Anno 2000: l’alba di un giorno nuovo…?
Nei giorni scorsi, stranamente, mi è venuto in mente un film di Steve Spielberg, che ritengo un autentico capolavoro di fantascienza, di oltre vent’anni addietro: “Incontri ravvicinati del terzo tipo. Ve lo ricordate?
La storia, che ha inizio con un blackout su un’intera contea americana, è incentrata sul protagonista ossessionato dall’immagine di un monte sconosciuto, che disegna e scolpisce con ogni tipo di materiale. Il monte Devil’s Tower (Torre del Diavolo), diventa nel film l’allegorica rappresenta zione del desiderio di un’ascesa che trascende i confini materiali, per innalzarsi, direi quasi, a simbolo iniziatico. Su questo monte-simbolo scende ranno gli alieni che, alla partenza, si accompagneranno ad un gruppo d volontari terrestri predestinati a visitare uno sconosciuto mondo lontano ai confini dello spazio.
Poetico, anzi, commovente l’ultima comunicazione tra il co-protagonista, François Truffault, ed un alieno, allorché, mimando con le dita delk mano le note musicali che erano servite a stabilire il contatto, si salutano per l’ultima volta sorridendosi, immersi nel bagliore di una luce accecante.
Straordinario, poi, il coinvolgimento collettivo generato dalla scena finale. E’ un gesto d’amore e di rispetto a decretare l’inizio di una nuova era di pace: quella che consentirà l’ingresso delle popolazioni terrestri nella grande famiglia delle civiltà cosmiche.
Certo, è una visione ottimistica di un futuro che certo nulla ha in comune con la nostra civiltà, giunta a un punto definitivamente morto. Dilaniata da innumerevoli lotte intestine, la nostra umanità sembra piuttosto inaridita, quasi incapace di scrollarsi di dosso le effimere e tronfie conquiste di un progresso che coincide, ahimè, con monopoli di potere, sopraffazioni, e l’assoluta indifferenza a risolvere le endemiche afflizioni delle popolazioni del terzo mondo: fame, malattie, genocidi…
Siamo nell’anno 2000! Malgrado la diatriba che vede i sostenitori del III millennio coincidente col 2000 opposti a coloro che attendono invece il 2001, l’umanità vive l’alba di una nuova era: immersa nel coinvolgente stato emozionale che segna ogni importante cambiamento esistenziale, e generazionale.
I sereni colori dell’alba, però, esaltando le buone intenzioni, predispongono gli uomini di buona volontà al sorriso e alla speranza.
Il rinnovo della Gran Maestranza del G.O.I., la più importante istituzione massonica italiana, non poteva non coincidere con un appuntamento così importante. Tutti gli appartenenti all’istituzione massonica vivono, pertanto, l’alba di un nuovo giorno che segnerà, senza ombra di dubbio, l’avvio di un nuovo corso decisamente più in linea con le esigenze di una società proteifòrme, freneticamente protesa verso la conquista di traguardi di benessere, spesso riservati a pochi.
Il Gran Maestro, Gustavo Raffi, ci sembra non intenda minimamente sottrarsi agli impegni che lo attendono. Anzi, forte della travolgente carica emiliana, tenendo fede al programma tracciato, ha senza esitazione avviato, stimolando il dialogo, un coraggioso e responsabile processo di rigenerazione, nonché un confronto aperto e serio con altre visioni e concezioni dell’Uomo, della Società e del Mondo.
Il forte invito del Gran Maestro, in altri termini, prende spunto dalla esortazione a “ricercare se stessi negli altri”, promuovendo un libero confronto per il rafforzamento della concezione laica del mondo, scevra da ‘ingerenze confessionali e dallo strapotere statale. Col superamento dei pregiudizi e dei dogmatismi ideologici, potranno tutti, nessuno escluso, contribuire fattivamente alla concretizzazione di un nuovo umanesimo che abbia come obiettivi prioritari la solidarietà verso i meno abbienti, la scuola non confessionale, l’abolizione della pena di morte e la umanizzazione delle leggi di mercato in difesa dei più deboli.
Molti riterranno tutto ciò utopistico e, di conseguenza, inattuabile come ogni cosa che appartiene al mondo dei sogni. Sarebbe opportuno, a mio modesto avviso, chiamare in causa Platone, rivisitando il “mito della caverna”.
La “realtà” – egli affermava “sei secoli” prima del Cristo – non è che l’interpretazione di un qualcosa che spesso appartiene al mondo delle illusioni. Esiste, però, “un ‘altra realtà”, quella vera, all’esterno della caverna, che può essere conquistata solo uscendo dalla caverna. In altri termini, soltanto abbandonando quella specie di “hortus conclusus” entro cui si è rintanato da troppo tempo, l’uomo potrà immettersi nella “vera realtà” che è al di fuori, decisamente diversa dallo stato immaginativo fatto di ombre che rappresentava, fino a quel momento, l’unica realtà conosciuta. La vera e unica realtà, come diceva Platone, è la nostra realtà, quella che percepiamo dall’ambiente circostante: quel che conta è l’immagine che ciascuno ha di se stesso, perché è la unica realmente esistente.
Forti di un passato di valori tradizionali indimenticabili, l’invito ad uscire dalla caverna del Gran Maestro non può che essere salutato con vero entusiasmo e speranza.
Mi è particolarmente gradito porgere al Gran Maestro, Gustavo Raffi, e alla Giunta del G.O.I., gli auguri più sinceri di buon lavoro.
Silvio Nascimben
Messaggio augurale del Gran Maestro
A tutti i Fratelli per il Solstizio d’Inverno 1999
“…diamo il nostro contributo per definire le linee di tendenza di una società che abbia l’Uomo come riferimento, l’Uomo misura di tutte le cose, perché si arrivi a quel grande Villaggio Globale dove si eliminano frontiere, dove si eliminano bandiere e dove {‘Umanità trova se stessa in una visione esaltante e utopistica di Amore. E’ questo l’augurio per il Nuovo Millennio”.
Gustavo Raffi
NEL 1908 NON V1 FU SCISSIONE
NELLA MASSONERIA ITALIANA…
IL R.S.A.A. FU NELLA SCA ENORME MAGGIORANZA CONTRO IL COLPO Di MANO
DEI. REVERENDO FERA F. Dl ALCUNI PARLAMENTARI ASSERVITI AL CLERICALISMO
Aldo Chiarle
1908: un gruppo di deputati massoni, fra i quali gli onorevoli Bissolati e Costa, presentano una mozione da discutere in Parlamento sul tema: “La Camera invita il Governo ad assicurare il carattere laico della scuola elementare, vietando che in essa venga impartito, sotto qualsiasi forma, l’insegnamento religioso’ .
Il 18 febbraio 1908 si sente in Parlamento, alta e solenne, la voce del Fratello Bissolati. Il suo intervento meriterebbe di essere conosciuto integralmente perché molto attuale in questi giorni in cui si sta verificando
una manovra clericale per il finanziamento dello Stato alle scuole private, che come ben sappiamo, sono nella quasi totalità, scuole gestite dai preti. Riporterò solo le parti essenziali del suo dire.
“Mi è stato fatto l’appunto – dice il Fratello Bissolati – di aver adoperato una parola dura, poiché la mozione dice …vietandoche nelle scuole elementari venga impartito sotto qualsiasi forma l’insegnamento religioso. E’ una parola dura sì, Ina è dura come la logica. Diciamo subito che il problema è questo: lo Stato (non uno Stato qualsiasi) ma lo Stato Democratico può favorire, in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, l’insegnamento di una qualsiasi confessione? Vediamo il problema da vicino, posto che lo Stato ha dovuto e deve sempre svolgere la sua funzione.
Ora se voi considerate la funzione dello Stato nella materia educativa, voi troverete che esso non può sottrarsi a questo compito di preservare nelle giovani generazioni il diritto di affermarsi come esse credono nel campo intellettivo e nel campo morale.
Lo scopo dello Stato moderno deve erigersi a questo; le nuove generazioni hanno il diritto che le loro menti quando diverranno adulte siano nella migliore disposizione per accogliere quella qualunque propaganda essi credono.
E non solamente riguardo al contenuto, ma riguardo al metodo; lo Stato democratico ha il dovere di non pregiudicare lo sviluppo libero delle generazioni infantili, ed è il metodo della pedagogia scientifica la quale vuole che non ci siano astrazioni che si portino a contatto delle menti infantili; vuole che si proceda dal noto all’ignoto, che si proceda dalla realtà concreta all’astrazione. Ed invece se voi mettete l’insegnamento religioso nelle scuole, che cosa fate? Voi portate a contatto delle menti giovanili un insegnamento il cui contenuto è opposto al contenuto che io dicevo essere l’esigenza della scuola nello Stato democratico, vale a dire un contenuto di dottrina trascendentale fra l’universalità dei cittadini. Perché voi venite a parlare al bambino in nome della rivelazione, della verità rivelata. Voi gli volete imporre i misteri della confessione, le astruserie dei miti delle religioni.
La Chiesa dice: quello che noi diciamo è certezza assoluta ed appunto perché per noi è certezza assoluta, quella certezza imponiamo.
Ma lo Stato risponde: io non conosco, non posso conoscere verità trascendentali; perché se le conoscessi anche solamente in parte, io negherei in me la qualità di stato democratico per diventare una più o meno larvata democrazia.
Ed anzi è qui che apparisce il vero significato della formale separazione della Chiesa dallo Stato, qui dove si vede chiara, profonda, la ragione della formula e della dottrina della separazione la quale è ancora più che separazione è contrasto irriducibile. E’ contrasto fra due indirizzi che da secoli si
sono combattuti: l’indirizzo fra la libera critica e il diritto alla libera investigazione e l’affermazione dogmatica. Due indirizzi che non si contrastano il campo soltanto nella questione pedagogica della scuola primaria, ma sono contrastanti fra di loro e ad oltranza in tutti i campi.
Non è lo studio della religione che si possa svolgere in una scuola primaria ma può, e deve anzi, formare oggetto della istruzione universitaria. Nelle Università fra le varie facoltà dovrebbe esserci anche quella di storia comparata delle religioni, di filosofia delle religioni. Ma nelle Università questa materia religiosa verrebbe trattata con quello spirito critico, per cui la Chiesa non è del parere di consentirvi una simile libertà di trattamento razionale della religione.
Sì, dico che in Italia i religiosi sono per la grandissima parte aderenti alla religione cattolica, per cui il solo avversario della religione cattolica non può essere dunque che il libero pensiero.
La scuola laica, vi dà il bambino non prevenuto, non pregiudicato né in un senso, né in un altro, in materia di religione e di filosofia. Esercitate sopra di lui, nella lotta, la dottrina che saprà meglio vincere ed occupare il campo delle menti adulte.
Ma quando voi confessate di aver bisogno di prendere e di sorprendere questo bambino, quando ancora la mente sua non sa controllare la vostra propaganda, di coglierlo nel momento in cui non si sono ancora sviluppati i mezzi offensivi e difensivi di ragionamento, voi confessate con questo l’intrinseca debolezza della vostra dottrina, perché voi avete bisogno di usare violenza al fanciullo per impadronirvi dell’uomo.
Se la Chiesa per questo ufficio e per questa violenza sopra le giovani menti chiede il favoreggiamento diretto
o indiretto dello stato democratico, lo stato democratico deve rispondere “NO”
corrispondono
Massoneria non copre colpe o debolezze; è scuola di abnegazione e di alta moralità. I fratelli che vi pervengono, ove sulla soglia di essi lasciassero i loro principi di libertà, devono essere e saranno raggiunti dalla condanna dell’ordine”.
Nel 1906 una altra enciclica che condanna il modernismo e obbliga tutti i sacerdoti ad un giuramento antimodernista perché il modernismo ha principi non conciliabili come fede e scienza.
Nel 1907 esplode il problema della scuola e la prima settimana sociale dei cattolici d’Italia (23/28 ottobre) è concentrata sull’insegnamento religioso nella scuola. Tan
che il 14 gennaio del 1908, l’amministrazione comunale della città di Roma, sindaco il masssone Ernesto Nathan, ex Gran Maestro della Massoneria, approva un ordine del giorno che auspica che il e il Parlamento approvino una mozione che dichiari esplicitamente estranee alla scuola primaria qualsiasi forma di insegnamento confessionale.
