, amministrano con oculatezza il Comune, regolano bene le spese per curare strade e canali. distribuiscono con giustizia tasse e imposte, nella convinzione che tutelare gli interessi delle comunità significa anche porre le basi per l’emancipazione ed il benessere dei singoli individui.

La riforma agraria di Pietro Leopoldo favorì specialmente il sistema   degli affitti. Ordinando la legislatura dello Stato in modo di favorire l’agricoltura, il granduca conseguì lo scopo di formare nel suo Stato una riunione di famiglie patriarcali che popolavano le campagne a preferenza della città, e di riportare la provincia a quel livello morale e culturale che la decadenza dell’agricoltura. provocata dalla inerte oligarchia cittadina. aveva paurosamente abbassato.

I problemi dell’agricoltura toscana all’inizio della riforma leopoldina erano numerosi e complessi ed affondavano le origini nella notte dei tempi. Dopo le bonifiche erano aumentati sì i terreni coltivabili ma non erano aumentate le case coloniche. Erano aumentate le superfici dei singoli poderi ma non si erano divise le famiglie, con la conseguenza di moltiplicare sotto lo stesso tetto il numero degli individui. Questo particolare comportava la mancanza di subordinazione al capo famiglia e creava nei componenti, specialmente i giovani, la volontà di procurarsi redditi fuori del podere. Il bestiame normalmente non stava nella stalla ma alla pastura ed era affidato alle cure di giovinetti spesso non volenterosi ed incapaci. Dove però il bestiame, come nella Valdinievole. era nutrito nelle stalle dalla mano dell’uomo. il prodotto era doppio ed anche triplo.a bonifica della Valdichiana

Nel 1763 Pietro Leopoldo I di Lorena assume la guida del Granducato di Toscana. Visitò personalmente la Valdichiana ed in seguito inviò sul posto a compiere studi e rilievi il matematico padre Leonardo Ximenes, l’altro grande matematico Tommaso Perelli e gli ingegneri Pietro Ferrini e Giuseppe Salvetti. Il Salvetti eseguì il profilo della Valle nel 1769, ove risulta che la platea del Callone di Valiano che pareggia il fondo del canale maestro è più elevata di 15 braccia della cresta della Chiusa dei Monaci, dimostrando così di quanto si fossero sollevati il fondo della Valle e quello del canale maestro dopo il 1551, data della perizia di Antonio Ricasoli.

Tutti questi tecnici suggerirono il loro metodo sui lavori di bonifica da eseguire nella Valle e specialmente sulla convenienza o meno di conservare la Chiusa dei Monaci o demolirla. Alcuni tecnici suggerirono di abbandonare il metodo delle colmate, alcuni addirittura di dare libero sfogo alle acque mediante la costruzione di un nuovo grande alveo. Lo Ximenes sosteneva doversi abbassare la Chiusa dei Monaci, fabbricare diversi sostegni lungo il canale per uso di navigazione e costruire a quattro archi i ponti di Arezzo che allora avevano due arcate.

Di fronte a così diverse opinioni Pietro Leopoldo, in attesa di addivenire ad una decisione, invitò i proprietari dei terreni palustri a bonificarli nell’interesse loro e delle comunità, e molti aderirono all’invito venendo talvolta a patti di temporanea cessione. Infine Pietro Leopoldo affidò la So vrintendenza della bonifica ad una deputazione di sei notabili eletti in Valdichiana, in attesa di conoscere l’esito della progettazione degli esperti. La deputazione non dette però buona prova e Pietro Leopoldo la sciolse nel 1788, istituendone una nuova – composta di tre membri, due di nomina sovrana ed uno eletto dai possessori contribuenti. Infine completò il suo intervento affidando la direzione della bonifica a Vittorio Fossombroni, autore delle “Memorie idraulico-storiche sulla Valdichiana” che tenne la Sovrintendenza dal 1788 al 1827, cioè anche nell’interposto periodo francese. Nel 1794 il Fossombroni fu nominato anche Sovrintendente generale del dipartimento delle acque della Valdichiana dal quale dipendevano oltre ai lavori di bonifica anche la regolazione delle colmate.

Quando il Fossombroni assunse la direzione della bonifica, la maggior parte della Valle era già ridotta a pastura ed a sementa, tranne una piccola parte nel piano di Chiusi ed i due laghi. Non erano però totalmente fruttiferi i terreni adiacenti ai bassi tronchi dei fiumi. Il Fossombroni dichiarò che al presente la Valle non era più bisognosa di bonifica ma necessitava di lavori che la mantenessero in condizione di fruttare. Osservò il Fossombroni che la torre di Valiano, demolita, aveva subito un interramento di oltre 10 braccia ed altri interramenti erano avvenuti in prossimità di Foiano.

Il Salarco entrava nel chiaro di Montepulciano. Il Monaco entrava nel Chiarino, ca datra l’uno e l’altro lago, la Tresa voltava verso il Callone del Campo alla Volta e l’Astrone andava più oltre e passando l’argine di Clemente e la Torre dei Ladri andava nella Chiana .

