RIFLESSIONI TRA IDEA
E REALTA’ (PENSIERO ED ESORTAZIONE)
di F.A., Primo Sorvegliante,
Volendo in
qualche modo identificare un’Idea della Massoneria che possa essere
unanimemente accettata bisognerebbe chiamarla ‘dogma’,anche se la Massoneria è
priva di dogmi, in quanto l’Idea/Dogma è il credere che sia urgentemente
necessario che la società progredisca nello sviluppo morale e che ne sia
capace. Questo sviluppo non è visto dalla Massoneria in associazione al
progresso sociale e nemmeno al progresso della tecnica e
dell’industrializzazione. Si sa bene, al contrario, che l’evolversi della
società industriale moderna arreca alla natura ed alla qualità della vita danni
imprevedibili ed a volte anche irreversibili.
La causa di
ciò non risiede negli strumenti tecnici per se stessi ma soltanto nel modo di
comportarsi degli uomini stessi. Le costrizioni poste dall’economia si
scontrano con la consapevolezza della responsabilità di ciascuno. Allora
bisogna che ognuno sia quanto mai preparato ed allo stesso tempo la società e
quindi lo Stato devono vegliare affinché la mancanza di responsabilità di
singole persone non abbia come conseguenza un pericolo per tutti.
Giungiamo
quindi nuovamente e con maggiore intensità di prima a porre l’accento sulla
necessità che coloro cui è affidata la responsabilità debbano essere uomini di
elevata integrità morale e di qualità.
Ebbene la
Massoneria interviene là dove crede di poter ottenere dei risultati e
precisamente sul progresso morale del singolo individuo partendo dal
presupposto dell’uguaglianza originaria di tutti gli uomini, dal riconoscimento
del diritto di ognuno di vivere secondo il proprio fine, libero da costrizioni
esterne, in una società responsabile del benessere di tutti.
Questa è certamente, per quanto incompleta, la riscrittura dei principi
fondamentali del 1789: LIBERTA’, FRATELLANZA, UGUAGLIANZA.
L’assolutismo
illuminato del XVIII secolo, mentre aveva reso più aperti gli schemi sociali
tradizionali non aveva però fatto scomparire questi vincoli e dal momento che
lo scopo della Massoneria era il superamento di questi ostacoli, essa divenne
una forza emancipatrice che servi’ ad aprire la strada allo Stato moderno.
Questa
spinta socio-politica si esauri’ progressivamente con l’affermarsi dello Stato
di diritto però, il compito di raggiungere il superamento delle divisioni delle
più diverse specie esistenti tra gli uomini non è divenuto ancora superfluo
oggi. Al contrario si notano proprio nelle civiltà occidentali, specie nella
politica, mancanza di pacatezza e preoccupazioni esagerate che dipenderebbero
da insicurezza e dal turbamento della propria identità.
Non possiamo
in questo scritto entrare in particolari, ma è un dato di fatto e sarebbe
oltremodo auspicabile se le contese che avvengono in campo politico, senza
voler sminuire le divergenze di opinioni, venissero condotte con lo stile del
reciproco rispetto.
La
Massoneria è sempre riuscita ad accomunare tra loro uomini di differenti
confessioni, di convinzioni politiche divergenti e di diversa provenienza
sociale; essa educa i suoi affiliati a giudicare gli altri non secondo le loro
opinioni ma secondo il loro comportamento.
E’ in questo che la Massoneria crede di poter esercitare la propria influenza
positiva. E’ per questo che vengono formulate le precise istanze morali e che
al massone ne viene raccomandata l’osservanza con estrema energia.
Al di sopra
di tutto vi è il rilievo dato alla Fratellanza che deve essere praticata verso
tutti gli uomini e che non è pensabile senza la Tolleranza. Non si vuole con
questo intendere la pura e semplice ammissione della vanità delle convinzioni
altrui, si intende bensi’ il rispetto nei confronti del diritto altrui di
costruire in modo autonomo i propri pensieri e di poterli esporre indisturbati.
Altre virtù come la sincerità verso se stessi e verso gli altri, la tenacia e
la diligenza, la pazienza, la lealtà, la premurosità, la puntualità, ecc
vengono incoraggiate secondo l’importanza che hanno nelle sfere che loro
competono.
Insomma
possiamo dire che queste sono l’espressione della saggezza della vita.
Il loro
orientamento, proveniente dalle norme etiche, non riguarda però solamente la
convivenza degli uomini tra di loro. Viene infatti attribuita una cosi’ grande
importanza al lavoro dell’uomo su se stesso che a colui che desidera diventare
massone si chiede di ”aspirare con tutta la forza del desiderio al proprio
perfezionamento in quanto uomo”.
In che consista questo perfezionamento può essere detto che ”Scopo della
Massoneria è la trasformazione dell’interiorità ed il raggiungimento della
piena espressione spirituale dell’uomo” e ciò nonostante si chieda
all’affiliato di integrarsi nella Istituzione senza negargli in alcun modo i
suoi diritti
Nel
sodalizio massonico le diversità individuali non vengono annullate ma superate
!
Fichte ha
descritto il massone ideale in questo modo:
”La sua
mente è limpida e libera da pregiudizi… Domina il mondo delle idee e sovrasta
per quanto possibile l’area dell’umana verità…E’ eretto, severo con se stesso,
si astiene dal dare esteriormente benché minimamente a vedere la sua virtù… Il
sentimento dominante verso le debolezze del prossimo è di benevolo
rincrescimento, mai di indignazione iraconda…”
Se si
riflette sulle istanze morali poste al massone si constata che non vi è nulla
che non sia già un postulato ovvio per ogni uomo di buon senso. Se poi si
prende atto che mancando una dottrina di fede e qualsiasi precetto ideologico
di verità, si riceve l’impressione che non si possa proprio parlare di una Idea
massonica autonoma.
Tutti coloro che si sono occupati da profani di Massoneria hanno sempre avuto
questa impressione e quindi ogni volta si sono esercitati nel tentativo di
supporre che, dietro, dovesse pur esserci qualcosa di nascosto che
giustificasse la saldezza dei vincoli e la forza vitale della nostra Società.
E in realtà
i motivi ci sono. Ci si imbatte nel punto centrale del fenomeno se si volge
l’attenzione proprio a quelle singolarità che suscitano le critiche di tutti
gli altri.
Si pone
allora la domanda su che cosa compiano in concreto i massoni. Che effetto
producono le belle istanze morali ? Come può un uomo istruito provare la
necessità di unirsi a questo sodalizio le cui massime sono cosi’ ovvie e valide
in generale ?
Il punto
determinante è che non basta riconoscere che i valori morali sono fondati e
auspicabili. Per regolare la propria vita in loro conformità occorre
risolutezza e la forza di volontà per seguirli. Il controllo della propria
debolezza, dei difetti, degli errori non è che si possa raggiungere compiendo
una sola azione isolata. Occorre esercizio e fortificazione costante.
Per ottenere
questo risultato lo strumento dei massoni è il loro sodalizio fraterno. Essi
sono convinti che sia più agevole osservare i precetti morali se ognuno si trova
immerso in una compatta comunità di uomini che tendono al medesimo scopo.
Questo sforzo collettivo crea già di per sé una forte sensazione che rende più
facile sopportare le difficoltà.
Ma il fine
soltanto non dà ragione della coesione del sodalizio massonico. Gli uomini che
si riuniscono nella Istituzione sono effettivamente assai diversi l’uno
dall’altro. E’ per loro naturale che l’interiorità di ciascuno si esprima del
tutto liberamente. Questa predisposizione, nella società profana, porta l’uomo a
trovarsi solo con il suo isolamento. L’Istituzione massonica annulla questo
isolamento e conduce gli uomini a riunirsi in fiduciosa amicizia. Il vero
segreto della Massoneria è saper trasformare degli estranei in amici.
Questo
potere non è di natura teorica cioè tale che basta esserne semplicemente
informati per poterne disporre. E’ piuttosto una consuetudine pratica, un
esercizio, è il Rito, è il costume massonico.
Le comunità
non vengono motivate altrettanto intensamente se non ci sono le consuetudini
che vengono tramandate da tutti nel loro interno. Non sono solo le idee che
creano un legame duraturo tra gli uomini ma esse hanno anche bisogno delle
”forme”.
Ricordiamo
quale valore avevano nella nostra giovinezza le tradizioni della famiglia ed i
riti praticati nelle ricorrenze più importanti. Anche per l’adulto rimane
significativa quella scansione dell’anno che queste consuetudine segnavano.
Le usanze
religiose o di impronta religiosa, nella vita dell’uomo moderno occidentale,
non rivestono quasi più alcun significato. Si pensi tuttavia con quale rigore
molti ebrei non ortodossi osservino le usanze delle ricorrenze solenni e quale
importanza ha ancora oggi per la sopravvivenza del popolo ebraico, nella
diaspora, il rito religioso in generale.
Il rito è per sua natura una rappresentazione. Consiste nel compiere azioni che
non sono destinate ad uno scopo concreto ma alle quali si attribuisce un
significato particolare. Ciò che effettivamente accade è assunto a simbolo di
un avvenimento interiore.
La Massoneria
è l’unica manifestazione rituale durevole apparsa nella cultura della moderna
società, l’unica comunità, che tenga conto consapevolmente dei limiti della
ragione e della sensibilità.
Gran parte
delle forme rituali praticate dalla Massoneria non sono una sua creazione ma le
sono state trasmesse dai costruttori medievali e dalle Gilde degli scalpellini.
Il merito della Massoneria sta nell’averle rielaborate in forma di modalità
rituali.
La
Massoneria moderna ebbe inizio quando si comprese che le operazioni proprie del
mestiere dei costruttori artigiani potevano essere interpretate in modo
equivalente.
La ritualità
massonica non produce effetti magici ma psichici, estetici, etici. Essa attinge
a tutto il patrimonio culturale dell’Occidente e motiva il massone ad aprirsi,
ad elaboralo ed a farlo fruttificare per dare senso alla propria vita e poterla
costruire. L’interpretazione dell’ azione simbolica è molteplice, anzi i
tentativi di interpretazione personali sono auspicabili e degni di rispetto.
Per chiarire
questo punto vorrei richiamarmi ad uno dei simboli più significativi: la
Bibbia, che nel rituale massonico è chiamata il Libro Sacro.
Dal punto di
vista storico la cerimonia dell’Iniziazione è l’esperienza rituale centrale
entro la nostra Istituzione e di gran lunga la più eminente il cui punto focale
risiede nel solenne pronunciamento di una promessa. Per conferirle maggiore
intensità si fece ricorso alla potenza evocatrice del Libro Sacro precisamente
con lo stesso significato con cui ancora oggi i presidenti degli Stati Uniti
conferiscono maggior vigore al loro giuramento stendendo la mano sulla Bibbia.
Si cadrebbe
tuttavia in un equivoco sostanziale se si ponesse in relazione il contenuto
della Scrittura Sacra con il simbolo che rappresenta in Massoneria. Si tratta
solamente di un simbolo che allude alla relazione tra l’uomo e la Divinità e
non di un riferimento ad espressioni specifiche contenute nel Libro che di
volta in volta può essere impiegato (Bibbia, Corano, ecc).
Si può
chiarire il senso riposto del rito massonico mediante un paragone: gli atti
sacramentali della chiesa hanno come obiettivo l’unione cioè il congiungimento
con il Cristo. L’obiettivo del rito massonico è invece l’unione degli uomini
tra loro. E’ dubbio che un avvenimento di questo tipo abbia carattere
religioso. Irrazionale e misterioso comunque lo è !
Il profano
non può immaginare quale incanto avvincente emani dall’intimità di un evento
che accade in un luogo nascosto. Dal luogo nascosto proviene la sensazione di
trovarsi al sicuro e quella intimità trasmette la sensazione di trovarsi nella
propria casa.
Forse
ricorderete quello che provavate da bambini quando vi veniva confidato un
segreto o quando voi ne affidavate uno ad un altro. Del tutto simile è il
fascino che si diffonde dal chiuso dei nostri Templi. Il mantenimento di un
segreto poi è anche un esercizio di auto disciplina.
Vi è anche
un’altra importante considerazione. Il senso degli attuali rituali in
Massoneria trova la sua espressione sostanziale nella cerimonia di Iniziazione
che significa l’inserimento nella comunità di colui che ne è fuori e ne è
estraneo. L’ingresso del profano nel gruppo, il cui istinto naturale sarebbe la
difesa verso il nuovo venuto, avviene invece con la sollecitudine di tutti e il
nuovo arrivato è visto come un essere appena giunto alla luce, un essere che
sperimenta la propria nascita.
Non è vero
che la realtà massonica sia in se stessa di poco conto. Assolutamente no! Vi è
profusione di esperienze che colmano di gioia. Vi si incontrano di continuo
uomini che con impegno encomiabile lavorano per il progresso delle loro piccole
comunità.
Per loro
esperienza i massoni hanno raggiunto la consapevolezza che, affinché una
società di uomini possa essere fondata solidamente, debba essere dotata di atti
formali cui affidarsi, ove gli ideali etici della comunità trovino espressione
tangibile attraverso i sensi, ove parole elementari e gravi pronunciate più
volte e con intensità, ove associazioni collegate a simboli semplici e quanto
mai comuni possano risvegliare in uomini razionali, preparati opportunamente e
volonterosi, percezioni durevoli.
Le cose che ci circondano, senza luce, sono soltanto
ostacoli pericolosi ed ostili; con essa il mondo prende forma ed ordine,
diventa il cosmo regolato da leggi; per coglier questo non c’è bisogno di
filosofia, ma basta l’esperienza quotidiana di ogni uomo, a qualunque cultura
appartenga. La luce è intangibile ma presente, ritorna ogni giorno ed è
inspiegabile nell’origine; da ciò, facile illazione nella mentalità pre-logica
che la luce è manifestazione visibile nel mondo degli uomini e delle cose,
della realtà divina ultraterrena senza forma e adimensionale; la luce dunque è
il tramite tra la sfera celeste e quella sublunare, la luce dunque accompagna
ogni teofania 1. Chiave di volta delle concezioni che vedono come realtà
cosmica essenziale la luce, è la contrapposizione del mondo delle tenebre a
quello luminoso, con due equazioni, luce-bene-vita, tenebre-male-morte.
Così, nella dottrina manichea, l’elemento caratteristico
dell’essere supremo è appunto la luce, concepita come sostanza dell’essere
divino. Tale sostanza luminosa, diversa dall’intelletto e dalla materialità, è
espressione di Dio, “padre della luce beata” e in quanto tale,
signore del regno della Luce. Ma questo regno, fatto di terra-luce e di
etere-luce, si identifica, nella sua essenza, con la stessa suprema divinità,
poiché esso, corpo della divinità, non è stato creato da Dio, ma è assoluto e
coesistente con esso dall’eternità, è espressione della sua essenza. Se una
singola parte del regno della Luce fosse nata o fosse stata creata in un dato
momento, il regno della luce non potrebbe aspirare a essere assoluto. Il regno
della luce non potrebbe aspirare a essere assoluto.
Il regno della Luce è illimitato da tre lati: a nord, a est
e a ovest. A sud, invece, la Luce si scontra con l’Oscurità, cosicché qui la
sfera di potenza del “Padre della Grandezza”, come lo chiama Mani, e
l’armonia più perfetta. Le condizioni del regno delle Tenebre sono in forte
contrasto con la pace che domina nel regno della Luce. Gli abitanti del mondo
della Materia si scontrano, si spingono l’un l’altro, corrono pazzamente
intorno. Nel suo moto vorticoso, il popolo delle Tenebre arriva, ad un certo
momento, al limite superiore, dove l’oscurità confina con la luce. Guardando in
alto, verso il mondo della Luce, il principe delle Tenebre e il suo popolo
vengono presi da un violento desiderio di questo splendido regno e, abbandonati
i loro contrasti, si consigliano sul modo di diventar partecipi della luce, di
mescolarsi con la luce. I tenebrosi irrompono dal basso nel regno della Luce,
così il re e padre della Luce deve difendere se stesso e il regno uscendo dal
maestoso “riposo in se stesso” e dalla compiutezza del suo essere,
passando da una esistenza contemplativa ad una esistenza attiva 2.
I miti poetici che si sviluppano su questa trama sono
numerosi e ispirati, ma interessa comparatisticamente con il nostro tema l’idea
dei due regni, dell’aggressione delle tenebre, della corrispondenza
luce-bontà-essere.
Lasciando le accennate fantasmagorie del manicheismo e
tacendo quelle complesse ed elaboratissime dell’emanazionismo gnostico
ellenistico, ricorderò un esempio dal cuore della Palestina 3. Nella comunità
di Qumran, quella conosciuta dai manoscritti del Mar Morto 4, la luce e la
tenebra sono personificate: la creazione è realizzata attraverso due spiriti,
quello della luce e quello del buio; su di essi è fondata ogni opera (Manuale
di disciplina, 3, 25). Naturalmente questi due spiriti opereranno finché non
verrà il tempo della visitazione di Dio. Il Principe della luce e l’Angelo
delle tenebre, tendono a realizzare rispettivamente la giustizia-verità e
l’errore-menzogna. L’Angelo delle tenebre insidia i figli della luce per
portarli a distruzione. Tenebre e luce vengono così personificati, ma le
denominazioni di prìncipe e di angelo, salva forse il principio monoteistico,
senza aprirsi al panteismo gnostico.
Si può dire, semplificando, che la concezione cabalistica
della luce si trova tra queste due estreme posizioni, ma ha caratteristiche di
forte originalità. L’immagine bipolare luce/buio è chiave del cosmo nella
speculazione cabalistica 5. Secondo la dottrina della Cabala, l’irraggiamento
luminoso ha creato l’estensione, ha creato la dimensione terrena, operando come
vibrazione ordinatrice del caos.
D’altronde, nel mondo ebraico-cristiano, la luce è
all’origine del mondo e delle sue vicende. La genesi segna l’inizio dell’ordine
del mondo con il fiat lux. L’apparizione della luce in apertura del Vangelo di
San Giovanni, annuncia il verbo 6. La potenza creatrice precedentemente
nascosta nella notte dell’inconoscibile si manifesta con il comando divino che
separa la luce dall’ombra, originariamente confuse, l’epifania messianica si
realizza con la luce, come la potenza divina viene espressa attraverso il
potere di dominare la luce, il volto di Mosè ispirato emana una luce
insostenibile, e così via.
Nella Genesi confluiscono diverse narrazioni dell’origine
del Cosmo. Quella che più ci interessa è la narrazione del cosiddetto documento
sacerdotale poiché in essa protagonista della creazione è appunto la luce:
All’inizio Eloim
creò il cielo e la terra e la terra era deserta e vuota e le tenebre si
stendevano sull’abisso e il soffio di Eloim planava sulle acque. Eloim disse
allora “che vi sia la luce” e la luce fu. Eloim constatò che la luce
era cosa buona, Eloim poi separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno
e le tenebre notte. Si ebbe una sera, poi il mattino: primo giorno.
