RIFLESSIONI TRA IDEA E REALTA’ (PENSIERO ED ESORTAZIONE)

RIFLESSIONI TRA IDEA E REALTA’ (PENSIERO ED ESORTAZIONE)

di F.A., Primo Sorvegliante,

Volendo in qualche modo identificare un’Idea della Massoneria che possa essere unanimemente accettata bisognerebbe chiamarla ‘dogma’,anche se la Massoneria è priva di dogmi, in quanto l’Idea/Dogma è il credere che sia urgentemente necessario che la società progredisca nello sviluppo morale e che ne sia capace. Questo sviluppo non è visto dalla Massoneria in associazione al progresso sociale e nemmeno al progresso della tecnica e dell’industrializzazione. Si sa bene, al contrario, che l’evolversi della società industriale moderna arreca alla natura ed alla qualità della vita danni imprevedibili ed a volte anche irreversibili.

La causa di ciò non risiede negli strumenti tecnici per se stessi ma soltanto nel modo di comportarsi degli uomini stessi. Le costrizioni poste dall’economia si scontrano con la consapevolezza della responsabilità di ciascuno. Allora bisogna che ognuno sia quanto mai preparato ed allo stesso tempo la società e quindi lo Stato devono vegliare affinché la mancanza di responsabilità di singole persone non abbia come conseguenza un pericolo per tutti.

Giungiamo quindi nuovamente e con maggiore intensità di prima a porre l’accento sulla necessità che coloro cui è affidata la responsabilità debbano essere uomini di elevata integrità morale e di qualità.

Ebbene la Massoneria interviene là dove crede di poter ottenere dei risultati e precisamente sul progresso morale del singolo individuo partendo dal presupposto dell’uguaglianza originaria di tutti gli uomini, dal riconoscimento del diritto di ognuno di vivere secondo il proprio fine, libero da costrizioni esterne, in una società responsabile del benessere di tutti.
Questa è certamente, per quanto incompleta, la riscrittura dei principi fondamentali del 1789: LIBERTA’, FRATELLANZA, UGUAGLIANZA.

L’assolutismo illuminato del XVIII secolo, mentre aveva reso più aperti gli schemi sociali tradizionali non aveva però fatto scomparire questi vincoli e dal momento che lo scopo della Massoneria era il superamento di questi ostacoli, essa divenne una forza emancipatrice che servi’ ad aprire la strada allo Stato moderno.

Questa spinta socio-politica si esauri’ progressivamente con l’affermarsi dello Stato di diritto però, il compito di raggiungere il superamento delle divisioni delle più diverse specie esistenti tra gli uomini non è divenuto ancora superfluo oggi. Al contrario si notano proprio nelle civiltà occidentali, specie nella politica, mancanza di pacatezza e preoccupazioni esagerate che dipenderebbero da insicurezza e dal turbamento della propria identità.

Non possiamo in questo scritto entrare in particolari, ma è un dato di fatto e sarebbe oltremodo auspicabile se le contese che avvengono in campo politico, senza voler sminuire le divergenze di opinioni, venissero condotte con lo stile del reciproco rispetto.

La Massoneria è sempre riuscita ad accomunare tra loro uomini di differenti confessioni, di convinzioni politiche divergenti e di diversa provenienza sociale; essa educa i suoi affiliati a giudicare gli altri non secondo le loro opinioni ma secondo il loro comportamento.

E’ in questo che la Massoneria crede di poter esercitare la propria influenza positiva. E’ per questo che vengono formulate le precise istanze morali e che al massone ne viene raccomandata l’osservanza con estrema energia.

Al di sopra di tutto vi è il rilievo dato alla Fratellanza che deve essere praticata verso tutti gli uomini e che non è pensabile senza la Tolleranza. Non si vuole con questo intendere la pura e semplice ammissione della vanità delle convinzioni altrui, si intende bensi’ il rispetto nei confronti del diritto altrui di costruire in modo autonomo i propri pensieri e di poterli esporre indisturbati. Altre virtù come la sincerità verso se stessi e verso gli altri, la tenacia e la diligenza, la pazienza, la lealtà, la premurosità, la puntualità, ecc vengono incoraggiate secondo l’importanza che hanno nelle sfere che loro competono.

Insomma possiamo dire che queste sono l’espressione della saggezza della vita.

Il loro orientamento, proveniente dalle norme etiche, non riguarda però solamente la convivenza degli uomini tra di loro. Viene infatti attribuita una cosi’ grande importanza al lavoro dell’uomo su se stesso che a colui che desidera diventare massone si chiede di ”aspirare con tutta la forza del desiderio al proprio perfezionamento in quanto uomo”.
In che consista questo perfezionamento può essere detto che ”Scopo della Massoneria è la trasformazione dell’interiorità ed il raggiungimento della piena espressione spirituale dell’uomo” e ciò nonostante si chieda all’affiliato di integrarsi nella Istituzione senza negargli in alcun modo i suoi diritti

Nel sodalizio massonico le diversità individuali non vengono annullate ma superate !

Fichte ha descritto il massone ideale in questo modo:

”La sua mente è limpida e libera da pregiudizi… Domina il mondo delle idee e sovrasta per quanto possibile l’area dell’umana verità…E’ eretto, severo con se stesso, si astiene dal dare esteriormente benché minimamente a vedere la sua virtù… Il sentimento dominante verso le debolezze del prossimo è di benevolo rincrescimento, mai di indignazione iraconda…”

Se si riflette sulle istanze morali poste al massone si constata che non vi è nulla che non sia già un postulato ovvio per ogni uomo di buon senso. Se poi si prende atto che mancando una dottrina di fede e qualsiasi precetto ideologico di verità, si riceve l’impressione che non si possa proprio parlare di una Idea massonica autonoma.
Tutti coloro che si sono occupati da profani di Massoneria hanno sempre avuto questa impressione e quindi ogni volta si sono esercitati nel tentativo di supporre che, dietro, dovesse pur esserci qualcosa di nascosto che giustificasse la saldezza dei vincoli e la forza vitale della nostra Società.

E in realtà i motivi ci sono. Ci si imbatte nel punto centrale del fenomeno se si volge l’attenzione proprio a quelle singolarità che suscitano le critiche di tutti gli altri.

Si pone allora la domanda su che cosa compiano in concreto i massoni. Che effetto producono le belle istanze morali ? Come può un uomo istruito provare la necessità di unirsi a questo sodalizio le cui massime sono cosi’ ovvie e valide in generale ?

Il punto determinante è che non basta riconoscere che i valori morali sono fondati e auspicabili. Per regolare la propria vita in loro conformità occorre risolutezza e la forza di volontà per seguirli. Il controllo della propria debolezza, dei difetti, degli errori non è che si possa raggiungere compiendo una sola azione isolata. Occorre esercizio e fortificazione costante.

Per ottenere questo risultato lo strumento dei massoni è il loro sodalizio fraterno. Essi sono convinti che sia più agevole osservare i precetti morali se ognuno si trova immerso in una compatta comunità di uomini che tendono al medesimo scopo. Questo sforzo collettivo crea già di per sé una forte sensazione che rende più facile sopportare le difficoltà.

Ma il fine soltanto non dà ragione della coesione del sodalizio massonico. Gli uomini che si riuniscono nella Istituzione sono effettivamente assai diversi l’uno dall’altro. E’ per loro naturale che l’interiorità di ciascuno si esprima del tutto liberamente. Questa predisposizione, nella società profana, porta l’uomo a trovarsi solo con il suo isolamento. L’Istituzione massonica annulla questo isolamento e conduce gli uomini a riunirsi in fiduciosa amicizia. Il vero segreto della Massoneria è saper trasformare degli estranei in amici.

Questo potere non è di natura teorica cioè tale che basta esserne semplicemente informati per poterne disporre. E’ piuttosto una consuetudine pratica, un esercizio, è il Rito, è il costume massonico.

Le comunità non vengono motivate altrettanto intensamente se non ci sono le consuetudini che vengono tramandate da tutti nel loro interno. Non sono solo le idee che creano un legame duraturo tra gli uomini ma esse hanno anche bisogno delle ”forme”.

Ricordiamo quale valore avevano nella nostra giovinezza le tradizioni della famiglia ed i riti praticati nelle ricorrenze più importanti. Anche per l’adulto rimane significativa quella scansione dell’anno che queste consuetudine segnavano.

Le usanze religiose o di impronta religiosa, nella vita dell’uomo moderno occidentale, non rivestono quasi più alcun significato. Si pensi tuttavia con quale rigore molti ebrei non ortodossi osservino le usanze delle ricorrenze solenni e quale importanza ha ancora oggi per la sopravvivenza del popolo ebraico, nella diaspora, il rito religioso in generale.

Il rito è per sua natura una rappresentazione. Consiste nel compiere azioni che non sono destinate ad uno scopo concreto ma alle quali si attribuisce un significato particolare. Ciò che effettivamente accade è assunto a simbolo di un avvenimento interiore.

La Massoneria è l’unica manifestazione rituale durevole apparsa nella cultura della moderna società, l’unica comunità, che tenga conto consapevolmente dei limiti della ragione e della sensibilità.

Gran parte delle forme rituali praticate dalla Massoneria non sono una sua creazione ma le sono state trasmesse dai costruttori medievali e dalle Gilde degli scalpellini. Il merito della Massoneria sta nell’averle rielaborate in forma di modalità rituali.

La Massoneria moderna ebbe inizio quando si comprese che le operazioni proprie del mestiere dei costruttori artigiani potevano essere interpretate in modo equivalente.

La ritualità massonica non produce effetti magici ma psichici, estetici, etici. Essa attinge a tutto il patrimonio culturale dell’Occidente e motiva il massone ad aprirsi, ad elaboralo ed a farlo fruttificare per dare senso alla propria vita e poterla costruire. L’interpretazione dell’ azione simbolica è molteplice, anzi i tentativi di interpretazione personali sono auspicabili e degni di rispetto.

Per chiarire questo punto vorrei richiamarmi ad uno dei simboli più significativi: la Bibbia, che nel rituale massonico è chiamata il Libro Sacro.

Dal punto di vista storico la cerimonia dell’Iniziazione è l’esperienza rituale centrale entro la nostra Istituzione e di gran lunga la più eminente il cui punto focale risiede nel solenne pronunciamento di una promessa. Per conferirle maggiore intensità si fece ricorso alla potenza evocatrice del Libro Sacro precisamente con lo stesso significato con cui ancora oggi i presidenti degli Stati Uniti conferiscono maggior vigore al loro giuramento stendendo la mano sulla Bibbia.

Si cadrebbe tuttavia in un equivoco sostanziale se si ponesse in relazione il contenuto della Scrittura Sacra con il simbolo che rappresenta in Massoneria. Si tratta solamente di un simbolo che allude alla relazione tra l’uomo e la Divinità e non di un riferimento ad espressioni specifiche contenute nel Libro che di volta in volta può essere impiegato (Bibbia, Corano, ecc).

Si può chiarire il senso riposto del rito massonico mediante un paragone: gli atti sacramentali della chiesa hanno come obiettivo l’unione cioè il congiungimento con il Cristo. L’obiettivo del rito massonico è invece l’unione degli uomini tra loro. E’ dubbio che un avvenimento di questo tipo abbia carattere religioso. Irrazionale e misterioso comunque lo è !

Il profano non può immaginare quale incanto avvincente emani dall’intimità di un evento che accade in un luogo nascosto. Dal luogo nascosto proviene la sensazione di trovarsi al sicuro e quella intimità trasmette la sensazione di trovarsi nella propria casa.

Forse ricorderete quello che provavate da bambini quando vi veniva confidato un segreto o quando voi ne affidavate uno ad un altro. Del tutto simile è il fascino che si diffonde dal chiuso dei nostri Templi. Il mantenimento di un segreto poi è anche un esercizio di auto disciplina.

Vi è anche un’altra importante considerazione. Il senso degli attuali rituali in Massoneria trova la sua espressione sostanziale nella cerimonia di Iniziazione che significa l’inserimento nella comunità di colui che ne è fuori e ne è estraneo. L’ingresso del profano nel gruppo, il cui istinto naturale sarebbe la difesa verso il nuovo venuto, avviene invece con la sollecitudine di tutti e il nuovo arrivato è visto come un essere appena giunto alla luce, un essere che sperimenta la propria nascita.

Non è vero che la realtà massonica sia in se stessa di poco conto. Assolutamente no! Vi è profusione di esperienze che colmano di gioia. Vi si incontrano di continuo uomini che con impegno encomiabile lavorano per il progresso delle loro piccole comunità.

Per loro esperienza i massoni hanno raggiunto la consapevolezza che, affinché una società di uomini possa essere fondata solidamente, debba essere dotata di atti formali cui affidarsi, ove gli ideali etici della comunità trovino espressione tangibile attraverso i sensi, ove parole elementari e gravi pronunciate più volte e con intensità, ove associazioni collegate a simboli semplici e quanto mai comuni possano risvegliare in uomini razionali, preparati opportunamente e volonterosi, percezioni durevoli.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA LUCE NELLA CABALA

LA LUCE NELLA CABALA

Michele C. Del Re

                La luce e il mondo

Le cose che ci circondano, senza luce, sono soltanto ostacoli pericolosi ed ostili; con essa il mondo prende forma ed ordine, diventa il cosmo regolato da leggi; per coglier questo non c’è bisogno di filosofia, ma basta l’esperienza quotidiana di ogni uomo, a qualunque cultura appartenga. La luce è intangibile ma presente, ritorna ogni giorno ed è inspiegabile nell’origine; da ciò, facile illazione nella mentalità pre-logica che la luce è manifestazione visibile nel mondo degli uomini e delle cose, della realtà divina ultraterrena senza forma e adimensionale; la luce dunque è il tramite tra la sfera celeste e quella sublunare, la luce dunque accompagna ogni teofania 1. Chiave di volta delle concezioni che vedono come realtà cosmica essenziale la luce, è la contrapposizione del mondo delle tenebre a quello luminoso, con due equazioni, luce-bene-vita, tenebre-male-morte.

Così, nella dottrina manichea, l’elemento caratteristico dell’essere supremo è appunto la luce, concepita come sostanza dell’essere divino. Tale sostanza luminosa, diversa dall’intelletto e dalla materialità, è espressione di Dio, “padre della luce beata” e in quanto tale, signore del regno della Luce. Ma questo regno, fatto di terra-luce e di etere-luce, si identifica, nella sua essenza, con la stessa suprema divinità, poiché esso, corpo della divinità, non è stato creato da Dio, ma è assoluto e coesistente con esso dall’eternità, è espressione della sua essenza. Se una singola parte del regno della Luce fosse nata o fosse stata creata in un dato momento, il regno della luce non potrebbe aspirare a essere assoluto. Il regno della luce non potrebbe aspirare a essere assoluto.

Il regno della Luce è illimitato da tre lati: a nord, a est e a ovest. A sud, invece, la Luce si scontra con l’Oscurità, cosicché qui la sfera di potenza del “Padre della Grandezza”, come lo chiama Mani, e l’armonia più perfetta. Le condizioni del regno delle Tenebre sono in forte contrasto con la pace che domina nel regno della Luce. Gli abitanti del mondo della Materia si scontrano, si spingono l’un l’altro, corrono pazzamente intorno. Nel suo moto vorticoso, il popolo delle Tenebre arriva, ad un certo momento, al limite superiore, dove l’oscurità confina con la luce. Guardando in alto, verso il mondo della Luce, il principe delle Tenebre e il suo popolo vengono presi da un violento desiderio di questo splendido regno e, abbandonati i loro contrasti, si consigliano sul modo di diventar partecipi della luce, di mescolarsi con la luce. I tenebrosi irrompono dal basso nel regno della Luce, così il re e padre della Luce deve difendere se stesso e il regno uscendo dal maestoso “riposo in se stesso” e dalla compiutezza del suo essere, passando da una esistenza contemplativa ad una esistenza attiva 2.

I miti poetici che si sviluppano su questa trama sono numerosi e ispirati, ma interessa comparatisticamente con il nostro tema l’idea dei due regni, dell’aggressione delle tenebre, della corrispondenza luce-bontà-essere.

Lasciando le accennate fantasmagorie del manicheismo e tacendo quelle complesse ed elaboratissime dell’emanazionismo gnostico ellenistico, ricorderò un esempio dal cuore della Palestina 3. Nella comunità di Qumran, quella conosciuta dai manoscritti del Mar Morto 4, la luce e la tenebra sono personificate: la creazione è realizzata attraverso due spiriti, quello della luce e quello del buio; su di essi è fondata ogni opera (Manuale di disciplina, 3, 25). Naturalmente questi due spiriti opereranno finché non verrà il tempo della visitazione di Dio. Il Principe della luce e l’Angelo delle tenebre, tendono a realizzare rispettivamente la giustizia-verità e l’errore-menzogna. L’Angelo delle tenebre insidia i figli della luce per portarli a distruzione. Tenebre e luce vengono così personificati, ma le denominazioni di prìncipe e di angelo, salva forse il principio monoteistico, senza aprirsi al panteismo gnostico.

Si può dire, semplificando, che la concezione cabalistica della luce si trova tra queste due estreme posizioni, ma ha caratteristiche di forte originalità. L’immagine bipolare luce/buio è chiave del cosmo nella speculazione cabalistica 5. Secondo la dottrina della Cabala, l’irraggiamento luminoso ha creato l’estensione, ha creato la dimensione terrena, operando come vibrazione ordinatrice del caos.

D’altronde, nel mondo ebraico-cristiano, la luce è all’origine del mondo e delle sue vicende. La genesi segna l’inizio dell’ordine del mondo con il fiat lux. L’apparizione della luce in apertura del Vangelo di San Giovanni, annuncia il verbo 6. La potenza creatrice precedentemente nascosta nella notte dell’inconoscibile si manifesta con il comando divino che separa la luce dall’ombra, originariamente confuse, l’epifania messianica si realizza con la luce, come la potenza divina viene espressa attraverso il potere di dominare la luce, il volto di Mosè ispirato emana una luce insostenibile, e così via.

Nella Genesi confluiscono diverse narrazioni dell’origine del Cosmo. Quella che più ci interessa è la narrazione del cosiddetto documento sacerdotale poiché in essa protagonista della creazione è appunto la luce:

    All’inizio Eloim creò il cielo e la terra e la terra era deserta e vuota e le tenebre si stendevano sull’abisso e il soffio di Eloim planava sulle acque. Eloim disse allora “che vi sia la luce” e la luce fu. Eloim constatò che la luce era cosa buona, Eloim poi separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. Si ebbe una sera, poi il mattino: primo giorno.

    Eloim disse “che vi siano delle luci sulla volta del cielo per separare il giorno dalla notte e per servire di segno alle feste, ai giorni e agli anni e che dalla volta del cielo i luminari rischiarino la terra”, Eloim pose in essere i due luminari, il più grande per il giorno, il più piccolo per la notte e poi le stelle. Eloim li distribuì sulla volta del cielo in modo tale da rischiarare la terra per comandare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Eloim constatò che era buona cosa. Si ebbe così un giorno ed un nuovo mattino: quarto giorno.

