LA ‘VENDETTA’ MASSONICA

LA ‘VENDETTA’ MASSONICA

A consolidare la teoria del complotto fortunatamente sventato nel caso degli Illuminati di Baviera (vedi capitolo Gli Illuminati di Baviera) ed ‘evidente’ negli sviluppi della Rivoluzione francese contribuirono, da opposti fronti, diversi fattori.

La ‘giusta vendetta’ di Giacomo di Molay attuata dalla Massoneria su Luigi XVI: illustrazione di apertura del saggio antimassonico di L.C. de Gassicourt Gli Iniziati antichi e moderni (1796)..

Giocò in primo luogo un ruolo importante la pubblicistica reazionaria che ebbe i suoi più significativi esponenti nel radicale Louis Cadet De Gassicourt, imprigionato durante il Terrore, e nel gesuita Augustin De Barruel, in esilio in Inghilterra. L’uno, in La tomba di Giacomo di Molay, sostenne che l’Ordine dei Templari, di cui la Massoneria aveva raccolto l’eredità, aveva costituito il primo anello di una catena di cospiratori che non avevano cessato di agire fino alla presa della Bastiglia. L’altro, in Memorie utili per la storia del Giacobinismo, arrivò a unificare nell’immagine terrificante di una plurisecolare congiura tutti i movimenti o i personaggi che nella storia si erano ribellati all’ordine costituito, dagli eretici medioevali a Robespierre. Questa versione dei fatti si saldò nell’opinione pubblica alla leggenda secondo la quale Giacomo di Molay, ultimo Maestro dei Templari condannato al rogo da Filippo il Bello con la complicità di Clemente V, avrebbe vaticinato nel proclamare la sua innocenza la morte dell’ultimo discendente del suo persecutore per mano di un Templare. Si mormorava che Luigi XVI, ultimo re di Francia e appunto ultimo discendente di Filippo il Bello, prima di essere ghigliottinato (21 gennaio 1793) avrebbe chiesto al boia il suo nome, per sentirsi rispondere che era un Templare, pronto a eseguire la vendetta di Giacomo di Molay. E, per rendere ancora più fosche le tinte del quadro, si sottolineava come la ghigliottina fosse stata inventata dal medico e scienziato Joseph-Ignace Guillottin, affiliato alla Massoneria.

Ricostruzione fantastica di un episodio di eroismo templare in Terrasanta. Nonostante l’infatuazione per la cavalleria che caratterizzò gli ambienti sia aristocratici sia borghesi del 1700, l’infondata affermazione di un’ininterrotta vitalità dell’Ordine dei Templari non giovò alla Massoneria, sulla quale furono trasferiti dai suoi oppositori i sospetti di doppiezza, occultismo e addirittura satanismo che avevano caratterizzato nei secoli l’approccio alla vicenda templare.

L’abbinamento Templari-Massoneria non era tuttavia un parto della fantasia degli avversari dell’Ordine. Appartiene infatti peculiarmente alla sua storia e ne costituisce il complicato capitolo del Templarismo.

Le origini del fenomeno vanno ricercate, entro l’orizzonte massonico, nella sovrapposizione del tipo etico dei cavaliere a quello del libero muratore medioevale, secondo l’impostazione già di Ramsay (vedi capitolo Al di là della Manica), e nella presenza di vivaci interessi esoterici, in particolare per l’alchimia e la Cabala, in varie logge continentali. Si era cosi potuta sviluppare una leggenda interna all’Ordine, dimostratasi con il tempo quanto mai tenace: i Templari, depositari di una dottrina occulta appresa in Oriente, sarebbero segretamente sopravvissuti in Scozia alla condanna decretata dal re di Francia e dal papa di Roma (1312) e avrebbero davvero consegnato alla Massoneria la propria eredità spirituale e sapienziale.

Il re di Svezia Gustavo III (sul trono dal 1771 al 1792) medita sulla rivoluzione assistito da Minerva e dalla Giustizia. Da quando questo sovrano venne iniziato nel 1770 alla Massoneria, l’Ordine ha sempre avuto membri della Corte nei suoi ranghi più elevati. Il Rito Svedese, che monopolizza a tutt’oggi la Massoneria della Svezia, della Norvegia, della Danimarca e dell’Islanda, ha mantenuto le sfumature templaristiche a suo tempo acquisite dai contatti con la Stretta Osservanza ed è l’unico in cui l’ultimo grado (Cavaliere Commendatore della Croce Rossa) costituisce nel contempo un’onorificenza civica conferita dal sovrano in persona.

L’assunzione della leggenda all’interno della simbologia e della ritualità delle logge ebbe importanti conseguenze: diede origine a vari Sistemi che dalla Germania, dove incominciarono a germinare, si diffusero rapidamente in tutto il mondo; indebolì i legami con la tradizione operativa, anche per quanto riguarda il significato da attribuire all’iniziazione, e rese più stretti i collegamenti con la tradizione ermetico-esoterica e rosacrociana; interferì con il fenomeno, già in atto, della proliferazione di gradi iniziatici; lasciò spazio a personaggi equivoci, che fecero proseliti tra coloro che credevano sia nella possibilità di accedere, grado dopo grado, al ‘segreto massonico’ (coincidente con il presunto ‘segreto templare’), sia in quella di arricchirsi una volta che l’Ordine del Tempio fosse tornato in possesso dei suoi beni, per ripartirli fra gli ‘iniziati’;sovrapponendo Giacomo di Molay a Hiram (vedi capitolo Un passato ‘su misura’), di cui venne simbolicamente ampliata la leggenda in direzione della ‘vendetta’, avvalorò all’esterno la convinzione di una Massoneria cospirante per imprimere alla storia il corso voluto da una cerchia di ‘Superiori Incogniti’ e in grado in ogni momento di realizzarne i disegni

A consolidare la teoria del complotto fortunatamente sventato nel caso degli Illuminati di Baviera (vedi capitolo Gli Illuminati di Baviera) ed ‘evidente’ negli sviluppi della Rivoluzione francese contribuirono, da opposti fronti, diversi fattori.

La ‘giusta vendetta’ di Giacomo di Molay attuata dalla Massoneria su Luigi XVI: illustrazione di apertura del saggio antimassonico di L.C. de Gassicourt Gli Iniziati antichi e moderni (1796)..

Giocò in primo luogo un ruolo importante la pubblicistica reazionaria che ebbe i suoi più significativi esponenti nel radicale Louis Cadet De Gassicourt, imprigionato durante il Terrore, e nel gesuita Augustin De Barruel, in esilio in Inghilterra. L’uno, in La tomba di Giacomo di Molay, sostenne che l’Ordine dei Templari, di cui la Massoneria aveva raccolto l’eredità, aveva costituito il primo anello di una catena di cospiratori che non avevano cessato di agire fino alla presa della Bastiglia. L’altro, in Memorie utili per la storia del Giacobinismo, arrivò a unificare nell’immagine terrificante di una plurisecolare congiura tutti i movimenti o i personaggi che nella storia si erano ribellati all’ordine costituito, dagli eretici medioevali a Robespierre. Questa versione dei fatti si saldò nell’opinione pubblica alla leggenda secondo la quale Giacomo di Molay, ultimo Maestro dei Templari condannato al rogo da Filippo il Bello con la complicità di Clemente V, avrebbe vaticinato nel proclamare la sua innocenza la morte dell’ultimo discendente del suo persecutore per mano di un Templare. Si mormorava che Luigi XVI, ultimo re di Francia e appunto ultimo discendente di Filippo il Bello, prima di essere ghigliottinato (21 gennaio 1793) avrebbe chiesto al boia il suo nome, per sentirsi rispondere che era un Templare, pronto a eseguire la vendetta di Giacomo di Molay. E, per rendere ancora più fosche le tinte del quadro, si sottolineava come la ghigliottina fosse stata inventata dal medico e scienziato Joseph-Ignace Guillottin, affiliato alla Massoneria.

Ricostruzione fantastica di un episodio di eroismo templare in Terrasanta. Nonostante l’infatuazione per la cavalleria che caratterizzò gli ambienti sia aristocratici sia borghesi del 1700, l’infondata affermazione di un’ininterrotta vitalità dell’Ordine dei Templari non giovò alla Massoneria, sulla quale furono trasferiti dai suoi oppositori i sospetti di doppiezza, occultismo e addirittura satanismo che avevano caratterizzato nei secoli l’approccio alla vicenda templare.

L’abbinamento Templari-Massoneria non era tuttavia un parto della fantasia degli avversari dell’Ordine. Appartiene infatti peculiarmente alla sua storia e ne costituisce il complicato capitolo del Templarismo.

Le origini del fenomeno vanno ricercate, entro l’orizzonte massonico, nella sovrapposizione del tipo etico dei cavaliere a quello del libero muratore medioevale, secondo l’impostazione già di Ramsay (vedi capitolo Al di là della Manica), e nella presenza di vivaci interessi esoterici, in particolare per l’alchimia e la Cabala, in varie logge continentali. Si era cosi potuta sviluppare una leggenda interna all’Ordine, dimostratasi con il tempo quanto mai tenace: i Templari, depositari di una dottrina occulta appresa in Oriente, sarebbero segretamente sopravvissuti in Scozia alla condanna decretata dal re di Francia e dal papa di Roma (1312) e avrebbero davvero consegnato alla Massoneria la propria eredità spirituale e sapienziale.

Il re di Svezia Gustavo III (sul trono dal 1771 al 1792) medita sulla rivoluzione assistito da Minerva e dalla Giustizia. Da quando questo sovrano venne iniziato nel 1770 alla Massoneria, l’Ordine ha sempre avuto membri della Corte nei suoi ranghi più elevati. Il Rito Svedese, che monopolizza a tutt’oggi la Massoneria della Svezia, della Norvegia, della Danimarca e dell’Islanda, ha mantenuto le sfumature templaristiche a suo tempo acquisite dai contatti con la Stretta Osservanza ed è l’unico in cui l’ultimo grado (Cavaliere Commendatore della Croce Rossa) costituisce nel contempo un’onorificenza civica conferita dal sovrano in persona.

L’assunzione della leggenda all’interno della simbologia e della ritualità delle logge ebbe importanti conseguenze: diede origine a vari Sistemi che dalla Germania, dove incominciarono a germinare, si diffusero rapidamente in tutto il mondo; indebolì i legami con la tradizione operativa, anche per quanto riguarda il significato da attribuire all’iniziazione, e rese più stretti i collegamenti con la tradizione ermetico-esoterica e rosacrociana; interferì con il fenomeno, già in atto, della proliferazione di gradi iniziatici; lasciò spazio a personaggi equivoci, che fecero proseliti tra coloro che credevano sia nella possibilità di accedere, grado dopo grado, al ‘segreto massonico’ (coincidente con il presunto ‘segreto templare’), sia in quella di arricchirsi una volta che l’Ordine del Tempio fosse tornato in possesso dei suoi beni, per ripartirli fra gli ‘iniziati’;sovrapponendo Giacomo di Molay a Hiram (vedi capitolo Un passato ‘su misura’), di cui venne simbolicamente ampliata la leggenda in direzione della ‘vendetta’, avvalorò all’esterno la convinzione di una Massoneria cospirante per imprimere alla storia il corso voluto da una cerchia di ‘Superiori Incogniti’ e in grado in ogni momento di realizzarne i disegni

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

IN INGHILTERRA AGLI INIZI DEL 1700

In Inghilterra agli inizi del 1700

C’è sostanzialmente consenso fra gli storici circa la data di nascita della Massoneria modernamente intesa: 24 giugno 1717, festa di san Giovanni Battista. Quel giorno i responsabili di quattro ‘logge’ di Londra si riunirono nella locanda ‘All’oca e al girarrosto’, e alla fine dei lavori fu decretata la costituzione della Grande Loggia Madre del mondo, affinché diventasse il punto di riferimento per tutte le associazioni libero-muratorie di cui avrebbe garantito la regolarità dal punto di vista statutario e simbolico.

Ma che cos’erano le logge? Il termine (lodges in inglese e loges in francese) designava nel Medioevo i luoghi allestiti nei cantieri preposti alla costruzione delle grandi cattedrali dove le maestranze edili, la cui alta professionalità aveva indotto forme di associazionismo corporativo, prendevano i pasti in comune, si riparavano dal maltempo e discutevano dei problemi di lavoro. Dallo scenario del cantiere medioevale si ricava anche il significato del termine Massoneria, che almeno in Italia ha soppiantato nell’uso Framassoneria o Franca-Massoneria: a partire da free stone infatti, come in Inghilterra si chiamava una pietra particolarmente adatta all’intervento del tagliatore, nacque per definire quest’ultimo il termine free-mason; la Francia a sua volta tradusse i termini inglesi rispettivamente con pierre franc e franc-maçon.

Costruttori gotici al lavoro, in una miniatura della metà del 1400. Si è a lungo dibattuto circa la possibilità che tali maestranze coltivassero e proteggessero conoscenze e segreti di natura esoterica, e se sia questo l’aspetto di cui la Massoneria avrebbe raccolto l’eredità. Tuttavia è ormai storicamente provato che la segretezza (per altro prevista dagli statuti di cui si ha documentazione dal XIV secolo in poi) riguardasse più che altro tecniche specifiche del mestiere.

 .

I ‘liberi muratori’ (distinti dai semplici muratori per un più alto grado di specializzazione tecnica) mantennero viva nei secoli anche dopo il tramonto della stagione gotica la tradizione del corporativismo, obbedendo a statuti interni più o meno connotati dalle varie realtà locali e continuando a chiamare ‘logge’ le loro associazioni. Solo dopo lo sviluppo della Massoneria moderna, a partire dalla storica data del 1717, il termine sarebbe stato utilizzato per indicare ancora i luoghi di riunione, ben diversi tuttavia da quelli allestiti nei cantieri medioevali.

 .