Eloim disse
“che vi siano delle luci sulla volta del cielo per separare il giorno
dalla notte e per servire di segno alle feste, ai giorni e agli anni e che
dalla volta del cielo i luminari rischiarino la terra”, Eloim pose in
essere i due luminari, il più grande per il giorno, il più piccolo per la notte
e poi le stelle. Eloim li distribuì sulla volta del cielo in modo tale da
rischiarare la terra per comandare il giorno e la notte e per separare la luce
dalle tenebre. Eloim constatò che era buona cosa. Si ebbe così un giorno ed un
nuovo mattino: quarto giorno.
Nel discorso incomparabile per grandiosità nel quale Jahvé
parla a Giobbe (Gb 38, lsgg.), la luce ritorna come protagonista, segno e
frutto della potenza inarrivabile di Dio:
hai mai dato tu
ordine al mattino, hai mai fatto conoscere all’aurora il suo posto perché
impugni le frange del mondo, ne scuota i cattivi quando tutto divenne come la
rossa argilla che si tinge come un pezzo di stoffa quando ai cattivi viene
ritirata la luce e il braccio che minaccia, fermato? Hai visto le porte
dell’ombra? Da quale lato abita la luce e le tenebre dove risiedono, perché tu
le riconduca presso di loro e tu sappia il sentiero della loro casa? 7
Arcobaleno, tra luce
ed estensione
La luce si manifesta come luce raggiante, splendore,
luminosità, biancore, lucore, balenio, scintillio; si diffrange nei colori. La
luce, in quanto dà potere di vedere, assegna anche il potere di agire, poiché
senza luce c’è soltanto incomposto movimento, non azione. Essa si manifesta
attraverso entità-forme particolari come l’arcobaleno che è sostanziato di
luce, ma per dir così gode già di certe caratteristiche delle cose materiali.
Esso è strutturato e diviso in parti luminose diverse, è già del mondo della
molteplicità, insomma. Appunto per questo l’arco celeste è un ponte tra la luce
come espressione immediata, manifestazione visibile del mondo adimensionale
informale e il mondo terreno fatto di materia estesa non penetrabile, non
trasparente, di cose pesanti. Traccia di questa speciale realtà dell’arcobaleno
sospesa tra luce e materia, è presente nel folklore: si formano diamanti e
perle là dove poggia l’arco del cielo, anello di giunzione tra materia volgare
e pesante e realtà celeste, secondo questo schema, che ha poi valore
iniziatico:
En sof
Luce arcobaleno perle materialità
Nella Bibbia l’arcobaleno rappresenta il ponte di salvezza:
le intemperie del mondo sublunare non romperanno mai il patto di sopravvivenza
che Dio vuole con l’uomo dopo il diluvio (Gn 9, 9_17): è il segno del ritorno
dalla luce solo offuscata dalla tempesta, è la strada di luce solo offuscata quale
Dio riversa di nuovo la sua luce sul mondo degli uomini, dopo la tempesta che
ha ridato libertà sia pur limitata alle forze cieche (non per traslato, nel
racconto! cieche perché non vedono, perché non contro la luce) del caos, delle
acque spesse e soffocanti.
Proprio in quanto ponte tra Dio e l’uomo, l’arcobaleno
simbolizza le prove della via iniziatica, quando l’iniziato si avventura a
ripercorrere verso l’alto le linee di irradiazione, che si manifestano
nell’arcobaleno: anche nella tradizione cabalistica è segno e via per la
risalita verso Dio 8. Esso per l’uomo è un ponte stretto e pericoloso, come
ogni passaggio che conduce dal greve al lieve, dalla materia ottusa e non
trasparente (carente di luce) allo spirito, che non si frappone allo sguardo, ed
è pertanto luminosità.
Dallo Zohar
Il cuore della Cabala è certamente il libro dello splendore,
Zohar (splendore, irraggiamento) libro di segreta saggezza 9, per certi aspetti
inaccessibile, che ha esercitato una immensa influenza sul pensiero ebraico e
di riflesso su tutta la meditazione occidentale sui grandi problemi.
“Sotto la superficie dei simboli mistici dello Zohar, i cabalisti hanno
visto pulsare la vita nascosta del mondo e hanno sentito di avvicinarsi alla
verità totale e profonda dell’essere” 10.
Il Libro dello splendore presenta e manifesta le idee
mistiche e gnostiche della Cabala. Essa lascia da parte la filosofia intesa in
senso razionalistico e realizza – senza abbandonare il richiamo costante alle
fonti tradizionali bibliche, sia pure interpretate spesso in modo assai lontano
dalla lettera – una visione del mondo che è madre di meraviglia, poiché anche
il pensatore meno recettivo d’una cosmologia per grandi immagini, più legato ai
concetti definitori e all’analisi razionale, coglie la ricchezza profonda del
messaggio espresso attraverso immagini, richiami, evocazioni, colori.
E la luce inonda l’intero libro, in quanto protagonista
della storia cosmica:
All’inizio quando
si manifestò la volontà del Re, egli pose alcuni segni nella sfera celeste; nel
ricettacolo più segreto la scura fiamma si levò dal mistero di en sof infinito
come un vapore che si forma dall’adimensionale senza forma, racchiusa
nell’anello di questa sfera, né bianca né nera, né rossa, né verde, né di alcun
altro colore. Quando la fiamma cominciò a prendere ampiezza produsse colori
irraggianti. Dal centro più segreto della fiamma nacque una polla nascosta nel
segreto di en sof, e ne uscirono colori che si diffusero su tutto quello che vi
era al di sotto.
La polla zampillò
ma senza attraversare l’etere della sfera. Essa non poteva essere conosciuta
prima che un punto supremo e segreto avesse fatto espandere la sua luce sotto
l’azione dell’ultima frattura 11. Al di là di quel punto non si può conoscere
nulla, perciò esso è chiamato “inizio”, ed è la prima delle dieci
parole con le quali fu creato l’universo.
L’inizio Gn 1,1, dunque è luce incolore, vibrazione pura
dell’essere, fatta di visibilità, di percepibilità che resta nascosta, finché
misteriosamente non viene superata la sfera dell’en sof. La manifestazione
della luce è rappresentata dalla mandorla che racchiude la persona divina e che
irradia una vibrazione di raggi luminosi attorno a sé. Nella creazione ebraica,
la mandorla è un punto ed è il nocciolo dell’immortalità. La luce poi prende
caratteristiche particolari nella tradizione ebraica e non soltanto in quella e
non soltanto nella cabala.
Il palazzo di luce
Il centro d’origine è un punto, cioè una realtà che anche
secondo la geometria elementare è qui, ma non ha dimensioni. Attorno ad esso si
svolgono come veli avvolgenti succedentisi, strati di luce sempre più spessa
fino a concretizzarsi in materia: la luce più segreta (di una diafanità, di una
delicatezza, di una purezza al di là di ogni concepibilità umana), espandendosi
dal punto centrale diviene un palazzo di luce, quasi un involucro del centro.
Anch’esso è traslucido ed irraggiante al di là di ogni possibilità di
conoscenza. Il palazzo riveste il punto interiore inconoscibile; esso stesso è
un irraggiamento ineffabile, ma ha tuttavia una sottilità e una diafanità
minore del punto originale; attorno vi sono strato su strato ulteriori
involucri. Ogni forma che si avvolge alla precedente è lieve, protettiva, ma
più densa della precedente, stando allo strato più vicino al centro come la
membrana al cervello umano; ed ogni membrana diviene come il cervello per lo
strato successivo. Secondo lo stesso modello l’uomo in questo mondo associa
cervello e membrana, spirito e corpo per un migliore ordine del mondo.
La luce e la storia
del mondo
Nella speculazione cabalistica, non soltanto la creazione,
ma tutta la dinamica storica del mondo è fatta dalla luce e dall’antiluce che
sono le tenebre. È continuamente presente e attivo l’aspetto terreno della luce
come l’aspetto celeste, anzi, sovraceleste. E Dio disse: “Fiat lux”
(Gen 1,3). La luce originale che Dio creò è la luce dell’occhio, la luce che
Dio mostrò ad Adamo, grazie alla quale fu capace di vedere il mondo da una
estremità all’altra 12. La stessa luce che Dio mostrò a Davide che vedendola
cantò le sue lodi “Quanto grande è la bontà che tu tieni in riserva per
quelli che ti onorano” (Salmo 21,20). Questa è la luce con la quale Dio
rivelò a Mosè la terra di Israele.
Alle generazioni peccaminose, quella di Enoch, quella del
diluvio, quella della generazione della Torre di Babele, Dio dissimulò questa
luce ed essi non potettero goderne; la dette a Mosè ma gliela ritirò quando
Mosè si recò dal Faraone, gliela dette di nuovo quando andò sul monte Sinai. La
luce del volto di Mosè era tale che i figli di Israele potevano avvicinarlo
soltanto quando copriva il suo viso con un velo (Es 34,30).
Rabbi Isacco ha detto: “Con la creazione Dio illuminò
il mondo da una estremità all’altra”. La luce poi fu ritirata perché i
peccatori che sono al mondo non potessero goderne. Resta in riserva, viene
serbata per i giusti come dice il salmo: “la luce è seminata per i
giusti” (Salmo, 97, 11).
Questa luce sgorgò dalle tenebre percosse e squarciate dai
colpi dell’inconoscibile. E proprio a partire dalla luce che fu nascosta per
qualche via segreta furono formate le tenebre dei mondi inferiori dove risiede
la luce. Queste tenebre sono chiamate notte del versetto “e le tenebre le
chiamò notte” (Genesi, 1,5).
Il fuoco e le luci
Quando la luce prende concretezza di cosa acquista la
dimensione delle cose terrene, si manifesta in fuoco e fiamma. Già la luce
poteva essere pura vibrazione o esser colorata; la fiamma, ancor più della luce
si diversifica. Del fuoco, Rabbi Simeone dice:
È scritto in un
versetto ‘perché il Signore tuo Dio è un fuoco divorante’ (Deut 4,4). Secondo
altri sapienti, esiste una sorta di fuoco più potente di ogni altro fuoco che
divora e consuma ogni altro fuoco. Così chi ha cuore di cogliere il mistero della
Santa Unità di Dio, contempli la fiamma che si eleva dal carbone ardente o da
una candela.
Bisogna sempre che
ci sia qualche sostanza materiale da cui si innalzi la fiamma. Nella fiamma si
possono vedere due luci, una è bianca e brillante una è nera o blu. Delle due
la luce bianca è la più alta e si innalza senza vacillare; al di sotto vi è una
luce blu o nera sulla quale riposa la prima, come su uno zoccolo. Le due luci
sono legate e indissociabili. La bianca riposa sul trono della nera. A sua volta
la base nera è legata a qualche materia che è al di fuori di essa e che
l’alimenta e la fa aderire alla luce bianca, al di sopra.
Qualche volta la
luce blu o nera diviene rossa ma la luce di sopra resta sempre bianca.
La luce inferiore,
nera che sia, blu o rossa, è tramite e legame tra la luce bianca al di sopra di
essa e la sostanza materiale in basso. La luce inferiore per natura, è uno
strumento di morte, di distruzione che consuma tutto ciò che le si avvicina, ma
la luce che sta sopra non consuma né distrugge.
Con questa rappresentazione del misterioso legame e
passaggio tra il mondo terreno dimensionale delle cose e la realtà suprema, la
cabala da una chiave – naturalmente nel suo quadro spirituale di non facile
acquisizione – per prospettare una soluzione, o per meglio dire per suggerire
una lettura del problema cosmologico e cosmogonico, e di conseguenza una
lettura dei rapporti tra il bene (legato all’assoluto, all’inconoscibile, alla
luce) e il male legato al contingente, all’errore: due luci nella stessa
candela, nello stesso fuoco, nella stessa fiamma. La luce bianca e la luce
inferiore. La prima è divina, costruttiva, invariabile, non consuma né
distrugge. Il Saggio commenta “ecco perché Mosè ha detto ‘il Signore tuo
Dio è un fuoco divorante”, divora cioè tutto quello che è al di sotto di
Lui. Ha detto il tuo Dio non il nostro Dio perché Mosè era tenuto nella luce
celeste che non consuma né distrugge.
Anche la missione di Israele viene collegata a questo
misterioso gioco di luci. Israele porta la luce blu a bruciare e ad aderire
alla luce bianca; funge così da tramite, tra i due mondi.
Finalmente, in questa misteriosa strada delle luci colorate
e poi bianca si aggiunge un’altra luce appena percettibile simbolo dell’essenza
suprema 13.
La Cabala ha la sua scaturigine nell’interpretazione
numerica e letterale dei simboli dell’alfabeto; essa ritrova nel nome YHVH il
processo delle luci: nell’ultimo H si esprime la luce blu o nera, mentre nelle
prime tre lettere è presente la luce bianca e scintillante. Talvolta l’H della
luce blu diviene l’iniziale della parola che vuol dir miseria, miserabilità.
Israele, Luce blu,
Luce bianca, Luce impercettibile
La sensazione, a questo punto della lettura dello Zohar, è
di meraviglia incantata, di desiderio di sentirne di più, ma anche di sgomento
o smarrimento intellettuale, poiché ci si rende conto della inadeguatezza, come
strumento di analisi, dei termini e dei concetti della tradizione
razionalistica occidentale. Le parole del saggio sembrano decadere e
disperdersi col loro vorticoso gioco di luci in elucubrazioni difficilmente
comprensibili, ma esercitano un richiamo alla mente, offrendo una ricchezza di
senso che non permette di abbandonare il campo, quasi ci trovassimo soltanto di
fronte ad una costruzione fantastica o ad un semplice gioco di esempi
esplicativi.
In realtà, come è stato detto tante volte, la Cabala ha un
suo linguaggio che consiste in rappresentazioni ed immagini che possono essere
solo con approssimazione trasprogrammate, per così dire, nell’usuale linguaggio
appreso sui banchi del liceo o comunque dai libri, legato storicamente alla
filosofia del mondo greco-romano. Ma non basta. È impossibile andare al di là
del significato verbale delle affermazioni cabalistiche per coglierne il senso
se si pretende di interpretarle con i dati e le leggi dello sperimentalismo
della scienza moderna, altrettanto inadeguato dello strumentario concettuale
della filosofia aristotelica. Diciamolo in termini di cabala: se il Sole si
identifica con lo spirito e la sua luce è la conoscenza diretta, mentre la
conoscenza lunare è razionale e riflessa, il saggio cabalista direbbe di non
limitarsi alla conoscenza diretta, mentre la conoscenza lunare, qual è certo la
nostra per la sua tendenza a definire e rappresentare per quantità e forza
vettoriale le cose.
La luce e il
sacrificio
E le domande che si pone il saggio cabalista sono le stesse
che continuiamo a porci noi razionalisti, viandanti sulla stessa strada, anche
se con altri abiti mentali. Un esempio soltanto: il sacrificio, il mistero del
sacrificio, perché, quale ne è il senso? La nostra logica raziocinante non dà
risposta; anche nella Cabala costituisce problema cogliere il senso di questa
soppressione rituale di un essere vivente. La strada alla risposta non si
limita a considerazioni scientifico-naturalistiche; esso viene riportato al
discorso delle luci:
Il fumo che si
eleva infiamma la luce blu che si unisce allora alla luce bianca e così la
candela è tutta intera illuminata da una sola ed unica fiamma poiché è natura
della luce blu di annientare quello che entra in contatto con essa in basso, il
fuoco discende e consuma l’olocausto ed è questo che rivela che la Catena è
completa. La lue blu aderisce in questo caso alla luce bianca divorando la carne
e il sacrificio in basso. La pace regna nei mondi perché si ricostituisce la
catena. Quando la luce blu ha divorato ogni cosa in basso il canto e la
preghiera dei sacerdoti e di fedeli formano una catena per cui vi è una sola
luce che rischiara il mondo.
Olocausto, fumo, luce
blu, luce bianca. Il continuum del mondo
Insomma, il fascino che esercita lo Zohar e in genere le
opere maggiori della Cabala viene da questo: nella riflessione aristotelica,
tomistica e kantiana che sono fondamento metodologico prima che contenutistico
della nostra cultura, e più in particolare, della nostra speculazione
filosofica, i due mondi, quello della spiritualità e quello della materialità
sono nettamente distintie si accetta pacificamente la dicotomia res estensa/res
cogitans cartesiana quasi fosse un dogma inattaccabile.
La Cabala non crede in questa separazione e si pone alla
ricercatezza attenta del legame tra pensiero e materia; tra queste due entità
che vengono colte come modi diversi dell’essere, necessariamente deve esservi
un ponte, una sostanza di passaggio e collegamento. Il ponte è la luce, come si
è visto, luce che tra l’altro nella nostra scienza moderna ha due aspetti,
energia ondulatoria e massa materiale. Sebbene io sia estremamente diffidente
nei confronti di paralleli tra dati della scienza naturalistica e ricerca
spirituale, è certamente soprendente questa inafferrabilità fisico-matematica
della luce la quale sembra assumere nella scienza altri aspetti per così dire
metafisici se è vero che nessun corpo potrebbe mai superare la velocità della
luce, se è vero quindi che raggiungerla vuol dire annichilirsi, certo, questa
distinzione così netta tra ciò che non si tocca e la materia comincia a
sembrare meno sicura.
Idee e cose, princìpi
e luce
D’altronde si ritrova in una certa tradizione collaterale,
non accettata per così dire dal pensiero ufficiale, il modo di procedere
intellettuale che conduce a dubitare della dicotomia del mondo. Scriveva Artaud
14, con una penetrazione del campo nebbioso di incertezza tra cose e
astrazioni, che impone di riportarne il brano:
“Vi sono
veramente dei princìpi? Voglio dire dei princìpi separati e che esistono dietro
le cose? O, in altri termini, gli dèi della nomenclatura pagana hanno
un’esistenza meno affermata e meno valida che i princìpi di cui ci serviamo per
pensare? E questa domanda ne fa sorgere un’altra: Vi sono nello spirito
dell’uomo delle facoltà veramente separate?
Ci si può del
resto chiedere se un principio sia altro che una semplice facilitazione
verbale; e questo riconduce alla questione di sapere se vi è qualche cosa al di
fuori dello spirito che pensa, e se, nell’assoluto, dei princìpi esistano come
realtà o come esseri che ripartiscono le loro energie.
In qual misura, e
per quanto in alto si risalga verso l’origine delle cose, dei princìpi, viventi
come realtà separate, sfuggono a un giuoco dello spirito intorno ai princìpi? E
vi sono nell’uomo stesso delle specie di facoltà-princìpi che avrebbero una
esistenza distinta e potrebbero vivere separate?
Ma se nella
continuità, nella durata, nello spazio, nel cielo in alto e nell’inferno in
basso, i princìpi vivono separati, essi non vivono come princìpi, ma come
organismi determinati.
L’energia
creatrice è una parola, ma che rende possibili le cose eccitandole col sostegno
del proprio fuoco-essenziale. E come nel mondo creato ci sono tutte le qualità
della materia, tutti gli aspetti della possibilità, degli elementi che si
contano per mezzo di numeri e si misurano per mezzo della loro densità, così il
flusso creatore che prende fuoco a contatto con le cose – e ogni colpo di fuoco
della vita sulle cose equivale a un pensiero – questo flusso negli organismi
chiusi, e che vanno dalla nostra grossolanità materiale alla più improbabile
sottigliezza, compone ciò che chiamiamo Esseri, e che non sono altro che dei
soffi nella durata.
