UNA ACCUSA

UNA ACCUSA

– 1884

Articolo pubblicato il 10 maggio 1884, pochi giorni dopo l’Enciclica del Sommo Pontefice Leone XIII “Humanum Genus” contro la Massoneria, sul “Giornale di Roma” a firma del Cardinale Raphaël Monaco, plenipotenziario della Santa Universale Inquisizione Romana.

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Della Setta dei Massoni

Istruzioni della Santa ed Universale Inquisizione Romana a tutti i Vescovi del Mondo Cattolico.

Per allontanare i gravissimi mali arrecati sia alla Chiesa sia a tutte le classi dei cittadini dalla setta dei muratori e dalle altre che sono da lei originate, N. S. P. il Papa Leone XIII, con un’accorta decisione ha inviato recentemente a tutti i vescovi del mondo intero, la lettera enciclica Humanum genus. In questa lettera, il Santo Padre ha reso pubbliche le dottrine di tali sette, il loro fine e i loro disegni; vi descrive l’impegno che hanno adoperato i Pontefici romani per liberare la famiglia umana da una così nefanda peste; che a sua volta ha bollato con il marchio dell’interdizione e della censura, e suggerisce anche con quale sistema e con quali armi bisogna combatterli, e i provvedimenti per guarire dalle ferite che hanno causato. Considerato che sua Santità ha stimato che tali cure dovranno produrre dei frutti salutari, e che in una questione di così grande importanza le opere, i consigli e le attività di tutti i pastori della chiesa debbono essere impiegati in uno sforzo comune, ha incaricato questa suprema Congregazione della Santa Universale Inquisizione Romana di suggerire ai pastori le misure più efficaci e più opportune. In virtù di questo mandato del Sovrano Pontefice, come è giusto, gli Eminentissimi cardinali che ricoprono con me la funzione di inquisitori generali hanno creduto doveroso impartire queste istruzioni a tutti i vescovi ed agli altri ordinari di diocesi:

NOTE

1° Il molto clemente Pontefice desiderando soprattutto provvedere alla salute delle anime, seguendo la via del nostro Salvatore Gesù Cristo che non è venuto a chiamare alla penitenza il giusto ma i peccatori, invita con la sua voce paterna tutti quelli che si sono reclutati nella Muratoria e nelle altre sette condannate, a emendare le sozzure della loro anima ed a ritornare in seno alla divina misericordia. A questo fine, avvalendosi della stessa benevolenza del suo predecessore Leone XII, per un anno completo, a decorrere dalla data di pubblicazione dell’Enciclica apostolica sopra menzionate, sospende in ogni diocesi, l’obbligo di denunciare i correi ed i capi occulti di queste sette, ed anche la comminazione delle censure, accordando a tutti i confessori approvati dagli ordinari dei luoghi la facoltà di assolverli e perdonare tutti quelli che abbandoneranno le sette e ritorneranno sinceramente a resipiscenza in seno alla Chiesa. Sarà compito dei pastori consacrati di annunciare questa generosità del Sovrano Pontefice ai fedeli assegnati alle loro cure. Farebbero anche cosa degna della loro sollecitudine pastorale se nel corso di quest’anno, che il Pontefice vuole consacrare ad una clemenza speciale, sollecitassero i loro parrocchiani a meditare le verità eterne ed a rientrare nella rettitudine dello spirito.

2° L’intenzione di Sua Santità è che l’enciclica sia pubblicata con la più ampia diffusione, affinché tutti i cristiani comprendano quale terribile veleno circoli tra loro, e, se non prenderanno le opportune precauzioni, quale rovina li minacci con i loro figli. La dedizione più rigorosa e più energica sarà necessaria per applicare i rimedi proposti dal Pontefice e quelli che la prudenza di ciascuno consiglierà. Sarà necessario a questo fine, innanzi tutto sollecitare la capacità e lo zelo dei curati; in seguito fare appello a chi Dio, autore di ogni bene, ha accordato la facoltà di parlare e di scrivere, ed a questi perciò sarà rimesso l’incarico di annunciare la parola divina. A loro il compito di purificare il popolo cristiano dagli errori e di istruire la gioventù. I loro lavori siano consacrati a smascherare la Muratoria, i decreti empi e le manovre nefaste delle società condannate, ed a riportare nella via della salvezza chi, o per sconsideratezza o incoscienza, oppure per decisione voluta e con piena intenzione, vi ha aderito, ed a fornire consigli a chi non è ancora caduto in questi inganni.

3° Acciocché non vi sia ombra di dubbio, quando sarà necessario determinare a quali di queste sette perniciose si debba comminare le censure, e quelle che invece ricadono sotto una semplice interdizione, è assolutamente certo che la Massoneria e le altre sette che sono state indicate al quarto capoverso della costituzione pontificale Apostolicæ Sedis, sono colpite della scomunica latæ sententiæ, come tutte quelle che minacciano la Chiesa o i poteri legittimi, sia che agiscano palesemente sia segretamente, che esigano oppure no dai loro affiliati il giuramento di custodire il segreto.

4° Oltre a queste ci sono altre sette interdette che bisogna evitare per non cadere in peccato grave, nel gruppo occorre iscrivere primariamente quelle che esigono dai loro membri il rispetto di un segreto da non svelare, e impongono un’ubbidienza senza riserve ai loro capi occulti. Occorre prestare la massima attenzione ad alcune conventicole le quali, sebbene non possano essere indicate con assoluta certezza come collegate a queste di cui abbiamo parlato, sono tuttavia sospette e piene di pericoli, sia per le dottrine che professano sia per il loro modo di operare e per i capi intorno ai quali si raggruppano. Occorre che i ministri del culto che devono avere soprattutto a cuore la fedeltà intatta al Cristo e l’integrità dei propri parrocchiani, sappiano allontanare e proteggere il loro gregge, e questo con la maggior cura possibile, perché l’apparente onestà ostentata da queste sette può rendere il pericolo velato e quindi più difficile da appurare da parte di uomini semplici o dai giovani.

5° I pastori consacrati faranno, quindi, una cosa veramente utile ai fedeli e gradevole a Sua Santità se, alla maniera ordinaria ed usuale della predica pubblica, che bisogna assolutamente conservare, aggiungano quanto è di uso per difendere le verità cattoliche, cosa pertinentissima a dissipare gli errori di cui l’enciclica Humanum genus deplora la notevole diffusione a grave scapito delle anime. Questo sistema di insegnamento pubblico sarà molto salutare al popolo cristiano e all’oppugnazione degli errori. Esponendo chiaramente e metodicamente la forza e l’utilità della dottrina cristiana, risveglierà nell’anima degli ascoltatori l’amore della Chiesa cattolica che conserva la dottrina nella sua integrità e nella sua purezza.

6° Atteso che, a causa di detestabili artifici e di perfidie delle sette, i giovani i poveri artigiani ed anche gli operai si lasciano facilmente sedurre e catturare, bisogna applicar loro delle cure speciali. Per ciò che concerne la gioventù, bisogna soprattutto cercare, fin dalla tenera età, sia all’interno della famiglia sia nelle Chiese e le scuole, di formarli accuratamente alla fede ed ai doveri cristiani, di informarli diffusamente dei modi per difendersi dalle trappole innalzate da queste sette tenebrose, dimostrandogli che se cadono in queste reti, dovranno in seguito servire vergognosamente dei maestri iniqui, con la perdita sia della salvezza eterna sia della dignità umana. Si disporrà convenientemente alla difesa dei giovani, incoraggiando tra loro delle società poste sotto il patronato della Beata Vergine o di un altro protettore celeste. In queste riunioni, come negli oratori, soprattutto se dei sacerdoti o dei laici noti per la loro saggezza e la loro abilità vi saranno posti alla direzione, i giovani apprenderanno il gusto di coltivare la virtù, di professare apertamente la religione, sprezzando la derisione degli atei, e, allo stesso tempo, si abitueranno a detestare tutto ciò che è contrario alla verità cattolica ed alla santità.

7° Sarebbe molto utile che i padri da una parte, e le madri di famiglia dall’altra si unissero in un patto fraterno, in modo che le loro forze unite permettano loro di dedicarsi più correttamente e più efficacemente alla salvezza eterna ed alla buona educazione dei loro figli. Diverse associazioni di questo genere, sia di uomini sia di donne, si sono costituite in diversi luoghi, sotto la tutela di qualche potere celeste, e producono dei fausti frutti di religione e di pietà.

8° A proposito degli artigiani e degli operai, tra i quali, quelli che hanno l’obiettivo di minare i fondamenti della religione, hanno l’abitudine di fare proselitismo, i ministri del culto devono portare a loro conoscenza quegli antichi collegi di artigiani o quelle università o corporazioni di operai le quali, sotto un patronato celeste, nei tempi antichi, sono state l’illustre ornamento delle città, e hanno contribuito al consolidamento di tutte le arti. Occorre ripristinare, sia tra gli uomini che si dedicano agli affari di commercio sia tra quelli che si consacrano agli studi superiori, questi collegi, ed occorre che gli associati siano istruiti accuratamente ed addestrati ai doveri della religione, e contemporaneamente si prestino un aiuto reciproco nelle necessità umane, aiuto che la malattia, la vecchiaia o la povertà hanno costume di portare. I presidenti di questi collegi vigileranno diligentemente affinché gli associati si facciano notare per la probità dei loro atti, per l’abilità tecnica nei lavori e per la docilità e assiduità nel lavoro, in modo tale che possano procurarsi più facilmente ciò che è necessario alla vita. I ministri del culto non negheranno di vigilare su società di questo genere, di proporne o di approvarne i regolamenti, di conciliare per esse la generosità dei benestanti, affinché siano prese sotto il loro patronato e aiutate con le loro commesse.

9° La loro personale preferenza non dovrà mancare a queste lodevoli Società di preghiere e di opere le quali, formatesi in alcuni luoghi, prosperano già in altri. Con accurata attenzione occorrerà iscrivere tutti quelli che hanno dei buoni sentimenti religiosi. Atteso che il loro fine è quello di incoraggiare e di sviluppare, grazie ad un collettivo sforzo delle anime di tutta la Chiesa universale, le opere di religione e di pietà e di applicarsi assiduamente ad acquietare la collera divina, si comprende bene di quale utilità saranno in questi tempi disgraziati. Tra le formule di preghiere, i vescovi raccomanderanno soprattutto quella che trae il suo nome dal Rosario della Madre di Dio, quella che il Nostro Santo Padre ha recentemente, con così ampi elogi, raccomandato e consigliata tanto insistentemente. Tra le opere di pietà, si dia la preferenza a quelle dell’ordine di San Francesco: tale ordine cercherà di fare iscrivere il maggior numero di persone in collegi come quello di San Vincenzo da Paola o delle Figlie di Maria, e le splendenti opere da loro compiute, siano da plauso al mondo cattolico e a beneficio delle anime, e si diffondano ogni giorno sempre di più.

10° Infine, sarebbe conveniente, ovunque le condizioni dei luoghi e delle persone lo permettessero, di fare nascere delle accademie cattoliche. Promuovere queste utili assemblee o congressi, come è uso chiamarli; vi saranno invitati a partecipare uomini di élite di una o più regioni: è conveniente che i pastori non disdegnino di onorarle della loro presenza, affinché, sotto i loro auspici si possano adottare le soluzioni migliori per sviluppare il movimento cattolico, e le misure più utili nell’interesse della religione e della salute pubblica. Non sarebbe fuor luogo che quelli seguiti per gli scritti e per i loro lavori, avendo guadagnato la specialità di difendere i diritti di Dio e della Chiesa, si associassero sotto la direzione dei vescovi, adoperandosi per recidere alla radice i nuovi errori e le calunnie che ogni giorno vedono la luce.

Se tutte le forze che, grazie a Dio, sono ancora vive ed attive nella Chiesa, contribuiranno a raggiungere lo stesso obiettivo, sarà impossibile non raccoglierne i frutti abbondanti e recuperare la società attuale dal contagio funesto delle sette inique e restituirla alla libertà cristiana.

11° Lo scopo che oggi ci si propone non sarà realizzato se le forze non saranno unite, se gli arcivescovi non prenderanno con le loro decisioni soluzioni e provvedimenti su quanto conviene fare per dar seguito ai desideri del pastore supremo.

È nelle intenzioni del sottoscritto e di questa suprema congregazione chiedere che ciascuno di loro, senza indugio e per all’avvenire, quando farà un rapporto sullo stato delle diocesi non ometta di indicare quanto avrà fatto, in particolare o di comune accordo con i colleghi in episcopato, e quali risultati il proprio zelo avrà ottenuto.

Raphaël card. MONACO

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PITAGORA, STORIA, PENSIERO INIZIATICO E MASSONERIA

PITAGORA, STORIA, PENSIERO INIZIATICO E MASSONERIA


La Scuola Italica






Nella storia del pensiero iniziatico, la figura di Pitagora emerge per la sua eccezionale grandezza. Di ciò ebbero pienamente coscienza i suoi stessi primi discepoli, che lo celebrarono come un essere quasi divino.
Scarne sono le notizie attendibili sulla sua vita. Sarebbe nato a Samo nel 571 a. C. circa, da genitori appartenenti al casato di Anceo, fondatore della colonia. Giamblico riferisce che il padre di Pitagora, recatosi a Delfi con la moglie incinta per consultare l’oracolo, ebbe preannunziata la nascita imminente di un figlio che “per bellezza o sapienza avrebbe superato quanti mai erano vissuti e che per tutta la vita avrebbe massimamente beneficato il genere umano“.
Molto diffusa era la credenza che in realtà Pitagora fosse figlio del dio Apollo, che aveva voluto, fecondando la madre, far dono agli uomini di un fanciullo semidivino.
Giovanetto si distingueva per la sua straordinaria sapienza, al punto di essere ascoltato e stimato come una creatura divina. Quando Samo cadde sotto la Tirannia di Policrate, Pitagora fuggì dalla città e decise, dietro suggerimento di Talete, di recarsi in oriente. Fu iniziato a Tebe ai sacri misteri, e lì visse per ventidue anni, studiando presso le scuole dei sacerdoti egiziani geometria e scienze filosofiche. Occupato l’Egitto dalle truppe di Cambise, fu fatto prigioniero e condotto a Babilonia. Vi rimase dodici anni, suscitando ovunque, in tutti, grande entusiasmo per le sue conoscenze e la sua saggezza. In Mesopotamia continuando il suo perfezionamento iniziatico, a contatto di maestri sumeri e babilonesi, visse fino all’età di 56 anni. Poi nella pienezza della sua maturitàvolle ritornare a Samo, dove non restò a lungo, nonostante vi ricevesse grandi onori e la sua fama crescesse in tutta la Grecia. Decise di recarsi in Italia, precisamente a Crotone, dove fondò una scuola che in realtà era un vero e proprio centro di studi iniziatici, in cui si faceva esperienza di vita comunitaria. Il numero dei suoi discepoli rapidamente crebbe a dismisura ed analoghi centri pitagorici si costituirono in altre città della Magna Grecia, come Sibari, Reggio, Imera, Agrigento, Taormina. Questi centri svolgevano nelle città anche un certo ruolo politico. Forse per questo motivo, a Crotone, una sommossa contro la scuola, suscitata da un certo Cilone, disperse i discepoli, alcuni dei quali rimasero vittime e furono bruciati vivi. Il Maestro, costretto alla fuga, morirà a Metaponto nel 497 a. C. a 74 anni.
Per entrare appieno e capire l’essenza del pensiero iniziatico di Pitagora, non si può prescindere dal trattare della “Scuola Italica” e dell’organizzazione dell’Ordine.
L’Armonia deve essere alla base di ogni organizzazione umana. Partendo da questo principio necessario, Pitagora si mostrava estremamente severo nell’accettare degli sconosciuti nel suo Ordine. Egli operava una severissima selezione di tutti i postulanti, scrutava personalmente tutte le vocazioni ed attribuiva molta importanza all’impressione fisica che gli faceva il candidato. Sapeva ed insegnava che ogni essere umano emette di continuo radiazioni viventi intorno a sé, che colpiscono gli altri esseri e risvegliano in esse simpatie o antipatie spontanee. Questa reazione naturale è indipendente dalla volontà, la si subisce, non la si provoca; del resto, tale reazione sbaglia raramente, poiché la prima impressione è spesso quella buona: l’organismo reagisce automaticamente contro ogni minaccia esterna, allo stesso modo in cui combatte i microbi con la febbre. Sono soprattutto gli occhi ad avere una considerevole eloquenza: non sono forse un vero “specchio dell’anima?”
Superato il primo impatto, il Maestro faceva compiere su ciascuno di loro un’inchiesta dettagliata, che durava talvolta due o tre anni. Ecco, in particolare i punti che egli sottoponeva a verifica: Che comportamento aveva il candidato? Come trattava i suoi subordinati? Che atteggiamento assumeva nei confronti dei suoi nemici? Come si comportava verso i suoi superiori? Com’era di fronte ai suoi pari? Amava i suoi genitori? Sapeva mantenere un segreto? Non era troppo espansivo? Quali manie aveva? E quali abitudini? Che gente frequentava? Come reagiva ad un rimprovero, o a una lode, o a una prova? Obbediva facilmente? Era modesto, perseverante, lavoratore? Era disinteressato? Cercava la verità? Aveva carattere? Affermava la propria personalità?
Era infatti necessario salvaguardare gelosamente l’Ordine dall’intrusione di profani avidi o calcolatori, bisognava tener lontano gli intriganti, i curiosi, tutti i professionisti del commercio e dell’interesse. Pitagora scartava d’ufficio i postulanti la cui professione era suscettibile di ispirare i loro sentimenti di crudeltà e di insensibilità. E’ per questo che proscriveva senza appello i macellai, i gladiatori, i mercenari, i cacciatori. Chiunque facesse professione di versare il sangue non era iniziabile.
Non possiamo biasimare il Maestro per la sua eccessiva severità. Già ai suoi tempi, alcuni influenti politici volevano imporsi nel suo Ordine, grazie al lustro del loro nome o al peso delle loro ricchezze. Egli li scartò senza pietà e si fece in tal modo dei nemici implacabili. Il crudele Cilone, che un giorno solleverà la folla contro di lui e guiderà l’assalto al suo Tempio, era anch’egli uno dei rifiutato di Crotone; questa ferita sempre aperta, ci fa comprendere la vigilanza e la tensione del suo odio.
Quando ammiriamo la qualità trascendente dei suoi discepoli, quando osserviamo in che modo essi abbiano illustrato il pensiero antico, non possiamo imputargli la sua severità: egli infatti, con una premonizione sicura, con un infallibile istinto della verità, ha scartato gli impuri, i deboli e gli empi, ha avuto la mano felice, ha distinto il buon grano dalla zizzania.
Una volta ammesso al noviziato dell’Ordine, il giovane postulante veniva sottoposto a rudi prove, che avevano come scopo quello di temperare il suo carattere. Il candidato veniva trattato duramente e senza riguardi; veniva messo al servizio degli anziani; gli si imponeva un perpetuo silenzio; apprendeva a dominare la propria curiosità, a frenare ogni sollecitazione profana, a darsi alle gioie austere della meditazione. Gli veniva insegnata la Catartica o scienza delle purificazioni fisiche e morali. Questo stadio penoso durava talvolta cinque anni e veniva abbreviato solo per i soggetti eccezionali. Tale lunga attesa provocava l’effetto di renderli pazienti e docili, attivi e modesti, disciplinati nel corpo e nell’anima.
La severa formazione dei novizi comportava anche una prova supplementare, che doveva apparire loro particolarmente penosa ed incomprensibile. Mentre avevano ascoltato il Maestro nei discorsi pubblici che egli aveva rivolto agli exoterici, una volta ammesso alla scuola perdevano immediatamente ogni possibilità di vederlo o di rivolgergli la parola Talvolta il maestro riservava loro la fortuna di ascoltarlo ma senza vederlo. Li chiamava per nome, dava loro consigli utili e le sue parole piene di incoraggiamento e di conforto li incitavano a perseverare nel loro cammino. Solo dopo la loro ammissione al grado esoterico il velo veniva rimosso definitivamente e i novizi, resi migliori dalla prova, si ritrovavano faccia a faccia con il loro Maestro.
A tutti venivano imposte due discipline distinte.
La prima, l’Echemythia, consisteva nell’obbligo di mantenere il segreto sugli insegnamenti ricevuti, sul numero e sull’identità dei membri dell’Ordine, su tutto ciò che si riferiva alla vita corrente. Ogni indiscrezione veniva punita con l’espulsione immediata.
La seconda, o Kathartysis, consisteva nel rispetto verso la Gerarchia, nella sottomissione agli ordini del Maestro, nella docilità più esemplare, nel rispetto della disciplina comune, liberamente e gioiosamente accettata, nell’obbedienza più totale.
Con l’imposizione di queste virtù, il Maestro evitò i due vizi che logorano le altre collettività umane: da una parte, la chiacchiera sconsiderata, la sbadataggine, l’inutile comunicazione di segreti a persone incapaci di comprenderli, la demagogia insensata; dall’altra il disordine dovuto all’indisciplina, la divisione, le agitazioni sterili, i maneggi e le sregolatezze frutto della discordia e dell’egoismo.
Poiché la verità e la scienza non si acquisiscono con un’illuminazione improvvisa, Pitagora ripartì il suo insegnamento in diversi gradi di studi progressivi, gettando in tal modo le basi di una vera Università. Gli studiosi non concordano sulla denominazione di questi gradi né sul loro numero esatto. Ciò nonostante possiamo darne una nomenclatura logica basata pur sempre sulle fonti rappresentate dai testi, o meglio frammenti di testi, dei discepoli arrivati fino a noi.


Gli Exoterici
Il Grado Preparatorio, o Grado Zero, era aperto agli uditori Liberi che seguivano le udizioni pubbliche del Maestro. Era in seno ad esso che venivano reclutati i discepoli. In questo raggruppamento profano venivano insegnate unicamente le verità morali: il rispetto della legge, l’amore per la patria, l’altruismo, la concordia, i buoni costumi, la fedeltà coniugale, l’amicizia, il perdono delle offese.

Gli Acusmatici o Ascoltatori
Una volta ammessi al noviziato dell’Ordine, i migliori uditori del Maestro, da lui sottomessi alla prova del silenzio, diventavano gli Acusmatici, gli Ascoltatori, dei loro maestri. Venivano loro insegnate la psicologia, la fisiologia, gli esercizi liturgici, la meditazione, i segreti del Simbolismo. Si chiamavano anche “Oi Exo”, “quelli di fuori”, per indicare in tal modo che una cortina li separava ancora dal Tempio, nascondendo loro i Misteri.

I Matematici o Mathematikoi o Scientifici
Non è possibile fare della metafisica prima di avere esplorato la fisica, né della metapsichica prima di aver studiato le leggi che regolano le forze manifestate dell’universo. In questo grado veniva data agli iniziati una formazione scientifica completa, includente la fisica, l’astronomia, la geometria, la matematica, e la scienza dei Numeri. Alcuni studiosi definiscono i membri di questo Grado “Phisycoi”, “i Fisici”.

I Sebastici o Sebastikoi o Ermetisti Dopo aver studiato il mondo in tutte le sue manifestazioni sensibili, gli allievi venivano infine ammessi a conoscere le ricchezze spirituali. A questo puinto venivano loro insegnati i vari Misteri dell’Ordine, che rispondevano a tutte le domande poste da esseri assetati di luce. L’origine dell’anima, la sua incarnazione, il suo destino postumo, questi erano i problemi essenziali che i Misteri risolvevano. Questo grado faceva di loro dei mediatori coscienti fa visibile e invisibile, li rendeva teologi oltre che esperti in liturgia.