Fino ad allora infatti la prassi prevalente era quella di tenere le adunanze nelle locande, come quella in cui venne fondata la Gran Loggia di Londra. La locanda, d’altra parte, è un’ambientazione consona alla fisionomia sociale delle antiche logge inglesi. Numerosi documenti sicuramente autentici permettono di stabilire che, se l’ingresso di nobili colti (Massoni Accettati) nelle confraternite di tagliatori di pietra, basate sulle corporazioni locali e sulle relative tradizioni, era un fatto non raro in Inghilterra e in Scozia nel XVII secolo, i lavoratori manuali continuarono comunque, fino al primo quarto del XVIII secolo, a formare la grande maggioranza dei membri che costituivano le associazioni professionali alle quali erano affiliati, che si estendevano in tutto il Paese. «Di fatto le logge inglesi sono state dall’inizio e sono rimaste fino ai nostri giorni delle specie di club, dove il piacere, molto sentito dagli inglesi, di passare periodicamente una serata tra uomini, era arricchito dall’uso di un vocabolario pittoresco e dalla pratica di antichi costumi di cui il loro spirito tradizionalista gustava particolarmente il sapore. La Free-Masonry fu un’ístituzione specificamente inglese, un prodotto del suolo, una creazione rispondente alle abitudini sociali e alle disposizioni di una nazione passionalmente attaccata al suo passato, e di cui il particolarismo insulare e l’egoismo nazionale non hanno mai sognato di riformare il mondo» (R. Le Forestier La Massoneria templare e occultista nel XVIII e XIX secolo).

 .

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

ITALIA: VERSO IL RISORGIMENTO

Italia: verso il Risorgimento

L’impronta napoleonica (vedi capitolo Napoleone: un astro ‘voluto’?) caratterizzò anche la Massoneria dell’epoca in Italia dove a Milano, nel 1805, era sorto il Grande Oriente d’Italia e nel 1806 erano stati messi a punto gli Statuti Generali della Franca Massoneria in Italia. Ma, accanto ai membri dell’Ordine che ammiravano Napoleone o semplicemente si adeguavano alla situazione in atto, andò con il tempo crescendo il numero di coloro che intendevano opporsi alla ‘tirannide’ francese, già affiliati ad altre sette segrete di varia ispirazione ideologica. Tuttavia la Massoneria e tali sette restarono sempre realtà distinte, anche se è stata probabilmente la prima a suggerire alle seconde il modello organizzativo e il simbolismo, così come le abitudini cospirative e l’attivismo erano un’eredità dei club rivoluzionari di fine Settecento.

Il patriota genovese fu tra quelli che più si adoperarono per eliminare dal settarismo segreto italiano la soggezione alla Francia e la persistenza di sfumature giacobine: «Il progresso dei popoli sta oggi nell’emanciparsi dalla Francia» sosteneva. E aggiungeva: «Il progresso della Francia sta nel suo emanciparsi dal XVIII secolo e dalla vecchia Rivoluzione».

Una delle più importanti sette segrete, almeno per quanto riguarda l’Italia, fu la Carboneria, forse derivata dalla Filadelfìa. Quest’ultima aveva raccolto lo scontento di certi settori dell’esercito e della Massoneria francese e si era diffusa in tutta Europa, penetrando anche con alcuni dei suoi esponenti nelle logge del Regno italico. La Carboneria, di cui è certo che fosse nota alle autorità di governo fin dal 1808, si sviluppò soprattutto nell’Italia meridionale e si infiltrò a sua volta nelle logge napoletane.

Con il passare del tempo al primitivo spirito democratico ed egualitario delle società segrete si sostituì un patriottismo di stampo liberale, avente come obiettivi l’indipendenza e la Costituzione, a proposito della quale si pensava che potesse garantire un assetto politico simile a quello inglese.

Dopo la Restaurazione, avviata dal Congresso di Vienna nel 1815, le sette clandestine continuarono a operare conquistando adepti tra gli ufficiali, gli intellettuali, gli studenti e, in alcune situazioni, anche tra le classi popolari.

Mazzini e Garibaldi si incontrano a Marsiglia (1833). Va osservato che nell’0ttocento, a far ritenere la Massoneria depositaria del compito di rivoluzionare l’assetto politico e sociale, non furono soltanto gli opinionisti conservatori, ma anche gli stessi affiliati. Per esempio la ‘Rivista massonica’, che rilanciò negli ultimi decenni del secolo una campagna templarista, definì i garibaldini ‘nuovi Templari’.

In Italia alla Carboneria sempre operante nel Meridione, si affiancò al Nord la Società dei Sublimi Maestri Perfetti, che soppiantò l’Adelfìa, attiva negli anni immediatamente successivi alla Restaurazione. È all’interno dei Sublimi Maestri Perfetti che, sotto il controllo di Filippo Buonarroti (1761-1837), si concentravano le posizioni più radicali. Se infatti il conferimento del primo grado comportava soltanto il giuramento alla fede deista, alla fraternità e all’uguaglianza, con il secondo ci si impegnava a combattere per una Costituzione repubblicana e con il terzo per l’abolizione della proprietà privata e la comunione dei beni e del lavoro. Fu però la Carboneria che, a partire dai moti napoletani del 1820, dette a lunghi anni di cospirazione il primo sbocco rivoluzionario concreto. Se il moto napoletano si era posto come obiettivo l’ottenimento della Costituzione, si fecero poi sempre più forti le istanze indipendentistiche, in funzione di quella ‘nazione’ che il movimento romantico celebrava come un valore irrinunciabile. In questo processo, almeno dal punto di vista ideale, ebbe un ruolo di primo piano Giuseppe Mazzini (1805-1872). Di tutti i patrioti italiani è quello che espresse le posizioni più vicine alla concezione dell’uomo e del suo ruolo nel mondo propria della Massoneria. Ebbe infatti contatti con l’esoterico Rito di Memphis-Misraim, in cui aveva grande importanza la tradizione misteriosofica egizia. A tale Rito aderiva anche Giuseppe Garibaldi (1817-1882).

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

I FINI E IL FINE DELL’ORDINE



I fini e il fine dell’Ordine
La Massoneria presenta nel mondo tante e tali sfaccettature e ha alle spalle una storia così complessa e ricca di contraddizioni che riesce difficile attribuirle finalità uniche e costanti.
Si possono pertanto prendere in considerazione solo le finalità dichiarate, attingendo a quella pubblicistica che, soprattutto in tempi recenti, si sforza di dissipare gli equivoci che circondano l’Ordine, in gran parte dovuti a disinformazione.
La Massoneria condivide con buona parte delle formulazioni religiose ed etiche della storia la certezza della perfettibilità dell’uomo, di cui persegue l’estrinsecazione proponendo il cammino dell’evoluzione spirituale dell’individuo. Si tratta, per ciascuno, di un percorso del tutto autonomo e soggettivo, anche se la consapevolezza di appartenere al ‘corpo’ della loggia e l’ambiente ‘sacro’ del Tempio costituiscono strumenti fondamentali di orientamento. D’altra parte proprio la dimensione ‘corporativa’ permette di condividere i risultati raggiunti da ogni ‘fratello’ e quindi di ottenere anche un elevamento collettivo, che si dovrebbe riflettere sul mondo esterno non solo mediante iniziative filantropiche, ma anche mediante l’impegno per una «giustizia vera, sana e non settaria» (U. Gorel Porciatti) a beneficio dell’umanità intera.
Il fine ultimo, infatti, è la Fratellanza Universale, che nello statuto etico massonico regolare non può prescindere dalla convinzione di avere una comune discendenza da una Sorgente Unica, il Grande Architetto dell’Universo. Da ciò derivano anche la tensione alla Verità e quindi la natura ‘costruttiva’ dell’impegno spirituale del Massone, che non delega univocamente a un Dio il progetto della salvezza, ma vi coopera percorrendo «la via maestra del Dovere» (M. Moramarco).
La letteratura massonica, ribadendo la necessità di mantenere vivo il legame con la tradizione operativa, mette continuamente l’accento sulla necessità del lavoro costruttivo come fondamento della disciplina spirituale. Ciò permette di precisare meglio anche il fine ultimo dell’elevazione del singolo. Nell’etica massonica, che non trascura i risvolti psicologici di questa problematica, il lavoro consente di superare i limiti dell’Io e di integrarsi in un insieme organico non sottoposto, come l’individuo, alla morte: resta l’opera compiuta, sopravvivono i compagni con cui la si è realizzata, ne fruiscono le nuove generazioni… In questo senso il lavoro è una prefigurazione dell’immortalità, appagando quello che, se per l’uomo comune è un bisogno psicologico, per il Massone è uno dei ‘confini’ (vedi il capitolo L’orizzonte massonico ‘regolare’) della sua stessa identità. I rituali funebri, che mirano a mettere in primo piano la necessaria riflessione sulla morte in funzione del suo superamento nella dimensione della rinascita interiore, possono sembrare macabri ed essere stati in questo senso responsabili di alcuni fraintendimenti fra i profani, ma è indubbio che nell’affrontare questa problematica la Massoneria ha saputo cogliere con anticipo tutti i danni che possono derivare alla psiche, e alla stessa società, dalla rimozione del pensiero della morte.
Se questo è il quadro, non si possono che sottoscrivere le parole di un ‘fratello’ che si è appassionatamente dedicato ad approfondire i temi della spiritualità massonica: «Magnifico è il fine che l’Ordine si propone e, se non sono travisati, pacifici e sereni sono i mezzi che impiega; uno lo scopo diretto: elevare l’Uomo, il singolo, colui che vuole elevarsi, farlo pensare, meditare, comprendere che Egli è un messaggero del Supremo, che del Tutto è un’infinitesima parte e che queste parti, nel Tutto, sono legate da un solo cemento: Amore» (U. Gorel Porciatti). Il retro della banconota statunitense da un dollaro, che reca nel tondo di sinistra l’immagine massonica di una piramide tronca, sovrastata dall’occhio onniveggente del Grande Architetto dell’Universo. La piramide è un simbolo ascensionale, e, più espressamente, raffigura il compimento dell’Opera. Ma l’evidenziazione dei mattoni indica anche, unita al motto in latino (Annuit Coeptis Novus Ordo Saeclorum: ‘Arride agli iniziati un’era nuova’), che la meta del cammino iniziatico è il risultato di una progressiva ‘costruzione’. Lo stesso simbolo è presente anche nella Sala della Meditazione del Palazzo dell’ONU a New York.

NOTA: Cliccare sull’immagine posta superiormente per ottenerne l’ingrandimento.

Codice HTML © Copyright 2000-2001 La Melagrana. Tutti i diritti riservati.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

IL COSIDDETTO “SEGRETO MASSONICO

091204_1441

Il cosiddetto ‘segreto massonico’

L’espansione sorprendentemente rapida della Massoneria speculativa dall’Inghilterra al resto d’Europa nella prima metà del Settecento viene in parte spiegata in relazione al fascino esercitato dal segreto di cui si circondava: simboli misteriosi, parole di riconoscimento, riunioni a porte chiuse, sui cui ‘lavori’ i partecipanti erano tenuti a una riservatezza assoluta, cerimonie di iniziazione, riti di passaggio da un grado all’altro…

San Giovanni Battista, in un dipinto del pittore cinquecentesco A. Salaino. Il fatto che la Gran Loggia di Londra si sia costituita il giorno in cui si festeggia il Battista è stato utilizzato entro una certa linea di interpretazione della storia della Massoneria come una prova della sua stretta affinità con società esoteriche attive molto prima del 1700 e del suo accesso ai relativi segreti. Il Santo infatti godeva di particolare venerazione da parte dei Templari (in questa linea interpretativa sopravvissuti alla loro soppressione ufficiale) e dei Rosa+Croce.

L’imperativo della segretezza è senz’altro un’eredità corporativa, essendo diretto interesse degli operai specializzati evitare la divulgazione di procedimenti empirici, tecniche e abilità acquisite nel corso di un apprendistato che durava ben sette anni. Se con il passaggio dalla Massoneria operativa a quella speculativa tanta segretezza non avrebbe più avuto ragione di essere osservata, non si può d’altra parte negare che, assieme al tipico tradizionalismo anglosassone, giocò senz’altro la considerazione che il segreto massonico si stava rivelando un formidabile mezzo di reclutamento.

Chi si accostava alla Massoneria, d’altra parte, non era mosso solamente dalla semplice curiosità, di natura psicologica, che si prova sempre di fronte a una ‘porta chiusa’, ma anche dalla convinzione che effettivamente la Massoneria custodisse e proteggesse un patrimonio di conoscenze superiori, ereditato dalle scienze occulte e frutto della ricerca e dell’applicazione ininterrotte di spiriti eletti nel corso dei secoli. In particolare i contesti che avevano dato il maggior contributo alla costituzione di questo patrimonio si pensava non potessero essere che l’alchimia e la Cabala. Ma in tutto ciò era sotteso un equivoco che ancora oggi non è forse del tutto chiarito: la convinzione che il segreto massonico fosse un contenuto specifico, reso sì inaccessibile ai non adepti, ma calato nella comune dimensione del reale.

Ancora nei primi decenni del ‘900 O. Wirth, un pensatore massone originale legato al Grande Oriente di Francia di cui a tutt’oggi continuano ad essere proposti gli scritti (il testo di cui è riprodotta la copertina è stato stampato in Italia nel 1992), dava una lettura in chiave alchemica del simbolismo massonico. Posizioni come le sue, collegate alla stagione occultistica della Massoneria continentale, hanno involontariamente contribuito a mantenere vivi gli equivoci sulla vera natura del ‘segreto massonico’.

Il ‘segreto’ costituisce invece il carattere esoterico peculiare della Massoneria e si rapporta alla dimensione spirituale della ricerca del singolo, nonché all’alimento e agli stimoli che gliene vengono dal legame con i ‘fratelli’. Di più non si può dire, salvo citare in proposito quanto ha scritto K. Kerényi, uno dei più originali e prestigiosi mitologi del Novecento, oltre che Massone: «Non si deve credere che in una società primitiva i membri non sapessero di che cosa si trattasse nei riti segreti o nei Misteri. A tutto il mondo dell’antichità, alla comunità, allo Stato, questo era noto. Perché allora la segretezza? Ciò che vi è di comune, ciò che collega la prima società segreta a quella successiva, è il segreto in sé. Esiste qualcosa di simile, un segreto in sé, indipendente da un contenuto? La parola tedesca Geheimnis (‘segreto’) può offrirci un’indicazione in proposito, poiché contiene Heim (‘casa’ o ‘focolare’) e heimlich (‘segreto’ o ‘nascosto’): qualcosa che mi appartiene del tutto segretamente. ‘Segreto’ è dunque quella sfera dell’uomo che egli, finché è uomo, non può e non vuole abbandonare. È l’ineffabile».