Il Fossombroni constatando che le colmate avevano servito sino allora a bonificare soltanto appezzamenti di terreno, intese a modificare il piano di ogni bonifica di tutta la Valle, ritenendo che prima di dare libero corso alle acque torbide occorreva dare a tutta la Valle ed alla campagna laterale una pendenza regolare, appunto perché le acque non chiarificate potessero in futuro convogliarsi verso l’Arno, liberamente. Allora la Chiana non sarebbe più stata un canale ma un fiume.

    Nel 1789 i rii dell’Olmo, di S. Anastasio e di Pieve al Quarto facevano “colmata
     presso la Chiana. I rii di Vitiano e di Cozzano venivano a fare una piccola
    colmata presso la piana di Brolio, quasi di fronte a Cesa. Il Vingone, il Biguzzo
  ed il Celone di Castiglione insieme al Cigliolo, al Loreto e all’Esse di Cortona
    mandavano le loro acque a colmare lungo la Chiana, tra la collina di Brolio e quella delle Capannacce ed il Montecchio. La Mucchia di Cortona scaricavasi a
    colmare lungo la Chiana quasi di fronte a Foiano, dove dalla parte opposta
    mandava le sue acque per formare colmata l’Esse di Monte S. Savino. La Foenna
    e la Fuga colmavano lungo la Chiana di faccia quasi ad Acquaviva e ad Abbadia.

Il Torricelli aveva affermato che era impossibile bonificare la Valle sen-

za prima togliere una grossa fetta di terreno verso Arezzo, il che impediva loro la soluzione essendo impossibile convogliare la Chiana in Arno per l’abbassamento di tutto il fondo valle. Fossombroni enunciò la teoria che si poteva fare il contrario: elevare il livello della Valle superiore verso Chiusi mediante

colmata. ln questo modo si rese perciò disponibile a ricevere un influente di più man mano che questi aveva “colmato”. Fossombroni riteneva che entro un secolo si poteva cessare di regolare artificialmente il corso delle acque, lasciando la natura ormai libera di continuare nel ciclo ormai a di +definitivamente stabilito. Proseguendo la bonifica sembrò fosse possibile abbassare la Chiusa dei Monaci ma si preferì invece praticare nella parte destra uno scaricatore fornito di cateratte, la cui soglia inferiore era più bassa della cresta della pescaia, per poterne usufruire all’occorrenza.

Nel 1780 tra il Papa Pio VI e Pietro Leopoldo fu stabilito un trattato per regolamentazione idraulica della Valle e delle acque di confine. Fu stabilita la nuova inalveazione della Tresa, la modifica del recapito del Maranzano nella Tresa stessa per dare sfogo all’uno e all’altra nella palude delle Bozze e nel chiaro di Chiusi, salvo valersene ancora per alcuni anni per “colmare” i luoghi più bassi appartenenti allo Stato Pontificio. E affinché le acque il torbide della Tresa e del Maranzano non turbassero il sistema di quelle quantità di acque chiare orche doveva portarsi liberamente in un più profondo canale al Callone ed alla Chiana romana, si ricostruì un argine di separazione alto 6 braccia e largo 4, attestato dalle colline di Chiusi sino al lato opposto alle colline

di Città della Pieve. Il nuovo argine delimitò il confine tra la Chiana toscana e la Chiana romana in modo definitivo, sebbene fossero sorte quasi subito controversie tra i confinanti e messa anche subito in dubbio la convenienza di conservarlo.

Nel 1790 si pensò anche di abbassare il regolatore di Valiano per concedere uno scarico più abbondante nella Chiana alle copiose acque del chiaro di Chiusi, del chiaro di Montepulciano e delle campagne superiori. A ciò si oppose il Fossombroni per il timore che una maggiore copia di acque nell’alveo della Chiana potesse arrecare pregiudizi alle ubertose e popolate campagne inferiori.

In un atlante composto di oltre 100 tavole attualmente nell’archivio comunale di Foiano, sono rappresentati tutti i terreni strappati alle acque con i terreni di proprietà del granduca colorati in giallo, quello dei privati in bianco e quelli appartenenti alla Religione di Santo Stefano colorati in rosso. Da questo atlante si rileva che salvo limitate proprietà private, il granduca possedeva personalmente le fattorie di Dolciano, di Rigutino, di Policiano e del Bastardo, mentre tutto il rimanente apparteneva ai Cavalieri di S. Stefano.

L’Ordine acquisì anche altri terreni man mano che la bonifica proseguiva e nel 1797 acquistò dai monaci Benedettini di Arezzo il molino di Ponte a Chiani con la famosa Chiusa. Essa serviva all’Ordine a disporre del controllo delle acque della Valle. L’Ordine possedeva anche grandi magazzini per i raccolti, uno al ponte alla Nave, uno a Montevarchi ed uno a Firenze. Aveva inoltre fabbricati e rimesse a Cortona, ad Arezzo e a Monte San Savino. Una perfetta contabilità veniva tenuta in merito alla quantità dei raccolti, delle spese annue, delle medie dei redditi sia dei terreni coltivati sia di quelli tenuti a prateria, in “colmazione” o a bosco.

Non era prevedibile in quel momento di grande prosperità e potenza dell’Ordine di S. Stefano, che entro pochi anni la rivoluzione del 1799 avrebbe travolto proprio direttamente i Cavalieri della Religione di Santo Stefano.

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