Le fonti del sapere
Naturalmente la cabala è lontana dalla mentalità
scientifico-naturalistica anche per il richiamo costante e necessario al testo
sacro, considerato fonte di scienza: oltre i testi già citati, ricordiamo che
la Cabala costruisce la sua interpretazione sul buio che colpisce gli egiziani
e non il popolo eletto (Es 21,23), sull’episodio della colonna di fuoco che
conduce il popolo eletto fuori dell’Egitto (Es 13, 21; 14,19, 2; Salmi 78, 14)
e sui brani in cui le scritture ripetutamente associano la luce con il
Creatore:
O Jahvé mio
Signore hai provato di essere veramente grande; Tu ti sei avvolto nella dignità
e nello splendore e la luce è il Tuo ornamento (Salmi, 14, 1-2).
Mi apparve una
figura di uomo, da quelli che parevano i suoi fianchi in su lo vedevo splendere
come l’elettro, come una visione di fuoco all’interno e intorno a sé e dai
fianchi verso il basso mi sembrava pure una figura di fuoco con uno splendore
tutto attorno assai simile allo splendore dell’arcobaleno che appare nelle nubi
in un giorno di pioggia (Ezec 1, 27, 28).
La luce del giorno
(Gb 35,12,15) è la nemica dei malvagi:
da che vivi hai tu
comandato al mattino? hai tu additato all’aurora il suo posto ond’ella serri i
lembi della terra e ne scacci i malvagi? si trasforma allora come la creta di
un sigillo e si presenta con un vestimento ed è sottratta agli empi la loro
luce e il braccio eretto è spezzato.
La luce, la luna
Nel discusso e spesso frainteso Tramonto dell’Occidente si
metteva in evidenza che il senso che noi uomini del 2000 diamo ad una scultura
gotica è profondamente diverso dal senso che le dava l’uomo del medio evo,
nonostante che se usiamo un metro, le misure sono ovviamente le stesse per noi
e per lo scalpellino medievale che si preparava a scolpire la pietra.
È lo stesso per la luce, se vogliamo. La luce per noi è
necessariamente inquadrata in un mondo di scienza naturale necessariamente
inquadrata in un mondo di scienza naturale per il quale deve avere delle
spiegazioni galileiane, mentre nella visione cabalistica la luce ha valore come
si è detto di anello di congiunzione tra il mondo senza dimensioni o informale
e il mondo delle tre dimensioni.
In quel quadro di idee, è profondamente erroneo parlare di
simbolismo della luce, se per simbolo si intende una sorta di appiglio
analogico per spiegare un fenomeno. La luce è un segno, e attraverso il momento
intuitivo, proprio dell’arte ma non ad essa esclusivo, arriviamo anche noi a
cogliere il senso della luce, senso restato vivo in alcune espressioni
apparentemente insignificanti del nostro parlar quotidiano.
Certo venire alla luce (per nascere) è espressione in cui
luce è qualcosa di più della gelida lampada elettrica della sala parto odierna.
Chi dice luce del volto, o racconta la gioia dell’uomo dicendo gli si illuminò
il volto vuol esprimere certamente qualcosa di più del fascio di luce di un
riflettore da teatro. Mille altre espressioni ritrovano questa luce come
momento di penetrazione dello spirituale oltre la soglia della materia.In
questa visione della luce, non così aliena alla nostra Gestalt spirituale,
l’aspetto più ambiguo e di più difficile interpretazione è quello del buio
della notte, (del quale fa parte, anche se per schiarirlo) la luce della Luna,
luce sì, ma inestricabilmente connessa alle tenebre.
In questa visione si inserisce l’antica tradizione della
Luna la quale nei tempi più antichi quando riappare durante il mese scatena la
gioia dell’uomo, sicché nel Talmud si parla della Luna che si rinnova e si
ricorda che i buoni un giorno ringiovaniranno come fa la Luna; poi la
meditazione si sposta sulla deficienza della Luna nell’alternanza delle sue
fasi, tanto che in una spiegazione del Talmud, si afferma che Dio ha menomato
la luna che originariamente aveva la stessa luminosità del Sole. Dio proclama
di sacrificargli una vittima, in espiazione del fatto che Egli ha ridotto la
Luna 15.
La Luna come la Shechinah come la Luna riacquista la
luminosità e poi decade di nuovo fino a uno stadio di completa oscurità, di
povertà. La redenzione potri riportare la luna ad uno splendore originario. È
insomma la luce della Luna quella più vicina alla luce della grande crisi del
distacco di Adamo dal Creatore e dal suo giardino. La perfetta scomparsa della
luna rappresenta la discesa nelle terre dell’esilio e l’esperienza dei terrori.
La Luna nuova è anche il momento però in cui inizia la meditazione sul Messia,
che nella visione cabalistica è evidentemente riconquista della luce:
Da nord si eleva
il vento, una scintilla scaturisce dalla forza del nord dal fuoco di Dio e
colpisce sotto l’ala l’Arcangelo Gabriele e il suo grido sveglia i galli a
mezzanotte. Da quel momento fino all’alba il pio si dedica allo studio della
Torah.
Ed è l’ora della Luna, la mezzanotte, contrapposta al
mezzogiorno, quella in cui si svolge una veglia praticata dal circolo dei
cabalisti dello Zohar 16: a mezzanotte Dio entra in paradiso per andare a
passeggio con i giusti, a mezzanotte si svolge un dialogo, che giunge fino
all’unione mistica, tra Dio e la Shekinah.
Il riflesso di luce
Nello Zohar il processo della creazione corre dall’assoluto
purezza immateriale alla progressiva materializzazione del mondo. Nella
dottrina lurianica, in ogni livello della emanazione si ritrova non soltanto la
luce diretta, la luce che proviene dal centro luminoso dell’en sof, ma anche la
luce diretta, la luce che proviene dal centro luminoso dell’en sof, ma anche la
luce che proviene dal centro luminoso dell’en sof, ma anche la luce riflessa in
direzione opposta, la luce riflessa dunque risale, per così dire lungo la
catena della emanazione, cioè tende a ritornare all’originale sorgente. In ogni
sefirah esiste quindi un doppio corso della luce. Se il raggio viene filtrato
verso il basso, dal basso però viene un riflesso verso l’alto. La struttura
globale del mondo dell’emanazione come di ciascuna parte di esso dunque è
costituita dalla simultanea attività della luce diretta e della luce riflessa.
La ritrazione consiste nel fatto che prima ancora di porre
in essere l’universo da sé stesso attraverso l’emanazione di luce, il creatore
compie un ritrarsi da sé stesso in sé stesso e si crea quindi uno spazio vuoto.
Questo spazio vuoto (infinitesimale per en sof) è invece l’immensità
tridimensionale nella quale si realizza l’intero en sof, nel sistema lurianico
diviene un punto di vuoto; l’idea della ritrazione e della luce riflessa,
aspetto uguale e contrario alla luce primordiale, fa parte dell’essenza divina.
Forze, luci ed attributi destinati ad esser resi manifesti più tardi
(includendo anche le forze di risposta, di pietà e di giudizio) erano già
presenti in uno stato indifferenziato di realtà indistinta all’interno di en
sof, ove pietà e giudizio sono naturalmente soltanto le radici nascoste e
potenziali delle forze corrispondenti che divengono manifeste ed esistenti nel
mondo: “la radice del divino giudizio non era riconoscibile come tale, era
dissolta nell’abisso infinito dell’essenza divina come un grano di sale
nell’oceano”.
Come il popolo va in esilio, così en sof si ritrae; nello
spazio vuoto lasciato dalla sua luce creatrice, che illumina lo spazio
primordiale della creazione e agisce sulla residua che mette in movimento il
processo cosmico secondo la struttura ordinata delle dieci Sefiroth.
La dottrina della ritrazione è basata – come scrive Scholem
– su un’asserzione semplice, crudamente naturalistica: come è possibile per il
mondo esistere se l’en sof, la divinità infinita l’occupa tutto quanto? Se la
luce di en sof si trova in ogni dove, quale spazio resta? Evidentemente Dio,
nel proiettarsi al di fuori riduce, ritrae la propria nascosta essenza. Il
processo di ritrazione e di emanazione è l’ultima realtà della creazione. I due
princìpi, le due forze, agiscono e reagiscono per cui si può in qualche modo
pensare ad una sorta di ritmico respiro del Dio vivente attraverso appunto il
chiudersi e l’aprirsi, il ritrarsi e l’emanare.
La suprema manifestazione prodotta dal primo raggio di luce,
cioè dalla linea diretta che penetra nello spazio primordiale è l’uomo
primordiale Adam Kadmon. Da questo essere che non è niente altro che il modo di
esistenza delle luci naturali dello spazio primordiale si formano varie luci
con un processo che è descritto in termini simbolici come spezzare i vasi o
morte di re.
Per cogliere il senso di questi termini è necessario far
presente che il vaso è il contenitore usato dall’artigiano e quindi le Sefiroth
sono vasi contenitori, nel senso che sono gli strumenti usati da Dio emanante
nel processo della creazione 17.
Luce attiva e luce
resistente
Elaborata da Natan di Gaza che riprende la dottrina
lurianica dello zimzum insistendo su alcuni aspetti della luce. All’inizio in
en sof vi sono due specie di luci o aspetti che possono essere chiamati
attributi in senso spinoziano. La luce pensante e la luce non pensante. La
prima è diretta, è focalizzata allo scopo della creazione, ma nella infinita
ricchezza dello en sof – scrive Scholem – ci sono forze o princìpi che non sono
diretti alla creazione e il cui unico scopo è sapere che cosa essi sono e
restare dove sono.
Questa è la luce non pensante che è estranea al processo
creativo.
Quando per la formazione del processo di nascita
dell’universo distinto da Dio, la luce pensante si ritrae per lasciar spazio
alla creazione stessa, alle altre essenze, la luce non pensante che rimane
nell’assoluto totale perché non ha preso parte alla dinamica creativa, resiste
per così dire, si oppone, fa da inerzia nei confronti del trattamento negativo
e allora attraverso un paradossale meccanismo essa diviene ostile e distruttiva
quindi il potere del male è in definitiva fondato e non radicato nella luce non
creativa di Dio. La dualità della forma e della materia prende dunque un nuovo
aspetto, ambedue sono fondate in Dio. La luce non pensante non è male in sé
stessa ma prende questo aspetto perché si oppone all’esistenza di ogni cosa che
non sia en sof e pertanto è posta, si pone a distruggere strutture prodotte
dalla luce pensante. Così l’infinità riempita con la luce non pensante,
mescolata con qualche residuo della luce pensante restata dopo zimzum è
chiamata Golem, la materia primordiale senza forma. L’intero processo della
creazione procede pertanto dalla dialettica di due luci, in altre parole attraverso
la dialettica praticata nel vero en sof.
Così la luce senza pensiero costruisce strutture di sua
propria natura, il mondo demonico il cui solo intento è di distruggere che cosa
la luce pensante ha prodotto. Queste forze sono chiamate i serpenti che si
svolgono e si avvolgono nel grandi abisso. I poteri satanici chiamati nel Zohar
sitra ara, ‘altra parte’ non sono niente altro che l’altra luce dell’en sof.
Dunque anche la dottrina così elaborata di Sabatay Zevi
evidenzia il grande problema della sussistenza del male, ma per la prima volta
esso viene visto come una parte di Dio cioè la parte che si oppone alla
creazione non quindi come un principio creato, come accade nel cattolicesimo e
nel cristianesimo in genere, non quindi come nella gnosi dualistica nella quale
ha capacità di Dio anche il male e soltanto al di là dei due poteri si pone la
abraxas inconoscibile che in quanto è il tutto non può non comprendere ogni
forza.
Dunque la resistenza della luce senza pensiero alla
attualizzazione della luce che contiene pensiero deriva dal fatto che l’unico
impulso della luce senza pensiero è quella che niente esista all’infuori di en
sof. Ad ogni stadio della creazione si rinnova la lotta tra le due luci.
Per la dottrina della contrazione nel pensiero lurianico
“egli contrasse la sua luce quasi come un pugno in concordanza con le sue
proprie misure e il mondo era lasciato nel buio e in quelle tenebre egli
innalzò rocce e acque scure. In altri termini la creazione non viene intesa
come concentrazione di un potere di Dio in un luogo, ma come ritrazione da un
luogo. Il luogo dove egli si ritira è puramente un punto a paragone della sua
infinità ma comprende dal nostro punto di vista ogni livello di esistenza sia
spirituale sia corporeo. Questo punto è lo spazio primordiale chiamato tehiru
18.
Ma il punto dal quale Dio si è ritratto ha in sé un residuo
per così dire di luce che è come la goccia d’olio che resta nella bottiglia
quando essa è vuota e la hyle la materia prima su cui si svolge la creazione è
proprio questa, rescimu, questo residuo del fondo della bottiglia.
Per la dottrina più comune 19, viene lasciato uno spazio
libero e questo spazio libero è riempito da un raggio di luce dell’en sof; là,
per forza naturale si crea l’Adamo che precede tutta la creazione. Lo sviluppo
avviene in forma di circoli concentrici e questa luce è lo stesso en sof o è
una sostanza diversa. I cabalisti distinguono le loro posizioni, ma su ciò
rinviamo alle analisi storiche della cavala, limitandoci a dire che dall’Adam
Kadmon creatosi si proiettano luci, alcune onnidirezionali, sfericamente
irraggiantisi, altre che procedono linearmente, come raggi unidirezionali;
queste si concretizzano poi nella forma delle lettere. Si collegano così due
aspetti tipici della speculazione cabalistica, quello relativo ai segni
alfabetici e numerici con quello della luce.
Le Sefiroth
I cabalisti pongono dieci forze operative, Sefiroth, di
natura divina emanate (ma il termine è già troppo definitorio); l’energia di
ciascuna delle Sefiroth si rivolge verso l’alto attraverso la pietas
cabalistica positiva e verso il basso per la forza negativa del peccato. Questa
è la linea di fondo della dottrina segreta.
Per denominare e descrivere le Sefiroth vengono utilizzati i
termini allegorico simbolici, biblici e della tradizione rabbinica. L’intera
Bibbia ebraica non è più studiata come narrazione storica, bensì viene
interpretata – decifrata, se così si può dire – come velata esposizione del
processo dinamico delle Sefiroth. I simboli delle Sefiroth sono numerosi e
variati nella Cabala classica che poi si ricollega al libro dello splendore.
Nel mondo, che è immagine somigliante a Dio, le Sefiroth
costituiscono una costellazione che ripercorre la forma umana 20. Al di sotto
v’è il mondo degli esseri singoli, il mondo degli angeli e degli spiriti, poi
il piano dell’essere materiale. Il processo della emanazione conduce dunque
dall’unità al molteplice. Il senso e lo scopo della meditazione e della prassi
cabalistica è appunto la risalita fino all’unità ripercorrendo i gradi della
emanazione.
L’attesa messianica
Nella Cabala, nel tardo medio evo e dell’evo moderno
l’attesa messianica prende sempre più spazio e l’uomo spera che la fine della
storia possa essere in qualche modo sollecitata se non provocata dall’uomo con
le grandi operazioni cabalistiche. Da questo orientamento operativo, si svolge
in alcuni circoli una volgarizzazione semplificativa; dalla dottrina segreta
nasce una nuova generale teologia ebraica, talvolta con aspetti superstiziosi
e/o di magia operativa 21, la cosiddetta Cabala pratica.
I cabalisti come Luria e i suoi discepoli esercitano un
notevole influsso in questo senso. Il tema dell’origine del male, del destino dell’anima,
specialmente il problema del Messia, luce che si espone alle tenebre, è al
centro degli interessi. Dopo il movimento messianico forte e tragico dei
Sabatiani del 1600, lo studio della Cabala ritorna ad essere compito di circoli
ristretti, anche se gli eventi storici vengono spesso interpretati da molti
credenti sulle tracce dei principi cabalistici 22.
Luce di paradiso,
luce di cabala
Non prendo posizione in questa sede, per non perdere il filo
del discorso, sui problemi dei rapporti tra la speculazione cabalistica e le
concezioni di Dante, che hanno fatto versare fiumi di inchiostro per
l’eventuale iniziazione di Dante alla setta d’amore; certo il modo in cui Dante
presenta la parte alta del cielo dove v’è sublime contatto tra Dio e la realtà
del paradiso (che non è fuori del mondo, bensì fa parte di un continuum fino
all’altro polo, quello satanico), è quanto meno di una analogia impressionante
con la visione dell’en sof e del mondo che intorno all’en sof si raccoglie.
Resta naturalmente la distinzione di fondo per la quale Dante si preoccupa
costantemente di parlare di creazione esterna, di distinzione netta, di
distanza infinita tra creato e creatore, mentre questa distinzione non è così
chiaramente proclamata nel pensiero della Cabala, poiché le creature sono
scalarmente meno divine, per dir così, quindi non sono sentite così diverse da
Dio, tanto che si arriva, come s’è detto, nella Cabala Lurianica, a vedere un
movimento di ritrazione dell’assoluto per lasciar spazio alla sua creatura, in un
eterno respiro del cosmo Dio/universo.
Nel canto XXVIII del Paradiso, Dante vede “un punto
quindi che irraggiava lume acuto / sì che il viso che egli affoca / chiuder
conviensi per lo forte acume”. Intorno a questo punto che irradia luce
così potente che l’occhio si abbaglia e deve chiudersi a causa della intensità,
intorno a questo punto che non ha dimensioni, si avviluppa un alone che è un
cerchio di fuoco che gira con velocità immensa e poi successivamente si
presentano i diversi cerchi angelici che in qualche modo sono sempre più – se
si vuole – materiali tanto che aumenta la loro grandezza e diminuisce la loro
velocità e luminosità. La struttura cosmologica, come si vede, ha parecchi
punti di consonanza con quella dell’alta Cabala 23.
Di solito, invero, si pone l’accento sulla organizzazione
geometrica di questo mondo dantesco. Sembra particolarmente significativo,
invece, questa proiezione della luce dal punto luminoso di Dio, senza
dimensione, alle diverse forme di realtà.
E l’accostarsi di Dante a Dio è ripercorrere verso l’alto la
strada delle Sefirot, se si accoglie l’analogia cabalistica. Nel canto XXX del
Paradiso, alla soglia dell’empireo nell’incerta attesa “immersi nel
silenzio più profondo e in una luce che ha il carattere indefinito di quella
del cielo prima dell’alba”, Beatrice annuncia che Dante è uscito dal primo
grande cielo per entrare nell’empireo che è pura luce, l’occhio viene dapprima
abbacinato, poi acquista forza visiva incommensurabilmente superiore, per
cogliere Dio 24.
Nella visione dantesca, il passaggio tra il creatore ed il
creato, quindi (in terminicabalistici) il contatto tra l’en sof e ciò che è al
di fuori avviene attraverso il fulgore, fulgore che non è puramente
intellettuale ma è di partecipazione, tanto che viene definito come amore, come
compresenza.
Dante con una nuova ‘luce degli occhi’ vede il mondo come
lume “in forma di rivera / fluvido di fulgore infra due rive / dipinte di
mirabil primavera”. È inutile certo ripercorrere le dottissime
disquisizioni teologiche che si sono svolte attorno a questi punti.