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

FUOCO

Fuoco

 Terza lettura

[L’Alchimia si fonda] “…sulla permutazione della forma da parte della luce, fuoco o spirito.”

(DP I, 71) 

“La chimica è incontestabilmente la scienza dei fatti, mentre l’alchimia è quella delle cause… [questa] tenta di penetrare il misterioso dinamismo che presiede alle loro trasformazioni… ci permette di intravedere Dio attraverso le tenebre della sostanza.”

(DP I, 79)

  “…L’agente elementare fuoco senza il quale non si può realizzare nessuna combinazione…”

(DP I, 81)

[Il fuoco] “..nella sua essenza spirituale… s’introduce nei corpi nell’istante stesso in cui appaiono sul piano fisico.”

(DP I, 83)

“Questo principio universale… anima la sostanza, quale che sia il regno cui appartiene. Quindi si manifesta intorno a noi, sotto i nostri occhi, sia con le proprietà nuove che la materia ne deriva, sia con i fenomeni che ne accompagnano le emanazioni. La luce – fuoco rarefatto e spiritualizzato – possiede le stesse virtù e lo stesso potere chimico del fuoco elementare e grossolano.”

(DP I, 84)

(N.B. I richiami sono: DP 1, Les Demeures Philosophales, Tome I. DP 2, ibidem, Tome 2. Il numero di pagina fa riferimento all’edizione del 1965. MC, Le Mystère des Cathédrales, edizione del 1964. Le citazioni derivano tutte da traduzioni fatte «ex novo» sui testi originali).

Ricreazione

La parola “fuoco”, in francese feu, racchiude nel greco phúo tutti i significati di produzione, procreazione e generazione delle cose. Il fuoco è eminentemente ciò che fa nascere, che mette al mondo, che porta alla luce. Non si ha nascita senza fuoco generatore. Quindi giustamente gli è molto simile phôs, luce, lume, splendore, gloria, ma anche fiamma, che del fuoco è la manifestazione più evidente. Il fuoco è ciò che illumina per eccellenza. Non si ha illuminazione senza fuoco. È lui che inizia ai misteri, il vero Maestro. L’alchimista è philosophus per ignem, filosofo per mezzo del – o grazie al – fuoco.

Phós è uomo, talvolta eroe, ma sempre uomo mortale. In nulla al mondo si cela tanta luce quanta negli esseri umani. Montfaucon de Villars nel Conte di Gabalis riassume così tutta l’Opera:

…dobbiamo purificare ed esaltare l’elemento del fuoco che sta in noi e rialzare il tono di questa corda allentata. Basta concentrare il fuoco del mondo con specchi concavi in un globo di vetro; questo è l’artifizio che tutti gli Antichi hanno nascosto religiosamente e che il divino Teofrasto (cioè Paracelso) ha scoperto.

Se ora ci spostiamo sul vocabolo greco, scopriamo nuovi percorsi anagogici. Pûr, fuoco, si collega a puráme, messa, mietitura: ecco il vaglio, van in francese, cioè il vento che separa il grano dal loglio, il sottile dallo spesso (la terribile mietitura della fine del ciclo).

Un’altra assonanza getta nuova luce sull’iconografia esoterica, per esempio su certe immagini del Mutus Liber: púrgos, torre, recinto, baluardo, muro con torri, e anche purgóo, fortifico, e púrgoma, mura turrite, fortezza.

Sulla facciata della chiesa cattedrale di Amiens si vuole che una formella rappresenti Cristo mentre attraversa Gerusalemme. In effetti si vede un uomo di una certa età, rivestito di toga, che passa tra una fortezza turrita e una chiesa tenendo in ciascuna mano quelle che potrebbero sembrare due lampade. Passeggiata notturna di Gesù in una città che, massimo anacronismo, avrebbe già avuto chiese cristiane: gli eruditi non ci dicono da quale misterioso e apocrifo vangelo sia stato ripreso questo episodio. Resta per noi il fatto,  molto più interessante, che se quelle due lampade sono interpretate come pesi di bilancia, come in effetti appaiono, sono tenute come se si volesse indicare una proporzione, che potremmo facilmente immaginare di più parti a una (tuttavia, si noti, i due pesi sono stati rappresentati dal lapicida assolutamente identici).

Incuriosisce pûros, tufo calcareo, concrezione stalattica, ma anche concrezione pietrosa della vescica, come se il frequente riferimento nei testi ermetici al dolore dei calcoli biliari – si veda ad esempio l’inizio del testo di Basilio Valentino – volesse in qualche modo ricondurci al tema igneo. Certo, qui viene più facilmente alla mente Eudosso che nel dotto trattatello di Limojon de Saint-Didier ci insegna che il fuoco dei Filosofi è della natura della calce.

La sarabanda cabalistica potrebbe continuare, perché ha qui uno dei suoi terreni più fecondi. Ci torneremo nei passi appropriati, ma vogliamo ancora accennare al francese pur, puro, e a pur-gation, pur-ger, purge, così simili peraltro all’italiano, con tutti i significati connessi all’azione purificante del fuoco e alle sue capacità di eliminare le feci in eccesso.

Eppure pourri (pronuncia “puri”) vuol dire corrotto: il fuoco è anche l’agente che provoca la putrefazione, ma questa è, in un certo senso, una corruzione benefica e necessaria per una purificazione successiva, quindi non si ha contraddizione.

Vedremo altrove i legami col fimo, per ora concludiamo col fuoco del fuoco, in greco pûr purós, la porpora, fuoco per eccellenza, conclusione definitiva dell’Opera Fisica. Resta il fatto che nell’Opera i Fuochi sono più di uno, come ci dice per esempio Ripley nei suoi Assiomi Filosofici:

Sono quattro i tipi di fuoco che devi conoscere: il Naturale, l’Innaturale, quello Contro Natura e quello Elementale che infiamma il legno. Noi ci serviamo di questi fuochi e non di altri. Il Fuoco di Natura sta in tutte le cose ed è il terzo menstruo. Quello Innaturale, detto imperfetto, è il fuoco di ceneri e dei bagni per la putrefazione, e senza di lui non si porta nulla sino alla putrefazione. Il Fuoco Contro Natura deve tormentare i corpi, è il drago che brucia con violenza, come il fuoco dell’inferno. Fai un fuoco nel tuo vetro, che bruci i corpi più efficacemente del fuoco Elementale.

Di questi quattro fuochi parla Maier nel XVII Emblema dell’Atalanta Fugiens. Il titolo dice “Una quadruplice ruota regge quest’opera di fuoco”, che nell’epigramma così è descritta: 

Tu, che vuoi imitare l’opera di Natura, quattro sfere devi cercare, che agita all’interno un fuoco lieve. La più bassa ricordi Vulcano, la seconda indichi bene Mercurio, la terza abbia la Luna, la quarta, Apollo, sia anche intesa come fuoco di natura. Quell’incatenamento guidi nell’arte le tue mani.

Nel commento, riprendendo Ripley, Maier afferma che il fuoco naturale coagula, quello innaturale dissolve, il fuoco contro natura corrompe e quello elementale fornisce il calore e il primo movimento. Aggiunge che si concatenano secondo un ordine invariabile per cui il secondo è spinto all’azione dal primo, il terzo dal secondo, il quarto dal terzo e dal primo insieme, per cui ognuno di loro è di volta in volta attivo e passivo. I Maestri si divertono a dare mille nomi ai loro fuochi, nomi che sarebbe davvero ingenuo prendere alla lettera, mentre in realtà sono descrizioni delle diverse manifestazioni di un unico agente. Alcuni elenca Dorn nelle sue Congeries Paracelsicae, e può essere interessante, e curioso, leggerli:

Il fuoco in Alchimia si manifesta su diverse materie e con diversi effetti. Ci sono le fiamme di legna, che chiamano fuoco vivo, e con cui si calcinano o riverberano i corpi di tutti i metalli e delle altre cose. C’è il calore continuo della candela o della lucerna, con cui si fissano le cose volatili. C’è il fuoco di carboni, con cui si cementano (calcinano), colorano e purgano dai loro escrementi i corpi (questo inoltre porta oro e argento al massimo grado di qualità, imbianca Venere e insomma rinnova tutti i metalli). C’è, per un’altra operazione, la lamina infuocata di ferro, su cui si esaminano le tinture. C’è il calore eccitato col fuoco in mezzo alla limatura di ferro. C’è quello nelle ceneri. C’è quello nella sabbia. C’è quello nel bagno del Mare o di Maria (come si dice), con cui si fanno diverse distillazioni, sublimazioni e coagulazioni. C’è il bagno di rugiada, che si chiama anche vaporoso, con cui si fanno molte soluzioni di cose corporee. C’è il ventre equino, in cui si fanno specialmente putrefazioni e digestioni. Poi, oltre a tutti questi, c’è il fuoco invisibile, cioè quello dei raggi del Sole, che si manifesta con i suoi effetti mediante un cristallo o uno specchio, e che gli antichi non hanno menzionato…

Non possiamo infine non citare Artefio che nel suo preziosissimo Libro Segreto riprende più volte questo tema igneo. Uno dei paragrafi più importanti dice:

Abbiamo propriamente tre fuochi, senza i quali l’arte non si può compiere. Colui che lavorasse senza quelli si affaticherebbe invano. Il primo è di lampada. È continuo, umido, vaporoso, aereo e artificioso da trovare, perché la lampada deve essere proporzionata alla chiusura, e in questa lampada va usato molto ingegno, cui non arrivano coloro che hanno dura cervice, perché se la lampada non è geometricamente e adeguatamente adattata al forno, o per difetto di calore non vedrai i segni attesi al momento giusto, e partendo perderai ogni speranza in un’attesa troppo lunga, o se è troppo veemente brucerai i fiori dell’oro e ti lamenterai tristemente delle tue fatiche. Il secondo fuoco è di ceneri, dove è posto il vaso sigillato ermeticamente, o piuttosto è quel calore dolcissimo che circonda il vaso che proviene dal vapore temperato della lampada. Questo fuoco non è violento se non è troppo eccitato, è digerente, alterante, si prende altrove che dalla materia, è unico, è anche umido e secco. Il terzo è il fuoco naturale della nostra acqua. Perciò è chiamato fuoco contro natura, perché è acqua e tuttavia essa fa sì che l’oro diventi vero spirito, ciò che il fuoco comune non potrebbe fare. Questo è minerale, uguale, partecipa dello zolfo, rompe, congela, dissolve e calcina tutto, è penetrante, sottile, non bruciante, è la fontana in cui si lavano il Re e la Regina, di cui abbiamo sempre bisogno, all’inizio, nel mezzo e alla fine. Degli altri due fuochi invece non abbiamo sempre bisogno, ma solo talvolta… 

Si sarà notato che Artefio non parla del quarto fuoco, quello elementale, che descrivevano gli altri, Maier in particolare. Questo è alla base stessa della nostra manifestazione. Proprio per questo motivo la maggior parte degli autori lo dà per scontato. Ora, da qui partono considerazioni che toccano il grande arcano del Fuoco Segreto o Filosofico, su cui Fulcanelli torna così spesso nelle sue opere. Non mancherà perciò l’occasione di riprendere l’argomento, e allora, tra gli altri Maestri, leggeremo anche il famoso Pontano che gli ha dedicato un apposito libretto.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

MASSONICA

MASSONICA

All’uso delle Logge riunite e rettificate approvata al Convento  generale di Wilhemsbad nel 1782             

Prologo

O TU che vieni ad essere iniziato alle lezioni della saggezza! Figlio della virtù e dell’amicizia! Presta alle nostre parole un orecchio attento, e che la tua anima si apra ai precetti virili della verità! Ti insegneremo il cammino che conduce ad una vita felice; ti insegneremo ad essere gradito al tuo Autore ed a sviluppare, con energia e successo, tutti i mezzi che la Provvidenza ti confidò per renderti utile agli uomini ed assaporare le delizie della beneficenza.

Articolo I

DOVERI VERSO DIO E LA RELIGIONE

    Il tuo primo omaggio appartiene alla Divinità. Adora l’Essere pieno di maestà che creò l’universo con un atto della sua volontà, che lo conserva per effetto della sua azione continua, che riempie il tuo cuore, ma che il tuo spirito limitato non può concepire, né definire. Compiangi il triste delirio di colui che chiude i suoi occhi alla luce e si trascina nelle spesse tenebre del caso: che il tuo cuore, intenerito e riconoscente dei paterni benefici del tuo Dio, rigetti con disprezzo quei vani sofismi, che provano la degradazione dello spirito umano quando s’allontana dalla sua fonte. Eleva spesso la tua anima al di sopra degli esseri materiali che ti circondano e lancia uno sguardo pieno di desiderio nelle regioni superiori, che sono la tua eredità e la tua vera patria. Fai a questo Dio il sacrificio della tua volontà e dei tuoi desideri, renditi degno dei suoi influssi vivificanti, adempi le leggi che ha voluto che tu compissi come uomo nel tuo percorso terreno. Essere gradito al tuo Dio, ecco la tua fortuna; essere per sempre riunito a Lui, ecco tutta la tua ambizione, la bussola delle tue azioni.

    Ma come oserai sostenere i suoi sguardi,  o essere fragile, che trasgredisce ad ogni istante le sue leggi ed offende la sua santità, se la sua paterna bontà non ti avesse procurato un Riparatore infinito? Abbandonato agli smarrimenti della tua ragione, dove troverai la certezza di un consolante avvenire? Consegnato alla giustizia del tuo Dio, dove troveresti rifugio? Rendi dunque grazie al tuo Redentore; prosternati davanti al Verbo incarnato e benedici la Provvidenza che ti ha fatto nascere tra i cristiani. Professa in ogni luogo la divina Religione del Cristo e non arrossire mai di appartenergli. Il Vangelo è la base dei nostri obblighi; se tu non vi credessi, cesseresti di essere Massone. Annuncia in tutte le tue azioni una pietà illuminata ed attiva, senza ipocrisia, senza fanatismo; il Cristianesimo non si limita a verità speculative: pratica tutti i doveri morali che esso insegna e sarai felice; i tuoi contemporanei ti benediranno e comparirai sereno davanti al trono dell’Eterno.