Nel discorso incomparabile per grandiosità nel quale Jahvé parla a Giobbe (Gb 38, lsgg.), la luce ritorna come protagonista, segno e frutto della potenza inarrivabile di Dio:

    hai mai dato tu ordine al mattino, hai mai fatto conoscere all’aurora il suo posto perché impugni le frange del mondo, ne scuota i cattivi quando tutto divenne come la rossa argilla che si tinge come un pezzo di stoffa quando ai cattivi viene ritirata la luce e il braccio che minaccia, fermato? Hai visto le porte dell’ombra? Da quale lato abita la luce e le tenebre dove risiedono, perché tu le riconduca presso di loro e tu sappia il sentiero della loro casa? 7

Arcobaleno, tra luce ed estensione

La luce si manifesta come luce raggiante, splendore, luminosità, biancore, lucore, balenio, scintillio; si diffrange nei colori. La luce, in quanto dà potere di vedere, assegna anche il potere di agire, poiché senza luce c’è soltanto incomposto movimento, non azione. Essa si manifesta attraverso entità-forme particolari come l’arcobaleno che è sostanziato di luce, ma per dir così gode già di certe caratteristiche delle cose materiali. Esso è strutturato e diviso in parti luminose diverse, è già del mondo della molteplicità, insomma. Appunto per questo l’arco celeste è un ponte tra la luce come espressione immediata, manifestazione visibile del mondo adimensionale informale e il mondo terreno fatto di materia estesa non penetrabile, non trasparente, di cose pesanti. Traccia di questa speciale realtà dell’arcobaleno sospesa tra luce e materia, è presente nel folklore: si formano diamanti e perle là dove poggia l’arco del cielo, anello di giunzione tra materia volgare e pesante e realtà celeste, secondo questo schema, che ha poi valore iniziatico:

En sof

Luce arcobaleno  perle materialità

Nella Bibbia l’arcobaleno rappresenta il ponte di salvezza: le intemperie del mondo sublunare non romperanno mai il patto di sopravvivenza che Dio vuole con l’uomo dopo il diluvio (Gn 9, 9_17): è il segno del ritorno dalla luce solo offuscata dalla tempesta, è la strada di luce solo offuscata quale Dio riversa di nuovo la sua luce sul mondo degli uomini, dopo la tempesta che ha ridato libertà sia pur limitata alle forze cieche (non per traslato, nel racconto! cieche perché non vedono, perché non contro la luce) del caos, delle acque spesse e soffocanti.

Proprio in quanto ponte tra Dio e l’uomo, l’arcobaleno simbolizza le prove della via iniziatica, quando l’iniziato si avventura a ripercorrere verso l’alto le linee di irradiazione, che si manifestano nell’arcobaleno: anche nella tradizione cabalistica è segno e via per la risalita verso Dio 8. Esso per l’uomo è un ponte stretto e pericoloso, come ogni passaggio che conduce dal greve al lieve, dalla materia ottusa e non trasparente (carente di luce) allo spirito, che non si frappone allo sguardo, ed è pertanto luminosità.

Dallo Zohar

Il cuore della Cabala è certamente il libro dello splendore, Zohar (splendore, irraggiamento) libro di segreta saggezza 9, per certi aspetti inaccessibile, che ha esercitato una immensa influenza sul pensiero ebraico e di riflesso su tutta la meditazione occidentale sui grandi problemi. “Sotto la superficie dei simboli mistici dello Zohar, i cabalisti hanno visto pulsare la vita nascosta del mondo e hanno sentito di avvicinarsi alla verità totale e profonda dell’essere” 10.

Il Libro dello splendore presenta e manifesta le idee mistiche e gnostiche della Cabala. Essa lascia da parte la filosofia intesa in senso razionalistico e realizza – senza abbandonare il richiamo costante alle fonti tradizionali bibliche, sia pure interpretate spesso in modo assai lontano dalla lettera – una visione del mondo che è madre di meraviglia, poiché anche il pensatore meno recettivo d’una cosmologia per grandi immagini, più legato ai concetti definitori e all’analisi razionale, coglie la ricchezza profonda del messaggio espresso attraverso immagini, richiami, evocazioni, colori.

E la luce inonda l’intero libro, in quanto protagonista della storia cosmica:

    All’inizio quando si manifestò la volontà del Re, egli pose alcuni segni nella sfera celeste; nel ricettacolo più segreto la scura fiamma si levò dal mistero di en sof infinito come un vapore che si forma dall’adimensionale senza forma, racchiusa nell’anello di questa sfera, né bianca né nera, né rossa, né verde, né di alcun altro colore. Quando la fiamma cominciò a prendere ampiezza produsse colori irraggianti. Dal centro più segreto della fiamma nacque una polla nascosta nel segreto di en sof, e ne uscirono colori che si diffusero su tutto quello che vi era al di sotto.

    La polla zampillò ma senza attraversare l’etere della sfera. Essa non poteva essere conosciuta prima che un punto supremo e segreto avesse fatto espandere la sua luce sotto l’azione dell’ultima frattura 11. Al di là di quel punto non si può conoscere nulla, perciò esso è chiamato “inizio”, ed è la prima delle dieci parole con le quali fu creato l’universo.

L’inizio Gn 1,1, dunque è luce incolore, vibrazione pura dell’essere, fatta di visibilità, di percepibilità che resta nascosta, finché misteriosamente non viene superata la sfera dell’en sof. La manifestazione della luce è rappresentata dalla mandorla che racchiude la persona divina e che irradia una vibrazione di raggi luminosi attorno a sé. Nella creazione ebraica, la mandorla è un punto ed è il nocciolo dell’immortalità. La luce poi prende caratteristiche particolari nella tradizione ebraica e non soltanto in quella e non soltanto nella cabala.

Il palazzo di luce

Il centro d’origine è un punto, cioè una realtà che anche secondo la geometria elementare è qui, ma non ha dimensioni. Attorno ad esso si svolgono come veli avvolgenti succedentisi, strati di luce sempre più spessa fino a concretizzarsi in materia: la luce più segreta (di una diafanità, di una delicatezza, di una purezza al di là di ogni concepibilità umana), espandendosi dal punto centrale diviene un palazzo di luce, quasi un involucro del centro. Anch’esso è traslucido ed irraggiante al di là di ogni possibilità di conoscenza. Il palazzo riveste il punto interiore inconoscibile; esso stesso è un irraggiamento ineffabile, ma ha tuttavia una sottilità e una diafanità minore del punto originale; attorno vi sono strato su strato ulteriori involucri. Ogni forma che si avvolge alla precedente è lieve, protettiva, ma più densa della precedente, stando allo strato più vicino al centro come la membrana al cervello umano; ed ogni membrana diviene come il cervello per lo strato successivo. Secondo lo stesso modello l’uomo in questo mondo associa cervello e membrana, spirito e corpo per un migliore ordine del mondo.

La luce e la storia del mondo

Nella speculazione cabalistica, non soltanto la creazione, ma tutta la dinamica storica del mondo è fatta dalla luce e dall’antiluce che sono le tenebre. È continuamente presente e attivo l’aspetto terreno della luce come l’aspetto celeste, anzi, sovraceleste. E Dio disse: “Fiat lux” (Gen 1,3). La luce originale che Dio creò è la luce dell’occhio, la luce che Dio mostrò ad Adamo, grazie alla quale fu capace di vedere il mondo da una estremità all’altra 12. La stessa luce che Dio mostrò a Davide che vedendola cantò le sue lodi “Quanto grande è la bontà che tu tieni in riserva per quelli che ti onorano” (Salmo 21,20). Questa è la luce con la quale Dio rivelò a Mosè la terra di Israele.

Alle generazioni peccaminose, quella di Enoch, quella del diluvio, quella della generazione della Torre di Babele, Dio dissimulò questa luce ed essi non potettero goderne; la dette a Mosè ma gliela ritirò quando Mosè si recò dal Faraone, gliela dette di nuovo quando andò sul monte Sinai. La luce del volto di Mosè era tale che i figli di Israele potevano avvicinarlo soltanto quando copriva il suo viso con un velo (Es 34,30).

Rabbi Isacco ha detto: “Con la creazione Dio illuminò il mondo da una estremità all’altra”. La luce poi fu ritirata perché i peccatori che sono al mondo non potessero goderne. Resta in riserva, viene serbata per i giusti come dice il salmo: “la luce è seminata per i giusti” (Salmo, 97, 11).

Questa luce sgorgò dalle tenebre percosse e squarciate dai colpi dell’inconoscibile. E proprio a partire dalla luce che fu nascosta per qualche via segreta furono formate le tenebre dei mondi inferiori dove risiede la luce. Queste tenebre sono chiamate notte del versetto “e le tenebre le chiamò notte” (Genesi, 1,5).

Il fuoco e le luci

Quando la luce prende concretezza di cosa acquista la dimensione delle cose terrene, si manifesta in fuoco e fiamma. Già la luce poteva essere pura vibrazione o esser colorata; la fiamma, ancor più della luce si diversifica. Del fuoco, Rabbi Simeone dice:

    È scritto in un versetto ‘perché il Signore tuo Dio è un fuoco divorante’ (Deut 4,4). Secondo altri sapienti, esiste una sorta di fuoco più potente di ogni altro fuoco che divora e consuma ogni altro fuoco. Così chi ha cuore di cogliere il mistero della Santa Unità di Dio, contempli la fiamma che si eleva dal carbone ardente o da una candela.

    Bisogna sempre che ci sia qualche sostanza materiale da cui si innalzi la fiamma. Nella fiamma si possono vedere due luci, una è bianca e brillante una è nera o blu. Delle due la luce bianca è la più alta e si innalza senza vacillare; al di sotto vi è una luce blu o nera sulla quale riposa la prima, come su uno zoccolo. Le due luci sono legate e indissociabili. La bianca riposa sul trono della nera. A sua volta la base nera è legata a qualche materia che è al di fuori di essa e che l’alimenta e la fa aderire alla luce bianca, al di sopra.

    Qualche volta la luce blu o nera diviene rossa ma la luce di sopra resta sempre bianca.

    La luce inferiore, nera che sia, blu o rossa, è tramite e legame tra la luce bianca al di sopra di essa e la sostanza materiale in basso. La luce inferiore per natura, è uno strumento di morte, di distruzione che consuma tutto ciò che le si avvicina, ma la luce che sta sopra non consuma né distrugge.

Con questa rappresentazione del misterioso legame e passaggio tra il mondo terreno dimensionale delle cose e la realtà suprema, la cabala da una chiave – naturalmente nel suo quadro spirituale di non facile acquisizione – per prospettare una soluzione, o per meglio dire per suggerire una lettura del problema cosmologico e cosmogonico, e di conseguenza una lettura dei rapporti tra il bene (legato all’assoluto, all’inconoscibile, alla luce) e il male legato al contingente, all’errore: due luci nella stessa candela, nello stesso fuoco, nella stessa fiamma. La luce bianca e la luce inferiore. La prima è divina, costruttiva, invariabile, non consuma né distrugge. Il Saggio commenta “ecco perché Mosè ha detto ‘il Signore tuo Dio è un fuoco divorante”, divora cioè tutto quello che è al di sotto di Lui. Ha detto il tuo Dio non il nostro Dio perché Mosè era tenuto nella luce celeste che non consuma né distrugge.

Anche la missione di Israele viene collegata a questo misterioso gioco di luci. Israele porta la luce blu a bruciare e ad aderire alla luce bianca; funge così da tramite, tra i due mondi.

Finalmente, in questa misteriosa strada delle luci colorate e poi bianca si aggiunge un’altra luce appena percettibile simbolo dell’essenza suprema 13.

La Cabala ha la sua scaturigine nell’interpretazione numerica e letterale dei simboli dell’alfabeto; essa ritrova nel nome YHVH il processo delle luci: nell’ultimo H si esprime la luce blu o nera, mentre nelle prime tre lettere è presente la luce bianca e scintillante. Talvolta l’H della luce blu diviene l’iniziale della parola che vuol dir miseria, miserabilità.

Israele, Luce blu, Luce bianca, Luce impercettibile

La sensazione, a questo punto della lettura dello Zohar, è di meraviglia incantata, di desiderio di sentirne di più, ma anche di sgomento o smarrimento intellettuale, poiché ci si rende conto della inadeguatezza, come strumento di analisi, dei termini e dei concetti della tradizione razionalistica occidentale. Le parole del saggio sembrano decadere e disperdersi col loro vorticoso gioco di luci in elucubrazioni difficilmente comprensibili, ma esercitano un richiamo alla mente, offrendo una ricchezza di senso che non permette di abbandonare il campo, quasi ci trovassimo soltanto di fronte ad una costruzione fantastica o ad un semplice gioco di esempi esplicativi.

In realtà, come è stato detto tante volte, la Cabala ha un suo linguaggio che consiste in rappresentazioni ed immagini che possono essere solo con approssimazione trasprogrammate, per così dire, nell’usuale linguaggio appreso sui banchi del liceo o comunque dai libri, legato storicamente alla filosofia del mondo greco-romano. Ma non basta. È impossibile andare al di là del significato verbale delle affermazioni cabalistiche per coglierne il senso se si pretende di interpretarle con i dati e le leggi dello sperimentalismo della scienza moderna, altrettanto inadeguato dello strumentario concettuale della filosofia aristotelica. Diciamolo in termini di cabala: se il Sole si identifica con lo spirito e la sua luce è la conoscenza diretta, mentre la conoscenza lunare è razionale e riflessa, il saggio cabalista direbbe di non limitarsi alla conoscenza diretta, mentre la conoscenza lunare, qual è certo la nostra per la sua tendenza a definire e rappresentare per quantità e forza vettoriale le cose.

La luce e il sacrificio

E le domande che si pone il saggio cabalista sono le stesse che continuiamo a porci noi razionalisti, viandanti sulla stessa strada, anche se con altri abiti mentali. Un esempio soltanto: il sacrificio, il mistero del sacrificio, perché, quale ne è il senso? La nostra logica raziocinante non dà risposta; anche nella Cabala costituisce problema cogliere il senso di questa soppressione rituale di un essere vivente. La strada alla risposta non si limita a considerazioni scientifico-naturalistiche; esso viene riportato al discorso delle luci:

    Il fumo che si eleva infiamma la luce blu che si unisce allora alla luce bianca e così la candela è tutta intera illuminata da una sola ed unica fiamma poiché è natura della luce blu di annientare quello che entra in contatto con essa in basso, il fuoco discende e consuma l’olocausto ed è questo che rivela che la Catena è completa. La lue blu aderisce in questo caso alla luce bianca divorando la carne e il sacrificio in basso. La pace regna nei mondi perché si ricostituisce la catena. Quando la luce blu ha divorato ogni cosa in basso il canto e la preghiera dei sacerdoti e di fedeli formano una catena per cui vi è una sola luce che rischiara il mondo.

Olocausto, fumo, luce blu, luce bianca. Il continuum del mondo

Insomma, il fascino che esercita lo Zohar e in genere le opere maggiori della Cabala viene da questo: nella riflessione aristotelica, tomistica e kantiana che sono fondamento metodologico prima che contenutistico della nostra cultura, e più in particolare, della nostra speculazione filosofica, i due mondi, quello della spiritualità e quello della materialità sono nettamente distintie si accetta pacificamente la dicotomia res estensa/res cogitans cartesiana quasi fosse un dogma inattaccabile.

La Cabala non crede in questa separazione e si pone alla ricercatezza attenta del legame tra pensiero e materia; tra queste due entità che vengono colte come modi diversi dell’essere, necessariamente deve esservi un ponte, una sostanza di passaggio e collegamento. Il ponte è la luce, come si è visto, luce che tra l’altro nella nostra scienza moderna ha due aspetti, energia ondulatoria e massa materiale. Sebbene io sia estremamente diffidente nei confronti di paralleli tra dati della scienza naturalistica e ricerca spirituale, è certamente soprendente questa inafferrabilità fisico-matematica della luce la quale sembra assumere nella scienza altri aspetti per così dire metafisici se è vero che nessun corpo potrebbe mai superare la velocità della luce, se è vero quindi che raggiungerla vuol dire annichilirsi, certo, questa distinzione così netta tra ciò che non si tocca e la materia comincia a sembrare meno sicura.

Idee e cose, princìpi e luce

D’altronde si ritrova in una certa tradizione collaterale, non accettata per così dire dal pensiero ufficiale, il modo di procedere intellettuale che conduce a dubitare della dicotomia del mondo. Scriveva Artaud 14, con una penetrazione del campo nebbioso di incertezza tra cose e astrazioni, che impone di riportarne il brano:

    “Vi sono veramente dei princìpi? Voglio dire dei princìpi separati e che esistono dietro le cose? O, in altri termini, gli dèi della nomenclatura pagana hanno un’esistenza meno affermata e meno valida che i princìpi di cui ci serviamo per pensare? E questa domanda ne fa sorgere un’altra: Vi sono nello spirito dell’uomo delle facoltà veramente separate?

    Ci si può del resto chiedere se un principio sia altro che una semplice facilitazione verbale; e questo riconduce alla questione di sapere se vi è qualche cosa al di fuori dello spirito che pensa, e se, nell’assoluto, dei princìpi esistano come realtà o come esseri che ripartiscono le loro energie.

    In qual misura, e per quanto in alto si risalga verso l’origine delle cose, dei princìpi, viventi come realtà separate, sfuggono a un giuoco dello spirito intorno ai princìpi? E vi sono nell’uomo stesso delle specie di facoltà-princìpi che avrebbero una esistenza distinta e potrebbero vivere separate?

    Ma se nella continuità, nella durata, nello spazio, nel cielo in alto e nell’inferno in basso, i princìpi vivono separati, essi non vivono come princìpi, ma come organismi determinati.

    L’energia creatrice è una parola, ma che rende possibili le cose eccitandole col sostegno del proprio fuoco-essenziale. E come nel mondo creato ci sono tutte le qualità della materia, tutti gli aspetti della possibilità, degli elementi che si contano per mezzo di numeri e si misurano per mezzo della loro densità, così il flusso creatore che prende fuoco a contatto con le cose – e ogni colpo di fuoco della vita sulle cose equivale a un pensiero – questo flusso negli organismi chiusi, e che vanno dalla nostra grossolanità materiale alla più improbabile sottigliezza, compone ciò che chiamiamo Esseri, e che non sono altro che dei soffi nella durata.

Le fonti del sapere

Naturalmente la cabala è lontana dalla mentalità scientifico-naturalistica anche per il richiamo costante e necessario al testo sacro, considerato fonte di scienza: oltre i testi già citati, ricordiamo che la Cabala costruisce la sua interpretazione sul buio che colpisce gli egiziani e non il popolo eletto (Es 21,23), sull’episodio della colonna di fuoco che conduce il popolo eletto fuori dell’Egitto (Es 13, 21; 14,19, 2; Salmi 78, 14) e sui brani in cui le scritture ripetutamente associano la luce con il Creatore:

    O Jahvé mio Signore hai provato di essere veramente grande; Tu ti sei avvolto nella dignità e nello splendore e la luce è il Tuo ornamento (Salmi, 14, 1-2).

    Mi apparve una figura di uomo, da quelli che parevano i suoi fianchi in su lo vedevo splendere come l’elettro, come una visione di fuoco all’interno e intorno a sé e dai fianchi verso il basso mi sembrava pure una figura di fuoco con uno splendore tutto attorno assai simile allo splendore dell’arcobaleno che appare nelle nubi in un giorno di pioggia (Ezec 1, 27, 28).