Lume è lassù che
visibile fece
lo creatore a
quella creatura
che solo in lui
vedere ha la sua pace.
e si distende in
circular figura
in tanto che la
sua circonferenza
sarebbe al sol
troppo larga cintura.
Fassi di raggio
tutta sua potenza
riflesso al sommo
del mobile primo
che prende quindi
vivere e potenza.
Una visione, quella dantesca, della gerarchia degli esseri,
dal punto sublime adimensionale tutto-luce, agli astri sublimi, alla umanità
anelante al cielo, al mondo organico sottoposto a ferree leggi, alla bruta
materia disorganizzata, lontana dal punto centrale, tenebrosa. Così questi
versi difficili e apparentemente lambiccati a prima lettura, diventano di
chiaro significato una volta che si tenga presente la dottrina cabalistica:
luce come sostanza e come energia trasmettitrice del potere, della verità,
della vita.
Il senso odierno
della cabala
Ma qual è il senso di quel ‘modo di pensiero’ (così definirei
la cabala; infatti metodo è un modo che richiede una procedura prestabilita,
atteggiamento è troppo poco determinato in senso finalistico conoscitivo) per
il nostro Zeitgeist che dà forma all’attuale figura di mondo?
“Il nostro mondo, scriveva Sergio Quinzio 25, è ormai
radicalmente secolarizzato, carico di tecnica, di nichilismo e quindi
assolutamente disincantato”. Quanto scrive non vale per il mondo
spirituale percorso da forze non soltanto geometriche e secolari, ma è vero per
la nostra scienza, che addirittura si va disumanizzando (staccandosi dall’uomo,
in senso proprio, non solo inaridendosi!) visto che la ricerca sfugge sempre
più all’essere umano per essere praticamente portata avanti dai computer.
Quale che sia l’estensione del fenomeno, vi è una
alternativa a questo totale disincanto, che teniamo per vero perché efficace
fondamento d’una scienza potente ed operativa qual è l’attuale, ma
paradossalmente vissuto come menzogna perché assolutamente non appagante?
Una delle possibili alternative è certamente quella del
reincanto, quello della rilettura in chiave di forze affascinanti (direi: di
magia) dell’immenso universo; è la strada che viene seguita dalle mitologie dei
nuovi gruppi religiosi, sorgano essi fuori o all’interno delle grandi religioni.
Il pensiero mitico
Ma forse vi è una terza strada tra il pensiero disincantato
e la visione magica del mondo. La terza strada – seguo ancora Quinzio che si
ispira a Givone – la terza strada è il pensiero tragico, il pensiero mitico nel
quale sussistono conflitti e contraddizioni. “In tale pensiero incanto e
disincanto, tecnica e poesia, identità e differenza, finito ed infinito,
vengono pensati insieme. In realtà è la grande strada imboccata da Hölderlin e
da altri autori che hanno sentito questa tragicità del pensiero; se la verità
implica il suo contrario, se può convivere il momento dell’incanto col momento
del nichilismo e della tecnica secolarizzata, resta la gioia dell’osservazione
che è nel fondo anche di ogni tragedia”.
Sotto questo profilo, riprende senso la via della Cabala
come visione della luce che si diffonde nel cosmo che anzi costituisce il
cosmo, in qualche modo restringendo addirittura il posto di Dio; non si tratta
di ridurre col godimento estetico l’ansia, essenziale all’uomo, d’osservare, di
sapere; piuttosto, a questo nostro tragico pensiero nel quale convive la
nostalgia del mondo incantato, la tecnica e il nichilismo, la cabala può dare
l’intuizione meravigliosa dell’armonia del cosmo, ritrovare il cantuccio
lasciatoci da Dio nel suo ritrarsi, che nulla gli toglie (ritrarsi di un punto
adimensionale, non riduce lo spazio di Dio), ma dona a noi un espandibile
universo.
La Cabala e il suo fiorire di luci presenta un mondo –
l’espressione è di H. Corbin in il paradosso del monoteismo – che può essere
indicato come mondo immaginale. In qualche modo, riassume Quinzio, “tra il
mondo della percezione sensibile e il mondo astratto dell’intelletto c’è
l’intermondo dell’immagine, luogo dove i corpi si spiritualizzano e gli spiriti
prendono corpo, luogo del realismo visionario della manifestazione
teofanica”.
Soltanto quando ci si rende conto dell’esistenza degli
angeli, cioè l’esistenza delle gerarchie divine, se vogliamo, delle Sefiroth,
si ritrova la controparte celeste dell’uomo, quella archetipica angelica.
Devo confessare che Corbin per me esplicita una sensazione
che ho sempre provato nel pensare ai massimi problemi: il monoteismo esoterico
(chiamiamolo filosofico, per approssimazione; forse razionalistico?) è in
qualche modo ancora idolatrico in quanto vuole afferrare Dio e la sua forza
(che anzi, propriamente non è ancora forza e luce, è pre-forza e pre-luce: ha/è
in sé forza e luce), vuole com-prendere l’assoluto trascendente e
inconoscibile, come se fosse un oggetto osservabile ed apprensibile. Sotto
questa prospettiva non appare così paradossale e assurda la tesi della
necessità degli angeli, sostenuta dal Corbin nel suo paradosso 26.
In altri termini, si può ritrovare attraverso la luce della
Cabala, quella natura che oggi è soltanto un oggetto di preoccupazione per gli
esiti catastrofici che minacciano la vita, ridotta dunque a strumento tecnico
della nostra salute, vagheggiata come un ambiente ‘pulito’ in cui abitare
comodamente e senza pericoli.
Forse dobbiamo ritrovare, attraverso la via della tenebra e
della luce, quel senso “di tremebonda venerazione, di sacra paura di
fronte al maestoso, insondabile mistero della potenza soverchiante della
natura, in cui vita e morte, ordine e sopraffazione si alternano e si mescolano
senza fine”.
Ma non è più possibile, secondo Quinzio, raggiungere questa
meta. Io credo invece che la battaglia contro la disperazione tecnica, la
disperazione nichilistica che ci sovrasta, possa avvenire in questa fine di
millennio proprio con l’arma della contemplazione – contemplazione critica,
consapevole dello stridore con gli assiomi della nostra scienza/tecnica
potentissima – della luce della Cabala che in questo mondo fatto soltanto di
forze insensatamente operanti, cieche e solo causalistiche, ci racconta di un
Dio che ritira un poco il suo luogo, per lasciare un angolo dell’immensità
anche all’uomo, all’interno dell’assoluto en sof. E quest’angolo, Egli inonda
di luce, di stelle, d’arcobaleni.
Beninteso, lettore che mi hai seguito lungo la strada del
pensiero tragico o mitico, non parlo di ingenua fede, così difficile per il
nostro Zeitgeist critico (il grande Pan è morto, e non soltanto il grande Pan),
ma di un impegno esistenziale. Mi accontento di fronte al mistero, di un
commitment guardingo, fondato sulla certezza che il raggio di luce non ha
soltanto fotoni e vibrazioni, ma è anche lume degli occhi. Questo, la fisica
quantistica non può togliercelo, né può toglierci gli arcobaleni, le stelle, i
luminari del cielo 27.
Note
Benoist K.,
Signes, symboles et mytes, Parigi 1978: La luce è dunque energia: nelle
credenze del sufismo il cuore dell’uomo è come una lanterna di vetro nel quale
si trova la sua coscienza più segreta sotto forma di una lampada accesa dalla
luce dello spirito. Per un dotto esame biblico e storico-teologico dal punto di
vista cattolico, vedi J. Ratzinger, Licht, in Handbuch theologischer
Grundbegriffe, Monaco 1970.
Widengren G., Il
manicheismo, Milano 1964.
Rinvio a Raffaello
Del Re, in E. Zeller e R. Mondolfo, La filosofia dei Greci, Firenze 1979.
Shubert K., The
dead sea community, Londra 1960.
La Cabala –
propriamente ricezione, tradizione – espressione originale del pensiero,
designa un orientamento speculativo che si sviluppa nella cultura ebraica del
sud della Francia, della Spagna del nord, dal tardo XIII secolo.
Essa si fonda su
una visione del mondo che in prima approssimazione può essere definita
neoplatonica ma che comunque viene sviluppata con riferimento costante alle
fonti tradizionali, la Bibbia, il Talmud e la Midrach; la ricerca cabalistica
vuole rispondere alla domanda ultima, quella che chiede di spiegare, di
mostrare ed anche di giustificare il rapporto tra la realtà assoluta
trascendente (en sof) e il mondo che ci circonda contingente e pieno di difetti.
Mi limito a
richiamare l’opera di Sholem G., Kabbalah, New York 1988, con riferimenti alla
amplissima letteratura.
l Vangelo
giovanneo viene letto spesso in termini assai vicini a quelli della cabala; v’è
naturalmente da intendersi, poiché negli autori cristiani si tratta la luce
come simbolo più che come segno, come immagine non come realtà. Resta
l’obiettivo fatto che Giovanni vede la storia cosmica come lotta tra luce e
tenebre. “La vera luce è una energia increata vivente che ritma i giorni
della nuova genesi, Dio è luce (Gv 1, 5-7); Essa si irradia per l’azione di
Gesù, come l’energia-luce si irradia nel mondo materiale per mezzo dei grandi
luminari (J. Goettmann, Saint Jean, évangile de la nouvelle Genèse, Parigi
1982).
P. Teilhard De
Chardin, La messe sur le monde, scrive: “siamo dominati dall’illusione
tenace che il fuoco sorge dalla profondità della terra… si deve rovesciare la
visione… All’inizio non c’era il freddo e le tenebre, c’era il fuoco, spirito
bruciante, fuoco fondamentale e personale, è la luce preesistente che
pazientemente ed infallibilmente elimina le nostre ombre”.
Cfr. Bottero J.,
Naissance de Dieu, Parigi 1986; Nordio M., (a cura di), La genesi, Milano 1977.
Benoist, Signes,
cit., 58. Budda si manifesta nel mondo degli uomini discendono i sette gradini,
i sette colori, dell’arcobaleno.
In Zohar, The book
of splendor, New York 1990, una scelta curata da G. Sholem.
A. e K. Toaff, Il
libro dello splendore (scelta, con introd.), Pordenone 1994.
Questo punto
primordiale è stato spesso riportato all’atomo di massa nulla e di energia
infinita del big-bang, che la scienza fisico-matematica pone all’inizio
temporale del mondo. Nonostante il fascino di questi parallelismi, mi attengo
al principio che si tratta di espressioni che hanno unità di misura tra loro
incommen- surabili. Potrei aggiungere che le teorie scientifiche cambiano per
adattarsi alle nuove scoperte, le immagini come questa della luce segreta sono
immutabili nella loro capacità evocativa.
In un discorso di Gesù (Mt 6, 22-23) si
segue la tradizione (presente anche in altri passi del Vangelo) della luce.
“L’occhio è lume del corpo, se dunque l’occhio tuo è sano tutto il tuo
corpo sarà illuminato, ma se l’occhio tuo è guasto tutta la tua persona sarà
illuminato, ma se l’occhio tuo è guasto tutta la tua persona sarà nelle
tenebre. Se dunque la luce che in te è tenebre, quanto grandi saranno queste
tenebre?” In tale brano no solo si richiama la dicotomia tenebre-luce, ma
si considera ovvio un modo di intendere la luce cui la cabala darà grande
rilievo operativo: l’occhio non è solo recettore passivo ma è esso stesso lume
per la persona, è un anello della lunga catena che dalla spiritualità dell’en
sof conduce allo spessore materiale delle tenebre fitte.
La scienza
naturalistica è partita dalla stessa osservazione della fiamma, che
effettivamente si divide in parti diverse, più o meno calde, più o meno vivide
di luce. Naturalmente queste parti della fiamma sono determinate dalla
percentuale d’ossigeno, dai moti convettori, etc., basta accendere un becco
Bunsen e variare il rapporto conbustibile / comburente per rendersene conto. Le
risposte di chi non si limita ad osservare la fiamma soltanto come addensamento
di particelle in combustione sono due: la fiamma è soltanto una immagine
analogica, che permette di comprendere per somiglianza il processo spirituale;
questa è la risposta spiritualistica, per la quale la fiamma è un esempio come
un altro. Per la cabala, la spiegazione scientifico – naturalistica è una
descrizione, una definizione; la realtà della fiamma è quella del ponte tra
adimensionale e dimensionale.
Artaud A.,
Eliogabalo, l’anarchico incoronato, Milano 1977.
Scholem, Kab, 186
sgg. Quando la Luna era collegata al Sole, essa era luminosa di luce propria.
Quando si separò dall’astro del giorno, l’impero delle sue proprie regioni, il
suo rango nella scala degli esseri divenne inferiore e così pure la sua luce.
Scholem, Kab, 187.
Il sabatianismo,
sconvolgente e tragico movimento messianico che al di là degli esiti storici
arricchì d’un fermento di idee la religiosità mistica (G. Scholem, Sabatai
Sovi, il messia mistico, Princeton 1989) si fonda sull’idea della ritrazione e
ristorazione, della cabala Iurianica: il messia riconduce lungo il sentiero di
luce alla realtà suprema. L’abiura di Sabbatai per taluni discepoli rientra in
questo flusso e riflusso di luci dirette e riflesse.
Scholem, Kab, 129.
Scholem, Kab, 231.
I Sefirah, corona
è la suprema manifestazione della divinità trascendente, è volontà e pensiero
di Dio, II Sefirah è la saggezza divina, la ancora indifferenziata idea della
Torah, III sinistra è la intuizione, meglio dire penetrazione, nelle idee dei segni
numerici e letterali; essa ha già una nota di concretezza, poiché manifesta
l’essere nei simboli alfabetici, La triade dei più alti Sefiroth costituisce
una unità in sé. Le sottostanti sette Sefiroth si suddividono sotto questa
triade in una colonna destra, sinistra e media. IV destra Abramo, assoluta
Grazia, V sinistra Isacco la assoluta forza; Vi Giacobbe la Torah scritta, la
VII di destra e l’VIII di sinistra hanno minor portata, IX e X si trovano di
nuovo sulla colonna del centro, XI è la legittimità, cioè la colonna del mondo,
il princìpio maschile, mentre X, signoria regale, rappresenta la comunità di
Israele, la Torah centrale, il princìpio femminile.
Per la cabala
numerologica, rinvio a M. C. Del Re, La divination informatique, Parigi 1994.
Per la
comprensione del movimento che sembra abbia ritrovato forza e significato nella
teologia della terra promessa di alcuni gruppi israeliani, rinvio ancora, in
prima istanza, alla ricerca di Scholem, 1897-1992, ricca di informazioni e
sensibile al messaggio della linea di pensiero cabalistica. È restaurazione
della base della fiamma che porta all’ineffabile luminosità, o è soltanto un
aggregato politico? Ma non questo il tema che ci siamo proposti.
Richiamo soltanto
le classiche ricerche di Gabriele Rossetti, La Beatrice di Dante, Roma 1988,
riedita dalla Atanòr, che meritoriamente ripubblica classici altrimenti
introvabili; L. Valli, Dante e i fedeli d’amore, Roma 1928.
Ricominciò: Noi
siamo usciti fore
del maggior corpo
al ciel che è pura luce,
luce intellettual
piena d’amore.
Come subito lampo
che discetti
gli spiriti visivi
sicché priva
dall’atto l’occhio
dei più forti obietti,
così ne
circonfulse luce viva
e lasciommi
fasciato di tal velo
nel suo fulgor che
nulla m’appariva.
Sempre l’amor che
queta questo cielo
accoglie in sé con
siffatta salute
per far disposto a
sua fiamma il candelo.
In Radici ebraiche
del moderno, Milano 1990, p. 178.
Quinzio, Radici,
164.
“Immaginosamente, la luce gnostica, la coscienza dei sensi, è ben
altra cosa dalla combinazione di fotoni, dalla luce fisica. La luce gnostica è
una illuminazione per partecipazione al senso. I fotoni apportano la luce
soltanto ad un essere illuminato o illuminabile dalla partecipazione al senso e
alla propria memoria del senso. I fotoni non hanno in loro stessi niente di
luminoso, lo spazio se non coltooda occhi viventi è altrettanto buio del centro
della terra, anche se è pieno di informazioni in ciascun angolo… Qui dovrei aprire
il discorso sulla scienza neo-gnostica, per la quale, almeno per ora, rinvio a
R. Ruyer, La gnosis de Princeton, Parigi 1974, dal significativo sottotitolo,
des savants à la recherche d’une religion. Anche nella tradizione cattolica e
ortodossa troviamo però interpretazioni assai vicine allo spirito, mi sembra,
della luce cabalistica, salva l’idea del Cristo come persona. Commentando il
passo giovanneo Egli è la vera luce, che illumina ogni uomo, venendo nel mondo,
versetto che per la sesta ed ultima volta usa iltermine ‘luce’ (“secondo
un procedimento giovanneo, il sesto e ultimo uso d’una parola essenziale
designa il Cristo nell’attività che dà il suo senso all’insieme del testo), J.
Goettman, cit., scrive “figlio del padre delle luci, luce di luce, il verbo
è fonte e legge di tutte le altre luci, Egli luce increata, luce autentica… La
luce, che era nel mondo creato da essa, viene nel mondo presso i suoi, quindi 1
– la luce fisica fotonica è materia, 2 – la luce di vita che ci permetta di
vederla è l’intelligenza, 3 – la luce del verbo incarnato è quella reale, che
sconfigge le tenebre.
Particolare interesse ha sempre suscitato la
sigla, composta da una S e una I intrecciate, scolpita su stemmi,
frontoni, pilastri, tombe del Tempio come un sigillo
onnipresente. Pietrificata, suscita un sentimento il cui significato,
di volta in volta, si tenta e si è tentato di spiegare.
Secondo gli accusatori e i romantici le due
lettere intrecciate significano Sigismondo e Isotta insieme. Tra i
primi, contemporanei di Sigismondo, naturalmente lo stesso Pio II, che
lo scomunicò e che dichiarò che il monumento “non sembra un Tempio di
Cristo, bensì di fedeli adoratori di demonio“. Tra gli altri
prendiamo a campione il romantico Gabriele D’Annunzio, che, tra
parentesi, era martinista, secondo il quale la S iniziale del nome di
Sigismondo attanaglia nella stretta ferrea la filiforme fragilità della
I del nome di Isotta. Ma, secondo altri, forti di ricerche storiche, il
monogramma era usato da Sigismondo come firma abbreviata, fin dalla sua
giovinezza, già prima quindi che egli fosse preso d’amore per Isotta
degli Atti. Era infatti usanza fra i principi di quel tempo adoperare
per il loro monogramma le prima due lettere del loro nome: troviamo KA
per Carlo Malatesta, NO per Novello, fratello di Sigismondo , FE per
Federico di Urbino. Peccato che le ricerche storiche siano solo
riuscite a dimostrare che Sigismondo ha cominciato ad usarla solo
nell’anno nel quale ha certamente conosciuto Isotta. E ciò la dice lunga
sulla serietà degli storici. Ne vale a dimostrarla un passo di Gaspare
Broglio. D’altro canto si sarà giocato anche sull’ambivalenza e
sull’ambiguità che il monogramma non rappresenta solo la firma
abbreviata con le prime due lettere di Sigismondo, ma anche quella di
Isotta. Come bene sintetizzava Luigi Tonini, oltre un secolo fa, è
“la ripetuta Sigla Si, indicante SIgismondo, ovvero ISotta, o
Sigismondo e Isotta insieme.“. In conclusione nulla ci vieta di
pensare che Sigismondo sia stato contento in cuor suo della coincidenza
che gli consentiva d’incorporare l’iniziale della sua donna nel Tempio e
che fra i due amanti si giocasse su questa allusione. Ma giocavano
sicuramente su un altro piano…. Tarocchi, iniziazione, cappella dei
pianeti, Macrobio…la filosofia e teogonia e cosmologia di Pletone…
Roberto Valturio, amico e consigliere di Sigismondo, in un famoso passo
del De Re Militari aveva alluso a “simboli tratti dai più
occulti penetrali della filosofia e altrettanto atti ad attrarre
fortemente i dotti quanto a permanere nascosti al volgo“.