    Soprattutto, compenetrati di questo principio di carità e d’amore, base di questa santa Religione: piangi l’errore senza odiarlo e senza perseguitarlo; lascia soltanto a Dio la cura di giudicare, ed accontentati di amare e di tollerare.! Figli di uno stesso Dio, riuniti dalla comune credenza nel nostro divino Salvatore, che questo legame d’amore ci unisca strettamente e faccia scomparire ogni pregiudizio contrario alla nostra fraterna concordia.        

Articolo II

IMMORTALITA’ DELL’ANIMA

    UOMO! Re del mondo! Capolavoro della creazione quando Dio lo animò col suo soffio! Medita il tuo sublime destino. Tutto ciò che vegeta intorno a te e non ha che una vita animale, perisce con il tempo ed è sottomesso al tuo dominio; la tua anima immortale soltanto, emanata dal seno della Divinità, sopravvive alle cose materiali e non perirà affatto. Ecco il tuo vero titolo di nobiltà; senti vivamente la tua fortuna, ma senza orgoglio; questo perse la tua razza e ti riporterebbe nell’abisso. Essere degradato! malgrado la tua grandezza primitiva e relativa, cosa sei al cospetto dell’Eterno? Adoralo nella polvere e separa con cura questo principio celeste ed indistruttibile da leghe aliene; educa la tua anima immortale e perfettibile, e rendila suscettibile di essere riunita alla fonte pura del bene, quando sarà liberata dai vapori grossolani della materia. È così che sarai libero anche se in catene, felice anche nel dolore, inattaccabile dai più forti uraganiuragani e morirai senza terrore. –

    MASSONE! Se mai tu potessi dubitare della natura immortale della tua anima e del tuo alto destino, l’iniziazione sarebbe senza frutti per te; cesseresti di essere il figlio adottivo della saggezza e saresti confuso nella folla degli esseri materiali e profani che brancolano nelle tenebre.

Articolo III

DOVERI VERSO IL

SOVRANO E LA PATRIA

    L’Essere supremo confidò in maniera più positiva i suoi poteri sulla terra al Sovrano; rispetta e gradisci la sua legittima autorità nell’angolo della terra che abiti; il tuo primo ossequio appartiene a Dio; il secondo alla Patria. L’Uomo errante nei boschi, senza cultura ed evitando i suoi simili, sarebbe poco adatto a compiere i disegni della Provvidenza, e ad afferrare tutto l’insieme della fortuna che gli è riservata. Il suo essere cresce in mezzo ai suoi simili; il suo spirito si fortifica nel conflitto di opinioni; ma una volta riunito in società, dovrebbe lottare senza tregua contro l’interesse personale e le passioni disordinate, e ben presto l’innocenza soccomberebbe sotto la sua forza o la sua astuzia. Occorsero dunque delle leggi per guidarlo e dei capi per mantenerle.

    UOMO sensibile! tu riverisci i tuoi genitori; onora allo stesso modo i padri dello Stato e prega per la loro conservazione; essi sono i rappresentanti della Divinità su questa terra. Se fuorviano, ne risponderanno al Giudice dei Re; ma la tua opinione potrebbe trarti in inganno e mai dispensarti dall’obbedire. Se tu venissi meno a questo sacro dovere, se il tuo cuore non trasalisse più al dolce nome della Patria e del tuo Sovrano, il Massone ti ricaccerebbe dal suo seno come refrattario all’ordine pubblico, come indegno di partecipare ai vantaggi di un’associazione che merita la fiducia e la stima dei governi, in quanto uno dei suoi principali moventi è il patriottismo e che, gelosa di formare i migliori cittadini, esige che i suoi figli adempiano, con il maggior impegno e purezza d’intenti, tutti i doveri del loro stato civile. Il guerriero più coraggioso, il giudice più integro, il maestro più dolce, il servo più fedele, il padre più tenero, lo sposo più costante, il figlio più sottomesso deve essere il Massone, poiché i doveri ordinari e comuni del cittadino sono stati santificati e rafforzati dalle promesse libere e volontarie del massone e che disattendendoli unirebbe alla debolezza l’ipocrisia e lo spergiuro.

Articolo IV

DOVERI VERSO

L’UMANITA’ IN GENERALE

    Ma se il circolo patriottico che ti apre una carriera così feconda e soddisfacente non riempie ancora tutta la tua attività; se il tuo cuore sensibile vuole varcare i limiti degli imperi ed infiammare di questo fuoco elettrico dell’umanità tutti gli uomini, tutte le nazioni; se, risalendo alla fonte comune, gradisci amare teneramente tutti quelli che hanno gli stessi organi, lo stesso bisogno di amare, lo stesso desiderio di essere utile ed un’anima immortale come te, vieni allora nei nostri templi ad offrire i tuoi omaggi alla santa umanità; l’universo è la patria del massone e nulla di ciò che concerne l’uomo gli è estraneo.

    Osserva con rispetto questo edificio maestoso, destinato a stringere i legami troppo rilassati della morale; ama teneramente un’associazione generale di anime virtuose, capaci di esaltarsi, diffusa in tutti i paesi, dove la ragione e le luci sono penetrate, riunita sotto il santo vessillo dell’umanità, retta da leggi semplici ed uniformi. Senti infine lo scopo sublime del nostro santo Ordine; consacra la tua attività e tutta la tua vita alla beneficenza; nobilita, epura e fortifica questa generosa risoluzione lavorando senza tregua alla tua perfezione, riunendoti più intimamente alla Divinità.

Articolo V

BENEFICENZA

    Crea ad immagine di Dio che si è degnato di rivelarsi agli uomini e spargere su di loro la felicità; accostati a questo modello infinito con la volontà costante di versare incessantemente sugli altri uomini tutta la quantità di felicità che è in tuo potere; tutto ciò che lo spirito può concepire di bene è il patrimonio del  Massone.

    Osserva la miseria impotente dell’infanzia, essa reclama il tuo appoggio; considera l’inesperienza funesta della gioventù, essa sollecita i tuoi consigli; poni la tua felicità a preservarla dagli errori e dalle seduzioni che la minacciano; eccita in lei le scintille del fuoco sacro del genio, aiutala a svilupparle per il bene del mondo.

    Ogni essere che soffre o geme ha dei sacri diritti su di te; guardati dal misconoscerli, non aspettare che il grido penetrante della miseria ti solleciti; previeni e rassicura lo sventurato timido; non avvelenare, con l’ostentazione dei tuoi doni, le fonti di acqua viva dove lo sfortunato deve dissetarsi; non cercare la ricompensa per la tua beneficenza nei vani applausi della moltitudine; il  Massone la trova nella quieta approvazione della sua coscienza e nel sorriso fortificante della Divinità, sotto i cui occhi è sempre posto.

    Se la Provvidenza liberale ti ha accordato del superfluo, guardati dal farne un uso frivolo e criminale; essa volle che, con un impulso libero e spontaneo della tua anima generosa, tu rendessi meno sensibile la distribuzione ineguale dei beni, che era nei suoi piani; godi di questa bella prerogativa. Che mai l’avarizia, la più sordida delle passioni, avvilisca il tuo carattere, e che il tuo cuore si sottragga ai calcoli freddi ed aridi che suggerisce. Se mai dovesse inaridirsi al suo soffio tetro ed interessato, evita le nostre officine di carità; sarebbero prive di attrattive per te e non potremmo più riconoscere in te l’antica immagine della Divinità.

    Che la tua beneficenza sia illuminata dalla religione, dalla saggezza e dalla prudenza; il tuo cuore vorrebbe abbracciare i bisogni dell’umanità, ma il tuo spirito deve scegliere i più pressanti ed i più importanti. Istruisci, consiglia, proteggi, dona, dà sollievo a seconda dei casi; non ritenere mai di aver fatto abbastanza e non riposarti per le tue opere che per trarre nuove energie. Dedicandoti così agli slanci di questa sublime passione, una fonte inesauribile di gioie si prepara per te: avrai su questa terra l’anticipo della felicità celeste, la tua anima crescerà e tutti gli istanti della tua vita saranno riempiti.

    Quando infine senti i limiti della tua natura finita, e che non potendo essere sufficiente da solo a compiere il bene che vorresti fare, la tua anima si rattrista, vieni nei nostri templi; osserva l’insieme sacro dei benefici che ci unisce e concorrenti efficacemente, secondo tutte le tue facoltà, ai piani ed agli impieghi utili che l’associazione Massonica ti presenta e che realizza, rallegrati di essere cittadino di questo mondo migliore; assapora i dolci frutti delle nostre forze combinate e concentrate per uno stesso obiettivo; allora le tue risorse si moltiplicheranno, aiuterai a fare mille felici invece di uno ed i tuoi voti saranno coronati.

Articolo VI

ALTRI DOVERI MORALI VERSO GLI UOMINI

    Ama il tuo prossimo come te stesso e non fargli mai ciò che non vorresti si faccia a te. Serviti del sublime dono della parola, segno esteriore del tuo dominio sulla natura, per prevenire i bisogni altrui e per stimolare in tutti i cuori il fuoco sacro della virtù. Sii affabile e servizievole, edifica con l’esempio; condividi l’altrui felicità senza gelosia. Non permettere mai all’invidia di sorgere neanche per un istante nel tuo seno, essa turberebbe la fonte pura della tua felicità e la tua anima sarebbe in preda alla più cupa delle furie.

    Perdona al tuo nemico; non vendicartene che con opere buone; questo generoso sacrificio, di cui dobbiamo il sublime precetto alla religione, ti procurerà i piaceri più puri e più deliziosi; ritornerai l’immagine della Divinità che perdona con una bontà celeste le offese dell’uomo, e lo colma di grazie malgrado la sua ingratitudine. Ricordati dunque sempre che questo è il trionfo più bello, che la ragione prevalga sull’istinto, e che il Massone dimentichi le ingiurie, ma mai i benefici.

Articolo VII

PERFEZIONE MORALE DI SE STESSI

    Dedicandoti così all’altrui bene, non dimenticare il tuo perfezionamento e non trascurare di soddisfare i bisogni della tua anima immortale. Discendi spesso nel tuo cuore, per sondarne le pieghe più nascoste. La conoscenza di se stessi è il grande cardine dei precetti Massonici. La tua anima è la pietra grezza che occorre sgrossare; offri alla Divinità l’omaggio delle tue inclinazioni regolate, delle tue passioni vinte.

    Che i costumi casti e severi siano tuoi compagni inseparabili e ti rendano rispettabile agli occhi dei profani; che la tua anima sia pura, retta, schietta ed umile. L’orgoglio è il nemico più pericoloso dell’uomo, lo mantiene nell’illusoria fiducia nelle sue forze. Non considerare il punto in cui sei giunto, rallenterebbe il tuo cammino; proponiti quello dove devi arrivare; la breve durata del tuo passaggio ti lascia appena la speranza di giungervi: togli al tuo amor proprio il pericoloso alimento del confronto con quelli che ti sono dietro; ascolta piuttosto lo stimolo di un’emulazione virtuosa, guardando dei modelli più compiuti davanti a te.

    Che la tua bocca non alteri mai i segreti pensieri del tuo cuore, che essa ne sia sempre l’organo schietto e fedele; un Massone che si spogliasse del candore per assumere la maschera dell’ipocrisia e dell’artificio, sarebbe indegno di abitare con noi e, seminando la diffidenza e la discordia nei nostri quieti templi, ne diventerebbe ben presto l’orrore ed il flagello.

    Che la sublime idea dell’onnipresenza di Dio ti fortifichi, ti sostenga; rinnova ogni mattina la promessa di diventare migliore; veglia e prega; e quando sul far della sera il tuo cuore soddisfatto ti ricorda una buona azione o qualche vittoria ottenuta su te stesso, soltanto allora riposa tranquillamente nel seno della Provvidenza e riacquista nuove forze.

    Studia infine il senso dei geroglifici e degli emblemi che l’Ordine ti presenta. La Natura stessa vela la maggior parte dei suoi segreti; non vuole essere osservata, confrontata  e spesso sorpresa nei suoi effetti. Di tutte le scienze di cui il vasto campo presenta i risultati più felici all’operosità dell’uomo ed a vantaggio della società, quella che ti insegnerà i rapporti tra Dio, l’universo e te, colmerà i desideri della tua anima celeste e ti insegnerà ad adempiere meglio ai tuoi doveri.

Articolo VIII

DOVERI VERSO I FRATELLI

    Nella folla immensa di esseri di cui questo universo è popolato, hai scelto, con un voto libero, i Massoni come tuoi fratelli. Non dimenticare dunque mai che ogni Massone, di qualunque comunione cristiana, paese o condizione sia, presentandoti la sua mano destra, simbolo di sincera fratellanza, ha dei sacri diritti sulla tua assistenza e la tua amicizia. Fedele al voto della natura, che fu l’uguaglianza, il massone ristabilisce nei suoi templi i diritti originari della famiglia umana; non sacrifica mai ai pregiudizi popolari ed il livello sacro assimila qui tutti gli stati. Rispetta nella società civile le distanze stabilite o tollerate dalla Provvidenza; ve ne sarebbero tante da abolire e misconoscere. Ma guardati soprattutto dallo stabilire tra noi delle distinzioni fittizie che disapproviamo; lascia i tuoi gradi e le tue decorazioni profane sull’uscio e non entrare che con la scorta delle tue virtù. Qualunque sia il tuo rango nel mondo, cedi il passo nelle nostre Logge al più virtuoso, al più illuminato.

    Non arrossire mai in pubblico di un uomo oscuro, ma onesto, che nei nostri consessi hai abbracciato come fratello qualche istante prima; l’Ordine arrossirebbe di te a sua volta e ti caccerebbe, con il tuo orgoglio, per esporlo sulle scene profane del mondo. Se tuo fratello è in pericolo, vola in suo soccorso e non temere di esporre la tua vita per lui. Se si trova nel bisogno, versa su di lui i tuoi tesori e rallegrati di poterne fare un uso così soddisfacente; hai giurato di esercitare la beneficenza verso gli uomini in generale, la devi preferibilmente al tuo fratello che geme. Se è nell’errore e si svia, va da lui con le luci del sentimento, della ragione, della persuasione. Riconduci alla virtù gli esseri che vacillano, e rialza quelli che sono caduti.