Pochi giorni dopo al Parlamento la discussione della mozione del Fratello Bissolati, che veniva respinta con 347 voti contrari e 60 voti favorevoli.
1 35 deputati massoni votarono: 1″ a favore, 11 contro e 7 non parteciparono alla votazione.
La Massoneria, è noto, lascia ad ogni suo aderente la più ampia libertà di pensiero, ma la libertà di pensiero non va mai confusa con la resa alle forze oscurantistiche che cercavano di inserirsi sempre di più nelle scuole, specialmente in quelle elementari.
La posizione di Bissolati non fu una posizione presa a caso, fu un tentativo di informare l’opinione pubblica ed il Parlamento del grave pericolo che correva la scuola italiana e quindi il Paese.
La giunta del Grande Oriente d’Italia dopo la votazione in Parlamento si riunì e i deputati che non avevano sostenuto la mozione di Bissoltati furono espulsi.
A favore di questi deputati si schierò il reverendo Fera Saverio, che a seguito delle dimissioni presentate dal fr. Ballori da Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, nella sua qualità di Luogotenente reggeva in via provvisoria il posto di Sovrano.
Senza alcun rispetto per il Supremo Consiglio che non fu da lui mai convocato, dichiarò non legali le espulsioni fatte dalla Giunta del G. O. I. dando così inizio ad una secessione che portò alla nascita di una altra Obbedienza massonica, denominata Piazza del Gesù, dall’indirizzo ove aveva sede questo gruppo di scissionisti.
Va detto per chiarire alcune voci distorte che ancora circolano su quella azione che il Fera non convovò il Supremo Consiglio, attestato in enorme maggioranza sulle tesi dell’Ordine, ma avvalendosi della sua Carica trasmigò costituendo un altro Supremo Consiglio con Fratelli nominati per l’occasione pochi giorni prima al 330 grado ed inserendoli quindi nel Supremo Consiglio.
E’ a mie mani una cospicua parte dell’archivio Fera, con le copie originali con cui lo stesso Fera vergandole a mano – comunicava a vari Fratelli di aver firmato il loro brevetto al 33 0 grado.
La Massoneria, la sua tradizione risorgimentale, la sua laicità, la sua opera di spicco nelle amministrazioni comunali (ricordo solo il Sindaco di Roma Fr. Nathan) ebbero un gravissimo contraccolpo. La stampa clericale dette grande spazio a questa secessione e l’opinione pubblica, allora come ora poco informata sulla Massoneria, non riuscì a capire.
Il prete Pio X non perse certamente l’occasione e dette una grande spinta di acceleratore, facendo uscire allo scoperto tutte le forze cattoliche dall’isolamento, lanciandole alla conquista del pubblico potere.
Quando il reverendo Fera, capovolgendo ogni etica massonica accusò il Grande Oriente d’Italia di fare politica, mentiva perché l’azione del G. O. I. non era azione politica, ma solo legittima difesa contro la tracotanza della Chiesa e dei preti che volevano in Italia guadagnare tutte le posizioni perdute con la Breccia di Porta Pia.
Ancora una precisazione: non è vero che il Rito Scozzese Antico ed Accettato si schierò a grande maggioranza con il reverendo Fera; dei Fratelli di 330 grado solo 21 passarono al gruppo Fera e solo 2 delle 66 Camere Superiori, aderirono alla secessione.
Il colpo di mano di Fera non fu una scissione, fu una congiura e il tradimento favorì la svolta Giolitti che si avvicinò vieppiù alle forze clericali, mentre Pio X non perdeva occasione per ribadire l’assoluta subordinazione dei cattolici alle direttive ecclesiastiche anche per le indicazioni delle preferenze nelle elezioni politiche.
La Chiesa cattolica, noi lo sappiamo bene, ha tempi lunghi e nella scia di questo rimescolamento convocò nel novembre del 1910 il XX Congresso nazionale dei cattolici e pose le basi per la nascita di un partito a lei asservito.
La mozione di Bissolati non fu un romantico tentativo, privo di ogni possibilità di successo, che portò all’acceleramento della riscossa dei preti. ma un grido d‘allarme perché gli italiani intendessero che la Chiesa stava marciando contro ogni libertà religiosa e di insegnamento.
Sarebbe molto interessante esaminare tutti i tentativi esplicati negli ultimi anni del passato secolo (1870/ 1895) per costituire una Italia federata sotto la guida del Papa e di quanto ha fatto la Massoneria per stroncare tutte queste ignobili manovre clericali che avrebbero portato l’Italia indietro di quasi cento anni.
Le manovre dei preti e la posizione della Massoneria non sono mai state sufficientemente chiarite. E questa è una mancanza storica che andrebbe colmata.
E’
in corso nella Comunione Massonica italiana un dibattito, che si sta
facendo vivace, sui rapporti fra Massoneria e Società. L’argomento, tema di
punta della nuova Giunta, uscita dalle elezioni del marzo del ’99, è stato
illustrato con dovizia dal Gran Maestro Raffi con interviste a quotidiani e
periodici nazionali e ribadito ai fratelli della Comunione con l’ampio risalto
dato alle allocuzioni ed agli interventi nei Convegni, nelle visite ai Collegi
o alle singole Logge.
Questa singolare volontà “aperturista”
merita di essere attentamente analizzata, considerato che nel Grande Oriente
d’Italia convivono due anime ben distinte. Esse altro non sono che lo specchio
nazionale dell’attuale situazione massonica europea. Un’anima, legata alla
tradizione massonica francese, figlia delle idee rivoluzionarie del 1789, è più
attenta all’evoluzione della società e più sensibile ad una presenza
“esterna” della massoneria. L’altra, più vicina alla concezione
massonica anglosassone, identifica nella pratica della ritualità tradizionale,
rispettata in ogni sua forma con puntigliosa continuità, lo scopo finale della
Libera Muratoria, nell’assunto che il Massone, così preparato in Loggia,
porterà nel mondo degli uomini che lavorano, che producono, che soffrono e che
combattono contro le difficoltà della vita i valori universali della
Massoneria.
Queste due posizioni così diverse devono
necessariamente confrontarsi con una realtà in rapida evoluzione e che impone
un adeguamento dei principi andersoniani all’oggi. Entrambe, non solo in
Italia, ma in tutta Europa, cercano di dare risposte alla domanda che tanti
massoni, e non solo massoni, si pongono: “dove va la Massoneria?
La soluzione alla domanda posta non è vicina. Ed è
auspicabile un dibattito il più coinvolgente possibile, con convegni, momenti
di studio e confronto, non solo nella Comunione italiana, ma anche in tutte le
Comunioni europee.
Per portare un contributo
all’attuale dibattito, proviamo a fare un confronto con una tradizione
culturale diversa dalla nostra. Potremmo ricavarne utili insegnamenti. Nel
mondo islamico, pur con la prudenza necessaria quando si affronta questo
argomento, esiste qualcosa che possiamo generalmente assimilare alla tradizione
esoterica occidentale Sono le scuole sufiche che – come scrive Sevvd Hossein
Nasr – “essendo corporazioni ben
organizzate entro la più ampia mastrice della società islamica, esercitarono
influsso durevole e profondo su tutta la struttura sociale, anche se la loro
funzione di base era quella di custodire attraverso i tempi i valori dello
spirito Massoneria e Sufismo hanno molti punti di contatto. Le iniziazioni
sufiche per esempio prevedono che l’iniziando venga introdotto in una stanzetta
tanto piccola da non poter neppure sdraiarsi, per meglio favorirne la
meditazione. Successivamente viene condotto in loggia, ove il maestro gli
comunica le parole segrete. La formula del giuramento prevede la congiunzione
della mano del maestro sufi con la mano dell’iniziando, la gamba destra contro
la gamba destra, il ginocchio contro il ginocchio. che nell’iniziazione sufica
è previsto il rito della bevanda dolce che poi diventa salata, a monito della
fedeltà. All’iniziato viene donata una fascia o un grembiale, oltra al mantello
di lana grezza bianca, e gli viene ingiunto di conservare il segreto sui lavori
di loggia. Altre analogie sono riscontrabili nel concetto esaltatore della
Luce, evidenziato nel rituale massonico dalla catartica affermazione del
Maestro Venerabile ‘ …e la Luce sia…”. Tavole sono quelle lette dai
fratelli in loggia e tavole si chiamano gli scritti dei Sufi. Le analogie
continuano, la (love il pavimento a scacchi bianchi e neri si confonde nelle
logge sufiche con “drappi bianchi e neri che simbolizzano la Luce e
l’Ombra, la Sapienza e l’Ignoranza”. Comune ad entrambe le comunioni la
presenza della corda intrecciata con i nodi d’amore. Come fondamentale per
entrambe è il concetto della morte nella rinascita dello spirito. Questi sono
solamente alcuni e i più evidenti punti di collegamento fra Massoneria e
Sufismo. L’interpretazione sufico-esoterica dell’Islam è stata compiutamente
analizzata, per la prima volta con taglio moderno, dallo storico francese Renè
Guénon nel suo libro Apercus sur l’lnitiation.
Egli suggerisce che l’esperienza secolare sufica, con
l’amore per la ricerca diretta al perfezionamento dell’uomo, indica la via
maestra per un ordine iniziatico qual è la Massoneria. Essa è la fedeltà alla
Tradizione. Attraverso questa scelta, ai Sufi è stato possibile custodire nel
tempo i valori dello spirito, trasmettendoli da una generazione all’altra.
Questo metodo, fondamentale nel sufismo, sembra invitare il massone d’oggi,
confuso e frastornato, a ritornare a studiare le Antiche Costituzioni (Old
Charges, meglio conosciute collie Antichi Doveri), tutte – giova rimarcarlo –
di matrice inglese. Esse, legate ad un periodo di circa quattro secoli di
storia europea, hanno inizio col famoso Poema Regius. Attraverso i Manoscritti
Cooke, Beswicke-Royds, Roberts giungono via via ai rifacimenti costituzionali
Andersoniani della prima metà del Settecento. Lo studio della tradizione, dei
testi sacri, delle regole tramandate nei secoli, consentono al massone quella
libertà di visione atta ad aiutarlo nei momenti di svolta come quelli che oggi
la massoneria sta attraversando. Il metodo sufico insegna inoltre la tolleranza
e I ‘approfondimento conoscitivo di tutto ciò che è diverso come punto di
partenza per una reciproca comprensione. Ammonisce che tutto riconduce al
dominio dell’Essere Supremo e suggerisce alla Massoneria la via della
continuità, quando si occupa soprattutto della costruzione dell’Uomo Vero. Solo
lavorando con gli attrezzi dell’Arte Reale all’interno del Tempio si realizza
compiutamente la missione della Libera Muratoria. Così preparato e formato, il
massone, uti singuli, contribuirà alla costruzione del Tempio Universale.
E’ questa la soluzione alle tante problematiche che la
Massoneria, europea e non, oggi deve affrontare? Od è più vantaggioso che la
Massoneria si apra alla Società, usando gli strumenti propri del mondo della
comunicazione, giudicati da molti massoni strumenti profani? Massoneria protesa
all’interno della Loggia a formare l’Uomo, così come le altre scuole
iniziatiche sembrano insegnarci o Massoneria allo scoperto per incidere sulla
società, quasi partito o movimento d’opinione? O una terza Sia che medi fra le
due posizioni’? Magari proposta dalla Comunione Massonica Italiana?
Domande che intrigano, ma che appaiono in tutta la loro
drammatica attualità. per un Massone, uomo libero
Due grandi storici del novecento
hanno scritto che la storia è sempre storia contemporanea qualunque sia
l’argomento trattato, perché lo studioso lo affronta con la cultura, la
sensibilità, gli strumenti conosciti\â del suo tempo e non dei secoli passati.
Anche la scelta degli argomenti di ricerca non è mai
casuale, ma è dettata4 da uno stimolo o da una motivazione che deriva dall’attualità, e questo sia nel
caso che il ricercatore sia consapevole, sia nel caso che la scelta si presenti
apparentemente occasionale.
In questo primo scorcio di 2000 due temi si sono imposti
all’attenzione degli studiosi: l’anniversario della morte di Giordano Bruno, avvenuta
a Roma il 17 febbraio 1600, di cui
cadono i quattrocento anni, e la storia dei Giubilei.