La luce del giorno (Gb 35,12,15) è la nemica dei malvagi:

    da che vivi hai tu comandato al mattino? hai tu additato all’aurora il suo posto ond’ella serri i lembi della terra e ne scacci i malvagi? si trasforma allora come la creta di un sigillo e si presenta con un vestimento ed è sottratta agli empi la loro luce e il braccio eretto è spezzato.

La luce, la luna

Nel discusso e spesso frainteso Tramonto dell’Occidente si metteva in evidenza che il senso che noi uomini del 2000 diamo ad una scultura gotica è profondamente diverso dal senso che le dava l’uomo del medio evo, nonostante che se usiamo un metro, le misure sono ovviamente le stesse per noi e per lo scalpellino medievale che si preparava a scolpire la pietra.

È lo stesso per la luce, se vogliamo. La luce per noi è necessariamente inquadrata in un mondo di scienza naturale necessariamente inquadrata in un mondo di scienza naturale per il quale deve avere delle spiegazioni galileiane, mentre nella visione cabalistica la luce ha valore come si è detto di anello di congiunzione tra il mondo senza dimensioni o informale e il mondo delle tre dimensioni.

In quel quadro di idee, è profondamente erroneo parlare di simbolismo della luce, se per simbolo si intende una sorta di appiglio analogico per spiegare un fenomeno. La luce è un segno, e attraverso il momento intuitivo, proprio dell’arte ma non ad essa esclusivo, arriviamo anche noi a cogliere il senso della luce, senso restato vivo in alcune espressioni apparentemente insignificanti del nostro parlar quotidiano.

Certo venire alla luce (per nascere) è espressione in cui luce è qualcosa di più della gelida lampada elettrica della sala parto odierna. Chi dice luce del volto, o racconta la gioia dell’uomo dicendo gli si illuminò il volto vuol esprimere certamente qualcosa di più del fascio di luce di un riflettore da teatro. Mille altre espressioni ritrovano questa luce come momento di penetrazione dello spirituale oltre la soglia della materia.In questa visione della luce, non così aliena alla nostra Gestalt spirituale, l’aspetto più ambiguo e di più difficile interpretazione è quello del buio della notte, (del quale fa parte, anche se per schiarirlo) la luce della Luna, luce sì, ma inestricabilmente connessa alle tenebre.

In questa visione si inserisce l’antica tradizione della Luna la quale nei tempi più antichi quando riappare durante il mese scatena la gioia dell’uomo, sicché nel Talmud si parla della Luna che si rinnova e si ricorda che i buoni un giorno ringiovaniranno come fa la Luna; poi la meditazione si sposta sulla deficienza della Luna nell’alternanza delle sue fasi, tanto che in una spiegazione del Talmud, si afferma che Dio ha menomato la luna che originariamente aveva la stessa luminosità del Sole. Dio proclama di sacrificargli una vittima, in espiazione del fatto che Egli ha ridotto la Luna 15.

La Luna come la Shechinah come la Luna riacquista la luminosità e poi decade di nuovo fino a uno stadio di completa oscurità, di povertà. La redenzione potri riportare la luna ad uno splendore originario. È insomma la luce della Luna quella più vicina alla luce della grande crisi del distacco di Adamo dal Creatore e dal suo giardino. La perfetta scomparsa della luna rappresenta la discesa nelle terre dell’esilio e l’esperienza dei terrori. La Luna nuova è anche il momento però in cui inizia la meditazione sul Messia, che nella visione cabalistica è evidentemente riconquista della luce:

    Da nord si eleva il vento, una scintilla scaturisce dalla forza del nord dal fuoco di Dio e colpisce sotto l’ala l’Arcangelo Gabriele e il suo grido sveglia i galli a mezzanotte. Da quel momento fino all’alba il pio si dedica allo studio della Torah.

Ed è l’ora della Luna, la mezzanotte, contrapposta al mezzogiorno, quella in cui si svolge una veglia praticata dal circolo dei cabalisti dello Zohar 16: a mezzanotte Dio entra in paradiso per andare a passeggio con i giusti, a mezzanotte si svolge un dialogo, che giunge fino all’unione mistica, tra Dio e la Shekinah.

Il riflesso di luce

Nello Zohar il processo della creazione corre dall’assoluto purezza immateriale alla progressiva materializzazione del mondo. Nella dottrina lurianica, in ogni livello della emanazione si ritrova non soltanto la luce diretta, la luce che proviene dal centro luminoso dell’en sof, ma anche la luce diretta, la luce che proviene dal centro luminoso dell’en sof, ma anche la luce che proviene dal centro luminoso dell’en sof, ma anche la luce riflessa in direzione opposta, la luce riflessa dunque risale, per così dire lungo la catena della emanazione, cioè tende a ritornare all’originale sorgente. In ogni sefirah esiste quindi un doppio corso della luce. Se il raggio viene filtrato verso il basso, dal basso però viene un riflesso verso l’alto. La struttura globale del mondo dell’emanazione come di ciascuna parte di esso dunque è costituita dalla simultanea attività della luce diretta e della luce riflessa.

La ritrazione consiste nel fatto che prima ancora di porre in essere l’universo da sé stesso attraverso l’emanazione di luce, il creatore compie un ritrarsi da sé stesso in sé stesso e si crea quindi uno spazio vuoto. Questo spazio vuoto (infinitesimale per en sof) è invece l’immensità tridimensionale nella quale si realizza l’intero en sof, nel sistema lurianico diviene un punto di vuoto; l’idea della ritrazione e della luce riflessa, aspetto uguale e contrario alla luce primordiale, fa parte dell’essenza divina. Forze, luci ed attributi destinati ad esser resi manifesti più tardi (includendo anche le forze di risposta, di pietà e di giudizio) erano già presenti in uno stato indifferenziato di realtà indistinta all’interno di en sof, ove pietà e giudizio sono naturalmente soltanto le radici nascoste e potenziali delle forze corrispondenti che divengono manifeste ed esistenti nel mondo: “la radice del divino giudizio non era riconoscibile come tale, era dissolta nell’abisso infinito dell’essenza divina come un grano di sale nell’oceano”.

Come il popolo va in esilio, così en sof si ritrae; nello spazio vuoto lasciato dalla sua luce creatrice, che illumina lo spazio primordiale della creazione e agisce sulla residua che mette in movimento il processo cosmico secondo la struttura ordinata delle dieci Sefiroth.

La dottrina della ritrazione è basata – come scrive Scholem – su un’asserzione semplice, crudamente naturalistica: come è possibile per il mondo esistere se l’en sof, la divinità infinita l’occupa tutto quanto? Se la luce di en sof si trova in ogni dove, quale spazio resta? Evidentemente Dio, nel proiettarsi al di fuori riduce, ritrae la propria nascosta essenza. Il processo di ritrazione e di emanazione è l’ultima realtà della creazione. I due princìpi, le due forze, agiscono e reagiscono per cui si può in qualche modo pensare ad una sorta di ritmico respiro del Dio vivente attraverso appunto il chiudersi e l’aprirsi, il ritrarsi e l’emanare.

La suprema manifestazione prodotta dal primo raggio di luce, cioè dalla linea diretta che penetra nello spazio primordiale è l’uomo primordiale Adam Kadmon. Da questo essere che non è niente altro che il modo di esistenza delle luci naturali dello spazio primordiale si formano varie luci con un processo che è descritto in termini simbolici come spezzare i vasi o morte di re.

Per cogliere il senso di questi termini è necessario far presente che il vaso è il contenitore usato dall’artigiano e quindi le Sefiroth sono vasi contenitori, nel senso che sono gli strumenti usati da Dio emanante nel processo della creazione 17.

Luce attiva e luce resistente

Elaborata da Natan di Gaza che riprende la dottrina lurianica dello zimzum insistendo su alcuni aspetti della luce. All’inizio in en sof vi sono due specie di luci o aspetti che possono essere chiamati attributi in senso spinoziano. La luce pensante e la luce non pensante. La prima è diretta, è focalizzata allo scopo della creazione, ma nella infinita ricchezza dello en sof – scrive Scholem – ci sono forze o princìpi che non sono diretti alla creazione e il cui unico scopo è sapere che cosa essi sono e restare dove sono.

Questa è la luce non pensante che è estranea al processo creativo.

Quando per la formazione del processo di nascita dell’universo distinto da Dio, la luce pensante si ritrae per lasciar spazio alla creazione stessa, alle altre essenze, la luce non pensante che rimane nell’assoluto totale perché non ha preso parte alla dinamica creativa, resiste per così dire, si oppone, fa da inerzia nei confronti del trattamento negativo e allora attraverso un paradossale meccanismo essa diviene ostile e distruttiva quindi il potere del male è in definitiva fondato e non radicato nella luce non creativa di Dio. La dualità della forma e della materia prende dunque un nuovo aspetto, ambedue sono fondate in Dio. La luce non pensante non è male in sé stessa ma prende questo aspetto perché si oppone all’esistenza di ogni cosa che non sia en sof e pertanto è posta, si pone a distruggere strutture prodotte dalla luce pensante. Così l’infinità riempita con la luce non pensante, mescolata con qualche residuo della luce pensante restata dopo zimzum è chiamata Golem, la materia primordiale senza forma. L’intero processo della creazione procede pertanto dalla dialettica di due luci, in altre parole attraverso la dialettica praticata nel vero en sof.

Così la luce senza pensiero costruisce strutture di sua propria natura, il mondo demonico il cui solo intento è di distruggere che cosa la luce pensante ha prodotto. Queste forze sono chiamate i serpenti che si svolgono e si avvolgono nel grandi abisso. I poteri satanici chiamati nel Zohar sitra ara, ‘altra parte’ non sono niente altro che l’altra luce dell’en sof.

Dunque anche la dottrina così elaborata di Sabatay Zevi evidenzia il grande problema della sussistenza del male, ma per la prima volta esso viene visto come una parte di Dio cioè la parte che si oppone alla creazione non quindi come un principio creato, come accade nel cattolicesimo e nel cristianesimo in genere, non quindi come nella gnosi dualistica nella quale ha capacità di Dio anche il male e soltanto al di là dei due poteri si pone la abraxas inconoscibile che in quanto è il tutto non può non comprendere ogni forza.

Dunque la resistenza della luce senza pensiero alla attualizzazione della luce che contiene pensiero deriva dal fatto che l’unico impulso della luce senza pensiero è quella che niente esista all’infuori di en sof. Ad ogni stadio della creazione si rinnova la lotta tra le due luci.

Per la dottrina della contrazione nel pensiero lurianico “egli contrasse la sua luce quasi come un pugno in concordanza con le sue proprie misure e il mondo era lasciato nel buio e in quelle tenebre egli innalzò rocce e acque scure. In altri termini la creazione non viene intesa come concentrazione di un potere di Dio in un luogo, ma come ritrazione da un luogo. Il luogo dove egli si ritira è puramente un punto a paragone della sua infinità ma comprende dal nostro punto di vista ogni livello di esistenza sia spirituale sia corporeo. Questo punto è lo spazio primordiale chiamato tehiru 18.

Ma il punto dal quale Dio si è ritratto ha in sé un residuo per così dire di luce che è come la goccia d’olio che resta nella bottiglia quando essa è vuota e la hyle la materia prima su cui si svolge la creazione è proprio questa, rescimu, questo residuo del fondo della bottiglia.

Per la dottrina più comune 19, viene lasciato uno spazio libero e questo spazio libero è riempito da un raggio di luce dell’en sof; là, per forza naturale si crea l’Adamo che precede tutta la creazione. Lo sviluppo avviene in forma di circoli concentrici e questa luce è lo stesso en sof o è una sostanza diversa. I cabalisti distinguono le loro posizioni, ma su ciò rinviamo alle analisi storiche della cavala, limitandoci a dire che dall’Adam Kadmon creatosi si proiettano luci, alcune onnidirezionali, sfericamente irraggiantisi, altre che procedono linearmente, come raggi unidirezionali; queste si concretizzano poi nella forma delle lettere. Si collegano così due aspetti tipici della speculazione cabalistica, quello relativo ai segni alfabetici e numerici con quello della luce.

Le Sefiroth

I cabalisti pongono dieci forze operative, Sefiroth, di natura divina emanate (ma il termine è già troppo definitorio); l’energia di ciascuna delle Sefiroth si rivolge verso l’alto attraverso la pietas cabalistica positiva e verso il basso per la forza negativa del peccato. Questa è la linea di fondo della dottrina segreta.

Per denominare e descrivere le Sefiroth vengono utilizzati i termini allegorico simbolici, biblici e della tradizione rabbinica. L’intera Bibbia ebraica non è più studiata come narrazione storica, bensì viene interpretata – decifrata, se così si può dire – come velata esposizione del processo dinamico delle Sefiroth. I simboli delle Sefiroth sono numerosi e variati nella Cabala classica che poi si ricollega al libro dello splendore.

Nel mondo, che è immagine somigliante a Dio, le Sefiroth costituiscono una costellazione che ripercorre la forma umana 20. Al di sotto v’è il mondo degli esseri singoli, il mondo degli angeli e degli spiriti, poi il piano dell’essere materiale. Il processo della emanazione conduce dunque dall’unità al molteplice. Il senso e lo scopo della meditazione e della prassi cabalistica è appunto la risalita fino all’unità ripercorrendo i gradi della emanazione.

L’attesa messianica

Nella Cabala, nel tardo medio evo e dell’evo moderno l’attesa messianica prende sempre più spazio e l’uomo spera che la fine della storia possa essere in qualche modo sollecitata se non provocata dall’uomo con le grandi operazioni cabalistiche. Da questo orientamento operativo, si svolge in alcuni circoli una volgarizzazione semplificativa; dalla dottrina segreta nasce una nuova generale teologia ebraica, talvolta con aspetti superstiziosi e/o di magia operativa 21, la cosiddetta Cabala pratica.

I cabalisti come Luria e i suoi discepoli esercitano un notevole influsso in questo senso. Il tema dell’origine del male, del destino dell’anima, specialmente il problema del Messia, luce che si espone alle tenebre, è al centro degli interessi. Dopo il movimento messianico forte e tragico dei Sabatiani del 1600, lo studio della Cabala ritorna ad essere compito di circoli ristretti, anche se gli eventi storici vengono spesso interpretati da molti credenti sulle tracce dei principi cabalistici 22.

Luce di paradiso, luce di cabala

Non prendo posizione in questa sede, per non perdere il filo del discorso, sui problemi dei rapporti tra la speculazione cabalistica e le concezioni di Dante, che hanno fatto versare fiumi di inchiostro per l’eventuale iniziazione di Dante alla setta d’amore; certo il modo in cui Dante presenta la parte alta del cielo dove v’è sublime contatto tra Dio e la realtà del paradiso (che non è fuori del mondo, bensì fa parte di un continuum fino all’altro polo, quello satanico), è quanto meno di una analogia impressionante con la visione dell’en sof e del mondo che intorno all’en sof si raccoglie. Resta naturalmente la distinzione di fondo per la quale Dante si preoccupa costantemente di parlare di creazione esterna, di distinzione netta, di distanza infinita tra creato e creatore, mentre questa distinzione non è così chiaramente proclamata nel pensiero della Cabala, poiché le creature sono scalarmente meno divine, per dir così, quindi non sono sentite così diverse da Dio, tanto che si arriva, come s’è detto, nella Cabala Lurianica, a vedere un movimento di ritrazione dell’assoluto per lasciar spazio alla sua creatura, in un eterno respiro del cosmo Dio/universo.

Nel canto XXVIII del Paradiso, Dante vede “un punto quindi che irraggiava lume acuto / sì che il viso che egli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume”. Intorno a questo punto che irradia luce così potente che l’occhio si abbaglia e deve chiudersi a causa della intensità, intorno a questo punto che non ha dimensioni, si avviluppa un alone che è un cerchio di fuoco che gira con velocità immensa e poi successivamente si presentano i diversi cerchi angelici che in qualche modo sono sempre più – se si vuole – materiali tanto che aumenta la loro grandezza e diminuisce la loro velocità e luminosità. La struttura cosmologica, come si vede, ha parecchi punti di consonanza con quella dell’alta Cabala 23.

Di solito, invero, si pone l’accento sulla organizzazione geometrica di questo mondo dantesco. Sembra particolarmente significativo, invece, questa proiezione della luce dal punto luminoso di Dio, senza dimensione, alle diverse forme di realtà.

E l’accostarsi di Dante a Dio è ripercorrere verso l’alto la strada delle Sefirot, se si accoglie l’analogia cabalistica. Nel canto XXX del Paradiso, alla soglia dell’empireo nell’incerta attesa “immersi nel silenzio più profondo e in una luce che ha il carattere indefinito di quella del cielo prima dell’alba”, Beatrice annuncia che Dante è uscito dal primo grande cielo per entrare nell’empireo che è pura luce, l’occhio viene dapprima abbacinato, poi acquista forza visiva incommensurabilmente superiore, per cogliere Dio 24.

Nella visione dantesca, il passaggio tra il creatore ed il creato, quindi (in terminicabalistici) il contatto tra l’en sof e ciò che è al di fuori avviene attraverso il fulgore, fulgore che non è puramente intellettuale ma è di partecipazione, tanto che viene definito come amore, come compresenza.

Dante con una nuova ‘luce degli occhi’ vede il mondo come lume “in forma di rivera / fluvido di fulgore infra due rive / dipinte di mirabil primavera”. È inutile certo ripercorrere le dottissime disquisizioni teologiche che si sono svolte attorno a questi punti.

    Lume è lassù che visibile fece

    lo creatore a quella creatura

    che solo in lui vedere ha la sua pace.

    e si distende in circular figura

    in tanto che la sua circonferenza

    sarebbe al sol troppo larga cintura.

    Fassi di raggio tutta sua potenza

    riflesso al sommo del mobile primo

    che prende quindi vivere e potenza.

Una visione, quella dantesca, della gerarchia degli esseri, dal punto sublime adimensionale tutto-luce, agli astri sublimi, alla umanità anelante al cielo, al mondo organico sottoposto a ferree leggi, alla bruta materia disorganizzata, lontana dal punto centrale, tenebrosa. Così questi versi difficili e apparentemente lambiccati a prima lettura, diventano di chiaro significato una volta che si tenga presente la dottrina cabalistica: luce come sostanza e come energia trasmettitrice del potere, della verità, della vita.

Il senso odierno della cabala

Ma qual è il senso di quel ‘modo di pensiero’ (così definirei la cabala; infatti metodo è un modo che richiede una procedura prestabilita, atteggiamento è troppo poco determinato in senso finalistico conoscitivo) per il nostro Zeitgeist che dà forma all’attuale figura di mondo?

“Il nostro mondo, scriveva Sergio Quinzio 25, è ormai radicalmente secolarizzato, carico di tecnica, di nichilismo e quindi assolutamente disincantato”. Quanto scrive non vale per il mondo spirituale percorso da forze non soltanto geometriche e secolari, ma è vero per la nostra scienza, che addirittura si va disumanizzando (staccandosi dall’uomo, in senso proprio, non solo inaridendosi!) visto che la ricerca sfugge sempre più all’essere umano per essere praticamente portata avanti dai computer.

Quale che sia l’estensione del fenomeno, vi è una alternativa a questo totale disincanto, che teniamo per vero perché efficace fondamento d’una scienza potente ed operativa qual è l’attuale, ma paradossalmente vissuto come menzogna perché assolutamente non appagante?