    Se il tuo cuore ulcerato da offese vere o immaginarie nutrisse qualche segreta inimicizia verso uno dei tuoi fratelli, dissipa all’istante la nube che si alza; chiama in tuo aiuto qualche arbitro disinteressato; richiedi la sua fraterna mediazione; ma non oltrepassare mai la soglia del tempio prima di aver riposto ogni sentimento di odio e di vendetta. Invocherai invano il nome dell’Eterno, perché si degni di abitare nei nostri templi, se non sono purificati dalle virtù dei fratelli e santificati dalla loro concordia

Articolo IX

DOVERI VERSO L’ORDINE

    Quando infine tu fossi ammesso alla partecipazione dei vantaggi che derivano dall’Associazione Massonica,  li abbandonerai, in tacito scambio di una parte della tua naturale libertà; adempi dunque rigorosamente gli obblighi morali che t’impone, conformati ai suoi saggi regolamenti e rispetta quelli che la pubblica fiducia ha designati per essere i guardiani delle leggi e gli interpreti del voto generale. La tua volontà nell’Ordine è sottomessa a quella della legge e dei superiori; saresti un cattivo fratello se non riconoscessi questa subordinazione necessaria in qualsiasi società e la nostra sarebbe costretta ad escluderti dal suo seno.

    Vi è soprattutto una legge di cui hai promesso, al cospetto dei cieli, la scrupolosa osservanza: è quella del segreto, il più inviolabile, sui nostri rituali, cerimonie, segni e la forma della nostra associazione. Guardati dal credere che questo impegno sia meno sacro dei giuramenti che facesti nella società civile. Tu fosti libero nel pronunciarli, ma non lo sei più di rompere il segreto che ti lega. L’Eterno, che invocasti come testimone, lo ha ratificato: temi le pene relative allo spergiuro; non sfuggirai mai al supplizio del tuo cuore e perderai la stima e la fiducia di una società numerosa, che avrebbe diritto di dichiararti senza fede e senza onore.

    Se le lezioni che l’Ordine ti rivolge, per facilitare il tuo cammino di verità e di felicità, si imprimono profondamente nella tua anima docile ed aperta alle sensazioni della virtù; se le massime salutari, che impronteranno per così dire ogni passo che farai nel percorso Massonico, diventano i tuoi stessi principi e la regola immutevole delle tue azioni; o fratello mio, quale sarà la nostra gioia! Compirai il tuo sublime destino, ricoprirai quella somiglianza divina che fu l’eredità dell’uomo nel suo stato di innocenza, che è il fine del Cristianesimo e di cui l’Iniziazione Massonica fa il suo oggetto principale; ritornerai la creatura teneramente amata dal Cielo: le sue feconde benedizioni si tratterranno su di te; e meritando il titolo glorioso di consacrato, sempre libero, felice e costante, camminerai su questa terra alla stregua dei Re, il benefattore degli uomini ed il modello dei tuoi fratelli.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

CAPELLO MASSONE

Capello massone

ARMANDO CORONA

Gran Maestro della Massoneria Italiana

Da poco restituito alla famiglia — ma senza formale annullamento della parte residua della pena inflittagli dieci anni prima dal Tribunale Speciale — in risposta al dott. Della Villa, che gli aveva sottoposto il dattiloscritto di un’opera intesa a narrarne le vicende, a proposito del « materialismo » che gli veniva addebitato il gen. Capello replicò con una pagina emblematica: Ho le mie idee e le ho assunte non aprioristicamente per settarismo, e tanto meno per interesse. Vi sono pervenuto per istudio e riflessione. Forse avrò errato… non lo so! Comunque non ne ho mai fatto pompa Né propaganda. Le ho tenute per me. Fui sempre alieno dal proselitismo. Nella mia famiglia tutti sono cattolici osservanti e non vj furono mai fra noi né discussioni né diatribe SN questo riguardo. Due mie figlie furono educate in Germania in Istituto religioso dalle Suore Inglesi, perché così desiderò mia moglie. Non mi opposi affatto, ne compresi anzi la convenienza. Il grande rispetto che ho sempre sentito e dimostrato per le oneste opinioni attrai, onestamente professate, mi ha valso intime e care amicizie di Sacerdoti, e tali amicizie hanno resistito alla bufera assai meglio delle altre. Durante la guerra facilitai come meglio potei l’opera dei cappellani militari e la assecondai. L’Ordinario Militare, mons. Bartoiomasi, e tutti i cappellani, che furono con me, possono attestarlo, e lo stesso padre Semeria, se fosse ancor vivo, lo confermerebbe certamente. Le mie idee, Lo ripeto, le bo sempre tenute per me » *

Si trattava dell’espressione sincera di sentimenti profondamente radicati nell’animo del generale. Essa infatti ricalcava — quasi con identiche parole — quanto Luigi Capello aveva scritto da Formia il 19 aprile 1931 al passionista padre Bernardino, che gli aveva accompagnato una lettera nella quale una suora aveva confidato di pregare per la sorte (non solo terrena, evidentemente) dell’illustre prigioniero del regime. « È ben naturale che io sia profondamente grato a chi, pur nelle mie sventure, mi ri” corda, e procura di recarmi conforto » aveva risposto dopo lunga riflessione. « Lo stato del mio spirito *ton è dovuto a capriccio, e nemmeno a partito preso. Sono giunto a tale dopo lunghe meditazioni e severi studi. Ella dirà che sono caduto in errore, può darsi che ciò possa essere, ma io, in buona fede, non lo ritengo e se pare così fosse, non ne è tanto pervasa la mia mente da colmarne il mio pensiero e da investirne [pervaderne] tatto il mio essere. Ella mi conobbe in momenti tristissimi [per l’esattezza net periodo di detenzione a Soriano sul Cimino: n.d.a.] e poté forse leggere in fondo all’animo mio; ebbi la fortuna anche di affrontare con lei qualche spunto filosofico…! Se ne ricorda? Ella ha quindi potuto convincersi che io tengo per me le mie idee, molto chiare e decise, tanto che nella mia famiglia tutti sotto credenti praticanti ed osservanti.  Ed io, in omaggio al rispetto delta libertà di coscienza che riconosco come un diritto umano MO” ho mai biasimato né tanto meno ostacolato il loro modo di sentire e di agire a questo riguardo. I…] Queste mie dichiarazioni  — concludeva Capello, soprattuttopreoccupato che qualcuno lo credesse disposto a barattare la coscienza con un’attenuazione del rigido regime carcerario — hanno sollazzo lo scopo di dimostrarle: 1) Come, a malgrado delle mie ferme e precise convinzioni, non alberghi in me  spirito intransigente né tanto meno settario; 2) come io rispetti la Religione e ne riconosca la scrietà e l’importanza per il numero grandissimo di persone che ne seggono le dottrine e ne hanno la fede. Ora, ammesso questo stato d’animo, è mai possibile che io possa, senza offendere la religione che rispetto e gli stessi credenti tatti, piegarmi’ ad atti che sarebbero in contrasto col mio pensiero? Io so bene che se ciò facessi ne trarrei forse qualche vantaggio materiale, ma non è nel mio carattere (checché da qualcuno  si pensi o si dica) agire contro coscienza e tanto meno per secondi fitti

Da due anni Benedetto Croce, votando contro quei Patti Lateranensi che son rimasti a lungo in eredità alla Repubblica, aveva affermato in Senato che v ‘erano ancora Italiani pei quali « Parigi non valeva una messa». Tra questi — dobbiamo ricordarlo proprio perché quel filosofo non si mostrò affatto informato né rispettoso circa la storia e gl’ideali della Libera Muratoria — figuravano anzitutto proprio i massoni. Come Capello, il cui pensiero abbiamo ora sentito dalla sua stessa voce; come Giuseppe Meoni, Gran Maestro Aggiunto, condannato nell’anno della Conciliazione a cinque anni di confino per la sola imputazione d’esser « massone come il venerando Ettore Ferrari — lo scultore del Giordano Bruno di Campo de’ Fiori e del monumento a Giuseppe Mazzini, deliberato dalla

Camera nel 1890 su proposta dell’albese Michele Coppino, massone e già ministro della Istruzione Pubblica, ma realizzato sull’Aventino solo nel 1949 — confinato nell’abitazione romana più volte assalita e devastata dagli squadristi. Ma al di là dei nomi più sonanti furono migliaia i Fratelli — oggi per Io più dimenticati — a tener fede agli ideali che li avevano condotti in Loggia e che in Loggia avevano avuto modo di approfondire, perfezionare, sempre più levigando la pietra della propria educazione etica e intellettuale,

Riccardo Scoffone — che i presenti, i più anziani soprattutto, bene ricordano perché in Cuneo egli venne a praticare la sua arte di fotografo di gran classe — non arrivava infatti dall’esser Maestro Venerabile, nel 1924-1925, della Loggia torinese « Giovanni Bovio »? Quanto ai locali, bastino i nomi dei fratelli Fernando e Lamberto Milardi, di Adolfo Lattes e di Angelo Segre — l’avvocato che aveva spianato la via al successo elettorale di Marco Cassin e di Marcello Soleri nel 1912-13 —, succeduto al maestro Pietro Musso nella carica di Venerabile della « Vita Nova »: un cenacolo d’uomini, questo, al quale per continuare sua intrepida battaglia antifascista si rivolse il Presidente dell’Opera Nazionale Combattenti e creatore del nucleo cuneese di « Italia Libera » , l’avv. Felice Bertolino, già deputato del Partito popolate e che durante la troveremo a fianco di Duccio Galimberti e Arturo Felici nelle file di « Giustizia e Libertà e, nelle prime elezioni libere, della primavera 1946, venne eletto consigliere comunale nelle file del Partito d’azione accanto a uno scrittore a sua volta figlio di massone, Nuto Revelli, attratto nelle bande « G.L. » da un altro celebre cuneese di adozione, sua volta figlio di massone: Dante Livio Bianco, il cui padre fu attivo nel triangolo di Valdieri che, con quelli di Borgo S. Dalmazzn, Caraglio, Ceva, Saluzzo e Savigliano e la Loggia « Fiamma e Vita » di Mondovì (Venerabile il prof. Ercolano Pompei), completava il paesaggio massonico cuneese. Abbiamo voluto ricordare questi nomi non perché i comprovinciali li abbiano dimenticati o ignorino del tutto questo aspetto della loro biografia, bensì poiché essi, come le migliaia di altri più o meno celebri “fratelli”, pongono un interrogativo storico che ancora attende risposta esauriente: quale impulso li condusse a bussare alle porte dei Templi? quale alimento ne trassero? come lo spesero?

Le vicende personali del generale Luigi Capello ci sembrano molto illuminanti al riguardo. In massoneria egli entrò sulla scia del contributo recato dai Liberi Muratori al Risorgimento e all’unificazione nazionale e perché l’Ordine nei cui banchetti — o agapi fraterne — il primo brindisi vien levato al capo dello Stato, era e appunto intendeva essere il pilastro dello Stata nascente dalla fusione fra regni, ducati, granducati,

domini pontifici: uno Stato la cui « macchina » dai massoni era chiamata ad accelerare la formazione degl’italiani come uomini liberi e di buoni costumi, cioè cittadini responsabili, diversi per tradizioni, ideologia, confessione religiosa (anche l’Italia ha le sue minoranze c lo sa bene il Pie. monte, culla dei Valdesi! ) ma accomunati da un ideale supremo: la Patria.

La massoneria frequentata dal soldato Capello — diciamo “sol• dato” perché così egli amava autodefinirsi nei discorsi pubblici e nella corrispondenza privata — fu un’istituzione eminentemente patriottica, votata alla tutela dei supremi interessi nazionali: la pubblica istruzione (così da realizzare 1’« incivilimento » voluto dagl’illuministi — i piemontesi fratelli Vasco e Radicati di Passerano e i giacobini partenopei — che in Italia presero a far circolare idee, gusti, stili di respiro europeo) e la difesa nazionale anzitutto. Ma istruzione e difesa dopo lo Statuto significavano espansione e rafforzamento della libertà, non certo limitazione o repressione. L’istruzione — quella vera, che non si restringe alle nozioni impartite dalla cattedra ma diviene abito culturale, misura dell’uomo — era intesa come rapporto pedagogico tra le classi più fortunate e quelle più umili, unite in un unico disegno civile, così come sono accomunate nel lavoro, nella circolazione sociale, nelle speranze e nel destino storico. Le logge massoniche — non solo allora: ma certo con maggior evidenza proprio quelle tra Ottocento e Novecento — realizzarono perfettamente questa visione e questa pratica transclassista, accomunando celebri statisti, intellettuali di grido, professionisti famosi con esponenti della piccola borghesia e del proletariato, largamente presente al loro interno. Crediamo di poter dire che l’attenzione da Capello sempre riservata alla con. dizione degli uomini ai suoi ordini — dagli alti ufficiali al più oscuro fra i soldati — venne plasmata proprio nella frequentazione di Loggia. Le dichiarazioni raccolte dalla commissione senatoriale istituita con decreto 12-4-1922 per la revisione delle risultanze dell’inchiesta su Caporetto del 12-1-1918 insistono sulla straordinaria capacità di Capello di penetrare la psicologia degli uomini e di valorizzarne le qualità individuali, sforzandosi di conoscere le situazioni, anche domestiche, di ciascuno, nella consapevolezza della stretta connessione fra l’impegno ed il retroterra umano del soldato. « Di tutto si occupavatestimoniò il generale Egidi, già Capo di Stato Maggiore della II Armata e al quale si devono quei sunti delle conferenze tenute da Capello, che meriterebbero d’essere pubblicati integralmente del vitto, dei baraccamenti, dei divertimenti, delle case del soldato, dei castighi, dei premi Mei quali abbondava. Visitava frequentemente le truppe, sia in trincea sia in riposo; assisteva spessissimo alle esercitazioni; visitava frequentemente gli ospedali [ ] ». Al centro delle sue cure v’era dunque l’uomo nella sua globalità e complessità, non un mero numero, un supporto dell’arma. Di lì la speciale cura dedicata alla propaganda: non la gonfia retorica dei nazionalisti, ma la parola pacata di chi sapeva spiegare le ragioni vere e profonde della disciplina militare, giacché — strenuo « liberale-democratico » come i nostri Giovanni Amendola, Alberto Beneduce e lo stesso Giolitti — egli definiva la guerra una « calamità ancora possibile.. calamità  dunque, non eroica avventura quale l’avrebbero dipinta taluni letterati da retrovia; e calamità che però, una volta sopraggiunta, doveva essere fronteggiata con ogni  mezzo, giacché — sono sue parole — « la guerra si fa come si deve, non come si può » , sicché « la produzione nazionale deve svilupparsi in modo da concedere alla guerra tutta la pienezza delle sue esplicazioni », insomma con la massima tensione morale, Quale fascino egli abbia saputo esercitare sugli uomini ai suoi ordini venne attestato anche dal grande storico inglese che operò al seguito della Croce Rossa britannica (da Capello preferita all’italiana perché più efficiente, anche a costo di urtarsi con la duchessa d’Aosta), George Macaulay Trevelyan, massimo biografo di Garibaldi e memorialista della nostra guerra, il quale il 23 novembre 1951 da Cambridge dichiarava al dott, Giovanni Knapp (che aveva conosciuto at fronte) la sua soddisfazione nel vedere finalmente onorata la memoria del generale: Un vero gentiluomo e un bravo soldato » ,

E lo sa chi vi parla, avendo presenti i ricordi che di Capello serbarono gli uomini della Brigata Sassari, per sua volontà composta esclusivamente da sardi.