La vastissima bibliografia degli scritti di e su
Giordano Bruno non ha impedito la pubblicazione di nuovi volumi e una
particolare attenzione al personaggio, anche a motivo del pentimento
manifestato dai vertici cattolici per gli eccessi del passato.
Quanto al Giubileo non si contano più le pubblicazioni sul
tema, che è stato ed è affrontato da tutte le possibili angolature, con
articoli su quotidiani e periodici, opuscoli, libri di tutti i prezzi e tutte
le dimensioni.
In questo oceano di parole, la mia attenzione è stata attratta
da una notizia che ho letto più volte in differenti contesti, riferita sempre
con lo stesso taglio critico, su un preteso contro giubileo che sarebbe stato
organizzato dal Grande Oriente d’Italia nel 1900 a Roma.
La notizia viene riportata in un libro sul Giubileo
pubblicato da Francesco Sisinni; dal “Corriere della sera” in un
articolo del 25 aprile 1999 intitolato 1900, lo sberleffo dei Massoni al Papa;
dalla rivista “30 Giorni” che, a fine novembre, ha proposto, in una
storia a puntate dei Giubilei, la stessa ricostruzione dei fatti.
Si tratta di un fatto marginale cui viene però dagli
autori attribuita una importanza tutt’altro che secondaria. Ed è proprio questo
aspetto a renderlo interessante per lo studioso della storia della massoneria.
Si può dunque leggere che “il Pontefice e la sua
Corte sono stati oltraggiati da un contro – giubileo profano, e le timidissime
aperture (vaticane e della politica cittadina) per raffreddare la “questione
romana” non sono riuscite a raffreddare il forte spirito anticlericale che
serpeggia in città. Il peggio accadde il venti settembre, quando la Massoneria
festeggiò la ricorrenza dell’ingresso delle truppe italiane a Roma, avvenuto
trenta anni prima, con un corteo che, motteggiando i riti giubilari, si spostò
in pellegrinaggio tra “quattro basiliche laiche” della città.
L’irriverente processione partì dal
Pantheon, perché ospitava la tomba di Vittorio Emanuele II re d’Italia, puntò
sul colle del Gianicolo rendendo omaggio a Giuseppe Garibaldi che aveva dato
una spallata definitiva ai papalini, proseguì fino a Porta Pia, cioè proprio
alla breccia aperta dai bersaglieri di Lamarmora nel cuore del potere
temporale, e infine si raccolse sul Campidoglio, sotto la statua del tribuno
Cola di Rienzo, per onorare la sede del laico governo capitolino.
Chi osò sprezzante il Gran
Maestro della massoneria Ernesto Nathan, che fu anche sindaco di Roma dal 1907
al 1913: “Questi monumenti sono più maestosi di quelli che una turba di
gente raccogliticcia visita per ottenere indulgenza”.
Questo il testo, da cui traspare chiaramente una
malcelata censura nei confronti di una istituzione che irrideva ai sentimenti,
agli usi, alle credenze di un’altra istituzione facendone una sorta di
caricatura.
Non a caso una studiosa attenta come Maria I. Macioti
in un saggio sui contro – giubilei pubblicato sulla rivista “Iter” ha
riproposto a sua volta questi avvenimenti del 1900.
Cosa c’è di vero in tutto ciò?
E’ nota la difficoltà di rapporti che vennero ad
instaurarsi tra lo Stato italiano, nato ufficialmente nel 1861, e lo Stato
della città del Vaticano che rifiutò di riconoscerne la legittimità fino alla
firma dei Patti lateranensi del 1929. Ed è altrettanto noto come queste vicende
abbiano reso estremamente complessa la storia dei primi decenni dell’Italia
unita dando origine a quel movimento che va sotto il nome di anticlericalismo.
Movimento di opposizione al potere politico gestito dalla chiesa cattolica in
Italia e non già al cattolicesimo come religione.
Proprio per problemi di politica interna il Vaticano
celebrò il Giubileo del 1875 in tono molto minore, mentre l’organizzazione di
quello del 1900 provò la lealtà del governo italiano che, trovandosi per la
prima volta di fronte ad un evento religioso di carattere internazionale,
dimostrò la sua tolleranza favorendo in ogni modo il libero svolgimento delle
celebrazioni. Questura, Comune e Vicariato lavorarono insieme permettendo la
riuscita dell’anno giubilare.
In questo contesto due forze avrebbero cercato di
impedire un quieto svolgimento degli eventi: i cattolici intransigenti e la
massoneria. Gli uni e gli altri impegnati a criticare gli aspetti
conciliatoristi dell’Anno Santo. Una serena ricostruzione degli eventi non sembra
suffragare questa tesi.
In quel 1900 il Gran Maestro del Grande Oriente
d’Italia era Ernesto Nathan appena rieletto per il secondo mandato. Presentando
alla Giunta il programma che intendeva perseguire, all’II0 punto si
legge: “In presenza dell’anno santo prendere in considerazione i diversi
progetti messi innanzi dai vari partiti liberali e scegliere quelli che abbiano
una nota eminentemente nazionale e diano speranza di felice successo”.
Nessuna crociata dunque veniva suggerita ai fratelli
dal loro Gran Maestro che sperava invece di riuscire ad inaugurare
ufficialmente nel corso di quell’anno la nuova sede di Palazzo Giustiniani,
significativo punto di approdo di una Istituzione in piena espansione.
ln quelle stanze avrebbero trovato collocazione gli uffici
del Grande Oriente, del Supremo Consiglio, della Gran Loggia del Rito
Simbolico, le Sale e il Tempio per le Camere Superiori, il ‘l’empio massimo, la
grande sala delle conferenze. In realtà i lavori si protrassero ben oltre il
previsto e l’inaugurazione avvenne il 21 aprile del 1901, con un anno di
ritardo.
Qualche mese dopo, il 22
aprile 1900, parlando innanzi a quello che oggi è il Consiglio dell’Ordine,
Nathan ribadì che la Massoneria non restringe la sua azione alla lotta
anticlericale l…] ; di ben altra ampiezza erano infatti i suoi progetti.
La prima grande manifestazione anticlericale prevista
nell’anno giubilare era la celebrazione del terzo centenario del rogo di
Giordano Bruno cui repubblicani, socialisti, massoni e liberi pensatori diedero
ampio risalto.
Antonio Labriola, il caposcuola del socialismo
scientifico in Italia, tenne all’interno dell’università un ciclo di lezioni
“Sul destino storico di Giordano Bruno” che accese gli animi degli studenti che cercarono di
raggiungere Campo de Fiori scontrandosi con gli agenti di polizia. Ci furono
colluttazioni e alcuni arresti.
Il 17 febbraio, si legge su un quotidiano, a campo de
Fiori, attorno al monumento a Giordano Bruno v’erano pattuglie di carabinieri e
di guardie Gli ordini, a quel che pare,
erano severissimi, perché se qualcuno si fermava per poco presso la cancellata
del monumento era invitato a circolare. Tuttavia fu permessa l’apposizione di
qualche corona.
Da questi brevi cenni sembra chiaro che l’autorità
politica era ben decisa a non permettere alle forze anticlericali di turbare le
celebrazioni giubilari, né d’altro canto il GOI intervenne ufficialmente, anche
se appare indubbio che tra le 1500 persone accorse ad ascoltare il fratello
Labriola i massoni non dovevano essere pochissimi.
I mesi successivi trascorsero senza altri incidenti
fino al 20 settembre, data particolarmente sentita dalla massoneria italiana
che ha voluto sempre celebrarla con particolare solennità.
Era prassi organizzare un corteo che raggiungeva
Porta Pia dove, davanti alla “breccia”, si tenevano i discorsi
ufficiali. Diventato sindaco di Roma, Nathan tenne alcuni celebri discorsi in
quelle occasioni, il più discusso dei quali fu quello del 1910 che creò un
serio incidente diplomatico con il Vaticano.
Non sembra però che il GOI abbia sfruttato la
coincidenza per creare l’incidente. Se andiamo a leggere il resoconto degli
eventi di quella giornata riferito dal quotidiano cattolico intransigente
“La vera Roma’ possiamo constatare che tutto si svolse senza incidenti e
senza grande affluenza di gente. Alcuni massoni, si può leggere, parodiando a
loro modo le visite giubilari, si recarono nelle “quattro basiliche
civili” che erano rappresentate dal Pantheon, dal Gianicolo, da Porta Pia
e dal Campidoglio, eletti per l’occasione luoghi di culto del mondo laico.
Anche in questa occasione la polizia vegliò perché
nulla turbasse i pellegrini presenti in città
Due mesi dopo, durante un breve soggiorno in
Sardegna, Nathan sarebbe tornato sull’argomento affermando che sarebbe forse
stato opportuno indire un giubileo laico.
Tutto qui? Sembrerebbe di sì stando ai documenti. E
allora come si spiega il fatto che a cento anni di distanza è stata data tanta
importanza ad un evento tanto trascurabile?
A me sembra che la notizia sia
proprio l’assenza di una vera notizia.
Mi spiego meglio. Un certo intransigentismo cattolico ha
“gonfiato” l’azione, la potenza, la reale possibilità di incidere
nella società dei massoni ben oltre ogni più ottimistica o pessimistica
possibilità.
Si sono segnalate posizioni di potere improponibili,
come, ad esempio i presunti 300 deputati massoni del parlamento italiano, reali
solo nella denuncia di Civiltà Cattolica.
La contrapposizione ottocentesca tra queste due
realtà è stata tanto radicale che ancora oggi ne viviamo culturalmente le
conseguenze.
Ecco perché studiando il giubileo del 1900, il primo
giubileo svoltosi dopo l’unità, si è voluto trovare a tutti i costi una
opposizione della massoneria a questo rito cattolico. Opposizione che in verità
non mi sembra ci sia stata.
‘anniversario
della fondazione della nostra Officina ci invita a qualche riflessione su
Galileo Galilei, l’uomo che segna il punto di passaggio dal pensiero antico a
quello moderno.
Sono indispensabili alcune brevissime note biografiche.
Nasce a Pisa il 18 febbraio 1564 da famiglia colta e
raffinata. Il padre, Vincenzo, è esperto di musica e di matematica, la madre,
Giulia, una Ammannati da Pescia.
Già durante gli studi di medicina, filosofia e matematica
ebbe modo di mostrare la sua insofferenza per l’insegnamento aristotelico.
Vivacità di spirito e irrequietezza di propositi sono doti piuttosto comuni in
gioventù; ben più raro è che le si conservi per tutta la vita.
Negli anni 1587-88 concorre per incarichi nelle università
di Bologna, di Pisa e di Firenze, sempre senza successo. Il suo primo incarico
retribuito lo ottiene nel 1589, a venticinque anni, dall’università di Pisa.
Difficoltà economiche, la morte del padre, i contrasti con
i colleghi e l’autorità locale lo portano a Padova nel 1592, dove ottiene
l’incarico di lettore di matematica. Per una fatalità sono passati esattamente
cento anni da quando il genovese Cristoforo Colombo, al tro spirito libero e
irrequieto, aveva conquistato per l’umanità lo spazio della terra e della mente
che si estendeva oltre le colonne d’Ercole.
La vita normale dell’uomo straordinario si conduce così
fino al 1609, fra insegnamento, scopette, dispute ed eventi familiari. A
quarantacinque anni, età già di riposo per scienziati e non, si prepara a
tornare nella Toscana del granduca Cosimo dé Medici. Intanto lavora a
perfezionare il cannocchiale.
Lo strumento era poco efficiente ed aveva molti difetti e
aberrazioni. Le immagini ingrandite
erano deformate e contornate da aloni colorati e per questo il cannocchiale era
considerato un giocattolo, una specie di caleidoscopio. Il vecchio,
giovanissimo uomo ne colse le possibilità tecniche per impieghi militari,
commerciali e scientifici. Lo
studiò e lo perfezionò fino a che lo strumento
divenne il mezzo per superare altre colonne d’Ercole, poste questa volte non in
mare ma in cielo. In realtà anche queste colonne erano solo dei limiti alla
mente.
La Signoria di Venezia premiò Galileo con una retribuzione
altissima e con l’incarico a vita. Fra il 1609 e il 1610 fu premiato anche dal
cielo con le scoperte dei satelliti di Giove, degli anelli di Saturno, delle
fasi di Venere, delle macchie solari, delle stelle della Via Lattea e dei
crateri della Luna.