Una delle possibili alternative è certamente quella del reincanto, quello della rilettura in chiave di forze affascinanti (direi: di magia) dell’immenso universo; è la strada che viene seguita dalle mitologie dei nuovi gruppi religiosi, sorgano essi fuori o all’interno delle grandi religioni.

Il pensiero mitico

Ma forse vi è una terza strada tra il pensiero disincantato e la visione magica del mondo. La terza strada – seguo ancora Quinzio che si ispira a Givone – la terza strada è il pensiero tragico, il pensiero mitico nel quale sussistono conflitti e contraddizioni. “In tale pensiero incanto e disincanto, tecnica e poesia, identità e differenza, finito ed infinito, vengono pensati insieme. In realtà è la grande strada imboccata da Hölderlin e da altri autori che hanno sentito questa tragicità del pensiero; se la verità implica il suo contrario, se può convivere il momento dell’incanto col momento del nichilismo e della tecnica secolarizzata, resta la gioia dell’osservazione che è nel fondo anche di ogni tragedia”.

Sotto questo profilo, riprende senso la via della Cabala come visione della luce che si diffonde nel cosmo che anzi costituisce il cosmo, in qualche modo restringendo addirittura il posto di Dio; non si tratta di ridurre col godimento estetico l’ansia, essenziale all’uomo, d’osservare, di sapere; piuttosto, a questo nostro tragico pensiero nel quale convive la nostalgia del mondo incantato, la tecnica e il nichilismo, la cabala può dare l’intuizione meravigliosa dell’armonia del cosmo, ritrovare il cantuccio lasciatoci da Dio nel suo ritrarsi, che nulla gli toglie (ritrarsi di un punto adimensionale, non riduce lo spazio di Dio), ma dona a noi un espandibile universo.

La Cabala e il suo fiorire di luci presenta un mondo – l’espressione è di H. Corbin in il paradosso del monoteismo – che può essere indicato come mondo immaginale. In qualche modo, riassume Quinzio, “tra il mondo della percezione sensibile e il mondo astratto dell’intelletto c’è l’intermondo dell’immagine, luogo dove i corpi si spiritualizzano e gli spiriti prendono corpo, luogo del realismo visionario della manifestazione teofanica”.

Soltanto quando ci si rende conto dell’esistenza degli angeli, cioè l’esistenza delle gerarchie divine, se vogliamo, delle Sefiroth, si ritrova la controparte celeste dell’uomo, quella archetipica angelica.

Devo confessare che Corbin per me esplicita una sensazione che ho sempre provato nel pensare ai massimi problemi: il monoteismo esoterico (chiamiamolo filosofico, per approssimazione; forse razionalistico?) è in qualche modo ancora idolatrico in quanto vuole afferrare Dio e la sua forza (che anzi, propriamente non è ancora forza e luce, è pre-forza e pre-luce: ha/è in sé forza e luce), vuole com-prendere l’assoluto trascendente e inconoscibile, come se fosse un oggetto osservabile ed apprensibile. Sotto questa prospettiva non appare così paradossale e assurda la tesi della necessità degli angeli, sostenuta dal Corbin nel suo paradosso 26.

In altri termini, si può ritrovare attraverso la luce della Cabala, quella natura che oggi è soltanto un oggetto di preoccupazione per gli esiti catastrofici che minacciano la vita, ridotta dunque a strumento tecnico della nostra salute, vagheggiata come un ambiente ‘pulito’ in cui abitare comodamente e senza pericoli.

Forse dobbiamo ritrovare, attraverso la via della tenebra e della luce, quel senso “di tremebonda venerazione, di sacra paura di fronte al maestoso, insondabile mistero della potenza soverchiante della natura, in cui vita e morte, ordine e sopraffazione si alternano e si mescolano senza fine”.

Ma non è più possibile, secondo Quinzio, raggiungere questa meta. Io credo invece che la battaglia contro la disperazione tecnica, la disperazione nichilistica che ci sovrasta, possa avvenire in questa fine di millennio proprio con l’arma della contemplazione – contemplazione critica, consapevole dello stridore con gli assiomi della nostra scienza/tecnica potentissima – della luce della Cabala che in questo mondo fatto soltanto di forze insensatamente operanti, cieche e solo causalistiche, ci racconta di un Dio che ritira un poco il suo luogo, per lasciare un angolo dell’immensità anche all’uomo, all’interno dell’assoluto en sof. E quest’angolo, Egli inonda di luce, di stelle, d’arcobaleni.

Beninteso, lettore che mi hai seguito lungo la strada del pensiero tragico o mitico, non parlo di ingenua fede, così difficile per il nostro Zeitgeist critico (il grande Pan è morto, e non soltanto il grande Pan), ma di un impegno esistenziale. Mi accontento di fronte al mistero, di un commitment guardingo, fondato sulla certezza che il raggio di luce non ha soltanto fotoni e vibrazioni, ma è anche lume degli occhi. Questo, la fisica quantistica non può togliercelo, né può toglierci gli arcobaleni, le stelle, i luminari del cielo 27.

Note

    Benoist K., Signes, symboles et mytes, Parigi 1978: La luce è dunque energia: nelle credenze del sufismo il cuore dell’uomo è come una lanterna di vetro nel quale si trova la sua coscienza più segreta sotto forma di una lampada accesa dalla luce dello spirito. Per un dotto esame biblico e storico-teologico dal punto di vista cattolico, vedi J. Ratzinger, Licht, in Handbuch theologischer Grundbegriffe, Monaco 1970.

    Widengren G., Il manicheismo, Milano 1964.

    Rinvio a Raffaello Del Re, in E. Zeller e R. Mondolfo, La filosofia dei Greci, Firenze 1979.

    Shubert K., The dead sea community, Londra 1960.

    La Cabala – propriamente ricezione, tradizione – espressione originale del pensiero, designa un orientamento speculativo che si sviluppa nella cultura ebraica del sud della Francia, della Spagna del nord, dal tardo XIII secolo.

    Essa si fonda su una visione del mondo che in prima approssimazione può essere definita neoplatonica ma che comunque viene sviluppata con riferimento costante alle fonti tradizionali, la Bibbia, il Talmud e la Midrach; la ricerca cabalistica vuole rispondere alla domanda ultima, quella che chiede di spiegare, di mostrare ed anche di giustificare il rapporto tra la realtà assoluta trascendente (en sof) e il mondo che ci circonda contingente e pieno di difetti.

    Mi limito a richiamare l’opera di Sholem G., Kabbalah, New York 1988, con riferimenti alla amplissima letteratura.

    l Vangelo giovanneo viene letto spesso in termini assai vicini a quelli della cabala; v’è naturalmente da intendersi, poiché negli autori cristiani si tratta la luce come simbolo più che come segno, come immagine non come realtà. Resta l’obiettivo fatto che Giovanni vede la storia cosmica come lotta tra luce e tenebre. “La vera luce è una energia increata vivente che ritma i giorni della nuova genesi, Dio è luce (Gv 1, 5-7); Essa si irradia per l’azione di Gesù, come l’energia-luce si irradia nel mondo materiale per mezzo dei grandi luminari (J. Goettmann, Saint Jean, évangile de la nouvelle Genèse, Parigi 1982).

    P. Teilhard De Chardin, La messe sur le monde, scrive: “siamo dominati dall’illusione tenace che il fuoco sorge dalla profondità della terra… si deve rovesciare la visione… All’inizio non c’era il freddo e le tenebre, c’era il fuoco, spirito bruciante, fuoco fondamentale e personale, è la luce preesistente che pazientemente ed infallibilmente elimina le nostre ombre”.

    Cfr. Bottero J., Naissance de Dieu, Parigi 1986; Nordio M., (a cura di), La genesi, Milano 1977.

    Benoist, Signes, cit., 58. Budda si manifesta nel mondo degli uomini discendono i sette gradini, i sette colori, dell’arcobaleno.

    In Zohar, The book of splendor, New York 1990, una scelta curata da G. Sholem.

    A. e K. Toaff, Il libro dello splendore (scelta, con introd.), Pordenone 1994.

    Questo punto primordiale è stato spesso riportato all’atomo di massa nulla e di energia infinita del big-bang, che la scienza fisico-matematica pone all’inizio temporale del mondo. Nonostante il fascino di questi parallelismi, mi attengo al principio che si tratta di espressioni che hanno unità di misura tra loro incommen- surabili. Potrei aggiungere che le teorie scientifiche cambiano per adattarsi alle nuove scoperte, le immagini come questa della luce segreta sono immutabili nella loro capacità evocativa.

    In un discorso di Gesù (Mt 6, 22-23) si segue la tradizione (presente anche in altri passi del Vangelo) della luce. “L’occhio è lume del corpo, se dunque l’occhio tuo è sano tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma se l’occhio tuo è guasto tutta la tua persona sarà illuminato, ma se l’occhio tuo è guasto tutta la tua persona sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che in te è tenebre, quanto grandi saranno queste tenebre?” In tale brano no solo si richiama la dicotomia tenebre-luce, ma si considera ovvio un modo di intendere la luce cui la cabala darà grande rilievo operativo: l’occhio non è solo recettore passivo ma è esso stesso lume per la persona, è un anello della lunga catena che dalla spiritualità dell’en sof conduce allo spessore materiale delle tenebre fitte.

    La scienza naturalistica è partita dalla stessa osservazione della fiamma, che effettivamente si divide in parti diverse, più o meno calde, più o meno vivide di luce. Naturalmente queste parti della fiamma sono determinate dalla percentuale d’ossigeno, dai moti convettori, etc., basta accendere un becco Bunsen e variare il rapporto conbustibile / comburente per rendersene conto. Le risposte di chi non si limita ad osservare la fiamma soltanto come addensamento di particelle in combustione sono due: la fiamma è soltanto una immagine analogica, che permette di comprendere per somiglianza il processo spirituale; questa è la risposta spiritualistica, per la quale la fiamma è un esempio come un altro. Per la cabala, la spiegazione scientifico – naturalistica è una descrizione, una definizione; la realtà della fiamma è quella del ponte tra adimensionale e dimensionale.

    Artaud A., Eliogabalo, l’anarchico incoronato, Milano 1977.

    Scholem, Kab, 186 sgg. Quando la Luna era collegata al Sole, essa era luminosa di luce propria. Quando si separò dall’astro del giorno, l’impero delle sue proprie regioni, il suo rango nella scala degli esseri divenne inferiore e così pure la sua luce.

    Scholem, Kab, 187.

    Il sabatianismo, sconvolgente e tragico movimento messianico che al di là degli esiti storici arricchì d’un fermento di idee la religiosità mistica (G. Scholem, Sabatai Sovi, il messia mistico, Princeton 1989) si fonda sull’idea della ritrazione e ristorazione, della cabala Iurianica: il messia riconduce lungo il sentiero di luce alla realtà suprema. L’abiura di Sabbatai per taluni discepoli rientra in questo flusso e riflusso di luci dirette e riflesse.

    Scholem, Kab, 129.

    Scholem, Kab, 231.

    I Sefirah, corona è la suprema manifestazione della divinità trascendente, è volontà e pensiero di Dio, II Sefirah è la saggezza divina, la ancora indifferenziata idea della Torah, III sinistra è la intuizione, meglio dire penetrazione, nelle idee dei segni numerici e letterali; essa ha già una nota di concretezza, poiché manifesta l’essere nei simboli alfabetici, La triade dei più alti Sefiroth costituisce una unità in sé. Le sottostanti sette Sefiroth si suddividono sotto questa triade in una colonna destra, sinistra e media. IV destra Abramo, assoluta Grazia, V sinistra Isacco la assoluta forza; Vi Giacobbe la Torah scritta, la VII di destra e l’VIII di sinistra hanno minor portata, IX e X si trovano di nuovo sulla colonna del centro, XI è la legittimità, cioè la colonna del mondo, il princìpio maschile, mentre X, signoria regale, rappresenta la comunità di Israele, la Torah centrale, il princìpio femminile.

    Per la cabala numerologica, rinvio a M. C. Del Re, La divination informatique, Parigi 1994.

    Per la comprensione del movimento che sembra abbia ritrovato forza e significato nella teologia della terra promessa di alcuni gruppi israeliani, rinvio ancora, in prima istanza, alla ricerca di Scholem, 1897-1992, ricca di informazioni e sensibile al messaggio della linea di pensiero cabalistica. È restaurazione della base della fiamma che porta all’ineffabile luminosità, o è soltanto un aggregato politico? Ma non questo il tema che ci siamo proposti.

    Richiamo soltanto le classiche ricerche di Gabriele Rossetti, La Beatrice di Dante, Roma 1988, riedita dalla Atanòr, che meritoriamente ripubblica classici altrimenti introvabili; L. Valli, Dante e i fedeli d’amore, Roma 1928.

    Ricominciò: Noi siamo usciti fore

    del maggior corpo al ciel che è pura luce,

    luce intellettual piena d’amore.

    Come subito lampo che discetti

    gli spiriti visivi sicché priva

    dall’atto l’occhio dei più forti obietti,

    così ne circonfulse luce viva

    e lasciommi fasciato di tal velo

    nel suo fulgor che nulla m’appariva.

    Sempre l’amor che queta questo cielo

    accoglie in sé con siffatta salute

    per far disposto a sua fiamma il candelo.

    In Radici ebraiche del moderno, Milano 1990, p. 178.

    Quinzio, Radici, 164.

    “Immaginosamente, la luce gnostica, la coscienza dei sensi, è ben altra cosa dalla combinazione di fotoni, dalla luce fisica. La luce gnostica è una illuminazione per partecipazione al senso. I fotoni apportano la luce soltanto ad un essere illuminato o illuminabile dalla partecipazione al senso e alla propria memoria del senso. I fotoni non hanno in loro stessi niente di luminoso, lo spazio se non coltooda occhi viventi è altrettanto buio del centro della terra, anche se è pieno di informazioni in ciascun angolo… Qui dovrei aprire il discorso sulla scienza neo-gnostica, per la quale, almeno per ora, rinvio a R. Ruyer, La gnosis de Princeton, Parigi 1974, dal significativo sottotitolo, des savants à la recherche d’une religion. Anche nella tradizione cattolica e ortodossa troviamo però interpretazioni assai vicine allo spirito, mi sembra, della luce cabalistica, salva l’idea del Cristo come persona. Commentando il passo giovanneo Egli è la vera luce, che illumina ogni uomo, venendo nel mondo, versetto che per la sesta ed ultima volta usa iltermine ‘luce’ (“secondo un procedimento giovanneo, il sesto e ultimo uso d’una parola essenziale designa il Cristo nell’attività che dà il suo senso all’insieme del testo), J. Goettman, cit., scrive “figlio del padre delle luci, luce di luce, il verbo è fonte e legge di tutte le altre luci, Egli luce increata, luce autentica… La luce, che era nel mondo creato da essa, viene nel mondo presso i suoi, quindi 1 – la luce fisica fotonica è materia, 2 – la luce di vita che ci permetta di vederla è l’intelligenza, 3 – la luce del verbo incarnato è quella reale, che sconfigge le tenebre.

Zenit Indice

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA SIGLA MALATESTIANA

LA SIGLA MALATESTIANA



Particolare interesse ha sempre suscitato la sigla, composta da una S e una I intrecciate, scolpita su stemmi, frontoni, pilastri, tombe del Tempio come un sigillo onnipresente.
Pietrificata, suscita un sentimento il cui significato, di volta in volta, si tenta e si è tentato di spiegare.



Secondo gli accusatori e i romantici le due lettere intrecciate significano Sigismondo e Isotta insieme. Tra i primi, contemporanei di Sigismondo, naturalmente lo stesso Pio II, che lo scomunicò e che dichiarò che il monumento “non sembra un Tempio di Cristo, bensì di fedeli adoratori di demonio“. Tra gli altri prendiamo a campione il romantico Gabriele D’Annunzio, che, tra parentesi, era martinista, secondo il quale la S iniziale del nome di Sigismondo attanaglia nella stretta ferrea la filiforme fragilità della I del nome di Isotta. Ma, secondo altri, forti di ricerche storiche, il monogramma era usato da Sigismondo come firma abbreviata, fin dalla sua giovinezza, già prima quindi che egli fosse preso d’amore per Isotta degli Atti. Era infatti usanza fra i principi di quel tempo adoperare per il loro monogramma le prima due lettere del loro nome: troviamo KA per Carlo Malatesta, NO per Novello, fratello di Sigismondo , FE per Federico di Urbino.
Peccato che le ricerche storiche siano solo riuscite a dimostrare che Sigismondo ha cominciato ad usarla solo nell’anno nel quale ha certamente conosciuto Isotta. E ciò la dice lunga sulla serietà degli storici. Ne vale a dimostrarla un passo di Gaspare Broglio. D’altro canto si sarà giocato anche sull’ambivalenza e sull’ambiguità che il monogramma non rappresenta solo la firma abbreviata con le prime due lettere di Sigismondo, ma anche quella di Isotta. Come bene sintetizzava Luigi Tonini, oltre un secolo fa, è “la ripetuta Sigla Si, indicante SIgismondo, ovvero ISotta, o Sigismondo e Isotta insieme.“. In conclusione nulla ci vieta di pensare che Sigismondo sia stato contento in cuor suo della coincidenza che gli consentiva d’incorporare l’iniziale della sua donna nel Tempio e che fra i due amanti si giocasse su questa allusione. Ma giocavano sicuramente su un altro piano…. Tarocchi, iniziazione, cappella dei pianeti, Macrobio…la filosofia e teogonia e cosmologia di Pletone… Roberto Valturio, amico e consigliere di Sigismondo, in un famoso passo del De Re Militari aveva alluso a “simboli tratti dai più occulti penetrali della filosofia e altrettanto atti ad attrarre fortemente i dotti quanto a permanere nascosti al volgo“.



Alle medesime lettere S e I, altrove, Guénon dà il significato di due simboli connessi: il serpente e l’albero o il bastone attorno al quale esso vi si arrotola e che è rappresentato da un asse verticale; di esso si trova un altro esempio nel sigillo di Cagliostro, rappresentato da un serpente e una freccia. E Guénon aggiunge: “…essenzialmente la lettera S rappresenta la molteplicità e la lettera I l’unità, ed è evidente che la loro corrispondenza rispettiva col serpente e con l’albero assiale concorda perfettamente con questo significato; è completamente esatto che in tutto questo vi è qualcosa che deriva da un esoterismo profondo…“.



Altrettanto singolare è il fatto che Dante, nella Divina Commedia (Paradiso, XXVI, 133-134), faccia dire ad Adamo che il primo nome di Dio fu I (il che corrisponde alla “circolarità” e “primordialità” del simbolismo).



Un punto che permette un accostamento particolarmente significativo tra la tradizione iniziatica occidentale, rappresentata dal Tempio, e la tradizione estremo-orientale, è la palese corrispondenza del monogramma a due noti simboli taoisti. Il monogramma ha infatti strettissime attinenze con l’yin e yang, altrettanto complementari ed inseparabili, e corrispondenti rispettivamente alle lettere S e I, e ancora nell’I Ching , le due determinazioni dei trigrammi e degli esagrammi, la linea spezzata e la linea intera. E ancora la I in cinese significa “unità”.