Altri ha già analizzato l’ampio e più complesso dramma della libera democrazia, entro il quale — per intenderlo senza preconcetti faziosi — va collocato il ruolo medianico assunto da Luigi Capello fin da quando comprese sino in fondo la necessità di rifondare la società su una riforma coraggiosa, anche a costo di chiudere i conti aperti fin dall’età dei Mazzini e Garibaldi alla cui scuola ideale s’era formato. Non staremo qui a ripetere quant’è ovvio e purtuttavia troppo spesso viene obliato, e cioè che se Capello operò nel movimento fascista come già ebbe a dire il socialista Zaniboni lo si dovette al fatto che a quel modo — con tanti altri patrioti d’indiscutibile fede liberale — credette di salvare la libertà minacciata ». D’altro canto — prosegue l’illustre esponente dell’antifascismo — « egli s’affrettò a gettare alle ortiche la camicia nera quando s’accorse della cattiva piega che prendevano le cose nel movimento diventato partito e tentò di opporsi, con ogni mezzo, alle nuove tendenze

Realtà oggettiva e ben chiara a protagonisti della crisi quali Angelo Tasca e a storici come Renzo De Felice, codesti eventi van richiamati per i meno giovani, formati su una manualistica scolastica partitante, parziale, faziosa. Parallelo a quello di Capello fu il cammino del vertice del Grande Oriente d’Italia, che in lui peraltro riconobbe costantemente un dignitario di prestigio e di sicuro giudizio.

Il Gran Maestro Domizio Torrigiani non tardò a render manifesto l’orientamento dell’Ordine non appena ebbe sentore che il corso della crisi conduceva a minacciare le libertà. All’Assemblea Generale straordinaria della Comunione il 28 gennaio 1923 ricordò: « Lavorammo come educatori e come uomini d’azione a persuadere te classi operaie della santità della Nazione, idea e cosa augusta, contro i falsi profeti. Difendemmo lo Stato contro tutti i suoi nemici… La Massoneria, fuori e sopra i partiti, aspira a trarre dall’opera di tutti una sintesi nazionale che non è impossibile intravvedere e favorire ove si segga la lotta civile con cuore puro e mente scevra di passione faziosa. [ x ] Non è più questione di partito; è invece una questione di patriottismo elementare

Il patriottismo, la difesa dello Stato al di sopra delle parti — non solo ideologiche ma anche economiche — costituiva del resto l’eredità più alta dell’età liberale La sua affermazione risaliva a Cavour e aveva conosciuto l’ultima netta rivendicazione con Giovanni Giolitti. Per tradurre quell’ideale in realtà concreta s’adoprò tutta la classe dirigente dei diversi settori del riformismo, in larga misura filtrata dalle logge massoniche: fra i tanti possibili bastino i nomi di Arturo Labriola, Ivanoe nomi e di Alberto Beneduce, già creatore dell’Ina, accanto a Francesco Fausto Nitti, e poi chiamato a dar vita all’Iri e a riformare in senso moderno la Banca d’Italia.

Che Luigi Capello anche nella fase più aspra della crisi italiana abbia continuato a operare in stretta intesa col Gran Maestro Tortigiani è fuor di dubbio. All’indomani della dichiarazione d’incompatibilità tra appartenenza alla Massoneria e iscrizione al Partito nazionale fascista, il generale — che al movimento fascista aveva aderito, com’è ora ampiamente documentato dalla relazione del prof. Mola, per farvi prevalere le correnti democratiche effettivamente presenti al suo interno — assunse pubblicamente la posizione che doveva risultare paradigmatica per tutti i “casi” aperti dalla dichiarazione del Gran Consiglio, e il 22 febbraio 1923 si dimise dal partito, con una lettera pubblicata con rilievo nella Rivista massonica » accanto a quelle del senese Cesare Ferretti, massone da 40 anni, di Gastone Cavalieri, membro del Governo dell’Ordine, e di Germano Torsello, il quale ultimo, sintetizzando temi e formule ricorrenti nelle dichiarazioni di altri fratelli dimissionari dal Partito fascista, ricordò che « la libertà è la più grande e più vera conquista individuale e collettiva e, più che consistere nell’abolizione di una qualsiasi oppressione materiate, costituisce il conseguimento di una interna conquista dello spirito La Massoneria era appunto la « grande Scuola di educazione spirituale, morale e intellettuale » conducente alla libertà, ora aggredita da chi « vuol penetrare nel Sacrario della coscienza, vuol  calpestare lo spirito alato di libertà che da innumerevoli secoli si conserva gelosamente nelle Logge Massoniche di tutto il mondo ».

È su questo terreno della lotta di principio e sui principi che va esaminato e inteso il conflitto radicale ed effettivamente incomponibile venutosi a determinare tra i massoni e il fascismo da quando questo, approfittando dei consensi. parlamentari recatigli da liberali,  partito popolare (cioè dai partiti cattolici »), cominciò a modificare regole del gioco e scenario della vita pubblica, puntando all’instaurazione del regime.

11 21 aprile 1925 — anniversario della fondazione di Roma, talora assunta dal Rito Scozzese quale termine a quo della nuova èra — Torrigiani indirizzò a tutte le logge d’Italia una circolare di larga risonanza pubblica nella quale ricordò: « Scuola di carattere, la Massoneria si onora di avere nelle sue file magistrati che nulla vale a piegare nell’adempimento del loro dovere austero e pericoloso, militari che sono modelli di valore e di lealtà (i re d’Italia non ebbero mai a dolersi della Massoneria nell’Esercito o nell’Armata) e funzionari di tutte le amministrazioni pubbliche i quali sanno vigilare fieramente contro tutti l’uso del pubblico danaro Il disegno governativo di escludere i massoni dai pubblici impieghi si sarebbe quindi tradotto nell’impoverimento dello Stato, depauperato della parte migliore della sua dirigenza e dei suoi funzionari e impiegati e avrebbe una volta di più reso attuale il monito di Efraim Lcssing, il grande filosofo della Massoneria settecentesca: « Il più certo segno della stabilità e del vigore di un Governo fu sempre la libertà che lasciò alla Massoneria di vivere accanto a sé ed anche oggi è prova infallibile della debolezza e della scarsa fiducia in sé di uno Stato non sopportare francamente la Massoneria

Ispirato a questi principi quando, in applicazione della legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati alle associazioni, molti militari (fra i quali Dino Parri, Giuseppe Pavone, Giovanni Ugli, aiutante di campo della Brigata Cuneo, il comandante di corpo d’armata Ugo Sani, il comandante della Divisione territoriale di Roma, Lorenzo Barco e tanti altri) palesarono la propria appartenenza all’Ordine, se già non si fosse trovato in stato d’arresto sotto la falsa accusa di complicità nell’attentato Zaniboni alla vita di Mussolini, Capello non avrebbe certo mancato di ribadire la sua antica e leale militanza massonica. Dei principi appresi e coltivati in loggia egli fece però tesoro nella lunga segregazione e nella severa detenzione seguita alla condanna che, quasi settantenne, lo colpì, il 22 aprile 1927.

Circondato dall’affetto dei famigliari e dall’indefettibile stima degli amici — e soprattutto da quelli di Cuneo, la cui tenacia egli stimò sempre al sommo grado — in quegli anni Capello affidò i suoi pensieri e i suoi sentimenti a lettere che sapeva scrutate con occhio severo dalla censura carceraria e quindi sobrie e, se possibile, anche più schiette e veridiche. Sicché esse oggi sono il documento fondamentale per riesaminarne la biografia con serenità di giudizio, cogliendo, al di là dello stratega e del ‘ ‘politico”, ciò che a Capello più premeva dei suoi simili: l’uomo. E l’uomo Capello ci appare dall’epistolario, ora prossimo alla edizione critica, nutrito di un francescanesimo e di una non comune sensibilità verso i suoi simili e soprattutto per gl’infelici, i bisognosi, i deboli. Ne sono prova le osservazioni sulla condizione carceraria: «Il maggior tormento per chi abbia un poco di intelligenza, qualche corredo di studi, anche se modesti, non abbia perduto il senso morale e conservi il sentimento della propria dignità — egli scrisse — è quello di essere sottoposto a persone troppo spesso sprovviste totalmente delle suaccennate qualità… Questa misera gente non sa concepire che i poveri disgraziati che la legge umana, a torto o a  ragiono loro affida, possono avere un animo non soltanto non pervertito, ma forse anche nobilissimo ed invitto; una coscienza che conservi, nonostante gli errori, un alto senso di dignità… ». Sentimenti che vogliamo credere il piemontese Luigi Capello apprese a coltivare essendo cresciuto — dentro e fuori la Massoneria — nell’età lungo la quale le logge subalpine posero mano a tin imponente programma di iniziative d’assistenza sociale, a cominciare da quegli Asili notturni il cui primo centenario abbiamo recentemente celebrato in Torino. e con la promozione del mutualismo fiorente anche nella Cuneo del notaio Berrini, che precedette nella guida della locale Cassa di Risparmio un altro fedele parente e amico di Capello, Bongiovanni, mai iscritto al Partito fascista e molto vicino a quella Vita Nova » di cui già abbiamo discorso. Quel forte Piemonte del resto costituì sempre il termine di riferimento di Capello, e soprattutto da quando egli cominciò ad abituarsi, « colla massima serenità di spirito al « pensiero dell’ineluttabile » e ad esortare la moglie, Lydia Bongiovanni, a familiarizzarsi con esso. Pro, rio allora il massone, che taluno anche recentemente ha ancora dipinto coine “ateo”, dalla cella di Soriano sul Cimino il 30 ottobre 1928, vigilia dei “morti”, evocando un bozzetto che sarebbe piaciuto al vostro scrittore Edoardo Calandra, dichiarava la sua nostalgia « del tradizionale rosario familiare del nostro vecchio Piemonte cow relative… “balote” innaffiate da un buon bicchiere di barolo od anche semplicemente di barbera ».

Anche questo è il Luigi Capello che la storiografia deve saper ricoprire al di là delle dispute talvolta sterili e gonfie di preconcetti sui meriti e le responsabilità di questo o quel fatto d’armi, di questo o quell’episodio della nostra storia politica, per intendere quali siano stati i metri, gli ideali, i valori cui s’ispirò un’intera classe dirigente del nostro Paese e per cogliere quali nessi sian corsi tra la sua formazione e il grande patrimonio dei principi tenuti in serbo e proposti all’interno delle logge e, loro tramite, nella società italiana, così da comprendere — diremmo con Hegel e con Croce — ciò ch’è vivo e ciò ch’è morto della Massoneria quale essa venne intesa e vissuta dalle generazioni precedenti il fascismo. Anche perché a noi la Libera Muratoria è giunta attraverso la mediazione tra quella e la stagione del forzato esilio di molti fratelli costretti a rifugiarsi all’estero e che colà si batterono per tener desti i principi di libertà per i quali — dichiararono concordemente Torrigiani e Capello nell’ora più difficile — i massoni sapevano e sanno che si può vivere ma, in determinate circostanze, si deve anche sacrificare la vita, come avevano saputo fare i fratelli immolatisi nella repubblica napoletana del 1799, per l’unificazione nazionale e, in tempi più recenti, trucidati alle Fosse Ardeatine  o caduti nella guerra di Liberazione. Dallo stesso tronco trasse ali. mento anche il generale Luigi Capello.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

MITOLOGIA E MASSONERIA

Mitologia e Massoneria, il Tempio Lando Conti di Firenze nel Palazzo Altoviti-Valori

Breve storia del palazzo

Il palazzo si trova sul Decumano Maximo (direzione Est-Ovest) dell’antica colonia romana di Florentia e fu costruito nel XVI secolo. Al suo posto c’erano una serie di case appartenenti a Rinaldo Di Maso degli Albizi al quale fu confiscato l’intero patrimonio immobiliare perché si era schierato contro Cosimo il Vecchio de’ Medici. Il tutto fu poi riacquistato dal suo parente Lucantonio di Niccolò degli Albizi che lo tenne fino al 1536. Verso la fine del XVI secolo, Baccio Valori, nuovo proprietario, decise un radicale restauro del grande palazzo. La famiglia dei Valori ne conservò la proprietà fino alla morte dell’ultimo erede della dinastia che si estinse nel 1687. Passò quindi nelle mani di Luigi Guicciardini, che a sua volta ristrutturò il palazzo per adeguarlo al suo gusto personale e a quello della nobiltà del tempo. Nel 1707, alla morte di Luigi Guicciardini, sua figlia Virginia, unica erede del patrimonio, portò il palazzo in dote al marito Giovan Battista Altoviti.