I Politici o Politikoi
Solo dopo essere stati formati nella scienza profana e in quella segreta e dopo essere stati istruiti nei misteri del mondo e di ciò che sfugge ai nostri sensi comuni, i discepoli venivano ammessi al quarto ed ultimo grado dell’iniziazione. Si trattava di un grado teorico e pratico al tempo stesso; venivano loro insegnati da una parte i segreti dell’armonia sociale e le basi di una legislazione ideale, e dall’altra la pratica della giustizia e l’interpretazione delle leggi. I membri di questo grado compivano un apprendistato di governo nei quadri gerarchici dell’Ordine.
E’ così che una parte di essi chiamati Oikonomikoi, gli Economici, gestivano i beni dell’Ordine e tutelavano i beni materiali della comunità; altri, invece, i Nomoteti, i Legislatori, dirimevano le vertenze che talvolta venivano loro sottoposte dall’esterno e adempivano a svariate funzioni amministrative in seno alla gerarchia pitagorica.
Quando la Fratellanza ebbe costituito numerose filiali nel mondo ellenico, è probabile che i Politici abbiano organizzato una ulteriore classe, quella degli Ispettori, il cui compito consisteva nel sorvegliare le comunità straniere e in particolare l’ortodossia del loro insegnamento.
Furono soprattutto i Legislatori che, rientrati nel mondo profano ove formarono una sorta di Ordine, stabilirono leggi in numerose città e si guadagnarono in tal modo una grande fama.
I cinque gradi dell’Ordine e i quattro degli Esoterici corrispondevano non solo ad un perfetto ordinamento del programma di studi, ma rispondevano anche, con le loro cifre, ad una preoccupazione di carattere mistico: il 5 infatti rappresentava il Pentalfa, o Stella a cinque punte, perfetta immagine dell’iniziato che trionfa e che irraggia ovunque le luci acquisite; il 4, da parte sua, simboleggia la santa Tetrakthis, fonte e fondamento di ogni saggezza.
Benché i vari gradi si riunissero sempre separatamente, sotto la guida di differenti istruttori, tutti comportavano un certo numero di pratiche comuni, imposte a tutti gli adepti.
Uno dei riti più misteriosi dell’Ordine era il saluto al Sol levante. Alzatisi molto presto, i discepoli indossavano una veste bianca, prendevano la lira e si recavano incontro al Sole, intonando canti sacri. Quando l’astro si levava all’orizzonte, cessavano di cantare, si prosternavano a terra e rivolgevano al Sole una fervente adorazione. Non dobbiamo vedere in questa pratica una manifestazione di cieca idolatria: l’usanza aveva una origine egiziana ed era strettamente legata all’insegnamento dei Misteri.
Tutto è simbolo e allegoria nello studio dei Misteri. Questi ultimi non vengono mai svelati direttamente, perché la Verità può essere rivelata solo per gradi successivi agli uomini, incapaci di percepirla nel suo insieme. Gli iniziati di tutti i tempi e di tutti i popoli hanno sempre risposto ai loro neofiti a mezzo di simboli. E’ necessario inoltre che questi insegnamenti siano progressivi e vengano trasmessi con prudenza e circospezione.
Non rimane, ora, che dare alcuni cenni sulle usanze nella vita in comune all’interno dell’Ordine.
I membri della Fratellanza pitagorica al loro ingresso affidavano all’Ordine tutti i loro beni; gli Economi ne prendevano possesso e li amministravano con cura. Se, deludendo le aspettative dei suoi maestri o colpito da un provvedimento di espulsione, un fratello si vedeva costretto ad uscire dalla comunità, gli Economi gli restituivano il suo contributo, ampiamente incrementato grazie ad una gestione particolarmente oculata. Dopo la cerimonia del saluto al Sole, gli iniziati facevano una passeggiata mattutina nei boschi sacri; dopo aver così comunicato con le forze nascoste della Natura, si riunivano nei loro Templi – ne esisteva uno per grado – e vi seguivano corsi e conferenze obbligatorie. Talvolta venivano invitati ad imprevisti esercizi di filosofia e di eloquenza; ciascuno dei membri presenti doveva commentare a suo modo e secondo il proprio livello i testi proposti alla sua attenzione. A mezzogiorno consumavano un pasto in comune, sedendosi in numero di dieci per ogni tavolo. Durante i pasti mantenevano il silenzio. Il più giovane faceva a voce alta una lettura di carattere iniziatico ed il più anziano ne dava in seguito un breve commento. Il pomeriggio era consacrato allo studio individuale, a passeggiate in piccoli gruppi, a corsi durante i quali discutevano le materie esaminate la mattina, con esclusione dei Novizi, sempre costretti al silenzio. Dopo vari esercizi corporei ed un bagno ristoratore, cenavano insieme ascoltando il sermone della sera, Compivano diverse libagioni agli Dei e una liturgia di chiusura. Due volte al giorno, dovevano sottoporsi ad un severo esame di coscienza e fare così il “punto” del loro progresso morale e spirituale. Questo esame veniva chiamato psicostasia o “pesa dell’anima” ed era un rito tipicamente egiziano. Se uno di loro moriva, era formalmente proibita la cremazione del suo cadavere. Veniva inumato ritualmente, avvolto in veli bianchi guarniti di foglie di mirto, d’olivo e di pioppo. Non potevano accavallare la gamba sinistra sulla destra, né radersi o tagliare i capelli in un giorno di festa. Non potevano usare il legno di cipresso per costruire le bare. Portavano esclusivamente vesti di lino, quelli di lana erano tollerati. I loro sandali non erano di cuoio ma di canna. Erano loro interdetti alcuni alimenti: non potevano ad esempio mangiare le fave, le uova erano sconsigliate e veniva loro raccomandata l’astensione di ogni tipo di carne. Non potevano portare anelli. Quanto tuonava dovevano toccare la terra. Molti di loro portava, come il Maestro, i capelli lunghi. Comunque, la loro fedeltà alle usanze dell’Ordine è attestata non solo dagli storici del Pitagorismo ma anche dai suoi avversari. Non mancarono infatti i sarcasmi e le ironie, gli scetticismi e le critiche che volevano ridicolizzare la loro Regola di vita. Ma certi spiriti di basso livello erano incapaci di comprendere la ricchezza di questo ascetismo e la sua elevazione morale. Costoro vedevano in ogni rinuncia una follia, in ogni privazione volontaria di un bene un’ingenuità. Uno di essi, Aristofone, nel suo opuscolo “Il Pitagorico” fece la seguente satira: “Bere acqua come una ranocchia, mangiare legumi e cipolle come un bruco, passare l’inverno a cielo aperto come un merlo, patire il freddo o chiacchierare in pieno giorno come una cicale, camminare a piedi nudi come una gru, non dormire come fa una civetta, tali sono le manie del Pitagorismo
Tuttavia, accadeva talvolta che qualche membro si vedesse costretto ad uscire dalla comunità. Che lo facesse di propria iniziativa o a seguito di un provvedimento di espulsione, nei suoi confronti veniva presa una misura particolare che ha sempre meravigliato i profani.
Gli adepti si riunivano in seduta speciale, e veniva loro annunciato che il nome del fratello in questione sarebbe stato radiato dal Libro matricolare dell’Ordine: lo si proclamava morto e gli veniva eretto un cenotaffio, come se avesse veramente perduto la vita.
In seguito, se qualcuno degli iniziati lo incontrava per caso nelle vie della città, fingeva di non riconoscerlo più; se l’altro cercava di rivolgergli la parola, egli rifiutava di ascoltarlo o di rispondergli; lo si trattava sistematicamente come defunto; si ignorava la sua esistenza fisica, perché era morto alla vita spirituale. Questa implacabile indifferenza, questa impietosa freddezza era senza dub
Ricerca di Vittorio Gnocchini


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SECONDA TAVOLA SUL TEMA DEL VIAGGIO

SECONDA TAVOLA SUL TEMA DEL VIAGGIO

di I.P., Secondo Diacono; lavoro presentato in Loggia il 4 Dicembre 2001

VIAGGIO, parola che origina dal latino viaticum o da un vocabolo provenzale, come ci raccontano i dizionari. Parola che indica uno spostamento nello spazio, che si DECIDE di fare con piacere o che ci può mettere in dolorosa agitazione. Può designare un viaggio di piacere, di lavoro, di conquista di nuove terre o dello spazio, può essere un viaggio di costrizione (profughi di guerra, di sconvolgimenti climatici e naturali),un viaggio di sterminio (olocausto del popolo ebraico, altre ben note pulizie etniche, che si perpetuano da millenni),un viaggio per la ricerca del lavoro (miglioramento economico),sopravvivenza (ospedali migliori, chirurghi esperti),un viaggio della speranza (Lourdes o altri luoghi di pellegrinaggio) ed infine un viaggio senza dislocazione, NEL PROFONDO di noi stessi.

Il viaggio profano di ogni uomo comincia alla sua nascita e finisce con la sua morte.

Ogni viaggio ha in comune la certezza del punto di PARTENZA, ma il TRAGITTO tra il punto di partenza e la META da raggiungere, rimarranno due incognite fino al compimento del viaggio. La DECISIONE di compiere un viaggio può coincidere con diversi stati d’animo. Spesso si rimane soltanto all’intenzione o al desiderio di intraprendere un viaggio. A volte il viaggio intrapreso s’interrompe per la nostra incapacità di proseguire o per ragioni, che ci costringono a posticiparlo od annullarlo e la meta può rimanere per sempre un sogno irraggiungibile. Spesso, dopo aver raggiunta la meta con molta fatica, non ci regala quelle soddisfazioni, che prima del viaggio avevamo immaginato. Il viaggio necessita di un PROGETTO e della possibilità di attuarlo. Anche il TEMPO previsto per effettuare un viaggio può addivenire a dei cambiamenti. Lasciando ora da parte il viaggio, inteso come uno spostamento nello spazio, ci occuperemo piuttosto del viaggio, che compiamo nella nostra coscienza e nella nostra anima.

Noi liberi muratori abbiamo un faro, che ci guida nel nostro viaggio alla ricerca di una evoluzione spirituale e sapienziale, che è la TRADIZIONE (via iniziatica) ed il complesso dei Landmarks.

Durante il nostro crescere nell’ambito dell’Ordine, passiamo di grado in grado attraverso simboliche deambulazioni e lungo il percorso veniamo resi edotti di certi STRUMENTI, che ci saranno utili, attraverso il loro intrinseco simbolismo, mentre compiremo il nostro personale viaggio nel mondo dell’uomo. Utili soprattutto per poter meglio apprendere ed approfondire il rapporto tra uomo e divinità (il trascendente) e aver modo di progredire spiritualmente fino alla consapevolezza prettamente intuitiva e di cuore di questo rapporto.

Il tema del viaggio si riscopre in tutte le culture, dalle origini del genere umano fino ai nostri giorni e sembra, che all’uomo sia connaturato il desiderio di viaggiare (come anche quello di costruire). L’antropologia religiosa ci insegna, che gli antichi sacerdoti, di quasi tutte le culture, si avvalevano di vari mezzi per raggiungere la sensazione di estraniazione (di essere fuori dal proprio corpo e di viaggiare con l’anima nell’etere) per potersi in quella maniera, alleggeriti della propria materialità, avvicinare di più alla divinità. Ricordiamo Dedalo, vari profeti e santi, che viaggiarono su carri di fuoco, come pure svariate divinità arcaiche ecc. Anche il viaggio che fa un libero muratore nel TEMPIO, che rappresenta il cosmo, durante le varie fasi della sua maturazione, ha significati diversi, ma sempre indirizzati alla conquista della consapevolezza e del suo avvicinamento al centro, alla divinità. Il viaggio ha sicuramente un potere di spaesamento quasi magico. Anche nella Bibbia possiamo leggere degli avvenimenti, che avevano luogo proprio durante un viaggio, in luoghi deserti o lungo le strade (santi, monaci). Gli antichi eroi (di tutte le tradizioni) erano continuamente in viaggio alla ricerca di qualcosa (Teseo-labirinto, Dedalo, Icaro, Argonauti, Ulisse, fino ai più moderni esploratori, gli astronauti ecc.). L’esempio di Teseo evidenzia il compimento di un’esperienza di morte e rinascita perseguendo una mera dimensione orizzontale. Dedalo invece, già MAESTRO, quindi INIZIATO, sceglie una dimensione verticale, cioè addiviene ad un allargamento di coscienza, ad una visuale, che da un punto diverso dall’inizio della ricerca e attraverso l’asse VERTICALE del mondo, prende la direzione verso la divinità. Ed è in questo modo che intendiamo la nostra ricerca, che in tutta modestia ci avvicina a questo personaggio. Icaro viene invece vinto dalla superbia, quindi distratto dalla strada intrapresa, segue soltanto il proprio istinto umano non ancora affinato e, tentando di sfidare la divinità, perde la vita. Ricordiamoci anche, che l’intera nostra galassia non è immobile, ma è in un viaggio perenne nel cosmo.

La decisione di iniziare (punto di partenza) un viaggio ha bisogno di energia, di concentrazione, di VOLONTA’ e in casi particolari di grande temperamento. Reputo, che le principali e più importanti componenti di un viaggio sono proprio il punto di partenza ed il momento della peregrinazione.

Il tempo speso nel movimento, nella RICERCA (la cosiddetta cerca medioevale del mitico Eden, dove non vi era distinzione tra sacro e profano),nello scegliere la strada, a superare fatiche e prove, a farsi un’esperienza nel bene e nel male, a essere decisi agli incroci (non per niente gli incroci-bivi-trivi erano reputati sacri, erano luoghi dove si entrava in contatto con l’aldilà e tuttora vi s’innalzano edicole con immagini di santi protettori) è un tempo sospeso, un NON TEMPO, un momento di essere in MEZZO per raggiungere una meta.

Ed è proprio in questo stato ,in questo essere in mezzo, slegato da impegni comuni, che alle persone sensibili è data la possibilità di una esplorazione più approfondita della loro anima, di poter aprire delle porte altrimenti chiuse, di avere delle “illuminazioni”, di venire in contatto con la divinità, di tendere con maggior chiarezza alla rigenerazione spirituale.

Anticamente avevano a disposizione tra gli altri, anche il simbolo del labirinto (unitario, plurimo, centripeto o centrifugo) strutturato attorno ad un CENTRO, simbolo della VERITA’ assoluta e della salvezza, che dava, a chi lo avesse imboccato, una o più possibilità giuste di viaggio verso l’UNICA uscita (o mèta).

Rappresentava un viaggio spirituale, che metteva le persone rette (e non a caso questo termine) in grado di esplorare l’anima, di evolversi e di ampliare la consapevolezza dell’essere uomo.

Giordano Bruno stesso ci illumina sul percorso da scegliere, indicandoci la strada simbolica per raggiungere la nostra mèta attraverso le tre vie di “Mens”, “Intellectus” e “Amor”.

Aggiungo anche, che a parer mio sono più importanti la volontà di intraprendere il nostro viaggio (o volendo la “camera di mezzo”) ed il desiderio di raggiungere la meta, che non la meta stessa, che solo a pochi è dato poter conquistare.

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IL BRESCIANO GIUSEPPE ZANARDELLI

MONUMENTO A ZANARDELLI

                IL BRESCIANO GIUSEPPE ZANARDELLI

Fratelli famosi:

Il bresciano Giuseppe Zanardelli, giurista e uomo di governo. Quella che, a giusto titolo, è ricordata nei libri di storia come la “Leonessa d’Italia” può andare fiera di due tra i più illustri propri figli: all’inizio del Millennio, Arnaldo, il cui nome rimane indissolubilmente legato alla natia Brescia, e, ottocento anni dopo, Giuseppe Zanardelli.

Se il primo giganteggia dall’alto della propria fede incrollabile nella purezza della religione, reale ed unico potere spirituale solo se separato ed affrancato da quello temporale, il secondo, vissuto agli albori del Risorgimento che egli contribuisce a rendere movimento unificatore del giovane Stato italiano sovrano ed indipendente, profonde i tesori della propria scienza giuridica al servizio di un moderno Corpus iuris nazionale, in particolare nel settore penale, mentre in campo politico si rivela uno dei più convinti assertori del cavourriano Libera Chiesa in Libero Stato.

Giuseppe Zanardelli ad appena 22 anni partecipa alla rivoluzione del 1848 e l’anno seguente, durante le gloriose Dieci Giornate di Brescia, si comporta da valoroso infliggendo, proprio l’ultimo giorno, insieme ad altri pochi giovani compagni, una cocente umiliazione ad un consistente contingente delle truppe del Generale austriaco Haynau, obbligate alla resa benché molto più numerose e meglio armate.

Costretto a rifugiarsi dapprima in Toscana e, qualche anno dopo, in Svizzera non avendo mai rinunciato alle sue idee unitarie ed a cospirare, nel 1859 però da Lugano passa a Como presso Garibaldi che lo invia a Brescia in missione speciale.

Simile tempra di patriota e di uomo libero e di buoni costumi non può non accostarsi alla Libera Muratoria che tanti meriti vanta nell’affrancazione dei popoli delle dominazioni politiche, militari, confessionali: basti pensare all’opera determinante del Gran Maestro Giuseppe Garibaldi e delle migliaia di Massoni che hanno fatto l’Italia e versato il loro sangue per la libertà degli oppressi ovunque nel mondo. E’ infatti significativo della sua volontà di elevarsi spiritualmente per meglio servire gli altri che il Nostro venga iniziato il 29 febbraio 1860 all’età di 36 anni, appena un mese prima della sua elezione il 25 marzo 1860 a deputato per il Collegio di Gardone Val Trompia, soppresso il quale, sarà deputato di Iseo.

L’attività politica sempre più intensa, culminata nella nomina a Ministro dei lavori Pubblici nel Gabinetto Depretis nel 1876, poi degli Interni nel marzo 1878 nel gabinetto Cairoli suggeriscono al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dell’epoca, Giuseppe Mazzoni, creatore nel 1877 della Loggia “Propaganda”, di affiliarvi Giuseppe Zanardelli, così come Agostino Bertani, Nicola Fabrizi, Giovanni Bovio, Emilio Cipriani, Quirico Filopanti, Giuseppe Ceneri, Oreste Regnoli, Gaetano Tacconi, Giacomo Sani, Pietro Ripari, ai quali le occupazioni profane e professionali o politiche e l’opportunità di lungimirante discrezione impediscono di frequentare i regolari lavori di Loggia.

Ciò non impedisce al Nostro di raggiungere il 33° grado, il massimo della gerarchia del Rito Scozzese Antico ed Accettato. E dal maggio 1881 al maggio 1883 nel quarto Gabinetto di Agostino Depretis, lo Zanardelli ricopre la carica di Ministro di Grazia e Giustizia; in tale qualità, riesce con grande fermezza e alto senso di dignità nazionale, a far respingere la domanda austriaca di estradizione per i compagni di Guglielmo Oberdan.

Altro martire massone per l’unità d’Italia. Nell’ultimo Gabinetto Depretis e nei tre Gabinetti Crispi, dall’aprile 1887 al febbraio 1891, Zanardelli è di nuovo Guardasigilli ed è in quel periodo che le sue qualità di giurista e di uomo di pensiero rifulgono attraverso l’elaborazione e la promulgazione del nuovo codice penale, approvato il 1 gennaio 1890, che, a tacer d’altro, resterà pietra miliare nella civiltà giuridica universale.

L’Italia, infatti, prima tra tutte le Nazioni europee, con tale strumento ha decretato l’abolizione della pena di morte, prevista dallo Statuto Albertino, in applicazione delle teorie individualistiche propugnate da Rousseau, da Kant, e dai Massoni Filangeri, Montesquieu, ma soprattutto da Cesare Beccaria, per i quali, conformemente al pensiero liberomuratorio, l’individuo è il fine di tutta la vita e di tutta l’attività sociale.

Quarantun anni più tardi Alfredo Rocco, Guardasigilli del Regime, interprete della reattiva concezione autoritaria fascista, che considerava l’uomo non più come fine ma come mezzo, ripristinerà la pena capitale come “segno della riacquistata virilità ed energia del nostro popolo e della totale liberazione della nostra cultura politica e giuridica dall’influsso di ideologie straniere alle quali l’abolizionismo si ricongiunge direttamente” (dalla Relazione al Re per il Codice Penale del 1931).

La Costituzione democratica dell’Italia repubblicana ha giustiziato definitivamente la pena capitale riabilitando la versione illuminata di Zanardelli, formatosi alla scuola del Diritto romano da lui fatto oggetto di vera e propria venerazione, così come traspare dal discorso pronunciato come Guardasigilli il 14 marzo 1889 alla presenza del Re e della Regina in occasione della posa della prima pietra del monumentale Palazzo di Giustizia di Roma quando afferma che “in Roma e letterati di gran fama, e storici insigni, ed incomparabili capitani furono in pari tempo dotti giuristi che si illustrarono nelle lotte del Foro.

                               Ne venne che il diritto romano, oggetto di studio e di culto universale, fu recato ad una tale perfezione, da essere giustamente chiamato la ragione scritta”.

Né meno nobili sono le parole dello Zanardelli dedicate all’erigendo Tempio di quella Giustizia che egli non si limita a definire “la suprema guarentigia di tutti i diritti, l’invocata proteggitrice delle persone e dei beni dei cittadini e nel fulgore della sua indipendenza, la sicura vindice di ogni libertà” a significare l’altezza di questo superiore principio egli affermava infatti non bastare il motto inciso nel grande vestibolo del palazzo di Giustizia di Vienna, Justitia regnorum fundamentum, poiché perspicuamente intuisce che “la giustizia, idea e sentimento, impeto e ragione, scienza e coscienza, è il fine stesso delle civili società anzi il fine dell’umana esistenza, sicchè nos ad justitiam esse natos potè dire esattamente il grande oratore e filosofo di Roma Cicerone”.

Nessuno quindi più degnamente e con maggiore legittimazione del giurista massone Giuseppe Zanardelli, rievocatore delle glorie italiane eguali nel campo del diritto, può chiedere ai reali di collocare la prima pietra del Palazzo di Giustizia poiché “dagli esempi del passato i giovani devono prendere gli auspici dell’avvenire; a queste memorie devono attingere quelle virtù che Vico chiamava carattere particolare della gente romana, la fede nei propri destini”.

Simile idealista, che, con raro senso dello Stato, ha dedicato tutto se stesso fino al termine della sua vita al reggimento della cosa pubblica anche come Presidente della Camera dei Deputati e Primo Ministro, non può avvilire in una sterile contrapposizione, della quale sono invece caparbi protagonisti non pochi laici e massoni del tempo, tra i più illustri Giovanni Bovio, la querelle nata all’indomani della Breccia di Porta Pia e poi, della promulgazione della Legge delle Guarentigie che sostanzialmente abolisce il potere temporale del clero suscitando fiere proteste tra i cattolici animati da propositi di rivincita

L’orientamento del giovane Stato italiano, proteso a trasferire allo Stato i beni patrimoniali della Chiesa. È infatti frutto della concezione laica ed anticlericale ispirata anche dalla Libera Muratoria del tempo, troppo a lungo perseguitata e scomunicata. Giuseppe Zanardelli, dal canto suo, si rende promotore instancabile, fin dal 1865 in seno al Consiglio comunale e dal 1868 in quello provinciale bresciani, dello stanziamento di ingenti fondi per la realizzazione di quel monumento di bronzo, oggi ancora campeggiante a Porta Venezia nella piazza che lo ricorda, dedicato al concittadino Arnaldo del cui pensiero di fustigare fin dall’XI secolo della corruzione e del temporalismo della Chiesa di Roma egli è profondo conoscitore ed ammiratore. Tuttavia, ancorchè il “Corriere della Sera” del 14 agosto 1882 riferisca che il Ministro Zanardelli è stato applaudito fragorosamente quando ha detto che quella solenne inaugurazione è la sintesi della rivoluzione italiana, che qualche anno dopo, nel corso della seduta del 10 giugno 1887 alla Camera dei Deputati, in risposta all’interrogazione del Deputato Giovanni Bovio, timoroso che un passo dell’Allocuzione del 23 maggio indirizzata da Papa Leone XIII al Sacro Collegio possa far sospettare l’esistenza di trattative per una riconciliazione tra la Chiesa di Roma ed il Governo italiano, da più parti auspicata pur da opposte e contrastanti angolazioni, il Guardasigilli Zanardelli, da grande statista non meno che da Massone amante della propria Patria, nel rassicurare l’On. Bovio sull’esistenza di tali trattative le proprie dichiarazioni del 1883 come Ministro per i culti nella stessa aula. “Io dichiarai allora, a nome del Governo, di essere alieno da ogni persecuzione grande o piccola, di essere penetrato del massimo spirito di tolleranza, e mi piace udire che tale tendenza ha l’approvazione anche dell’On. Bovio:

ma, se da una parte ciò dichiarai, ed aggiunsi di essere pieno di rispetto per la libertà di coscienza, pieno di rispetto per i Ministri della religione e per il loro augusto Capo, quando esercitano il loro alto ministero spirituale, dichiarai in pari tempo che mi sento l’animo acceso da una cura vigile e gelosa per l’incolumità delle prerogative dello Stato, per le sacre necessità della Patria. Certamente io non desidero dissidi, non desidero il divorzio, la lotta tra la religione e la Patria.

Io vorrei un clero patriottico il quale sia animato dal sentimento della salute e della grandezza della Nazione, il quale si guardi dal suscitare discordie sociali.

Ma, affinché questi scopi non soffrano offesa io, consapevole che l’Italia, fra tutte le Nazioni d’Europa, è quella la quale colle sue leggi ha dato più ampia libertà alla Chiesa, queste leggi ho il dovere, cui non posso venir meno, di far sì che siano fedelmente e scrupolosamente osservate. Io assicuro l’On. Bovio che, quando su questo stesso tema dei rapporti tra Chiesa e Stato mi si presentano questioni discutibili, sono amico di ogni soluzione serena, equanime, liberale, conciliativa, se così volete chiamarla, ma nel medesimo tempo non posso certo consentire che lo Stato abdichi ai propri intangibili diritti, i propri immutabili doveri, abdichi la propria indeffettibile missione di luce, di progresso, di civiltà”. Giuseppe Zanardelli, dunque, è stato un grande statista, nemico del trasformismo e del compromesso, ma rispettoso nel medesimo tempo delle prerogative dello Stato così come della missione della Chiesa tanto più autorevole ed efficacemente esercitabile quanto più circoscritta alla sfera spirituale, quella stessa che l’altro grande bresciano Arnaldo le assegnava con tanta veemente passione rimanendone tuttavia trucidato ed arso.

Ma le sue ceneri si sono posate sulle Pandette di Zanardelli nutrendone tuttavia il sublime spirito di tolleranza che per sempre nella storia d’Italia e dell’Umanità illuminerà Arnaldo e Giuseppe, purissimi paladini della libertà e dell’amore fraterno.

Virgilio Gaito, Ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.

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GRANDE ORIENTE d’ITALIA PALAZZO GIUSTINIANI

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LA TOLLERANZA

LA TOLLERANZA

La Massoneria, durante il corso della propria storia ed evoluzione del pensiero, ha costruito una serie di concetti necessari e sufficienti a sostenere l’opera di continua ricerca e perfezionamento del Massone. Questi sono divisibili in due grandi categorie di concetti iniziatici e concetti profani. Se concetto iniziatico primitivo per eccellenza è il segreto, concetti profani sono: la Libertà, la Fratellanza e la Trascendenza.

Locke, autore che fra i primi difese il concetto di Tolleranza (Epistola de Tolerantia), rileva come le profonde convinzioni dell’individuo non siano condizionabili attraverso la violenza, rigetta la costrizione in quanto fonte d’ipocrisia, nega l’uso dello coercizione, ma sostiene la tolleranza nei confronti della diversità di pensiero, religioso o politico, come via unica del vivere civile. Mill sviluppa le teorie lockiane estendendole in chiave più decisamente liberale, sia in ambito politico istituzionale che morale individuale, quindi sostiene la libertà per il cittadino di poter pensare ed agire in modo difforme dal comune o meglio la tolleranza dovrebbe garantire la libertà d’azione, nel rispetto della libertà altrui, anche e soprattutto quando tale azione è in discrepanza con il comune comportamento dei più.

Il concetto di tolleranza, molto difficile da esprimere a parole, può essere definito in due espressioni ugualmente valide e complementari. Da un lato il concetto si può intendere come rispetto della libertà altrui in quanto tale, il soggetto non condivide, ma comprende, o si sforza di comprendere ed accettare, il modo di pensare ed agire altrui. Da altro lato lo si può intendere come conseguenza dell’indifferenza verso ogni e qualsiasi convinzione, quindi in maniera agnostica il soggetto, non portatore di nessuna opinione specifica, è indifferente e quindi non si oppone a qualsiasi modo di pensare. Naturalmente i contenuti etici di gran lunga più profondi, ricchi e numerosi della prima definizione sono quelli massonicamente accettati; la Massoneria NON E’ AGNOSTICA, quindi il Massone ha le sue convinzioni, credenze, punti di riferimento, ma ugualmente accetta e rispetta altri, anche e soprattutto Massoni, che abbiano un modo differente di accostarsi alle problematiche e, quindi, di interagire. La Tolleranza, come concetto inteso alla disponibilità all’ascolto ed alla riflessione intorno ai modi di pensare altrui si colloca anche alla base della ricerca scientifica empirica, in quanto al ricercatore si rivela la necessità di non adagiarsi entro il proprio sistema chiuso, statico di conoscenze, ma di aprirsi e di confrontarsi con l’esterno, con gli altri e ciò al fine di non ripetere le oscure esperienze dogmatiche evidenziate nel famigerato processo a Galileo Galilei.

Nella storia della Massoneria, dunque, il concetto di Tolleranza è centrato soprattutto sul contributo che ha dato alla costruzione di quell’antropologia massonica, le cui caratteristiche tendono a coincidere sempre più con l’antropologia dell’uomo contemporaneo nella società industriale. E citando il Fr.’. G.di B.: “Ogni massone nel realizzare il modello di uomo che egli ha spontaneamente accettato, si porrà di fronte alla Libertà, Tolleranza, Fratellanza e Trascendenza del segreto Iniziatico, con tutto il peso della sua unicità e soggettività. Le regole attraverso cui i singoli Massoni levigano la pietra grezza sono regole prescrittive. La realizzazione dell’Uomo Massone avviene, perciò, in un continuo processo dialettico tra costitutivo e prescrittivo, orientato dall’antropologia filosofica massonica e dal principio regolativo del G.A.D.U.”

CMDL

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LA CENTRALITÀ DELL’UOMO

LA CENTRALITÀ DELL’UOMO

SOLSTIZIO D’ESTATE 1999 E.·. V.·.


Carissimi Fratelli,

Il Solstizio d’Estate 1999 segna l’inizio di un periodo di entusiasmo e di profondo impegno del Grande Oriente d’Italia e di tutti i Liberi Muratori.