Sigismondo “et amava perdutamente Ixotta degli Atti“, come dice Ezra Pound nei Cantos malatestiani. Indicava Pletone che tra i doni che gli dei diedero al nostro corpo sia per servire la nostra parte immortale e dominante, sia per approfittare del suo aiuto, sia per assaporare certi piaceri che ci sono propri…istituirono quest’unione dei due sessi, così seducente e piacevole. Quando la verga di Sigismondo faceva dio nel ventre della sua Venere ed Ixotta godeva del suo Marte di ritorno dalle guerre, archetipicamente, il Signore e la Signora di Rimini avranno associato i loro movimenti col ritmo delle onde, gli odori salmastri con l’odore del sesso. HUDOR ET PAX. Ai ritmi potenti conseguono gli umori, la spuma di Venere, la pace, la beatitudine. Se ne troverà l’illustrazione nella formella denominata “gli influssi della luna”: come Venere, anche Sigismondo approda infine alla riva di un’isola beata.



Se intuiamo una conoscenza inconscia dell’ipostasi della nostra genesi acquatica, è nell’unione dei due sessi che la cogliamo: La luce penetra nella grotta. Io! Io! Con questa acutezza Pound vide, similmente a Porfirio nell’antro delle ninfe, la necessità della illuminazione nel coito, quel raro momento di natura regia e di numeri d’oro. Già Platone aveva insegnato che “tutto quest’ordine, l’Artefice taglio per il lungo, facendone di uno due, una metà sopra l’altra, e il loro centro congiunse in forma della lettera X“. Questa meraviglia è presente nell’etimologia della parola sesso, sezionato. Altro guadagno si raggiunse nel Rinascimento con la felice espressione “copula mundi“. Pound l’accenna: “Eleusis è molto ellittica“. Cosicché il coito non è e non dev’esser altro che il rito, la ierogamia, o meglio la reminiscenza dell’estasi da cui l’Uno si fece Due. Così dunque – insegna una tradizione esoterica- l’uomo è virile per i genitali e la parola, ma passivo per il cervello, mentre la donna aperta alla fecondazione fisica e animica, è, a sua volta, fecondatrice nello spirituale. Perciò il coito congiungendo i poli opposti dei suoi membri chiude le sue sedi genitale e boccale per la ricostituzione dell’ellissi. Quale migliore immagine per la salda unione di Sigismondo e Isotta! E la sua plastica rappresentazione la si volle espressa in simbolo.



Comunque sia, resta il fatto che il simbolo grafico, così ripetuto e onnipresente, sta nel Tempio di Sigismondo in luogo della croce, dando così ragione a Guido Nozzoli che lo definiva “un tempio alchemico d’amore”.
Ma torniamo sulla I, che, per Dante, è il primo nome di Dio. Essa significa propriamente l'”unità” divina”, ed equivale alla yod ebraico, geroglifico del Principio, ma anche principio di tutte le lettere dell’alfabeto, quindi il punto centrale che produce con la sua espansione, il cerchio della manifestazione universale. Del resto la stessa lettera I, anche nella numerazione latina, rappresenta l’unità a causa della sua forma di linea retta, che è la più semplice di tutte le forme geometriche, essendo il punto “senza forma”.
L’analogia con la croce , nella tradizione ermetica, collimante con la simbologia cinese, è di capitale importanza e collima con l’interpretazione data da Guénon: il braccio verticale è attivo, simile all’uomo che sta in piedi, all’uomo “svegliato”, cosciente, l’attivo I, che passa attraverso il passivo, suggerisce un’idea di fecondazione, e proprio all’unione dei sessi rimanda filosoficamente il simbolo, ben oltre la semplice nozione di accoppiamento. L’idea, penetrando nell’intelligenza ricettiva, la feconda. Dio si unisce alla natura per generare ciò che è. La nostra energia sposa il nostro organismo, perché questo agisca. E’ l’applicazione che dà valore ad ogni forza.



Sempre, a questo proposito, Yukteswar, nel suo libro The Holy Science, analizzando quella profonda allegoria della vita umana che è, nella Genesi, la storia di Adamo ed Eva, ci offre un ulteriore spunto. Poiché nell’Universo, come abbiamo veduto, tutto è formato da una duplice polarità maschile e femminile – che corrisponde all’originale doppia polarità, di spirito creante e materia creata – Adamo ed Eva rappresentano le due polarità integrate dell’Uomo Originale (che difatti molti miti dell’antichità, compreso quello raccontato da Platone, simboleggiano con la figura dell’androgino). L’albero del bene e del male rappresenta la colonna vertebrale attraverso la quale scorre continuamente l’energia vitale (detta in sanscrito kundalini), simboleggiata dal serpente.



Dopo la caduta di Adamo ed Eva, il cammino di ogni anima consiste nel tentativo di risalire fino all’integrazione originale, di riunificare le due opposte polarità e “rientrare nell’Eden”. Quando le polarità sono ricongiunte si è realizzata “la Grande Opera”, avvengono quelle che la tradizione alchemica chiama “le nozze filosofiche”, il “rebis” o l’androgino platonico.



Del resto il simbolismo del tempio, nasce soprattutto sulla base degli insegnamenti dottrinari di Gemisto Pletone, pitagorici, platonici ed ermetici.
E’ notevole che la stessa scoperta dell’America sia indirettamente dovuta a Giorgio Gemisto Pletone, che trasmise in Occidente nel 1438 la perduta “Geografia” di Strabone, che Cristoforo Colombo utilizzò come principale autorità per convincere gli scettici sulla sua idea di configurazione della terra.
Sarà infine curioso notare come il dollaro, adottato come unità di moneta dagli Stati Uniti d’America nel 1792, quindi esattamente 300 anni dalla scoperta dell’America, dal massone George Washington, le cui banconote recano inequivocabili immagini massoniche, abbia come simbolo una “s” percorsa in verticale da due linee (principio attivo ascendente e discendente), benché in caratteri tipografici esso sia più comunemente riprodotto con una sola linea:
$Alcuni romantici hanno vagamente intuito nel Tempio Malatestiano un Tempio d’amore. Si potrebbe quasi credere, dal punto di vista psicanalitico, ad un effetto dispiegato dagli archetipi in proposito disseminati nel Tempio, o simbolicamente a un effetto magico dei simboli sparsi.
Il Tempio contiene innumerevoli accenni all’unione sessuale. Non solo i simmetrici medaglioni di Sigismondo e Isotta, ma essenzialmente le innumeri sigle congiunte adombrano nascostamente l’androgine spirituale. Possiamo accostare l’atto sessuale a quella stessa condizione di morte attiva che si compie nell’iniziazione. Il potere della sessualità si chiarisce meglio nella tradizionale nozione indù del kundalini, un “potere serpentino”.



Dobbiamo ipotizzare che la cerchia di Sigismondo fosse a conoscenza di elementi non ammessi esplicitamente dal Nuovo Testamento e che sono noti pubblicamente solo da pochi decenni attraverso i cosiddetti “Vangeli gnostici”, scoperti nel 1945 a Nag Hammadi in Egitto, nei quali si proclama la superiorità di Maria Maddalena rispetto agli Apostoli e dai quali emerge un rapporto intimo di tipo sessuale tra Gesù e Maddalena ed un contrasto continuo tra essa e Pietro, il fondatore della Chiesa Cattolica Romana. Naturalmente considerato il sessismo della Chiesa, questa conoscenza doveva restare occultata.
E’ interessante notare come sedici anni prima della scoperta lo scandaloso scrittore David Herbert Lawrence, più noto come l’autore de L’amante di Lady Chatterley, pubblicò un romanzo noto come The Man Who Died, il cui titolo originale è The Escaped Cock. Nel romanzo di Lawrence Gesù, l’uomo che era morto, sopravvive alla crocifissione e trova la sua vera rinascita attraverso l’atto sessuale con Maria Maddalena, una sacerdotessa di Iside. L’accostamento con il dio Osiride, morto e risorto e sposo della dea, nel romanzo breve è esplicito. Nel titolo originale “Il gallo fuggito”, immagine che ritroviamo nel Tempio malatestiano nell’icona di Mercurio, la figura del gallo è associato al corpo risorto-eretto, infatti in inglese cock indica volgarmente il pene, come in italiano uccello.



E’ noto che i primi cristiani si ispirarono molto all’iconografia di Iside per la Vergine Maria. Nel Tempio Malatestiano sono assenti le immagini della Vergine Maria, alla dea Iside si sostituisce la dea Isotta, diva Isotta, fatto che fu ritenuto sconcertante fin dall’inizio dell’edificazione del Tempio.
Nel Tempio riminese, oltre la sigla, ne è testimonianza l’altrettanto onnipresente rosa. Ancora più l’esplicita, e già allora criticatissima, dedica alla Diva, cioè Dea, Isotta, la cui assonanza con Iside è particolarmente inquietante. L’inno alla Dea rappresentato dal Tempio è, in realtà, su un piano più ineffabile, sciolto al principio femminile divino. Sophia? La Shakti indù? Vi anche chi identifica il misterioso Baphomet templare in Sophia e Iside, come Hugh Schonfield.
Mediteremo, pitagoricamente, su questa massima:
Fa’ di uomo e donna un cerchio, di questo un quadrato, poi un triangolo e di nuovo un cerchio; così otterrai la pietra dei savi.
Contempleremo queste due raffigurazioni della tetraktys pitagorica.




Moreno Neri

Copyright 2001 © Rito Simbolico Italiano. Tutti i diritti riservati.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

SIA LODE AL DUBBIO

    Sia lode al dubbio! Vi consiglio, salutate

    serenamente e con rispetto chi

    come moneta infida pesa la vostra parola!

    Vorrei che foste accorti, che non deste

    con troppa fiducia la vostra parola.

    Leggete la storia e guardate

    in fuga furiosa invincibili eserciti.

    In ogni luogo

    fortezze indistruttibili rovinano e

    anche se innumerabile era l’Armada salpando,

    le navi che tornarono

    le si poté contare.

    Fu così un giorno un uomo sull’inaccessibile vetta

    e giunse una nave alla fine

    dell’infinito mare.

    Oh bello lo scuoter del capo

    su verità incontestabili!

    Oh il coraggioso medico che cura

    l’ammalato senza speranza!

    Ma d’ogni dubbio il più bello

    è quando coloro che sono

    senza fede, senza forza, levano il capo e

    alla forza dei loro oppressori

    non credono più!

    Oh quanta fatica ci volle per conquistare il principio!

    Quante vittime costò!

    Com’era difficile accorgersi

    Che fosse così e non diverso!

    Con un respiro di sollievo un giorno un uomo nel libro del sapere lo scrisse.

    Forse a lungo là dentro starà e più generazioni

    ne vivranno e in quello vedranno un’eterna sapienza

    e sprizzeranno i sapienti chi non lo conosce.

    Ma può avvenire che spunti un sospetto, di nuove esperienze,

    che quella tesi scuotano. Il dubbio si desta.

    E un altro giorno un uomo dal libro del sapere

    gravemente cancella quella tesi.

    Intronato dagli ordini, passato alla visita

    d’idoneità da barbuti medici, ispezionato

    da esseri raggianti di fregi d’oro, edificato

    da solennissimi preti, che gli sbattono alle orecchie

    un libro redatto da Iddio in persona, erudito

    da impazienti pedagoghi, sta il povero e ode

    che questo mondo è il migliore dei mondi possibili e che il buco

    nel tetto della sua stanza è stato proprio previsto da Dio.

    Veramente gli è difficile dubitare di questo mondo.

    Madido di sudore si curva l’uomo che costruisce

    la casa dove non lui dovrà abitare,

    ma sgobba madido di sudore anche l’uomo che la propria casa si costruisce.

    Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai.

    Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio.

    Non credono al fatti, credono solo a se stessi. Se occorre,

    tanto peggio per i fatti. La pazienza che han con se stessi

    è sconfinata. Gli argomenti li odono con l’orecchio della spia.

    Con coloro che non riflettono e mai dubitano

    si incontrano coloro che riflettono e mai agiscono.

    Non dubitano per giungere alla decisione, bensì

    per schivare la decisione. Le teste

    le usano solo per scuoterle. Con aria grave

    mettono in guardia dall’acqua i passeggeri di navi che affondano.

    Sotto l’ascia dell’assassino

    si chiedono se anch’egli non sia un uomo.

    Dopo aver rilevato, mormorando,

    che la questione non è ancora sviscerata, vanno a letto.

    La loro attività consiste nell’oscillare.

    Il loro motto preferito è: l’istruttoria continua.

    Certo, se il dubbio lodate

    non lodate però

    quel dubbio che è disperazione!

    Che giova poter dubitare, a colui

    che non riesce a decidersi!

    Può sbagliarsi ad agire

    chi di motivi troppo scarsi si contenta,

    ma inattivo rimane nel pericolo

    chi di troppi ha bisogno.

    Tu, tu che sei una guida, non dimenticare

    che tale sei, perchè hai dubitato delle guide!

    E dunque a chi è guidato permetti il dubbio!

    Bertolt Brecht

    Traduzione E. Fortini e R. Leiser

    Bertolt Brecht con Lion Feuchtwanger nel 1947

Pubblicato in Poesie | Lascia un commento

CASTEL DEL MONTE TEMPIO INIZIATICO

CASTEL DEL MONTE TEMPIO INIZIATICO

        L’ipotesi di Castel del Monte villa romana, castello di difesa, castello di caccia, luogo di delizie a un certo punto non ha più retto a un attento esame del buon senso. Ciò ha schiuso la possibilità di una lettura diversa quale quella astronomica rivelando numerose implicazioni cosnúche anche a discapito della funzionalità. Alla lettura in chiave astronomica è seguita quella in chiave matematica e geometrica rivelando anch’essa una delirante elaborazione numerologica dell’architettura anche questa volta a discapito della pratica fruizione del manufatto. La conseguenza logica e naturale di tutto questo è la domanda: Perché sarebbe stata realizzata una costruzione tanto fastosa, tanto costosa, tanto elaborata e, nondimeno, tanto isolata?

        Ed ecco che scaturisce la necessità di una diversa interpretazione consona ai tempi, alla cultura, alla filosofia, alle conoscenze dell’epoca in cui il castello fu costruito. E ne consegue la lettura esoterica che qui di seguito si descrive.

        Portale principale, Leone che guarda sudImmaginiamo di giungere a Castel del Monte e soffermarci dinanzi al portale principale; esso guarda ad Est (sorgere del Sole agli equinozi di primavera e d’autunno), ma sulle due colonne che fiancheggiano la porta sono accovacciati due leoni, quello di destra guarda verso sinistra, quello di sinistra guarda verso destra, in altre parole i loro occhi sono rivolti verso i punti dell’orizzonte in cui sorge il Sole alle date dei solstizi d’estate e d’inverno. Non dimentichiamo la coincidenza delle date dei solstizi con le festività dei due S. Giovanni, il Battista il 24 giugno e l’Evangelista il 27 dicembre, nonché con le cosiddette porte solstiziali, quella degli uomini e quella degli dei.

Castel del Monte, portale principale

        Il timpano che sovrasta il portone è un triangolo col vertice aperto a 108 gradi come il Delta Luminoso che è all’Oriente del Tempio massonico sul trono del Maestro Venerabile. Ciò rende evidente Schema costruttivo del portale centale, inscritto in un pentagono stellatoche il Delta Luminoso affonda le radici nella più remota tradizione. In tale triangolo isoscele infatti è racchiuso il numero d’oro 1,618, detto anche Firma di Dio, rappresentato dal rapporto tra la base del triangolo ed uno dei suoi lati. Nel timpano di Castel del Monte era racchiuso altresì un bassorilievo di cui non si fa menzione in nessuno scritto, ma che s’intuisce osservando le tracce delle evidenti scalpellature operate per rimuoverlo o per distruggerlo.

        Pianta del castello; si notino i percorsi tortuosiEntriamo nel castello; la prima sala è oggi destinata alla biglietteria e se alziamo gli occhi scorgiamo nella chiave di volta una ghirlanda o corona vegetale. Per uscire nella corte dobbiamo entrare prima nella sala accanto, indi attraversare una porta che si presenta al nostro sguardo arricchita da un fastoso portale. Varchiamo la soglia e dinanzi a noi si presenteranno, sempre nel cortile, altri due portali fastosi, ma se ci voltiamo a guardare il varco dal quale siamo passati constateremo che il portale Interno del portale d’accesso al cortile fastoso che abbiamo attraversato è disadorno dall’altro lato, ossia dal lato che ci lasciamo alle spalle. Il significato di questo primo messaggio è che procedendo nel percorso iniziatico del castello si va verso la bellezza della spiritualità lasciando dietro di noi una profanità disadorna. A conferma di ciò, ossia che procedendo troveremo dinnanzi sempre il bello e lasceremo indietro sempre il brutto, ci sono gli altri due portali affacciati sul cortile che, fastosi dinanzi a noi, dall’altro lato sono disadorni e poveri.

        Chiave di volta col Bafometto. Entriamo quindi nel portale a sinistra e ci troveremo nella sala che presenta quale chiave di volta la maschera del Bafometto, simbolo templare, che è un invito alla meditazione. Si passa nella sala a sinistra che reca sul pavimento un tracciato magico. Qui trascrivo per intero quanto scrive Jorg Sabellicus in Magia pratica di circa la disposizione di una sala destinata a pratiche misteriche: «Disegnato al centro della sala un cerchio, lo si racchiude in un doppio quadrato, tracciato a una certa distanza da esso, con gli angoli disposti in direzione dei punti cardinali. La distanza tra i due quadrangoli deve essere di circa quindici centimetri. Intorno ad ogni angolo si deve disegnare un altro doppio circolo… Fuori del circolo è acceso un fuoco di carbone sul quale dovranno bruciare dei profumi».

        Nella sala in cui siamo entrati c’è il doppio quadrato, gli angoli sono esattamente orientati verso i punti cardinali, vi sono i quattro cerchi agli angoli e v’è il camino per bruciare i profumi. In più, al di fuori dei quadrati v’è un mosaico, oggi ve ne sono solo tracce, che ripete infinite volte il sigillo di Salomone, ossia i due triangoli equilateri sovrapposti, uno col vertice in alto, l’altro in basso e con le significazioni note (vertice in alto: montagna, Sole, fuoco, uomo; vertice in basso: grotta, Luna, acqua, donna) ossia tutta la realtà al di fuori della dimensione magica. In questa sala, al centro, si colloca il mago racchiudendosi in un cerchio che attualmente manca, ma può essere tracciato di volta in volta con la farina dal mago stesso. Nei quattro cerchi agli angoli si collocano gli adepti (il cerchio protegge dalle forze del male), nel camino si bruciano i profumi e il seguito della cerimonia (che è un rito di purificazione) si ignora trattandosi di un rito misterico. L’iniziando, purificato dal rito magico, si reca al piano superiore salendo per la scala a chiocciola che si apre nella torre cui si accede dalla stessa sala. Tale scala gira verso sinistra come la Terra nei suoi moti di rotazione e rivoluzione (ciò sempre per essere in armonia con ìl cosmo secondo una preoccupazione costante degli antichi). La torre è quella collocata esattamente a Sud in contrapposizione al Nord, ossia alla notte, alle tenebre perché l’iniziando compie il suo viaggio verso la luce. La porta è apribile solo dalla parte della torre, ossia chi deve salire deve essere accettato. Alla sommità della scala accade la stessa cosa: per entrare qualcuno deve aprire.