Il 7 settembre 1610 lascia Padova, rinunciando all’incarico e
allo stipendio, e va a Firenze: era stato nominato primario matematico dello
studio di Pisa nonché primario matematico e filosofo del granduca di Toscana,
con l’appannaggio di mille scudi all’anno, senza obblighi di residenza e di
insegnamento. L’uomo di buoni costumi trionfava nelle corti e nelle università
senza che il fragore dei metalli, che di lì a poco sarebbe esploso, potesse
prevalere sull’uomo libero.
La vicenda è, purtroppo, ben nota. La teoria eliocentrica di
Copernico e le tre leggi di Keplero erano state condannate senza appello dalla
Chiesa protestante, perché in contrasto con le Sacre Scritture. Quando Lutero e
Calvino lessero il Commentario di Copernico, lo condannarono come
“follia” ed “empio attentato contro il verbo di Dio”.
La Chiesa di Roma, per contro, non se ne preoccupò gran che,
sia perché si trattava di teorie scientifiche, sia perché la Bibbia era
divulgata in latino e, quindi, accessibile solo ad ambienti ecclesiastici o
accademici, sia perché, infine, il potere temporale dei papi aveva basi di gran
lunga più solide di quello dei protestanti.
Cosi quando Galileo, nel Sidereus Nuncius, annunziò nel 1610
le sue scoperte astronomiche come prova sperimentale della teoria eliocentrica,
non incappò nelle censure di Roma. L’opera di Galileo fu anzi accolta con
approvazione dai gesuiti e dal cardinale Bellannino, il colto ed oculato
manager dell’inquisizione.
Nel 1611 papa Paolo V e la sua corte di studiosi,
dignitari e prelati accoglievano Galileo con tutti gli onori. Restano allora da spiegare i successivi contrasti, il
processo, la condanna e I abiura che seguiranno nel 1633.
Si suol dire che, prima di Galileo, il sistema tolemaico o geocentrico
era il supporto celeste della concezione filosofico-religiosa antropocentrica.
I a terra, posta al centro dell’universo, garantiva all’uomo la posizione di
aurea centralità nell’ambito del creato, anzi tutto era stato creato per lui.
Dimostrando invece che i pianeti girano attorno al sole, Galileo farà crollare
tutta l’impalcatura filosofica, religiosa e politica fin allora dominante.
Ma allora perché la Chiesa di Roma non se ne preoccupò subito,
accogliendo anzi con favore iniziale tutte queste scoperte? La spiegazione sta
nella circostanza che il potere della Chiesa era ben saldo, fondato soprattutto
sulle relazioni diplomatiche e militari. La scienza, come l’arte, le dava
lustro.
Credo allora che, per capire le vere ragioni delle vicende storiche
che seguirono, occorra domandarci perché I umanità considera Galileo un punto
di svolta fondamentale del suo cammino. Forse perché fu dimostrato che il sole
era al centro dell’universo? Ma oggi noi sappiamo che il sole si trova alla
periferia di un gruppo di cento miliardi di stelle simili che chiamiamo
galassia, che si trova a sua volta alla periferia di un gruppo di qualche
miliardo di galassie simili. E così avanti, di periferia in periferia, di
miliardi in miliardi, fino ai confini di un universo che siamo ben lontani da
scoprire.
La risposta non può essere dunque trovata nei pur grandissimi meriti
scientifici di Galileo.
Dobbiamo
correre filosofo. ln
effetti il sistema geocentrico poteva garantire una ben scarsa centralità
dell’uomo. L’esperienza umana, sensoriale, affettiva o conoscitiva, trovava le
sue ragioni altrove. Nelle Sacre Scritture, nei testi di Aristotele, nelle
tradizioni tramandate dagli antichi, persino nelle leggende e nelle
superstizioni. Tutta la vita di Galileo, non solo le sue scoperte astronomiche,
dimostra invece che egli ha cercato sempre la ragione delle cose
nell’esperienza e nell’analisi critica del pensiero razionale. Con questo
metodo, ancora giovanissimo, aveva dimostrato che il moto dei gravi segue leggi
molto diverse dalle concezioni aristoteliche. Il compendio di questo principio
si trova nel Dialogo dei massimi sistemi, dove solo formalmente si discute sul
sistema tolemaico e su quello copernicano. In realtà si confronta un sistema’
di conoscenza autoritario e dogmatico con un altro, razionale e laico. Galileo,
togliendo l’uomo dal falso centro geografico dello spazio, ne ha fatto il vero
centro ed il protagonista della propria conoscenza. E dunque con Galileo, degno
erede di Bruno, che l’uomo conquista il centro spirituale della propria vita, e
in ciò riposa l’essenza dell’ uomo libero. Così possiamo spiegarci perché il
Sidereus Nuncius, elenco di scoperte astronomiche, trovò addirittura il favore
della Chiesa cattolica mentre il Dialogo dei massimi sistemi, in cui si
dimostrava il primato dell’esperienza e della ragione, scatenò inevitabilmente
la repressione più dura, umiliando il Nostro col carcere e l’abiura. Accade
questo, talvolta, agli uomini liberi, di essere imprigionati nel corpo. Non gli
accadrà mai, però, di essere imprigionati nello spirito.
Ir.
R.S.A.A. FU NEI.IA SUA ENORME MAGGIORANZA CONTRO IL COLPO Dl MXNO DEI,
REVERENDO FERA F. Dl ALCUNI PARLAMENTARI ASSERVITI AL CLERICALISMO
Aldo
Chiarle
1908: un gruppo di deputati massoni, fra i quali gli
onorevoli Bissolati e Costa, presentano una mozione da discutere in Parlamento
sul tema: “La Camera invita il Governo ad assicurare il carattere laico
della scuola elementare, vietando che in essa venga impartito, sotto qualsiasi
forma, l’insegnamento religioso”:
Il 18 febbraio 1908 si sente in Parlamento, alta e
solenne, la voce del Fratello Bissolati. Il suo intervento meriterebbe di
essere conosciuto integralmente perché molto attuale in questi giorni in cui si
sta verificando una manovra clericale per il finanziamento dello Stato alle
scuole private, che come ben sappiamo, sono nella quasi totalità, scuole
gestite dai preti. Riporterò solo le parti
essenziali del suo dire.
“Mi è stato fatto l’appunto – dice il Fratello
Bissolati – di aver adoperato una parola dura, poiché la
mozione dice …vietando che nelle scuole elementari venga impartito sotto
qualsiasi forma l’insegnamento religioso. E’ una parola dura sì, Ina è dura
come la logica. Diciamo subito che il problema è questo: lo Stato (non uno
Stato qualsiasi) ma lo Stato Democratico può favorire, in qualsiasi modo,
direttamente o indirettamente, l’insegnamento di una qualsiasi confessione?
Vediamo il problema da vicino, posto che lo Stato ha dovuto e deve sempre
svolgere la sua funzione.
Ora se voi
considerate la funzione dello Stato nella materia educativa, voi troverete che
esso non può sottrarsi a questo compito di preservare nelle giovani generazioni
il diritto di affermarsi come esse credono nel campo intellettivo e nel campo
morale.
scopo dello Stato moderno deve erigersi a
questo; le nuove generazioni hanno il diritto che le loro menti quando
diverranno adulte siano nella migliore disposizione per accogliere quella
qualunque propaganda essi credono.
E non solamente riguardo al contenuto, ma riguardo al
metodo; lo Stato democratico ha il dovere di non pregiudicare lo sviluppo
libero delle generazioni infantili, ed è il metodo della pedagogia scientifica
la quale vuole che non ci siano astrazioni che si portino a contatto delle
menti infantili; vuole che si proceda dal noto all’ignoto, che si proceda dalla
realtà concreta all’astrazione. Ed invece se voi mettete l’insegnamento
religioso nelle scuole, che cosa fate? Voi portate a contatto delle menti
giovanili un insegnamento il cui contenuto è opposto al contenuto che io dicevo
essere I esigenza della scuola nello Stato democratico, vale a dire un
contenuto di dottrina trascendentale fra l’universalità dei cittadini. Perché
voi venite a parlare al bambino in nome della rivelazione, della verità
rivelata. Voi gli volete imporre i misteri della confessione, le astruserie dei
miti delle religioni.
La Chiesa dice: quello che noi diciamo è certezza
assoluta ed appunto perché per noi è certezza assoluta, quella certezza
imponiamo.
Ma lo Stato risponde: io non conosco, non posso conoscere
verità trascendentali; perché se le conoscessi anche solamente in parte, io
negherei in me la qualità di stato democratico per diventare una più o meno larvata
democrazia.
Ed anzi è qui che apparisce il vero significato (Iella
formale separazione della Chiesa dallo Stato, qui dove si vede chiara,
profonda, la ragione della formula e della dottrina della separazione la quale
è ancora più che separazione è contrasto irriducibile. E’ contrasto fra due
indirizzi che da secoli si sono
combattuti: l’indirizzo fra la libera critica e il diritto alla libera
investigazione e pedagogica della scuola primaria, ma sono contrastanti fra di
loro e ad oltranza in tutti i campi.
Non è lo studio della religione che si possa svolgere in
una scuola primaria ma può, e deve anzi, formare oggetto della
istruzione universitaria. Nelle Università fra le varie facoltà dovrebbe
esserci anche quella di storia comparata delle religioni, di filosofia delle
religioni. Ma nelle Università questa materia religiosa verrebbe trattata con
quello spirito critico, per cui la Chiesa non è del parere di consentirvi una
simile libertà di trattamento razionale della religione.
Sì, dico che in Italia i religiosi sono per la
grandissima parte aderenti alla religione cattolica, per cui il solo avversario
della religione cattolica non può essere dunque che il libero pensiero.
La scuola laica, vi dà il bambino non prevenuto, non
pregiudicato né in un senso, né in un altro, in materia di religione e di
filosofia. Esercitate sopra di lui, nella lotta, la dottrina che saprà meglio
vincere ed occupare il campo delle menti adulte.
Ma quando voi confessate
di aver bisogno di prendere e di sorprendere questo bambino, quando ancora la
mente sua non sa controllare la vostra propaganda, di coglierlo nel momento in
cui non si sono ancora sviluppati i mezzi offensivi e difensivi di
ragionamento, voi confessate con questo l’intrinseca debolezza della vostra
dottrina, perché voi avete bisogno di usare violenza al fanciullo per
impadronirvi dell’uomo.
Se la Chiesa per questo
ufficio e per questa violenza sopra le giovani menti chiede il favoreggiamento
diretto ed indiretto dello Stato democratico, lo Stato democratico deve
rispondere: No!
Nuvole nere si addensano sulla nostra Italia, tanto che
il 1°gennaio del 1905 il Gran Maestro della Massoneria, Ettore Ferrari, sente
il bisogno di indirizzare a tutti i Fratelli della Comunione italiana una
balaustra sulla incompatibilità più assoluta fra Massoneria e Chiesa cattolica
che riporto nella sua parte essenziale:
“L’Italia venendo a Roma non volle soltanto
consacrarvi il patto solenne della sua unità, ma affermarvi le conquiste del
progresso, della libertà, della umanità, spezzare ogni catena che avvinca la
coscienza al dogma, ed installarvi la sovranità dello stato laico e civile. A
tal patto, solo a tal patto l’Italia ha diritto di sovranità sulla città
eterna.
Il nuovo pontefice, riaffermando che la civiltà del mondo
è cristiana chiama alle urne i fedeli e dopo trenta anni di atroce guerra
contro tutta la vita italiana, simula di accettare il fatto compiuto, spera di
insinuarsi col convento e con la scuola nell’intimo del nostro organismo…
questa è la Chiesa di Roma che dal medioevo ai dì nostri, ha tutelato tutti i
privilegi, ha benedetto tutte le imposture e ha difeso tutte le iniquità. Il
cattolicesimo fabbrichi le sue chiese, predichi i suoi vieti miracoli, abbia
facoltà di propaganda; devoti alla libertà noi potremo non violentare l’opera
sua. Ma lo Stato è termine inconciliabile con la Chiesa, come inconciliabili
sono la scienza e la rivelazione, l’evoluzione del pensiero e il dogma, il
libero esame e il sillabo. La libertà di coscienza, l’assoluta separazione
dell’autorità civile da quella ecclesiastica, la perfetta laicità della scuola,
la sincera applicazione della legge sulle corporazioni religiose e la
conversione di tutte le Opere Pie a scopi civili, questo deve essere ed
affermarsi sempre e dovunque, nei comizi, nelle cattedre e in Parlamento.