Dopo un proficuo lavoro di stabilità e di normalizzazione delle relazioni verso l’esterno, con l’elezione della nuova Giunta si apre una nuova epoca in cui il Grande Oriente d’Italia dovrà agire per rafforzare la sua presenza nel mondo, con uomini ed idee, e per far maturare l’elevazione esoterica, culturale e morale dei Lavori delle Logge.
La nostra Presenza nel sociale sarà tanto ampia e fruttifera quanto maggiore sarà lo sforzo dei Fratelli nel perseguire nei Lavori rituali i valori e gli ideali della Tradizione esoterica e Muratoria.
La società in cui viviamo esige dal Grande Oriente d’Italia quel contributo di idee e di uomini che la Massoneria ha sempre dato al progresso dell’Umanità e che Essa è in grado di dare con un’energia ancora maggiore.
Nell’animo di tutti i Fratelli dell’Ordine v’è un profondo desiderio di adoperarsi con gioia per il Bene dell’Umanità, sicché dovremo operare per non eludere gli obblighi che ci competono di fronte alla società e per soddisfare le aspirazioni e gli ideali della nostra Istituzione.
Il senso di dignità e di fierezza di essere Massoni ci spinge a ritenere che il nostro primo sforzo deve essere proprio quello di riappropriarsi con orgoglio della nostra identità: un impegno che, al di là di atteggiamenti passivi di vittimismo, di mera difesa o di legittimazione ad ogni costo, deve manifestarsi non solo a parole bensì con le opere, incluse quelle culturali e morali, che sono le sole che permettono di realizzare gli ideali ed i valori degli Antichi Doveri.
La società in cui viviamo è ancora intrisa di intolleranza, di sopraffazione, di dogmatismo e di integralismo ed è fuor di dubbio che la Massoneria si pone come insostituibile baluardo a difesa delle libertà individuali e di pensiero, dei diritti civili ed umani, del rispetto delle differenze, di qualsiasi tipo esse siano. La natura ancora imperfetta della democrazia lascia ampio e profondo spazio alla Massoneria, che così deve adempiere ad un ruolo culturale, etico e pedagogico.
Per questo, il nostro primo compito nel mondo, ed anche verso noi stessi, è quello della difesa e del rafforzamento della cultura e dello spirito laico, scevro da dogmatismi, verità rivelate o immutabili. Anche i Massoni ritengono di possedere verità in cui credono e sono pronti a difenderle, ma esse non sono mai considerate come definitive, né tanto meno vengono poste come elemento di contrapposizione, di conflitto, di divisione tra gli uomini.
La difesa e il rafforzamento della cultura laica deve essere per i Liberi Muratori un imperativo giornaliero e concreto con l’obiettivo di tutelare la laicità di ogni aspetto della società in cui viviamo.
Prima di tutto, lo stesso Stato non può perdere il connotato della laicità se intende assicurare la libertà di pensiero e di azione di tutte le componenti della collettività, nei limiti del rispetto delle opinioni altrui e delle leggi civili.
Allo Stato non è consentito tollerare influenze di pressioni ideologiche, culturali o religiose, che essendo di parte, in una maniera o nell’altra, possono ledere le libertà di espressione personali o dei gruppi.
La laicità dello Stato si sostanzia proprio nel garantire la manifestazione e l’uguale trattamento delle diverse opinioni e punti di vista, delle libertà personali, della professione delle fedi e delle credenze senza privilegiare l’una o l’altra. Lo Stato laico non solo è l’opposto di qualsiasi stato confessionale – che, come tale, si propone di imporre, in maniera anche autoritaria, le convinzioni di una maggioranza o di una minoranza – ma rappresenta il presidio della democrazia e della libertà.
A tale fine i Massoni, uomini liberi, sono chiamati ad operare con specifiche iniziative che possano essere utili, in modi diversi, al mantenimento e al rafforzamento della laicità dello Stato e quindi dell’intera società civile.
Ciò vale, in particolare, anche per la scuola che riteniamo, come abbiamo sempre pensato, debba essere laica, pubblica, accessibile a tutti, e portatrice di quei valori che fanno parte della Tradizione di tolleranza della Libera Muratoria. Le nuove generazioni vanno educate nel rispetto e nella promozione della diversità e delle differenti opinioni. Solo così si porranno i presupposti per un nuovo mondo in cui gli uomini saranno sempre più liberi di esprimere all’interno della collettività le loro aspirazioni e le loro potenzialità.
Al Grande Oriente d’Italia, seguendo i valori propri della Sua Tradizione culturale, spetta profondere le energie in questa direzione e trasmettere il proprio punto di vista, catalizzando l’attenzione pubblica sui valori laici, i soli che ammettono la convivenza ugualitaria delle diverse opinioni e delle diverse scelte religiose, culturali ed etiche proprie di singoli uomini o di gruppi di diversa natura.
Il Grande Oriente d’Italia si fa così promotore della cultura laica attraverso la nuova Rivista e un Centro Studi che è in corso di formazione e altre iniziative culturali che si stanno predisponendo insieme ai Collegi Circoscrizionali. Una di esse consisterà in una Tavola Rotonda sui rapporti tra Stato e Chiesa, a cui verranno invitati sia Massoni che noti esponenti della cultura, in concomitanza con la festa a Villa ‘Il Vascello’ il prossimo XX Settembre 1999. Riteniamo, infatti, che questo importante appuntamento annuale, che ricorda il contributo dei Massoni alla costruzione laica dello Stato italiano, non debba limitarsi a una mera celebrazione del passato, ma debba divenire un’occasione culturale per presentare al mondo esterno i valori e gli ideali della Libera Muratoria.
Cari Fratelli, la difesa della laicità si compenetra con il nostro secondo obiettivo che è quello di contribuire al Bene dell’Umanità nell’ambito della cultura, dell’etica nonché della maturazione pedagogica delle nuove generazioni.
La cultura, per noi Massoni, non si riduce ad un esercizio individuale e accademico avulso dalle concrete esigenze degli uomini e dei Fratelli della Comunione. La cultura, per noi, non dovrà esaurirsi nell’erudizione, ma sostanziarsi in un modus vivendi di riflessione e di studio approfondito e critico, che solleciti la capacità creativa di ciascuno, al fine di comprendere i problemi della società in cui viviamo e i bisogni degli uomini, diffondere i valori etici propri della Tradizione Muratoria ed elaborare idee e proposte che possano fornire un contributo fattivo al Bene dell’Umanità.
A questi scopi, uno strumento fondamentale sarà la Rivista culturale del Grande Oriente d’Italia – che riprende il nome Hiram – il cui primo fascicolo uscirà in occasione della Festa dell’Equinozio di Autunno. Essa si presenterà con un nuovo formato, tipico delle riviste culturali, e anche con un nuovo aspetto che la renderà di facile lettura e mirata, da un lato, al perfezionamento dei Fratelli (fornendo anche contributi utili ai Lavori di Loggia) e, dall’altro, alla presentazione del pensiero della Libera Muratoria sull’Uomo e sul mondo.
Hiram non sarà però un organo isolato; dovrà, da un lato, dar voce alle indicazioni ed ai programmi culturali del Grande Oriente d’Italia e, dall’altro, essere aperta ai Collegi Circoscrizionali e concentrarsi su temi esoterici e massonici, su argomenti culturali di diversa natura e su tematiche che riguardano la realtà contemporanea, con particolare attenzione agli argomenti di etica, diritti umani e bioetica. Per essere uno strumento di dialogo, alla luce della prospettiva laica, si avvarrà della collaborazione di autori esterni, che scriveranno sulle pagine della Rivista e parteciperanno a Tavole Rotonde.
Per quanto concerne la cultura, inoltre, il Grande Oriente d’Italia si impegnerà a fondo in due ambiti.
Il primo ruoterà intorno ai valori ed alle problematiche dell’uomo contemporaneo. L’approccio ai valori di cui siamo portatori non può ridursi a una mera rivisitazione del loro ruolo nel passato, ma ne impone l’attualizzazione alla luce delle problematiche che sorgono oggi, e sorgeranno nel futuro, dal vivere individuale e collettivo degli uomini.
I Massoni, in tal senso, debbono ancorarsi saldamente alla Tradizione e sulla base di essa calarsi nell’oggi e volgere lo sguardo all’avvenire: così soddisfano la loro natura di costruttori del mondo e fautori del progresso culturale, spirituale, scientifico e sociale. Il nostro impegno etico sarà fondamentale e dovrà fornite contributi concreti con uomini ed idee, nei diversi ambiti che sono oggi posti all’attenzione sociale: la qualità della vita, la libertà di pensiero, la responsabilità individuale delle scelte nel campo della salute (i diritti dei malati e della scelta della cura), i diritti umani, il bisogno di una giustizia giusta, anche nei tempi, la promozione e la difesa delle differenze rispetto alle credenze religiose e alle tradizioni culturali presenti in una società multietnica e multiculturale.
All’interno di quella cultura laica di cui dobbiamo essere difensori e propositori, il Grande Oriente d’Italia, i Collegi e le Logge, dovranno volgere la riflessione sui temi fondamentali per la qualità della vita. La Libera Muratoria, però, dovrà non solo esprimere la propria opinione, ma operare in modo che le conquiste di civiltà, di responsabilità e di consapevolezza, che sono state raggiunte, non vengano meno (come per esempio, la libertà di aborto e i diritti delle donne) e al contempo si affermino i valori di un Nuovo Umanesimo rispetto a questioni che riguardano la vita, come la fecondazione artificiale, l’eutanasia, la scelta della cura e della terapia od ancora il trattamento dei malati terminali e la manipolazione genetica a fini terapeutici.
Grazie alla nostra Tradizione esoterica ed ermetica, che si fonda su una profonda stima dell’uomo e delle sue capacità intellettive, etiche e spirituali, siamo in posizione privilegiata per comprendere i lati umani insiti in queste tematiche e per affrontarle nel pieno rispetto delle libertà, della capacità di scelta e della responsabilità della persona, senza alcuna coercizione legislativa o persuasione dogmatica e intollerante di diversa natura, inclusa quella legata a una particolare fede religiosa.
In questa prospettiva, dovremo rivolgerci in particolare alle nuove generazioni, svolgendo quel compito pedagogico che è proprio della Libera Muratoria nel preparare uomini liberi e di buoni costumi, fondamento del futuro della civiltà dell’Uomo. Per questo, abbiamo in animo di organizzare manifestazioni che le possano coinvolgere direttamente, avvicinando il mondo scolastico e al contempo di rafforzare quelle associazioni giovanili come Rainbow for Girls e DeMolay.
E’ solo con opere di questo genere che la nostra trasparenza non si limiterà a fornire una mera risposta alle richieste della società profana, ma costituirà il modo in cui i Massoni del Grande Oriente d’Italia realizzeranno l’obiettivo di porsi in modo serio e fattivo all’interno della società: non una trasparenza di maniera e formale, ma un manifestarsi di idee e di uomini, pronti ed aperti alla discussione ed al confronto.
Al fine di rafforzare, concentrare e coordinare il nostro impegno civile, culturale e pedagogico stiamo istituendo un UFFICIO CULTURA che, di concerto con la Giunta, avrà il compito di promuovere manifestazioni e il dialogo con il mondo profano, di coordinare le attività culturali promosse dai Collegi, di predisporre iniziative mirate alla più ampia pubblicizzazione delle nostre attività culturali, e quindi delle nostre idee e proposte.
Riteniamo che i nostri convegni, rivolti all’esterno, vadano organizzati non solo con serietà ed efficacia comunicativa, ma anche privi di accademismi artificiosi, di paludamenti ed orpelli che non fanno altro che gravare da un punto di vista economico.
Per l’anno corrente indichiamo alla Comunione come tema su cui concentrare l’attenzione e il lavoro, quello dei valori e della promozione della diversità nelle società multietniche e multiculturali.
Auspichiamo che su di esso maturi un’ampia ed approfondita riflessione culturale ed esoterica che sfoci in iniziative rivolte alla società ed ai giovani.
Tuttavia, l’impegno civile, culturale, etico e pedagogico può essere svolto con efficacia e serietà solo se le Logge riprendono con forza e vigore la loro attività muratoria, alternando le tematiche strettamente esoteriche con quelle culturali ed etiche.
Per noi Massoni cultura non significa certo solo impegno nei campi indicati- che sono oggetto anche dell’attenzione del mondo profano- bensì in quello irrinunciabile della nostra Tradizione Muratoria. Se è vero che il perfezionamento esoterico e spirituale non può essere pensato per tutti i Fratelli come mero esercizio individuale, ma come preparazione per operare nel mondo, è anche vero che molti di noi sentono l’esigenza di affinare la loro spiritualità e la loro preparazione esoterico-ermetica, perché questo è ciò che dà senso alla loro appartenenza all’Ordine.
Qualcuno potrebbe sostenere che l’esoterismo sia solo un esercizio di cultura o addirittura qualcosa che esula dalla nostra natura di Massoni. L’esoterismo nei Lavori di Loggia non può solo essere sfoggio di nozioni o mascheramento dietro parole o segni incomprensibili; esso invece, assume la funzione di fondamento della nostra preparazione come Uomini; perciò, prima di tutto, deve rivolgersi alla comprensione- semplice e profonda allo stesso tempo- degli elementi essenziali della Tradizione e dei simboli che accompagnano i nostri Lavori rituali di Loggia.
Non crediamo certo che tutti i Fratelli debbano diventare degli esperti di esoterismo, ma è indubbio che ognuno di loro deve saper maneggiare con sempre migliore abilità gli strumenti dell’arte muratoria e, perciò, possedere conoscenza, graduata e sedimentata, delle nozioni che ne costituiscono il presupposto.
In effetti, è stato proprio il diffondersi dell’esoterismo e dell’ermetismo che nei secoli passati ha permesso lo sviluppo di quelle idee che hanno poi fondato le moderne democrazie. Dove regna lo spirito muratorio, esoterico ed ermetico, rivolto alla ricerca della verità, ma mai in modo dogmatico, è certo che regna anche la tolleranza, il rispetto e la promozione dei diritti della persona.
Siccome il luogo dove si colloca la nostra Tradizione è il Tempio, riteniamo utile, per rafforzare oggi e nel futuro i Lavori rituali e muratori, che tutte le Logge si impegnino quest’anno sul tema L’Uomo e il Sacro,alla Luce del Tempio.
Così, anche nel campo esoterico, i Massoni prepareranno il loro messaggio da far pervenire a coloro, in specie le nuove generazioni, che sono alla ricerca di prospettive spirituali che permettano di elevarsi, di sfuggire alla materialità consumistica del mondo occidentale, di crescere interiormente, di comprendere il mondo e di assumere atteggiamenti diversi nel proprio vissuto e verso la vita quotidiana.
Il Grande Oriente d’Italia dovrà farsi interprete di questo spirito nuovo, che coinvolge l’uomo contemporaneo non disgiunto dal progresso del sapere scientifico, tecnologico ed umanistico.
Sia i Fratelli che il mondo profano oggi sentono una tale urgenza, mirata anche a raggiungere nuovi livelli di spiritualità: dovremo, noi tutti, esaudire questa esigenza.
Attivarsi per rendere efficace il ruolo culturale, esoterico etico e pedagogico impone che il Grande Oriente d’Italia possegga una struttura agile ed efficiente. In questa direzione abbiamo svolto un check up dell’organizzazione che ci ha permesso di individuare inefficienze e sprechi e di pensare a riforme mirate ad un taglio delle spese e alla eliminazione di quelle superflue. Non siamo stati certo spinti da un’ansia di cambiamento fine a se stesso, ma dalla convinzione che un’azione di rigore economico e di riorganizzazione del Grande Oriente d’Italia, possa ottimizzarne le risorse finanziarie ed umane, per soddisfare le esigenze dei Fratelli, migliorare l’azione di Governo dell’Ordine e intraprendere un numero maggiore di iniziative, anche in vista di rendere più solida la sua immagine nel mondo profano.
Il Grande Oriente d’Italia deve ridiventare la Casa Comune di tutti i Fratelli dell’Ordine, facendo sì che sia il loro punto di riferimento, avvicinabile a seconda delle loro esigenze, eliminando così quella lontananza che sinora ha caratterizzato il rapporto tra il Centro e i Fratelli della Comunione. L’azione “Porte aperte” intende operare in questa direzione, impostata sulla trasparenza dell’azione di Governo, sulla continuità della informazione e sull’accesso alle strutture centrali.
Il Notiziario, che si sta approntando, rappresenta uno strumento che rientra in questa prospettiva. Verrà inviato a tutti i Fratelli e sarà aperto all’accoglimento di notizie provenienti da tutta la Comunione.
La nostra presenza nel mondo deve ovviamente andare di pari passo con il succedersi degli eventi e non ridursi ad una mera enunciazione di principi.
Per questo, di fronte alla guerra nel Kosovo, il Gran Maestro ha ritenuto giusto intraprendere una concreta azione di pace e di solidarietà per le popolazioni kosovare, senza distinzioni etniche. Da un lato, sono stati raccolti, attraverso l’azione incisiva dei Collegi, circa trecento milioni di lire, devoluti all’Associazione Medici senza Frontiere, che opera a vantaggio delle popolazioni vittime della guerra. I Fratelli e le Logge dell’Ordine hanno risposto con grande generosità e a loro va indirizzato il nostro più sentito ringraziamento.
Dall’altro, nella direzione della pace, il Gran Maestro si è incontrato con il Gran Maestro della Jugoslavia, che è stato ospitato in Italia, con il quale sono state esaminate tutte le vie per far si che la Massoneria potesse fornire il suo contributo per conseguire al più presto una pace duratura nella zona dei Balcani, salvaguardando le diversità etniche, religiose e culturali.
Tuttavia, il nostro impegno nel campo della solidarietà non si deve fermare alle necessità impellenti e straordinarie, ma deve costituirsi come un’azione duratura nel tempo, mirando non solo alla mera raccolta di fondi, bensì al patrocinio di strutture di solidarietà e di volontariato già esistenti o, meglio ancora, alla formazione di nuove che possano vedere coinvolti concretamente i Fratelli degli Orienti in organismi da loro stessi promossi e gestiti.
Stiamo così esaminando diverse proposte, che possano al più presto soddisfare quello spirito di solidarietà e di compassione umana che è proprio della Tradizione Muratoria, promotrice nel passato di quasi tutte le associazioni solidaristiche che operano ancora oggi nel nostro Paese, anche se attualmente non vedono la partecipazione attiva dei Massoni.
Con lo stesso animo, svincolato da qualsiasi forma di proselitismo o di propaganda, stiamo organizzando per il prossimo autunno a Torino un convegno nazionale sul volontariato a cui parteciperanno relatori anche non massoni. Tale convegno contrassegnerà così l’inizio di un nuovo impulso alla solidarietà da parte del Grande Oriente d’Italia.
Se la solidarietà verso l’Umanità è indubbiamente un ideale concreto dei Massoni, non dobbiamo mai dimenticare l’impegno di unione profonda che dobbiamo avere verso i nostri Fratelli. Per questo, riteniamo che tale vincolo venga rinsaldato anche con specifiche azioni che siano rivolte al bene, alla cura e al conforto, materiale e spirituale. Stiamo così analizzando diverse proposte che possano soddisfare in modo più ampio e trasparente il contributo che il Grande Oriente d’Italia, e in particolare i Collegi Circoscrizionali, possono dare per il bene dei Fratelli.
Stiamo, altresì, ristabilendo e rafforzando i rapporti con le Comunioni estere e in questo ambito abbiamo già raggiunto un primo risultato: con la Gran Loggia Alpina della Svizzera abbiamo ristabilito le relazioni di amicizia.
Siamo certi che il nostro contributo alla società in cui viviamo, sia esso culturale, etico, pedagogico e spirituale, svolto in modo palese senza ambiguità e compromessi, porterà al riconoscimento da parte dell’opinione pubblica dell’importanza del ruolo di progresso, civiltà, libertà e democrazia svolto dal Grande Oriente d’Italia. Per questo è fondamentale divulgare le nostre iniziative e promuovere un’ampia opera di comunicazione verso l’esterno. A tal fine, da un lato, verrà potenziata l’azione di dialogo con il mondo profano in modo che essa sia efficace e rispecchi gli intendimenti della Giunta; dall’altro, il Gran Maestro ha già incontrato diverse personalità pubbliche ed ha rilasciato ai maggiori quotidiani italiani interviste sulla natura e sugli ideali del Grande Oriente d’Italia, che hanno comprovato la vitalità, lo spessore etico-culturale e l’impegno civile dei Massoni.
L’opera profondamente innovativa che stiamo intraprendendo potrà dare i suoi frutti solo se sarà supportata dal contributo di tutti Voi, cementato dai Lavori rituali e dell’amore che genera armonie.
Carissimi, i Liberi Muratori dovranno tornare ad essere i grandi costruttori di opere, per far sì che i Templi dello Spirito massonico si coniughino con la vita concreta degli Uomini.

Il Gran Maestro

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SCAVARE OSCURE E PROFONDE PRIGIONE AL VIZIO- LA COLLERA

“Scavare oscure e profonde prigioni al vizio” – La Collera

Ciò che deve contraddistinguere i nostri rapporti deve essere la benevolenza e mai la collera, che, a volte, ci prende e ci porta fuori strada.

La collera è una passione velocissima; è detta, infatti, bollore e movimento dell’animo contro chi ci ha arrecato un torto, o si presume che l’abbia fatto; essa, nel corso di tutto il giorno amareggia l’anima, ma è soprattutto durante le nostre riflessioni, che essa soggioga la mente, rappresentandole il volto di chi ci ha rattristato.

Quando essa è persistente si trasforma in risentimento e ci assale  come un vento impetuoso, emergendo come un bollore improvviso dal nostro intimo e divampando come un fuoco che ci divora, avendo come bersaglio, gli altri.

Essa è, inoltre, per eccellenza, il vizio visibile, tanto da sfigurare chi ne è preda, producendo anche effetti psicosomatici: fa perdere il fiato e genera una sensazione di soffocamento.

E’ significativo che la collera sia una reazione che condividiamo con gli animali, i quali la manifestano, soprattutto, quando si sentono aggrediti; ebbene, se non riusciamo a dominare tale moto istintivo, giusto o sbagliato che sia, esso rischia di trasformarsi in un sentimento permanente e nella memoria di un offesa mai perdonata, con conseguenze nefaste per ogni nostra relazione.

Va rilevato, peraltro,  che esiste anche un’ira, una collera ” positiva”, necessaria alla vita umana ed allo sviluppo della personalità; è una sorta di zelo, di impeto positivo che è addirittura necessario manifestare di fronte al male, all’ingiustizia, alla sofferenza delle vittime: è la collera per amore, cioè causata dall’amore, che deve essere suscitata dalla giustizia, avere una retta intenzione e manifestarsi attraverso una reazione proporzionata, non dovendo, quindi, essere ingiusta, vendicativa e smisurata.

La pulsione della collera è certamente un male quando diviene una presenza costante nei nostri rapporti con gli altri; quando è il segno del disprezzo e dell’odio nutriti verso l’altro in quanto tale; quando contiene l’intenzione dell’annientamento e della distruzione dell’altro. In tal caso, la collera è la negazione della relazione e della responsabilità; è la contraddizione, per eccellenza, alla comunicazione e al dialogo, nonchè il terreno su cui nasce l’aggressività e si sviluppa la violenza contro l’altro.

Per quanto riguarda la lotta contro questa passione, va rilevato che cedere costantemente alla collera è il segno di una vita scarsamente umana, non sufficientemente ritmata dal riposo e dal silenzio.

Oggi, nel ritmo affannoso della vita contemporanea, essa è diventata una delle cause dominanti sulle singole persone.

Quindi uno strumento elementare di lotta contro la collera è costituito dalla capacità di vivere il silenzio e la solitudine in modo profondo e intelligente, consentendo loro di divenire spazio per placare i nostri fantasmi interiori; la solitudine ed il silenzio sono assolutamente necessari per lottare contro le compulsioni del falso “io”, che, sempre, minacciato dalla possibilità dell’insuccesso e della non affermazione sugli altri, si apre alla collera.-

Solo chi vive nel silenzio a lungo sarà anche capace di spegnere la collera che è in lui ; la presa di distanza da ciò che si fa, dall’ambiente in cui si vive sono un’occasione per ritrovare se stessi e per far tacere la collera che tende a diventare una presenza nascosta e costante.

Più in profondità, però, per sconfiggerla, occorre la capacità di porsi una semplice, ma decisiva domanda: chi è l’altro per me?. E’ una persona con cui entrare in relazione, oppure è qualcos’altro?

Concretamente, allora, si tratta di giungere ad assumere comportamenti improntati a dolcezza e mitezza; amare, esercitarsi alla mitezza, per noi comporta almeno la necessità di porre un limite all’ira che ci assale, in modo da evitare di giungere a parole o ad atti che possano ferire chi ci è accanto, cercando di impedire che la collera penetri fino al cuore.