        Volta esapartita della torre sud

        Alla sommità della torre vi è una piccola volta sorretta da sei costoloni a loro volta sostenuti da sei telamoni (uomini accovacciati, nudi, con valore simbolico). Tre di essi sono vecchi, tre giovani, tre guardano in alto, tre in basso, tre mostrano il sesso, tre lo celano e qui il simbolismo è evidente: il passato, il futuro, il cielo, la terra, la presenza e l’assenza del seme fecondo. Uno dei sei telamoni ha in bocca due dita, l’indice e il medio della mano sinistra. Nel simbolismo l’indice è la vita, il medio è la morte e la bocca è il fuoco. 2 come dire all’iniziando che la sua vita e la sua morte da quel momento (la scelta della vita iniziatica) dovranno passare per la prova del fuoco.

        La scala conduce l’iniziando nella sala accanto alla sala principale, quella che affaccia ad Est, dove sorge il Sole, quindi dove nasce la luce, quella luce dello spirito che l’iniziando è venuto a cercare. Da questa sala principale può vedersi (meglio dire poteva vedersi, perché è andato distrutto) attraverso la fìnestra che affaccia nel cortile, esattamente sulla parete di fronte, il bassorilievo che rappresentava una donna vestita alla greca che riceveva l’omaggio di cavalieri. Tale donna è SOPHIA, ossia la conoscenza ed esattamente la conoscenza iniziatica. Nella chiave di volta della sala c’è la testa di un vecchio con la bocca socchiusa e sta a rappresentare il soffio divino.

        Qui l’iniziando viene iniziato e nella cerimonia, che poteva aver luogo all’alba dell’equinozio, quando il Sole sorgente baciava col suo primo raggio la donna del bassorilievo, una sacerdotessa in carne ed ossa (Sophia) poteva baciare in fronte l’iniziato. Sui sedili che circondano la sala sedevano i partecipanti alla solenne cerimonia. Ora l’iniziato è in grado di capire i simboli che sono nel castello. Egli passa nella sala accanto dove nella chiave di volta vi sono quattro delfini stilizzati Chiave di volta con quattro delfini, simbolo della rigenerazione dell’anima che giunge nel porto della salvezza attraverso le acque dell’esistenza, quindi ACQUA. Procede nella sala successiva dove la chiave di volta reca quattro testine con la bocca aperta come se soffiassero: ARIA.

        Nel passare nella sala seguente attraversa una porta che ha un architrave triangolare in cui l’angolo al vertice del triangolo isoscele è aperto a 147 gradi. Questo è l’angolo interno di un endecagono, poligono a undici lati, e l’undici, secondo S. Agostino, è l’unione centrale del cielo (cinque) con la terra (sei). È chiaro il significato della tappa raggiunta dall’iniziato. Tale concetto di raggiunta unione del cielo e della terra è ribadito all’iniziato quand’egli scende al piano terra dalla scala della torre detta del «falconiere» collocata a Nord-Ovest (tramonto del Sole al solstizio d’estate). Qui il voltino della scala ha tre costoloni, due di essi sono sorretti da due teste, una femminile e l’altra maschile. Il terzo costolone non ha più sostegno perché totalmente scalpellato di proposito. Che cosa rappresentava? Quella mensola era tanto scomoda a qualcuno, tanto importante, tanto significativa?

        Torre del «Falconiere», volta tripartita con i telamoni uomo e donna

        Il telamone maschile della Torre del «falconiere»Il sospetto è legittimo se si pensa che lo spazio che doveva essere occupato da tale sostegno è per tutta la durata del giorno illuminato da un rettangolo di luce proveniente da una monofora collocata esattamente di fronte. Quindi tra l’uomo e la donna v’era qualcosa che veniva evidenziata dalla luce, quasi indicata. Era per caso l’Androgino, formula arcaica della consistenza di tutti gli attributi nella unità divina e nell’uomo perfetto quale è esistito alle origini e deve diventare nel futuro? Era l’Androgino presentato dalle dottrine gnostiche cristiane come lo stato iniziale che deve essere riconquistato? Il telamone femminile della Torre del «falconiere» Era quell’Androgino simbolo di divinità, pienezza, autarchia, fecondità, creazione, unione del celeste col terrestre? Erano, tradotte in pietra, le parole di Tommaso nel Vangelo apocrifo: «E se farete il maschio e la femmina in uno, perché il maschio non sia più maschio e la femmina non sia più femmina, entrerete nel regno dei cieli»?

        Modo pittoresco di riproporre l’unione centrale del cielo e della terra che S. Agostino aveva, altrettanto pittorescamente, condensato nel numero undici. Al piano inferiore l’iniziato trova in una chiave di volta il fiore di loto ad otto petali simbolo della TERRA (i quattro punti cardinali più i quattro punti solstiziali dove sorge e tramonta il Sole). Segue una chiave di volta che reca un fiore con petali e foglie seghettate come fiammelle: il FUOCO. I quattro elementi sono completi. Da qui l’iniziato si accinge ad uscire nel cortile e, come detto in precedenza, si trova davanti i portali disadorni nel rovescio, sia quello che immette nel cortile, sia quello che dal cortile ammette nella sala antistante l’ingresso principale.

        Castel del Monte, il cortile con i due portali sud (di fronte) e nord ovest (a destra)

        E il ritorno verso la profanità disadorna. Una volta fuori dal castello, l’iniziato si volge a guardare il portale principale e ora, che ha imparato a leggere i simboli e ne ha capito il linguaggio «in superioribus», vede il portale nella sua essenza: la stella a cinque punte, concentrato della Firma di Dio, la divina proporzione, ed in essa l’uomo di Agrippa di Nettesheim, ossia l’uomo che attraversa la porta che lo conduce verso la grande avventura dello spirito. Ormai egli è in grado di comprendere anche il significato delle cinque cisterne sulle torri senza una funzione pratica (ACQUA) e dei cinque camini del castello (FUOCO): «Oggi io vi battezzo con l’acqua, ma verrà chi vi battezzerà col fuoco», le parole di Giovanni nel Vangelo di Luca, come dire: nella vita iniziatica non basta più il battesimo dell’acqua, ma occorre il battesimo del fuoco.

        L’iniziato comprenderà inoltre il significato della stella Vega visibile in cielo al centro del cortile del castello a mezzanotte del solstizio d’estate e quindi della festa di S. Giovanni. Essa, che fu stella polare tredicimila anni fa e lo sarà ancora tra tredicimila anni, quindi stella di riferimento, stella guida, ammonisce chi intraprende il viaggio verso la dimensione iniziatica a volgere sempre gli occhi verso il cielo, unica e sola guida sicura sulla strada dello spirito. Ultimo messaggio che il Castello dava all’iniziato, già uscito, veniva dalla saracinesca del portale che, scendendo lentamente e chiudendo il varco dell’ingresso come si chiude una bocca, ammoniva al SILENZIO sull’esperienza vissuta.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

RIMA TAVOLA DEL M.V. SUL GENOMA

USA — X-Ray Dna — Image by © Digital Art/Corbis

PRIMA TAVOLA DEL M.V. SUL GENOMA


Negli ultimi venti o trent’anni il mondo è cambiato più che in tutto il settimo e ottavo secolo dopo Cristo. Ora la trasformazione potrebbe coinvolgere, grazie alla bioingegneria, non solo la società e la cultura ma anche la biologia, la natura stessa dell’uomo.

La mappatura del genoma, la scoperta dell’alfabeto della vita umana, potrebbe contribuire a questa trasformazione, dare la possibilità di ricombinare in modo diverso le lettere di quell’alfabeto e di scrivere dunque un nuovo testo, di creare un uomo diverso. “È uno dei racconti più straordinari che gli scienziati abbian mai consegnato al mondo” asserisce Alison Abbott. “Il genoma umano, ai fini pratici completamente sequenziato, è come la scoperta che la Terra gira intorno al Sole, che ci siamo evoluti dalle scimmie e che nel cervello risiede la mente con la quale rianalizzare noi stessi e i nostri rapporti col mondo, e per chi vi fosse portato, riflettere ancora sul bisogno di un Dio creatore e mentore”.

“Per la prima volta nella storia arguisce Claudio Magris “c’è la possibilità di manipolare intenzionalmente e direttamente la vita, di agire volutamente, esplicitamente e con fulminea rapidità sull’individuo, di modificarlo. La clonazione umana, se verrà praticata – e lo sarà, se non lo è già stata – non potrà non incidere profondamente sul nostro modo di essere; il giorno in cui si potranno avere tre gemelli uguali al proprio nonno cambierà fatalmente il senso della famiglia e delle generazioni e con esso cambieranno i sentimenti umani e le rappresentazioni poetiche che quel senso implicava. “La scoperta del DNA è probabilmente la scoperta più grande, più rivoluzionaria della storia. Esa non tocca Dio o la natura”, conclude Magris, “per i quali la vita è da sempre una continua creazione e manipolazione della vita, che forma e distrugge specie viventi, i dinosauri come l’uomo e domani l'”oltre uomo” vaticinato da Nietzsche, il nostro eventuale discendente creato in laboratorio, come Hominculus da Faust nel poema di Goethe.

È l’umanesimo, la fede nella centralità dell’uomo, che potrebbe vacillare; è l’uomo così come lo conosciamo, e il nostro volto che potrebbero venire alterati come nelle metamorfosi del mito antico. Forse per questo il Galileo di Brecht – uno scienziato vittima dell’oscurantismo – dice che “il processo non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità”. Comunque, pur nel vertiginoso susseguirsi di scoperte sconvolgenti, tante cose continuano ad andare lentamente; si clonano le pecore – e forse gli uomini – ma il raffreddore e la calvizie continuano imperterriti a resistere, invitti, agli assalti della scienza. È difficile dire se sia una consolazione.


Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

E’ NECESSARIA UNA RELIGIONE CIVILE ?

“E’ NECESSARIA UNA RELIGIONE CIVILE ? ”

di Claudio Spinelli

Il tema di quest’ anno per la Camera del 31° Grado ha come titolo “ E’ necessaria una religione civile ? ” E’ un interrogativo di grande interesse e di estrema attualità sia da un punto di vista della Libera Muratoria Scozzese, sia da un punto di vista socio-politico.

 Il mondo sembra avere bisogno di una nuova pedagogia civile…di una nuova religione civile, incentrata sull’equilibrio fra dovere e diritti, sul principio di responsabilità, sui valori della solidarietà politica, economica e sociale. Viviamo in una silenziosa disgregazione della società ( L.Violante “ Il dovere di avere doveri” Ed. Einaudi 2015). Il rapporto Censis sulla Società Italiana -2010-evidenzia che: <<… sono presenti manifestazioni di fragilità sia personali che di massa: comportamenti indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente, senza profondità di memoria e di futuro. Si sono appiattiti i nostri riferimenti alti e nobili, come l’eredità risorgimentale, il laico primato dello Stato, la fede in uno sviluppo continuato e progressivo; soppiantati da una delusione per gli esiti del primato del mercato, della verticalizzazione e della personalizzazione del potere e del decisionismo di chi governa. E’ una società appiattita, che fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa>> …<< Siamo ina una società pericolosamente segnata dal vuoto, insoddisfatta ed insicura …visto che un ciclo storico pieno di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato dall’annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti>>.

Il filosofo Habermas, parla di un frantumazione della solidarietà civica nel contesto di una dinamica politicamente incontrollata fra economia e società mondiale. ( J. Habermas. Tra scienza e fede. Ed. Laterza 2006). Inoltre assistiamo ad una crisi di legittimità di tutte le forme di autorità sociale: il padre, l’insegnante, il politico; questo porta una una divisività …non si sente più il dovere di appartenenza ad una comunità e di servirla. Anche le grandi agenzie di educazione nel nostro paese non ci sono più: né i partiti, né la Chiesa, né la famiglia. E se nessuno educa, ogni aspirazione diventa un diritto che tu esigi. La psicanalista Julia Kristeva, saggista poliedrica, le cui linee di pensiero sono considerate tra le più importanti di questo secolo, ha detto che dobbiamo costruire una religione civile/laica. Ella denuncia l’automatizzazione delle menti: “ Nessuno sa più che cosa siano il bene e il male , non ci si interroga più, ci si adatta semplicemente alla logica di causa ed effetto” . E’ appunto la povertà di pensiero a spingere il soggetto verso le derive pericolose del nichilismo, oppure a rinchiuderlo nelle gabbie dei dogmi dove fondamentalismi religiosi, ideologie politiche, mentalità individualistiche, culture narcisistiche convivono nella grande “Krasis” del moderno”. Al pensiero, allora, il più grande rischio: quello di pensare! E con ciò di ridarsi forma, di ormarsi, di trasformarsi, di porsi in discussione, ora con l’analisi, ora con la scrittura, ora con le complessità simboliche delle culture che sanno spezzare il cerchio autoriflessivo di una comoda e insincera identità.

Se riflettiamo o se ci domandiamo qual’è il fine ultimo …quale è il progetto della Libera Muratoria…del Nostro Ordine Iniziatico, la risposta è semplice: è quello di eliminare le divisioni di tipo religioso, etnico e cetuale presenti nella società civile, applicando i valori che caratterizzano la Libera Massoneria come l’uguaglianza, la libertà, la fratellanza. Lo scopo ultimo è quello di legare, di riunire, di armonizzare…prefigurandoci una “società buona”…lavorare per il “bene di tutti gli uomini” …per il “bene dell’umanità intera”. L’intero Ordine dei Liberi Muratori si propone di acquisire per poi diffondere, saggezza e virtu’, a un numero sempre più elevato di uomini/cittadini…educandoli…illuminandoli con la propria Scienza Muratoria. La Libera Muratoria inoltre combatte, in nome della dignità e della libertà umana, ogni dispotismo, ogni totalitarismo. Un uomo, anche se saggio e virtuoso, per essere felice deve essere libero… non oppresso, esiliato, imprigionato, schiavizzato da altri “uomini potenti “. Pertanto, possiamo paragonare l’Ordine Iniziatico Massonico-Scozzese a un “nuovo Ordine Religioso di tipo civile” e suoi Adepti a “nuovi sacerdoti ”. Questo è ciò che s’intende per “Religione Civile” o “Religione dei Moderni” -com’ è stata definita da Gian Mario Cazzaniga – professore di filosofia morale all’Università di Pisa ( G.M.Cazzaniga: “La religione dei Moderni” Edizione ETS, Pisa 1995) – fondata sui principi di sociabilità di ispirazione massonica-scozzese.

Già nel 1723 Fenelon –Ramsay scriveva che: “ tutto il genere umano non è altro che una famiglia dispersa sulla faccia della terra”; così come nel 1736, un pastore luterano, Simon De Marrèes, un avversario, definiva la massoneria come “una religione del cittadino del mondo”.  Anche nel libro “Dialoghi per Massoni” di G. E. Lessing e J.G. Herder, scritto in Germania dal 1778-1780 e pubblicato in Italia dall’ Editore Bompiani nel 2014, si parla di religione civile, degli obiettivi …dei propositi dei massoni … della funzione educativa del messaggio libero muratorio sulla società civile. I mali che affliggono Stato e Società si generano dalle divisioni tra gli uomini …tra i cittadini che, conseguentemente, determinano lotte, conflitti, intolleranze e violenza: una vera e prorpia “malattia della vita sociale”. Lessing vuol compiere insomma, tramite la via iniziatica, una rivoluzione sociale, che nessun politico o rivoluzionario potrà mai attuare. Egli  spera di poter rimodellare…trasformare l’uomo fino ad ottenere quella “Società perfetta” “Aurea Aetas”. Egli era convinto che la Libera Muratoria si dovesse occupare dei fatti politici e per questo era paragonata ad una sorta di “Religio Civilis”. Herder, invece non nega il carattere quasi di “favola” della Libera Muratoria e dice che lo scopo di questa “favola “è la costruzione dell’umanità e null’altro…grazie all’impegno dei Liberi Muratori …”con il loro fare e tacere senza nulla pretendere”…una costruzione che non è a ”pro domo propria” ossia ad esclusivo vantaggio della Libera Muratoria ma in funzione e a vantaggio dell’umanità tutta, senza distinzione alcuna…quasi fosse una “communitatis” di spiriti invisibili.

Le Logge Massoniche sono considerate il più importante “laboratorio moderno del vivere associativo”, fondato appunto sul segreto e sull’uguaglianza degli affiliati. Le Logge possono essere considerate luoghi sacri perché sacro è – come diceva Goethe- “ciò che lega insieme molte anime” …quindi una loggia è sacra, perché è composta da molte anime/adepti che sono legati insieme, da un rito di iniziazione, da un rispetto ab-soluto dell’uno verso l’altro, da un senso di fratellanza e di uguaglianza. Tutti gli adepti di una Loggia inoltre lavorano in comune, con azioni silenziose, per un fine comune. Pertanto il modello associativo “originale” tipico di una Loggia Massonica può, potenzialmente, estendersi nella società profana…ispirando, migliorando, affratellando la società civile; legando tantissime persone di tutti i paesi del mondo con gli stessi principi e con l’obbligo che ne deriva di soccorrersi scambievolmente e di lavorare per il bene dell’umanità.  Questa è la “Missione Muratoria-Scozzese”…… ed una volta ottenuta una così detta “società buona”, l’Ordine Massonico-Iniziatico cesserà di esistere come associazione autonoma, perché il suo compito sarà terminato.

 Questo modo così semplice – quasi ingenuo – di ragionare è tipico degli “Uomini Liberi”  e in particolare dei “Liberi Muratori“; essi credono che tutto possa essere modificabile …che la realtà possa essere cambiata ed è proprio questo particolare modo d’intrepretare il mondo, che in “Noi” vive e si autoalimenta il salvifico sentimento della “Speranza”.  Sappiamo perfettamente, che tutto questo è soltanto una visione utopica, ma al tempo stesso, siamo consapevoli che l’“Utopia”, pur essendo una cosa apparentemente insensata, è stata… è …e sarà necessaria per l’“uomo libero di pensare”……altrimenti, senza il “pensiero utopico” saremmo sempre al tempo della pietra. E’ così che hanno pensato tutti i Grandi Uomini della storia, dall’antichità alla post-modernità. Se un “uomo” non è capace di amare l’umanità, di sperare, di entusiasmarsi… ma rimane freddo, legato solamente a suoi interessi personali, al suo egoismo, non può essere un Uomo Libero …non può essere un Libero Muratore-Scozzese.

Queste idee, anche se utopiche, se sono ben salde, permettono di superare tutte le difficoltà che s’incontrano durante il proprio viaggio iniziatico.

Credo che questo sia un modo affasciante di ragionare…di pensare – con coraggio e con ingenuità, in fondo noi Liberi Muratori siamo dei fanciulli- adulti- senza preoccuparsi dei risultati e del tempo. Se le nostre speranze si realizzeranno…tra uno o mille anni meglio…ma se non si realizzeranno mai, va bene lo stesso, l’importante è possedere una speranza per un futuro migliore.  Per questo motivo, scondo me, il “Libero Muratore-Scozzese è un uomo senza tempo”.