La Massoneria pur riconoscendo la piena autonomia dei
Fratelli per la loro singola azione in seno ai partiti politici, non consente
alcun atto che implichi dedizione e transazione con tendenze clericali. La
Massoneria non copre colpe o debolezze; è scuola di abnegazione e di alta
moralità. I fratelli che vi pervengono, ove sulla soglia di essi lasciassero i
loro principi di libertà, devono essere e saranno raggiunti dalla condanna
dell’ordine”.
Nel 1906 una altra enciclica che condanna il modernismo e
obbliga tutti i sacerdoti ad un giuramento antimodernista perché il modernismo
ha principi non conciliabili come fede e scienza.
Nel 1907 esplode il
problema della scuola e la prima settimana sociale dei cattolici d’Italia
(23/28 ottobre) è concentrata sull’insegnamento religioso nella scuola. Tanto
che il 14 gennaio del 1908, l’amministrazione comunale della città di Roma,
sindaco il massone Ernesto Nathan, ex Gran Maestro della Massoneria, approva un
ordine del giorno che auspica che il Governo e il Parlamento approvino una
mozione che dichiari esplicitamente estranee alla scuola primaria qualsiasi
forma di insegnamento confessionale.
Pochi giorni dopo al Parlamento la discussione della
mozione del Fratello Bissolati, che veniva respinta con 347 voti contrari e 60
voti favorevoli.
1 35 deputati massoni votarono: 17 a favore, 11 contro e
7 non parteciparono alla votazione.
La Massoneria, è noto, lascia ad ogni suo aderente la più
ampia libertà di pensiero, ma la libertà di pensiero non va mai confusa con la
resa alle forze oscurantistiche che cercavano di inserirsi sempre di più nelle
scuole, specialmente in quelle elementari.
La posizione di Bissolati non fu una posizione presa a
caso, fu un tentativo di informare l’opinione pubblica ed il Parlamento del
grave pericolo che corre la scuola
italiana e quindi il Paese.
La giunta del Grande Oriente d’Italia dopo la votazione
in Parlamento si riunì e i deputati che non avevano sostenuto la mozione di
Bissoltati furono espulsi.
A favore di questi deputati si schierò il reverendo Fera
Saverio, che a seguito delle dimissioni presentate dal fr. Ballori da Sovrano
Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, nella sua qualità di
Luogotenente reggeva in via provvisoria il posto di Sovrano.
Senza alcun rispetto per
il Supremo Consiglio che non fu da lui mai convocato, dichiarò non legali le
espulsioni fatte dalla Giunta del G. O. L dando così inizio ad una secessione
che portò alla nascita di una altra Obbedienza massonica, denominata Piazza del
Gesù, dall’indirizzo ove aveva sede questo gruppo di scissionisti.
Va detto per chiarire alcune voci distorte che ancora
circolano su quella azione che il Fera non convocò il Supremo Consiglio,
attestato in enorme maggioranza sulle tesi
dell’Ordine, ma avvalendosi della sua Carica trasmigò costituendo un altro
Supremo Consiglio con Fratelli nominati per l’occasione pochi giorni prima al
33 0 grado ed inserendoli quindi nel Supremo Consiglio.
E’ a mie mani una cospicua parte dell’archivio Fera, con
le copie originali con cui lo stesso Fera vergandole a mano – comunicava a vari
Fratelli di aver firmato il loro brevetto al 33 0 grado.
La Massoneria, la
sua tradizione risorgimentale, la sua laicità, la sua opera di spicco nelle
amministrazioni comunali (ricordo solo il Sindaco di Roma Fr. Nathan) ebbero un
gravissimo contraccolpo. La stampa clericale dette grande spazio a questa
secessione e l’opinione pubblica, allora come ora poco informata sulla
Massoneria, non riuscì a capire.
Il prete Pio X non
per
se
certamente occasione e dette una grande spinta di acceleratore, facendo uscire
allo scoperto tutte le forze cattoliche dall’isolamento, lanciandole alla
conquista del pubblico potere.
Quando il reverendo Fera, capovolgendo ogni etica
massonica accusò il Grande Oriente d’Italia di fare politica, mentiva perché
l’azione del G. O. I. non era azione politica, ma solo legittima difesa contro
la tracotanza della Chiesa e dei preti che volevano in Italia guadaagnare tutte
le posizioni perdute con la Breccia di Porta Pia.
Ancora una precisazione: non è vero che il Rito Scozzese
Antico ed Accettato si schierò a grande maggioranza con il reverendo Fera; dei
Fratelli di 33 0 grado solo 21 passarono al gruppo Fera e solo 2
delle 66 Camere Superiori, aderirono alla secessione.
Il colpo di mano di Fera non fu una scissione, fu una
congiura e il tradimento favorì la svolta Giolitti che si avvicinò vieppiù alle
forze clericali, mentre Pio X non perdeva occasione per ribadire l’assoluta
subordinazione dei cattolici alle direttive ecclesiastiche anche per le
indicazioni delle preferenze nelle elezioni politiche.
La Chiesa cattolica, noi lo sappiamo bene, ha tempi
lunghi e nella scia di questo rimescolamento convocò nel novembre del 1910 il
XX Congresso nazionale dei cattolici e pose le basi per la nascita di un
partito a lei asservito.
La mozione di Bissolati non fu un romantico tentativo,
privo di ogni possibilità di successo, che portò all’acceleramento della
riscossa dei preti. ma un grido d’allarme perché gli italiani intendessero che
la Chiesa stava marciando contro ogni libertà religiosa e di insegnamento.
Sarebbe molto interessante
esaminare tutti i tentativi esplicati negli ultimi anni del passato secolo
(1870/ 1895) per costituire una Italia federata sotto la guida del Papa e di
quanto ha fatto la Massoneria per stroncare tutte ignobili manovre clericali
che avrebbero portato l’Italia indietro di quasi cento anni.
Le manovre dei preti e la posizione della Massoneria non
sono mai state sufficientemente chiarite. E questa è una mancanza storica che
andrebbe colmata.
Essere ed apparire sono due termini che
hanno in sé le basi del divenire dell’uomo, del suo realizzarsi all’interno ed
in rapporto con gli altri, in un susseguirsi continuo di scelte e d ‘immagini.
Esporre pertanto anche poche ed incomplete considerazioni
su questo argomento mi pone in notevole difficoltà. Sarei comunque lieto se,
attraverso quest’esposizione, riuscissi a suscitare sensazioni e fornire
elementi di discussione su un argomento così importante, continuamente entra
nelle dinamiche della nostra vita. Infatti, l’importanza che ciascuno dà a
questi due concetti si riflette conseguentemente sul modo di comportarsi e sul
modello di vita che s’intende seguire.
Le prospettive, attraverso le quali si può affrontare
l’argomento, sono di vario tipo e vanno da quella storico-culturale a quella
relazionale, fino a quella più intima, filosofico-esistenziale.
Mi preme porre l’accento su quest’ultima, lungi dal voler
imporre giudizi conclusivi, ma cercando piuttosto di capire quale
caratteristica prevale nelle mie scelte di vita e quale aspetto deve essere
potenziato in un modello di vita massonico.
In effetti non vi è una vera contrapposizione di significati e di scelte
conseguenti fra le caratteristiche dei due termini, ma, piuttosto, esiste un
continuo intrecciarsi dei loro aspetti che divengono così interdipendenti,
poiché l’uomo è ed appare insieme, anche se l’apparire spesso nasconde e
appiattisce l’essere, o lo sostituisce completamente modificando l’immagine e
la valutazione che gli altri danno di noi. Manca anche la ricetta, utile per
tutti, di una miscela di questi due aspetti, poiché tanti sono i fattori che
determinano lo strutturarsi di una personalità e tanti sono i momenti della
vita che possono modificarla, determinando di conseguenza il modo di
presentarsi e d’apparire.
Il corpo è lo strumento per condurre all’esterno i propri
vissuti e stati d’animo, ma anche le proprie determinazioni ed i propri valori;
attraverso il corpo ed il comportamento noi trasmettiamo messaggi agli altri,
ma riceviamo anche i loro giudizi, le loro disponibilità ad accettarci e,
soprattutto, avvertiamo le gratificazioni per quello che realizziamo, per
quello che vogliamo rappresentare e, anche se in misura minore, per quello che
siamo veramente.
A mio avviso si deve prima di tutto aumentare la conoscenza
del proprio io profondo, acquisire la consapevolezza delle proprie debolezze
per accettarle e modificarle, delineare bene i valori in cui credere per poi
compiere scelte coerenti, produrre una “tensione” verso un ‘identità
ideale che ciascuno di noi si è fatto attraverso le esperienze della vita e la
cultura educativa che ha ricevuto.
Solo così si riuscirà ad essere e a realizzare quella
naturalezza e armonia tra vissuto interiore corpo-comportamento, da un Iato, ed
ambiente esterno dall’altro, in misura tale da muoverci bene tra gli altri,
facendolo con sicurezza, soddisfatti dell’immagine che diamo di noi.
Questo lavoro continuo nella ricerca
d’essere coerenti con se stessi, nello sviluppo della capacità d’incanalare i
propri sentimenti e la propria emotività, riducendo così lo stato di conflitto
interno e la relativa ansia che ne deriva, aumenta la capacità propositiva e
propulsiva del soggetto e ciò si trasferisce e si avverte anche nell’immagine,
la quale è così più penetrante e lascia un migliore effetto sugli altri.
La razionalità della persona è importante almeno quanto
l’aspetto en)0tivo-affettivo nel costruire il proprio essere e, in modo più
determinante, nel delineare un’immagine ben precisa, sfumandone l’intensità,
modificando gli strumenti del contatto con l’altro, senza peraltro travolgere
le prerogative primitive di quell ‘essere individuo, sacrificandole per altri
scopi più opportunistici.
In effetti. è vero, in questa società moderna con l’arrivo
del cosiddetto benessere, con la decadenza e la mancanza di valori, con la
voglia di distruggere tutto quello che è passato senza fornire proposte alternative
, con la plurifattorialità di pressioni cui è sottoposto l’uomo, è facile
perdere i rapporti con il proprio essere e ricercare il risultato immediato,
cambiando il proprio modo d’apparire anche più volte secondo i bisogni, perché
ciò è meno impegnativo ed è anche più redditizio rispetto ad una coerente
attesa di realizzo dei propri principi, anche se danneggia l’uomo e l’umilia
intimamente. Purtroppo la (volutamente) aumentata ignoranza della gente, la
pianificazione mentale voluta dai mass-media hanno creato false figure mito,
hanno favorito il particolare di facile presa per determinare un giudizio e
creare un’immagine diversa rispetto all ‘esame d’insieme, giocando sulla
sensazione immediata rispetto all’analisi del problema e ciò oggi, come allora,
può esser rappresentato dalla descrizione della folla del Manzoni nei Promessi Sposi.
Sono inoltre rientrati dalla finestra, per comodità del
mercato, alcuni concetti della filosofia marxista, come l’importanza del
concetto di “bisogni” – codificato in economia nella scala di Mosley
– per spiegare i comportamenti umani nel campo della realizzazione nel lavoro e
nelle scelte sociali, e quello di ‘sovrastruttura”, in
questo caso d’immagine per ottenere il consenso.
Mi ricordo sempre una frase di un mio superiore nella
professione, il quale lodava sì la mia capacità e serietà professionale, ma mi
consigliava, per fare carriera, di dire alla gente non quello che ritenevo
valido, ma ciò che in quel momento la gente voleva sentirsi dire da me.