Dobbiamo avere quella capacità di pazienza di sentire in grande, il che significa, convivere con l’imperfezione e l’ineguatezza presenti nell’uomo e nella realtà; pazienza che significa anche sopportare, cioè, supportare e sostenere gli altri nelle loro debolezze che prima o poi sono anche le nostr

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LA MORTE DEL MARSTRO

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PITAGORA, STORIA. PENSIERO INIZIATICO E MASSONERI



La morte del Maestro





La Scuola Italica pitagorica aveva determinato e costituito un’élite all’interno della città di Crotone, riformando i costumi e sviluppando le coscienze.
Ben presto, tuttavia, essa dovette fare i conti con altre città, la prima fra tutte fu quella di Sibari (1), dove un tiranno di nome Telide si era improvvisamente impadronito della città. Uno dei primi atti del suo magistero fu quello di arrestare i membri del passato governo molti dei quali erano pitagorici. Parte di questi furono assassinati, altri si rifugiarono a Crotone, dove la comunità dell’Ordine riservò loro una generosa ospitalità.
Considerando la presenza degli esuli in una città cosi vicina una minaccia, Telide inviò allora una delegazione a Crotone, minacciando la guerra nel caso in cui non fossero stati consegnati i rifugiati per essere messi a morte. Il popolo di Crotone riunitosi in gran fretta nell’Agorà discusse il problema e quando la fazione orientata alla consegna di quelli che, dopotutto, erano considerati degli estranei stava prendendo il sopravvento, intervenne personalmente il Maestro e risolse il terribile conflitto di coscienze: “Voi non potete, disse, strappare dai vostri altari i supplici che hanno invocato la sacertà. Il diritto d’asilo è inviolabile. Nulla vi deve distogliere dal vostro bene” (2).
Quindi il Senato si rifiutò di consegnare i suoi ospiti, anche in virtù del fatto che tra i suoi membri più influenti vi erano molti adepti all’Ordine.
Sibari dichiarò guerra nello stesso giorno. Crotone dette l’incarico di comandante in capo delle truppe al celebre atleta Milone, anch’egli membro devoto dell’Ordine (3). Benché l’esercitò di mercenari di Sibari fosse tre volte superiore a quello di Crotone, gli invasori furono respinti e Milone li insegui fin nel loro territorio conquistando Sibari.
Era il 510 a. C.; la città venne completamente rasa al suolo: Eliano (4) narra che non restò pietra su pietra, scomparendo così dalla mappa della Magna Grecia. Dovranno passare almeno 70 anni perché sotto la guida degli Ateniesi, vi fu fondata, nel 444-443 a. C., una colonia panellenica che prese poi il nome di Turi.
A questo punto della storia intervengono due fatti che, sia pure indirettamente, determinarono la fine della Scuola Italica.
Con la vittoria su Sibari si apri una diatriba sulla divisione delle terre conquistate: il popolo voleva che esse fossero divise fra gli abitanti, mentre il Senato era contrario. La seconda causa fu rappresentata da quella agitazione degli animi che si stava allora diffondendo in tutte le colonie greche. Una serie di sommosse provocarono la caduta di gran parte dei Consigli oligarchici o aristocratici; il popolo prese il potere in molte città e il suo primo provvedimento fu quello di abolire le costituzioni ritenute reazionarie, vennero soppresse le magistrature ereditarie introducendo il metodo del sorteggio, i rappresentanti dei governi furono costretti a sottoporre al popolo un resoconto della loro gestione, divennero servitori del popolo invece di esserne le guide. Crotone non sfuggì al contagio delle nuove idee e dopo tumultuose elezioni un Consiglio democratico prese il potere. Tutte le istituzioni tradizionali della città vennero spazzate via e l’Ordine perse immediatamente quella considerevole influenza che aveva tanto esercitato per più di trent’anni sulla città. Fu a questo punto che Pitagora cessò di tenere i corsi agli Exoterici e si chiuse in un profondo ritiro. Si ritirò nel Tempio dell’Ordine e solo i dirigenti poterono avvicinarlo.
Gli storici e gli studiosi non sono concordi sulla scelta del Maestro. La più probabile è quella secondo cui si rendeva conto dell’errore commesso dai Politikoi dell’Ordine, che avevano assunto una parte troppo attiva nelle competizione elettorali e che avevano troppo apertamente gestito gli affari pubblici.
Ma torniamo a Crotone. Gli aristocratici, e con essi molti membri dell’Ordine, costituivano una vigile opposizione agli attuali governanti della città, ostacolando l’esecuzione delle nuove riforme. I demagoghi, allora, scatenarono una forte campagna con la quale attaccarono duramente l’Ordine e il suo Maestro. Giamblico (5) parla di un certo Cilone, che il Maestro aveva rifiutato nell’Ordine, perché crudele ed ambizioso, il quale si mise a capo di una congiura con l’appoggio di Ninone, autore di un falso estratto dei Versi Aurei di Pitagora, inventati di sana pianta. Cilone riuscì a presentare Pitagora come uno straniero pericoloso, un temibile cospiratore, organizzatore in segreto di un complotto contro il popolo di Crotone. A queste accuse, alcuni cittadini corsero alle armi e si recarono all’assalto della casa di Milone, ove i membri della comunità si erano pacificamente riuniti per celebrare ritualmente, in agape fraterna, una festa d’obbligo. Assaliti dalla folla, i Pitagorici serrarono le porte e non riuscendo a sfondarle, gli assalitori dettero fuoco all’edificio. Iniziò allora un massacro: alcuni adepti perirono nelle fiamme, altri tentarono la fuga e furono abbattuti dal popolino scatenato. La maggior parte degli studiosi è concorde sul fatto che solo Liside, il discepolo preferito del Maestro, ed Archippo, entrambi di Taranto, riuscirono ad evitare la morte; Liside si rifugiò a Tebe ove iniziò Epaminonda (6), mentre Archippo si mise in salvo in patria.
I membri dell’Ordine furono oggetto di una caccia spietata; alcuni si erano rifugiati in una locanda dove furono scoperti e sgozzati, altri furono inseguiti in piena campagna e, raggiunti, vennero uccisi senza distinzione d’età e di sesso. Fra le vittime figurava anche il giovane Democede, una delle speranze dell’Ordine.
Pitagora scomparve misteriosamente. La sua fine rimarrà sempre un enigma. Il suo corpo non venne mai rinvenuto e mai si scoprì il luogo della sua sepoltura.
Anche in questo caso i suoi biografi sono discordi. Tre sono le tesi principali sostenute dagli storici. La versione di Ippolito e di Neante (7) vuole che il Maestro condividesse la sorte crudele dei suoi discepoli e perisse con loro nell’incendio e nel massacro di Crotone. Ermippo sostiene invece che riuscì a fuggire insieme a Liside ed Archippo ma che venne raggiunto lungo la strada e sgozzato in un campo di fave. Secondo Dicearco (8), il Maestro errò di città in città, scacciato da tutti e, che giunto infine a Metaponto, sarebbe morto di fame e di fatica nel Tempio delle Muse.
E’ certo che Pitagora risiedette per qualche tempo a Metaponto, perché è in questa città che ricevette nell’Ordine il suo ultimo discepolo diretto, Empedocle d’Agrigento (9), che si vantò sempre di essere stato iniziato da lui.
Fu sempre a Metaponto che, dopo la morte, la sua dimora venne trasformata in Tempio dei “Misteri di Cerere” ed è là che Cicerone farà un pellegrinaggio ed andrà a vedere “il luogo ove aveva perduto la vita ed il seggio dove era solito sedersi”.
Tale fu l’ignota fine de quest’essere straordinario, una fine enigmatica quanto la sua vita.

Le iniziazioni del Maestro
  Quando Pitagora costituì il suo Ordine nella Magna Grecia, aveva ricevuto, nei vari paesi in cui aveva dimorato la pienezza di una formazione iniziatica. Alla sua epoca, infatti, esistevano già presso tutti i popoli mediterranei un gran numero di “Misteri”, le Telete. Esse consistevano nella rivelazione confidenziale di certi segreti cosmici, trasmessi da sacerdoti specializzati ad un ristretto numero di discepoli, degni di riceverli ed in grado di farne buon uso.
In ogni regione, degli istruttori consacrati al culto delle divinità locali insegnavano i propri Misteri in Santuari riservati a tale scopo. Vediamo così numerosi viaggiatori che, amanti della Verità, peregrinano di città in città per chiedere di essere ammessi a tutti i tipi di Misteri che potevano essere loro rivelati, accumulando così gelosamente il maggior numero possibile di iniziazioni.
Plutarco, Pausania ed Apuleio fanno capire di essere stati successivamente ammessi ai Misteri greci di Demetra e di Dioniso, nonché ai Misteri egizi di Osiride e di Iside. Ma non vi furono soltanto i filosofi, naturalmente inclini all’investigazione metafisica, ad essere i più ghiotti di queste ripetute investiture, perché anche i grandi capi politici dell’antichità manifesteranno lo stesso interesse. Quando il mondo romano avrà subito profondamente l’influenza ellenica, vedremo i suoi più illustri imperatori imitare Pitagora e recarsi all’estero per ottenere nuove qualifiche.
Allo stesso modo in cui fecero Silla e Cicerone, vedremo Augusto, Domiziano Adriano, Antonino Pio, Lucio Vero, Marco Aurelio, Commodo, Settimio Severo e Giuliano ricercare in Grecia l’iniziazione ai Misteri.
Poniamo da parte i Misteri di origine ellenica per interessarci di quelli egizi che esercitarono indubbiamente su Pitagora la maggiore influenza iniziatica.
“Egli trascorse ventidue anni nei templi d’Egitto, dice Giamblico, studiando astronomia e geometria. Egli si fece ammettere, non superficialmente né a caso, a tutte le iniziazioni degli Dei.
NON SUPERFICIALMENTE, dice l’autore, e ciò significa che lungi dal richiedere affrettatamente un’investitura occasionale, o di assistere ai riti e alle liturgie usuali, come facevano tanti viaggiatori avidi quanto frettolosi, Pitagora ebbe la pazienza di attendere per ricevere un insegnamento completo ed iniziazioni approfondite.
Ne’A CASO: non fu dunque un’ammissione puramente formale che egli andò a sollecitare, ma volle ricevere ed ottenne effettivamente una formazione identica a quella dei membri della casta sacerdotale, venendo così considerato come un loro pari in scienza e in taumaturgia.
Ma in che cosa consisteva le iniziazioni egizie?
Alcuni studiosi, come Roeder, Hall, Newton, Hohlemberg, ecc., ci dicono che i sacerdoti egizi davano delle iniziazioni estremamente impressionanti ad un’èlite di neofiti, iniziazioni che si svolgevano in parte nella Grande Piramide e nella Sfinge di Gizah. L’abate Terrason è stato il primo a sostenere questa tesi.
Le cerimonie avrebbero comportato delle prove fisiche spossanti e terribili. Il candidato doveva essere purificato dai quattro elementi: a tal fine doveva strisciare in gallerie sotterranee (elemento terra); attraversare della legna infiammata (elemento fuoco) passare a nuoto e senza spegnere la fiaccola un profondo bacino (elemento acqua); infine, non lasciare la presa nel momento in cui si sentiva sospeso nel vuoto (elemento aria).
La disposizione interna della Piramide, che conta numerosi corridoi, sale e cavità diverse, non rende a priori inverosimile questa tesi. Apuleio, parlando dell’iniziazione di Lucio ai Misteri egizi afferma:
“Sono giunto ai confini della morte. Dopo aver calpestato il suolo di Proserpina, sono tornato attraversando tutti gli elementi”.
Altri, invece, contestano energicamente questa tesi e si ostinano a vedere nella Grande Piramide solo una tomba di notevoli dimensioni.
Il luogo ha una importanza relativa; quella che non può essere contestata è l’esistenza di iniziazioni in Egitto: ricordiamo che tutti i grandi uomini della Grecia intrapresero il viaggio in Egitto espressamente per cercarvi l’iniziazione e che tutti gli autori ne affermano l’esistenza.
La religione egizia comportava due livelli di rivelazione. Al popolo veniva data unicamente un’approssimazione elementare di certe Verità cosmiche, sotto i veli del rito religioso. Gli si permetteva di frequentare i santuari e di partecipare alle processioni e alle feste religiose che Erodoto ci ha descritte. Lo si incoraggiava ad una fervente pietà, ad una devozione eccezionale, ad una permanente emotività mistica.
Ma la vera scienza segreta era riservata alla casta sacerdotale, e rari stranieri ne furono talvolta i beneficiari.
Pitagora ricevette questa duplice comunicazione della verità.
I Misteri egizi comportavano essenzialmente un elemento mitico, il cui tema principale era costituito dalla morte e dalla rinascita di Osiride, dei simboli e un insieme di riti. Siamo in grado di scoprire quali particolarità dei Misteri hanno più colpito Pitagora? Senza dubbio ed innanzi tutto la celebre leggenda di Osiride. Plutarco ce l’ha raccontata in modo esplicito: Osiride era stato assassinato dal crudele Tifone e il suo cadavere gettato nel Nilo; la cassa che conteneva i suoi resti fu trascinata dai flutti del mare a Byblos, ove un’erica crebbe tutto intorno ad essa. Dopo numerose ricerche, Iside riuscì a ritrovarla, ma nottetempo giunse Tifone che smembrò il corpo di Osiride in quattordici pezzi, disperdendoli da ogni parte. Iside dovette cercarli a lungo per raccoglierli, e alla fine riuscì a metterne insieme tredici: il sesso non poté essere trovato. Ra inviò allora Anubis per rimettere a posto le membra disgiunte di Osiride, ed Iside le rianimò col suo soffio. In seguito suo figlio Horus vendicò il padre e sconfisse Tifone.
Questo mito eterno, si ritrova in tutte le iniziazioni. Il neofita, infatti, veniva ad un certo punto sottoposto ad una morte simbolica e quando risorgeva levandosi dal suo giaciglio funebre era assimilato al Dio, che riviveva in lui e lo faceva partecipare al suo irraggiamento spirituale.
Nel Pitagorismo ritroviamo questo simbolismo: l’iniziato dovrà, come un chicco di grano, simbolo di Osiride, morire per poi rinascere.
Non solo, ma Pitagora fu enormemente influenzato dall’insegnamento egiziano relativo alla vita postuma dell’anima umana. Egli dichiarerà, come i suoi istruttori egiziani, che l’anima è immortale, la farà passare sulla barca sacra per recarsi al giudizio (o psicostasia), imporrà a tutti i suoi discepoli di pesarsi moralmente ogni giorno con una psicostasia volontaria; farà sperare ai giusti la beatitudine finale, il soggiorno nell’Isola dei Beati. Ripeterà così le tradizioni egiziane sulla barca di Iside la pesa delle anime ad opera del cancelliere Thot, il rifugio finale nei beati campi di Ialu. Non solo, è possibile ritrovare in certi suoi insegnamenti la dualità Osiride-Iside sotto forma del binomio Sole-Luna; il culto di Amon-Ra sotto la forma del rito di saluto al Sole levante; la barca di Iside nell’insegnamento segreto sulla sopravvivenza. Lo scarabeo sacro sarà rimpiazzato dalla farfalla e l’Ermete egizio verrà rappresentato in ogni suo Tempio.
Ma la cosa che maggiormente influenzò ed ispirò il maestro nelle sue direttive spirituali fu la minuziosa liturgia egiziana. Pitagora dovette rimanere sorpreso del valore essenziale che i suoi istruttori egiziani attribuivano ai riti religiosi dell’importanza considerevole che essi attribuivano a ciascuno dei loro gesti e della ricchezza magica che davano ad ogni parola. Il fatto è che l’Egitto, tramite la pratica rituale, possedeva il segreto di come animare i suoi dei. Quindi, il merito di questa liturgia consisteva nel dare a tutti l’impressione che gli dei fossero viventi; l’oggetto della loro venerazione non era solo una mera immagine; entrando nel tempio, una volta compiuti i riti, si aveva la sensazione di una presenza, e il fuoco sacro che ardeva costantemente davanti al Dio rafforzava ancor più questa sorprendente impressione. Riusciamo a questo punto a comprendere quale entusiasmo mistico, quali scene di gioia spirituale, quale fervore accompagnassero in Egitto l’esecuzione di tutti i rituali religiosi; quali slanci di fede e di pietà trascinavano le anime e quali felici emozioni facessero battere i cuori all’un isono.
Pitagora riuscì a ricreare fra i suoi discepoli la stessa unità spirituale, imponendo riti regolari e dando loro una padronanza assoluta sulle proprie azioni.
Se tali effetti erano ancora percepibili e realizzabili in epoca in cui i Grandi Misteri dell’Egitto erano già in piena decadenza, quale mai doveva essere la forza dell’iniziazione egizia nel momento in cui questo popolo straordinario si trovava all’apogeo della sua potenza e del suo irraggiamento spirituale. Il suo dinamismo religioso dovette essere incomparabile ed influenzare profondamente tutti i popoli mediterranei.
Pitagora ricevette veramente in Egitto una formazione completa: nessuna iniziazione greca avrebbe potuto insegnargli altrettanto.
    Ricerca di Vittorio Gnocchini   NOTE
(1)La colonia achea di Sybaris, fondata nella seconda metà del sec. VIII a. C. sul golfo di Taranto, acquistò presto, grazie all’intraprendenza e all’operosità dei coloni, potenza e ricchezza tali che i suoi abitanti ebbero anche fama di molli e corrotti. Sulle sponde tirrene calabre, S. fondò le colonie di Lao e Scidro e più a nord, sul golfo di Salerno, Posidonia (Pesto). In buoni rapporti con Mileto, verso la fine del sec. VI esercitava una certa supremazia sui centri vicini.
(2) Da Diodoro Siculo, storico greco (80 ca. —20 a.C.)
(3) Milone: atleta greco (sec. VI a. C.). Tra i più famosi dell’antichità, fu vincitore nella lotta in almeno 6 giochi olimpici oltre che di altre manifestazioni sportive (6 giochi pitici, 10 istmici e 9 nemei).
(4) Claudio Eliano: sofista ed erudito romano (Preneste ca. 170-ca. 235). Insegnò a Roma; non uscì mai dall’Italia, ma parlò e scrisse in greco attico. Lasciò due raccolte di fatti curiosi e strani: intorno agli animali (Sulla natura degli animali, in 17 libri) e Varia storia, di cui abbiamo 2 libri su 14, contenente aneddoti mitologici, letterari, naturalistici, ecc.
(5) Giamblico: filosofo neoplatonico e matematico greco (Calcide ca. 250-325 o 326). Allievo di Porfirio, introdusse, dandovi la preminenza, elementi mistici e superstiziosi di origine orientale nel neoplatonismo, come si può rilevare nell’opera De Mysteris. E’ autore di una Silloge delle dottrine pitagoriche in 10 libri, di cui ne restano 5. I più interessanti sono De vita pythagorica, De communi mathematica scientia (un’introduzione filosofica alla matematica) e In Nicomachi arithmeticam introductio (commento).
(6) Epaminonda: generale e uomo politico tebano (ca. 420-362 a. C.).
(7) Neante di Cizico: storico greco (sec. III a. C.). Scrittore di mitografia, compose sei libri di Elleniche, di cui restano solo frammenti.
(8) Dicearco di Messina: filosofo peripatetico (sec. IV-III a. C.). Fu discepolo di Aristotele, contro cui sostenne la superiorità della vita pratica sulla vita teoretica. Notevole la sua opera geografica Itinerario intorno alla Terra.
(9) Empedocle: filosofo greco (Agrigento ca. 492-? ca. 432 a. C.). L’ultimo dei grandi filosofi naturalisti presocratici, ebbe fama di medico e di guaritore e la sua figura divenne leggendaria. Partecipò alla vita politica della sua città, dalla quale pare sia stato esiliato, perché appartenente al partito democratico. Condusse una vita randagia in Sicilia, Magna Grecia e, probabilmente, nel Peloponneso. La sua morte è misteriosa: si racconta che si sia gettato nell’Etna per farsi credere un dio.Bibliografia
L. Alessio, Pitagora, Milano, 1940.
E. Brehier, Histoire de la Philosophie, Paris, 1938.
P. Brunet e A. Mieli, Histoire des Sciences, Paris, 1935.
L. Brunsschvicg, Le Role du Pythagorisme dans l’evolution des Idées, Paris, 1927.
J. Burnet, L’Aurore de la Philosophie grecque, Parigi, 1919.
A. E. Chaignet, Pythagore et la Philosophie Pytagoricienne, Paris, 1874 (in due volumi).
A. Cocchi, Del vitto pitagorico, Firenze, 1743.
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L ‘ AGAPE MASSONICA

L ‘ AGAPE MASSONICA

L’agape massonica

All’espressione di analoghe riserve si sono prestati i rituali non ufficiali per il riconoscimento del vincolo coniugale (il cosiddetto matrimonio massonico) e per la commemorazione dei defunti.

Il tema dell’agape o banchetto massonico, che si ripropone costantemente in termini di incertezza nella Massoneria italiana a motivo della mancata adozione di un apposito rituale da parte del Grande Oriente d’Italia, è curiosamente venuto alla ribalta di recente nel quadro della querelle che ha portato al ritiro del riconoscimento da parte della Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Infatti, tra i “capi di accusa” contestati al Grande Oriente d’Italia stesso dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra e che hanno fornito pretesto per il suddetto ritiro del riconoscimento, ha figurato quello a tenore del quale il Grande Oriente d’Italia consentirebbe a Logge alla propria obbedienza l’effettuazione di banchetti od agapi secondo rituali parodianti in modo blasfemo il sacramento eucaristico e comunque estranei alla pura tradizione massonica.

Al fine di fare chiarezza sull’argomento, ancorando tuttavia l’indagine ad elementi meno fumosi e meno opinabili di quelli che spesso consistono nello sciorinamento incontinente ed incontenibile dell’universo esoterico, converrà fare riferimento a precisi elementi documentari.

Il Dictionnaire de la Franc-Maçonnerie diretto dal Ligou 1, alla voce Banquet, si esprime nel seguente modo: «Il banchetto è una tra le più antiche e solide tradizioni massoniche. Già le Costituzioni di Anderson vi fanno allusione, al pari dei “regolamenti” che fanno loro seguito. Fin da quell’epoca, le riunioni e le assemblee di Gran Loggia si concludevano con un banchetto ed Anderson raccomanda ai Fratelli di non trasformarli in orge, precetto che sembra esser stato in generale seguito… La tradizione del banchetto si è mantenuta. Ogni tornata è seguita – obbligatoriamente nell’Emulation Ritual, facoltativamente altrove – da un banchetto o “agape fraterna”. Nell’Emulation Ritual, il banchetto è rituale, vale a dire che la tavola è a ferro di cavallo, presieduta dal Venerabile, mentre i due Sorveglianti stanno alle due estremità. Si comincia con i “rendimenti di Grazie” recitati dal cappellano ed il pasto è inframmezzato da una serie di toasts, i “toasts ufficiali” al Presidente della Repubblica (in Inghilterra alla Regina), ai sovrani e capi di Stato che proteggono la Massoneria, al Gran Maestro), i “toasts tradizionali” (alla Gran Loggia, al Gran Maestro Provinciale, se del caso al neo-iniziato di quella tornata il quale contraccambia, alle logge sorelle ed ai visitatori), poi agli “assenti”, ed infine “a tutti i Massoni poveri ed in difficoltà”. Nelle logge che lavorano secondo i Riti Francese e Scozzese, l’“agape fraterna” che fa seguito alla tornata è spesso abbastanza rapida e semplice, presieduta dal Venerabile che talvolta dice qualche parola al dessert. Qualche volta vi sono ammesse le mogli dei Fratelli… Nei Riti Francese e Scozzese viene praticato il “banchetto d’ordine” strettamente riservato ai Fratelli. La tavola è del pari ad arco di cerchio, è proibito parlare ad alta voce e fumare. Il servizio di tavola è effettuato dagli Apprendisti. L’aspetto interessante di queste cerimonie deriva dal fatto che esse hanno conservato un rituale abbastanza particolare che si ritiene derivato dalle tradizioni delle logge militari durante l’Ancien Régime. In questi “lavori di masticazione” o “lavori di tavola”… si fa anche uso di un lessico speciale… Durante il “banchetto d’ordine” i Fratelli indossano la sciarpa o il collare…».

A sua volta il Mellor, nel Dictionnaire de la Franc-Maçonnerie et des Francs-Maçons 2, alla voce Banquet, riferendosi all’uso inglese, scrive che la ricreazione (refreshment) o agape, che segue la tornata di Loggia, «è… obbligatoria». I brindisi o toasts si dividono in facoltativi, obbligatori (al Re o al Presidente della Repubblica, ai sovrani e capi di Stato che proteggono la Libera Muratoria, al Gran Maestro) e tradizionali (alla Gran Loggia nazionale, al Gran Maestro Provinciale ed alla Gran Loggia Provinciale, all’eventuale neo-iniziato del giorno con quello di risposta dell’iniziato stesso, alle Logge sorelle, ai visitatori); il penultimo toast è per i Fratelli assenti e l’ultimo (quello del Tyler o Tegolatore) per «tutti i massoni poveri ed in difficoltà, per mare, sul mare od in aria, augurando una rapida consolazione alle loro sofferenze ed un pronto ritorno al Paese natio, se lo desiderino». Il Mellor precisa che «l’uso, ad ogni toast, è quello di alzarsi in piedi, dopo che il Venerabile abbia battuto un colpo di maglietto, ripetuto dai due Sorveglianti, ognuno dei quali sta seduto all’estremità della tavola (generalmente a ferro di cavallo)».

A quale epoca risale la consuetudine di consumare un pasto tra i fratelli di Loggia, durante o dopo i lavori rituali propriamente detti? Ed è possibile ricostruire le forme “originarie” di essa?

Prima di tentare di dare una risposta a questi interrogativi, appare opportuno ricordare che abbiamo oggi un’idea molto approssimativa dei rituali in uso prima del 1730 circa, posto che i primi documenti scritti, a parte rare eccezioni su aspetti comunque non pertinenti all’argomento in esame, cominciano ad apparire proprio da quel periodo.

Secondo il Jones 3, «è comunque certo che i brindisi venissero usati agli inizi del ‘700 e probabilmente anche molto prima. Anderson suggerisce che ne venne fatto uno alla festa del 1719. Nel 1757, una lettera autorizzata dal Gran Maestro stabiliva che “il primo dei nostri brindisi in loggia è quello della salute del Re e dell’Ordine, con 3.3”. Sia i “Moderni” che gli “Antichi” erano d’accordo su questo punto».

Che un pasto in comune fosse abitualmente consumato al termine dei lavori di Loggia, almeno a partire dal 1717 o comunque dalla fondazione della Gran Loggia di Londra, è attestato – come ricordato dalla sopra riportata voce del Dictionnaire de la Franc-Maçonnerie – dai Doveri di un Libero Muratore allegati alle Costituzioni elaborate dall’Anderson nel 1723. Infatti, all’art. 2 dei Doveri, sotto il significativo titolo di Comportamento quando la Loggia è Chiusa ed i Fratelli non sono usciti che consente di situare le relative prescrizioni dopo la chiusura dei lavori rituali, si legge: «Potete divertirvi con innocente allegria, trattandovi l’un l’altro a vostro talento, ma evitando ogni eccesso, o di spingere alcun Fratello a mangiare o bere oltre la sua inclinazione…» 4. Gli stessi Regolamenti generali annessi alle Costituzioni (artt. XXVIII-XXXII) dedicano alquanto spazio al tema del “pranzo” che fa seguito ai lavori della Gran Loggia annuale.

È certo, comunque, che ancora per decenni dopo il 1717 le Logge, sia in Inghilterra sia nell’Europa continentale ove si erano nel frattempo rapidamente diffuse, continuarono a riunirsi presso taverne e locande, dimostrandosi spesso assai più interessate ai “lavori di tavola” che ad altri e più iniziatici lavori, in qualche modo legittimando la curiosa etimologia data con tutta serietà dal Lessing alla parola Masonry, come derivata da Mase, mensa o tavola 5. E se pure al riguardo non si disponesse di abbondanti testimonianze d’epoca (diari, resoconti di gazzette, rapporti di polizia, etc.), basterebbe a darne conferma la sollecita preoccupazione di un Ramsey volta a nobilitare i banchetti massonici attraverso l’analogia con le feste intrinseche ai Misteri pre-cristiani… 6

In ogni caso, già una delle prime pubblicazioni a stampa in Italia sulla Libera Muratoria, la Relazione della Compagnia de’ Liberi Muratori dell’Angiolieri Alticozzi 7, si diffondeva lungamente sulla «tavola de’ Liberi Muratori», riportando tra l’altro queste interessanti notazioni: «Le parole, che si usano a tavola, sono prese dall’Artiglieria; benché io ho poi veduto, che questo costume non è così rigoroso, e in diversi paesi diversamente si varia». Vi è poi la descrizione del lessico di tavola 8, del caricamento, del brindisi, etc., esattamente come la si ritroverà alla fine del XVIII secolo ed all’inizio del successivo attraverso i testi francesi ed italiani.