La leggenda o l’apologo dell’” Araba Fenice” – riportata da Herder sempre nel libro “Dialoghi per Massoni”- ci fa comprendere perfettamente il significato profondo della “Missione Muratoria”.  Il misterioso e mitologico uccello che ha costruito il suo nido sull’albero della conoscenza e su quello della vita: i due alberi del Paradiso. Al compimento del suo destino la madre – simbolicamente individuata nel Sole – le dà la morte incendiandole il nido. Ma se i rami dell’albero della conoscenza la fanno morire, quelli dell’albero della vita la riportano all’esistenza, adempiendo all’antico detto: “Post fata resurgo” cioè dopo il compimento del mio destino risorgo. Dalle ceneri della Fenice, risorge non più un Fenice ma una “Luce”…un “Genio Luminoso ” che si libra su, in alto…essa non è nient’altro che lo “Spirito del Libero Muratore”…un occulto Spirito Muratorio Protettore degli uomini, portatore di pace, di uguaglianza, di fraternità, di armonia tra gli uomini… che brilla di Luce che proviene dall’Oriente “Ex Oriente Lux” (dall’Oriente sorge la luce – Sole) e che unito allo “Spirito del mondo”, costituisce la perfetta “Complexio Oppositorum” cioè la “Speranza del futuro” … che continuerà – al di là del tempo e della storia- ad illuminare …ad edificare il “Tempio dell’Umanità” .

Tornata della Camera del 31° Grado del RSAA

Ghirlanda – Massa Marittima 10.05.2015

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA CERTEZZA DEL DUBBI

La certezza del Dubbio

Carissimi Fratelli,

           i Fratelli Francini e Terzi hanno sviluppato l’argomento parlando soprattutto del “Dubbio dei Dubbi», come lo chiamano loro, cioè sulla domanda se esista o meno un Aldilà, una vita dopo la morte.

           E direi che hanno già risposto da soli a questo inquietante interrogativo dato che, come dicono loro stessi, nessuno può darsi una risposta certa, ma è pur necessario, anzi doveroso, accettare la sfida del dubbio, perché solo in questo modo potremo continuare a sentirci veramente liberi.

           C’è quindi poco da aggiungere a quanto detto: la risposta alle domande, o se preferiamo ai dubbi, circa l’esistenza di Dio e di un Aldilà, è lasciata ai singoli, i quali, riflettendo, elaborando dentro di loro le tante informazioni che la vita – ma soprattutto la Massoneria – mette a disposizione, possono farsi un’idea che, in questo caso, assomiglierà ad un Dogma, visto che quanto asserito non potrà comunque essere dimostrato.

           Ma parlando più in generale, vorrei estendere il concetto del dubbio. Io credo che oggi sia ancor più ragionevole per tutti avere dei dubbi: serva di lezione quanto è accaduto per le grandi ideologie politiche che sembravano pilastri granitici, come sia cambiata per molti l’opinione verso la Giustizia di Stato e perfino il tramonto di certe scoperte scientifiche precedentemente ritenute degli assiomi. Credo che il dubbio, soprattutto per noi che ci dichiariamo tolleranti, sia invece necessario.

           Intendiamoci, l’uomo-massone deve avere dei punti fermi durante la sua vita iniziatica di perfezionamento alla ricerca della Virtù e della Verità, tuttavia deve anche tenere un atteggiamento critico di dubbio verso il quotidiano.

           Se così non fosse, il Massone si trasformerebbe in un uomo tendente a non mettere minimamente in discussione le proprie scelte di vita e le proprie esperienze, così da diventare pian piano intollerante.

           Occorre naturalmente distinguere tra dubbio sistematico ed il dubbio ragionevole. Tra il dubbio sempre e comunque ed il dubbio motivato. Tra il dubbio che cerca in tutti i modi di smontare ogni certezza propria o altrui ed il dubbio che si contrappone alla sicurezza arrogante. Il dubbio diviene legittimo soprattutto quando si pone quale critica nei confronti di un’idea o di una nostra azione.

           Il dubbio quindi non deve essere una ragione di vita, anche se spesso il dubitare può aiutare a vivere, specie se, dubitando ulteriormente, ci accorgeremo che il vero, il bene, il giusto non siano stati ancora trovati e che si possano invece trovare ricercando ulteriormente.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

EDIFICARE TEMPLI ALLA VIRTU’ . . .

Edificare templi alla virtù,

scavare oscure e profonde prigioni al vizio .

(Michele Portanti)

     Nel rituale  di  apertura  dei Lavori, alla domanda del  M   V :  “a quale  scopo ci riuniamo?”, il Fr I° Sorvegliante risponde: “per edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio”….. E’ la logica spiegazione di che cosa é la Massoneria, é la più giusta e perfetta spiegazione di quanto stiamo facendo in questo momento: edifichiamo Templi alla virtù. La Massoneria é l’edificazione di templi e non a caso questa espressione é riportata prima dell’inizio dei lavori, quale richiamo per coloro che, con l’ingresso nel Tempio, non si fossero spogliati di ogni passione profana.

.     Ma che cos’è il vizio? che cos’è la virtù?  Nell’accogliere l’incarico affidatomi dal M. V. di svolgere questo tema, mi sono sentito un po’ perplesso poiché il significato di queste parole si ritrova nella cerimonia di iniziazione di un profano, ricordate?

      Che cos’altro aggiungere a queste semplici e complete spiegazioni che non sia solo speculazione filosofica?

      Per mia curiosità sono andato a cercare qua e là  notizie su questo tema e confesso che sono naufragato tra teorie contrastanti e contraddittorie, per quanto autorevoli le fonti : da Platone ad Aristotele, da S. Agostino al Rousseau, agli Illu­ministi, a Kant a Shiller, ognuno secondo il suo tempo e quindi secondo i differenti tipi di società in cui viveva, ha formulato e dimostrato validi i concetti di virtù e quindi di vizio sempre  vincolandosi al suo credo religioso o politico, con la conseguenza che ciò che è virtù per S. Agostino, finisce per essere vizio per Platone. Mi sono convinto che nessuna di queste ipotesi, da sola, può sostenere il confronto per attualità, per semplicità, per la sua generalità, con i concetti che si ricavano dall’insegnamento massonico. La questione appare subito presuntuosa: possibile che quattro parole di un rituale e alcuni simboli sostengano il confronto con idee che sono costate fiumi di parole a geni universalmente riconosciuti? Nella ricerca di giustificare questa osservazione mi sono reso conto che è così,  poiché ognuno dei nostri simboli è la sintesi equilibrata dei concetti espressi dai più grandi pensatori, sintesi che è stata realizzata nel modo più semplice attingendo il meglio del pensiero umano e sempre confrontandolo con la realtà Uomo inteso nel senso Universale e quindi sganciato dai vincoli e dai limiti delle problematiche nazionalistiche o religiose.   

      Nessuno dei nostri simboli, infatti, ha un significato suo proprio, ma è sempre il tramite filosofico che coinvolge Etica, Morale e sentimento umano.

      L’aveva capito bene Mazzini, massone o non massone, certamente un uomo impregnato di Massoneria, il quale pur non esternando un pensiero filosofico sistematico, seppe trovare nella sua travagliata epoca quei concetti di morale, di umanitarismo, di fede in Dio spinta fin quasi al misticismo, di doveri dell’uomo, – in una parola di “Virtù” intesa nel senso massonico,-  concetti che gli permisero di possedere una visione sociale e politica talmente sganciata dai limiti nazionalistici e religiosi che credette di vivere la vigilia di quella che egli riteneva essere una nuova epoca per tutti i paesi: la Storia, pur se tra mille travagli, gli darà infine ragione.

      Vale la pena di esaminare brevemente il significato del simbolo che più di ogni altro si riallaccia al tema del Vizio e della Virtù: il pavimento a mosaico. Tralasciando il fatto, e non è poco,che non a caso questo pavimento così come lo vediamo a quadri bianchi e neri, adornava i templi egiziani, il tempio stesso di Salomone, veniamo all’aspetto più interessante, quello simbolico-esoterico. Perché bianco e nero? Perché per la legge dei contrasti e degli opposti già delineata dalle due colonne che rappresentano gli aspetti positivo e negativo delle varie situazioni umane, bianco e nero a simbolo di bene e di male, perfetto e imper­fetto, grezzo e levigato, materia e spirito.  Bianco, luce, virtù. Nero, buio, vizio.

      Esaminiamo inoltre la sua forma: esso è un mosaico composto di tanti cubi, simbolo di Terra e quindi è il solido più indicato a rappresentare le vicende umane; affascinante e pieno di simbolismi, il cubo merita certamente uno studio a parte.  Ci porterebbe certamente lontano l’esaminare anche la simbologia del quadrato, (di tanti quadrati ci appare infatti composto il pavimento), ma merita ricordare che a seconda del progresso compiuto negli studi massonici, esso lo si vede costituito da rette, da due squadre o da compassi aperti a 90°; la sua simbologia spazia quindi dalla realtà primordiale dei quattro elementi, fuoco-aria-terra-acqua, alla meta da raggiungere, la perfezione, rappresentata dall’unione di due compassi aperti a 90°.

      Ma vediamo ora come si muoverebbero gli uomini su questo pavimento: il profano lo calpesterà casualmente ora sul bianco ora sul nero, perché essendo grezzo, imperfetto, alternerà inevitabilmente i vizi alle virtù. Oppure si ancorerà talmente alle cose terrene, esclusivamente materiali, da preferire muoversi solo sui quadrati neri. O ancora, rifuggendo  le realtà della vita, vivrà in un’atmosfera mistica e irreale trascurando una verità nera che pure esiste e calpesterà solo i quadrati bianchi.

      Il Libero Muratore, invece, non passerà affatto sul pavimento a mosaico, ma si limiterà a squadrarlo, percorrendo un piccolo corridoio che delimita il pavimento e che  considera il cammino dei Massone; lo percorrerà guardando con attenzione al pavimento, teatro dell’azione umana, con la convinzione che perseverando nella ricerca della verità si giungerà a “scavare oscure e profonde prigioni al vizio”, facendo sì che il pavimento appaia costituito esclusivamente da quadrati formati da due compassi aperti a 90°, la squadra giusta, simbolo della perfezione raggiunta.

      Vorrei concludere ricordando che  “Edificare templi alla Virtù e scavare oscure e profonde prigioni al Vizio” significa lavorare al bene e al progresso dell’Umanità. Il vero contributo della Massoneria  a questo lavoro sta nella vita individuale dei Suoi membri.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

A.’.G.’.D.’.G.’.A.’.D.’.U. ‘.

A…G…D…G…A…D…U…

I tempi e le vicissitudini, sia del mondo profano che di quello massonico, sono maturi per fare una analisi dell’operato della nostra comunione dalla fondazione ad oggi. Analisi che, in virtù dei fatti accaduti, si amplia al mondo massonico italiano e al mondo profano visti da  occhio educato dall’etica della massoneria.

In silentio et spe fortitudo nostra è uno dei motti applicato ad un certo grado massonico ma è proprio di questo grado, talvolta, il vociare e l’ansia del sapere tutto e subito.

Eppure ad un certo grado della vita massonica viene insegnato il silenzio!

La nostra comunione sin dal primo giorno si è prefissa , attraverso il proprio G.M. Giulio Mazzon, di operare per il bene dell’umanità e contemporaneamente per la rinascita di una massoneria italiana ligia ai dettami massonici della tradizione. Dal 1989 il catechismo massonico è stato adottato dalla nostra Comunione .

La nascita della comunione fu allora una forzatura dettata dai tempi: Cordova faceva il gesuita cacciatore di streghe e Di Bernardo gli dava una mano denunciandoci come Logge spurie e coperte, dedite , forse , al malaffare.

Noi , allora, ci identificavamo come Fratelli separati nel G.O.I. cioè eravamo, per così dire, dei massoni che, seppure non inseriti formalmente nell’istituzione, ne seguivamo statuti , regolamenti e principi in attesa di chiarimenti necessari per rendere unica e più grande l’istituzione massonica italiana.

Le carte erano e sono in regola : decreto di Corona e  tempi per attuare il tutto.

Di Bernardo complica le cose senza motivo, anzi egli stesso, dopo essere stato confermato Gran Maestro del G.O.I. in una Gran Loggia, pur avendo subito pesanti critiche,se ne va con un manipolo di logge ( e si dice anche di casse), lasciando decapitata tale istituzione.

nati non per caso

Il 21 Marzo 1994 nasce, in una splendida mattina, la Comunione dei Liberi Muratori. Per necessità , dunque, e non per presunzione o ambizione di alcuno.Nasce per determinare un maggior impegno  profano . Questi sono stati i dettami della nascita della C.L.M. .

Fu una nascita travagliata, è vero, ma ricca di buoni propositi che preannunciavano un futuro più che logico in nome dei principi. Questi non lasciavano prevedere la distorsione che era solo nelle menti di pochi  e che ha condotto la nostra comunione a scoprire la verità sui falsari introdotti nella massoneria con ritardo nei tempi di attuazione dei programmi, nonché sforzo fisico ed economico di coloro che a tali eventi sono sopravvissuti.

Certo  sarebbe stato meglio lasciare ogni uomo al suo posto, con il suo mugugno o la sua sete di potere( le casse e la forza del numero avrebbero avuto il loro peso); la CLM non è ne sede di mugugni né offerta di potere.

Gli uomini che devono fare parte della nostra nobile istituzione devono essere consci che in massoneria non vi è spazio per le carriere o per i soldi facili né , tanto meno, per seggioloni politici o di privilegio nel mondo profano.

Non lo abbiamo inventato noi questo principio.

È la massoneria che lo impone.

Lo impone perché le nostre officine sono forgiatrici di uomini, sono scuole di pensiero e di idee e con queste si plasmano gli UOMINI in MASSONI che, da soli, si fanno strada nel mondo profano con la tenacia e la forza di ciò che hanno dentro, orgogliosi di portare fuori dall’officina il pensiero nuovo che ivi è stato forgiato.

Ognuno è ciò che è.

 Il Tempio  deve aiutare a crescere nel pensiero e nella volontà.

I fratelli devono confrontarsi dialetticamente senza remora alcuna, con rispetto reciproco, con tolleranza, per scoprire nel passaggio dei gradi, che la propria crescita interiore si compie. Una volta intrapresa la via iniziatica avviene la vera trasformazione che offre , al mondo profano, un  uomo totalmente rinnovato.

I vari geni della cultura, musica e scienza , i grandi condottieri i capi di stato di cultura massonica,  sono stati grandi per le loro qualità personali così che hanno reso grande la massoneria.

 La loggia  è un contenitore pieno di risorse e di idee dove chi vi accede non può prendere a suo piacimento e distorcerne il significato. E’ un contenitore dove, coloro che la frequentano, devono portare tutto quello che possono e trarne idee per il PROPRIO miglioramento.

 Ogni fratello, per definizione  uguale agli altri  solo nei diritti e nei doveri è , a sua volta, disuguale agli altri . Diversa sarà la crescita nel Tempio .

 Disuguaglianza logica perché legata alla libertà di ognuno di noi.

 A nessuno viene imposto nulla se non l’obbedienza alle tradizioni e ai doveri del massone. Ognuno, quindi, cresce in relazione alle proprie attitudini e potenzialità nonché alla predisposizione ( non è di tutti) di accettare la dialettica e gli studi di Loggia.

La massoneria è fatta principalmente di uomini,purtroppo, ancorché  massoni e, come spesso accade, taluni rimangono; senza offrire alcunché  pretendono servigi non dovuti. Pretendono che la loggia metta a loro disposizione uomini e mezzi per i propri scopi.

 Gli aspiranti Napoleoni, purtroppo, pullulano.

I massoni, spesso, dimenticano le regole e l’ambiente che frequentano. Codesti ,influenzati da altre scuole massoniche disdicevoli , si comportano da Pinocchio con Lucignolo e credono al paese dei Balocchi. Questa situazione deplorevole ha condizionato una crescita selezionata delle logge e, quindi, ha portato alla riduzione numerica. La responsabilità di tutto questo ricade su uomini non  divenuti massoni.

Quegli uomini , non figli di vedova ma di madre mercificatrice e perennemente incinta(gli imbecilli), sono stati  accolti, in buona fede, anche tra le nostre colonne e , non senza sacrificio e mormorii (degli ignoranti), sono stati, conseguentemente, allontanati per affrancare le nostre logge da deviazioni profane che non si addicono alla massoneria. Facevano,costoro, come dicevo sopra,  tendenza in alcuni ambienti, riflessi di altre istituzioni che, seppur decantando principi massonici, avevano ben altri fini. Infatti, in quegli ambienti, non provvedevano alla necessaria pulizia  nelle proprie officine.

Eppure ,  a dover di cronaca, quando il G.M.  Corona promulgò il decreto di rientro delle Logge con la “reggenza Mazzon”, furono escluse, aprioristicamente, le Logge aretine perché, allora, inquinate da elementi non adatti alla massoneria rappresentata dal G.O.I. .

 La pulizia è stata un dovere doppio che, purtroppo ,per le vicende successive non ha portato ad alcuna conclusione.

La pulizia è stata un dovere necessario. Le vicende successive non hanno portato a risultati positivi. Adesso  si ha l’amara sorpresa di scoprire che il G.O.I. dapprima toglie la legittimità ai Maestri Venerabili e,successivamente, concede la riammissione di coloro che, ritenuti colpevoli di colpe massoniche, ne facciano richiesta anche se provenienti da altre comunioni ma regolarmente iniziati . C’è da capire l’affermazione REGOLARMENTE INIZIATI che dovrebbe essere il caposaldo per l’introduzione all’obbedienza. Tale proposta del G.O.I. è puramente burocratica poiché il problema è, innanzitutto, MORALE. I colpevoli, in generale, di colpe massoniche, sono conseguenza di gravi errori delle Grandi Maestranze.

Togliere la legittimità ai Maestri Venerabile equivale ad annullare la sacralità che fa del Venerabile un grado iniziatico.

Non si rinnova una istituzione, antica nella tradizione e nella cultura, tradendo proprio i cardini di quella tradizione che vede ,nella autonomia delle Logge, la propria forza creativa di uomini e di idee.

Si delegittima qualche cosa o qualcuno solo per fare caos e per avere più potere. Solo in massoneria : ORDO AB CAOS . Dagli  uomini: solo CAOS DAL CAOS.

Il vertice della nostra istituzione, al contrario, come suo compito, è andato avanti portando fino ad oggi a compimento la propria missione sia nel mondo profano che in quello massonico. Compito reso più arduo dalla mancanza dell’omogeneità spirituale e di quella forza di sostentamento che ad ogni vertice viene dalla propria base.

Nonostante tutto, la comunione, ha sempre mantenuto fede al proprio mandato e tutto ciò che è stato realizzato, nonché scritto, è stato sempre dettato dallo stesso imperativo :

il bene del mondo profano e della massoneria.

In ogni balaustra che è stata scritta in occasione delle G. Logge sono stati toccati i problemi della nostra società nonché quelli della massoneria italiana. Sono stati suggeriti addirittura consigli susseguenti ad analisi che, con l’ottica del passato, hanno addirittura precorso i tempi e previsto ciò che in seguito è accaduto .

Nella balaustra del 1996 “essere qualità o quantità” l’analisi del mondo  precorre i tempi e ciò che è scritto lo stiamo vivendo ora sia nel mondo profano che massonico .