A questo gioco “non ci sto”, non mi sento
d’esser conformista o camaleonte, preferisco magari attendere di più, ottenere
forse di meno, ma esprimere con maggiore coerenza quello che credo d’essere,
rinforzando i miei valori, ricercando sempre più nel mio animo, apparendo
quello che sono, con i miei difetti ma, vivaddio, con sincerità!
scelta di vita massonica può
essere un utile strumento per armonizzare ed unire i due concetti, l’essere e
l’apparire, perché contemporaneamente spinge alla conoscenza di sé, a saper
dare un significato razionale alle istanze profonde traducendole in atti
coerenti, a controllare meglio le esplosioni affettive utilizzando un contesto
comportamentale che all’inizio può sembrare rigido, ma che poi via via diviene
più aderente al proprio corpo ed anche al proprio “Io”, del quale è
parte integrante.
Questo model[o universale, espressione di fermezza e
tolleranza insieme, si costruisce con la formazione del Fratello durante il
cammino massonico, superando ogni dicotomia concettuale fra i due termini e
divenendo uno strumento di ulteriore sicurezza e coerenza per lui.
Bisogna tuttavia porre attenzione a che questo senso di
sicurezza non diventi troppo forte, nonché al rischio che, lentamente, questo
modello possa essere facilmente scambiato per il tutto, con conseguente senso
di onnipotenza, adagiandosi solo su questo e sul contesto di simboli e riti in
cui il modello è inserito: si perderebbe infatti l’essenza stessa del suo
esistere, non trasmettendo più la parte vera, vitale del Fratello. Pertanto,
per evitare che questo avvenga, occorre a mio avviso alimentarlo sempre di
contenuti interiori. rinforzarlo con l’analisi dei cardini su cui si fonda mantenerlo
vitale con il calore
Dagli
“Antichi doveri” agli eterni valori dell’arte
a 300
anni dalla Costituzione di Anderson
La storia è
custode della nostra provenienza e delle nostre origini. Conoscerla appaga la
nostra sete di conoscenza dando una risposta a quesiti esistenziali facendoci
capire chi siamo e da dove veniamo.
Conoscere il passato ci permette di non ripetere errori già commessi,
ispirandoci, rendendoci più umili e consapevoli.
Amo rileggere il
passato dal punto di vista del presente cercando un filo rosso che mi permetta
di comprendere meglio gli avvenimenti del qui e ora.
Quella che vi sto
per raccontare può essere definita la storia dell’homo faber, di quella
parte di persone che costruisce, preserva e trasmette, che si concentra non
solo sui caratteri estetici, ma anche sui valori etici e morali.
Nel corso dei secoli il genere
umano ha sempre cercato di trasformare l’ambiente in cui viveva, esaltando
aspetti costruttivi per protezione prima e poi per comfort e per altre
motivazioni. Quasi sempre parliamo di storia dell’architettura, forse
sottovalutando l’importanza della geometria: una disciplina che, unendo
matematica e scienza, diventa linguaggio dell’architettura. Qualunque
composizione architettonica è costituita da forme geometriche più o meno
complesse che spesso si trasformano in elementi semiofori: oggetti
portatori di particolari significati di una comunità in un determinato momento
storico che, con il loro corredo di simboli storici, teorici ed emotivi,
spingono a una inedita percezione della realtà, stimolano ad abbattere barriere
e andare oltre ogni confine per approfondire la conoscenza di ciò che ci
circonda. Ma da chi proviene la storia della Geometria?
Adamo è il
progenitore: creato ad immagine del GADU aveva la Geometria nel proprio DNA: la
nobile scienza fondamento di tutte le arti che tramandò ai figli attraverso
l’utilizzo di arti e mestieri. Caino, figlio di Adamo, edificò la prima
città, ENOCH, con i principi della geometria e della muratoria.
IMMAGINE, Caino
fonda la città di Enoch
Anche Seth, fratello di
Caino, fu educato alla geometria e alla muratoria che trasmise ai suoi
discendenti. Noè, nono discendente di Seth, ricevette da Dio l’ordine di
costruire la grande Arca che, seppur di legno, fu fabbricata in base alla
geometria e secondo le regole della muratoria.
IMMAGINE,
Costruzione dell’Arca di Noè
Babilonia e la Torre
di Babele. A distanza di circa 100 anni, ritroviamo i principi della
geometria e della muratoria nella Grande Torre di Babebe (Babilonia) che,
seppur non conclusa a causa della vanità che muoveva l’impresa, rimane un
esempio architettonico che fu trasmesso alle dinastie successive. Non si
esclude che nasca da qui l’abitudine dei Muratori di comunicare senza
l’utilizzo delle parole e di riconoscersi con i segni (per non rischiare la
confusione nell’utilizzo di lingue diverse).
IMMAGINE,
Costruzione della Torre di Babele
EGITTO. Dopo
sei anni dalla Torre di Babele, l’Arte Reale venne portato in Egitto: le
frequenti esondazioni del Nilo obbligavano alla costruzione di nuovi maestosi
edifici attraverso l’utilizzo della
geometria e della muratoria.
IMMAGINE, Tempio
dell’antico Egitto
Abramo, che
apprese a UR, in Caldea, la geometria, primo dei Patriarchi e capostipite del
popolo ebreo e di quello arabo, 268 anni dopo Babele trasmise la geometria e le
arti ai figli e ai 12 Patriarchi.
IMMAGINE, La casa
di Abramo in Caldea
Successivamente fu Dio,
attraverso il suo profeta Mosè prima di giungere alla Terra Promessa, a
trasmettere alle persone dedite alla pastorizia e alla guerra, trasformandoli
in abili muratori, un nuovo tipo di architettura in pietre e mattoni.
Una tecnica che permise ad alcuni capo tribù di costruire la tenda più gloriosa
(Tenda dell’Esodo) che, seppur non in pietra e mattoni, fu esempio di
straordinaria architettura – assunta successivamente a modello del Tempio di
Salomone).
IMMAGINE, Mosè in
piedi tra gli Israeliti nel deserto
La Tenda dell’Esodo fu
progettata secondo i principi geaometrici che Dio aveva mostrato sul monte
Sinai a Mosè che divenne Maestro Muratore Generale e ordinò altri
muratori costituendo una GRAN LOGGIA REGOLARE sostenuta da Doveri e Ordinanze
con cui avrebbero dovuto confrontarsi.
Il Tempio di Salomone – Re
di Israele, Principe della Pace e dell’Architettura per Divina Ispirazione – è
iniziato e si è concluso nel breve tempo di sette anni e sei mesi con 3.600
Maestri Muratori, 80.000 tagliatori di Pietra (Compagni d’Arte) e 70.000 operai
comuni (Apprendisti). A questi si unirono i Muratori di Hiram, Re di Tiro, tra
i quali Hiram (suo omonimo) considerato il Muratore più perfetto della Terra.
Fu edificata una costruzione maestosa capace di ospitare 300.000 persone.
IMMAGINE, Tempio
di Salomone
L’Arte Reale. Il Tempio di
Salomone fu considerato l’esempio di muratoria più sublime della Terra, la più
grande meraviglia del mondo, consacrato e dedicato a Re Salomone. Il Tempio,
ritenuto esempio sublime di armonia, divenne modello per il mondo e, di
conseguenza, la muratoria fu perfezionata in tutte le nazioni vicine per merito
di tutti gli artisti coinvolti nell’impresa che diventarono Gran Maestri di
quest’Arte Reale.
IMMAGINE, La
costruzione del Tempio di Salomone
Zerobabele,
generale e Maestro muratore, edificò una nuova costruzione (Tempio di
Zerobabele, intorno al 500 a.C.) sulle fondamenta del Tempio di Salomone (più
piccolo e meno prezioso, ma fortemente ispirato al suo modello).
IMMAGINE,
Zerobabele mentre fa costruire il Tempio
Arte Reale nella Grecia antica non andò
oltre al Tempio di Salomone, anche se Pitagora nel primo libro di Euclide,
manifesta idee e formule che costituiscono il fondamento della Muratoria che
sarà applicata nella Tomba di Mausolo (circa 350 a.C.) che, circondata
da 26 colonne, venne considerata una delle sette meraviglie del mondo (andata
distrutta da un terremoto).
IMMAGINE,
Mausoleo di Mausolo
Un deciso passo avanti fu
prodotto dal matematico e filosofo Euclide di Tiro (circa 300 a.C.),
considerato padre della geometria ed uno dei più grandi matematici dell’epoca
greca. Attraverso il suo libro di matematica “Elementi”, rese la geometria
ancora più efficace evolvendo anche la muratoria.
IMMAGINE,
Copertina del libro Elementi
Gli Antichi Romani appresero la
geometria e la scienza muratoria dai maestri dall’Egitto e dalla Grecia (loro
prigionieri) facendo diventare Roma centro della Cultura del mondo che
raggiunse il top con GiulioCesare (I sec a.C) che, divenuto Grande
Maestro della Loggia Romana, stimolò gli artisti cresciuti nella “libertà
romana”, in particolare Vitruvio (I sec a.C), padre di tutti gli
architetti, nella costruzione di splendidi edifici (modelli di muratoria per i
tempi successivi ricordati come “Stile Augusteo”). Durante l’Impero Romano
nel V sec. d.C., fu eretta una Loggia in quasi tutti gli accampamenti
romani: in questo modo la grande abilità tecnica fu diffusa in molte regioni
d’Europa.
IMMAGINE, Il De
Architectura di Vitruvio
La crescente pressione delle
invasioni barbariche, unita alla lotte interne per il potere, contribuì alla caduta
dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e alla conseguente distruzione di
molti edifici romani (Goti, Vandali,
Unni) con l’immensa perdita della Muratoria Romana.
IMMAGINE, La
minaccia dei Barbari nell’Impero Romano
Una volta tornati un “popolo
libero e cristiano”, furono gli abitanti dell’Inghilterra ad imitare i Greci e
i Romani costruendo logge, incoraggiando muratori e traendo insegnamento dai
Principi stranieri nei cui dominio l’Arte Reale era stata preservata. È il caso
di Carlo Martello, Re di Francia (737-741) che per desiderio del Re dei
Sassoni, inviò in Inghilterra Compagni d’Arte ed esperti architetti (genesi
della successiva Arte Gotica).
IMMAGINE, Apiro
il Palazzo di Carlo Martello
Le sanguinose guerre successive
non intralciarono l’evoluzione e la costruzione di edifici superbi da parte
dell’Alto Clero e della Corona: il Principe Edwin (924-933), figlio del
Re Edoardo il Vecchio, una volta istruito nella muratoria e assunti i doveri di
Maestro Muratore, per il suo amore verso l’Arte, redasse una Carta di
Previlegi che autorizzava i muratori ad avere un Ordinamento autonomo
costituendo a York la Loggia Generale, di cui fu Gran Maestro, e la
redasse in lingua inglese.
IMMAGINE,
L’annegamento in mare di Edwin
Re Edoardo III (1312-1377)
ebbe un eccellente servitore Henry Yevele che fu chiamato Libero
Muratore del Re che edificò numerose abbazie, oltre alla Cappella di
Santo Stefano e WestMinster. Sotto il Regno di Edoardo IV (1442-1483),
fu redatto il Documento dei Liberi Muratori con l’intento di
perfezionare la costituzione delle Logge inglesi.
IMMAGINE, The
Constitutions of the Free-Masons
Sarebbe incompleto affrontare la
storia dell’Arte Reale, della Massoneria, senza incrociarla con la storia dell’alchimia:
una scienza esoterica il cui primo fine era quello di trasmutare il piombo o il
mercurio (ovvero ciò che è negativo) in oro (ciò che è positivo nell’uomo per
fargli scoprire la sua vera natura). Gli alchimisti cercavano di rendere
occulti i propri studi, usando metafore, allegorie e simboli, per preservare le
loro conoscenze da quanti erano impreparati a comprenderle con il rischio di
farne cattivo uso.
Disegno di un antico
laboratorio di alchimista
Il trattato più antico
sull’Alchimia nell’Occidente Latino, dovrebbe essere quello di Democrito,
“Le cose naturali e iniziatiche” (circa V Sec. a.C.) in cui a
riflessioni teoriche aggiungeva esempi pratici. Eco di questo trattato la si
ritrova in Sassonia, nel 1125, con il testo di Teofilo “Breve
esposizione delle diverse arti”. Nella prima metà del 1200, l’alchimia ebbe
grande importanza intorno a Federico II.