Alle medesime lettere S e I, altrove, Guénon
dà il significato di due simboli connessi: il serpente e l’albero o il
bastone attorno al quale esso vi si arrotola e che è rappresentato da un
asse verticale; di esso si trova un altro esempio nel sigillo di
Cagliostro, rappresentato da un serpente e una freccia. E Guénon
aggiunge: “…essenzialmente la lettera S rappresenta la molteplicità e
la lettera I l’unità, ed è evidente che la loro corrispondenza
rispettiva col serpente e con l’albero assiale concorda perfettamente
con questo significato; è completamente esatto che in tutto questo vi è
qualcosa che deriva da un esoterismo profondo…“.
Altrettanto singolare è il fatto che Dante,
nella Divina Commedia (Paradiso, XXVI, 133-134), faccia
dire ad Adamo che il primo nome di Dio fu I (il che corrisponde alla
“circolarità” e “primordialità” del simbolismo).
Un
punto che permette un accostamento particolarmente significativo tra la
tradizione iniziatica occidentale, rappresentata dal Tempio, e la
tradizione estremo-orientale, è la palese corrispondenza del monogramma
a due noti simboli taoisti. Il monogramma ha infatti strettissime
attinenze con l’yin e yang, altrettanto complementari ed
inseparabili, e corrispondenti rispettivamente alle lettere S e I, e
ancora nell’I Ching , le due determinazioni dei trigrammi e degli
esagrammi, la linea spezzata e la linea intera. E ancora la I in cinese
significa “unità”.
Sigismondo “et amava perdutamente Ixotta
degli Atti“, come dice Ezra Pound nei Cantos malatestiani.
Indicava Pletone che tra i doni che gli dei diedero al nostro corpo
sia per servire la nostra parte immortale e dominante, sia per
approfittare del suo aiuto, sia per assaporare certi piaceri che ci sono
propri…istituirono quest’unione dei due sessi, così seducente e
piacevole. Quando la verga di Sigismondo faceva dio nel ventre della
sua Venere ed Ixotta godeva del suo Marte di ritorno dalle guerre,
archetipicamente, il Signore e la Signora di Rimini avranno associato i
loro movimenti col ritmo delle onde, gli odori salmastri con l’odore del
sesso. HUDOR ET PAX. Ai ritmi potenti conseguono gli umori, la
spuma di Venere, la pace, la beatitudine. Se ne troverà l’illustrazione
nella formella denominata “gli influssi della luna”: come Venere, anche
Sigismondo approda infine alla riva di un’isola beata.
Se
intuiamo una conoscenza inconscia dell’ipostasi della nostra genesi
acquatica, è nell’unione dei due sessi che la cogliamo: La luce
penetra nella grotta. Io! Io! Con questa acutezza Pound vide,
similmente a Porfirio nell’antro delle ninfe, la necessità della
illuminazione nel coito, quel raro momento di natura regia e di numeri
d’oro. Già Platone aveva insegnato che “tutto quest’ordine,
l’Artefice taglio per il lungo, facendone di uno due, una metà sopra
l’altra, e il loro centro congiunse in forma della lettera X“.
Questa meraviglia è presente nell’etimologia della parola sesso,
sezionato. Altro guadagno si raggiunse nel Rinascimento con la felice
espressione “copula mundi“. Pound l’accenna: “Eleusis è
molto ellittica“. Cosicché il coito non è e non dev’esser
altro che il rito, la ierogamia, o meglio la reminiscenza
dell’estasi da cui l’Uno si fece Due. Così dunque – insegna una
tradizione esoterica- l’uomo è virile per i genitali e la parola, ma
passivo per il cervello, mentre la donna aperta alla fecondazione fisica
e animica, è, a sua volta, fecondatrice nello spirituale. Perciò il
coito congiungendo i poli opposti dei suoi membri chiude le sue sedi
genitale e boccale per la ricostituzione dell’ellissi. Quale migliore
immagine per la salda unione di Sigismondo e Isotta! E la sua plastica
rappresentazione la si volle espressa in simbolo.
Comunque sia, resta il fatto che il simbolo
grafico, così ripetuto e onnipresente, sta nel Tempio di Sigismondo in
luogo della croce, dando così ragione a Guido Nozzoli che lo definiva
“un tempio alchemico d’amore”. Ma torniamo sulla I, che, per Dante, è
il primo nome di Dio. Essa significa propriamente l'”unità” divina”, ed
equivale alla yod ebraico, geroglifico del Principio, ma anche principio
di tutte le lettere dell’alfabeto, quindi il punto centrale che produce
con la sua espansione, il cerchio della manifestazione universale. Del
resto la stessa lettera I, anche nella numerazione latina, rappresenta
l’unità a causa della sua forma di linea retta, che è la più semplice di
tutte le forme geometriche, essendo il punto “senza
forma”. L’analogia con la croce , nella tradizione ermetica,
collimante con la simbologia cinese, è di capitale importanza e collima
con l’interpretazione data da Guénon: il braccio verticale è attivo,
simile all’uomo che sta in piedi, all’uomo “svegliato”, cosciente,
l’attivo I, che passa attraverso il passivo, suggerisce un’idea di
fecondazione, e proprio all’unione dei sessi rimanda filosoficamente il
simbolo, ben oltre la semplice nozione di accoppiamento. L’idea,
penetrando nell’intelligenza ricettiva, la feconda. Dio si unisce alla
natura per generare ciò che è. La nostra energia sposa il nostro
organismo, perché questo agisca. E’ l’applicazione che dà valore ad ogni
forza.
Sempre, a questo proposito, Yukteswar, nel
suo libro The Holy Science, analizzando quella profonda allegoria
della vita umana che è, nella Genesi, la storia di Adamo ed Eva,
ci offre un ulteriore spunto. Poiché nell’Universo, come abbiamo veduto,
tutto è formato da una duplice polarità maschile e femminile – che
corrisponde all’originale doppia polarità, di spirito creante e materia
creata – Adamo ed Eva rappresentano le due polarità integrate dell’Uomo
Originale (che difatti molti miti dell’antichità, compreso quello
raccontato da Platone, simboleggiano con la figura dell’androgino).
L’albero del bene e del male rappresenta la colonna vertebrale
attraverso la quale scorre continuamente l’energia vitale (detta in
sanscrito kundalini), simboleggiata dal serpente.
Dopo la caduta di Adamo ed Eva, il cammino di
ogni anima consiste nel tentativo di risalire fino all’integrazione
originale, di riunificare le due opposte polarità e “rientrare
nell’Eden”. Quando le polarità sono ricongiunte si è realizzata “la
Grande Opera”, avvengono quelle che la tradizione alchemica chiama “le
nozze filosofiche”, il “rebis” o l’androgino platonico.
Del resto il simbolismo del tempio, nasce
soprattutto sulla base degli insegnamenti dottrinari di Gemisto Pletone,
pitagorici, platonici ed ermetici. E’ notevole che la stessa scoperta
dell’America sia indirettamente dovuta a Giorgio Gemisto Pletone, che
trasmise in Occidente nel 1438 la perduta “Geografia” di Strabone, che
Cristoforo Colombo utilizzò come principale autorità per convincere gli
scettici sulla sua idea di configurazione della terra. Sarà infine
curioso notare come il dollaro, adottato come unità di moneta dagli
Stati Uniti d’America nel 1792, quindi esattamente 300 anni dalla
scoperta dell’America, dal massone George Washington, le cui banconote
recano inequivocabili immagini massoniche, abbia come simbolo una “s”
percorsa in verticale da due linee (principio attivo ascendente e
discendente), benché in caratteri tipografici esso sia più comunemente
riprodotto con una sola linea:
$Alcuni romantici hanno vagamente intuito nel Tempio
Malatestiano un Tempio d’amore. Si potrebbe quasi credere, dal punto di
vista psicanalitico, ad un effetto dispiegato dagli archetipi in
proposito disseminati nel Tempio, o simbolicamente a un effetto magico
dei simboli sparsi. Il Tempio contiene innumerevoli accenni
all’unione sessuale. Non solo i simmetrici medaglioni di Sigismondo e
Isotta, ma essenzialmente le innumeri sigle congiunte adombrano
nascostamente l’androgine spirituale. Possiamo accostare l’atto sessuale
a quella stessa condizione di morte attiva che si compie
nell’iniziazione. Il potere della sessualità si chiarisce meglio nella
tradizionale nozione indù del kundalini, un “potere
serpentino”.
Dobbiamo ipotizzare che la cerchia di
Sigismondo fosse a conoscenza di elementi non ammessi esplicitamente dal
Nuovo Testamento e che sono noti pubblicamente solo da pochi decenni
attraverso i cosiddetti “Vangeli gnostici”, scoperti nel 1945 a Nag
Hammadi in Egitto, nei quali si proclama la superiorità di Maria
Maddalena rispetto agli Apostoli e dai quali emerge un rapporto intimo
di tipo sessuale tra Gesù e Maddalena ed un contrasto continuo tra essa
e Pietro, il fondatore della Chiesa Cattolica Romana. Naturalmente
considerato il sessismo della Chiesa, questa conoscenza doveva restare
occultata. E’ interessante notare come sedici anni prima della
scoperta lo scandaloso scrittore David Herbert Lawrence, più noto come
l’autore de L’amante di Lady Chatterley, pubblicò un romanzo noto
come The Man Who Died, il cui titolo originale è The Escaped
Cock. Nel romanzo di Lawrence Gesù, l’uomo che era morto, sopravvive
alla crocifissione e trova la sua vera rinascita attraverso l’atto
sessuale con Maria Maddalena, una sacerdotessa di Iside. L’accostamento
con il dio Osiride, morto e risorto e sposo della dea, nel romanzo breve
è esplicito. Nel titolo originale “Il gallo fuggito”, immagine che
ritroviamo nel Tempio malatestiano nell’icona di Mercurio, la figura del
gallo è associato al corpo risorto-eretto, infatti in inglese
cock indica volgarmente il pene, come in italiano
uccello.
E’
noto che i primi cristiani si ispirarono molto all’iconografia di Iside
per la Vergine Maria. Nel Tempio Malatestiano sono assenti le immagini
della Vergine Maria, alla dea Iside si sostituisce la dea Isotta,
diva Isotta, fatto che fu ritenuto sconcertante fin dall’inizio
dell’edificazione del Tempio. Nel Tempio riminese, oltre la sigla, ne
è testimonianza l’altrettanto onnipresente rosa. Ancora più l’esplicita,
e già allora criticatissima, dedica alla Diva, cioè Dea, Isotta, la cui
assonanza con Iside è particolarmente inquietante. L’inno alla Dea
rappresentato dal Tempio è, in realtà, su un piano più ineffabile,
sciolto al principio femminile divino. Sophia? La Shakti indù? Vi anche
chi identifica il misterioso Baphomet templare in Sophia e Iside,
come Hugh Schonfield. Mediteremo, pitagoricamente, su questa
massima: Fa’ di uomo e donna un cerchio, di questo un quadrato,
poi un triangolo e di nuovo un cerchio; così otterrai la pietra dei
savi. Contempleremo queste due raffigurazioni della tetraktys
pitagorica.
L’ipotesi di
Castel del Monte villa romana, castello di difesa, castello di caccia, luogo di
delizie a un certo punto non ha più retto a un attento esame del buon senso.
Ciò ha schiuso la possibilità di una lettura diversa quale quella astronomica rivelando
numerose implicazioni cosnúche anche a discapito della funzionalità. Alla
lettura in chiave astronomica è seguita quella in chiave matematica e
geometrica rivelando anch’essa una delirante elaborazione numerologica
dell’architettura anche questa volta a discapito della pratica fruizione del
manufatto. La conseguenza logica e naturale di tutto questo è la domanda:
Perché sarebbe stata realizzata una costruzione tanto fastosa, tanto costosa,
tanto elaborata e, nondimeno, tanto isolata?
Ed ecco che
scaturisce la necessità di una diversa interpretazione consona ai tempi, alla
cultura, alla filosofia, alle conoscenze dell’epoca in cui il castello fu
costruito. E ne consegue la lettura esoterica che qui di seguito si descrive.
Portale principale,
Leone che guarda sudImmaginiamo di giungere a Castel del Monte e soffermarci
dinanzi al portale principale; esso guarda ad Est (sorgere del Sole agli
equinozi di primavera e d’autunno), ma sulle due colonne che fiancheggiano la
porta sono accovacciati due leoni, quello di destra guarda verso sinistra,
quello di sinistra guarda verso destra, in altre parole i loro occhi sono
rivolti verso i punti dell’orizzonte in cui sorge il Sole alle date dei
solstizi d’estate e d’inverno. Non dimentichiamo la coincidenza delle date dei
solstizi con le festività dei due S. Giovanni, il Battista il 24 giugno e
l’Evangelista il 27 dicembre, nonché con le cosiddette porte solstiziali,
quella degli uomini e quella degli dei.
Castel del Monte, portale principale
Il timpano che sovrasta il portone è un
triangolo col vertice aperto a 108 gradi come il Delta Luminoso che è
all’Oriente del Tempio massonico sul trono del Maestro Venerabile. Ciò rende
evidente Schema costruttivo del portale centale, inscritto in un pentagono
stellatoche il Delta Luminoso affonda le radici nella più remota tradizione. In
tale triangolo isoscele infatti è racchiuso il numero d’oro 1,618, detto anche
Firma di Dio, rappresentato dal rapporto tra la base del triangolo ed uno dei
suoi lati. Nel timpano di Castel del Monte era racchiuso altresì un
bassorilievo di cui non si fa menzione in nessuno scritto, ma che s’intuisce
osservando le tracce delle evidenti scalpellature operate per rimuoverlo o per
distruggerlo.
Pianta del
castello; si notino i percorsi tortuosiEntriamo nel castello; la prima sala è
oggi destinata alla biglietteria e se alziamo gli occhi scorgiamo nella chiave
di volta una ghirlanda o corona vegetale. Per uscire nella corte dobbiamo
entrare prima nella sala accanto, indi attraversare una porta che si presenta
al nostro sguardo arricchita da un fastoso portale. Varchiamo la soglia e
dinanzi a noi si presenteranno, sempre nel cortile, altri due portali fastosi,
ma se ci voltiamo a guardare il varco dal quale siamo passati constateremo che
il portale Interno del portale d’accesso al cortile fastoso che abbiamo
attraversato è disadorno dall’altro lato, ossia dal lato che ci lasciamo alle
spalle. Il significato di questo primo messaggio è che procedendo nel percorso
iniziatico del castello si va verso la bellezza della spiritualità lasciando
dietro di noi una profanità disadorna. A conferma di ciò, ossia che procedendo
troveremo dinnanzi sempre il bello e lasceremo indietro sempre il brutto, ci
sono gli altri due portali affacciati sul cortile che, fastosi dinanzi a noi,
dall’altro lato sono disadorni e poveri.
Chiave di
volta col Bafometto. Entriamo quindi nel portale a sinistra e ci troveremo
nella sala che presenta quale chiave di volta la maschera del Bafometto, simbolo
templare, che è un invito alla meditazione. Si passa nella sala a sinistra che
reca sul pavimento un tracciato magico. Qui trascrivo per intero quanto scrive
Jorg Sabellicus in Magia pratica di circa la disposizione di una sala destinata
a pratiche misteriche: «Disegnato al centro della sala un cerchio, lo si
racchiude in un doppio quadrato, tracciato a una certa distanza da esso, con
gli angoli disposti in direzione dei punti cardinali. La distanza tra i due
quadrangoli deve essere di circa quindici centimetri. Intorno ad ogni angolo si
deve disegnare un altro doppio circolo… Fuori del circolo è acceso un fuoco
di carbone sul quale dovranno bruciare dei profumi».
Nella sala in
cui siamo entrati c’è il doppio quadrato, gli angoli sono esattamente orientati
verso i punti cardinali, vi sono i quattro cerchi agli angoli e v’è il camino
per bruciare i profumi. In più, al di fuori dei quadrati v’è un mosaico, oggi
ve ne sono solo tracce, che ripete infinite volte il sigillo di Salomone, ossia
i due triangoli equilateri sovrapposti, uno col vertice in alto, l’altro in
basso e con le significazioni note (vertice in alto: montagna, Sole, fuoco,
uomo; vertice in basso: grotta, Luna, acqua, donna) ossia tutta la realtà al di
fuori della dimensione magica. In questa sala, al centro, si colloca il mago
racchiudendosi in un cerchio che attualmente manca, ma può essere tracciato di
volta in volta con la farina dal mago stesso. Nei quattro cerchi agli angoli si
collocano gli adepti (il cerchio protegge dalle forze del male), nel camino si
bruciano i profumi e il seguito della cerimonia (che è un rito di
purificazione) si ignora trattandosi di un rito misterico. L’iniziando,
purificato dal rito magico, si reca al piano superiore salendo per la scala a
chiocciola che si apre nella torre cui si accede dalla stessa sala. Tale scala
gira verso sinistra come la Terra nei suoi moti di rotazione e rivoluzione (ciò
sempre per essere in armonia con ìl cosmo secondo una preoccupazione costante
degli antichi). La torre è quella collocata esattamente a Sud in
contrapposizione al Nord, ossia alla notte, alle tenebre perché l’iniziando
compie il suo viaggio verso la luce. La porta è apribile solo dalla parte della
torre, ossia chi deve salire deve essere accettato. Alla sommità della scala
accade la stessa cosa: per entrare qualcuno deve aprire.
Volta
esapartita della torre sud
Alla sommità
della torre vi è una piccola volta sorretta da sei costoloni a loro volta
sostenuti da sei telamoni (uomini accovacciati, nudi, con valore simbolico).
Tre di essi sono vecchi, tre giovani, tre guardano in alto, tre in basso, tre
mostrano il sesso, tre lo celano e qui il simbolismo è evidente: il passato, il
futuro, il cielo, la terra, la presenza e l’assenza del seme fecondo. Uno dei
sei telamoni ha in bocca due dita, l’indice e il medio della mano sinistra. Nel
simbolismo l’indice è la vita, il medio è la morte e la bocca è il fuoco. 2
come dire all’iniziando che la sua vita e la sua morte da quel momento (la
scelta della vita iniziatica) dovranno passare per la prova del fuoco.