Non indegna di approfondimento ritenne questa tematica Théodore-Henri de Tschoudy, che nell’Étoile flamboyante (1766) 9 le dedicò non poche pagine, con accenti e con considerazioni che appare utile rievocare. «Le assemblee dei Massoni sono quasi sempre concluse da pasti… Ma quando una gioia savia presiede a questi quarti d’ora di rilassamento, quando le arguzie dell’ingegno, stimolate ad un certo punto dall’uso moderato di una bevanda ristoratrice, lasciano sfuggire quegli sprazzi d’immaginazione che inquadrano e disegnano, per così dire, la soddisfazione ed il piacere, dove trovarne uno più sensuale? ai canti di prammatica, che hanno qualcosa di rude e di monotono, si mescolano talvolta canzoni ingegnose, la cui melodia ed i cui accordi sembrano unire ancor più gli animi e far meglio scaturire l’armonia dell’insieme. L’ordine dei brindisi, quello della cerimonia, malgrado il loro singolare apparato, per quanto estraneo possa apparire alla maggior parte degli usi massonici…, costituiscono nondimeno una visione, un concerto che ha qualcosa di piacevole e di seducente fin nell’inizio. L’atmosfera di schiettezza che pervade tutti i convenuti, il tono cordiale che viene assunto spontaneamente per interpretare sentimenti autentici, pongono ognuno a proprio agio: le distinzioni finiscono al di sotto della tavola, non si ode altro che il nome di fratello, il quale risuona per ogni dove; tutto, infine, contribuisce a render deliziosi questi festini nella loro semplicità… 10 Il nostro, cari Fratelli, è il rifugio dell’innocenza; noi lasciamo il santuario per passare nel vestibolo a banchetti deliziosi, nei quali la frugalità e la prudenza attenuano quanto vi potrebbe essere di troppo impetuoso e di eccessivamente libero. Un esercizio piacevole vi cadenza con metodo, le libagioni che facciamo ed il modo di celebrare i brindisi cari all’ordine acquistano un merito in più per l’armonia che vi regna e per il concerto di applausi con il quale esprimiamo i nostri auspici e la nostra gioia. I nomi che impieghiamo per caratterizzare gli arredi del festino attengono agli attributi militari, giacché nessun ordinamento nella società civile è maggiormente sagomato per la precisione dei tempi di quello di una milizia ben disciplinata e ben guidata; al monarca vanno i nostri primi auguri, mentre il secondo posto spetta al capo dell’ordine in Francia; i nostri maestri, i nostri fratelli, i nostri amici, le nostre sorelle, ci farebbero prosciugare la cantina più fornita, qualora ardissimo cimentare le nostre forze con la voglia che abbiamo di sottolineare l’affetto più tenero; ma i Massoni hanno in orrore l’ebbrezza, conseguenza funesta degli eccessi; la crapula non si asside mai accanto alla virtù, la sola decenza ha diritto di riempire la sua coppa, le preoccupazioni sono bandite, i Massoni non le paventano; adusi ad intrecciar ghirlande, le rose del piacere con i gigli della sapienza, non degeneriamo mai; i nostri princìpi sono presenti sempre, nei casi del lavoro, in seno alle feste, nel momento degli svaghi, il fuoco dell’amicizia è il solo che ci riscaldi; vediamo la gioia; la afferriamo, ma ci rendiam conto dei suoi limiti e sappiamo rispettarli: che non sia mai fine, fratelli neo-iniziati, al vostro zelo per la nostra rispettabile associazione e, quanto a noi, non dismetteremo mai i sentimenti che dovete aspettarvi da noi, e che sono lusingato di garantirvi. Vivant, vivant, vivant» 11.

All’argomento del banchetto o agape dedica spazio anche il Code Maçonique des Loges réunies et rectifiées de France (1779) 12, approvato nel Convento di Lione del 1778 che fu all’origine del Regime o Rito Scozzese Rettificato 13. Infatti il Cap. XV (Dei Banchetti e delle Feste) esordisce nei seguenti termini: «Tanto i banchetti troppo sontuosi, troppo chiassosi e troppo frequenti sono contrari allo spirito della Massoneria, quanto quelli il cui costo è modico e regolato, in cui regnano la decenza e la fraternità, sono atti a conservare ed a rinserrare i legami che uniscono i Massoni. Pertanto il Maestro Venerabile radunerà a banchetto i Fratelli quanto spesso le circostanze lo consentiranno… Le feste da celebrare nelle Logge riunite e rettificate sono i due S. Giovanni, d’estate e d’inverno, e la festa del rinnovamento dell’Ordine del sei novembre… Il giorno della festa di S. Giovanni d’inverno sarà principalmente consacrato ad atti di beneficenza… Lo stesso si deve osservare per la festa di S. Giovanni Battista… Ci sarà un discorso come per la festa di S. Giovanni d’inverno, e si faranno al banchetto tutti e sette i brindisi dell’Ordine…».

Un rituale a stampa della “Loggia di Tavola” è finalmente contenuto nel Recueil précieux de la Maçonnerie adonhiramite 14, opera di Louis Guillemain de Saint-Victor (1786). Si è nell’ambito proprio del Grand-Orient de France e del Rito Francese o Moderno in questo praticato. Le prescrizioni anticipano un paradigma pressoché costante nei successivi documenti similari. «Poiché l’Istruzione della Loggia di Tavola fa parte dei misteri dell’Ordine, si deve tenere questa Loggia in un luogo altrettanto ben coperto della Sala delle Iniziazioni. Si allestirà una Tavola a forma di ferro di cavallo, abbastanza grande, se il luogo lo consente, perché tutti i convitati possano sedere lungo il lato esterno. Il Venerabile è sempre posto all’Oriente davanti al centro della Tavola, avendo l’Oratore alla propria destra: i Sorveglianti sono alle due estremità all’Occidente; i Maestri occupano il Mezzogiorno, avendo cura di cedere i posti più prossimi all’Oriente a tutti i Visitatori che si presentino; i nuovi Iniziati devono stare a Settentrione, di lato all’Oratore, ed i Compagni riempiono i posti rimanenti da questa parte… Tutto ciò che costituisce il servizio della Tavola deve formare tre linee parallele; vale a dire che i piatti formano la prima, le bottiglie ed i bicchieri la seconda, ed i vassoi di portata ed i lumi l’ultima». Seguono un glossario dei termini («i bicchieri sono chiamati cannoni», etc.), il rituale di apertura dei lavori, un’elencazione dei brindisi obbligatori ed i canti di chiusura, nonché il rituale di chiusura dei lavori.

La elaborazione del suddetto rituale è pressoché contemporanea a quella del rituale, ben più autorevole per provenienza, redatto in forma manoscritta nel 1783 per uso delle Logge del Grand Orient de France 15 e pubblicato a stampa nel 1801 nel contesto del Régulateur du Maçon ou les trois premiers grades et les quatre ordres supérieurs (A Hérédom. l’An de la G.·.L.·. 5801), che – con pochi adattamenti per quanto concerne la dedica del primo brindisi, imposti dalle circostanze politico-istituzionali 16 – sarebbe stato preso a modello in tutta la massoneria francese o d’ispirazione francese fino ad oggi.

Nell’ambito del primo Grande Oriente d’Italia (1805-1814) si fece riferimento ai rituali del Grande Oriente di Francia, anche per i banchetti o agapi. Ne è prova il volumetto delle Instructions pour les trois premiers grades de la Franc-Maçonnerie catalogato nella Raccolta Bertarelli di Milano e riprodotto integralmente in una pubblicazione riservata 17, che almeno fino al 1808 dovette essere in uso benché in francese, posto che soltanto da quell’anno è riferita l’esistenza di rituali a stampa in italiano 18.

Del volumetto fa parte anche una dettagliata Instruction de la Loge de table, ou banquet, trascrizione pressoché integrale dal citato Régulateur, della quale si riportano alcuni brani più significativi:

    «Disposizione della Loggia di tavola. La sala in cui si fa il banchetto deve esser situata in modo che niente si possa vedere o sentire dal di fuori. La tavola, per quanto possibile, sarà a ferro di cavallo. Il posto del venerabile è al vertice, e quello dei sorveglianti alle estremità. Il fratello oratore si pone in testa alla colonna di meridione 19, ed il fratello segretario alla testa di quella di settentrione; l’oriente è occupato dai fratelli visitatori, o da ufficiali della loggia, qualora non vi siano visitatori. Eccettuati i cinque ufficiali appena menzionati, nessuno ha un posto distinto, tranne nel caso in cui vi fossero visitatori decorati di gradi superiori, e che l’oriente fosse occupato da essi 20. In tal caso gli altri visitatori verrebbero posti in testa alle colonne. Il Pane si chiama Pietra grezza … 21. Allorché ognuno abbia preso posto, sta alla volontà del venerabile di fare il primo brindisi prima di masticare, o di aspettare che si sia masticata la minestra, od in altro momento che egli ritenga opportuno. Quando vuole fare il primo brindisi, batte un colpo di maglietto; immediatamente i fratelli serventi 22 escono dall’interno del ferro di cavallo, e si ritirano all’occidente. (E’ la stessa cosa in tutti i brindisi). Tutti smettono di masticare. Il fratello maestro delle cerimonie, per solito, sta da solo all’interno del ferro di cavallo e di fronte al venerabile 23, per essere meglio in grado di ricevere i suoi ordini e di farli eseguire: talvolta trova posto in un tavolino tra i due sorveglianti …. Ciascun sorvegliante si assicura della qualità massonica di tutti gli individui che stanno sulle due colonne, scorrendo lo sguardo su di essi e riconoscendoli per massoni …. Nel frattempo i fratelli si adornano delle proprie sciarpe; non è necessario indossare il grembiule. Il fratello copritore va a togliere la chiave della porta, che chiude; e da quel momento nessuno più entra od esce …. PRIMO BRINDISI. Il venerabile dice: Fratelli primo e secondo sorvegliante, invitate i fratelli dell’una e dell’altra colonna a prepararsi a caricare e ad allineare per il primo brindisi obbligatorio. I fratelli sorveglianti ripetono l’annuncio. Il venerabile dice: Carichiamo ed allineamo, fratelli miei. (Nota. Soltanto da questo momento si deve metter mano ai barili, altrimenti nei lavori s’insinuerebbe la confusione). Ognuno si versa da bere nel modo che gli aggrada. Se qualcuno, per regime o per preferenza, volesse bere acqua, nulla lo deve costringere a mutar d’abitudine). Man mano che ognuno si è versato da bere, pone il proprio cannone (il bicchiere) un poco a destra della tegola (piatto); in tal modo i cannoni si trovano allineati in un istante. Si allineano anche i barili e le stelle su di una seconda linea. Quando tutto è allineato sulla colonna del settentrione, il secondo sorvegliante ne dà avvertenza al primo, che dice al venerabile: Tutto è allineato sulle due colonne. Il venerabile dice: All’oriente è del pari. In piedi e all’ordine, spada in mano. Ci si alza; la bandiera è sull’avambraccio; i fratelli, decorati di alti gradi, la mettono sulla spalla; si tiene la spada (qualora se ne disponga) o un coltello con la mano sinistra, e si sta all’ordine con la destra. (Se la tavola è a forma di ferro di cavallo, i fratelli che si trovano all’interno restano seduti). Il venerabile dice: Fratelli primo e secondo sorvegliante, vogliate annunciare, sulle vostre colonne, che il primo brindisi obbligatorio è quello per l’Imperatore e per la sua augusta famiglia; aggiungeremo al brindisi auguri per la prosperità dei suoi eserciti. È ad un brindisi così prezioso per noi che vi invito a fare il migliore fuoco possibile. Mi riservo il comando delle armi. … Attenzione, fratelli miei. La mano destra alle armi. In alto le armi. Puntate. Fuoco. Buon fuoco. Il più vivo di tutti i fuochi. Uno, due, tre. Uno, due, tre. Uno, due, tre. In avanti. Uno, due, tre. Poi si applaude con la triplice batteria ed il triplice vivat. …».

Il secondo brindisi è «per il Gran Maestro, per il Rappresentante del Gran Maestro e per tutti gli ufficiali che compongono il G.·. O.·. di Francia»; il terzo, per «il venerabilissimo che dirige i lavori di questa rispettabile loggia»; il quarto, per «il primo ed il secondo sorvegliante»; il quinto, per «i fratelli visitatori»; il sesto, per «i fratelli ufficiali e membri della loggia»; il settimo ed ultimo, per «tutti i massoni sparsi sulla superficie della terra, tanto nella prosperità quanto nell’avversità». All’ultimo brindisi partecipano anche «i fratelli serventi che devono portare con sé le loro bandiere ed i loro cannoni». Si fa una catena d’unione: «tutti si alzano, ognuno dà un lembo della propria bandiera ai propri vicini, a destra ed a sinistra, afferra del pari un lembo delle loro e le tiene con la mano sinistra, il che non gli impedisce di tenere con la stessa mano la spada. I fratelli serventi fanno, con i sorveglianti, la stessa catena, ed il fratello maestro delle cerimonie sta in mezzo a loro».

Dopo il brindisi, il Venerabile «intona il cantico di chiusura, di cui per solito si recitano soltanto le seguenti due strofe, e tutti i presenti fanno coro:

    Fratelli e compagni

    Della massoneria;

    Senza tristezza godiamo

    Dei piaceri della vita.

    Muniti di un rosso orlo,

    Che per tre volte il segnale dei nostri bicchieri

    Sia una prova che, d’accordo,

    Beviamo ai nostri fratelli.

    Uniamoci mano nella mano,

    Teniamoci saldi insieme;

    Ringraziamo il destino

    Per il nodo che ci raccoglie;

    Ed assicuriamoci

    Che non si faccia, su entrambi gli emisferi,

    Brindisi alcuno più illustre

    Di quello ai nostri fratelli» 24.

Un rituale a stampa quasi identico, con traduzione italiana a fronte, venne pubblicato nel 1810 dal Vignozzi 25. Un altro e più succinto rituale di «banchetto» in lingua italiana è riportato nel voluminoso manoscritto databile ai primi del XIX secolo ed opera di un anonimo “N.” 26, che non diversifica in sostanza nemmen esso da quello ora esaminato, anche se palesemente deriva anche da altre fonti 27.

Per lo stesso periodo è possibile rinvenire illuminanti ed incontroversi elementi conoscitivi attraverso l’esame di due estesi testi regolamentari: gli Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia (1806) 28 e gli Statuti Generali della Massoneria Scozzese (1821) 29. Giacché i due testi sono quasi sovrapponibili 30, si farà riferimento prevalente al secondo di essi a motivo della sua ben maggiore diffusione nei quasi due secoli trascorsi dalla pubblicazione.

Gli Statuti Generali della Massoneria Scozzese, fonte di straordinaria importanza tenuto conto della peculiare autorevolezza del testo e della sua ricorrente influenza nei successivi assetti normativi della massoneria in Italia, dedicano all’argomento un’intera sezione, e cioé gli artt. 404-415 (pagg. 115-120 dell’edizione originale del 1821), con il significativo titolo «Delle agapi, o banchetti», a testimonianza dell’equivalenza delle due dizioni anche nel lessico muratorio italiano 31.

In considerazione dell’importanza e dell’autorevolezza del testo conviene dare trascrizione integrale di quasi tutti gli articoli, ed anzitutto dell’art. 404: «In tutte le officine massoniche, simboliche o capitolari, di rito scozzese o francese, si tengono in alcuni giorni dell’anno diverse agapi o banchetti di obbligazione. Nelle prime han luogo tre agapi ne’ giorni 24 del IV°. mese, 27 del X. mese, e nel giorno rispettivamente anniversario della loro fondazione. Nelle altre il numero ed i giorni delle agapi son fissati da’ correlativi rituali (cahiers). Tutti i membri presenti nell’oriente sono obbligati di parteciparvi o assistendovi personalmente, o soddisfacendone la quota stabilita» 32.

Le prescrizioni statutarie testé trascritte meritano alcuni commenti, anche e soprattutto a scopo chiarificatore.

Stabilito che agape o banchetto sono termini sinonimici, viene istituita una distinzione tra logge simboliche e logge capitolari, per le prime intendendosi – nel linguaggio muratorio dell’epoca – quelle dei primi tre gradi o gradi simbolici, indipendentemente dalla loro appartenenza al Rito Scozzese Antico ed Accettato o al Rito Francese, detto anche Moderno o Riformato. Le seconde sono, invece, da identificare con i capitoli dei gradi superiori al terzo o “alti gradi”, anche qui indipendentemente dalla loro appartenenza all’uno o all’altro Rito.

Per le prime (Logge simboliche) le agapi obbligatorie sono tre, e precisamente alle seguenti date:

– 24 giugno (24 del IV mese dell’anno massonico, che ha inizio il 1° marzo), festa di S. Giovanni Battista;

– 27 dicembre (27 del decimo mese dell’anno massonico), festa di S. Giovanni Evangelista;

– nel giorno anniversario della fondazione della singola Loggia.

Per le seconde (Logge Capitolari) l’agape d’obbligo si tiene nel giorno stabilito dai rispettivi rituali o quaderni (cahiers): ora, da fonti anteriori o coeve agli Statuti napoletani, quali il Thuileur del Delaulnaye ed il Tuileur del Vuillaume, si apprende che il Rito Francese prevedeva banchetti per il 4° grado (Eletto Segreto), per il 5° grado (Grande Eletto Scozzese), per il 6° grado (Cavaliere d’Oriente o della Spada) e per il 7° grado (Sovrano Principe Rosa-Croce) 33.

In riferimento al Rito Scozzese Antico ed Accettato, entrambi i Tuileurs citati accennano soltanto alla Cena Mistica del 18° grado, ed unicamente per precisare che essa non va confusa con il banchetto dell’omonimo 7° grado del Rito Francese 34. Per l’esattezza da altra fonte 35 si apprende che anche nel rituale del XIV grado del Rito di Perfezione (Grande Eletto Perfetto e Sublime Maestro), poi divenuto il XIV grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato (con il titolo di Grande Eletto, Eletto Perfetto o Grande Scozzese della Volta Sacra, detto di Giacomo VI, o Sublime Massone), vi era in origine una Cena con il pane ed il vino in occasione del rito di iniziazione 36.

Quanto alla Cena Mistica del 18° grado (Principe Rosa-Croce, altrimenti detto Cavaliere dell’Aquila, o Cavaliere del Pellicano, etc.), in un rituale manoscritto del grado stesso, risalente al 1765 circa e pubblicato dal Naudon 37, è contenuta la descrizione di una cena, prevista per le tornate rituali della Loggia o Capitolo ed in particolare al termine del rituale di iniziazione al grado e comunque da tenersi il giorno del giovedì santo (festa del Capitolo), durante il periodo pasquale 38.

Le prescrizioni sono le seguenti:

«Quando le ultime acclamazioni sono terminate, il Saggissimo si sposta in un luogo dove tutti i fratelli lo seguono a due per volta… egli ordina al più recente iniziato di recarsi a preparare tutto per il festino (non vi è altra loggia di tavola). … I fratelli si recano in un appartamento in mezzo al quale allestiscono una tavola che ricoprono con una tovaglia bianca… Sulla tavola viene collocato un pane bianco su un bacino posto al centro, con tre candele gialle intorno… poi, vengono ad avvertire che tutto è pronto. Allora il Saggissimo e tutti i fratelli si slacciano le scarpe… l’ultimo iniziato dà ad ognuno di loro un bastone bianco e lungo almeno 6 piedi… Tutti i fratelli si trasferiscono poi nella sala del festino e si mettono tutti in piedi intorno alla tavola, tenendo il proprio bastone con la mano destra. Il Saggissimo dice: “Sovrano creatore di tutto, che provvedi ai bisogni di tutti, benedici il nutrimento materiale che stiamo per assumere, affinché serva alla tua gloria ed alla nostra santificazione… così sia”. Il Saggissimo prende il pane, ne stacca un pezzo e dà il pane a colui che sta alla sua destra e così di seguito… allora si prende il bastone con la mano sinistra e si mangia… poi l’ultimo iniziato va a cercare una coppa di vino, la dà al Saggissimo, il quale beve e la passa poi alla sua destra… quando la coppa ha fatto il giro, il Saggissimo getta il resto nel fuoco in forma di olocausto… Il Saggissimo dice: “All’ordine”… Tutti i fratelli si pongono al segno del buon pastore… fanno il segno celeste… il Saggissimo li abbraccia tutti dicendo: “La pace sia con voi”… i fratelli rispondono: “Così sia”. Tutti i fratelli ritornano nel primo appartamento, si separano e mantengono durante la cerimonia il più profondo silenzio. Tutti i fratelli hanno il capo scoperto e non può esserci alcun fratello servente… si può mangiare un agnello arrosto, ma deve essere intero… se ne tagliano preventivamente la testa e le zampe, che si gettano nel fuoco prima di mangiare, in forma di olocausto».

Nessun accenno al suddetto cerimoniale si rinviene, invece, nel rituale di Cavaliere Rosa Croce, Cavaliere dell’Aquila Bianca, Cavaliere del Pellicano o anche Perfetto Massone contenuto nel Documento Francken, ossia nella raccolta dei venticinque gradi del Rito di Perfezione collazionati dal Morin, trasmessi al Francken e, quindi, al gruppo di Charleston fondatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato nel 1801 39.

Quanto ai rituali moderni, quello italiano del 18° grado pubblicato dal Farina 40 contiene un accenno 41 alla Cena del giovedì santo, presentandola come un «obbligo essenziale… degli undici Rosa Croce del VI secolo sic!» e prevedendo, altresì, una “cena d’addio” da consumarsi abitualmente alla chiusura dei lavori del Capitolo. La descrizione della “cena” è pressoché conforme, nel recitativo e negli atti, a quella del manoscritto del XVIII secolo sopra riportata; va osservato, però, che qui è questione soltanto del pane e del vino, ma non già dell’agnello.

Una maggiore adesione alla tradizione del Rito Scozzese Antico ed Accettato si rinviene, invece, nella descrizione dello stesso rituale, come attualmente praticato in Francia, esposta dal Bayard 42.

Vi è in essa una distinzione tra la “cena” a conclusione dei lavori ordinari del Capitolo e l’“agape” del giovedì santo.

La prima ricalca, con maggiore fedeltà rispetto al rituale del Farina, il manoscritto del XVIII secolo, addirittura ampliando alcuni particolari; si tratta, comunque, del pasto a base di pane e di vino. Della seconda conviene dare integrale trascrizione:

«Il giorno della celebrazione della festa dei Cavalieri Rosa-Croce, che ha luogo il Giovedì Santo, ogni Capitolo fa un banchetto che è designato con il nome di Agape. Esso può aver luogo dopo la Cena, con la quale non si deve confonderlo. La sala dell’Agape è decorata in modo vivace, la tinta delle pareti è rossa con accessori bianchi e verdi. Il fondo è occupato dalla Croce e dalla Rosa, sia in rilievo, sia sotto forma di dipinto. La decorazione è completata dai diversi attributi del 18° grado. La tavola ha la forma di una croce latina, il cui capo è ad Oriente. Un grande candelabro a sette braccia occupa il centro della tavola… I bicchieri devono essere a gambo per somigliare ai calici ed esser posti, come le bottiglie e le caraffe, lungo una linea tracciata con due file di nastri rossi. Vi è un solo pane per ogni due coperti, ma è posto su uno dei due e non tra i due. La tavola si chiama altare; la tovaglia, panno; le salviette, sciarpe; i bicchieri, calici; le bottiglie e le caraffe, anfore. Alla seconda portata, vengono portati un agnello arrosto ed un fornello acceso; questa vittima è simbolo dei sacrifici materiali dell’antica legge e dei sacrifici morali della nuova. Le parti impure in nota: la testa e le zampe dell’agnello vengono tolte e gettate nelle fiamme. Invece di fare un brindisi o di “fare fuoco”, è impiegata l’espressione: “Eseguire una libagione”. Devono essere eseguite cinque libagioni:

    1 – alla Francia ed al Popolo Sovrano;

    2 – al Potentissimo Sovrano Gran Commendatore ed al Supremo Consiglio (di Francia);

    3 – al Saggissimo ed agli Ufficiali del Capitolo;

    4 – ai Supremi Consigli Scozzesi confederati ed alle Potenze massoniche regolari, nonché ai Cavalieri visitatori, qualora ve ne siano;

    5 – ai Massoni felici ed infelici sparsi sulla superficie della terra

    La prima, la seconda e la quarta libagione sono comandate dal Saggissimo che presiede.

    La terza libagione è comandata dal Primo Guardiano.

    La quinta libagione dal Cavaliere d’Eloquenza.

Le libagioni possono essere eseguite tra le successive portate dell’Agape. Dopo l’ultima libagione si procede alla cerimonia di estinzione delle luci, poi a quella di rianimazione delle luci… Prima della fine dell’Agape, il Saggissimo fa circolare di nuovo il sacco delle proposizioni ed il tronco della beneficenza. Fa chiudere l’Agape con la batteria e con l’acclamazione».

Ci si è soffermati sull’agape del 18° grado “scozzese” in quanto, come si vedrà, il suo rituale costituisce una fonte primaria alla quale si è attinto in Italia per la redazione dei “rituali alternativi” di banchetto in grado di Apprendista cui si faceva cenno all’inizio. Ma ritornando al banchetto o agape d’obbligo delle Logge simboliche, l’art. 405 degli Statuti napoletani prevede: «Sospesi, o chiusi i lavori del tempio, si passa alla sala delle agapi, ove le mense sono disposte in modo che formino un ferro di cavallo. Nel rito scozzese il ven.·. si colloca all’est nel punto centrale della parte convessa della mensa; i due soprav.·. 43 all’ovest di faccia al ven.·. alla estremità del ferro di cavallo; i visitatori su’ fianchi del ven.·. ciascuno a misura del proprio grado; l’oratore ed il segretario sulla rispettiva colonna, ciascuno appresso a’ visitatori, come nel tempio; il maestro di cerimonie, il maestro di casa ed il copritore seggono ad una mensa separata posta all’ovest, dirimpetto al ven.·. fuori il ferro di cavallo; gli esperti sul centro de’ lati dalla parte concava; il 1° diacono dirimpetto al ven.·. anche dalla parte concava; il 2° sulla diritta del 1° soprav.·. e tutti gli altri FF.·. occuperanno presso a poco la stessa ubicazione come in L.·. così al di fuori come al di dentro del ferro di cavallo» 44.

Ne deriva che, avuto anche riguardo alle ulteriori prescrizioni degli Statuti napoletani, la disposizione dei tavoli e dei posti è quella ricostruita nello schema seguente:

1. Maestro Venerabile

8. Maestro delle Cerimonie

15. Maestro d’Armonia

2. Ex-Venerabile

9. Copritore Interno

16. 1° Diacono

3. 1° Sorvegliante

10. 1° Esperto

17. 2° Diacono

4. 2° Sorvegliante

11. 2° Esperto

18. Maestri

5. Oratore

12. Elemosiniere

19. Compagni

6. Segretario

13. Ospedaliere

20. Apprendisti

7. Tesoriere

14. Maestro di casa

21. Visitatori

L’ordine dei lavori è disciplinato dai successivi artt. 406-409:

    Art. 406: «Se le agapi sono una continuazione de’ lavori sospesi nel tempio, il ven.·. incomincia dall’ordinare che ciascun segga e mastichi a suo piacimento e con decenza. Ma se la L.·. di agapi si apre nella sala medesima ove son le mense, il ven.·. dopo aver fatto mettere la officina al coperto anche da FF.·. serventi, aprirà i lavori nel modo consueto» 45.

Quindi: o l’agape si svolge durante la sospensione di lavori già ritualmente aperti, ed in questo caso non v’è ovviamente bisogno di riaprirli; oppure i lavori di agape non sono stati preceduti da alcun lavoro rituale, ed in questo caso si dovrà procedere alla consueta apertura rituale, che altrettanto ovviamente dovrà esser seguita dalla chiusura rituale al termine dell’agape.

    Art. 407: «In ciascun’agape di obbligazione si faranno i brindisi descritti ne’ rispettivi rituali (cahiers) simbolici o capitolari. Il loro numero può però ridursi con farsene, in termini ben precisati, due o tre in uno solo. All’ultimo brindisi debbono indispensabilmente assistere e partecipare anche i FF.·. serventi, co’ quali si formerà la catena di unione» 46.

    Un solo e brevissimo commento: l’estensore degli Statuti napoletani del 1821, al pari di quello degli Statuti milanesi del 1806, qui come in tutti gli altri articoli (580 in tutto) 47, non entra mai nei dettagli dei rituali, ai quali rinvia direttamente il lettore. Per conseguenza sarà necessario consultare altre fonti (i rituali già esaminati, come pure i Tuileurs del Delaulnaye e del Vuillaume) per appurare il numero e la formulazione augurale dei brindisi d’obbligo.