IMMAGINE,
Teofilo, Le varie Arti
Il Medioevo, epoca così
favorevole alla costruzione di grandi edifici religiosi o signorili, vide la
nascita di numerose corporazioni o confraternite motivate da obblighi sociali e
corporativi comuni che convolse numerosi scalpellini ai quali venivano imposti
principi etici e morali. Uomini dediti alla costruzione materiale e sociale
della società umana uniti dallo stesso desiderio di raggiungere la verità.
IMMAGINE,
Confraternite Medievali
Il Corpo storico della Massoneria
Anglosassone ci è stato tramandato con numerosi manoscritti (i più antichi del
1390, presenti nella Costituzione di Anderson del 1723) “Antichi
Doveri”, la maggior parte dei quali attribuiti ai primi scalpellini
operativi in Inghilterra, che contenevano regole, doveri e obblighi morali
che tutti gli appartenenti ad una loggia dovevano conoscere e rispettare.
IMMAGINE, Antichi
Doveri della Massoneria Operativa
Più o meno nello stesso periodo,
in Italia ci fu una sorta di ”rinascita” con Pietro Bono da Ferrara
(inizio 1400) che spostò l’alchimia da sola scienza legata per lo più alla
chimica, alla metallurgia verso la filosofia. La trasmutazione non
poteva essere compresa solo dalla logica: per afferrare l’oltre era necessario
conoscere più codici espressivi: metafore, allegorie e simbolismo pittorico
desunto dalla mitologia greca e dal simbolismo cristiano. Nel Quattrocento
iniziano a comparire i trattati alchemici illustrati con disegni e opere
d’arte. La svolta si ebbe nel 1463, quando Cosimo de Medici incaricò
Marsilio Ficino di tradurre “Corpus Hermeticum” di Ermete
Trismegisto (125-180 d.C.), ritenuto padre dell’alchimia.
IMMAGINE, Corpus
Hermeticum di Ermete Trismegisto
Quello tra la Libera Muratoria e
l’Alchimia è un rapporto che inizia dal 1500 quando le ultime Logge operative
iniziarono ad accogliere studiosi e intellettuali che presero il nome di Massoni
Accettati (furono le Logge Scozzesi a formalizzare i Massoni Accettati nel
1634). In questa “nuova massoneria” iniziarono a confluire tutta una serie di
conoscenze esoteriche (tratte dalla Bibbia, dalle medicina, dalla filosofia,
dall’Ermetismo, dall’Alchimia, dall’architettura, dall’economia, ecc.) che, con
il tempo, andarono a comporre la struttura portante dei Rituali Massonici
Speculativi sottoforma di riti, simboli e gradi iniziatici, uniti da un Linguaggio
Architettonico elevato a Codice Iniziatico.
IMMAGINE, La
Nascita della Massoneria
È proprio tra Quattrocento e
Cinquecento (Rinascimento) che l’opera alchemica viene definita Grande
Arte perché con essa si cerca di trasmutare la vita, nel modo di essere e
di fare. L’alchimista, in modo creativo, imita i processi e i tempi della
natura e come l’artista concretizza la propria immaginazione e modella
l’esistenza assecondando la propria ispirazione.
IMMAGINE DI BOTTICELLI, La
nascita di Venere, 1482/85
Dipinto che evidenzia le 4 fasi
del processo alchemico: Il nero della sabbia (morte metaforica), il bianco
della conchiglia, simbolo della natura mercuriale della donna
(trasmutazione e rinascita), il giallo oro dei capelli (presa di
coscienza) e il rosso del mantello (completamento del viaggio
alchemico).
L’alchimia può definirsi il
miglior utilizzo possibile degli opposti, dei materiali grezzi a disposizione
dell’uomo. Allo stesso modo, l’arte visiva amalgama colori, luce, superficie,
forme e materiali per rendere percepibile l’invisibile, l’infinito e l’eterno.
I grandi artisti tendono a dilatare il rapporto con lo spazio e il tempo: ne
scaturisce quella che potremmo definire pittura dell’immaginazione che
mette in contatto l’anima dell’artista con le anime del mondo.
IMMAGINE DI HIERONIMUS BOSCH, “Trittico
del giardino delle Delizie”, 1480/90
Una sorta di sintesi della
storia dell’umanità raccontata attraverso simboli medievali. Dall’incontro di
Adamo ed Eva che scatenarono tutti i mali del mondo (pannello di sinistra) ai
peccati carnali con in evidenza i simboli di salvezza e di rinascita – un
grande pesce e l’uovo (pannello centrale), fino alla visione infernale con la
caducità dei beni materiali (pannello di destra).
Non è un caso che grandi artisti
siano stati anche operatori alchemici: lo studio del pittore si trasformava in
un laboratorio alchemico quando macinava minerali e vegetali, mesticava le
quantità di colorante e diluiva il tutto con sostanze leganti ed essiccanti.
Chi non era alchimista, frequentava operatori alchemici dedicando dipinti al
loro lavoro.
IMMAGINE DI LEONARDO, Homo
Vitruviano, 1490
Siamo in pieno Umanesimo:
l’uomo viene rappresentato come unità di “misura dell’Universo” a cui è unito
con un rapporto di perfetta armonia. Con le braccia e le gambe allargate, è
iscrivibile in un cerchio, in un quadrato, in un triangolo isoscele e in una stella
a cinque punte.
Allo stesso modo, gli alchimisti
coltivano la “Immaginatio vera”, che controlla la propria visione
interiore senza soffocarla permettendo alle immagini di cristallizzarsi. Non si
limitavano a scrivere le loro ricerche, ma riproducevano anche molti disegni
attraverso i loro sogni e incubi.
IMMAGINE DI DURER,
Melancolia, 1514
La parola MELANCOLIA (10
lettere) è accompagnata da una “S” (simbolo del carattere volatile della
materia) e dal numero romano “I” (simbolo della prima fase alchemica –
nigredo). Insieme le lettere sono 12: simbolo dei mesi dell’anno e dei segno
zodiacali. Tra molti altri simboli, in evidenza il compasso in mano ad una
figura femminile che allude allo spirito che guida e modella la materia).
Nel 1561 a Parigi fu pubblicata
la prima “Storia dell’Alchimia” scritta da Robert Duval: nonostante la
pratica alchemica fosse segrteta e occulta, gli alchimisti manifestavano
apertamente il loro interesse. Tra essi, anche personaggi famosi come Cosimi I
de Medici e Francesco I de Medici che fece dipingere nel suo studiolo in
Palazzo Vecchio “Il laboratorio dell’alchimista” da Giovanni Stradano.
1570.
I Re di Scozia incoraggiarono
l’Arte Reale fin dall’unione delle corone (Inghilterra, Scozia e Irlanda,
1603). Ne conseguirono edifici importanti e un gran numero di Logge. Gli
antichi sovrani furono spesso Grande Maestri, finché non fu concesso ai
muratori di Scozia di avere un Gran Maestro e un Grande Sorvegliante stabili
(accettati da tutti i Fratelli) a mantenere l’ordine e la disciplina.
IMMAGINE, edifici
del Seicento
Re Giacomo VI di Scozia
(1603-1625), da muratore rinnovò le Logge inglesi e riscattò l’architettura
romana e li stile Augusteo grazie ad artisti come il Bramante, Raffaello,
Giulio Romano e un grande architetto come il Palladio. Seguiranno
decenni di alti e bassi che si chiuse con i regni de Re Guglielmo III
(1672-1702) e della Regina Anna (1702-1707) che videro rifiorire lo
stile Augusteo in un gran numero di edifici.
IMMAGINE DI BRAMANTE,
Tempietto di San Pietro in Montorio
Gli Antichi Doveri sono
quelli presenti nella Costituzione di Anderson del 1723, ratificati e
adottati dalla nuova istituzione costituita nel 1717: la Gran Loggia di
Londra e Westminster.Negli anni successivi furono tradotti in
francese, tedesco e italiano.
IMMAGINE DI WILLIAM BLAKE, Il sole
alla porta d’Oriente, fine 1700
Evidenti i quattro colori di un
processo alchemico (nero, bianco, giallo e rosso). L’apprendista è
metaforicamente morto e rinato diventando maestro alla Corte del GADU. Il
compasso, simbolo dello spirito e del suo potere sulla materia, disegna e
percorre i cerchi del mondo.
Nonostante tutto, non possiamo
redigere una storia completa e certa della Massoneria prima di questa data:
nessuno è in grado di garantire che i costruttori di edifici monumentali
fossero liberi muratori (liberi di nascita e da ogni schiavitù). Anche se
testimonianza degli artisti potrebbero risultare indizi importanti.
IMMAGINE DI JOHANN HEINRICH
FUSSLI, l’incubo, 1781.
Il demone-incubo siede sul corpo
di una giovane donna, fin quasi a soffocarla. La testa di un cavallo (simbolo
delle tenebre) rende ancora più drammatica la scena. Il bianco delle vesti
indica la possibilità di una Rinascita, il giallo e il rosso delle stoffe
alludono al compimento del procedimento alchemico.
Il libero muratore, nell’analisi
che lo conduce a indagare la realtà, parte dall’esercizio del dubbio per poi
superare l’ostacolo posto dalla superficie delle cose indagando l’oltre. La
verità – essenza del reale – , che di volta in volta scoprirà, non sarà mai
definitiva e si concederà solo a coloro che avranno un percorso tra le colonne
all’interno del tempo iniziatico (Grande Tempo).
Sotto quella ciotola piena di stelle che
gli uomini chiamano cielo, l’universo è gravido di mistero. L’uomo si
fa querens e il querere si fa dovere, necessità, felicità. Dovere, in
quanto tributo che l’uomo deve pagare al suo essere razionale.
Necessità, quale unica forma di consolazione concessa al suo fragile
essere mutevole. Al postutto, fonte di autentica felicità per essere
l’uomo nato al fine di conseguire una conoscenza stabile e certa del
vero, non desumibile dalle tare delle res obscurae del sensibile regno
della mutevolezza. Il nostro pensiero interrogante oggi ha come oggetto
un tema fra i più complessi e delicati, seppure per certo fra i più
affascinanti. Si insegna che il compito e il fine dell’Arte regia sono
costituiti dal rendere l’uomo umano, sempre più umano, sempre più
pienamente umano. È la nota lezione di Fichte (che può leggersi in
Filosofia della Massoneria, nella seconda edizione italiana pubblicata
nel 2019 da Mursia editore. Su questo tema cfr. amplius il nostro
scritto Fichte. Filosofia della Massoneria comparso nel numero di
Officinae del mese di Novembre 2021). Il significato profondo di questo
assunto esige però preliminarmente di appurare in che cosa si risolva
l’umanità, che cosa la sostanzia, che cosa l’alimenta.
All’approfondimento di tutti questi temi saranno pertanto dedicate tutte
le successive considerazioni. A questo fine aiuta sicuramente un
approccio all’argomento dal profilo storico, sia pure circoscritto
all’essenziale. I primi che alla problematica hanno dedicato una
specifica attenzione sono stati sicuramente i Greci. Nella loro grande
epoca hanno infatti posto l’accento sulla necessità di dare un
significato e un senso alla parola umanità, che hanno poi inteso come il
punto di arrivo di una educazione necessaria per superare la naturale
animalitas dell’uomo. L’uomo, unità di corpo, anima e spirito, sebbene
essere razionale è infatti, e rimane pur sempre, un essere animale.