La scala
conduce l’iniziando nella sala accanto alla sala principale, quella che
affaccia ad Est, dove sorge il Sole, quindi dove nasce la luce, quella luce
dello spirito che l’iniziando è venuto a cercare. Da questa sala principale può
vedersi (meglio dire poteva vedersi, perché è andato distrutto) attraverso la
fìnestra che affaccia nel cortile, esattamente sulla parete di fronte, il
bassorilievo che rappresentava una donna vestita alla greca che riceveva
l’omaggio di cavalieri. Tale donna è SOPHIA, ossia la conoscenza ed esattamente
la conoscenza iniziatica. Nella chiave di volta della sala c’è la testa di un
vecchio con la bocca socchiusa e sta a rappresentare il soffio divino.
Qui
l’iniziando viene iniziato e nella cerimonia, che poteva aver luogo all’alba
dell’equinozio, quando il Sole sorgente baciava col suo primo raggio la donna
del bassorilievo, una sacerdotessa in carne ed ossa (Sophia) poteva baciare in
fronte l’iniziato. Sui sedili che circondano la sala sedevano i partecipanti
alla solenne cerimonia. Ora l’iniziato è in grado di capire i simboli che sono
nel castello. Egli passa nella sala accanto dove nella chiave di volta vi sono
quattro delfini stilizzati Chiave di volta con quattro delfini, simbolo della
rigenerazione dell’anima che giunge nel porto della salvezza attraverso le
acque dell’esistenza, quindi ACQUA. Procede nella sala successiva dove la
chiave di volta reca quattro testine con la bocca aperta come se soffiassero:
ARIA.
Nel passare
nella sala seguente attraversa una porta che ha un architrave triangolare in
cui l’angolo al vertice del triangolo isoscele è aperto a 147 gradi. Questo è
l’angolo interno di un endecagono, poligono a undici lati, e l’undici, secondo
S. Agostino, è l’unione centrale del cielo (cinque) con la terra (sei). È
chiaro il significato della tappa raggiunta dall’iniziato. Tale concetto di
raggiunta unione del cielo e della terra è ribadito all’iniziato quand’egli
scende al piano terra dalla scala della torre detta del «falconiere» collocata
a Nord-Ovest (tramonto del Sole al solstizio d’estate). Qui il voltino della
scala ha tre costoloni, due di essi sono sorretti da due teste, una femminile e
l’altra maschile. Il terzo costolone non ha più sostegno perché totalmente
scalpellato di proposito. Che cosa rappresentava? Quella mensola era tanto
scomoda a qualcuno, tanto importante, tanto significativa?
Torre del
«Falconiere», volta tripartita con i telamoni uomo e donna
Il telamone
maschile della Torre del «falconiere»Il sospetto è legittimo se si pensa che lo
spazio che doveva essere occupato da tale sostegno è per tutta la durata del
giorno illuminato da un rettangolo di luce proveniente da una monofora collocata
esattamente di fronte. Quindi tra l’uomo e la donna v’era qualcosa che veniva
evidenziata dalla luce, quasi indicata. Era per caso l’Androgino, formula
arcaica della consistenza di tutti gli attributi nella unità divina e nell’uomo
perfetto quale è esistito alle origini e deve diventare nel futuro? Era
l’Androgino presentato dalle dottrine gnostiche cristiane come lo stato
iniziale che deve essere riconquistato? Il telamone femminile della Torre del
«falconiere» Era quell’Androgino simbolo di divinità, pienezza, autarchia,
fecondità, creazione, unione del celeste col terrestre? Erano, tradotte in
pietra, le parole di Tommaso nel Vangelo apocrifo: «E se farete il maschio e la
femmina in uno, perché il maschio non sia più maschio e la femmina non sia più
femmina, entrerete nel regno dei cieli»?
Modo
pittoresco di riproporre l’unione centrale del cielo e della terra che S.
Agostino aveva, altrettanto pittorescamente, condensato nel numero undici. Al
piano inferiore l’iniziato trova in una chiave di volta il fiore di loto ad
otto petali simbolo della TERRA (i quattro punti cardinali più i quattro punti
solstiziali dove sorge e tramonta il Sole). Segue una chiave di volta che reca
un fiore con petali e foglie seghettate come fiammelle: il FUOCO. I quattro
elementi sono completi. Da qui l’iniziato si accinge ad uscire nel cortile e,
come detto in precedenza, si trova davanti i portali disadorni nel rovescio,
sia quello che immette nel cortile, sia quello che dal cortile ammette nella
sala antistante l’ingresso principale.
Castel del
Monte, il cortile con i due portali sud (di fronte) e nord ovest (a destra)
E il ritorno
verso la profanità disadorna. Una volta fuori dal castello, l’iniziato si volge
a guardare il portale principale e ora, che ha imparato a leggere i simboli e
ne ha capito il linguaggio «in superioribus», vede il portale nella sua
essenza: la stella a cinque punte, concentrato della Firma di Dio, la divina
proporzione, ed in essa l’uomo di Agrippa di Nettesheim, ossia l’uomo che
attraversa la porta che lo conduce verso la grande avventura dello spirito.
Ormai egli è in grado di comprendere anche il significato delle cinque cisterne
sulle torri senza una funzione pratica (ACQUA) e dei cinque camini del castello
(FUOCO): «Oggi io vi battezzo con l’acqua, ma verrà chi vi battezzerà col
fuoco», le parole di Giovanni nel Vangelo di Luca, come dire: nella vita
iniziatica non basta più il battesimo dell’acqua, ma occorre il battesimo del
fuoco.
L’iniziato
comprenderà inoltre il significato della stella Vega visibile in cielo al
centro del cortile del castello a mezzanotte del solstizio d’estate e quindi
della festa di S. Giovanni. Essa, che fu stella polare tredicimila anni fa e lo
sarà ancora tra tredicimila anni, quindi stella di riferimento, stella guida,
ammonisce chi intraprende il viaggio verso la dimensione iniziatica a volgere
sempre gli occhi verso il cielo, unica e sola guida sicura sulla strada dello
spirito. Ultimo messaggio che il Castello dava all’iniziato, già uscito, veniva
dalla saracinesca del portale che, scendendo lentamente e chiudendo il varco
dell’ingresso come si chiude una bocca, ammoniva al SILENZIO sull’esperienza
vissuta.
Negli ultimi venti o trent’anni il mondo è cambiato più che in tutto il settimo
e ottavo secolo dopo Cristo. Ora la trasformazione potrebbe coinvolgere, grazie
alla bioingegneria, non solo la società e la cultura ma anche la biologia, la
natura stessa dell’uomo.
La mappatura del genoma, la scoperta dell’alfabeto della vita umana, potrebbe
contribuire a questa trasformazione, dare la possibilità di ricombinare in modo
diverso le lettere di quell’alfabeto e di scrivere dunque un nuovo testo, di
creare un uomo diverso. “È uno dei racconti più straordinari che gli
scienziati abbian mai consegnato al mondo” asserisce Alison Abbott.
“Il genoma umano, ai fini pratici completamente sequenziato, è come la
scoperta che la Terra gira intorno al Sole, che ci siamo evoluti dalle scimmie
e che nel cervello risiede la mente con la quale rianalizzare noi stessi e i
nostri rapporti col mondo, e per chi vi fosse portato, riflettere ancora sul bisogno
di un Dio creatore e mentore”.
“Per la prima volta nella storia arguisce Claudio Magris “c’è la
possibilità di manipolare intenzionalmente e direttamente la vita, di agire
volutamente, esplicitamente e con fulminea rapidità sull’individuo, di modificarlo.
La clonazione umana, se verrà praticata – e lo sarà, se non lo è già stata –
non potrà non incidere profondamente sul nostro modo di essere; il giorno in
cui si potranno avere tre gemelli uguali al proprio nonno cambierà fatalmente
il senso della famiglia e delle generazioni e con esso cambieranno i sentimenti
umani e le rappresentazioni poetiche che quel senso implicava. “La
scoperta del DNA è probabilmente la scoperta più grande, più rivoluzionaria
della storia. Esa non tocca Dio o la natura”, conclude Magris, “per i
quali la vita è da sempre una continua creazione e manipolazione della vita,
che forma e distrugge specie viventi, i dinosauri come l’uomo e domani
l'”oltre uomo” vaticinato da Nietzsche, il nostro eventuale discendente
creato in laboratorio, come Hominculus da Faust nel poema di Goethe.
È l’umanesimo, la fede nella centralità dell’uomo, che potrebbe vacillare; è
l’uomo così come lo conosciamo, e il nostro volto che potrebbero venire
alterati come nelle metamorfosi del mito antico. Forse per questo il Galileo di
Brecht – uno scienziato vittima dell’oscurantismo – dice che “il processo
non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità”. Comunque, pur
nel vertiginoso susseguirsi di scoperte sconvolgenti, tante cose continuano ad
andare lentamente; si clonano le pecore – e forse gli uomini – ma il
raffreddore e la calvizie continuano imperterriti a resistere, invitti, agli
assalti della scienza. È difficile dire se sia una consolazione.
Il
tema di quest’ anno per la Camera del 31° Grado ha come titolo “ E’ necessaria
una religione civile ? ” E’ un interrogativo di grande interesse e di estrema
attualità sia da un punto di vista della Libera Muratoria Scozzese, sia da un
punto di vista socio-politico.
Il mondo sembra avere bisogno di una nuova
pedagogia civile…di una nuova religione civile, incentrata sull’equilibrio fra
dovere e diritti, sul principio di responsabilità, sui valori della solidarietà
politica, economica e sociale. Viviamo in una silenziosa disgregazione della
società ( L.Violante “ Il dovere di avere doveri” Ed. Einaudi 2015). Il
rapporto Censis sulla Società Italiana -2010-evidenzia che: <<… sono presenti manifestazioni di
fragilità sia personali che di massa: comportamenti indifferenti, cinici,
passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al
presente, senza profondità di memoria e di futuro. Si sono appiattiti i nostri
riferimenti alti e nobili, come l’eredità risorgimentale, il laico primato
dello Stato, la fede in uno sviluppo continuato e progressivo; soppiantati da
una delusione per gli esiti del primato del mercato, della verticalizzazione e
della personalizzazione del potere e del decisionismo di chi governa. E’ una
società appiattita, che fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti
presenti in essa>> …<< Siamo ina una società pericolosamente
segnata dal vuoto, insoddisfatta ed insicura …visto che un ciclo storico pieno
di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato
dall’annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti>>.
Il
filosofo Habermas, parla di un frantumazione della solidarietà civica nel
contesto di una dinamica politicamente incontrollata fra economia e società
mondiale. ( J. Habermas. Tra scienza e fede. Ed. Laterza 2006). Inoltre
assistiamo ad una crisi di legittimità di tutte le forme di autorità sociale:
il padre, l’insegnante, il politico; questo porta una una divisività …non si
sente più il dovere di appartenenza ad una comunità e di servirla. Anche le
grandi agenzie di educazione nel nostro paese non ci sono più: né i partiti, né
la Chiesa, né la famiglia. E se nessuno educa, ogni aspirazione diventa un
diritto che tu esigi. La psicanalista Julia Kristeva, saggista poliedrica, le
cui linee di pensiero sono considerate tra le più importanti di questo secolo, ha
detto che dobbiamo costruire una religione civile/laica. Ella denuncia
l’automatizzazione delle menti: “ Nessuno sa più che cosa siano il bene e il
male , non ci si interroga più, ci si adatta semplicemente alla logica di causa
ed effetto” . E’ appunto la povertà di pensiero a spingere il soggetto verso le
derive pericolose del nichilismo, oppure a rinchiuderlo nelle gabbie dei dogmi
dove fondamentalismi religiosi, ideologie politiche, mentalità
individualistiche, culture narcisistiche convivono nella grande “Krasis” del
moderno”. Al pensiero, allora, il più grande rischio: quello di pensare! E con
ciò di ridarsi forma, di ormarsi, di trasformarsi, di porsi in discussione, ora
con l’analisi, ora con la scrittura, ora con le complessità simboliche delle
culture che sanno spezzare il cerchio autoriflessivo di una comoda e insincera
identità.
Se
riflettiamo o se ci domandiamo qual’è il fine ultimo …quale è il progetto della
Libera Muratoria…del Nostro Ordine Iniziatico, la risposta è semplice: è quello
di eliminare le divisioni di tipo religioso, etnico e cetuale presenti nella
società civile, applicando i valori che caratterizzano la Libera Massoneria
come l’uguaglianza, la libertà, la fratellanza. Lo scopo ultimo è quello di legare,
di riunire, di armonizzare…prefigurandoci una “società buona”…lavorare per il
“bene di tutti gli uomini” …per il “bene dell’umanità intera”. L’intero Ordine
dei Liberi Muratori si propone di acquisire per poi diffondere, saggezza e
virtu’, a un numero sempre più elevato di uomini/cittadini…educandoli…illuminandoli
con la propria Scienza Muratoria. La Libera Muratoria inoltre combatte, in nome
della dignità e della libertà umana, ogni dispotismo, ogni totalitarismo. Un
uomo, anche se saggio e virtuoso, per essere felice deve essere libero… non oppresso,
esiliato, imprigionato, schiavizzato da altri “uomini potenti “. Pertanto,
possiamo paragonare l’Ordine Iniziatico Massonico-Scozzese a un “nuovo Ordine Religioso
di tipo civile” e suoi Adepti a “nuovi sacerdoti ”. Questo è ciò che s’intende
per “Religione Civile” o “Religione
dei Moderni” -com’ è stata definita da Gian Mario Cazzaniga – professore di
filosofia morale all’Università di Pisa ( G.M.Cazzaniga: “La religione dei
Moderni” Edizione ETS, Pisa 1995) – fondata sui principi di sociabilità di
ispirazione massonica-scozzese.
Già
nel 1723 Fenelon –Ramsay scriveva che: “
tutto il genere umano non è altro che una famiglia dispersa sulla faccia della
terra”; così come nel 1736, un pastore luterano, Simon De Marrèes, un
avversario, definiva la massoneria come “una
religione del cittadino del mondo”. Anche
nel libro “Dialoghi per Massoni” di
G. E. Lessing e J.G. Herder, scritto in Germania dal 1778-1780 e pubblicato in
Italia dall’ Editore Bompiani nel 2014, si parla di religione civile, degli
obiettivi …dei propositi dei massoni … della funzione educativa del messaggio
libero muratorio sulla società civile. I mali che affliggono Stato e Società si
generano dalle divisioni tra gli uomini …tra i cittadini che, conseguentemente,
determinano lotte, conflitti, intolleranze e violenza: una vera e prorpia “malattia della vita sociale”. Lessing
vuol compiere insomma, tramite la via iniziatica, una rivoluzione
sociale, che nessun politico o rivoluzionario potrà mai attuare. Egli spera di poter rimodellare…trasformare l’uomo
fino ad ottenere quella “Società perfetta” “Aurea
Aetas”. Egli era convinto che la Libera Muratoria si dovesse occupare dei
fatti politici e per questo era paragonata ad una sorta di “Religio Civilis”.
Herder, invece non nega il carattere quasi di “favola” della Libera Muratoria e
dice che lo scopo di questa “favola “è la costruzione dell’umanità e
null’altro…grazie all’impegno dei Liberi Muratori …”con il loro fare e tacere senza nulla pretendere”…una costruzione
che non è a ”pro domo propria” ossia
ad esclusivo vantaggio della Libera Muratoria ma in funzione e a vantaggio
dell’umanità tutta, senza distinzione alcuna…quasi fosse una “communitatis” di spiriti invisibili.
Le Logge Massoniche sono considerate il
più importante “laboratorio moderno del
vivere associativo”, fondato appunto sul segreto e sull’uguaglianza degli
affiliati. Le Logge possono essere considerate luoghi sacri perché sacro è –
come diceva Goethe- “ciò che lega insieme
molte anime” …quindi una loggia è sacra, perché è composta da molte
anime/adepti che sono legati insieme, da un rito di iniziazione, da un rispetto
ab-soluto dell’uno verso l’altro, da un senso di fratellanza e di uguaglianza.
Tutti gli adepti di una Loggia inoltre lavorano in comune, con azioni
silenziose, per un fine comune. Pertanto il modello associativo “originale” tipico
di una Loggia Massonica può, potenzialmente, estendersi nella società profana…ispirando,
migliorando, affratellando la società civile; legando tantissime persone di
tutti i paesi del mondo con gli stessi principi e con l’obbligo che ne deriva
di soccorrersi scambievolmente e di lavorare per il bene dell’umanità. Questa è la “Missione Muratoria-Scozzese”…… ed
una volta ottenuta una così detta “società
buona”, l’Ordine Massonico-Iniziatico cesserà di esistere come associazione
autonoma, perché il suo compito sarà terminato.
Questo modo così semplice – quasi ingenuo – di
ragionare è tipico degli “Uomini Liberi” e in particolare dei “Liberi Muratori“; essi credono
che tutto possa essere modificabile …che la realtà possa essere cambiata ed è
proprio questo particolare modo d’intrepretare il mondo, che in “Noi” vive e si
autoalimenta il salvifico sentimento della “Speranza”. Sappiamo perfettamente,
che tutto questo è soltanto una visione utopica, ma al tempo stesso, siamo
consapevoli che l’“Utopia”, pur essendo una cosa apparentemente
insensata, è stata… è …e sarà necessaria per l’“uomo libero di pensare”……altrimenti,
senza il “pensiero utopico” saremmo sempre al tempo della pietra. E’ così che
hanno pensato tutti i Grandi Uomini della storia, dall’antichità alla
post-modernità. Se un “uomo” non è capace di amare l’umanità, di sperare, di
entusiasmarsi… ma rimane freddo, legato solamente a suoi interessi personali,
al suo egoismo, non può essere un Uomo Libero …non può essere un Libero
Muratore-Scozzese.
Queste
idee, anche se utopiche, se sono ben salde, permettono di superare tutte le difficoltà
che s’incontrano durante il proprio viaggio iniziatico.
Credo
che questo sia un modo affasciante di ragionare…di pensare – con coraggio e con ingenuità, in fondo noi
Liberi Muratori siamo dei fanciulli- adulti- senza preoccuparsi dei risultati
e del tempo. Se le nostre speranze si realizzeranno…tra uno o mille anni
meglio…ma se non si realizzeranno mai, va bene lo stesso, l’importante è
possedere una speranza per un futuro migliore. Per questo motivo, scondo me, il “Libero Muratore-Scozzese è un uomo senza tempo”.