Le 15 erme poste all’esterno sono “I Visacci”, strane figure in marmo, omaggi alla memoria di celebri personaggi toscani. Tra questi si trovano i ritratti di Dante, Boccaccio, Petrarca, Alberti, Guicciardini, Vespucci. Il popolino, non sapendo chi rappresentassero queste figure e giudicandole alquanto brutte, chiamò questo palazzo “Dei Visacci”.

Dopo avere varcata la porta del primo piano, ci troviamo davanti alla galleria, dove gli affreschi raccontano l’apoteosi della famiglia Guicciardini con una chiara allusione al faticoso percorso seguito dalla stessa famiglia prima di raggiungere quella virtù a coronamento della propria esistenza terrena, come indicato nel cartiglio: “Hoc Virtutis Opus” – cioè “Questa è l’opera della virtù” – e il cammino verso la virtù è rappresentato nei cartigli proprio come il percorso che noi massoni intraprendiamo fin dalla cerimonia iniziatica. Comincia con il motto “la virtù è fuggire il vizio” per proseguire con: “le lusinghe del vizio resistendo devi fuggire”. Il percorso allegorico continua con una frase ermetica: “viaggio irrealizzabile per raggiungere la virtù”. Quindi: “getta le fondamenta della vera felicità”, perché: “alla fine delle fatiche l’inizio della felicità”, vale a dire: è soltanto alla fine che tu “sarai in grado di conoscere la virtù”.

E adesso arriviamo al Tempio in cui siamo, dedicato al nostro compianto Fratello Lando Conti, sindaco di Firenze e barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse.Questo Tempiomassonico è considerato tra i più belli e significativi dell’Oriente Toscano, dove le figure mitologiche affrescate, quelle scolpite, gli altri simboli e le stesse insegne massoniche, sembrano dialogare con uno stesso linguaggio. L’affresco della volta è di Matteo Bonechi ed è stato dipinto nel 1715.

             Personalmente mi sono reso conto che, quando siamo dentro questo Tempio, la concentrazione che assumiamo e che diventa necessaria per il proseguo dei nostri Lavori rituali, spesso non ci permette di osservare adeguatamente le opere d’arte che ci circondano. Per questo mi sono permesso di fare qualche accenno e di dare alcune tracce, che hanno molto in comune con il nostro esoterismo massonico e fare sì che ognuno di noi possa sentirsi come parte di un tutto, di questa bellezza, nella certezza di far nascere in noi quella curiosità che, anche lei, fa parte del nostro essere massoni.

Mitologia e Massoneria

Diceva il nostro Fratello scrittore Denis Roman che “La Massoneria è l’arca vivente dei simboli”, ma, aggiungo io, che lo è anche per quanto riguarda la mitologia.

La mitologia greca è piena di dei ed eroi appartenenti alla cultura religiosa del loro tempo che incarnavano qualità e vizi comuni a tutti gli esseri umani. Ma era proprio attraverso questi miti che i greci spiegavano i comportamenti degli uomini e le caratteristiche del mondo che li circondava. Questi racconti avevano sempre, alla fine, una morale e spesso raccontavano la lotta tra il bene e il male. Per quanto ci riguarda da vicino, quante volte ci siamo detti che la leggenda – o per meglio dire il mito – di Hiram ci insegna valori etici immortali attraverso esempi o personaggi. Noi sappiamo bene che, ancora oggi, quei valori devono essere seguiti, se vogliamo diventare migliori o essere di esempio per il mondo esterno.

Poi ci fu l’avvento del Cristianesimo che soppresse e addirittura cancellò in brevissimo tempo l’intera mitologia greco-romana abbattendo i templi pagani ed edificando al loro posto le chiese cristiane.

Quando, dopo il Medio Evo, la civiltà occidentale iniziò a risorgere e a ristrutturarsi, lo fece principalmente attraverso la riscoperta delle civiltà classiche e, nel secolo dell’Illuminismo, ovvero dell’esaltazione della ragione e della scienza come unici strumenti che potevano liberare l’uomo dall’ignoranza e dal giogo della Chiesa, il Neoclassicismo ripropose la scoperta del bello, nella ricerca dell’armonia, delle proporzioni, degli equilibri guardando all’arte antica dei greci e dei romani.

Il cristianesimo, questa volta, non riuscì ad ostacolare la popolarità dei miti e, con la riscoperta delle antichità classiche avvenuta nel Rinascimento, queste divennero una delle fonti di ispirazione principale per poeti, pittori e artisti. A partire dai primi anni di questa epoca personaggi come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello ritrassero scene pagane tratte dalla mitologia greca insieme ai più convenzionali temi cristiani. I miti greci influenzarono anche poeti come il PetrarcaDante e Boccaccio.

Addirittura all’inizio del secolo di cui stiamo parlando, l’avvento del Romanticismo segnò uno scoppio di entusiasmo e di attenzione per tutto ciò che era greco inclusa, ovviamente, la mitologia.

Arriviamo quindi ai nostri giorni ed al luogo in cui ci troviamo che, appunto, è il risultato di quella complessa trasformazione che ho raccontato prima.

L’affresco della volta

Devo subito dire che, per ragioni di tempo e di spazio, bisogna prescindere dai criteri architettonici e di prospettiva usati dall’eccellente pittore, nonché dai complessi restauri, concentrandoci solo sui significati allegorici e mitologici delle rappresentazioni pittoriche e degli stucchi che non possono essere subito interpretabili dagli occhi di un profano (parlando in questo caso, di qualcuno che non conosce la materia). Si nota subito che tutte le figure dell’affresco sono come immerse in un mondo magico, quasi incantato, dove esse convivono con animali feroci e animali da pascolo, mentre le tante nuvole contribuiscono a farci sembrare sotto una volta celeste, come fosse un cielo aperto.

Non scenderò volutamente nella storia dei singoli miti, sul come si sono formati o sulle loro molteplici variazioni, sarebbe oltremodo lungo, mi limiterò a evidenziare nel soffitto i personaggi componenti questo splendido giardino incantato, questa casa spirituale, questo sacro Olimpo. Tutti e sottolineo tutti, hanno il loro significato nascosto, esoterico che spesso si sposa con quello della Massoneria. Cominciamo a evidenziare sul soffitto le divinità delle quali la Massoneria ha fatto i suoi più importanti Simboli: Eracle, Afrodite e Athena.

Eracle, l’Ercole dei romani, simbolo della forza:

La figura di questo personaggio è raffigurata nel soffitto del nostro Tempio in un modo molto particolare, direi anche piuttosto raro nelle rappresentazioni mitologiche. Eracle è quel fanciullo neonato che sta succhiando il latte dal seno di Era, la moglie di Zeus. La cosa potrebbe sembrare molto strana, dal momento che Eracle era il figlio illegittimo che Zeus aveva concepito con l’inganno insieme alla bella e virtuosa Alcmena. Fatto è che Era non sapeva chi fosse il bambino che lei stessa aveva raccolto abbandonato in un prato (con la complicità di Zeus e Athena), quindi lei, la dea delle partorienti, lo avvicinò al suo seno, ma questi gli si attaccò con una forza tale, che la stessa Era, dal dolore, lo strappò via da sé. In quel modo uno spruzzo del latte uscì dal suo seno andando a formare in cielo la Via Lattea. Questo ci fa capire quale era il modo di spiegare le cose per chi viveva 2/3000 anni fa e come si cercasse di dare una spiegazione ai fenomeni naturali senza poterne conoscere il vero significato che si è scoperto scientificamente solo molti secoli dopo.

            Fu proprio per la vendetta della stessa Era, tradita dal marito, che il nostro mitico eroe dovette affrontare tutte le 12 fatiche, che, prese singolarmente, hanno un profondo significato esoterico. Ma nonostante tutto quello che aveva passato al termine dei suoi sforzi, la moglie di Zeus non aveva ancora colmato il suo odio e fece in modo che, inconsapevolmente, Eracle infilasse una camicia che, appena indossata, cominciò a dilaniare le sue membra, rendendolo pazzo di dolore. Non sopportando più gli atroci tormenti sul suo corpo, costruì con le sue mani una catasta di legna e, salendoci sopra, vi fece appiccare il fuoco. In mezzo alle fiamme rimbombarono tuoni e fulmini, e una nuvola coprì il corpo dell’eroe, che fu raccolto dal carro di Athena e portato sull’Olimpo dove, la stessa Era finalmente, lo accolse tra gli immortali.

Alle sovrumane imprese di Eracle, spesso compiute come sfida alla morte, si può quindi attribuire un significato morale che supera quello immediato di semplice narrazione di gesta eroiche. La storia di questo antico figlio del sommo Zeus è la metafora delle prove del Sentiero Iniziatico. Ercole è chiunque lotti con i problemi della vita, affrontando con coraggio i compiti del proprio destino, sopportando pene e tribolazioni, ma ci fa anche pensare che alla fine ci sia sempre la speranza di una ricompensa. La sua vita finisce nel tormento, il suo corpo brucia, ma il suo spirito, la sua anima vanno in cielo e Zeus lo fa diventare immortale.

Le interpretazioni allegoriche del mito abbondano e, con l’avvento del Cristianesimo, questo subisce una straordinaria metamorfosi: quella che vede Ercole come figura di Cristo che lotta contro il demonio e muore soffrendo per poi risorgere. E’ questo il motivo per cui ritroviamo l’eroe nei dipinti delle catacombe, oppure scolpito sulle porte di bronzo della Basilica di San Pietro a Roma o in quelle di San Marco a Venezia

Ercole raffigura l’Uomo, quello di ieri, di oggi ed anche del domani. E’ questa la vera, unica, importante forza dei miti e dei simboli: l’Immortalità.

Afrodire, la Venere dei romani dei romani, simbolo della bellezza

Nella mitologia greca il Caos è la personificazione dello stato primordiale di vuoto, buio, anteriore alla creazione, quel luogo primigenio della materia informe e rozza, come ci racconta lo scrittore Esiodo. Ma, in questo “nulla”:

“Ad un certo punto la luce avanzò gradatamente dall’oriente e nella spessa coltre delle nubi si notava un cielo più chiaro e cominciava a stagliarsi, ancora informe, la massa montuosa dell’isola di Cipro e nel mare, fin allora invisibile, si avvertiva il rumore delle onde con qualche vago luccichio. Ma la luce ben presto avanzò a fiotti, la­cerò le nubi, si precipitò attraverso gli squarci ad invadere terra e mare, a restituire i colori e le forme alle cose. Un miracolo si compiva infine: in mezzo ad essi, ritta in una conchiglia di madreperla, amman­tata da un’onda di capelli d’oro e da una nube di morbidi veli, emerse la bellissima Afrodite, dagli occhi azzurri, dalla dolce voce e dal sorriso pieno d’incanto”.

E’ questo il racconto mirabile che ci fa Esiodo – il maggior autore latino della mitologia- talmente entusiasmante che ci fa pensare inevitabilmente alla luce che squarcia le tenebre, il bene che vince sul male, il bianco sul nero, la notte sulle tenebre, l’ordine sul caos. Il suo influsso aiuta a sviluppare nell’individuo la percezione della propria bellezza interiore e il senso dell’armonia.

Afrodite pur essendo la sposa di Efesto, ebbe diversi amanti, soprattutto il dio Ares, dal quale ebbe numerosi figli e tra questi ci furono Armonia e Eros il figlio alato che vediamo emergere dalla nuvola bianca.

Athena, la Minerva dei romani, simbolo della Sapienza

Platone spiega la parola Athena come “mente di dio”. Cioè Athena è un modo di pensare e di vivere, una guida interiore.

Tutta la mitologia ed il significato esoterico di questa divinità ruota intorno alla sua nascita. Narra il mito che, agli inizi, Zeus non aveva in sé la saggezza che si addice ad un re, ma ogni volta che doveva decidere qual­che cosa, si rivol­geva alla dea Metis, la quale era, al contrario, tutta saggezza e prudenza e gli dava preziosi consigli. Così avvenne che Zeus s’innamorò della sua consigliera e volle farla sua sposa, ma il Fato aveva stabilito che, se da Metis fosse nato un figlio di sesso maschile, questo sarebbe stato il re di tutti gli dei, così come era già accaduto per Urano prima e Crono dopo. Allora Zeus, temendo di essere spodestato, come seppe che la moglie attendeva un bambino, per impedire la temuta profezia e nello stesso tempo per tenere sempre con sé la sua preziosa consigliera, la ingoiò, dopo averla trasformata in una goccia d’acqua. In questo modo Metis continuò, dall’interno del suo sposo e re, a consigliarlo, indicandogli il bene e il male.

Ma l’espediente di Zeus non valse ad arrestare la gesta­zione di Metis e, quando il tempo fu trascorso, venne l’ora del parto. Non era però Metis che soffriva all’avvicinarsi dell’even­to, bensì Zeus e fu Metis stessa che, dall’interno del corpo del suo signore, gli suggerì il da farsi. Subito Zeus invocò a gran voce Efesto, il dio dei metalli e delle officine.

Come questo giunse sulla vetta dell’Olimpo, il re degli dei gli ordinò di fendergli il cra­nio con la scure, ed ecco che dalla fenditura balzò fuori una figura alta, solenne, armata di scudo, elmo e lancia, bellis­sima nel corpo e nel volto, con occhi grandi e dallo sguardo severo ed insieme sereno. Dal cervello di Zeus era nata Athena.

Il frutto dell’olivo, che Athena dona alla città di Atene quale simbolo di pace dopo la competizione con Poseidone, alimenta le lampade, quindi illumina il buio. Ma, dal simbolo della luce fisica, si può passare alla riflessione della luce interiore. Era una dea molto riflessiva, cauta e per noi è l’equivalente di chi ha dei dubbi, che sono poi i fondamenti di ogni Conoscenza.