…al centro del tutto, domina e sovrasta l’Architetto dell’universo. Tra noi non possono convivere quanti non abbiano compreso che cosa vogliamo….è un frammento tratto da quella balaustra che richiama al dovere i massoni.

Il richiamo alla qualità oltre che al mondo profano, fu fatto, anche al mondo massonico per il pericolo che la quantità possa andare a detrimento della qualità e porti allo sfaldamento dei principi sostenuti dalla massoneria.

Purtroppo “La sete del numero supera quella della saggezza.”

Nel 1997 con l’allocuzione “Sulla possibilità di far camminare diritto un granchio” viene sottolineata la stupidità dell’uomo che crea uomini e alleanze, crea la guerra, poi modifica le alleanze per poter terminare la guerra . L’esempio cui si parla è riferito alla seconda guerra mondiale ma calza anche oggi poiché l’uomo continua da adulto i giochi del ragazzo non considerando che ai fucili con gli elastici si sono sostituite armi più micidiali.

..Invece i capi di stato, gli uomini pare non modifichino il loro modo di essere . Poco più di ventiquattro mesi mancano per conchiudere il XX secolo e sarebbe bene se ne traesse un consuntivo e della storia e della filosofia e dell’etica universale allo scopo di poterne utilizzare per il bene dell’umanità gli insegnamenti che fanno l’uomo diverso dalla pietra. Sulla scorta dell’esperienza tutto va sottoposto alla revisione critica: la cultura, la filosofia oggi così diversa nella sua essenza, la politica, le scienze della società, i rapporti tra le religioni e di queste con gli stati…così si esprimeva Giulio Mazzon nella sua balaustra…..premonizione?

La revisione da apportare, dato l’arsenale bellico e la sofisticazione delle armi, è di poter creare un UOMO NUOVO che scongiuri le guerre poiché pensa in maniera diversa dal suo predecessore. Un uomo che, uscito dall’eterno bambino, realizzi, finalmente, la sua essenza di uomo conscio di essere emanazione diretta di un ESSERE SUPERIORE e che, finalmente e senza ipocrisia, comprenda che chi gli sta accanto non è altro che lui stesso.

Le religioni in quanto religioni con la “i” finale hanno fallito.

Ogni religione, si è confrontata e si è opposta alle altre  acuendo le differenze e le discriminazioni e favorendo i settarismi.

Chi può formulare l’IDEA di UOMO NUOVO se non la massoneria?

Purtroppo  i fatti attuali sono l’esempio dimostrato che l’uomo non è cambiato.

1998: il G.M. non scrive balaustre ma incarica il G.Oratore e il II G.Sorvegliante di assisterlo e sostituirlo.

Il G.Oratore con la tavola “La piramide decapitata” si rivolge ai vertici della massoneria Italiana richiamandoli al rispetto delle tradizioni e non degli statuti e regolamenti; le prime hanno reso grande la Massoneria i secondi servono solo a dirimere le controversie condominiali. Le tradizioni e gli antichi doveri conferiscono sacralità ai nostri lavori dando saggezza al massone anche nella scelta o nella conferma di chi, avendo amministrato con saggezza tutta l’istituzione,  non debba essere allontanato solo per questioni di amministrazione condominiale e si debba conferire quel posto, tanto delicato nella rappresentatività, affidandolo ad un computo di pseudo alchimia elettorale che fa sortire ciò che offre la piazza compiendo grave errore morale.

Il II G. Sorvegliante con la tavola “Assoluto o relativo” affronta il problema delle religioni con la conseguente conclusione che l’intollerenza è , sempre, foriera di gravi sciagure se le religioni non sanno riconoscersi in un solo ed unico DIO. La pace nel mondo non la si troverà mai se esse non cesseranno di presupporre il proprio dio migliore dell’altro.

Si propone, in oltre, un nuovo rapporto tra massoneria e religione per il bene stesso dell’umanità: le religioni hanno fallito nell’ecumenismo degli uomini. La massoneria sollecita di non immischiare nella religione la disputa che di UN SOLO DIO ne genera TROPPI.

Sacro e uomo sono i temi di fondo per entrambi: perché non avviare il dialogo?

Queste tavole, ora settembre 2001, sono attuali sia in massoneria che nel mondo profano.

Dal 1998 l’attività del vertice è proseguita con il supporto della Loggia F.Nitti di Arezzo che ha fornito la base di appoggio per l’attività della gran Loggia. Pertanto ha  contributo per la realizzazione di convegni che non hanno dato minori risultati delle allocuzioni, specialmente nel significato morale, sia in ambito massonico che profano. Al solito la qualità e lo stile hanno dato i loro frutti e ci sono valsi riconoscimenti di stima e rispetto nei vari ambiti della vita profana.

Nel 1999 a Brescia viene presentato il volume VITA DI ARNALDO DA BRESCIA in copia anastatica.

Non è stata una esibizione letteraria, bensì il biglietto da visita al mondo clericale della Comunione dei Liberi Muratori.

È stata presentata ,in tale occasione, la nostra etica che ( vedi l’allocuzione del 1998 Assoluto o relativo) non ci vede detrattori della chiesa o anticlericali ma , come Arnaldo, moralisti e sostenitori di una vita adeguata ai dettami evangelici .

Arnaldo non è  Savonarola o  Giordano Bruno : non vogliamo il CAOS , cerchiamo il dialogo e, attraverso questo, migliorare l’uomo e l’umanità perché massoneria e religione non devono essere antitetiche. Arnaldo non è , certamente , massone ma è stato colui che richiamando la chiesa all’umiltà e ai suoi valori di base cercava di ridarle un volto più evangelico e meno legato ai vizi profani. La profanità non da  risposte all’uomo ma si serve dell’uomo. L’evangelismo ed ogni religione si dovrebbe curare dell’uomo e della sua spiritualità avvicinandolo, soddisfacendo le sue domande, alla grandezza dell’universo e al suo ideatore. 

E’ chiaro, osservando le immagini del Cd, che la massoneria, da Guadagnini in poi, ha avuto la sua importanza nell’esaltare la figura di Arnaldo da Brescia attraverso il ministro Zanardelli (massone) che ne volle il monumento e , infine, Giulio Mazzon che ne ha curato la ristampa anastatica per conto della CLM. ( Le ceneri di Arnaldo ancora sono nell’aria)

Arnaldo viene replicato anche alle Giubbe Rosse di Firenze.

In occasione della guerra nel Kossovo, nel nostro sito internet, vengono pubblicati due documenti riguardanti l’ONU.

Il primo riguarda la risoluzione ONU nr. 1199 del 1998 e l’altro un documento a firma Giulio Mazzon che , guarda caso, suggerisce una modifica alla sovranità degli stati per poter meglio governare la PACE. Nel 1999 veniva proposto dalla nostra Comunione ciò che, in ipotesi non remote, i governanti di oggi, alla luce di quanto accaduto, potrebbero prendere in considerazione per poter dare a tale organismo un effettivo potere e togliere, ad ogni stato, la possibilità di vendetta personale o di guerra potenzialmente allargata con il gioco delle alleanze.

Si eviterebbero le guerre di religione e tribali.

“2000” anno del nuovo millennio e del vecchio contemporaneamente : la comunione tramite un poema antico  ( Gilgamesh ) manda un messaggio al mondo cattolico e laico per la riscoperta dell’uomo .

Un messaggio per evitare l’autodistruzione; un messaggio per sottolineare che l’uomo deve solo stare attento a se stesso .

Un ulteriore richiamo alla ricerca dell’uomo del terzo millennio che non rinneghi il suo passato ma che proprio sulla cultura del passato possa assistere alla sua rinascita come uomo migliore. L’uomo ” EONE decaduto” deve prendere coscienza della sua appartenenza all’universo: uomo e cosmo si identificano come uomo e DIO. Solo attraverso questa presa di coscienza potrà avvenire la sua rinascita e l’affrancatura da ogni vizio. Non ci può essere  l’intervento EX MACHINA che riporta tutto all’ordine: l’uomo è artefice di se stesso e tutto ciò che accade egli stesso ne è causa. Anche gli errori delle religioni sono colpa dell’uomo :

il sacro ha solo una faccia ma l’uomo cerca sempre di riscolpirla!

Sullo stesso tema è un CD dedicato all’eccidio delle fosse Ardeatine elaborazione di un’ opera di Giulio Mazzon .

Tale Cd fu costruito in occasione dell’uscita dell’opera di Arnaldo da Brescia.

Un cd dedicato alla memoria degli uomini ed in onore dei massoni caduti nelle guerre:  solo per ricordare e non ricadere nei medesimi errori .(Crudeltà ed inutilità delle guerre).

L’opera , alquanto lunga ,va ascoltata ma soprattutto compresa nella grafica: ad un massone non sfuggono i messaggi.

Poiché massoni  non abbiamo taciuto di fronte a ciò che , secondo la tradizione , ci sembrava errato anche se compiuto dalla più importante istituzione massonica Italiana. Così nel 2000, in seguito alle delibere della Gran Loggia del G.O.I., la nostra Comunione ha preso posizione.

Posizione ribadita in una Tornata di conferenza in Arezzo .

I massoni portano avanti le idee anche a caro prezzo.

OGGI

Le Twin Towers sono crollate , non per colpa di eventi naturali, ma per mano dell’uomo . Nessuno , per crimini così nefandi, può invocare il nome di DIO.

E’ in atto una guerra dove, parafrasando un brano del saggio di Ghilgamesh, non vengono distrutte le pietre ma l’uomo. Si rischia un conflitto allargato per motivi religiosi. L’ennesima guerra di religione.

Non si sono spenti gli echi della guerra dei Balcani ( sempre guerra di religione) che un altro focolaio si è acceso in Afganistan.

 Dio non c’entra con le stupidità criminali degli uomini. Ciò che raccapriccia di più è che, l’uomo, pretende di difenderlo  atteggiandosi a di Lui paladino come DIO se avesse bisogno di un tutore.

L’umanità è stupida o , veramente, siamo stati creati per alleviare la noia degli dei?

Solo in questo caso quello  che sta avvenendo  si capisce, ma è stupido.

Le religioni che declamano il proprio dio fontedi saggezza e bontà dove sono?

 C’è da chiedersi se le religioni siano un mezzo per il potere o una dottrina di vita, una esaltazione di dio o dell’uomo. La sacralità delle cose dove è finita? che cosa è “sacro” al nostro tempo? Le clamidi bianche non dovrebbero macchiarsi del sangue dell’umanità !!

Ogni guerra è un abominio dell’uomo, peggio se ci coinvolgiamo DIO. Bisogna evitare che DIO venga indicato dalle lettere maiuscole se è il nostro, con le minuscole se è degli altri. Ma quanti dei abbiamo in questo piccolo mondo e quanti dei abbiamo nelle ancor più piccole nostre teste?

 Sarebbe già molto se le principali religioni monoteistiche si esprimessero  con una sola voce in nome di ABRAMO e del suo DIO. 

L’anticristo, forse, è rappresentato dalle religioni attuali che non si tollerano, non dialogano, negano le proprie radici storiche e genetiche mentre noi , poveri fedeli,  ne siamo vittime in nome di DIO.

Arnaldo aveva ragione, S.Francesco aveva ragione, la massoneria ha ragione.

Arnaldo e S.Francesco sono passati, la massoneria , anche se al momento assopita, c’è sempre. Non abbiamo forse cambiato il nome di DIO con GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO proprio per sconfessare gli equivoci delle religioni? Non abbiamo forse NOI messo al centro di tutto il GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO?

Il mondo necessita di una nuova rivoluzione !

Una rivoluzione non di sangue ma di cultura. Siamo sull’orlo dei sei miliardi di esseri e questa nostra piccola terra ci sta stretta; la caduta del muro di Berlino ha frazionato le repubbliche sovietiche e ha liberato da un giogo vessatorio decine di stati che rischiano il tracollo economico e culturale per la mancanza di abitudine alla democrazia e alla libertà. Se prima esisteva un controllo centrale , seppur negativo, tale controllo, con terrore, moderava gli aspetti tribali di tali stati che volenti o nolenti , ricevendo il pane quotidiano dallo stato, non si dovevano curare né dell’indispensabile né del superfluo ( non sapendo che cosa fosse). Adesso, liberi, tali paesi hanno riacceso i contrasti e le rivalità etniche e, quindi, religiose e tribali. La cupidigia del potere si è riaccesa.

La Rinuncia alla sovranità nei confronti  della libertà e della pace, a favore di una istituzione “garantista” sovranazionale, dovrebbe essere la premessa necessaria di ogni stato che voglia la propria identità culturale.

C’è la “cultura della non cultura”.Più esiste ignoranza più è facile governare gli ignoranti.

Si è dissolto il concetto “sacro” di famiglia che ha costituito , da sempre, il primo elemento della società civile, di aggregazione umana, dove i caratteri, per una pacifica e duratura convivenza, si modellano, vicendevolmente, l’uno per l’altro.

La morale  e l’etica familiare sono perse fino all’estreme conseguenze ( ne abbiamo d’esempi dalla cronaca quotidiana). 

La democrazia non è anarchia.

La violenza è il fallimento della politica.

L’umanità ancora viaggia con la ruota e si scalda con il fuoco, non vi è una alternativa e la scienza seppur progredita si è solo affinata e tecnologizzata.

Il mondo si è evoluto sotto la spinta della scienza, i media portano informazione in tutte le case, in ogni casa occidentale vi è il superfluo ma tutto questo non è evoluzione .

La scienza migliora il nostro vivere ma se dietro  ad essa non vi è la cultura a moderarla e a governarla essa diventa un mezzo di potere in mano di chi la offre e un’arma contro l’umanità stessa. Gli esempi sono molti : dal genoma alla clonazione, dall’atomo alle particelle subatomiche. Scoperte grandiose ma da controllare e temere perchè, appunto, non controllabili negli usi futuri in mano all’uomo che, del suo progenitore dei secoli scorsi, ha solo migliorato l’aspetto esteriore sacrificando l’etica del vivere senza alcuna morale di fondo.

 I media fanno di noi solo dei saccenti e presuntuosi se non sappiamo filtrare le informazioni: nessuno può diventare medico o ingegnere con le trasmissioni televisive o i giornali. Sembrerebbe vero il contrario perché ognuno di noi si sente in dovere di arringare il prossimo in argomenti che non gli competono. Il benessere che ci avvolge non ci coinvolge in questi problemi ci rende solo passivi come  cittadini di un impero in decadenza che , oggi come allora l’impero romano , permise il nascere di nuovo potere basato solo sulla non conoscenza altrui e sulla superstizione.

L’Impero Romano fu tale nel periodo in cui governò le religioni dell’epoca attraverso il Pontefice Massimo. ( da non confondersi con il Pontefice Cattolico)

Si parla di bene e  amore  di pace e serenità come se fossero queste le forze che muovono l’umanità. Dovrebbe essere così!

Un precetto recita: Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. C’é un errore di fondo: come è esposto indica un possibile atteggiamento passivo e rinunciatario da chi lo applica. E’ passivo non attivo.

SBAGLIATO!!

Se invece lo rendiamo attivo nel senso: Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te , le cose cambiano : diviene un comandamento attivo che obbliga l’umanità , ovvero l’uomo, ad essere partecipe e soggetto attivo nei confronti del prossimo. Allora , di conseguenza, un altro comandamento che recita: Ama il prossimo tuo come te stesso.

 Attualmente  l’odio muove il tutto.

Odio per tutto ciò che non è nostro modello, odio per tutto ciò che non è uguale a noi. Arroganza e non tolleranza si insegna ai bambini delle scuole mussulmane e di quelle ebraiche per rinnovare l’astio e la diversità . Si bombardano le scuole perché la paura fomenti l’odio. E’ solo un esempio ciò che accade in Palestina ma che, in maniera più o meno  subliminale ,accade, nel resto del mondo dove , attraverso la paura si tiene alto l’odio e il rancore per non abbassare la guardia . Contro chi se non contro noi stessi?

L’odio è l’anticristo, concetto mutuato dalla cultura cristiana, ed egli attualmente , è in ogni uomo che ha paura del proprio simile.

La paura genera diffidenza questa a sua volta dubbio , intolleranza ed odio. La ricetta è completa.

***

Il Gran Maestro del G.O.I.  ha scritto che la cultura è “l’essenza nel divenire” forse doveva dire “del divenire”: siamo la continuità del ieri, siamo figli della nostra storia e del nostro passato. Le nostre stesse esperienze fanno cultura: basandoci su questa svolgiamo il futuro.

Siamo futuro e passato nello stesso momento che viviamo l’oggi.

Siamo un continuo divenire perché viviamo e il futuro lo costruiamo oggi sulle basi di ieri in maniera continua.

L’uomo è detentore del suo passato  delle sue tradizioni . Spesso rinnega il tutto : ciò non è bene perché un uomo senza storia non esiste è  senza futuro e pieno di domande senza risposta.

 Nel passato le religioni facevano da monito all’uomo ricordandogli le sue origini e fornendogli le risposte ai dubbi nascenti. Le religioni hanno fallito. E’ rimasta la massoneria che  adesso deve raccogliere le proprie forze , rinascere come l’Araba Fenice e aiutare l’attuale povera umanità.

chiusura  

La non conoscenza ha portato, spesso, a criticare o a dare giudizi avventati sui  fatti che hanno stretto collegamento con la realtà che non conosciamo. Prese di posizione talvolta errate e infondate soprattutto quando si ha come oggetto la conoscenza della massoneria, che comporta obbedienza  o , almeno, il rispetto dei compiti svolti da ogni livello. Compiti che non sono a danno di nessuno ma solo per il bene della istituzione e per il progresso dell’umanità.

Nel terzo millennio si sta assistendo ad una caduta dei valori. L’uomo non ha certezze dal  suo simile. Le religioni non sono in grado di soddisfare le sue domande, la scienza progredisce in maniera vertiginosa confondendo l’etica con il senso comune. L’ umanità corre il rischio di non più riconoscere  l’etica del vivere in armonia. L’intolleranza e l’uso della tecnologia sfuggono le finalità del  potere e riportano l’uomo alla bestialità e all’ irrazionalità  degna solo di una società tribale.

Un terzo del mondo non ha più DIO come riferimento ma si affida a maghi e chiromanti. La new age e lo SCIAMANESIMO derivano il loro successo dalla insicurezza dell’umanità.

La massoneria viene coinvolta  dalla sventura del mondo e trova, così, l’origine della sua crisi istituzionale. C’è bisogno adesso più che mai di una massoneria consapevole del suo ruolo, non forte per il numero di uomini ma di idee per restituire all’umanità l’idea dell’uomo al servizio del terzo millennio. Rinnovato nei suoi valori , fortificato dalla tradizione, libero e universalmente votato al miglioramento anche di se stesso.

Come? Dove? Nelle officine dove la squadra e il compasso abbinati nei vari gradi,  sono gli unici strumenti per affrontare il mondo e  il logo AGDGADU.

Questa breve cronistoria commentata, spero, diradi la nebbia e le incertezze di quelli che non sanno dove andare.

Questo non è il  tutto che ,con modestia e umiltà, la nostra Comunione ha saputo produrre.

                                     Grazie a tutti i Fratelli

                                                                                                                  fr. Armando Bonelli

Pubblicato in Concorso letterario, Lavori di Loggia | Lascia un commento