    Art. 408: «Nelle agapi d’obbligo l’oratore dee recitare un discorso analogo alla ricorrenza. Ciascun brindisi può esser celebrato con cantici di allegrezza, e con l’armonia 48. Anche fra un brindisi e l’altro può offrirsi qualche idonea produzione d’ingegno 49. Giubilo, concordia e sobrietà, son queste le caratteristiche de’ banchetti massonici» 50.

    Art. 409: «È sempre il ven.·. che per mezzo de’ soprav.·. ordina le cariche ed i fuochi in tutti i brindisi di obbligo, tranne in quello ch’è portato a lui stesso dal 1° soprav.·. per mezzo del 2°, sulla colonna del sud, e dell’oratore su quella del nord, o viceversa nel rito francese 51. Se un F.·. vorrà portare un saluto di suo genio, non potrà farlo senza il permesso del ven.·. ed ottenendolo, il ven.·. comanderà la carica, ed egli l’esercizio ed i fuochi».

    Art. 410: «È permesso a più LL.·. stabilite in uno stesso oriente, e professanti lo stesso rito, di riunirsi a comporre una sola L.·. di agapi, scegliendo di comune assenso i dignitarj e l’oratore. Le disposizioni di questo articolo sono comuni a’ capitoli» 52.

    Art. 411: «I brindisi possono essere alternati dalla libera masticazione, ovvero continuati due o tre di seguito, secondo le circostanze. Quando la masticazione è permessa, i serventi non men massoni che profani han libero l’accesso nella sala per provvedere a ciò che occorre alle mense» 53.

    Art. 412: «Volendosi attivare i lavori di obbligo, il ven.·. incarica il suo diacono 54 (o nel rito francese il maestro di cerimonie) di porre la sala al coperto. Indi, avvertito della esecuzione, batte un colpo, ch’è replicato da’ soprav.·., fa verificare se la sala sia al coperto, ordina che si carichi e si allinei per un brindisi di cui si riserba il comando, e dopo l’avviso di essersi ciò fatto sulle due colonne, chiama tutti i FF.·. in piedi e all’ordine. Tutti si alzano, tranne i seduti nella parte concava 55. Gli allievi 56 ed i compagni accavallano il mantile 57 sul braccio sinistro, e tutti gli altri 58 sulla spalla sinistra. Il ven.·. annunzia a chi sia consacrato il brindisi proposto, e lo comanda ne’ modi conosciuti. Quegli, cui è diretto il brindisi, si tiene in piedi e all’ordine, e poi ringrazia co’ fuochi, e con le batterie del grado 59. I maestri di cerimonie rispondono nel modo medesimo pe’ salutati assenti» 60.

    Art. 413: «I soprav.·. e gli esperti sono particolarmente incaricati di mantener l’ordine e la decenza nelle L.·. di agapi. Essi v’impiegheranno una moderata fraterna austerità. I piccoli falli saran corretti sul momento, con pene soffribili 61, dal ven.·. al quale si ubbidirà senza mostrare il minimo risentimento. Un F.·. che mancasse alla società sarebbe severamente punito alla prima assemblea. Le doglianze e le accuse debbon farsi in modo da non ferir la delicatezza di alcuno»

    Art. 414: «Dopo l’ultimo brindisi, il ven.·. fa le dimande di rito 62, e chiude i lavori nel modo consueto».

    Art. 415 «Oltre le agapi di obbligo, è in facoltà di tutte le L.·. e de’ capitoli il tener banchetti sempre che lor piaccia; ma niun F.·. è obbligato di concorrervi, ed i brindisi vi si fanno a volontà, comunque necessariamente massonici».

A completamento delle prescrizioni degli Statuti, conviene prender visione di quanto riportato sull’argomento dal già citato Thuileur del Delaulnaye e dal Tuileur del Vuillaume 63.

Nel primo testo è riportato anzitutto un glossario della nomenclatura propria della Loggia di tavola, o banchetto, per i tre gradi simbolici, che si trascrive debitamente tradotta.

Tavola = officina

sedia = stallo

tovaglia = velo

vivande = materiali

tovagliolo = bandiera

mangiare = masticare

vassoio = coppa

bere = sparare o tirare una cannonata

piatto = tegola

pane = pietra grezza

cucchiaio = cazzuola

vino = polvere forte, rossa o bianca

forchetta = zappa

acqua = polvere debole

coltello = spada

birra = polvere gialla

bottiglia = barile

liquori = polvere fulminante

bicchiere = cannone

sale = sabbia

lumi = stelle

pepe = cemento o sabbia gialla

È poi riportato l’Ordine per bere: «I Cannoni caricati ed allineati, a destra ed avanti al piatto. Bandiera sull’avambraccio sinistro. All’Ordine (di Apprendista) 64. Seguono i Comandi, pressoché identici a quelli dettati dalla Instruction de la Loge de table, e finalmente l’elenco dei brindisi obbligatori: «In ogni Banchetto Massonico, vi sono sette Brindisi obbligatori, e cioé: 1°, quello del Sovrano 65; quello del Gran Maestro dell’Ordine; 3°, quello del Venerabile della Loggia; 4°, quello dei due Sorveglianti; 5°, quello dei fratelli Visitatori; 6°, quello degli Ufficiali e dei Membri della Loggia; 7°, infine quello di tutti i Massoni sparsi sulla terra».

Utili informazioni provengono anche dal secondo testo (il Tuileur del Vuillaume), che confermano quanto già illustrato dal Delaulnaye, aggiungendo però interessanti particolari. Si darà, pertanto, quasi integrale trascrizione del testo 66:

«I banchetti si tengono quasi sempre in grado di apprendista, affinché tutti i massoni possano esservi ammessi.

Deve esservi una sola tavola, disposta a ferro di cavallo; i fratelli si pongono al di fuori, eccettuati il maestro delle cerimonie ed i diaconi, che si pongono all’interno del ferro di cavallo, di fronte al venerabile 67.

Il venerabile occupa il centro della tavola, avendo ai propri lati gli ufficiali, secondo il loro rango in loggia 68. Alle due estremità stanno i fratelli primo e secondo sorvegliante.

La loggia in banchetto assume in particolare il titolo di officina, benché talvolta ci si serva pure di questa espressione per designare tutt’altro tipo di riunione di loggia. Come in loggia, tutto, nell’officina, è guidato e regolato dal venerabile, che fa pervenire gli ordini ai sorveglianti mediante i diaconi; è lui a comandare e ad ordinare i brindisi, eccettuato il suo che viene ordinato, previo permesso tuttavia, dal primo sorvegliante. Il venerabile delega talvolta, in segno di onore, il comando delle armi, nei brindisi, a qualche ufficiale o fratello.

Tutto ciò che viene posto sulla tavola, deve essere ordinato su linee parallele; esistono officine in cui si spinge questo scrupolo fino a collocare cordoni colorati per segnare gli allineamenti. La prima linea, partendo dall’interno, è per i vassoi; la seconda è per le bottiglie; la terza è quella dei bicchieri; ed infine la quarta è quella dei piatti.

Vi sono sette brindisi obbligatori… se ne omette l’elencazione, essendo la stessa già fornita dal Delaulnaye.

Si intercalano, tra il sesto ed il settimo brindisi, tutti quelli che si ritiene opportuno aggiungere, come quello per i nuovi iniziati quando vi sia stata un’iniziazione lo stesso giorno, etc., atteso che il brindisi per tutti i Massoni deve essere “sparato” per ultimo.

I fratelli serventi sono chiamati a partecipare a quest’ultimo e formano la catena d’unione con tutti gli altri fratelli.

I tre primi brindisi, così come l’ultimo, “si sparano” in piedi».

Segue poi la descrizione del modo di “sparare” i brindisi, che si omette, non rilevandosi peraltro differenze rispetto alla descrizione del Delaulnaye.

Val la pena, però, di riportare le successive avvertenze:

«È d’uso mettere l’officina in ricreazione durante l’intervallo tra ogni brindisi, e di lasciare ai FF.·. la libertà di parlare; ma al primo colpo di maglietto tutti devono fare il più assoluto silenzio, mettersi all’ordine di tavola e prestare attenzione a ciò che sta per essere ordinato.

L’ordine di tavola consiste nell’avere la mano destra nel segno di apprendista, e la sinistra posata sul bordo della tavola, le dita riunite e distese, il pollice divaricato e rasente il bordo della tavola per formare la squadra».

È riportata, infine, la nomenclatura propria del banchetto, che risulta del tutto conforme a quella del Delaulnaye dianzi riprodotta69.

È noto che per la ripresa delle attività massoniche in Italia, dopo la caduta di Napoleone Bonaparte ed il crollo delle compagini statuali instaurate nella penisola durante il periodo napoleonico, eccettuate sporadiche eccezioni di breve durata e di difficile ricostruzione storica, si dovette attendere il 1859-1860, allorché il felice esito della II guerra risorgimentale consentì un caotico rifiorire di Logge che, attraverso un processo alquanto faticoso e complesso, portò alla costituzione di un Grande Oriente d’Italia almeno idealmente erede di quello del 1805, al quale finirono per aderire la totalità o quasi delle Logge nel frattempo costituitesi, almeno fino alla scissione del 1908 da cui si originò la Gran Loggia detta di Piazza del Gesù 70.

È noto, altresì, che, stante la quarantennale sospensione della vita muratoria intercorsa tra la Restaurazione e la II guerra d’indipendenza nazionale, la rinascita della Libera Muratoria in Italia avvenne sotto il segno di una inevitabile improvvisazione e mediante il ricorso, il più delle volte acritico, ai modelli rituali allora praticati in Francia nonché a quella che in qualche modo è possibile chiamare “cultura massonica francese”.

I modelli rituali che effettivamente ebbero corso in Italia furono, infatti, per ordine di importanza numerica delle Logge che vi si conformarono, i seguenti: il Rito Scozzese Antico ed Accettato che, diviso inizialmente tra diversi Supremi Consigli e soltanto durante il periodo lemmiano pervenuto ad unità sotto un solo Supremo Consiglio 71, si ispirò principalmente al “modello” dell’omonimo Rito allora sedente in Francia; il Rito Simbolico, che si limitava alla pratica dei primi tre gradi avvalendosi, almeno inizialmente, di rituali del Rito Francese o Moderno, ossia conformandosi in parte al “modello” rituale del Grande Oriente di Francia.

Sotto un profilo più generale, poi, nei limiti consentiti dalla specificità italiana e dalla peculiare collocazione della Libera Muratoria italiana nella temperie allora vissuta dal Paese, si guardò molto alla vita massonica francese come “esperienza esemplare” sotto i profili rituale e culturale. Nei ricordati limiti della specificità italiana, trovarono molto spazio le tematiche che allora preoccupavano ed agitavano i Liberi Muratori francesi: dall’anticlericalismo, in Italia molto sentito sia per le vicende relative alla “questione romana” sia in relazione all’accentuazione della lotta alla Massoneria da parte della Chiesa romana nell’ultimo periodo del pontificato di Pio IX e soprattutto durante il pontificato di Leone XIII (è l’epoca del taxilismo e dell’Humanum Genus), all’ateismo che, partendo dalle premesse del “libero pensiero” conflittuali con la tradizionale invocazione al Grande Architetto Dell’Universo, si spingeva fino alla soppressione di ogni riferimento alla sacralità nei rituali dei tre gradi simbolici e financo in quelli del Rito Scozzese Antico ed Accettato 72.

I Massoni italiani vogliosi di approfondire la propria conoscenza rituale – ed è da ritenere che si trattasse di una sparuta minoranza, tenuto conto della generale propensione per le battaglie politiche e sociali attestata dai documenti dell’epoca – trovavano da abbeverarsi alla dottrina dell’auteur sacré allora in auge nella Massoneria francese, il celebre Jean-Marie Ragon (Cours philosophique et interprétatif des initiations anciennes et modernes, 1841; Orthodoxie maçonnique, 1853; Rituel de l’Apprenti Maçon, 1859 73; Rituel du Grade de Compagnon, 1860; Rituel du Grade de Maître, 1860; Rituel d’une pompe funèbre, 1860; Rituel d’adoption de jeunes louvetons, improprement appelé baptême maçonnique, 1860; Rituel de reconnaissances conjugales, improprement nommées mariages maçonniques, 1860; Tuileur général de la Franc-Maçonnerie, 1860 74, etc.).

Ed avvenne del tutto naturaliter che alle elucubrazioni del Ragon in materia di banchetto massonico, intercalate al puro e semplice plagio del Tuileur del Vuillaume, ebbe a rifarsi il Bacci, pressoché unico autore – ufficioso se non ufficiale – del Grande Oriente d’Italia nel cinquantennio 1870-1920, il quale nell’esposizione del banchetto massonico all’interno dello zibaldonico Libro del Massone italiano 75, esplicitamente si richiama al Cours philosophique ed alle notazioni ivi profuse 76. Di qui “dotte” divagazioni sui pasti sacri nelle iniziazioni e nelle civiltà antiche, con largo occhieggiamento a quella pretesa egizia 77, rivisitate come allegorie della “filosofia naturale” e dei movimenti astronomici: per conseguenza le date dei banchetti non sono quelle dei due San Giovanni, ma quelle dei solstizi d’estate e d’inverno; i brindisi dovrebbero esser dedicati alle divinità preposte ai sette giorni della settimana e non già alle figure tradizionali, etc. 78

Sulla falsariga del Ragon, con o senza l’intermediazione del Bacci, si colloca un quarantennio più tardi l’esposizione del Farina 79, ove è dato leggere frasi di pura matrice ragoniana, come le seguenti: «Nelle antiche iniziazioni Massoniche i pasti avevano un carattere mistico, perché completavano le feste religiose istituite in onore dei sette pianeti, componenti essi soli tutto il sistema planetario allora conosciuto. Lo scopo apparente di tali festini era di onorare le sette divinità planetarie date all’adorazione del volgo; ma lo scopo reale, svelato ai soli iniziati, era di adorare il Dio unico, regolatore supremo dei diversi corpi celesti come dei destini dell’uomo… La disposizione della L.·. di agape ci offre l’immagine del cielo e delle principali fasi solari. Così il Ven.·., rappresentando il sole, occupa nel banchetto solstiziale d’estate il punto più alto e nel banchetto solstiziale d’inverno il punto più basso. I Sorveglianti, posti sulla linea equatoriale, segnano i due punti equinoziali che sorvegliano, per così dire, l’anno che finisce e quello che incomincia e gli altri Ufficiali sono ripartiti su dei punti corrispondenti ai segni dello zodiaco…».

Giova ricordare che i rituali del Farina, dopo il ventennio seguito allo scioglimento coatto della Libera Muratoria in Italia ad opera del regime fascista (1925) ed alla ripresa delle attività massoniche tra il 1943 ed il 1945, assai più caotica ed improvvisata di quella del 1859, costituirono la principale fonte documentaria per i massoni italiani, compresi quelli del Grande Oriente d’Italia, i cui rituali a stampa per i tre gradi simbolici, anche dopo l’adozione (1969) del rituale unico auspicato fin dal 1896, non sono mai stati completati da quelli cosiddetti accessori (per il banchetto, per l’installazione del Maestro Venerabile neo-eletto, per la fondazione di Logge, per l’inaugurazione di templi, come pure per altre evenienze di minor momento tra cui le onoranze funebri, l’adozione dei figli di massoni, il riconoscimento coniugale, etc.).

E tuttavia, per quanto concerne in particolare il Grande Oriente d’Italia, appare molto realistico accordare credito al quadro tracciato in un Vade-mecum del L.·. M.·. apprendista per cura del Saggissimo della Valle del Tevere del 1923 e pervenuto alla IV ed. nel 1948 80, secondo cui «in antico erano obbligatorie tre agapi annuali…», nelle quali «il Venerabile sedeva al centro della Loggia, generalmente a ferro di cavallo…» ed «erano obbligatori sette brindisi…». Sembra, quindi, del tutto legittimo dedurne, con riguardo al tempo verbale impiegato, che nel 1923 in Italia si fosse ormai perduta la tradizione, all’epoca bicentenaria, del banchetto rituale.

Il disinteresse, o forse l’irresolutezza, del Grande Oriente d’Italia per l’elaborazione e per l’adozione di rituali ufficiali finalizzati alle suddette evenienze ha fatto sì che in materia fosse lasciato campo aperto ad ogni sorta di iniziative, vuoi ad ispirazione “tradizionale” – informate cioè al rispetto più o meno fedele di precedenti muratori italiani o stranieri 81 – vuoi a carattere per così dire “sperimentale”, ovverosia liberamente lasciati all’estro ed alle propensioni dei singoli o di Logge. Proprio su questo genus di rituali han fatto perno le pretestuose accuse della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, cui si faceva cenno all’inizio.

In tempi più recenti ha in effetti incontrato discreta fortuna un genus di rituale per agape che, su un impianto più o meno corretto per quanto concerne l’apertura e la chiusura dei lavori, la disposizione della tavola e dei partecipanti, il numero e la dedica dei brindisi, ha però in cospicua misura innovato per l’aggiunta di elementi simbolici totalmente estranei alla tradizione rituale dei primi tre gradi praticati nell’ambito del Grande Oriente d’Italia e, relativamente ad elementi aggiuntivi ma non secondari, estranei anche ai diversi sistemi “ad Alti Gradi” conosciuti e praticati in Italia.

Un primo punto di alterazione, rispetto alla tradizione, è costituito dalla frequente collocazione del 2° Sorvegliante a metà circa della parte di tavola corrispondente alla colonna del meridione. Siffatta ubicazione, benché coincidente con quella attribuita al 2° Sorvegliante nel Tempio 82, contrasta immotivatamente con la tradizione muratoria di qualunque Rito in materia di “Loggia di tavola”, inclusa quella «scozzese» comprovata dagli Statuti Generali napoletani del 1821 e dagli stessi Tuileurs del Delaulnaye e del Vuillaume 83.

Un secondo e più importante punto di alterazione, anch’esso immotivato, consiste nello scostamento dalla sequenza tradizionale dei brindisi, di frequente variata per omissione di alcuno di essi ovvero per introduzione di dediche diverse da quelle tradizionalmente seguite.

La maggiore alterazione delle forme e dei contenuti tradizionali, però, concerne l’introduzione di un simbolismo a preteso sfondo ermetico-alchemico poggiante soprattutto sulla dottrina degli elementi (terra – acqua – aria – fuoco) in connessione con la natura degli alimenti (cibi e bevande) consumati nel corso dell’agape. Agli alimenti, infatti, si vuole attribuire in questa ottica una natura rigidamente analogica ai quattro elementi, ed a questo scopo si è diffusa l’usanza di circoscrivere gli alimenti stessi ad una ristretta elencazione (pane azzimo, olive, frutta secca, etc.) in qualche modo rispondente al sistema simbolico siffattamente prescelto, nonché all’uovo in relazione ai noti sviluppi simbolico-analogici. Particolare pressoché ubiquitario in questo canovaccio rituale alternativo, non uniforme perché spesso variabile da Loggia a Loggia, è la somministrazione del pane e del vino, come pure dell’agnello arrosto.

Sulla base dell’esposizione fin qui condotta, è facile riconoscere, quale comun denominatore delle illustrate “innovazioni”, la sostanziale trasposizione al primo dei gradi simbolici, ossia al grado di Apprendista nel quale l’agape rituale si svolge, di entrambe le “cene mistiche” (quella ordinaria con il pane ed il vino, e l’altra del giovedì santo con l’agnello arrosto) del 18° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, con le ulteriori aggiunte ispirate alla simbolica degli elementi ed alla trasmutazione del cibo “materiale” in cibo “spirituale” che trovano esplicazione anche verbale in questa sorta di rituali “alternativi”.

Sedimentazione di siffatte “innovazioni” (o spunto per esse?) è possibile rinvenire persino in una pubblicazione ciclostilata a carattere semiufficiale 84, ove, assente ogni riferimento alle figure dei due S. Giovanni ma per contro con valorizzazione dei due equinozi oltre che dei due solstizi (siamo ben al di là del Ragon!), premesso che i «i Fratelli consumano i cibi e le bevande rituali nel più assoluto silenzio mentre il Fr. Lettore ? e il Fr. Organista ? 85 provvedono a fornire gli opportuni supporti auditivi che nutrano, contemporaneamente al fisico, il piano animico e quello spirituale», viene affermato che «per i cibi e le bevande è la Tradizione ebraica, i cui apporti sono stati cospicui fin dalla nascita storica della nostra Istituzione nel 1717, a fornircene l’elenco affine a quello utilizzato nella “Pesach”, la Pasqua, che segna per Israele (lo spirito) la fine della cattività in Egitto (la materia)» 86. E di qui un’elencazione di alimenti con i relativi significati simbolici: il pane azzimo («il seme di grano… è legato all’Iniziazione solare»), il sale («il sale marino è un cristallo di forma perfettamente cubica»), l’uovo sodo («ci richiama gli elementi Terra, Aria, Acqua e Fuoco»), le olive («i frutti… che forniscono l’olio che alimenta il “fuoco perenne” dei santuari»), l’agnello («legato all’Ariete … che è il primo dei segni zodiacali»), le verdure («analogicamente legate al lavoro di “Purgazione” e “Purificazione” indispensabili prima dell’operatività» 87), la frutta fresca e secca («per simboleggiare la delizia del lavoro compiuto»), il vino («rosso, come il sangue», «con il suo simbolismo legato alla “vigna” da coltivare»), l’acqua («che, al pari della cazzuola del M. Ven. ? 88, serve ad amalgamare il tutto»). Si versa, con tutta evidenza, nel puro solco ragoniano del raffazzonamento di ogni e qualsivoglia simbolismo.

Varie obiezioni si possono muovere alle nuove costumanze sopra esemplificate ed a quelle similari.

In primo luogo appare molto dubbio che nella pratica della tradizione ermetico-alchemica, essenzialmente individuale ed aliena da momenti associativi o comunque collettivi, abbiano mai trovato spazio cerimonie o atti rituali come quelli propri di una Loggia muratoria, dovendosi rilevare peraltro che nella pur vastissima ed eterogenea letteratura ermetico-alchemica non sussiste alcun riferimento a pratiche analoghe.

In secondo luogo va debitamente rilevata la sostanziale estraneità dei simbolismi così chiamati in causa a quello muratorio, la cui simbolica è nella sostanza ancorata alla tematica della costruzione ed ai suoi addentellati biblici, incentrati sulla edificazione del Tempio e sulla cornice salomonico-hiramitica, peraltro introdotta nel terzo grado ma più ampiamente ripresa e sviluppata nella Massoneria degli “Alti Gradi”, segnatamente – ma non soltanto – in quella del Rito Scozzese Antico ed Accettato. È vero, altresì, che nella simbolica del Gabinetto di Riflessione, e cioè con riferimento al primo grado muratorio, vi è una notevole illustrazione di simboli ermetico-alchemici, ma è altrettanto vero che codesta illustrazione, limitata ad una piccola area della Massoneria universale 89, non trova ulteriori sviluppi nell’ambito dei gradi di Apprendista, di Compagno d’Arte e di Maestro. L’introduzione dei cennati ulteriori elementi nell’agape di primo grado costituisce, quindi, una notevole ed impressionante commistione.

In terzo luogo, se da un lato va avvertita una indebita forzatura nell’introduzione di elementi, in gran parte propri del 18° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, in un atto rituale che si svolge nel primo dei gradi simbolici, dall’altro non si può fare a meno di constatare che alla stessa forzatura soggiace, in negativo, lo stesso 18° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, la cui simbolica, che assume significato e senso ben definiti nella cornice anch’essa ben definita ed elitaria del grado stesso, viene ad essere inopportunamente ed immotivatamente svilita a seguito del trasferimento in un ambito retto da coordinate simboliche e rituali diverse, talché, riconsiderando la situazione nell’ottica propria del Rito Scozzese Antico ed Accettato, non sembra fuori luogo evocare in termini espliciti la nozione di profanazione.

In quarto luogo, risulta evidente che il fatto stesso del travaso di elementi rituali da un “Alto Grado” al primo dei gradi simbolici costituisce di per sé una patente violazione al principio di netta separazione tra Ordine massonico e sistemi rituali “ad Alti Gradi” che, accettato e fatto proprio dal Grande Oriente d’Italia molto tardivamente (1922) 90 e riaffermato nel periodo post-fascista, ha stentato con tutta evidenza ad esser recepito da taluno. Eppure si tratta di un principio strettamente connesso con quello di “regolarità”, che esige l’autonomia assoluta dei tre gradi simbolici, governati dalle Grandi Logge, rispetto a qualunque sistema ad “alti gradi”: autonomia non soltanto formale, ma anche sostanziale, non potendo in ogni caso sussister dubbi sul fatto che la materia dei rituali, nucleo essenziale della tradizione muratoria, è al tempo stesso pertinente alla forma ed alla sostanza della Libera Muratoria, talché contaminationes che vedano elementi rituali propri di uno dei tre gradi simbolici essere accantonati od alterati da altri, provenienti da un qualunque sistema “ad alti gradi”, violano in modo palese il principio in discussione.

Ma, prima ancora che agli espressi rilievi, va accordata una prevalente ed assorbente pregnanza ad un’altra osservazione, che attiene alla esigenza, fondamentale e non suscettibile di mediazioni o di deroghe in un ordine iniziatico tradizionale quale la Libera Muratoria intende essere o tornare ad essere, di conservare o di ripristinare le forme ed i contenuti tradizionali, preservandoli in modo intransigente da qualsivoglia “innovazione”, per quanto “bene” ispirata o intenzionata, che invariabilmente costituisce una sovrapposizione di forme e di contenuti “altri”, iniziatici o para-iniziatici, comunque eterogenei rispetto alla via iniziatica muratoria e destinati a stravolgerne e/o a snaturarne la fisionomia peculiare in un divenire eclettico e mutevole, nel quale magari la Libera Muratoria potrebbe assumere le sembianze di un caleidoscopio di molteplici vie iniziatiche, ma di nessuna in particolare e, perciò, nemmeno di quella autenticamente ed originalmente muratoria.

Il meccanismo che emerge in questo tipo di operazioni, volte a mutare ed a reinterpretare i rituali muratori, è pur sempre quello della “sostituzione” di materiali e di contenuti tradizionali con altri, prelevati da diversa tradizione o peggio presi in prestito più o meno alla rinfusa da disparati “esoterismi” o forme cultuali, portando all’inevitabile risultato di una Libera Muratoria alterata, contraffatta, in ultima analisi trasformata in altro da sé: una Massoneria così manipolata finisce per essere una “via sostituita”.

Una prima obiezione a siffatte operazioni “sostitutive” va colta nell’ovvia considerazione secondo la quale qui non si tratta di conformare la consumazione di un pasto collettivo ad un qualunque paradigma formale, purché rispondente a connotati iniziatici e costruito su elementi significanti a contenuto simbolico.

Il conferimento di contenuti simbolici a sfondo sacrale e talvolta schiettamente iniziatico, infatti, è fenomeno pressoché generalizzato in tutte le epoche ed in tutte le civiltà, nelle quali il “pasto sacro” trova frequentissima anche se estremamente varia collocazione. Per limitarsi all’area mediterranea, si dispone di molteplici e persuasive testimonianze circa l’esistenza di momenti ritualizzati e sacralizzati di pasti collettivi in contesti a carattere iniziatico, quali quelli orfico, pitagorico e mithraico; a livello delle stesse grandi religioni monoteistiche – la giudaica e la cristiana – che hanno maggiormente ispirato l’attuale civiltà occidentale, non mancano esempi di rilievo, come i banchetti pasquali e, sotto alcuni profili, la stessa celebrazione della messa, provveduti di elevatissima ispirazione simbolica ed indubbiamente coessenziali ad una rigorosa visione del sacro.