La
leggenda o l’apologo dell’” Araba Fenice” – riportata da Herder sempre
nel libro “Dialoghi per Massoni”- ci fa comprendere perfettamente il significato
profondo della “Missione Muratoria”. Il
misterioso e mitologico uccello che ha costruito il suo nido sull’albero della
conoscenza e su quello della vita: i due alberi del Paradiso. Al compimento del
suo destino la madre – simbolicamente individuata nel Sole – le dà la morte
incendiandole il nido. Ma se i rami dell’albero della conoscenza la fanno
morire, quelli dell’albero della vita la riportano all’esistenza, adempiendo
all’antico detto: “Post fata resurgo”
cioè dopo il compimento del mio destino risorgo. Dalle ceneri della Fenice,
risorge non più un Fenice ma una “Luce”…un
“Genio Luminoso ” che si libra su, in
alto…essa non è nient’altro che lo “Spirito del Libero Muratore”…un occulto Spirito Muratorio Protettore degli
uomini, portatore di pace, di uguaglianza, di fraternità, di armonia tra
gli uomini… che brilla di Luce che proviene dall’Oriente “Ex Oriente Lux” (dall’Oriente sorge la luce – Sole) e che unito
allo “Spirito del mondo”, costituisce
la perfetta “Complexio Oppositorum” cioè
la “Speranza del futuro” … che continuerà
– al di là del tempo e della storia- ad illuminare …ad edificare il “Tempio
dell’Umanità” .
i Fratelli Francini e Terzi hanno sviluppato l’argomento parlando
soprattutto del “Dubbio dei Dubbi», come lo chiamano loro, cioè sulla domanda
se esista o meno un Aldilà, una vita dopo la morte.
E direi che hanno già risposto da soli a questo inquietante
interrogativo dato che, come dicono loro stessi, nessuno può darsi una risposta
certa, ma è pur necessario, anzi doveroso, accettare la sfida del dubbio,
perché solo in questo modo potremo continuare a sentirci veramente liberi.
C’è quindi poco da aggiungere a quanto detto: la risposta alle domande,
o se preferiamo ai dubbi, circa l’esistenza di Dio e di un Aldilà, è lasciata
ai singoli, i quali, riflettendo, elaborando dentro di loro le tante
informazioni che la vita – ma soprattutto la Massoneria – mette a disposizione,
possono farsi un’idea che, in questo caso, assomiglierà ad un Dogma, visto che
quanto asserito non potrà comunque essere dimostrato.
Ma parlando più in generale, vorrei estendere il concetto del dubbio. Io
credo che oggi sia ancor più ragionevole per tutti avere dei dubbi: serva di
lezione quanto è accaduto per le grandi ideologie politiche che sembravano
pilastri granitici, come sia cambiata per molti l’opinione verso la Giustizia
di Stato e perfino il tramonto di certe scoperte scientifiche precedentemente
ritenute degli assiomi. Credo che il dubbio, soprattutto per noi che ci
dichiariamo tolleranti, sia invece necessario.
Intendiamoci, l’uomo-massone deve avere dei punti fermi durante la sua
vita iniziatica di perfezionamento alla ricerca della Virtù e della Verità,
tuttavia deve anche tenere un atteggiamento critico di dubbio verso il
quotidiano.
Se così non fosse, il Massone si trasformerebbe in un uomo tendente a
non mettere minimamente in discussione le proprie scelte di vita e le proprie
esperienze, così da diventare pian piano intollerante.
Occorre naturalmente distinguere tra dubbio sistematico ed il dubbio
ragionevole. Tra il dubbio sempre e comunque ed il dubbio motivato. Tra il
dubbio che cerca in tutti i modi di smontare ogni certezza propria o altrui ed
il dubbio che si contrappone alla sicurezza arrogante. Il dubbio diviene
legittimo soprattutto quando si pone quale critica nei confronti di un’idea o
di una nostra azione.
Il dubbio quindi non deve essere una ragione di vita, anche se spesso il
dubitare può aiutare a vivere, specie se, dubitando ulteriormente, ci
accorgeremo che il vero, il bene, il giusto non siano stati ancora trovati e
che si possano invece trovare ricercando ulteriormente.
Nel rituale di apertura dei Lavori, alla domanda del M V : “a quale scopo ci riuniamo?”, il Fr I° Sorvegliante risponde: “per edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio”….. E’ la logica spiegazione di che cosa é la Massoneria, é la più giusta e perfetta spiegazione di quanto stiamo facendo in questo momento: edifichiamo Templi alla virtù. La Massoneria é l’edificazione di templi e non a caso questa espressione é riportata prima dell’inizio dei lavori, quale richiamo per coloro che, con l’ingresso nel Tempio, non si fossero spogliati di ogni passione profana.
. Ma che cos’è il vizio? che cos’è la virtù? Nell’accogliere l’incarico affidatomi dal M. V. di svolgere questo tema, mi sono sentito un po’ perplesso poiché il significato di queste parole si ritrova nella cerimonia di iniziazione di un profano, ricordate?
Che
cos’altro aggiungere a queste semplici e complete spiegazioni che non sia solo
speculazione filosofica?
Per mia curiosità sono andato a cercare
qua e là notizie su questo tema e
confesso che sono naufragato tra teorie contrastanti e contraddittorie, per
quanto autorevoli le fonti : da Platone ad Aristotele, da S. Agostino al
Rousseau, agli Illuministi, a Kant a Shiller, ognuno secondo il suo tempo e
quindi secondo i differenti tipi di società in cui viveva, ha formulato e
dimostrato validi i concetti di virtù e quindi di vizio sempre vincolandosi al suo credo religioso o
politico, con la conseguenza che ciò che è virtù per S. Agostino, finisce per
essere vizio per Platone. Mi sono convinto che nessuna di queste ipotesi, da
sola, può sostenere il confronto per attualità, per semplicità, per la sua
generalità, con i concetti che si ricavano dall’insegnamento massonico. La
questione appare subito presuntuosa: possibile che quattro parole di un rituale
e alcuni simboli sostengano il confronto con idee che sono costate fiumi di
parole a geni universalmente riconosciuti? Nella ricerca di giustificare questa
osservazione mi sono reso conto che è così,
poiché ognuno dei nostri simboli è la sintesi equilibrata dei concetti
espressi dai più grandi pensatori, sintesi che è stata realizzata nel modo più
semplice attingendo il meglio del pensiero umano e sempre confrontandolo con la
realtà Uomo inteso nel senso Universale e quindi sganciato dai vincoli e dai
limiti delle problematiche nazionalistiche o religiose.
Nessuno dei nostri simboli, infatti, ha
un significato suo proprio, ma è sempre il tramite filosofico che coinvolge
Etica, Morale e sentimento umano.
L’aveva capito
bene Mazzini, massone o non massone, certamente un uomo impregnato di
Massoneria, il quale pur non esternando un pensiero filosofico sistematico,
seppe trovare nella sua travagliata epoca quei concetti di morale, di
umanitarismo, di fede in Dio spinta fin quasi al misticismo, di doveri
dell’uomo, – in una parola di “Virtù” intesa nel senso massonico,- concetti che gli permisero di possedere una
visione sociale e politica talmente sganciata dai limiti nazionalistici e
religiosi che credette di vivere la vigilia di quella che egli riteneva essere
una nuova epoca per tutti i paesi: la Storia, pur se tra mille travagli, gli
darà infine ragione.
Vale la pena di esaminare brevemente il
significato del simbolo che più di ogni altro si riallaccia al tema del Vizio e
della Virtù: il pavimento a mosaico. Tralasciando il fatto, e non è poco,che
non a caso questo pavimento così come lo vediamo a quadri bianchi e neri,
adornava i templi egiziani, il tempio stesso di Salomone, veniamo all’aspetto
più interessante, quello simbolico-esoterico. Perché bianco e nero? Perché per
la legge dei contrasti e degli opposti già delineata dalle due colonne che
rappresentano gli aspetti positivo e negativo delle varie situazioni umane,
bianco e nero a simbolo di bene e di male, perfetto e imperfetto, grezzo e
levigato, materia e spirito. Bianco,
luce, virtù. Nero, buio, vizio.
Esaminiamo inoltre la sua forma: esso è
un mosaico composto di tanti cubi, simbolo di Terra e quindi è il solido più
indicato a rappresentare le vicende umane; affascinante e pieno di simbolismi,
il cubo merita certamente uno studio a parte.
Ci porterebbe certamente lontano l’esaminare anche la simbologia del
quadrato, (di tanti quadrati ci appare infatti composto il pavimento), ma
merita ricordare che a seconda del progresso compiuto negli studi massonici,
esso lo si vede costituito da rette, da due squadre o da compassi aperti a 90°;
la sua simbologia spazia quindi dalla realtà primordiale dei quattro elementi,
fuoco-aria-terra-acqua, alla meta da raggiungere, la perfezione, rappresentata
dall’unione di due compassi aperti a 90°.
Ma vediamo ora come si muoverebbero gli
uomini su questo pavimento: il profano lo calpesterà casualmente ora sul bianco
ora sul nero, perché essendo grezzo, imperfetto, alternerà inevitabilmente i
vizi alle virtù. Oppure si ancorerà talmente alle cose terrene, esclusivamente
materiali, da preferire muoversi solo sui quadrati neri. O ancora,
rifuggendo le realtà della vita, vivrà
in un’atmosfera mistica e irreale trascurando una verità nera che pure esiste e
calpesterà solo i quadrati bianchi.
Il Libero Muratore, invece, non passerà
affatto sul pavimento a mosaico, ma si limiterà a squadrarlo, percorrendo un
piccolo corridoio che delimita il pavimento e che considera il cammino dei Massone; lo
percorrerà guardando con attenzione al pavimento, teatro dell’azione umana, con
la convinzione che perseverando nella ricerca della verità si giungerà a
“scavare oscure e profonde prigioni al vizio”, facendo sì che il pavimento
appaia costituito esclusivamente da quadrati formati da due compassi aperti a
90°, la squadra giusta, simbolo della perfezione raggiunta.
Vorrei concludere ricordando che “Edificare templi alla Virtù e scavare oscure
e profonde prigioni al Vizio” significa lavorare al bene e al progresso
dell’Umanità. Il vero contributo della Massoneria a questo lavoro sta nella vita individuale
dei Suoi membri.
I tempi e le vicissitudini, sia del mondo profano che di
quello massonico, sono maturi per fare una analisi dell’operato della nostra
comunione dalla fondazione ad oggi. Analisi che, in virtù dei fatti accaduti,
si amplia al mondo massonico italiano e al mondo profano visti da occhio educato dall’etica della massoneria.
In silentio et spe fortitudo nostra è uno dei motti
applicato ad un certo grado massonico ma è proprio di questo grado, talvolta,
il vociare e l’ansia del sapere tutto e subito.
Eppure ad un certo grado della vita massonica viene
insegnato il silenzio!
La nostra comunione sin dal primo giorno si è prefissa ,
attraverso il proprio G.M. Giulio Mazzon, di operare per il bene dell’umanità e
contemporaneamente per la rinascita di una massoneria italiana ligia ai dettami
massonici della tradizione. Dal 1989 il catechismo massonico è stato adottato
dalla nostra Comunione .
La nascita della comunione fu allora una forzatura dettata
dai tempi: Cordova faceva il gesuita cacciatore di streghe e Di Bernardo gli
dava una mano denunciandoci come Logge spurie e coperte, dedite , forse , al
malaffare.
Noi , allora, ci identificavamo come Fratelli separati nel
G.O.I. cioè eravamo, per così dire, dei massoni che, seppure non inseriti
formalmente nell’istituzione, ne seguivamo statuti , regolamenti e principi in
attesa di chiarimenti necessari per rendere unica e più grande l’istituzione
massonica italiana.
Le carte erano e sono in regola : decreto di Corona e tempi per attuare il tutto.
Di Bernardo complica le cose senza motivo, anzi egli stesso,
dopo essere stato confermato Gran Maestro del G.O.I. in una Gran Loggia, pur
avendo subito pesanti critiche,se ne va con un manipolo di logge ( e si dice
anche di casse), lasciando decapitata tale istituzione.
nati non per caso
Il 21 Marzo 1994 nasce, in una splendida mattina, la
Comunione dei Liberi Muratori. Per necessità , dunque, e non per presunzione o
ambizione di alcuno.Nasce per determinare un maggior impegno profano . Questi sono stati i dettami della nascita
della C.L.M. .
Fu una nascita travagliata, è vero, ma ricca di buoni
propositi che preannunciavano un futuro più che logico in nome dei principi.
Questi non lasciavano prevedere la distorsione che era solo nelle menti di
pochi e che ha condotto la nostra
comunione a scoprire la verità sui falsari introdotti nella massoneria con
ritardo nei tempi di attuazione dei programmi, nonché sforzo fisico ed
economico di coloro che a tali eventi sono sopravvissuti.
Certo sarebbe stato
meglio lasciare ogni uomo al suo posto, con il suo mugugno o la sua sete di
potere( le casse e la forza del numero avrebbero avuto il loro peso); la CLM
non è ne sede di mugugni né offerta di potere.
Gli uomini che devono fare parte della nostra nobile
istituzione devono essere consci che in massoneria non vi è spazio per le
carriere o per i soldi facili né , tanto meno, per seggioloni politici o di
privilegio nel mondo profano.
Non lo abbiamo inventato noi questo principio.
È la massoneria che lo impone.
Lo impone perché le nostre officine sono forgiatrici di
uomini, sono scuole di pensiero e di idee e con queste si plasmano gli UOMINI
in MASSONI che, da soli, si fanno strada nel mondo profano con la tenacia e la
forza di ciò che hanno dentro, orgogliosi di portare fuori dall’officina il
pensiero nuovo che ivi è stato forgiato.
Ognuno è ciò che è.
Il Tempio deve aiutare a crescere nel pensiero e nella
volontà.
I fratelli devono confrontarsi dialetticamente senza remora
alcuna, con rispetto reciproco, con tolleranza, per scoprire nel passaggio dei
gradi, che la propria crescita interiore si compie. Una volta intrapresa la via
iniziatica avviene la vera trasformazione che offre , al mondo profano, un uomo totalmente rinnovato.
I vari geni della cultura, musica e scienza , i grandi
condottieri i capi di stato di cultura massonica, sono stati grandi per le loro qualità
personali così che hanno reso grande la massoneria.
La loggia è un contenitore pieno di risorse e di idee
dove chi vi accede non può prendere a suo piacimento e distorcerne il
significato. E’ un contenitore dove, coloro che la frequentano, devono portare
tutto quello che possono e trarne idee per il PROPRIO miglioramento.
Ogni fratello, per
definizione uguale agli altri solo nei diritti e nei doveri è , a sua
volta, disuguale agli altri . Diversa sarà la crescita nel Tempio .
Disuguaglianza logica
perché legata alla libertà di ognuno di noi.
A nessuno viene
imposto nulla se non l’obbedienza alle tradizioni e ai doveri del massone.
Ognuno, quindi, cresce in relazione alle proprie attitudini e potenzialità
nonché alla predisposizione ( non è di tutti) di accettare la dialettica e gli
studi di Loggia.
La massoneria è fatta principalmente di uomini,purtroppo,
ancorché massoni e, come spesso accade,
taluni rimangono; senza offrire alcunché
pretendono servigi non dovuti. Pretendono che la loggia metta a loro
disposizione uomini e mezzi per i propri scopi.
Gli aspiranti Napoleoni,
purtroppo, pullulano.
I massoni, spesso, dimenticano le regole e l’ambiente che
frequentano. Codesti ,influenzati da altre scuole massoniche disdicevoli , si
comportano da Pinocchio con Lucignolo e credono al paese dei Balocchi. Questa
situazione deplorevole ha condizionato una crescita selezionata delle logge e,
quindi, ha portato alla riduzione numerica. La responsabilità di tutto questo
ricade su uomini non divenuti massoni.
Quegli uomini , non figli di vedova ma di madre
mercificatrice e perennemente incinta(gli imbecilli), sono stati accolti, in buona fede, anche tra le nostre
colonne e , non senza sacrificio e mormorii (degli ignoranti), sono stati,
conseguentemente, allontanati per affrancare le nostre logge da deviazioni
profane che non si addicono alla massoneria. Facevano,costoro, come dicevo
sopra, tendenza in alcuni ambienti,
riflessi di altre istituzioni che, seppur decantando principi massonici,
avevano ben altri fini. Infatti, in quegli ambienti, non provvedevano alla
necessaria pulizia nelle proprie
officine.
Eppure , a dover di
cronaca, quando il G.M. Corona promulgò
il decreto di rientro delle Logge con la “reggenza Mazzon”, furono
escluse, aprioristicamente, le Logge aretine perché, allora, inquinate da
elementi non adatti alla massoneria rappresentata dal G.O.I. .
La pulizia è stata un
dovere doppio che, purtroppo ,per le vicende successive non ha portato ad
alcuna conclusione.
La pulizia è stata un dovere necessario. Le vicende
successive non hanno portato a risultati positivi. Adesso si ha l’amara sorpresa di scoprire che il
G.O.I. dapprima toglie la legittimità ai Maestri Venerabili e,successivamente,
concede la riammissione di coloro che, ritenuti colpevoli di colpe massoniche,
ne facciano richiesta anche se provenienti da altre comunioni ma regolarmente
iniziati . C’è da capire l’affermazione REGOLARMENTE INIZIATI che dovrebbe
essere il caposaldo per l’introduzione all’obbedienza. Tale proposta del G.O.I.
è puramente burocratica poiché il problema è, innanzitutto, MORALE. I
colpevoli, in generale, di colpe massoniche, sono conseguenza di gravi errori
delle Grandi Maestranze.
Togliere la legittimità ai Maestri Venerabile equivale ad
annullare la sacralità che fa del Venerabile un grado iniziatico.
Non si rinnova una istituzione, antica nella tradizione e
nella cultura, tradendo proprio i cardini di quella tradizione che vede ,nella
autonomia delle Logge, la propria forza creativa di uomini e di idee.
Si delegittima qualche cosa o qualcuno solo per fare caos e
per avere più potere. Solo in massoneria : ORDO AB CAOS . Dagli uomini: solo CAOS DAL CAOS.
Il vertice della nostra istituzione, al contrario, come suo
compito, è andato avanti portando fino ad oggi a compimento la propria missione
sia nel mondo profano che in quello massonico. Compito reso più arduo dalla
mancanza dell’omogeneità spirituale e di quella forza di sostentamento che ad
ogni vertice viene dalla propria base.
Nonostante tutto, la comunione, ha sempre mantenuto fede al
proprio mandato e tutto ciò che è stato realizzato, nonché scritto, è stato
sempre dettato dallo stesso imperativo :
il bene del mondo profano e della massoneria.
In ogni balaustra che è stata scritta in occasione delle G.
Logge sono stati toccati i problemi della nostra società nonché quelli della
massoneria italiana. Sono stati suggeriti addirittura consigli susseguenti ad
analisi che, con l’ottica del passato, hanno addirittura precorso i tempi e
previsto ciò che in seguito è accaduto .
Nella balaustra del 1996 “essere qualità o
quantità” l’analisi del mondo
precorre i tempi e ciò che è scritto lo stiamo vivendo ora sia nel mondo
profano che massonico .
…al centro del tutto, domina e sovrasta l’Architetto
dell’universo. Tra noi non possono convivere quanti non abbiano compreso che
cosa vogliamo….è un frammento tratto da quella balaustra che richiama al
dovere i massoni.
Il richiamo alla qualità oltre che al mondo profano, fu
fatto, anche al mondo massonico per il pericolo che la quantità possa andare a
detrimento della qualità e porti allo sfaldamento dei principi sostenuti dalla
massoneria.
Purtroppo “La sete del numero supera quella della saggezza.”