Animalità che può essere tuttavia corretta, e perfino completamente
eliminata, con la παιδεία, non essendo a questo fine sufficiente la
semplice attribuzione all’uomo di una anima immortale o della facoltà
della ragione. Troppo noti, per essere elencati singulatim, sono poi gli
strumenti dei quali si avvale la παιδεία per contrastare l’arbitrio
degli istinti e la barbara brutalità. Valga piuttosto ricordare che la
virtus romana altro non è che la incorporazione della παιδεία elaborata
dai Greci, pur restando vero che la humanitas viene per la prima volta
pensata ed esplicitata con questo nome solo al tempo della Repubblica
romana. La parola παιδεία viene infatti tradotta con la parola
humanitas. Nella sua essenza, il primo umanesimo resta quindi un
fenomeno specificatamente romano che scaturisce dall’incontro della
romanità con la cultura della tarda grecità. Il cristianesimo ravvisa
invece la humanitas dell’homo nella sua limitazione rispetto alla
deitas. L’uomo, in questa prospettiva, non è infatti di questo mondo,
inteso invece come un semplice luogo di passaggio transitorio verso l’al
di là. È noto che il Rinascimento – tra il XIV e il XVI secolo –
celebra la humanitas nella sua latitudine più vasta. L’aforisma del
drammaturgo latino Terenzio: Homo sum, humani nihil a me alienum puto
(“Sono uomo, nulla di ciò che è umano ritengo a me estraneo”) era
infatti il più amato e il più citato dagli umanisti della renascentia
romanitatis, nonostante poi che, nel suo contenuto, si continui a
intravedere ancora la pratica del vizio come prova di una umanità non
ancora del tutto raggiunta. Salda comunque rimane ancora la convinzione
che il destino della persona umana sia non soltanto l’autotrascendenza,
ma addirittura la divinazione. In questa prospettiva, il modello diventa
allora il Salvatore, vero uomo e vero essere divino. Da ultimo, ma non
per ultimo, non è inutile ricordare che l’umanesimo rinascimentale ha
costituito il movimento culturale e educativo più influente in Europa in
tutto quel periodo. Nella funzione educativa si riconosce poi
un’importanza decisiva alla cultura, intesa come il modo in cui un
gruppo di persone vive, pensa, sente, si organizza, celebra e condivide
la vita. Alla cultura sottostanno infatti sistemi di valori, significati
e visioni del mondo che possono risultare determinanti fino al punto di
divenire fonte di divisione sociale. Come accade, ad esempio, nella
cultura contemporanea dominante in Occidente, che esclude ogni forma
religiosa dai valori riconosciuti perché degradata a mera superstizione
o, addirittura, a oscurantismo. Per concludere sul punto, la cultura è
come una lente che può chiarire o distorcere convinzioni in apparenza, e
non solo, innate. Proprio perché pervasiva – le sue idee riempiono le
nostre teste – può essere sana o tossica. Per questo – la ripetizione si
impone – costituisce un fattore educativo di portata determinante. (Per
un approfondimento di questo argomento ci permettiamo di rinviare al
nostro precedente scritto dal titolo Massoneria e cultura pubblicato sul
numero di questa Rivista uscito il 23 maggio 2021). Per esaurire questo
sommario excursus dell’Umanesimo storicamente considerato, corretto è
infine affermare che il fenomeno de quo, considerato nelle sue varie
forme, attinge in modo determinato alla antichità, spingendosi talvolta
fino a farne un calco integrale. Fatta eccezione per l’umanesimo di
Sartre che lo concepisce invece come esistenzialismo. Ciò doverosamente
seppur sinteticamente ricordato, al fine di delineare il nostro pensiero
sull’argomento va precisato innanzitutto che tutte le forme di
umanesimo che si sono via via affermate fino ad oggi presuppongono –
come è evidente – l’“essenza” universale dell’uomo. È dunque a questa
“essenza” che si deve far capo se s’intende dare, come ci si è proposti,
un sicuro fondamento e un preciso contenuto a quella umanità che si
vuole costituisca la cifra caratteristica e la peculiarità distintiva
dell’uomo UOMO. Secondo l’insegnamento tradizionale inaugurato da
Platone, l’essenza dell’uomo deve essere ravvisata nel suo essere una
possibilità. Quando si afferma che la humanitas è l’essenza dell’uomo si
vuole pertanto dire che l’uomo è arbitro delle sue scelte, potendo
diventare umano o in-umano. In-umano, in quanto figlio dell’arbitrio e
della sopraffazione, autentico inferno per il tormento di non amare
nessuno. Umano perché agli antipodi del negativo, che, in quanto rifiuto
della ragione, merita il marchio della riprovazione. Il che, se non
andiamo errati, autorizza legittimamente a sostenere che l’umano esiste
nell’uomo soltanto in nuce. Infatti, è solo quando da potenza si
trasforma in atto che l’umano si dispiega in tutta la sua latitudine per
divenire ciò che autenticamente è. Il che postula allora la domanda su
cosa consista il contenuto dell’umano, quale sia cioè la sua cifra,
ossia la peculiarità che lo caratterizza. A chi scrive queste note
l’umano, quale sintesi di valori inalienabili e inespropriabili, va
colto essenzialmente nella cura dell’altro come dono da offrire e
mettere in comunione con quello di cui ciascun altro è portatore. Una
cura aperta in termini universali, perché estesa a livello non solo
umano, ma pure sociale, planetario, cosmico. Anche se, in primis,
indirizzato all’uomo con la diffusione di semi di verità, di bontà, di
bellezza, ma pure di sostegno materiale nei confronti dei più bisognosi,
degli umili, dei diseredati, a questi ultimi uniti nel loro rispettivo
dolore. Il che – sia detto per incidens – è tanto più urgente in questa
attualità connotata dalla indifferenza. Si tratta poi di una cura, dove
la sottolineatura è perfino superflua, non nel senso astratto di un
impegno generico ma in un senso concreto, indirizzata nei confronti di
una persona specifica: impegno duraturo che non deve passare rapido come
il soffio di un vento di montagna. Il che postula una generosità
coltivata giorno per giorno, come avviene per una piantina a primavera, e
nel contempo la forza eterna del bene che si custodisce nel tempo, con
radicale esclusione di ciò che soffoca. Altrimenti il negativo
strangolerebbe e ucciderebbe lo slancio generoso. Prendersi cura
dell’uomo vuol dire, in sintesi, insegnare all’uomo germogli vivi di
tenerezza che, una volta coltivati dall’apprendista-uomo, gli
consentiranno di donare agli altri la propria autentica essenza, come
dire la ricchezza più preziosa del proprio essere, sostanza composita
perché in quel contenitore confluiscono logica, generosità, tradizione,
valori e, più in generale, lo stesso inconscio collettivo.
Da qui una responsabilità educativa di carattere generale che comporta
la messa in atto di una delicata e risoluta paideia secondo la regola
pedagogica della gradualità. In ogni caso, una educazione al difficile,
tanto per l’educando quanto per l’educatore, posto che un’azione
educativa coerente implica l’indicazione di sentieri di vita orientati
al bene: un richiamo energico a vivere la vita in pienezza e
responsabilità, trasformandola creativamente ogni giorno nell’arte del
dono. Fare di se stessi gli artefici del miracolo di trasformare l’altro
in una immagine di virtù è la realizzazione del sogno che nutre
l’uomo-uomo, l’uomo umano. La non umanità coincide allora con il porsi
fuori dell’essenza dell’uomo. Come a dire vittime del dominio
dell’istinto, dell’arbitrio, del sopruso, della sopraffazione, della
forza e della violenza (purtroppo così attuali mentre scrivo!). Stare
dalla parte dell’umano e servirlo con scrupolo e costanza significa
conclusivamente contrastare, con ferma determinazione, tutto ciò che
anche soltanto appanna la luce che scaturisce dalla ricchezza della cura
dell’altrui. Nella nostra società contemporanea significa, in
specifico, contrastare tutto ciò che c’è di insidiosamente distruttivo,
quali le pressioni competitive, la seduzione del consumismo, l’invadenza
della pubblicità e tutti gli altri influssi che modellano negativamente
l’attuale modo di vivere. Sul piano intellettuale l’opposizione e il
contrasto vanno poi indirizzati a quella corrente culturale, oggi
dominante nel mondo occidentale, chiamata postmodernismo, perché
filosofia essenzialmente scettica. Il suo principio basilare è infatti
questo: la verità è soltanto tutto ciò che è vero “per me”. Con la
conseguenza che l’assenza di una verità oggettiva finisce per impoverire
l’umano perché, a questa stregua, viene meno un punto di riferimento
sicuro nella vita di ciascuno di noi, gioia e guida che tengono lontano
dall’insensato vagare tra incertezze e rischi oltremodo pericolosi.
Dunque, se si vuole rendere l’abitante di questo mondo, tanto complesso e
difficile, sempre più uomo, sempre più umano, sempre più pienamente
umano, non solo nella sfera dell’esercizio individuale della
speculazione ma proprio nella concretezza del sensibile, occorre, a ben
vedere, compiere ogni sforzo nella divulgazione della paideia, posto che
quest’ultima fornisce tutti gli strumenti necessari per affinare l’uomo
fino a trasformarlo in un uomo autentico. Impresa da compiersi senza
posa, perché in questa costruzione lenta, faticosa, sempre
soggettivamente appagante, oltre che collettivamente arricchente, non
v’è in verità mai fine.
Dall’insegnamento di Wirth si evince che l’uomo comune lavora per vivere, mentre è privilegio dell’uomo saggio (e quindi anche del massone) vivere per lavorare. Più i massoni cercano di costruire e non di distruggere, di testimoniare e non di contendere, più risultano idonei al ruolo di perfezionatori dell’umanità che li contraddistingue da secoli
Tavola del fr:. A. Z:.
La vita nel mondo profano è spesso caotica, ingarbugliata e
perennemente accelerata… Le persone sono costrette a correre sempre più, a
forzare tutti i ritmi, a cercare di incorporare, nelle ore che hanno a
disposizione durante la giornata, il lavoro ordinario, spesso e volentieri
quello straordinario, quello che riguarda la professione e quello che riguarda
la famiglia.
Il lavoro, all’uomo, è sempre stato presentato come una
sorta di castigo divino, come un pegno che siamo obbligati a pagare per poter
raggiungere gli obiettivi minimi della nostra esistenza.
Basti pensare a Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso e
condannati ad una vita di lavoro e fatiche. Ma non c’è bisogno di scomodare i
nostri primi antenati per costatare che, anche al giorno d’oggi, la maggior
parte delle persone vive il loro lavoro come una sorta di schiavitù, di
condanna ai lavori forzati; si consumano quotidianamente drammi che vedono
protagonisti uomini e donne, ostaggi del sistema che non riescono a liberarsi
da questa terribile piaga: il lavoro.
Leggendo alcuni autorevoli scrittori massonici mi sono
trovato in completo accordo con la tesi di O. Wirth: “La vita consiste
nell‘azione: senza l’azione la vita non djfferisce in nulla dalla morte. Vivere
oziosi non è vivere, è vegetare…”. “. Da queste parole si evince che l’uomo
comune lavora per vivere, mentre è privilegio dell’uomo saggio (e quindi anche
del Massone) vivere per lavorare. Questa maniera di intendere la parola LAVORO
come un’attività assolutamente positiva, vitale, che riesce a nobilitare l’uomo
che la compie, è ciò che mi suggerisce maggiormente il concetto di “lavoro
massonico”.
Qual è dunque il “lavoro massonico” che i Liberi Muratori
sono desiderosi di compiere? Penso si tratti soprattutto di un lavoro di
costruzione e testimonianza di ciò che è stato edificato.
Più i Massoni cercano di costruire e non di distruggere, di
testimoniare e non di contendere, più risultano idonei al ruolo di
perfezionatori dell’umanità.
Forse è proprio questo desiderio di perfezionamento che ci
contraddistingue e ci caratterizza. Il Libero Muratore compie il suo lavoro
massonico soprattutto compiendo un perfezionamento su se stesso, cercando di
migliorarsi in maniera autocritica e propositiva; diciamo perfezionamento e non
progresso: progresso, oltre che essere un termine estremamente inflazionato.,
ha un senso più corale, mentre perfezionamento è prima di tutto degli
individui.
E’ il perfezionamento delle varie individualità che dà senso
compiuto alla crescita corale e innesca quell’”egregio”, quella vibrazione che
a questo stato più elevato, più perfezionato, attraversa il cuore di tutti i
fratelli seduti tra le Colonne.
Per riuscire a raggiungere questo particolare momento,
dobbiamo compiere un ulteriore lavoro su noi stessi: sostando in silenzio quei
pochi minuti nella Sala dei Passi Perduti, prima di entrare nel Tempio,la
nostra mente torna momentaneamente nel Gabinetto di Riflessione, “visitando
interiora terrae” per poi rigenerarsi e rinascere.
I pensieri profani sembrano così sbiadirsi, il nostro corpo
subisce una decelerazione e si creano quella concentrazione e quella
tranquillità interiore che ben dispongono l’animo e creano i presupposti al
nostro scopo principale, che è il perfezionamento dell’umanità.
Possiamo perseguirlo, non lanciando precetti o programmi, ma
edificando, all’interno del Tempio, l’Uomo Nuovo: l’INIZIATO!