Il problema della ritualizzazione del pasto in comune tra i Liberi Muratori non può, quindi, essere analizzato al di fuori di una precisa ricostruzione delle coordinate storiche, simboliche e finalistiche proprie del fenomeno in discussione, quali si sono andate precisando in una società iniziatica legata, dapprima in forma cosiddetta operativa ed in seguito meramente “speculativa”, alle caratteristiche di un preciso mestiere, quello dello scalpellino o tagliapietre ovvero, più estensivamente, all’arte della costruzione.

Orbene, un’abbondantissima documentazione, che risale almeno al XVII secolo per quanto concerne l’Inghilterra e la Scozia, e via via più ricca a partire dal XVIII secolo fino all’epoca attuale, alla quale si è fatto sopra un molto riduttivo riferimento, dimostra l’antichità della consuetudine di praticare il pasto collettivo quale momento abituale di ogni riunione o tornata di Loggia, il più delle volte a conclusione dei lavori rituali ma non di rado, almeno nel XVIII secolo, durante i lavori medesimi.

L’unico aspetto rituale o, per così dire, codificato non riguardava e non ha mai riguardato gli alimenti solidi del pasto, bensì il numero, la dedica e la forma dei brindisi. Si è visto, peraltro, che il numero dei brindisi cosiddetti obbligatori fin dalla fine del XVIII secolo nella Massoneria inglese ed in quella francese si è cristallizzato in sette e che le dediche si sono anch’esse definite sia nella individuazione dei destinatari sia nel loro ordine (al Capo dello Stato, al Gran Maestro, al Venerabile, ai Sorveglianti, ai membri della Loggia, ai Visitatori, a tutti i Liberi Muratori). Circa la forma del brindisi, almeno dal XVIII secolo si è generalmente instaurata una pittoresca ma in verità abbastanza semplice procedura che, facendo uso di una nomenclatura in parte muratoria ed in parte castrense, abbina l’elevazione dei calici all’idea della materializzazione del fuoco-luce, del calore, sullo sfondo dell’insistita reiterazione del numero tre.

È verosimile che il gergo castrense costituisca una sovrapposizione intesa a conferire un carattere cavalleresco all’organizzazione libero-muratoria, coerentemente con il movimento che, preso avvio con il ben noto Discours del Ramsay, avrebbe portato alla fioritura degli innumerevoli riti “ad alti gradi” nel corso della seconda metà del XVIII secolo. Nondimeno esso appare suggestivamente allusivo all’idea del “tuono” e del suo simbolismo, connesso in modo diretto alla figura di San Giovanni Evangelista 91, come pure al simbolo della “folgore” nel quadro dell’esperienza iniziatica.

Sotto il profilo simbolico, si può ancora far rilevare che la disposizione della Loggia di Tavola, quale risulta da tutte le fonti esaminate, riproduce approssimativamente una semicirconferenza prolungata alle due estremità da rette parallele 92, da ricollegare al fatto che i due Solstizi dividono il ciclo dell’anno in due parti eguali, mentre la Loggia dei lavori muratori ha la forma di un quadrato doppio: la prima (Loggia di Tavola) sarebbe una rappresentazione del Paradiso Terrestre e la seconda (Loggia di Lavoro) costituirebbe un’anticipazione della Gerusalemme Celeste 93.

Questo pasto è pervaso, nella massima spontaneità e schiettezza, dei sentimenti di amicizia e di solidarietà che, attraverso ben noti collegamenti simbolici e semantici, evocano i concetti di Amore e di Fraternità, mattoni elementari ed essenziali dell’edificio iniziatico dell’Ordine, cardini e fili conduttori, intrecciati in una significativa catena, della sua stessa esistenza. Lo stesso nome di Agape (dall’identica parola greca, che vuol dire amore), in italiano sta a significare convito fraterno, convito intimo tra amici, affetto od amore. Voler complicare questi significati, mediante aggiunte o modifiche per quanto suggestive e “profonde”, comporterebbe il rischio di snaturarli e di far perdere loro l’immediatezza e la genuinità della originaria espressione 94.

Ed ancora, il pasto in comune è un completamento dei lavori rituali propriamente detti, che son quelli fissati e scanditi dal rituale del primo grado muratorio. In nessun caso esso può divenire un “lavoro” a se stante, svincolato dalla subordinazione logica, cronologica e simbolica ai lavori rituali in grado di Apprendista.

La tradizione muratoria, in definitiva e se è concesso l’impiego di un pizzico di ironia, non è una nozione completamente elastica ed opinabile, e cioé suscettibile di interpretazioni infinite e pretesto od occasione per infinite invenzioni, giacché è attestata da documenti scritti autorevoli e molteplici, ai quali occorre fare ricorso quando se ne ignorino, per difetto di tradizione orale, le caratteristiche e la fisionomia. Quel che desta notevoli perplessità, a meno di non perseguire lo scopo (o di consentire passivamente a che tale scopo venga conseguito) di trasformare la Libera Muratoria in “altro” ed in “diverso”, è la continua improvvisazione o reinvenzione 95 dell’Ordine massonico secondo i gusti e le predilezioni individuali, per quanto elevatissimi questi siano e magari corrispondenti al nec plus ultra della scienza esoterica.

NOTE

e li getta nel fuoco come vittime ed offerte. Possono esserci un solo coltello ed una sola coppa; non sono ammesse bottiglie».1 Ligou D. (sous la direction de), Dictionnaire de la Franc-Maçonnerie, P.U.F., Paris, 1991.

2 Mellor A., Dictionnaire de la Franc-Maçonnerie et des Francs-Maçons, Belfond, Paris, 1989.

3 Jones B. E., Guida e compendio per i Liberi Muratori, Atanòr, Roma, 1987, pag. 489.

4 Anderson J., The Constitutions of the Free-Masons containing the History, Regulations, & c. of that most Ancient and Right Worshipful Fraternity For the Use of the Lodges, London, 1723 (trad. it.: Le Costituzioni dei Liberi Muratori – 1723, Bastogi, Foggia, 1991, pag. 92).

5 Lessing G. E., Ernst und Falk. (tr. it.: Colloqui per Massoni, Sapere, Milano, 1975, pagg. 137-138).

6 Ramsey A.-M., Discours, in La Tierce, Histoire, obligations et statuts de la très vénérable confraternité des Francs-Maçons, chez François Warrentrap, Francfort-sur-le Mein, 1742, pagg. 127-142 («Nos festins ne sont pas ce que le monde profane et l’ignorant Vulgaire s’imaginent… Nos repas ressemblent à ces virtuex soupers d’Horace, où l’on s’entretenait de tout ce qui pouvait éclairer l’esprit, régler le coeur, et inspirer le goût du vrai, du bon et du beau… Oui, Messieurs, les fameuses fêtes de Cérès à Eleusis, d’Isis en Egypte, de Minerve à Athènes, d’Uranie chez les Phéniciens, et de Diane en Scithie avaient du rapport aux nôtres… Elles finissaient par des repas et des libations et on n’y connaissait ni l’intemperance, ni les excès où les Payens tombèrent peu à peu». Si vedano anche, sul punto, le acute notazioni di Marcy H.-F., L’origine de la Franc-Maçonnerie et l’histoire du Grand Orient de France, Edimaf, Paris, 1986, pagg. 144-145.

7 Angiolieri Alticozzi V., Relazione della Compagnia de’ Liberi Muratori, Napoli, 1746 (ried. Bastogi, Foggia, 1992); all’esame comparativo questo testo appare in alcuni punti una parafrasi di analoga pubblicazione francese del 1745, Le Sceau rompu ou la Loge ouverte aux profanes par un Franc-Maçon.

8 L’Angiolieri Alticozzi prosegue: «Il fiasco dunque da loro si chiama Barile; il vino Polvere rossa; l’acqua Polvere bianca. Non usano bicchieri, ma tazze, e le chiamano Cannoni. Quando si beve in cirimonia Muratoriana si dice: Date della polvere. Allora ognuno si rizza, e il Venerabile dice: Caricate; e allora ciascuno mette del vino nella sua giara. Dipoi si dice: Portate le mani alle vostre armi… in atto di operare… fuoco, gran fuoco. Questi sono i tre tempi, che bisogna osservare nel bevere; nel primo si porta la mano alla sua tazza, nel secondo si mette dinanzi a sé, come in atto di presentare l’armi, e nell’ultimo ciascheduno beve. Nel bevere tengono gli occhi diretti al Venerabile a fine di fare tutti insieme il medesimo esercizio. Nel levarsi dalla bocca la tazza, si mette un poco dinanzi a sé, si porta dipoi alla mammella sinistra, e poi alla destra, e questo si fa tre volte. Quindi si rimette la tazza sulla tavola in tre tempi, si batte nelle mani tre volte, e ciascheduno grida parimenti tre volte: Vivat.». Segue la descrizione del caricamento, dei brindisi, etc.

9 Tschoudy Th.-H., L’Étoile flamboyante, ou la société des Francs-Maçons considerée sous tous les aspects, voll. 2, à l’Orient chez le silence 1766.

10 Ibidem, vol. I, pagg. 115-118.

11 Ibidem, vol. II (Discours pour une loge de table, prononcé par le F. T., à la Saint Jean d’hiver 1764), pagg. 134-144.

12 Code Maçonique des Loges Réunies et rectifiées de France, tel qu’il a été approuvé par les Députés des Directoires de France au Convent National de Lyon en 5778, 5779 (ried. anast. con trad. it. a fronte Bastogi, Livorno, 1975).

13 Chevallier P., Histoire de la Franc-Maçonnerie française, Fayard, Paris, 1974, vol. I, pag. 247; Ursin J., Création et histoire du Rite Écossais Rectifié, Dervy, Paris, 1993, pagg. 108-112. Più in dettaglio cfr. Le Forestier R., La Franc-Maçonnerie templière et occultiste aux XVIIIe et XIXe siècles, La Table d’Émeraude, Paris, 1987, vol. I, pagg. 476-497.

14 Recueil précieux de la maçonnerie adonhiramite, contenant les Cathéchismes des quatre premiers Grades, l’Ouverture & Clôture des différentes Loges, l’Instruction de la Table, les Santés générales & particulieres, ainsi que les devoirs des premiers Officiers en Charge; … dédié aux maçons instruits par un Chevalier de tous les Ordres Maçonniques. A Philadelphie, chez Philarethe, rue de l’Equerre, à l’A-plomb, 1786 (le Istruzioni in questione sono alle pagg. 27-49).

15 Il Grand Orient de France venne costituito tra il 1771 ed il 1773 sotto la Gran Maestranza nominale del duca di Chartres (il futuro Philippe-Égalité) ma sotto la direzione effettiva del duca di Montmorency-Luxembourg, il quale dette mano ad un’opera di completa riorganizzazione della massoneria francese, caratterizzata tra l’altro dalla adozione di rituali uniformi per i primi tre gradi cosiddetti simbolici e per ulteriori quattro gradi, selezionati tra i numerosissimi fioriti in modo caotico ed incontrollato a partire dal 1730-1740, costituenti un sistema organico denominato Rito Francese o Moderno (in Italia noto anche come Riformato). Dopo la quasi completa cessazione delle attività massoniche nel periodo più torbido della rivoluzione (1793-1795), il Grand Orient de France fu risvegliato a partire dal 1796 per iniziativa di Roëttiers de Montaleau, il quale assunse il titolo di Gran Venerabile.

16 Il primo brindisi, dedicato al capo dello Stato, durante l’ancien régime era indirizzato al re; nel 1801, durante il Consolato (1800-1804), fu indirizzato «alla Repubblica francese ed al suo Governo»; sotto l’Impero, si levarono i calici «in onore di Sua Maestà Imperiale e della sua augusta famiglia» (Collaveri F., Napoléon, empereur Franc-Maçon, Payot, Paris, 1986; tr. it. a cura di A. A. Mola, Napoleone imperatore e massone, Nardini, Firenze, 1986, pag.128).

17 Grande Oriente d’Italia-Collegio dei MM.·. VV.·. della Lombardia, Atti del Primo Convegno nazionale di studio sui rituali massonici – Istruzioni per i primi tre gradi della Massoneria italiana – 1808 (Milano, 5-8 dicembre 1986).

18 Cfr. gli Atti del Primo Convegno nazionale di studio sui rituali massonici, cit., pagg. 11-13.

19 Disposizione di Loggia tipica della Massoneria francese e presente tuttora sia nel Rito Francese sia nel Rito Scozzese ed Accettato di Francia; essa comporta, ovviamente, che il Segretario sieda alla testa della Colonna di Settentrione.

20 I “gradi superiori” ai quali si allude nel testo sono quelli dei Riti ad “alti gradi” (Rito Francese, Rito Scozzese Antico ed Accettato, Rito Scozzese Filosofico, Rito Scozzese Rettificato, per citare quelli allora più diffusi), rispetto ai quali nella Massoneria francese dei primi tre gradi si poneva una distinzione abbastanza fluida, ad essi riconoscendosi in generale il diritto a particolari prerogative e ad “onori”.

21 Si omette qui di trascrivere l’elencazione dello speciale lessico della Loggia di tavola, in quanto identica a quella riportata nei Tuileurs coevi che verranno presi in esame più avanti.

22 I fratelli serventi sono oggi praticamente scomparsi. Secondo gli Statuti Generali della Massoneria Scozzese (Napoli, 1821), art. 236, «i serventi si scelgon principalmente nella classe degli artigiani, ma deggion saper leggere e scrivere, ed esser di tali costumi e di tal prudenza che non abbiasi a temerne alcuna indiscrezione». Erano esonerati da qualunque capitazione o contribuzione, e soltanto il principale tra loro doveva essere «necessariamente ammesso a’ misteri massonici», mentre gli altri «vengon semplicemente instruiti de’ segni del 1° grado scozzese, ed anche della parola di passo del grado medesimo nel rito riformato, e di quanto concerne la preparazione delle diverse camere, ed il servigio, cui sono addetti, sotto giuramento di fedeltà e di silenzio» (art. 237); «aperti i lavori della L.·. i serventi non possono dipartirsi dalla via smarrita, né entrare in tempio se non chiamati». Secondo l’art. 243, «in mancanza di serventi, i più giovani massoni dovranno alternarne tra essi le funzioni».

23 Anche qui la disposizione è quella propria, all’epoca, del Rito Francese, che non prevedeva tra gli Ufficiali di Loggia la presenza dei Diaconi; come si vedrà, attraverso le disposizioni degli Statuti Generali della Massoneria Scozzese (Napoli, 1821), secondo il Rito Scozzese Antico ed Accettato è il 1° Diacono a sedere di fronte al Venerabile.

24 È il testo della famosa Chanson des Apprentifs, traduzione (1735) di Thomas Lance dell’Enter’d Prentice’s Song di Matthews Birkhead, pubblicato in appendice alle Constitutions of the Free-Masons dell’Anderson (cfr. Basso A., L’invenzione della gioia. Musica e Massoneria nell’età dei Lumi, Garzanti, Milano, 1994, pagg. 40-43 e 97). Nella stessa vena poetica, ispirata all’atmosfera del banchetto massonico o da questo occasionata, si collocano gran parte delle composizioni del calabrese Antonio Jerocades raccolte nella Lira Focense (per esempio il brindisi: «La mano all’armi mistiche./È questo il mio cannon»), pubblicata la prima volta nel 1783 ma ristampata a Milano – dal 1805 sede del Grande Oriente d’Italia – nel 1809.

25 Vignozzi A., Vocabolario dei Liberi Muratori italiano e francese corredato dei loro Regolamenti basati sulle Costituzioni Generali e del catechismo massonico addetto ai primi gradi…, Dalla Tipografia Vignozzi, Livorno, 1810 (rist. anast. Forni, 1987); il rituale, sotto il titolo Loge de table – Loggia da tavola, è alle pagg. 36-60. Il testo francese risulta tratto da Bazot E. F., Vocabulaire des Francs Maçons, suivi des règlements basés sur les constitutions générales de l’Ordre de la Franche maçonnerie…, Caillot, Paris, 18103.

26 Integralmente riprodotto a stampa con il titolo di Rituali e società segrete, Convivio/Nardini, Firenze, 1991 (il rituale in questione è alle pagg. 82-83); l’editore non fornisce alcun elemento identificativo sulla persona dell’autore. Il volume è elencato nella Bibliografia della Massoneria in Italia del Simoni (Bastogi, Foggia, 1992, vol. I, pag. 249, con il n. 2795), ma anche qui senza alcuna indicazione circa l’identità dell’autore, che è tuttavia da individuare nel Giuseppe Valtancoli di cui in Ciuffoletti Z., Per la storia della Massoneria in Toscana (in Le origini della Massoneria in Toscana. 1730-1890, a cura di Z. Ciuffoletti, Bastogi, Foggia, 1989, pagg. 33-34 e 42 in nota) ed in Id., Introduzione a Cristelli F., Storia della loggia massonica “Napoleone” di Firenze, attraverso i suoi verbali (1807-1814), Centro Editoriale Toscano, Firenze, 1992, pagg. 12-13.

27 Val la pena di segnalare che lo scritto intitolato Sviluppo della Dottrina Massonica o Sistema della generazione universale degli esseri, alle pagg. 249-256 dell’ed. a stampa citata, costituisce la mera traduzione di identico scritto, con il titolo Système de la génération universelle des êtres, suivant la doctrine symbolique des Anciens, riportato alle pagg. 317-349 del Thuileur des trente-trois degrés de l’Écossisme del Delaulnaye (Paris, 1821), la cui prima ed. è però del 1813; dallo stesso testo deriva la tav. I del manoscritto italiano.

28 Degli Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, Dalla Stamperia del G.·. O.·. d’Italia, Milano, 5806, si conoscono soltanto due ulteriori edizioni (1812 e 1826). Si tratta tuttavia di opera pregevolissima per la completezza espositiva e per la cura impiegata nella sua elaborazione, certamente non inferiori a quelle di analoghe pubblicazioni coeve, dalle quali concettualmente deriva, come il Régulateur du Maçon edito nel 1801 dal Grand Orient de France (rituale a stampa obbligatorio per tutte le Logge) e soprattutto gli Statuts et Règlements généraux de l’Ordre Maçonnique en France (1805), che possono considerarsi la fonte immediata e diretta dalla quale gli Statuti milanesi sono derivati (Ligou D., La postérité d’Hiram. Histoire et devenir de la Franc-Maçonnerie, Dervy, Paris, 1993, pag. 205).

29 La redazione degli Statuti Generali della Massoneria Scozzese (Napoli, datati il 23 del 12° mese dell’anno di V.. L.·. 5820 e cioé 23 febbraio 1821) è attribuita da una lunga e sicura tradizione ad uno solo dei tre firmatari, il marchese Orazio De Attellis, allora Grande Oratore del Grande Oriente di Napoli; le numerosissime riedizioni non sono purtroppo molto fedeli e generalmente omettono la pur importante prefazione alla I ed., anonima ma certamente del De Attellis, sostituendola con altra, pur essa anonima ma attribuita a Domenico Angherà (Reghini A., I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica, Ignis, Roma, 1947, pag. 25).

30 Giudizio che si ricava non soltanto dal sistematico confronto dei due testi, ma anche da esplicita dichiarazione del De Attellis nella citata prefazione alla I edizione del 1821.

31 La materia è trattata nelle pagg. 106-110 degli Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, sotto il Titolo XXVII Delle Agapi, o Banchetti, artt. 1-21.

32 Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit.. «1. Due Agapi di obbligazione relative all’ORDINE vi sono in ciascun anno per ogni Loggia, cioé nei giorni 24 Giugno, e 27 Dicembre, alle quali tutti i Fratelli presenti all’Oriente sono tenuti di partecipare, sia assistendovi personalmente, sia soddisfacendone la quota stabilita. … 4. Ogni Loggia ha un suo proprio Banchetto di obbligazione, che celebra nel giorno anniversario della di lei installazione, o intitolazione».

33 Sull’origine e sull’assetto degli “Alti Gradi” del Rito Francese, provenienti dallo stesso materiale utilizzato per molti dei “gradi scozzesi”, cfr. Jouaust, Histoire du Grand Orient de France, Teissier, Paris, 1865, pag. 235; Findel J. G., Histoire de la Franc-Maçonnerie depuis son origine, jusqu’à nos jours, Librairie Internationale, Paris, 1866, vol. I, pagg. 282-283; Daruty J.-E., Recherches sur le Rite Écossais Ancien Accepté, General Steam Printing-Panisset, Ile Maurice-Paris, 1879, pagg. 278-279; Marcy H.-F., L’origine de la Franc-Maçonnerie et l’histoire du Grand Orient de France, cit., pagg. 318-319; Guérillot C., La genèse du Rite Écossais Ancien et Accepté, Trédaniel, Paris, 1993, pagg. 305-310.

34 Il cui rituale, peraltro, relativamente alla Cena è pressoché sovrapponibile a quello del 18° grado del R.S.A.A.

35 I rituali del Rito di Perfezione collazionati in manoscritto dal Morin, trasmessi al Francken e successivamente pervenuti ai fondatori del Rito Scozzese Antico ed Accettato, ora integralmente pubblicati in Guérillot C., Le rite de Perfection (Restitution des rituels traduits en anglais et copiés en 1783 par Henry Andrew Francken accompagnée de la traduction des textes statutaires), Trédaniel, Paris, 1993; sul Manoscritto Franken vedi pure Sessa L., La Massoneria. L’evoluzione dagli alti gradi al Rito Scozzese Antico ed Accettato, Il Ventaglio, Roma, 1993, pag. 117 e sgg.

36 «Il Tre Volte Potente rialza allora il candidato e gli presenta il Pane ed il Vino, in una coppa d’oro, dicendo: “Mangiate con me di questo Pane e bevete con me il Vino di questa coppa, affinché impariamo a soccorrerci reciprocamente nella misericordia!”. Il Tre Volte Potente mangia e beve. Poi il Tre Volte Potente presenta l’anello al candidato… Dopo che tutto ciò sia stato compiuto, tutti i Fratelli condividono il Pane e bevono il Vino, quindi fanno una libagione…» (dal Rituale del XIV grado, in Guérillot G., op. cit., pag. 185). Il Rituale in questione risale a circa il 1760-1762 (ibidem, pagg. 217-220): erroneamente, pertanto, il Naudon ritiene questa Cena una «innovazione interessante» dei rituali francesi moderni (Naudon P., Histoire, Rituels et Tuileur des Hauts Grades Maçonniques. Le Rite Écossais Ancien et Accepté, Dervy, Paris, 1984, pag. 314). Una Cena abbastanza simile è, peraltro, presente nel rituale di iniziazione al corrispondente 5° grado, o Grande Eletto Scozzese, del Rito Francese, dove il candidato ed i due “Purificatori” bevono vino dalla stessa coppa e mangiano lo stesso pane (Le Régulateur des Chevaliers Maçons ou le quatre Ordres supérieurs suivant le Régime du Gran Orient de France, A Héredom, l’an de la G.·.L.·. 1801, d’après le Manuscrit de 1783).

37 Naudon P.: Histoire, Rituels et Tuileur des Hauts Grades Maçonniques. Le Rite Écossais Ancien et Accepté, cit., pagg. 377-391. Dallo stesso manoscritto o comunque dalla stessa “famiglia” di manoscritti deriva con tutta verosimiglianza un altro rituale, appartenuto a Devaux d’Hugueville, Venerabile nel 1780 della Loggia de l’Aménité all’Oriente di Parigi, datato 1779 (e riprodotto in parte da Bord G., La Franc-Maçonnerie en France des origines à 1815, Librairie Nationale, Paris, s.d. ma 1908, pagg. 512-527), nel quale si legge: «Art. XXVII. Cerimonie ed emblemi del banchetto. I Rosa-Croce tra loro non hanno altre cerimonie di tavola oltre quella che si trova nelle istruzioni e che è in commemorazione del pasto che Gesù Cristo fece ad Emmaus quando si fece riconoscere dai propri discepoli dopo la sua risurrezione. Essa è indispensabile da parte di ogni Cavaliere nel giorno del Giovedi Santo ed in tutti i Capitoli alle assemblee delle feste obbligatorie ed alle iniziazioni. Art. XXVIII. Dei Capitoli in cui si mangia un agnello. Vi sono Capitoli nei quali si può mangiare un agnello in alcune feste, ma occorre che vi siano la testa e le zampe. Il Maestro li taglia prima che alcuno vi ponga mano

38 L’antico rituale ne prevede l’obbligatorietà per tutti i membri del Capitolo, anche se assenti («Qualora un fratello si trovasse da solo in viaggio, deve farla in quel giorno e ricordare i suoi fratelli, che nello stesso istante ricorderanno lui»).

39 Crf. Guérillot C., Le Rite de Perfection, cit. Con l’occasione si rileva che lo stesso René Le Forestier (L’occultisme et la Franc-Maçonnerie écossaise, Archè, Milano, 1987, pagg. 294-300), esaminando il rituale del grado di Rosa-Croce nel XVIII secolo, dà conto della sola Cena Mistica a base di pane e di vino, che a suo avviso «sembra essersi ispirata direttamente alla descrizione data da Giustino (Apologia, LXV) della comunione eucaristica nelle comunità cristiane nel II secolo della nostra era: “Terminate le preghiere, ci scambiamo il bacio della pace. Poi a colui che presiede l’assemblea vengono recati un pane ed una coppa d’acqua e di vino annacquato. Li prende, loda Dio in nome del Figlio e dello Spirito Santo; poi fa una lunga eucarestia per tutti i beni ricevuti da Lui. Poi tutti esclamano: ‘Amen’. Quindi i diaconi distribuiscono il pane ed il vino con l’acqua consacrati”» (pag. 300, in nota); il brano cit. dal Le Forestier è tratto da Giustino, Prima apologia a favore dei cristiani, cap. 65 (in Giustino, Apologie, Rusconi, Milano, 1995, pag. 167), e viene letto nell’Ufficio delle Letture della terza domenica di Pasqua (vedi pure Brunelli R., Dal tempo all’eternità. La liturgia della Chiesa cattolica, Mondadori, Milano, 1989, pagg. 42-43). Per la pratica eucaristica protocristiana vedasi pure Didaché, IX, 1-5 (in I Padri Apostolici, Città Nuova Editrice, Roma, 1976, pagg. 34-35).

40 Farina S.: Il libro dei rituali del Rito Scozzese Antico e Accettato, Piccinelli, Roma, 1946, pagg. 303-335.

41 Nel discorso tenuto dal Saggissimo del Capitolo, a pag. 333. Nessuna menzione della Cena del giovedì santo, invece, nel commento al XVIII grado del R.S.A.A. del Porciatti (Porciatti U. G., Simbologia massonica. Gradi scozzesi, Atanòr, Roma, 1948, dove, a pag. 179, si dà conto soltanto della Cena che fa seguito abitualmente ai lavori del Capitolo); analogamente in Poli U.: Massoneria iniziatica. La via scozzese, Atanòr, Roma, 1981, pagg. 83-84, ed in Bonvicini E., Massoneria di rito scozzese, Atanòr, Roma, 1988, pagg. 171 e 175 n.

42 Bayard J.-P., Symbolisme maçonnique traditionnel, vol. II (Hauts Grades et Rites anglo-saxons), Edimaf, Paris, 1987, pagg. 73-100.

43 1° e 2° Sopravigilante corrispondono agli odierni 1° e 2° Sorvegliante.

44 Gli Statuti napoletani precisano che «nel Rito francese non vi è altra differenza se non quella delle colonne, e la non assistenza de’ due diaconi», giacché «al posto di costoro siede un maestro di cerimonie». Per quanto concerne le colonne, si allude qui al fatto che nel Rito Francese è invertita la posizione rispettiva delle colonne J e B. Quanto agli Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit., la previsione è la seguente: «6. Le mense per il Banchetto devon essere collocate a ferro di cavallo. … 9. Il posto del Ven.·. è all’Oriente nel punto centrale della parte convessa delle mense. I Sorveglianti dominano ciascuno dalle rispettive estremità la loro colonna. I Visitatori fiancheggiano dall’uno e dall’altro lato il Ven.·., a misura de’ loro gradi, e gli altri Fratelli occupano presso a poco la stessa ubicazione, che hanno nel Tempio».

45 Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit.: «7. Se la Loggia di Banchetto è una continuazione de’ lavori trasportati dal Tempio alla Sala, nessun siede sino a che il Ven.·. non l’abbia ordinato, aggiungendo che la masticazione può aver principio. 8. Se i lavori cominciassero nella Sala del Banchetto, il Ven.·., fatta coprire l’Officina anche dai Serventi, li apre ne’ modi soliti».

46 Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit.: «15. La serie de’ brindisi d’obbligazione è stabilita dai Rituali. … 18. È in facoltà del Ven.·., de’ Visitatori, e degli altri Fratelli, di proporre alcuni altri brindisi particolari non menzionati ne’ Rituali e di ridurre il numero de’ brindisi di obbligazione, unendone due o tre in uno solo, in termini bene precisati e chiari. 19. I brindisi possono essere alternati dalla libera masticazione, ovvero continuati due o tre di seguito, secondo le circostanze».

47 Nelle numerose riedizioni, più o meno largamente rimaneggiate, si rinvengono quasi sempre 579 articoli.

48 Per armonia si intende la musica.

49 Per produzione d’ingegno, nel linguaggio dell’epoca, si intendevano tavole architettoniche, poesie, etc.

50 Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit.: «2. In occasione di questi Banchetti, l’Oratore è incaricato di recitare un discorso analogo alla festa che si celebra. … 20. Fra un brindisi e l’altro si offre, se è possibile, qualche pezzo di architettura, o di musica, per ottenere il quale giova che il Venerabile ne inviti preventivamente i Fratelli. … 21. Una modesta allegria deve regnar nella Sala, insieme alla più sincera concordia ed amicizia. La decente economia, la temperanza, e la sobrietà non devono dimenticarvisi, come pregi non ultimi dei veri Liberi Muratori».

51 Le posizioni dell’Oratore e del Segretario prescritte dagli Statuti (art. 108: «Il posto dell’oratore in rito scozzese è alla testa della colonna del 1° sopr.·. cioé della colonna del nord, a poca distanza del trono. Nel rito moderno è nel luogo opposto…»; art. 131: «In tutti i riti il segretario siede dirimpetto all’oratore…») sono state mantenute anche negli attuali rituali del Grande Oriente d’Italia (rituale cosiddetto unico del 1969) e costituiscono un’eccezione rispetto agli attuali rituali del Rito Scozzese Antico ed Accettato dell’area latina, soprattutto francese, dove ha prevalso l’uso del Rito Francese (segretario alla testa della colonna di settentrione, oratore alla testa della colonna di meridione). È appena il caso di rilevare che anche nell’Emulation Ritual il segretario siede alla colonna di meridione.

52 Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit.: «3. Dove trovinsi più Logge in uno stesso Oriente, possono riunirsi in tali occasioni, e comporre una sola Loggia di Banchetto, scegliendo di comune accordo l’Oratore».

53 Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit.: «10. Quando la masticazione è libera, i Fratelli Serventi, ed altri anche profani, che hanno l’incarico di distribuire i materiali, cambiar le tegole, e simili, hanno libero l’accesso, sino a tanto che il Venerabile avvisi col mezzo del suo Diacono, o Maestro di Cerimonie, che la Sala sia coperta».

54 È il 1° Diacono, il quale opportunamente siede di fronte al Maestro Venerabile per svolgere le proprie mansioni.

55 Restano seduti, cioé, coloro che siedono all’interno del ferro di cavallo.

56 Leggi: apprendisti.

57 Si tratta dell’odierno tovagliolo.

58 Per altri si intendono i Maestri.

59 È implicito che debba chiederne preventivamente il permesso al Maestro Venerabile.

60 Statuti Generali della Franca-Massoneria in Italia, cit.: «11. Allora il Venerabile avvertito dell’esecuzione batte un colpo, che è replicato dai Sorveglianti, fa verificare se la Sala sia al coperto, ordina che si carichi e si allinei per un saluto, o Brindisi, di cui si riserva il comando, e avvertito della esecuzione, chiama in piedi ed all’ordine tutti i Fratelli. 12. Ognuno si alza, eccetto quelli seduti dalla parte concava: gli Apprendenti ed i Compagni si tengono il mantile sul braccio sinistro: tutti gli altri lo accavallano sulla spalla sinistra. La mano destra è posta all’ordine. 13. Il Venerabile annuncia a chi sia consecrato il saluto che sta per comandare: indi lo comanda ne’ modi conosciuti, ovvero lo fa comandare dalla musica vocale, o accompagnare dalla istromentale, se vi è, e se è fornita dell’occorrente. … 16. Quelli, cui è diretto il brindisi, e che sono presenti, si tengono sempre in piedi e all’ordine, indi ringraziano facendo i tre fuochi con tutte le cerimonie analoghe, e il loro ringraziamento è coperto. 17. I Maestri di Cerimonie rispondono per gli assenti nel medesimo modo, e si uniscono ai presenti nei loro ringraziamenti».

61 La più frequente di queste pene consisteva nel far bere subito al Fratello colto in fallo un bicchiere d’acqua!

62 Le dimande di rito son quelle, previste nel rituale di chiusura, che il Maestro Venerabile rivolge al 1° ed al 2° Sorvegliante; nulla vieta, però, che prima ancora di passare al rituale di chiusura il Maestro Venerabile proceda alle Istruzioni del grado (il cosiddetto Catechismo), che per l’appunto è articolato in domande e risposte.

63 Vuillaume C.-A., Manuel maçonnique ou Tuileur des divers rites de Maçonnerie pratiqués en France, Sétier & Brun, Paris, 1830².

64 In nota il Delaulnaye spiega: «La prudenza esige che la Loggia di Tavola si tenga in Grado di Apprendista».

65 Non si tratta del Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, come pure si potrebbe pensare, bensì – con riferimento all’epoca (1821) – del monarca o capo di Stato.

66 Pagg. 65-70 del Tuileur.

67 Va sottolineata la variante rispetto alle prescrizioni degli Statuti Generali della Massoneria Scozzese.

68 Si tratta di un’ulteriore variante rispetto agli Statuti Generali.

69 Con l’aggiunta di un’ultima voce: Tagliare è sgrossare.

70 Stolper Ed. E., Argomento Massoneria, Brenner, Cosenza, 1986², pagg. 81-82.

71 Unità che durò fino al 1908, come già ricordato.

72 Mola A. A., Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano, 1992, pag. 102 e sgg.

73 Ragon J.-M., Rituel de l’Apprenti Maçon, Teissier, Paris, 1859, pagg. 72-75 (Loge de table).

74 Ragon J.-M., Tuileur général ou manuel de l’initié, Teissier, Paris, 1860, pagg. 15-19 (Des banquets et des usages de table).

75 Bacci U., Il libro del Massone italiano, Roma, 1908, voll. 2 (il Rituale dei banchetti massonici si trova nel volume I, pagg. 383-402); da alcuni particolari (per esempio dal numero dei brindisi, ridotto a cinque) si ricava l’impressione che fonte immediata del rituale ivi riprodotto sia stato il Tuileur del Teissier (Teissier A., Manuel Général de Maçonnerie, Teissier, Paris, 1883, III ed.). Il Farina (Il libro dei rituali del Rito Scozzese Antico e Accettato, cit., pag. 100) incorre in un vistoso granchio, traducendo plats come “piatti” invece che “vassoi”, con il curioso risultato di prescrivere la collocazione dei piatti a notevole distanza dai malcapitati commensali.

76 Seguito ampiamente in questo, e forse in linea diretta, dal Farina nell’opera citata.

77 È bene ricordare che il fantasioso Ragon, oltre che membro del Grand Orient de France, lo fu pure del Rito di Misraim, pretesa versione “egizia” della Massoneria, ove (lui, sedicente nemico degli “Alti Gradi”) ebbe a scontrarsi con i fratelli Bédarride per la direzione del Rito stesso.

78 Le stesse divagazioni di fonte ragoniana si rinvengono già nel rituale Dei banchetti o agapi in appendice ad un Rituale del primo grado simbolico ossia Apprendista L.·. M.·. pubblicato a Torino nel 1862 dalla «R.·. L.·. Campidoglio di R.·.S.·.A.·.A.·. sotto l’obbedienza del G.·. O.·. d’Italia».

79 Op. cit., pagg. 97-108.

80 Riprodotto in ed. anast. da Brenner, Cosenza, 1994. Il Simoni (Bibliografia della Massoneria in Italia, Bastogi, Foggia, 1992, vol. I, pag. 282) ne identifica l’autore, nel testo indicato con le iniziali G. C., con Gaspare Carli.

81 In questo quadro desolante va tuttavia segnalata la succinta ma nel complesso corretta esposizione in Troisi L., La Massoneria (I gradi azzurri), vol. I (L’apprendista libero muratore), Erasmo, Roma, 1992, pagg. 108-110.

82 Ubicazione che, propria del Rito Scozzese Antico ed Accettato e dello stesso Emulation Ritual, è stata adottata dal rituale unico dei tre gradi simbolici approvato dal Grande Oriente d’Italia nel 1969; diversamente nel Rito Francese, ove il 2° Sorvegliante siede a sinistra della colonna J, cioé ad occidente e nella metà del Tempio che guarda a settentrione.

83 L’ubicazione del 2° Sorvegliante a metà della colonna di meridione anche nella Loggia di tavola costituisce una relativamente recente innovazione del Rito Scozzese Antico ed Accettato di Francia (cfr., tra gli altri, Bayard J.-P., Symbolisme maçonnique traditionnel, Edimaf, Paris, 1982, vol. I., pag. 316); tra le altre “innovazioni” francesi, vi è la ricordata collocazione del Maestro delle Cerimonie davanti al Venerabile, nel posto tradizionalmente riservato al 1° Diacono, figura di Ufficiale di Loggia scomparsa nel Rito Scozzese di Francia dalla seconda metà del XIX secolo, nel quadro di un allineamento ai rituali del Rito Francese seguiti dal Grande Oriente di Francia che ha coinvolto anche i primi tre gradi del R.S.A.A.

84 Con il titolo Quaderni di simbologia muratoria, con la dicitura «a cura del Grande Oriente d’Italia» e con prefazione dell’allora Gran Segretario Spartaco Mennini, nella quale sono raccolti i risultati di un ciclo di seminari iniziati nel 1976.

85 L’una e l’altra figura sono ignote alla pur lunga lista dei Dignitari ed Ufficiali di Loggia di cui alla tradizione italiana (Statuti Generali della Franca Massoneria in Italia del 1806 e Statuti Generali della Massoneria Scozzese del 1821) ed alle Costituzioni e Regolamenti del G.O.I. nelle redazioni del 1968-1969 e del 1984. L’Organista è, invece, un Ufficiale della Loggia Emulation.

86 Con una sola frase vengono accantonati duemila anni di tradizione cristiana e duecentocinquanta di tradizione muratoria!

87 Ma in che cosa consista l’“operatività”, cui fan da preludio e sono propedeutiche la “purgazione” e la “purificazione”, è argomento sul quale prudenza suggerisce che tacere è bello.

88 Non risulta che la cazzuola sia strumento specifico del Maestro Venerabile, il cui simbolo o gioiello è la squadra.

89 Il Gabinetto di Riflessione, come caratterizzato dai menzionati elementi ermetico-alchemici, è presente soltanto nei rituali del Rito Scozzese Antico ed Accettato e del Rito Francese, ma è sconosciuto ai diversi rituali della massoneria anglo-sassone ed allo stesso Rito Scozzese Rettificato, benché originato anch’esso dal “crogiuolo” della massoneria «scozzese» del XVIII secolo.

90 Con Decreto n. 227 emanato il 18 dicembre 1922 dal Gran Maestro Domizio Torrigiani. Anteriormente il Supremo Consiglio del R.S.A.A. e la Gran Loggia del Rito Simbolico Italiano godevano di completa autonomia sulle questioni rituali relative alle Logge appartenenti all’uno o all’altro Rito, comprese la prescrizione dei rituali nei primi tre gradi e la potestà ispettiva presso le Logge (art. 99 delle Costituzioni del G.O.I. approvate nel 1906), nonché di autonomia giurisdizionale nei “processi massonici” promossi contro Fratelli insigniti di grado superiore al terzo (art. 111 delle stesse Costituzioni).

91 Cfr. Naudon P., Les loges de Saint-Jean et la philosophie ésotérique de la Connaissance, Dervy, Paris, 1990 (tr. it.: Le logge di San Giovanni, Atanòr, Roma, 1997).

92 Si veda la voce Table Lodge in Mackey A. G., Hughan W. H., Hawkins E. L., Encyclopaedia of Freemasonry, The Masonic History Company, Chicago, 1929, pag. 1008, nonché lo schema ivi riprodotto.

93 Roman D., Le Symbolisme de la Loge de Table, in Réflexions d’un chrétien sur la Franc-Maçonnerie, Éditions Traditionnelles, Paris, 1995.

94 L’esposizione dei rapporti tra l’eros greco e l’agape cristiana comporterebbe ben più che un’ampia digressione. Si rinvia pertanto, ai fini degli opportuni approfondimenti, a Robin L., La théorie platonicienne de l’Amour, P.U.F., Paris, 1964 (tr. it.: La teoria platonica dell’amore, Celuc, Milano, 1973); Reale G., Introduzione ad Agostino, Amore assoluto e “terza navigazione”, Rusconi, Milano, 1994 (in particolare alle pp. 10-19 e 40-55); Id., Eros dèmone mediatore e il gioco delle maschere nel Simposio di Platone, Rizzoli, Milano, 1997.

95 Tra questi parti di fantasia, estranei alla tradizione muratoria e nel migliore dei casi espressione di ridondanza barocca, si possono altresì citare: l’“orientazione” del Gabinetto di Riflessione e l’immissione in esso di simboli astrologici; l’addizione, nei verbali delle tornate rituali, di un “punto geografico” e di un “punto geodetico” al bisecolare “punto geometrico noto ai soli Figli della Vedova”; le variazioni nell’effettuazione della “catena fraterna” in grado di Maestro; l’introduzione di inesistenti dualismi cromatici nelle Colonne del Tempio e nei bastoni dei Diaconi, e via via inventando…

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IL SIMBOLISMO DELLO ZODIACO NEI PITAGORICI

René Guénon

Ed. originale Le symbolisme du Zodiaque chez les Pythagoriciennes,

in Études Traditionelles, giugno 1938

Trattando la questione delle porte solstiziali ci siamo riferiti direttamente soprattutto alla tradizione indù, perché in essa i dati che vi si riferiscono sono presentati nel modo più chiaro; ma in realtà si tratta di qualcosa che è comune a tutte le tradizioni, e si può trovare anche nell’antichità occidentale. Nel Pitagorismo, in particolare, il simbolismo zodiacale sembra aver avuto un’importanza altrettanto considerevole; le espressioni ‘porta degli uomini’ e ‘porta degli dèi’, da noi usate, appartengono del resto alla tradizione greca; solo che le informazioni giunte sino a noi sono in questo caso talmente frammentarie e incomplete che la loro interpretazione può dar luogo a parecchie confusioni, che non sono mancate da parte di coloro che hanno considerato tali informazioni isolatamente e senza renderle più chiare per mezzo di un raffronto con altre tradizioni.

Anzitutto, per evitare certi equivoci, sulla posizione reciproca delle due porte, occorre ricordarsi di quanto abbiamo detto sull’applicazione del ‘senso inverso’, a seconda che le si consideri in rapporto all’ordine terrestre o all’ordine celeste: la porta solstiziale d’inverno, o il segno del Capricorno, corrisponde al nord nel ciclo annuale, ma al sud in relazione al cammino del sole nel cielo; così, la porta solstiziale d’estate, o il segno del Cancro, corrisponde al sud nel ciclo annuale, e al nord in relazione al cammino del sole. Per questo, mentre il movimento ‘ascendente’ del sole va da sud a nord e il suo movimento ‘discendente’ da nord a sud, il periodo ‘ascendente’ dell’anno dev’essere invece considerato compiersi nella direzione nord-sud, e il suo periodo’ discendente’ in quella sud-nord, come abbiamo già detto in precedenza. Proprio in rapporto a quest’ultimo punto di vista, secondo il simbolismo vedico, la porta del dêva-loka è situata verso nord e quella del pitri-loka verso sud, senza che vi sia in ciò, malgrado le apparenze, alcuna contraddizione con quello che troveremo più avanti.

Citeremo, corredandolo delle spiegazioni e rettificazioni necessarie, il riassunto dei dati pitagorici esposto da Jérôme Carcopino1: «I pitagorici» egli dice «avevano costruito tutta una teoria sui rapporti dello Zodiaco con la migrazione delle anime. A quale data risalirebbe? È impossibile saperlo. Fatto sta che nel secolo II della nostra era, essa fioriva negli scritti del pitagorico Numenio, che ci è permesso di conoscere attraverso un riassunto secco e tardivo di Proclo, nel suo commento alla Repubblica di Platone, e un’analisi, al tempo stesso più ampia e più antica, di Porfirio, nei capitoli XXI e XXII del De Antro Nympharum». Ecco, diciamolo subito, un esempio piuttosto significativo di ‘storicismo’: la verità è che non si tratta per nulla di una teoria ‘costruita’ più o meno artificialmente, a questa o quella data, dai pitagorici o da altri, a modo di una semplice opinione filosofica o di una concezione individuale qualunque; si tratta di una conoscenza tradizionale, che concerne una realtà di ordine iniziatico, e, proprio in virtù del suo carattere tradizionale, non ha e non può avere alcuna origine cronologicamente assegnabile. Sono, beninteso, considerazioni che possono sfuggire a un ‘erudito’; ma egli dovrebbe almeno capire questo: se la teoria in questione fosse stata ‘costruita dai pitagorici’, come spiegare il fatto che essa si trova dappertutto, al di fuori di ogni influenza greca, e in particolare nei testi vedici, che sono sicuramente di molto anteriori al pitagorismo? Anche questo, Carcopino, in quanto ‘specialista’ dell’antichità greco-latina, può sfortunatamente ignorarlo; ma, da quel che riferisce egli stesso in seguito, risulta che tale dato si trova già in Omero; dunque, anche presso i Greci essa era conosciuta, non diremo solo prima di Numenio, cosa fin troppo evidente, ma prima dello stesso Pitagora; si tratta di un insegnamento tradizionale che si è trasmesso in modo continuo attraverso i secoli, e poco importa la data forse ‘tardiva’ alla quale certi autori, che non hanno inventato nulla e non ne hanno mai avuto la pretesa, l’hanno formulato per iscritto in modo più o meno preciso.

Detto questo, torniamo a Proclo e a Porfirio: «I nostri due autori concordano nell’attribuire a Numenio la determinazione dei punti estremi del cielo, il tropico d’inverno, sotto il segno del Capricorno, e il tropico d’estate, sotto quello del Cancro, e nel definire, evidentemente sulle sue tracce, e sulle tracce dei ‘teologi’ che egli cita e che gli sono serviti da guide, il Cancro e il Capricorno come le due porte del cielo. Sia per discendere nella generazione, sia per risalire a Dio, le anime dovevano quindi necessariamente varcare una di esse». Per «punti estremi del cielo», espressione un po’ troppo ellittica per essere perfettamente chiara da sola, bisogna naturalmente intendere qui i punti estremi raggiunti dal sole nella sua corsa annuale, dov’esso in certo modo si arresta, da cui il nome di ‘solstizi’; a tali punti solstiziali corrispondono le due ‘porte del cielo’, il che è appunto esattamente la dottrina tradizionale che già conosciamo. Come abbiamo indicato altrove, 2 questi due punti erano talora simboleggiati – per esempio sotto il tripode di Delfi e sotto gli zoccoli dei corsieri del carro solare – dal polipo e dal delfino, che rappresentano rispettivamente il Cancro e il Capricorno. Inutile dire, d’altra parte, che gli autori in questione non hanno potuto attribuire a Numenio la determinazione stessa dei punti solstiziali, che erano noti da sempre; si sono semplicemente riferiti a lui come a uno di coloro che ne avevano parlato prima di loro, e come egli stesso si era già riferito ad altri ‘ teologi’.

Si tratta poi di precisare il ruolo proprio di ciascuna delle due porte, ed è qui che nasce la confusione:, «Secondo Proclo, Numenio le avrebbe rigidamente specializzate: per la porta del Cancro, la caduta delle anime sulla terra; per quella del Capricorno, l’ascensione delle anime nell’etere. In Porfirio, invece, è detto soltanto che il Cancro è a nord e favorevole alla discesa, il Capricorno a sud e favorevole alla salita: di modo che invece di essere strettamente assoggettate al ‘senso unico’, le anime avrebbero conservato, sia all’andata che al ritorno, una certa libertà di circolazione». La fine di questa citazione esprime, a dire il vero, un’interpretazione di cui conviene lasciare tutta la responsabilità a Carcopino; non vediamo assolutamente in cosa quel che dice Porfirio sarebbe ‘contrario’ a quel che dice Proclo; forse è formulato in modo un po’ più vago, ma sembra di fatto voler dire in fondo la stessa cosa: ciò che è «favorevole» alla discesa o alla salita deve probabilmente intendersi come ciò che la rende possibile, poiché non é molto verosimile che Porfirio abbia voluto lasciar sussistere in tal modo una specie di indeterminazione, il che, essendo incompatibile con il carattere rigoroso della scienza tradizionale, non sarebbe in ogni caso in lui che una pura e semplice prova d’ignoranza su questo punto. Comunque, è visibile che Numenio non ha fatto altro che ripetere, sulla funzione delle due porte, l’insegnamento tradizionale conosciuto; d’altra parte, se egli pone, come indica Porfirio, il Cancro a nord e il Capricorno a sud, evidentemente egli considera la loro posizione nel cielo; lo indica d’altronde abbastanza chiaramente il fatto che, in quel che precede, sono in questione i ‘ tropici ‘, che non possono avere altro significato oltre quello, e non i ‘ solstizi’, che si riferirebbero invece più direttamente al ciclo annuale; e per questo la posizione qui enunciata è inversa a quella data dal simbolismo vedico, senza tuttavia che ciò costituisca alcuna differenza reale, giacché si tratta di due punti di vista ugualmente legittimi, che si accordano perfettamente fra di loro se si è capito il loro rapporto.

Ma vedremo qualcosa di ancor più straordinario: Carcopino continua dicendo che «è difficile, in mancanza dell’originale, trarre da queste allusioni divergenti», ma che in realtà, dobbiamo aggiungere noi, sono divergenti solamente nel suo pensiero, «la vera dottrina di Numenio», che, abbiamo visto, non è la sua propria dottrina, ma soltanto l’insegnamento da lui riferito, cosa d’altronde più importante e più degna d’interesse; «ma risulta dal contesto di Porfirio che, anche esposta sotto la sua forma più elastica» – come se potesse esserci «elasticità» in un problema che è unicamente una questione di conoscenza esatta – «essa resterebbe in contraddizione con quelle di certi suoi predecessori, e, in particolare, con il sistema che alcuni più antichi pitagorici avevano fondato sulla loro interpretazione dei versi dell’Odissea in cui Omero ha descritto la ‘ grotta d’Itaca’», cioè quell’‘antro delle Ninfe’ che non è altro se non una delle raffigurazioni della ‘caverna cosmica’ di cui abbiamo parlato in precedenza. «Omero, annota Porfirio, non si è limitato a dire che la grotta aveva due porte. Egli ha specificato che una era volta al lato nord, e l’altra, più divina, al lato sud, e che si discendeva dalla porta a nord. Ma non ha indicato se si poteva scendere per la porta a sud. Dice solo: è l’entrata degli dèi. Mai l’uomo prende il cammino degli immortali». Pensiamo che questo dev’essere il testo stesso di Porfirio, e non vi vediamo la contraddizione annunciata; ma ecco ora il commento di Carcopino: «Secondo questa esegesi, si scorgono, in quel compendio, dell’universo che è l’antro delle Ninfe, le due porte che s’innalzano ai cieli e sotto le quali passano le anime, e, al contrario del linguaggio che Proclo mette in bocca a Numenio, quella a nord, il Capricorno, fu dapprima riservata all’uscita delle anime, e quella a sud, il Cancro, fu di conseguenza assegnata al loro ritorno a Dio».

Ora che abbiamo completato la citazione, possiamo facilmente renderci conto che la pretesa contraddizione, anche qui, esiste solo secondo Carcopino; c’è infatti nell’ultima frase un errore evidente, e persino un duplice errore, che sembra veramente inspiegabile. Anzitutto, è Carcopino che aggiunge di propria iniziativa la menzione del Capricorno e del Cancro; Omero, a quanto dice Porfirio, designa le due porte solo per mezzo della loro posizione a nord o a sud, senza indicare i segni zodiacali corrispondenti; ma, siccome precisa che la porta «divina» è quella a sud, bisogna concludere che è questa che corrisponde per lui al Capricorno, esattamente come per Numenio, vale a dire che anch’egli situa le due porte secondo la loro posizione nel cielo, e tale sembra quindi esser stato, in genere, il punto di vista dominante in tutta la tradizione greca, anche prima del pitagorismo. Inoltre, l’uscita delle anime dal ‘cosmo’ e il loro ‘ritorno a Dio’ sono propriamente una sola e identica cosa, di modo che Carcopino attribuisce, apparentemente senza accorgersene, lo stesso ruolo a entrambe le porte; Omero dice, tutto al contrario, che per la porta a nord si effettua la ‘discesa’, cioè l’entrata nella ‘caverna cosmica’ o, in altri termini, nel mondo della generazione e della manifestazione individuale. In quanto alla porta a sud, essa è l’uscita dal ‘cosmo’, e, di conseguenza, per essa si effettua la ‘salita’ degli esseri in via di liberazione; Omero non dice espressamente se si può anche scendere per tale. porta, ma ciò non è necessario, poiché, designandola come «entrata degli dèi», egli indica a sufficienza quali siano le ‘discese’ eccezionali che vi si effettuano, conformemente a quanto abbiamo spiegato nel nostro studio precedente. Insomma, che la posizione delle due porte sia considerata in rapporto al cammino del sole nel cielo, come nella tradizione greca, o in rapporto alle stagioni nel ciclo annuale terrestre, come nella tradizione indù, è sempre il Cancro a essere la ‘ porta degli uomini’ e il Capricorno la ‘porta degli dèi’; non può esserci in questo alcuna variazione e di fatto non ve n’è alcuna; è solo l’incomprensione degli ‘eruditi’ moderni che crede di scoprire, nei vari interpreti delle dottrine tradizionali, divergenze e contraddizioni che non vi si trovano.

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