Nel 1997 con l’allocuzione “Sulla possibilità di far
camminare diritto un granchio” viene sottolineata la stupidità dell’uomo
che crea uomini e alleanze, crea la guerra, poi modifica le alleanze per poter
terminare la guerra . L’esempio cui si parla è riferito alla seconda guerra
mondiale ma calza anche oggi poiché l’uomo continua da adulto i giochi del
ragazzo non considerando che ai fucili con gli elastici si sono sostituite armi
più micidiali.
..Invece i capi di stato, gli uomini pare non modifichino il
loro modo di essere . Poco più di ventiquattro mesi mancano per conchiudere il
XX secolo e sarebbe bene se ne traesse un consuntivo e della storia e della
filosofia e dell’etica universale allo scopo di poterne utilizzare per il bene
dell’umanità gli insegnamenti che fanno l’uomo diverso dalla pietra. Sulla
scorta dell’esperienza tutto va sottoposto alla revisione critica: la cultura,
la filosofia oggi così diversa nella sua essenza, la politica, le scienze della
società, i rapporti tra le religioni e di queste con gli stati…così si
esprimeva Giulio Mazzon nella sua balaustra…..premonizione?
La revisione da apportare, dato l’arsenale bellico e la
sofisticazione delle armi, è di poter creare un UOMO NUOVO che scongiuri le
guerre poiché pensa in maniera diversa dal suo predecessore. Un uomo che,
uscito dall’eterno bambino, realizzi, finalmente, la sua essenza di uomo
conscio di essere emanazione diretta di un ESSERE SUPERIORE e che, finalmente e
senza ipocrisia, comprenda che chi gli sta accanto non è altro che lui stesso.
Le religioni in quanto religioni con la “i” finale
hanno fallito.
Ogni religione, si è confrontata e si è opposta alle
altre acuendo le differenze e le
discriminazioni e favorendo i settarismi.
Chi può formulare l’IDEA di UOMO NUOVO se non la massoneria?
Purtroppo i fatti
attuali sono l’esempio dimostrato che l’uomo non è cambiato.
1998: il G.M. non scrive balaustre ma incarica il G.Oratore
e il II G.Sorvegliante di assisterlo e sostituirlo.
Il G.Oratore con la tavola “La piramide
decapitata” si rivolge ai vertici della massoneria Italiana richiamandoli
al rispetto delle tradizioni e non degli statuti e regolamenti; le prime hanno
reso grande la Massoneria i secondi servono solo a dirimere le controversie condominiali.
Le tradizioni e gli antichi doveri conferiscono sacralità ai nostri lavori
dando saggezza al massone anche nella scelta o nella conferma di chi, avendo
amministrato con saggezza tutta l’istituzione,
non debba essere allontanato solo per questioni di amministrazione
condominiale e si debba conferire quel posto, tanto delicato nella
rappresentatività, affidandolo ad un computo di pseudo alchimia elettorale che
fa sortire ciò che offre la piazza compiendo grave errore morale.
Il II G. Sorvegliante con la tavola “Assoluto o
relativo” affronta il problema delle religioni con la conseguente
conclusione che l’intollerenza è , sempre, foriera di gravi sciagure se le
religioni non sanno riconoscersi in un solo ed unico DIO. La pace nel mondo non
la si troverà mai se esse non cesseranno di presupporre il proprio dio migliore
dell’altro.
Si propone, in oltre, un nuovo rapporto tra massoneria e
religione per il bene stesso dell’umanità: le religioni hanno fallito
nell’ecumenismo degli uomini. La massoneria sollecita di non immischiare nella
religione la disputa che di UN SOLO DIO ne genera TROPPI.
Sacro e uomo sono i temi di fondo per entrambi: perché non
avviare il dialogo?
Queste tavole, ora settembre 2001, sono attuali sia in
massoneria che nel mondo profano.
Dal 1998 l’attività del vertice è proseguita con il supporto
della Loggia F.Nitti di Arezzo che ha fornito la base di appoggio per
l’attività della gran Loggia. Pertanto ha
contributo per la realizzazione di convegni che non hanno dato minori
risultati delle allocuzioni, specialmente nel significato morale, sia in ambito
massonico che profano. Al solito la qualità e lo stile hanno dato i loro frutti
e ci sono valsi riconoscimenti di stima e rispetto nei vari ambiti della vita
profana.
Nel 1999 a Brescia viene presentato il volume VITA DI
ARNALDO DA BRESCIA in copia anastatica.
Non è stata una esibizione letteraria, bensì il biglietto da
visita al mondo clericale della Comunione dei Liberi Muratori.
È stata presentata ,in tale occasione, la nostra etica che (
vedi l’allocuzione del 1998 Assoluto o relativo) non ci vede detrattori della
chiesa o anticlericali ma , come Arnaldo, moralisti e sostenitori di una vita
adeguata ai dettami evangelici .
Arnaldo non è
Savonarola o Giordano Bruno : non
vogliamo il CAOS , cerchiamo il dialogo e, attraverso questo, migliorare l’uomo
e l’umanità perché massoneria e religione non devono essere antitetiche.
Arnaldo non è , certamente , massone ma è stato colui che richiamando la chiesa
all’umiltà e ai suoi valori di base cercava di ridarle un volto più evangelico
e meno legato ai vizi profani. La profanità non da risposte all’uomo ma si serve dell’uomo.
L’evangelismo ed ogni religione si dovrebbe curare dell’uomo e della sua spiritualità
avvicinandolo, soddisfacendo le sue domande, alla grandezza dell’universo e al
suo ideatore.
E’ chiaro, osservando le immagini del Cd, che la massoneria,
da Guadagnini in poi, ha avuto la sua importanza nell’esaltare la figura di
Arnaldo da Brescia attraverso il ministro Zanardelli (massone) che ne volle il
monumento e , infine, Giulio Mazzon che ne ha curato la ristampa anastatica per
conto della CLM. ( Le ceneri di Arnaldo ancora sono nell’aria)
Arnaldo viene replicato anche alle Giubbe Rosse di Firenze.
In occasione della guerra nel Kossovo, nel nostro sito
internet, vengono pubblicati due documenti riguardanti l’ONU.
Il primo riguarda la risoluzione ONU nr. 1199 del 1998 e
l’altro un documento a firma Giulio Mazzon che , guarda caso, suggerisce una
modifica alla sovranità degli stati per poter meglio governare la PACE. Nel
1999 veniva proposto dalla nostra Comunione ciò che, in ipotesi non remote, i
governanti di oggi, alla luce di quanto accaduto, potrebbero prendere in
considerazione per poter dare a tale organismo un effettivo potere e togliere,
ad ogni stato, la possibilità di vendetta personale o di guerra potenzialmente
allargata con il gioco delle alleanze.
Si eviterebbero le guerre di religione e tribali.
“2000” anno del nuovo millennio e del vecchio
contemporaneamente : la comunione tramite un poema antico ( Gilgamesh ) manda un messaggio al mondo
cattolico e laico per la riscoperta dell’uomo .
Un messaggio per evitare l’autodistruzione; un messaggio per
sottolineare che l’uomo deve solo stare attento a se stesso .
Un ulteriore richiamo alla ricerca dell’uomo del terzo
millennio che non rinneghi il suo passato ma che proprio sulla cultura del
passato possa assistere alla sua rinascita come uomo migliore. L’uomo ”
EONE decaduto” deve prendere coscienza della sua appartenenza
all’universo: uomo e cosmo si identificano come uomo e DIO. Solo attraverso
questa presa di coscienza potrà avvenire la sua rinascita e l’affrancatura da
ogni vizio. Non ci può essere
l’intervento EX MACHINA che riporta tutto all’ordine: l’uomo è artefice
di se stesso e tutto ciò che accade egli stesso ne è causa. Anche gli errori
delle religioni sono colpa dell’uomo :
il sacro ha solo una faccia ma l’uomo cerca sempre di
riscolpirla!
Sullo stesso tema è un CD dedicato all’eccidio delle fosse
Ardeatine elaborazione di un’ opera di Giulio Mazzon .
Tale Cd fu costruito in occasione dell’uscita dell’opera di
Arnaldo da Brescia.
Un cd dedicato alla memoria degli uomini ed in onore dei
massoni caduti nelle guerre: solo per
ricordare e non ricadere nei medesimi errori .(Crudeltà ed inutilità delle
guerre).
L’opera , alquanto lunga ,va ascoltata ma soprattutto
compresa nella grafica: ad un massone non sfuggono i messaggi.
Poiché massoni non
abbiamo taciuto di fronte a ciò che , secondo la tradizione , ci sembrava
errato anche se compiuto dalla più importante istituzione massonica Italiana.
Così nel 2000, in seguito alle delibere della Gran Loggia del G.O.I., la nostra
Comunione ha preso posizione.
Posizione ribadita in una Tornata di conferenza in Arezzo .
I massoni portano avanti le idee anche a caro prezzo.
OGGI
Le Twin Towers sono crollate , non per colpa di eventi
naturali, ma per mano dell’uomo . Nessuno , per crimini così nefandi, può
invocare il nome di DIO.
E’ in atto una guerra dove, parafrasando un brano del saggio
di Ghilgamesh, non vengono distrutte le pietre ma l’uomo. Si rischia un
conflitto allargato per motivi religiosi. L’ennesima guerra di religione.
Non si sono spenti gli echi della guerra dei Balcani (
sempre guerra di religione) che un altro focolaio si è acceso in Afganistan.
Dio non c’entra con
le stupidità criminali degli uomini. Ciò che raccapriccia di più è che, l’uomo,
pretende di difenderlo atteggiandosi a
di Lui paladino come DIO se avesse bisogno di un tutore.
L’umanità è stupida o , veramente, siamo stati creati per
alleviare la noia degli dei?
Solo in questo caso quello
che sta avvenendo si capisce, ma
è stupido.
Le religioni che declamano il proprio dio fontedi saggezza e
bontà dove sono?
C’è da chiedersi se
le religioni siano un mezzo per il potere o una dottrina di vita, una
esaltazione di dio o dell’uomo. La sacralità delle cose dove è finita? che cosa
è “sacro” al nostro tempo? Le clamidi bianche non dovrebbero
macchiarsi del sangue dell’umanità !!
Ogni guerra è un abominio dell’uomo, peggio se ci
coinvolgiamo DIO. Bisogna evitare che DIO venga indicato dalle lettere
maiuscole se è il nostro, con le minuscole se è degli altri. Ma quanti dei
abbiamo in questo piccolo mondo e quanti dei abbiamo nelle ancor più piccole
nostre teste?
Sarebbe già molto se
le principali religioni monoteistiche si esprimessero con una sola voce in nome di ABRAMO e del suo
DIO.
L’anticristo, forse, è rappresentato dalle religioni attuali
che non si tollerano, non dialogano, negano le proprie radici storiche e
genetiche mentre noi , poveri fedeli, ne
siamo vittime in nome di DIO.
Arnaldo aveva ragione, S.Francesco aveva ragione, la
massoneria ha ragione.
Arnaldo e S.Francesco sono passati, la massoneria , anche se
al momento assopita, c’è sempre. Non abbiamo forse cambiato il nome di DIO con
GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO proprio per sconfessare gli equivoci delle
religioni? Non abbiamo forse NOI messo al centro di tutto il GRANDE ARCHITETTO
DELL’UNIVERSO?
Il mondo necessita di una nuova rivoluzione !
Una rivoluzione non di sangue ma di cultura. Siamo sull’orlo
dei sei miliardi di esseri e questa nostra piccola terra ci sta stretta; la
caduta del muro di Berlino ha frazionato le repubbliche sovietiche e ha
liberato da un giogo vessatorio decine di stati che rischiano il tracollo
economico e culturale per la mancanza di abitudine alla democrazia e alla
libertà. Se prima esisteva un controllo centrale , seppur negativo, tale
controllo, con terrore, moderava gli aspetti tribali di tali stati che volenti
o nolenti , ricevendo il pane quotidiano dallo stato, non si dovevano curare né
dell’indispensabile né del superfluo ( non sapendo che cosa fosse). Adesso,
liberi, tali paesi hanno riacceso i contrasti e le rivalità etniche e, quindi,
religiose e tribali. La cupidigia del potere si è riaccesa.
La Rinuncia alla sovranità nei confronti della libertà e della pace, a favore di una
istituzione “garantista” sovranazionale, dovrebbe essere la premessa
necessaria di ogni stato che voglia la propria identità culturale.
C’è la “cultura della non cultura”.Più esiste
ignoranza più è facile governare gli ignoranti.
Si è dissolto il concetto “sacro” di famiglia che
ha costituito , da sempre, il primo elemento della società civile, di
aggregazione umana, dove i caratteri, per una pacifica e duratura convivenza,
si modellano, vicendevolmente, l’uno per l’altro.
La morale e l’etica
familiare sono perse fino all’estreme conseguenze ( ne abbiamo d’esempi dalla
cronaca quotidiana).
La democrazia non è anarchia.
La violenza è il fallimento della politica.
L’umanità ancora viaggia con la ruota e si scalda con il
fuoco, non vi è una alternativa e la scienza seppur progredita si è solo
affinata e tecnologizzata.
Il mondo si è evoluto sotto la spinta della scienza, i media
portano informazione in tutte le case, in ogni casa occidentale vi è il
superfluo ma tutto questo non è evoluzione .
La scienza migliora il nostro vivere ma se dietro ad essa non vi è la cultura a moderarla e a
governarla essa diventa un mezzo di potere in mano di chi la offre e un’arma
contro l’umanità stessa. Gli esempi sono molti : dal genoma alla clonazione,
dall’atomo alle particelle subatomiche. Scoperte grandiose ma da controllare e
temere perchè, appunto, non controllabili negli usi futuri in mano all’uomo
che, del suo progenitore dei secoli scorsi, ha solo migliorato l’aspetto
esteriore sacrificando l’etica del vivere senza alcuna morale di fondo.
I media fanno di noi
solo dei saccenti e presuntuosi se non sappiamo filtrare le informazioni:
nessuno può diventare medico o ingegnere con le trasmissioni televisive o i
giornali. Sembrerebbe vero il contrario perché ognuno di noi si sente in dovere
di arringare il prossimo in argomenti che non gli competono. Il benessere che
ci avvolge non ci coinvolge in questi problemi ci rende solo passivi come cittadini di un impero in decadenza che ,
oggi come allora l’impero romano , permise il nascere di nuovo potere basato
solo sulla non conoscenza altrui e sulla superstizione.
L’Impero Romano fu tale nel periodo in cui governò le
religioni dell’epoca attraverso il Pontefice Massimo. ( da non confondersi con
il Pontefice Cattolico)
Si parla di bene e
amore di pace e serenità come se
fossero queste le forze che muovono l’umanità. Dovrebbe essere così!
Un precetto recita: Non fare agli altri ciò che non vorresti
fosse fatto a te. C’é un errore di fondo: come è esposto indica un possibile
atteggiamento passivo e rinunciatario da chi lo applica. E’ passivo non attivo.
SBAGLIATO!!
Se invece lo rendiamo attivo nel senso: Fai agli altri ciò
che vorresti fosse fatto a te , le cose cambiano : diviene un comandamento
attivo che obbliga l’umanità , ovvero l’uomo, ad essere partecipe e soggetto
attivo nei confronti del prossimo. Allora , di conseguenza, un altro
comandamento che recita: Ama il prossimo tuo come te stesso.
Attualmente l’odio muove il tutto.
Odio per tutto ciò che non è nostro modello, odio per tutto
ciò che non è uguale a noi. Arroganza e non tolleranza si insegna ai bambini
delle scuole mussulmane e di quelle ebraiche per rinnovare l’astio e la
diversità . Si bombardano le scuole perché la paura fomenti l’odio. E’ solo un
esempio ciò che accade in Palestina ma che, in maniera più o meno subliminale ,accade, nel resto del mondo dove
, attraverso la paura si tiene alto l’odio e il rancore per non abbassare la
guardia . Contro chi se non contro noi stessi?
L’odio è l’anticristo, concetto mutuato dalla cultura
cristiana, ed egli attualmente , è in ogni uomo che ha paura del proprio
simile.
La paura genera diffidenza questa a sua volta dubbio ,
intolleranza ed odio. La ricetta è completa.
***
Il Gran Maestro del G.O.I.
ha scritto che la cultura è “l’essenza nel divenire” forse
doveva dire “del divenire”: siamo la continuità del ieri, siamo figli
della nostra storia e del nostro passato. Le nostre stesse esperienze fanno
cultura: basandoci su questa svolgiamo il futuro.
Siamo futuro e passato nello stesso momento che viviamo
l’oggi.
Siamo un continuo divenire perché viviamo e il futuro lo
costruiamo oggi sulle basi di ieri in maniera continua.
L’uomo è detentore del suo passato delle sue tradizioni . Spesso rinnega il
tutto : ciò non è bene perché un uomo senza storia non esiste è senza futuro e pieno di domande senza
risposta.
Nel passato le
religioni facevano da monito all’uomo ricordandogli le sue origini e
fornendogli le risposte ai dubbi nascenti. Le religioni hanno fallito. E’
rimasta la massoneria che adesso deve
raccogliere le proprie forze , rinascere come l’Araba Fenice e aiutare
l’attuale povera umanità.
chiusura
La non conoscenza ha portato, spesso, a criticare o a dare
giudizi avventati sui fatti che hanno
stretto collegamento con la realtà che non conosciamo. Prese di posizione
talvolta errate e infondate soprattutto quando si ha come oggetto la conoscenza
della massoneria, che comporta obbedienza
o , almeno, il rispetto dei compiti svolti da ogni livello. Compiti che
non sono a danno di nessuno ma solo per il bene della istituzione e per il
progresso dell’umanità.
Nel terzo millennio si sta assistendo ad una caduta dei
valori. L’uomo non ha certezze dal suo
simile. Le religioni non sono in grado di soddisfare le sue domande, la scienza
progredisce in maniera vertiginosa confondendo l’etica con il senso comune. L’
umanità corre il rischio di non più riconoscere
l’etica del vivere in armonia. L’intolleranza e l’uso della tecnologia
sfuggono le finalità del potere e
riportano l’uomo alla bestialità e all’ irrazionalità degna solo di una società tribale.
Un terzo del mondo non ha più DIO come riferimento ma si
affida a maghi e chiromanti. La new age e lo SCIAMANESIMO derivano il loro
successo dalla insicurezza dell’umanità.
La massoneria viene coinvolta dalla sventura del mondo e trova, così,
l’origine della sua crisi istituzionale. C’è bisogno adesso più che mai di una
massoneria consapevole del suo ruolo, non forte per il numero di uomini ma di
idee per restituire all’umanità l’idea dell’uomo al servizio del terzo
millennio. Rinnovato nei suoi valori , fortificato dalla tradizione, libero e
universalmente votato al miglioramento anche di se stesso.
Come? Dove? Nelle officine dove la squadra e il compasso
abbinati nei vari gradi, sono gli unici
strumenti per affrontare il mondo e il
logo AGDGADU.
Questa breve cronistoria commentata, spero, diradi la nebbia
e le incertezze di quelli che non sanno dove andare.
Questo non è il tutto
che ,con modestia e umiltà, la nostra Comunione ha saputo produrre.