Ci sono molte altre figure divine che sono state affrescate sulla volta del Tempio, fra queste vorrei farvi osservare:

Zeus, (purtroppo è la figura meno visibile) il signore degli dei olimpici e di tutto il genere umano. Qui si vede poco perché l’affresco è danneggiato proprio al centro della volta;

Demetra-Cerere, la seminatrice, colei che aveva iniziato la Grecia il culto dei Misteri Eleusini, qui tiene in mano le spighe di grano simbolo di fertilità e di rinascita;

Apollo, il dio della medicina, ma anche del sole, protettore della musica e della poesia simbolo a sua volta della bellezza e della gioventù.

Efesto-Vulcano, colui che, per ordine di Zeus, modellò l’argilla per plasmare la donna, creatura bellissima ma che fu foriera di non pochi problemi agli uomini. E’ lo sposo legittimo di Afrodite, dio del fuoco e dei metalli.

Pan, il signore dei boschi e dei campi, la personificazione della natura selvaggia; protettore degli armenti ma anche colui che poteva incutere la paura (panico).

Ganimede, qui insieme ad Ebe, il fanciullo amato e quindi rapito da Zeus, coppiere degli dei, raffigurato nell’atto di versare il nettare o ambrosia;

Dioniso-Bacco, che nacque due volte. La divinità meno aristocratica e più vicina al popolo, Dio del vino e dell’ebrezza, il dio più misterioso e originale, irrazionale e istintivo del mondo antico, ma anche un dio iniziatico, dal momento che, chi era partecipe ai suoi misteri, poteva sperare in una eterna beatitudine. Era lo fece catturare dai Titani che lo fecero a pezzi. Dal suo sangue nacque l’albero del melograno, la cui simbologia è per noi molto cara.

Il piccolo Ermes-Mercurio: il messaggero degli dei, con il caduceo, simbolo di pace e di amicizia, ma anche di armonia e di equilibrio. Dio dei commercianti, dei viaggiatori, ma anche dei ladri.

Era-Giunone, dea protettrice dei matrimoni e delle nascite, nonché la sposa “ufficiale” di Zeus, è la divinità più positiva dell’Olimpo. Qui, come già detto, la dea allatta Eracle il cui nome significa appunto “La gloria di Era”.  

Tutte le 9 Muse, tra le quali si riconosce Euterpe, “colei che rallegra” musa della musica, mentre tiene in mano il suo doppio flauto (Aulos) e anche Erato musa del canto che ha in mano i due Crotali;

Ares-Marte dio della guerra, con elmo e scudo, che si diceva fosse il padre di Romolo e quindi trasmetteva alla città di Roma, un’aurea di divinità.

Gli stucchi

Gli stucchi sono di Giovanni Martino Portogalli e sono del 1717, lo stesso anno della fondazione della prima Loggia Inglese, mentre sappiamo che, tra le prime Logge costituite in Italia, ci fu quella di Firenze nel 1731.

“Eros che svela a Diana l’amore di Atteone”

Questo stucco mi ha incuriosito non poco dopo che ne avevo appreso il significato. Ho sempre saputo che il mito greco dei personaggi qui rappresentati racconta che un giorno Atteone, famoso cacciatore, vagando per i boschi si fosse imbattuto, per puro caso, nel luogo dove Diana (Artemide) stava facendo il bagno nuda. Vedendosi osservata, la dea fu presa da una rabbia estrema e trasformò Atteone in un cervo. Praticamente il cacciatore fu trasformato in preda e subito i suoi stessi cani gli saltarono addosso e lo sbranarono. Questo racconta il mito greco classico e per me la storia contrastava con la scultura che noi possiamo vedere, cioè una dea che si mostra tutt’altro che crudele, anzi, felice, sorridente, ritratta con una sfumatura sensuale alla notizia portata da Eros. Poi, facendo un po’ di ricerche, ho elaborato un’altra supposizione: in età rinascimentale, come ho già detto, un po’ tutti i miti greci vennero attualizzati, in pratica riscritti e adattati alle circostanze e ai gusti del committente dell’opera. In questo stucco Diana, la dea che disdegnava l’amore e voleva rimanere per sempre vergine, si trasforma nel suo esatto opposto e la dea della caccia diviene un’allegoria del desiderio sessuale.

Evidentemente questo stucco doveva avere un preciso significato (che non scopriremo mai) per la famiglia che lo aveva commissionato.

 “Il tempo che scopre la verità”

Il significato di questa rappresentazione è: “Per quanti sforzi si faccia per celarla, presto o tardi una menzogna viene sempre smascherata, portando alla luce la verità”. Era un modo di dire molto antico, già diffuso tra gli antichi romani. “Il tempo scopre la verità”, scrive per esempio lo stesso Lucio Anneo Seneca.Insomma, la verità viene sempre a galla e le bugie, come usiamo dire anche oggi, “hanno le gambe corte”.

Anche in questo caso si capisce che questo stucco, come il precedente, deve aver avuto un interesse molto particolare riferito alla committenza.

Alcune riflessioni

Noi, in quanto iniziati e ancora di più perché appartenenti al RSAA, non possiamo e non dobbiamo dimenticarci del nostro passato e questo significa anche conoscere e saper interpretare i miti greci, che sono la base della nostra cultura, le nostre radici lontane, quelle che ci hanno permesso di formulare il nostro pensiero collettivo.

D’altra parte, come dicevo all’inizio, sappiamo anche che tutta la Massoneria fa riferimento ad una leggenda mitologica: quella di Hiram, che ci accompagna dal grado di Apprendista fino al XXXIII grado del R.S.A.A. ed anche oltre.

Sappiamo poi che, nel XXXII grado ci vengono ricordati i “Maestri Grandi Iniziati del Passato” e il rituale ci dice che sono tutti discepoli di un’Unica Ricerca Universale, quella della Verità. Si tratta di 12 personaggi, alcuni esistiti realmente (Confucio, Pitagora, Platone, Gesù, Maometto), altri sono figure mitologiche nate dalla fantasia popolare (Rama, Krishna, Budda, Orfeo). Anche gli dei olimpici, quasi tutti rappresentati sulla nostra volta, erano 12 ed anche loro, per chi sapeva interpretarli, potevano e possono aiutare nella ricerca della Verità

Le tornate che si susseguono all’interno di questo tempio, sia dell’Ordine, ma ancor più del R.S.A.A., come ben conosciamo, sono ricche di significati allegorici riferiti alla costruzione del nostro Tempio interiore e, volgendo lo sguardo verso l’alto, sembra proprio che tutte le figure mitologiche, vogliano assistere e condividere con noi i nostri Lavori e il nostro modo di operare. Con il loro sorriso, la loro evidente serenità, il senso di armonia, pare che ci stiano aspettando, custodi silenziosi di quel Real Segreto che noi, Sublimi Principi, stiamo cercando di completare dentro di noi.

M.’. L.’.XXXIII   Maggio 2023

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

CATECHISMO DEGLI APPRENDISTI

CATECHISMO DEGLI APPRENDISTI

Quale è la prima preoccupazione di un Muratore?

E’ quella di controllare se la Loggia sia coperta.

Da dove venite?

Dalla Loggia di San Giovanni.

Quali raccomandazioni ci portate?

Buona accoglienza ai Fratelli e Compagni di questa Loggia.

Non portate niente di più?

Il Venerabile Maestro della Loggia di San Giovanni vi saluta per tre volte tre.

Che cosa venite a fare qui?

A vincere le mie passioni, a sottomettere la mia volontà e a fare nuovi progressi nella Muratoria.

Siete Muratore?

I miei Fratelli e Compagni mi riconoscono come tale.

Come potrò riconoscere che siete un Muratore?

Dai miei segni e dalle mie prove e dal punto perfetto del mio ingresso.

Quali sono i segni dei Muratori?

La squadra, la livella e la perpendicolare.

Quali sono le prove?

Certi toccamenti regolari che si danno tra Fratelli.

Datemi il punto perfetto del vostro ingresso.

Datemi il primo, io vi darò il secondo.

Io copro.

Io nascondo.

Che cosa nascondete?

I segni dei Muratori e della Muratoria.

Dove siete stato ricevuto Muratore?

In una Loggia giusta e perfetta.

Chi compone questa Loggia?

3, 5, 7; vale a dire, un Venerabile Maestro, 2 Sorveglianti, 2 Compagni e 2 Apprendisti.

Chi la forma?

5, che sono un Venerabile Maestro, 2 Sorveglianti, 1 Compagno e 1 Apprendista.

Chi la governa?

3, un Venerabile Maestro e 2 Sorveglianti.

Perché vi siete fatto ricevere Muratore?

Perché ero nelle tenebre e volevo vedere la luce.

Chi vi ha esaminato in Loggia?

Un Esperto.

In quale stato eravate quando avete subito questo esame?

Né nudo né vestito, ma tuttavia in una postura decente.

Come siete stato introdotto?

Con tre grandi colpi.

Cosa significano questi tre grandi colpi?

3 parole delle Sacre Scritture: bussate e vi sarà aperto; parlate e vi sarà risposto; chiedete e vi sarà dato.

Che cosa avete visto comparire dopo quei tre grandi colpi?

Un Secondo Sorvegliante.

Che cosa ha fatto di voi?

Mi ha fatto fare il giro della Loggia attraverso il settentrione e mi ha rimesso all’occidente nella mani del primo Sorvegliante.

Che cosa cercate su questa strada?

La luce.

Che cosa vi ha fatto fare il primo Sorvegliante?

Mi ha fatto mettere in posizione da Muratore, con i piedi a squadra, e mi ha presentato al Venerabile Maestro con tre passi.

Che cosa il Maestro ha fatto di voi?

Con il desiderio sincero che io provavo e con il consenso della Loggia, mi ha ricevuto Muratore.

Come siete stato ricevuto Muratore?

Con tutte le formalità richieste; avevo il ginocchio destro nudo sulla squadra, la mano destra sulla Bibbia, nella mano sinistra un compasso aperto, di nuovo a squadra, contro il mio seno sinistro, nudo.

Che cosa facevate in quella posizione?

Io assumevo una obbligazione di conservare il segreto dei Muratori e della Muratoria.

Che cosa avete fatto quando siete entrato in Loggia?

Nulla che lo spirito umano possa comprendere.

Che cosa avete visto quando siete stato ricevuto Muratore?

Tre grandi luci.

Che cosa significano queste grandi luci?

Il Sole, la Luna e il Maestro della Loggia.

Perché il Sole?

Come il Sole presiede al giorno e la Luna alla notte: e così il Maestro governa la Loggia.

Quali sono i doveri di un Muratore?

Fuggire il vizio e praticare le virtù.

Quali sono i segreti dei Muratori?

Delle prole, dei toccamenti e dei segni senza numero.

Quale è il punto principale della Muratoria?

E’ quello di essere privi di tutti i metalli.

Perché?

Perché quando fu costruito il Tempio di Salomone, non si sentì alcun rumore di ascia o di altri strumenti fatti di metallo.

Come fu possibile elevare un edificio così grande e così solido, senza l’aiuto di alcu8n strumento costruttore in metallo?

Hiram re di Tiro inviò a Salomone i cedri del Libano già tagliati e pronti ad essere posati; e Salomone fece fare lo stesso nelle cave delle pietre di cui aveva bisogno per il suo Tempio.

Dove era situata la vostra Loggia?

Nella valle di Iosafat, o in qualche altro luogo nascosto.

Quale forma aveva?

Quella di un quadrato lungo.

Di quale lunghezza?

Da Oriente ad Occidente.

Di quale profondità?

Dalla superficie della terra al suo centro.

Quale larghezza?

Da mezzogiorno a settentrione.

Quale altezza?

Piedi, tese e cubiti senza numero…

Che cosa la copriva?

Un baldacchino celeste ornato di stelle.

Che cosa la sosteneva?

Tre grandi colonne.

Come le chiamate?

Saggezza, forza e bellezza.

Perché sono chiamate così?

La saggezza per inventare, la forza per sostenere e la bellezza per ornare.

Avete dei gioielli?

Si, Venerabile; sono in numero di 6, cioè 3 mobili e 3 immobili.

Quali sono i vostri gioielli mobili?

La squadra, la livella e il filo a piombo.

E i gioielli immobili?

La tavola da disegno, la pietra cubica a punta e la pietra grezza.

Quale è l’impiego di quelli mobili?

La squadra serve a dare la forma, la livella a mettere in piano, il filo a piombo ad elevare delle perpendicolari dalla base.

Quale è l’impiego di quelli immobili?

La tavola da disegno serve al Maestro per fare i suoi progetti; la pietra cubica a punta è dei Compagni, la pietra grezza è degli Apprendisti.

A chi era dedicata la vostra Loggia?

A San Giovanni.

Perché?

Perché dalle tende della Guerra Santa in Palestina i Cavalieri Muratori si unirono ai Cavalieri di san Giovanni di Gerusalemme.

Quanti tipi di Muratori ci sono?

Due tipi, cioè i Muratori della teoria e i Muratori della pratica.

Che cosa imparate essendo un Muratore della teoria?

Una buona morale; a emendare i nostri costumi e a renderci accettabili a tutto il mondo.

Che cosa è un Muratore della pratica?

E’ l’operaio tagliatore della pietra e che eleva delle perpendicolari sulle loro basi.

Avete delle luci fisse?

Si, Venerabile, in numero di tre, di cui una all’oriente, una ad occidente e la terza a mezzogiorno.

Perché nessuna a settentrione?

Perché i raggi del sole penetrano debolmente in quella parte.

A cosa servono quelle luci?

A illuminare coloro che vengono alla Loggia, che lavorano e che tornano indietro dalla Loggia.

Dove stava il Maestro?

All’Oriente: perché il Sole si leva ad oriente per aprire le porte del giorno; il maestro perciò sta nello stesso luogo per illuminare e governare la Loggia, aprirla e mettere al lavoro gli operai.

Dove stanno i Compagni?

A mezzogiorno, per ricevere l’istruzione e dare una buona accoglienza ai Fratelli visitatori.

Dove stanno gli Apprendisti?

A settentrione, per vigilare e rinforzare la Loggia.

Dove stanno i Sorveglianti?

A occidente. Come il Sole si posa ad occidente per chiudere le porte del giorno, i Sorveglianti stanno nello stesso luogo per pagare gli operai, rimandarli indietro e chiudere la Loggia.

Che età avete?

Più di sette anni.

Che ora è?

Le dodici suonate.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento