REALTA’ E PROSPETTIVE DELLA MASSONERIA ITLIANA

REALT

Relazione del Fr  LINO SALVINI

Carissimi Fratelli, la nostra relazione ha lo scopo di proporVi una attenta e cosciente disamina dei problemi più attuali dell’istituzione e di presentarvi il nostro pensiero affinché non venga erroneamente interpretato per indirette ed inesatte affermazioni che ci possono essere attribuite.

Presentarsi alla Istituzione con un programma per il quale i Fratelli possano esprimere una scelta responsabile ci sembra un evento auspicabile e caratterizzante il nostro costume. Quando in un qualsiasi ambiente vi sono elezioni per indicare i responsabili, quando una costituzione le prevede, queste debbono avvenire su dei programmi e non sugli uomini, perché vittorie e sconfitte acquisiscono in tal modo ben altro significato.

La preferenza deve essere data al sistema di impostare le cose da parte dei candidati, al loro modo di operare e non alle loro doti fisiche e sociali, I Fratelli debbono poter influire sul futuro della propria organizzazione, scegliendo con i candidati, anche l’impostazione della operatività.

Sappiamo che qualcuno può scandalizzarsi all ‘idea di programmi validi per la Massoneria, per una Istituzione che non può e non deve essere inventata, per una Istituzione che è universale, sicché non è lecito che ogni Comunione nazionale possa far l’uso che vuole del nome di Massoneria.

A questi Fratelli dobbiamo precisare che, se la Massoneria non deve essere inventata, non c’è dubbio peraltro che nei secoli si è modificata nei caratteri non determinanti. Sono i caratteri fondamentali che fanno sì che una Comunione nazionale possa essere riconosciuta nell’ ambito della Istituzione universale. È l’osservanza degli Antichi Doveri che indicano come operarono sempre i Liberi Muratori dal principio del mondo fino ad ora e così sino alla fine, che costituisce l’essenza della Massoneria.

Ma i caratteri secondari possono essere diversi da paese a paese per concause ambientali, per quelli stessi motivi che fanno sì che ogni Loggia abbia un carattere unitario di espressione autonoma, indipendente, che la contraddistingue.

Questi caratteri secondari si modificano col tempo e con l’ambiente, ed è bene che sia così, perché altrimenti si determinerebbe un disinserimento della Istituzione dal mondo in cui opera. Non ha forse avvertito anche la Chiesa Cattolica la necessità di adattare le strutture esteriori e quelle organizzative ai tempi ed al carattere degli uomini attuali?

La Massoneria deve inserirsi nel mondo contingente al fine di attuare quei principi che essa proclama nelle proprie Costituzioni.

Infatti, nell’art. I si dice che essa: « intende alla elevazione morale, materiale e spirituale dell’uomo e della umana famiglia»; e nell’art. 2: « …propugna il principio democratico nell’ordine politico e sociale ».

E chiaro che oggi per noi questi fini sono difficilmente realizzabili per le strutture organizzative che possediamo le quali, se ancora fortunatamente sono (anche se non dappertutto) idonee a far sì che i Liberi Muratori possano riunirsi per lavorare e perfezionarsi nei misteri dell’Antica Scienza, non sono certo idonee per determinare l’inserimento della Istituzione nella società, né per divulgare efficacemente quelle nozioni che possono essere utili alla concretizzazione degli scopi succitati.

Ecco perché ci sembra opportuno che il programma di coloro che oggi si presentano per reggere le sorti della nostra Istituzione sia prevalentemente organizzativo al fine di dare ad essa un carattere di dignità e di forza tale da permetterle di svolgere, nel nostro paese, la funzione storica che vi ha svolto nei secoli passati e che ancora svolge in tutto il mondo.

Al fine di dare un ordine alla nostra esposizione e permettere una più facile comprensibilità dei nostri intenti, esamineremo una per una le strutture massoniche precisate dalle Costituzioni e dal Regolamento, per osservare come la realtà si discosti dalle defmizioni programmatiche e precisare come riteniamo si debba operare per determinare la realizzazione di quanto ci siamo imposti approvando i nostri testi legislativi.

SUI CORPI MASSONICI

Sui Liberi Muratori

Non è possibile che la Massoneria Italiana mantenga quei caratteri fondamentali che ne determinano un logico inserimento nella Comunione universale se non si attua con serietà e severità la caratteristica fondamentale di ciascun Fratello che è basata sull’assolvimento dei propri doveri verso I ‘Istituzione.

Nei tempi antichi, dicono i Landmarks, nessun Maestro o Compagno o Apprendista poteva mancare alle adunanze senza incorrere in severa censura, salvo che il Venerabile non avesse potuto accertare le ragioni plausibili che gli impedivano d’intervenirvi.

Oggi si tollera un assenteismo spesso abituale, facilitato peraltro anche dal concetto che l’osservanza dei lavori delle Camere Rituali possa soddisfare a tutte le esigenze dei doveri

massonici.

In realtà, chi non assolve ai doveri entro la Loggia, non dimostra una formazione massonica sufficiente e non si comprende come possa aspirare a perfezionarsi nell ‘ambito dei Riti. Solo la presenza costante dei Fratelli ai lavori può determinare la formazione di una catena fraterna con quei   rapporti di amore che costituiscono il substrato su cui svolgere il lavoro esoterico.

La tolleranza costante dell’indisciplina dei Fratelli distrugge la Loggia in quanto il difetto si propaga ai neofiti che presto comprendono la possibilità di assecondare una pigrizia facilitata dal fatto che i lavori di Loggia, per l’assenza dei Maestri più capaci, sono diminuiti nel loro valore intrinseco.

Troppo spesso poi, per risolvere dei problemi ormai insolubili, si ricorre, con una interpretazione errata e spesso incostituzionale, all ‘istituto del sonno. Questo dovrebbe esser concesso soltanto a coloro che non possono più frequentare la Loggia o per motivi di malattia, o per vari impedimenti sempre e comunque estranei alla volontà. Quando l’allontanamento è dovuto a motivi ideologici o a trascuratezza, sempre il Tribunale di Loggia deve giudicare il Fratello, avvalorando il presupposto che l’iniziazione è una dote indelebile e che la Massoneria non è una qualsiasi organizzazione profana nella quale si entra e da cui si sorte con leggerezza e per convenienza.

Oltre tutto, la procedura costituzionale mette al sicuro i Fratelli dalle irregolarità in cui a volte incorrono. E capitato anche recentemente che Fratelli, allontanatisi dalla propria sede per motivi di studio o di lavoro, al momento di iscriversi alla Loggia della nuova sede abbiano appreso di non avere più la prerogativa massonica. Non crediamo occorra alcun commento per comprendere la gravita del gesto compiuto da quelle Logge che concedono il sonno a chi non l’ha richiesto, sostituendosi agli organi giudiziari che solo garantiscono una possibilità di difesa al Fratello a volte ingiustamente sospettato di negligenza.

E presumibile peraltro che, di fronte alla coscienza che per motivi di leggerezza si viene espulsi, molti Fratelli rivedano la propria posizione e comunque è certo che, se la Massoneria userà la severità che più si addice alle sue tradizioni, più difficilmente si insinuerà nell’animo dei Fratelli il tarlo della pigrizia e della noncuranza.

Uno dei principali motivi del fallimento di alcune vocazioni massoniche è la frustrazione dello slancio generoso con cui i neofiti si avvicinano alla Loggia, con l’intendimento di aiutare l’umanità a trovare la via del nostro trinomio: Libertà, Uguaglianza e Fratellanza.

C’è, insieme al desiderio di ritrovare un ideale in cui credere, in un’epoca in cui la società dei consumi ha distrutto tutte le vecchie convinzioni, la volontà di operare.

Noi parleremo di questo argomento in altra parte, ma vogliamo anche qui raccomandare che nella Loggia, nell’Oriente, nei Collegi si faccia il possibile per dare ai Fratelli la possibilità di esprimere e dare la loro personalità all’Istituzione, permettendo loro di operare per l’umanità nei campi e nei modi a loro congeniali.

Altro motivo di crisi interiore è poi rappresentato dal fatto che troppo spesso non viene nelle Logge curata quella assistenza fraterna che è stata promessa al momento dell’iniziamone e che è uno dei diritti e dei doveri fondamentali del massone: « Ogni Fratello ha diritto di essere accolto con amore e se si trova in bisogno deve essere aiutato o gli deve essere indicato il mezzo per trovare aiuti. Dovrà essere impiegato al più presto possibile, oppure raccomandato per trovare una occupazione. Si dovrà insomma fare per lui tutto ciò che sia nel limite delle proprie facoltà, tenendo anche presente che se è dovere aiutare chi ha necessità, maggior dovere è quello di aiutare un Fratello non tralasciando mai di praticare l’amore fratemo che è la base, il principio, il cemento e la gloria di questa antica Fratellanza ». (LANDMARKS).

Ci sembra anche che il Fratello deve essere aiutato ad esprimere ciò che ha appreso, nella società al livello più adeguato. E chiaro che tutto questo deve svolgersi i limi • le nostre facoltà, ma sta a noi potenziare al massimo queste facoltà con una organizzazione centrale efficiente.

Le Logge

La Loggia è la sede nella quale si esplica l’essenza della vita massonica. E chiaro che quando il funzionamento delle Logge non corrisponde ai presupposti teorici e costituzionali, la Massoneria non esercita alcuna delle proprie prerogative. Anche in questo caso occorre una maggiore severità ed una maggiore serietà da parte degli organi preposti al governo dell’Ordine. Quando un atto chirurgico è necessario, esso deve essere realizzato anche se comporta dolore ed una momentanea infermità, perché solo così è possibile realizzare una ripresa salutare dell’organismo. Certo è che prima dovrà essere allestito tutto il corredo terapeutico che può rendere superfluo l’intervento o che per lo meno può assicurare a questo un esito felice.

Non è un mistero che oggi nella nostra Comunione una notevole anche se non maggioritaria — parte delle Logge non lavora in modo efficace ed a volte non lavora per niente. Al determinismo di tale incresciosa situazione partecipa da una parte, il deterioramento o l’invecchiamento di alcune istituzioni centrali, dall’altra, la difficoltà di inserimento di organismi nuovi che devono trovare il loro spazio ed un valido assestamento,

Il Consiglio dell’Ordine, che pure ha svolto una valida e congeniale funzione di interpretazione legislativa, si è dimostrato inefficace nel determinismo di un concreto rapporto fra il centro e la periferia e nella funzione di controllo e di incentivazione del lavoro delle Logge, fino ad oggi quasi costantemente abbandonate a se stesse, a volte controllate, quasi mai aiutate.

L’avvento dei Collegi Circoscrizionali — dove questi hanno potuto funzionare — ha determinato un efficace coordinamento, un controllo ed una gestione collegiale di tutte le Logge, sicché in queste regioni difficilmente hanno valore le critiche su esposte. Ma in quelle sedi dove i Collegi sono stati accettati per ubbidienza ma non assimilati, le cose continuano a non andar bene. Qui concorre alla mancata espressione della collegialità la gelosia di prerogative rituali, l’errata convinzione che gl’incarichi costituiscono motivo di onore più che di onere, sicché si scelgono uomini di grande dignità e storia, ma non capaci di quella precipua operatività che gl’incarichi massonici richiedono. Chi ha tenuto il maglietto di un’officina sa quanto sia necessario sentire l’afflato e la collaborazione costante degli organi collegiali. Ma quest’ultima è in particolar modo utile per il determinismo del normale svolgimento dei lavori e delle funzioni della Officina che deve essere continuamente stimolata a non derogare da quanto stabiliscono le Costituzioni ed il Regolamento. Solo se tutte le Officine riusciranno a formalizzarsi, noi potremo operare alla organizzazione di una Massoneria reale ed efficiente.

Loggia «P»

Non è un mistero che oggi questo importante organismo massonico è fonte di preoccupazione e di critiche da parte di tutti i Fratelli, argomento costante delle varie Grandi Logge e di numerosi Consigli dell’Ordine. Si ritiene che l’appartenenza a tale Officina determini un’accettazione parziale dell’appartenenza massonica e dei doveri che questa impone e una rivendicazione peraltro di tutti i diritti di cui godono i massoni militanti nelle normali Officine. A questa poi vengono demandati tutti coloro che per carattere o per motivi particolari creano difficoltà al funzionamento interno delle Logge.

Purtroppo, la P2 è una esigenza del nostro paese in cui ancora non esistono le garanzie di libertà di espressione e di sereno giudizio, ma è auspicabile che giunga presto il giorno in cui ognuno possa essere Massone alla luce del sole senza temere che questa caratteristica possa nuocere al giudizio sul suo operato e sulla sua personalità. Per il momento però l’esistenza di questa Loggia è logica, anche se deve essere regolamentata e riportata al significato originario.

Infatti la Loggia P2 può anche acquisire, se inquadrata nel significato che ne determinò la costituzione, una funzione molto importante nella vita dell ‘Istituzione. Certo, richiede al suo Maestro Venerabile, il Gran Maestro, una particolare cura e molta parte dell’attenzione e del tempo che egli deve dedicare alla Massoneria.

Spetta al Gran Maestro tenere con ognuno dei Fratelli militanti nella P2 quei rapporti che ogni Maestro Venerabile tiene con ogni Fratello con una cura ed una assiduità molto maggiore. L’educazione massonica di Fratelli che non partecipano ai  rituali è compito molto arduo, anche perché questi difficilmente possono comprendere il fondamento d’amore che solo rende comprensibili molti degli aspetti del pensiero e della vita massonica. Quale Fratello che veramente abbia compreso nel tempo e provata la ricchezza di appartenere alla catena fraterna accetterebbe di vivere la propria essenza massonica segretamente ed isolatamente? Il Gran Maestro deve tenere con i membri della P2 rapporti costanti di fratellanza, al fine di rendere sempre più saldo il legame di questi con la Famiglia ed al fine di sublimare in essi i} sentimento d’amore per essi più difficilmente, come abbiamo detto, conseguibile. Potrà poi curare nella sua saggezza, riunioni di gruppi o anche globali, con esclusione, quando occorra, di qualcuno, tenendo conto però di quanto il contatto diretto fra questi fratelli possa danneggiare il suo lavoro di coordinamento.

Con una tale operatività, e solo con questa, la P 2 può trovare una valida collocazione.

Non si può chiedere al Venerabile della P 2 di curare intimamente i rapporti con troppi Fratelli e per di più dislocati in tutto il paese.

L’appartenenza alla P2 pertanto, dovrebbe essere limitata solo ad uomini che hanno funzioni nazionali di basilare importanza e per cui può essere interesse supremo della Massoneria (l’unico interesse che per noi può aver valore) di una più integra segretezza anche fra i Fratelli della stessa P2.

Tale appartenenza poi, dovrebbe essere limitata al periodo di tempo in cui essi svolgono tali attività d’interesse nazionale, dopo di che il Fratello deve riprendere posto fra le colonne di una normale Officina.

Una particolare copertura di altri Fratelli che hanno funzioni più circoscritte e locali, deve essere compiuta dai singoli Maestri Venerabili e magari dal Collegio Circoscrizionale che può costituire una Loggia a funzionamento normale, ma che per luogo e tempo di riunione goda di una particolare copertura.

I  Collegi Circoscrizionali

I Collegi Circoscrizionali hanno dimostrato, come abbiamo già detto, nelle regioni dove hanno potuto funzionare, una rispondenza forse superiore ai desideri ed ai progetti di coloro che li hanno ideati. Non è stato soltanto il decentramento di alcune funzioni amministrative ed organizzative, ancor più è stato l’instaurarsi di una responsabilizzazione collegiale alla gestione delle cose massoniche nella Circoscrizione. L’attenzione vigile di. tutti i Maestri Venerabili della Circoscrizione, permette l’intervento fraterno a favore di quelle Logge che stentano a trovare il giusto assetto dei lavori. E una generosa emulazione, uno spontaneo concorso degli uni ai lavori degli altri, è un continuo apporto di idee e di suggerimenti che ha reso possibile in alcune regioni la concretizzazione della vera realtà massonica fino a quel momento anche difficilmente intuibile. Un volto nuovo, che nuovo non è, ma che è la realtà di sempre offuscata fino ad oggi da motivi contingenti.

Eppure, vi sono ancora funzioni che rientrano nella potenzialità dei Collegi Circoscrizionali e non ancora realizzate. Da parte degli organi centrali, a questi debbono essere demandate altre funzioni organizzative che in una struttura periferica esplicheranno ben altri risultati. Crediamo che gran parte dei compiti di fratellanza possono essere risolti a livello di Collegio, ad un livello in cui la conoscenza diretta e personale rende spesso superflua la consultazione di archivi e di schedari sempre più avari della realtà. Comunque, dovranno essere autorizzati non solo archivi e schedari regionali, ma ancor più dovranno essere predisposti, costituendo fra l’altro l’unica base possibile per l’efficienza degli archivi e degli schedari nazionali. Forse alcuni ripensamenti della Giunta Esecutiva, apparsi da comunicati limitanti questa prerogativa dei Collegi Circoscrizionali, sono dovuti alla mancanza in alcune sedi di Circoscrizione, di uffici adeguati alla sicura conservazione dei documenti.

Ma gli organi centrali debbono assumersi l’onere di preordinare e di ordinare ai propri organizzati le strutture necessarie al funzionamento di quanto le Costituzioni ed il Regolamento, di cui sono custodi, prevedono. Nel momento in cui si stabilisce la creazione di Collegi Circoscrizionali, nello stesso momento si deve stabilire che questi debbono avere una sede idonea al proprio funzionamento, sicché i Fratelli debbono gravarsi delle spese necessarie. Il discorso è viziato al contrario, quando si esonera un organismo dalle proprie funzioni, perché non ha le strutture idonee, invece di imporgli di assumere le strutture necessarie ad esplicare la propria funzione.

E proprio questo forse, il difetto principale che ha reso fino ad oggi in parte inefficace una Istituzione che ha in sé la capacità di donare al mondo l’apporto di una saggezza e di una esperienza secolare.

A livello regionale è facile intuire i tempi e i modi di un inserimento sempre più efficace nel mondo profano, sia per un proselitismo qualitativamente e quantitativamente concreto, sia per una sempre maggiore diffusione dell’idea massonica. Particolare cura dovrà essere dedicata a questo fine alla preparazione dei Fratelli, concedendo ad esempio alle Logge un elenco completo e sempre aggiornato dei Fratelli idonei a trattare particolari argomenti, dal quale i Maestri Venerabili potranno scegliere i più idonei ai lavori della propria Officina; organizzando studi e seminari di interesse settoriale a cui far convergere tutti i Fratelli che si occupano del settore, al fine di aver chiaro il tipo di azione da svolgere in questo nell’interesse della umanità; organizzando manifestazioni di vario tipo a cui possono partecipare i Fratelli, meglio se con le loro famiglie, di tutta la regione, al fine di determinare fra loro un maggior legame fraterno.

Una regione occupa uno spazio di territorio in molte cose autosufficiente, la cui superficie permette con i mezzi di comunicazione e di locomozione attuale, un lavoro unitario. Se i Collegi lavoreranno bene, sarà possibile in ogni momento agli organi centrali, convocando i responsabili, avere una visione chiara e reale di tutto il paese.

Un Consiglio dei Presidenti Circoscrizionali non è previsto dalle Costituzioni e dal Regolamento e pertanto non può avere funzioni amministrative o legislative. Può però assumere un’importante funzione organizzativa, costituendo una Commissione permanente per la quale la Giunta può essere periodicamente e costantemente informata sulla vita massonica del paese.

Già abbiamo detto come i Collegi Circoscrizionali, in parte completino la funzione sino ad oggi data ai Consiglieri dell’Ordine, vivendo il Collegio direttamente la vita di quelle Officine che gli competono. E ovvio pertanto concepire che la riunione dei Presidenti dei singoli Collegi permetta di poter avere una visione completa del mosaico nazionale.

Consiglio dell ‘Ordine

Il Consiglio dell’Ordine deve essere reso più idoneo a svolgere gli importanti compiti che la Costituzione gli affida, pretendendo una frequenza costante dei suoi membri ai lavori del Consiglio stesso. Anche in questo caso, al momento di indire le elezioni, sarà bene ricordare ai Fratelli di far cadere la loro scelta su quei candidati che essi ritengono più idonei a svolgere il lavoro che viene loro affidato e non votare soltanto in base al sentimento o alla stima dei meriti conseguiti dal candidato in epoche precedenti.

Eleggere un Fratello ad una carica, non vuoi dire insignirlo di un riconoscimento prestigioso, ma piuttosto richiedere un ulteriore sacrificio a vantaggio della Famiglia e della umanità.

Il Consiglio dell ‘Ordine è un vero e proprio Parlamento democratico della Massoneria che esso rappresenta in sede legislativa ed amministrativa nei periodi di tempo intercorrenti tra una Gran Loggia e un’altra. È necessario che i Consiglieri dell’Ordine si dedichino esclusivamente a questa attività e che vengano almeno in parte liberati da altri compiti oggi divenuti inattuali per la creazione di nuovi organismi.

Che significato può oggi avere la riunione regionale dei Consiglieri dell’Ordine « al fine di coordinare l’azione delle Logge », quando questo compito viene svolto, come abbiamo già detto, in modo efficiente dai Collegi Circoscrizionali? Essi parteciperanno ai lavori dei Collegi stessi apportando il contributo della loro esperienza.

Gran Magistero e Giunta

Noi trattiamo Insieme questi due argomenti costituzionali perché oggt riteniamo che la loro funzione debba essere il più possibile articolata e collegiale nelle funzioni organizzative, amministrative e politiche, intendendo con quest’ultimo termine gli atti che riguardano i rapporti dell’istituzione con gli organismi massonici e para massonici, i rapporti con le Massonerie degli altri paesi, i rapporti con il mondo profano

La Giunta Esecutiva deve rappresentare un vero e propr10 governo massonico nel quale i compiti debbono essere suddivisi fra i vari membri tutti responsabilizzati alla gestione delle cose.

Il GRAN MAESTRO, a prescindere dalle prerogative che gli concede la Costituzione, è di questo consesso il Presidente e coordinatore e pertanto dovrebbe delegare il maggior numero possibile di funzioni specifiche agli altri membri della Giunta al fine di mantenere il suo spazio

 programmatico e di coordinamento.

La suddivisione dei compiti fra i membri della Giunta non può essere basata su principi statici e generali, ma deve tener conto delle caratteristiche personali dei componenti, restando peraltro salvi in linea di massima i compiti stabiliti dall ‘art. 155 del Regolamento.

Per la eventuale Giunta che ci riguarda.

Il 1 0 GRAN MAESTRO AGGIUNTO dovrebbe assumere tutte le responsabilità del funzionamento interno degli organi costituzionali, curando i rapporti con i Collegi Circoscrizionali e con le Logge.

Il 20 GRAN MAESTRO AGGIUNTO dovrebbe occuparsi della realizzazione delle scelte politiche (nel senso del significato suddetto della parola) curando in particolar modo i rapporti con le Comunioni Estere.

AI 1 0 GRAN SORVEGLIANTE già il Regolamento attribuisce la funzione dell’osservanza del lavoro rituale dell ‘Istituzione e la possibilità di rappresentare la Giunta Esecutiva in ogni riunione rituale nella quale possono essere dibattuti argomenti di interesse nazionale.

Al 2 0 GRAN SORVEGLIANTE il compito di organizzare la diffusione delle idee massoniche con organi di stampa anche della Massoneria, con manifestazioni pubbliche, restando peraltro al Gran Maestro la prerogativa di essere l’unico a poter parlare a nome della Massoneria a titolo ufficiale.

Il GRANDE ORATORE, quale custode della legge, controlla il funzionamento di tutti i Tribunali massonici e verifica che vengano applicate le proposizioni della Costituzione e del Regolamento, intervenendo ogni qualvolta si travisi nelle disposizioni il significato della volontà del popolo massonico come fu espressa nelle determinazioni legislative.

Al GRANDE ORATORE AGGIUNTO il compito di controllare l’istituzionalità   di tutte le funzioni degli organi massonici ed il controllo della legittimità degli atti espressi.

Il GRAN SEGRETARIO deve curare lo svolgimento di tutte le pratiche organizzative e protocollari.

Al GRAN SEGRETARIO AGGIUNTO il compito di curare gli archivi in senso moderno ed adeguato.

Al GRAN TESORIERE il compito di controllare la corretta gestione amministrativa e finanziaria dell ‘Istituzione.

Al GRAN TESORIERE AGGIUN[O il compito di curare la gestione delle attività collegate.

Costituzionali i compiti degli ARCHITETTI REVISORI.

Ad uno dei membri della Giunta nominati dal Consiglio dell ‘Ordine, possono essere affidati i rapporti con il Consiglio stesso e la preparazione dei lavori del Consiglio.

All’altro, il controllo delle Commissioni di esperti e delle Fratellanze.

E questo che abbiamo presentato un elenco arido di compiti che peraltro verranno volta a volta integrati da quanto esporremo sui singoli argomenti in tema di prospettive per il governo dell ‘ordine.

PROSPETTIVE PER IL GOVERNO DELL’ORDINE

Rapporti con le Comunioni Estere

Uno dei più grandi meriti di coloro che hanno retto le sorti della nostra Istituzione dalla ripresa ad oggi, è quello di aver saputo reinserirla nell’ambito della vita massonica internazionale. Oggi, il Grande Oriente d’Italia ha (Garanti d’ Amicizia con numerose ed importanti Grandi Logge il cui riconoscimento stabilisce, oltre tutto, una relazione indiretta anche con altre Grandi Logge che non hanno immediati rapporti di amicizia con noi, ma sono legate a quelle che sono a noi collegate.

Tutto ciò permette che la nostra giurisdizionalità ed i nostri diritti storici siano garantiti da tutte le Grandi Logge del mondo.

Si deve ricordare la saggia regola che in un territorio nazionale può esistere una sola Massoneria e che tutte le altre organizzazioni che possano sorgere in quel territorio, copiando i sistemi di lavoro ed arbitrariamente assegnandosi tale denominazione, sono illegittime e non valide.

Il riconoscimento della giurisdizionalità da parte delle Grandi Logge cui il Grande Architetto è stato così magnanimo da riparmiar la sorte di traversità nazionali così tragiche da costringere all’interruzione degli architettonici lavori, garantisce il riconoscimento della continuità storica del Grande Oriente d’Italia, mai interrotta neanche nei momenti più drammatici.

Certo, è motivo di amarezza rilevare che ancora non esistono rapporti diretti con alcune Grandi Logge ed in particolare con quelle di molti paesi europei.

Le aspirazioni dell’umanità intera tendono alla creazione di Stati sovra nazionali; la necessità di una Europa unita è sempre più attuale, ma la concretizzazione di tali obiettivi passa attraverso la realizzazione di una unità massonica europea che permetta agli uomini liberi di esprimere tempi e modi di questo grande programma.

Per tutti è facile immaginare quale significato avrebbe la creazione di un Convento dei Grandi Maestri Europei simile a quello che riunisce i Grandi Maestri degli Stati Uniti d’America ed è motivo di tristezza constatare le difficoltà che si frappongono alla sua realizzazione.

Tali difficoltà saranno certamente minori se in tutti sarà la convinzione che la base di qualsiasi politica estera della nostra Istituzione può essere diretta soltanto verso le Massonerie legittime dei vari Stati europei.

Forse, il passo necessario per cancellare certe incomunicabilità è più semplice di quanto si creda, meno burocratico anche se richiede il sacrificio di certi sentimenti legati all’evolversi della vita massonica nel nostro paese.

 rapporti intemazionali debbono essere comunque maggiormente curati e debbono divenire costanti, grazie anche all’abnegazione e sacrificio di tutti quei Fratelli che possono per la loro attività profana svolgere una azione più diretta nei vari paesi.

La scelta dei Garanti di Amicizia deve basarsi su questo presupposto e non sul valore storico e localmente rappresentativo di tali Fratelli,

Se avremo (Garanti di Amicizia che possano visitare costantemente i paesi che loro competono, le informazioni saranno più esatte e aggiornate ed i rapporti diventeranno umani e reali.

L’universalità della Massoneria, il legame fraterno fra tutti i Fratelli del mondo debbono acquisire una realtà più concreta.

Rapporti con i Riti

La Massoneria Italiana ha la fortuna di poter concedere ai propri membri più possibilità per il perfezionamento dello spirito massonico permettendo la partecipazione ai lavori dei tre Riti costituzionalmente riconosciuti, E compito però arduo, che richiede enorme dote di saggezza, del Gran Maestro vigilare a che tali benemeriti Istituti non interferiscano materialmente sull’Ordine, mantenendo peraltro la nobile prerogativa di formare l’animo massonico e di determinare pertanto la vera essenza della Istituzione.

Un’interferenza diretta e organizzata sull ‘Ordine è temibile in quanto determinerebbe la

realizzazione di vere e proprie fazioni organizzate con danno incalcolabile e imprevedibile per I ‘unità massonica.

La scelta di uomini a cui viene affidata una funzione basilare, quale il governo dell’Ordine, non può essere fatta per l’appartenenza a questo o a quel Rito, ma per le doti personali, le competenze specifiche, la volontà di dedicare una gran parte del proprio tempo e delle proprie energie all ‘Istituzione.

I Riti, come abbiamo detto, hanno un grande compito formativo da svolgere e l’Ordine ha il dovere di porli nelle condizioni ideali affinché questo compito possa essere realizzato con i massimi risultati.

Nei limiti del possibile e della costituzionalità, deve esser loro concesso tutto ciò che possa semplificare e potenziare la loro azione. Da loro riceveremo i frutti di una ricerca approfondita e costante del Vero, indispensabile giustificazione della operatività per il bene che I ‘Ordine esplica. Ad essi deve essere facilitato il compito di far conoscere ai nuovi Maestri il significato e la finalità di ciascun Rito, affinché il Fratello possa in piena libertà e coscienza scegliere il tipo di lavoro rituale a cui intende dedicarsi. Per questo fine, essi possono avere la possibilità di illustrare il proprio metodo di lavoro ai nuovi Maestri sia con pubblicazioni, sia con riunioni appositamente indette.

Fondamentale è peraltro la coscienza di ogni Maestro che la scelta di un Rito non determina alcuna modificazione dei diritti e dei doveri che restano uguali per ogni massone. E compito dell ‘Ordine tutelare che questo principio sia sempre realtà.

Fratellanze, Commissioni di Lavoro

Come abbiamo detto parlando dei diritti e dei doveri dei massoni, bisogna operare in modo che i Fratelli, in particolar modo i più giovani, sentano appagato con l’appartenenza alla Massoneria l’anelito generoso che li ha spinti a bussare alla porta del Tempio.

Non per tutti è sufficiente il lavoro esoterico compiuto settimanalmente o quindicinalmente per nove mesi l’anno; molti vorrebbero estrinsecare maggiormente la propria personalità e le doti specifiche.

E necessario pertanto promuovere possibilità di lavoro settoriale che oltretutto determinerà almeno tre utili effetti per la Istituzione.

Prima di tutto, la possibilità di avere un consesso di Fratelli esperti di un settore, al quale si può porre quesiti specifici su problemi che l’Istituzione intende affrontare.

La possibilità poi, di essere informati con chiarezza d’ idee dei problemi che travagliano un dato settore.

Infine, la possibilità di poter operare, in esso, un proselitismo più fattivo e concreto.

Da queste commissioni di lavoro potrà anche derivare la costituzione di organizzazioni più ampie quali quelle che noi denominiamo Fratellanze.

A tutti sono noti i benefici effetti ricevuti dalla Istituzione in vitalità ed efficienza organizzativa per la esistenza della Fratellanza delle Arti Sanitarie, della Fratellanza Giuridica, del Gruppo per I ‘Insegnamento. Certamente, le Fratellanze esistenti sono servite a consolidare il legame affettivo fra i vari Fratelli, hanno  una partecipazione più entusiastica non solo ai lavori pratici delle Fratellanze stesse, ma anche e principalmente a quelli esoterici delle Officine.

Abbiamo visto più volte Fratelli tiepidi e scarsamente disciplinati acquisire, con l’appagamento del desiderio di esprimere le proprie possibilità a beneficio dell ‘Istituzione e della umanità, un vigore tutto nuovo nel lavoro massonico essenziale.

Inutile rimarcare poi come l’esistenza delle Fratellanze abbia reso molto più facile agli organismi istituzionali esplicare attività di solidarietà per i Fratelli ed opere di bene e di ordine per I ‘ umanità.

Questo tipo di lavoro deve essere particolarmente incoraggiato e determinato in quei settori nei quali ancora nulla o assai poco è stato operato.

Rapporti con il mondo profano

Viviamo oggi in un tempo in cui sembra che l’umanità abbia almeno parzialmente ed approssimativamente recepito i secolari insegnamenti massonici, come sembra dimostrare un sempre maggiore anelito di libertà e di giustizia, un rifiuto costante dei dogmi e di tabù secolari.

Sembra quasi di intravedere un desiderio di ricerca ed un rifiuto di verità assolutistiche anche in coloro che professano principi che osteggiano quelli propugnati dalla Libera Muratoria. Benché noi guardiamo a certe affermazioni con giusta cautela, poiché riteniamo, che la volontà si dimostra più nelle azioni e nelle opere che nei discorsi programmatici, tuttavia è certo che dal mondo cattolico oggi provengono affermazioni che non possiamo che condividere nella sostanza e che rivelano come in esso qualcosa si muova sotto la spinta del verbo da noi espresso da sempre.

Oggi, che l’umanità rifiuta schemi fissi e ideali precostituiti, oggi che in un neoumanesimo nell’uomo si ricerca l’essenza ed il fine della vita, il nostro metodo di lavoro, il messaggio di amore e di tolleranza che portiamo alla umanità, sembra accolto in tutta la elevatezza del suo significato. Resta ancora da vincere, nel paese in cui viviamo, una diffidenza verso la Massoneria che deriva da superstizione antica, ma anche dal fatto che questa per lungo tempo si è nascosta dietro un velo di mistero e di segreto che, se è in parte giustificato per alcuni iscritti, non lo è altrettanto per l’Istituzione e per il suo pensiero. Là dove la nostra insegna è pubblica, là dove gli uomini preposti alla responsabilità di guida questa esplicano apertamente e vivendo da massoni fra gli uomini, là il mondo si rivolge a noi con fiducia, con stima e serenità.

Ora, dopo la lunga e faticosa ricostruzione, dopo l’incalcolabile danno causato dal fascismo che ha impedito per tanto tempo il lavoro delle Logge ed il fiorire delle iniziazioni, ora che abbiamo maturato uomini che non hanno subito fenomeni di introversione e di umiliazione dell ‘epoca fascista, tomi la Massoneria ad essere, nella luce del sole, guida e speranza per l’umanità intera.

Le nostre sedi di rappresentanza debbono essere note affinché a noi ci si possa rivolgere per richieste di intervento, per richieste di collaborazione, perché venga ricercato il nostro pensiero ed il nostro parere, perché chi voglia esser massone sappia dove è la porta giusta e non si perda nei meandri di un mistero che non può esser desiderato che da psiche patologiche. Chi ci rappresenta, chi rappresenta la Massoneria, deve esprimere la propria e la nostra saggezza più frequentemente, pubblicamente, su argomenti di interesse generale che non si prestino al settarismo, ma che richiamino I ‘attenzione dell ‘opinione pubblica.

La povertà di alcuni popoli, il disagio di alcuni strati sociali, l’educazione dei cittadini, il diritto al lavoro, il diritto dei popoli alla libertà ad esempio, sono argomenti sui quali la Massoneria può e deve dire il suo pensiero, anche se non gli compete suggerire soluzioni tecniche, metodi e tempi.

La Rivista Massonica è molto, ma non è tutto, I nostri responsabili devono trovare la via della stampa e del pubblico dibattito, organizzare simposi, convegni, manifestazioni con uomini di alto prestigio, massoni e non, sugli argomenti di attuale interesse per l’umanità. Entriamo senza timore nella realtà della vita, fra gli uomini, per concretizzare quella loro elevazione morale e materiale per la quale un giorno abbiamo scelto l’acacia.

I massoni debbono partecipare alla vita del paese e portare il beneficio dell’ Arte che hanno appreso, ai meno fortunati ed ai meno capaci affinché la società possa migliorarsi. Non è facilmente comprensibile come da più parti si critichi l’appartenenza dei massoni ai vari partiti politici che nel programma enunciano principi non in contrasto con quelli propugnati dalla Libera Muratoria. E merito della nostra Istituzione aver riportato la democrazia nel nostro paese e pertanto la possibilità che i cittadini potessero partirsi in base alle proprie convinzioni.

Quando il tutto è suddiviso, si formano le parti che si contrappongono, in un paese civile quale noi auspichiamo, in una dialettica democratica e costruttiva.

Si dice che oggi i partiti sono deteriorati per lotte interne di gruppi di potere che ben poco

hanno a che fare con la disputa delle idee. Ma non si pensa che questo avviene perché molti degli uomini migliori non partecipano alla vita politica e non portano l’esempio della loro virtù. E auspicabile che anche a questi settori della vita giunga l’alto insegnamento di umiltà e di tolleranza, ma questo non potrà avvenire se non per la presenza di illustri e preparati Fratelli,

Proselitismo

Non è possibile che in un’epoca che constatiamo più vicina al nostro pensiero di altre, il numero dei massoni italiani sia così modesto e con un’incidenza percentuale inferiore a quella di molti altri paesi.

Non è giusto presupporre che tale stato di cose sia correlato con l’esistenza del Vaticano, perché è facile rilevare come altri movimenti laici, politici e non, abbiano un numero di militanti nettamente superiore al nostro. E non si dica che tale realtà sia dovuta ad una maggiore selezione che noi dobbiamo operare, perché ci rifiutiamo di credere che così pochi siano gli Italiani « puri e senza macchia » e con animo predisposto ad accogliere I ‘insegnamento massonico.

La verità è che troppi sono gelosi del patrimonio iniziatico, troppi sono eccessivamente diffidenti, introversi e presuntuosi; che spesso non è vero che la percentuale media del valore di coloro che sono stati accolti fra le colonne sia superiore a quella dei possibili candidati.

Chi entra fra noi deve imparare a levigare la propria pietra grezza e non può essere già pietra levigata. Doniamo questa possibilità al maggior numero di uomini possibile, purché abbiano le prerogative di onestà, generosità e cultura necessarie per comprendere l’insegnamento esoterico. Chi accetta la responsabilità del maglietto di una Officina, chi accetta di condividerne le responsabilità nella direzione dell’Officina, non deve avere timore a scendere fra la gente a divulgare I ‘Idea cercando i nuovi proseliti.

Organizzazioni spurie

Quando ciascheduno di noi ha bussato alle porte del Tempio è stato spesso solo per un caso fortuito che è stata individuata la strada giusta, essendo in noi reale solo l’interesse di collaborare all’elevazione del Tempio della libertà umana. Dobbiamo pertanto essere comprensivi con coloro che non hanno individuato il battente giusto e lasciare le nostre porte aperte a coloro che hanno ricevuto il valore iniziatico e che intendono partecipare alla catena fraterna.

Mai si potrà parlare di unificazione, perché in Italia una sola può essere la Massoneria e questo ruolo è svolto dal Grande Oriente, ma dovranno esser fatti tutti i tentativi per far sì che il maggior numero possibile di coloro che intendono essere massoni, pur avendo sbagliato obbedienza, possano entrare nella nostra Istituzione. Fra questi, il proselitismo deve essere sempre più intenso ed incisivo e meglio quando sortono  risultati di gruppo, sebbene noi dobbiamo aumentare la nostra vigilanza affinché le colonne non siano insidiate da elementi inidonei alla nostra disciplina.

E fuori di dubbio che questa attenzione non deve trasformarsi in egoistica prosopopea realizzatrice di vere e proprie forche caudine per questi sfortunati che debbono spesso subire indagini e prove ben più severe di quelle richieste per un normale profano.

Anche se riconosciamo che la strada da compiere è lunga, non dobbiamo desistere dall ‘auspicare il giorno in cui non vi sia più alcuna organizzazione che a torto si fregia delle insegne massoniche. E non si dica, per scoraggiare i volenterosi, che comparirà sempre qualcuno capace di dar vita ad una organizzazione spuria, perché è facile comprendere che questa avrebbe una vita molto effimera quando il Grande Oriente d’Italia avesse raggiunto il livello organizzativo che gli compete.

I gruppi spuri che suscitano la nostra attenzione, sono quelli reali ed organizzati che hanno

avuto un’origine storica ed anche una legittimità alle origini per quanto riguarda il R. S.A. A.

Oggi, tutto ciò che è derivato da quella sfortunata circostanza è sicuramente illegittimo; ma ciò non toglie che noi speriamo di veder presto il giorno in cui tutti coloro che sanno di essere Figli della Vedova possano partecipare alla stessa catena fraterna. Certo è che l’immissione nella nostra Obbedienza dovrà avvenire nel rispetto delle Costituzioni e del Regolamento e che qualora dovessero essere fissate delle norme straordinarie, queste potrebbero essere promulgate solo dalla Gran Loggia.

Tradizioni massoniche

La Massoneria pur essendo eminentemente protesa verso il futuro quale associazione tendente, attraverso la meditazione dei propri affiliati affinata nel corso dei lavori di Loggia, a favorire l’evoluzione del pensiero per il progresso dell ‘umanità, non deve e non può dimenticare la sua storia remota e recente, gli uomini che la rappresentarono ed operarono nel suo seno, le affermazioni e gli eventi che, direttamente od indirettamente, scaturirono dalla operosità dei suoi lavori.

Ogni Oriente, ogni Loggia non dovrà perdere occasione per celebrare questi eventi allo scopo di temprare, attraverso gli esempi del passato, lo spirito dei fratelli e, dove possibile e con il consenso del Gran Maestro, tali eventi dovranno essere ricordati al mondo profano attraverso manifestazioni bene organizzate che ricordino le opere e la tradizione laica dell ‘Ordine massonico.

In particolar modo è augurabile che prima dell’insediamento del nuovo governo dell’Ordine, la commissione disposta dalla Gran Loggia del 30/31 marzo 1969 abbia potuto concretamente attuare la deliberazione della Gran Loggia stessa per la celebrazione del 20 settembre 1970.

A distanza di un secolo dal compimento dell ‘unità del Paese, con Roma capitale, sarebbe imperdonabile per la Massoneria italiana non rievocare, con la solennità del caso, la ricorrenza centenaria della presa di Roma, identificandovi la necessaria conclusione ed il termine fatale ed ultimo della vicenda eroica del nostro risorgimento; e soprattutto non reclamare a gran voce dagli attuali reggitori del Paese che la data del 20 settembre sia ripristinata fra le festività nazionali della Patria.

Varrà il discorso pronunziato dal Fratello Giosuè Carducci al Senato del 17 luglio 1895, tuttora valido oggi, a ricordare agli italiani perché, a 25 anni di distanza dalla breccia di Porta Pia, la ricorrenza del 20 settembre fu dichiarata festività civile dai legislatori dell ‘epoca: « Il testamento di gloria dei nostri pensatori, l’eredità di sangue dei nostri padri e fratelli, vi raccomandano, signori senatori, il nome di Roma, la commemorazione perenne del giorno in cui l’Italia poté riabbracciarsi alla sua alma madre, a Roma, non papale, non imperiale, non cosmopolita, a Roma italiana, a Roma intangibile, intangibile a nome dell ‘Italia, della libertà e della scienza ».

Sarà irrinunciabile dovere della Massoneria concorrere validamente col mondo laico italiano a risvegliare intorno alla ricorrenza del 20 settembre, perché il suo ripristino ufficiale fra le festività della Patria sia percorso, a guisa di espiazione per le specifiche responsabilità remote e recenti, dalla volontà unanime del popolo italiano, il sentimento che ispirò i legislatori del 1895 ad inciderne la data tra le ricorrenze più sacre del Paese, a identificare storicamente le dichiarate ragioni di politica antirisorgimentale che indussero il fascismo a cancellare quella stessa data dal calendario ufficiale dello stato fascista ma non certo dal cuore degli italiani, e condannare, infine, severamente, le altre ragioni, di indole queste squisitamente confessionale, che determinarono la maggioranza clericale del Parlamento repubblicano del 1949 a non ripristinare la ricorrenza fra le festività della Patria.

E una occasione questa che, contrariamente a quanto è stato dichiarato da chi, anche fra noi, ha avuto il torto di ignorare il valore della tradizione nella vita dell’Ordine, la Massoneria non dovrebbe perdere.

Comunque, la meditazione e lo studio della storia e delle tradizioni è un compito basilare

per il massone al fine di individuare l’essenza e l’etica dell ‘azione che deve essere proiettata nei tempi futuri.

Allontanarsi dalle tradizioni significherebbe perdere uno dei motivi fondamentali che ci caratterizzano e che giustificano il sacrificio di gran parte della nostra vita agli ideali supremi.

E in questo spirito che il XX Settembre deve essere considerato motivo di profonda meditazione per coloro che reggono le sorti della Massoneria.

Carissimi Fratelli, molti sarebbero ancora gli argomenti che noi dovremmo affrontare nella nostra trattazione sia di ordine teorico che pratico ed organizzativo, ma preferiamo limitare, in questa occasione, l’esame agli argomenti trattati perché la riflessione possa determinare in noi un risultato efficace.

Vi sono particolarmente riconoscente per l’attenzione che mi avete concesso permettendomi di esporre il pensiero su alcuni dei principali temi massonici e sarò particolarmente grato a coloro che vorranno arricchirlo con il contributo della loro esperienza.

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L’OMICIDIO DI ACHILLE BELLORI

Marco Rocchi

L’OMICIDIO Dl ACHILLE BELLORI

1. Introduzione

Nel tardo pomeriggio del 3 1 ottobre 1917, a Palazzo Giustiniani a Roma, sede del Grande Oriente d’Italia, viene assassinato Achille Ballori, sicuro prossimo Gran Maestro della più prestigiosa obbedienza massonica italiana. A ucciderlo è un anarchico psicopatico, Lorenzo D’Ambrosio. In un clima avvelenato di antimassoneria, proprio nei giorni della disfatta di Caporetto, quello di Ballori viene indicato come il primo omicidio con una pistola mai registrato nella capitale. L’indagine criminologica viene affidata all ‘onorevole Enrico Ferri, psichiatra, positivista, massone anch’egli.

In un intreccio tra massoneria e antimassoneria, anarchismo ideale e anarchismo violento, positivismo e antipositivismo si snoda una vicenda che questo saggio cercherà di raccontare, nei protagonisti e nello sfondo culturale di quegli anni difficili.

2. L’omicidio nel racconto dei testimoni

Sono le 18.15 del 31 ottobre 1917 quando un uomo suona il campanello dell’ingresso di via della Dogana Vecchia di Palazzo Giustiniani, dal 1901 sede del Grande Oriente d’Italia . All’usciere dice di chiamarsi Giobbe Giobbi e chiede di conferire con Achille Ballori, il Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato.

Fatto accomodare all ‘ingresso, un impiegato tale Santolini, che degli avvenimenti di quel tragico pomeriggio sarà il principale testimone al processo ne informa il Ballori, che è impegnato in una discussione, nel suo studio, col Gran Segretario Ulisse Bacci

L’ospite viene fatto accomodare e, accertata l ‘identità di Ballori, grida: “Voglio parlare con lei, solo! Fuori tutti” mentre agita la mano che si rivela armata di rivoltella.

Senza ulteriori indugi, il Giobbi si mette a sparare all ‘impazzata colpendo ripetutamente Ballori e, mentre intorno impazza il caos, se ne va fischiettando l’overture di Cavalleria rusticana.

Frattanto, come riferisce il testimone Santolini al processo, “Tornato nella camera, trovai in quella della Giunta il Comm. Ballori sorretto dal Bacci e da qualche altro, il quale disse solamente: mi pare che mi abbia ferito qui, ed accennando la nuca cadde per terra. Cercammo di sorreggerlo, trasportandolo poi sul divano, ma egli quasi subito spirò’ .

L’autopsia rivelerà che una delle tre pallottole che hanno raggiunto Ballori, penetrata tra le scapole, lo ha mortalmente ferito al cuore.

L’assassino però non è ancora pago: si reca a casa del Gran Maestro in carica, Ettore Ferrari, ma la portiera, insospettita, gli dice che è assente.

Il giorno dopo, mentre si aggira nei pressi dell’abitazione dell’ex Gran Maestro ed ex sindaco di Roma Ernesto Nathan, viene arrestato. La polizia, infatti, ha messo sotto sorveglianza le abitazioni di tutti gli esponenti di spicco della Massoneria.

Il Giobbi viene interrogato, e in tasca gli viene trovato il passaporto con la sua vera identità: il suo vero nome è Lorenzo D’Ambrosio, è un farmacista avellinese di 47 anni, ha una moglie e due figli.

Assieme al passaporto, addosso gli vengono trovati un coltello a serramanico e una rivoltella Smith & Wesson calibro 7.65.

L’interrogatorio prima, e il processo poi, riveleranno un passato in manicomio e un odio viscerale per la Massoneria, a suo dire responsabile di tutte le sue sciagure.

3. Ritratto della vittima

Achille Ballori nacque a Dicomano, in provincia di Pisa, nel 1850. Divenuto medico, si dedicò alla attività professionale diventando direttore dell ‘Ospedale Civile di Mantova prima, e degli Ospedali Riuniti di Roma, poi. Fu anche docente alla facoltà di Medicina all’Università di Roma.

Dedicatosi alla attività politica fu tra i fondatori, nel 1913, del Partito Democratico Costituzionale fu anche assessore all’Igiene al Comune di Roma, nella giunta Nathan.

Della sua iniziazione massonica non conosciamo i dettagli, anche se è presumibile che avvenne nella Loggia Umanità e progresso all’Oriente di Pisa, nella quale risulta col grado di Maestro in un piedi lista del 1874. Nel 1891 fu Maestro Venerabile della Loggia Rienzi all’Oriente di Roma.

Nel 1893 fu eletto Gran Maestro Aggiunto. Nel 1899 fu elevato al 33 0 grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, di cui divenne Sovrano Gran Commendatore nel 1908. Al momento dell’omicidio ricopriva ancora tale carica, ma era anche designato come futuro Gran Maestro, poiché era l’unico candidato alle elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco

Le esequie, dopo l’esame autoptico, avvennero secondo le sue volontà: “Dispongo che per i miei funerali non si spenda che quanto è strettamente necessario. Voglio che sieno fatti con rito civile e che la mia salma sia cremata’

Fu tumulato al cimitero del Verano nella tomba monumentale dei Gran Maestri.

4. Ritratto dell’assassino

Lorenzo D’Ambrosio è un farmacista avellinese di 47 anni, ma al momento dell’omicidio è da qualche tempo residente a Roma.

Fu Michele Angiolillo, passato alla storia come l ‘anarchico che assassinò nel 1897 il presidente del consiglio spagnolo Antonio Cânovas del Castillo a convertirlo, nel periodo del servizio militare, ad una forma di confuso anarchismo individuale.

Noto alle forze dell ‘ordine già dal 1905, due anni dopo così viene descritto in un rapporto della prefettura di Avellino: “Ha frequentato le classi ginnasiali e liceali ed è fornito di diploma di chimico-farmacista; è lavoratore assiduo e conduce personalmente una farmacia in questa città, ritraendo dalla stessa i mezzi di sussistenza. Frequenta la compagnia di socialisti ed altri sovversivi di qui. Nei suoi doveri verso la famiglia si comporta mediocremente; non ha mai occupato cariche né politiche né partitiche né amministrative; attualmente professa idee anarchiche e precedentemente ha militato nei partiti popolari di Avellino; nel partito anarchico non ha alcuna influenza; manda e riceve corrispondenze dalla Svizzera e dal Regno. Non ha mai dimorato all ‘estero; ha fatto parte della cessata camera di lavoro di Avellino, contribuisce alla pubblicazione del giornale La cronaca rossa; attualmente collabora alla redazione del giornale ‘ora che si pubblica in Palermo. Fa propaganda con poco profitto, tra le pochissime persone che lo avvicinano, e cioè fra una decina di giovinastri che convengono abitualmente nella sua farmacia. Non è capace di tenere conferenze e finora non ne ha tenute; verso le autorità serba un atteggiamento scorretto; non ha preso parte a manifestazioni di partito a mezzo della stampa, però in occasione di anniversari, commemorazioni ha sempre inviato la sua adesione di solidarietà, Non ha riportato condanne, non è stato proposto per la giudiziale ammonizione né per l’invio a domicilio coatto”  .

Nello stesso rapporto si parla del D’Ambrosio come “alquanto esaltato di mente e di carattere irascibile” e si dice che “per la sua condotta equivoca non gode di stima nel pubblico” . Nel 1914 è costretto a vendere la farmacia e, dopo varie vicissitudini e peripezie in giro per l ‘ Italia, nel 1917 soggiorna per qualche tempo nel manicomio di Nocera. Dimesso, si trasferisce a Roma.

Ha sviluppato delle ossessioni paranoidi che riversa soprattutto sulla Massoneria, che nella sua mente confusa è responsabile di tutti i suoi guai; nell ‘interrogatorio seguito al suo arresto, dichiara: “La Massoneria mi perseguitava da molti anni. Inoltre tempo fa una mia sorella che era in America morì asfissiata ed è chiaro che l ‘ha fatta morire la Massoneria. ( … ) Due anni or sono ad Avellino mia moglie si affacciò alla finestra della casa nella quale abitavamo e incominciò a gridare aiuto. Corsero le guardie: mi arrestarono e mi condussero ai Manicomio. Chi aveva organizzata tutta questa orribile commedia? La Massoneria! ”

Ma, paradossalmente, D’Ambrosio dichiara anche che non aveva nulla di personale contro Ballori, che descrive con parole di stima: “Debbo dichiarare che non avevo ragione alcuna di speciale antipatia per il Ballori, persona di ottimo cuore e di grande onestà. La mia intenzione era di colpire la Massoneria nelle sue personalità più rappresentative: avevo idea di uccidere, oltre il povero Ballori, anche Ettore Ferrari ed Ernesto Nathan. Che io non avessi ragione di odio contro il Ballori ve lo dimostri il fatto che stamane ho comprato due mazzi di fiori per deporre sulla sua tomba. Se non mi aveste arrestato avrei seguito fino all ‘ultimo il mio programma. Sabato mi sarei recato ai funerali del Ballori, e avrei fatto una strage” .

Ma c’è ancora un paradosso nella vicenda dell ‘anarchico D’Ambrosio: egli non sapeva, quasi certamente, che da sempre la Massoneria aveva affiliato importanti anarchici, tanto in Italia quanto all’estero. Basti pensare, per rimanere in Italia, ad Andrea Costa, al giovane Errico Malatesta, a Pietro Gori; e, tra gli stranieri, a Michail Bakunin, Francisco Ferrer, Elisée Reclus, solo per citare i più rilevanti,

Non è questa la sede per indagare (ma non è difficile intuirlo, se si confrontano gli ideali anarchici e quelli massonici) su quali basi si possa fondare questo connubio. Né è questa la sede per discutere delle cause di una certa anarchia antimassonica che, peraltro quasi solo in Italia, ha negato e continua a negare questa feconda convivenza.

5. Il momento storico

Non è facile ricostruire il clima antimassonico che investiva l ‘Italia negli anni che precedettero il fascismo e che doveva concludersi prima con le devastazioni delle logge da parte delle squadracce fasciste nel biennio 1923-25 per culminare con le disposizioni che mettevano fuori legge la Massoneria (Legge sulle associazioni del 19 maggio 1925).

Indubbiamente vi contribuì una antica anti massoneria cattolica che da sempre vedeva negativamente la Libera Muratoria, sia in quanto propagandista di libero pensiero (la prima scomunica risale al 1738), sia in quanto covo di ebrei da combattere (significativo l’impiego, in molte encicliche e bolle papali, del termine sinagoga di Satana per descrivere la Massoneria).

A questa pregiudiziale plurisecolare si era affiancata l ‘astio cattolico nei confronti di una classe dirigente risorgimentale e post risorgimentale che dapprima aveva privato il papato delle sue prerogative temporali, e poi aveva provato spesso con successo — a laicizzare lo Stato italiano.

Per discorrere del clima antimassonico dei tempi dell ‘omicidio Ballori, basterà citare — a mo’ di paradigma —un articolo che improvvidamente il giornale cattolico Il Corriere d ‘Italia pubblicò in occasione dell ‘affondamento del Titanic, ove si leggeva che la Provvidenza aveva affondato quella nave, perché a bordo c’era “l’onorevole Ettore Ferrari, gran Maestro della Massoneria. Il Massone sacrilego ha trascinato seco migliaia di vittime innocenti e incoscienti” . Notizia che si rivelò una clamorosa gaffe del giornale (senza entrare nel merito di una fede che preveda una Provvidenza che per eliminare un sacrilego non trovi mezzo migliore che affondare una nave facendo migliaia di vittime innocenti), perché Ferrari non era affatto sul Titanic nello sciagurato viaggio del 1912, e sarebbe spirato serenamente — limitatamente a quanto i tempi concedevano a un fervente massone nel suo letto, nel 1929.

Tuttavia, nel periodo dell ‘omicidio Ballori, alla anti massoneria cattolica se ne era affiancata una di matrice socialista (sebbene, in quegli anni, molti esponenti socialisti fossero affiliati alla Massoneria; il Partito Socialista era in effetti, su questo tema, profondamente diviso).

Di tale clima avvelenato ha modo di lamentarsi anche l’onorevole massone e repubblicano Napoleone Colajanni, nella discussione alla Camera del 22 dicembre 1917 dedicata alle cause della recentissima disfatta di Caporetto. Riferendosi a recenti episodi di violenza contro gli onorevoli Modigliani e Maffi, causati secondo i socialisti da articoli apparsi sul Giornale d ‘Italia, egli commenta: “Però dai socialisti si è commessa un’imprudenza. Mentre hanno negata efficienza alla propaganda, hanno detto che le violenze contro Modigliani erano state l ‘effetto degli articoli del Giornale d ‘Italia. Io dico che la cosa è possibile. Ma se è possibile al Giornale d ‘Italia influire contro l’onorevole Modigliani e l’onorevole Maffi, mi permettano i colleghi che io ricordi loro che pochi giorni or sono venne ammazzato il dottor Ballori, ed io con il loro ragionamento potrei dire che il delitto fu effetto della propaganda che essi hanno fatto continuamente contro la Massoneria! Voler negare l’efficienza delle parole e degli scritti è tale negazione di qualunque principio di psicologia, che francamente mi pare impossibile che ciò si sostenga da uomini colti e intelligenti’

Non manca anche, a complicare il clima di quegli anni, l ‘ eco di una scissione avvenuta pochi anni prima in seno alla Massoneria italiana. ln estrema sintesi, all’inizio del 1908, nel Grande Oriente d’Italia convivevano due anime: una radicale e anticlericale, capeggiata. dal Gran Maestro Ettore Ferrari e l ‘altra conservatrice e disponibile al dialogo con la Chiesa, rappresentata dal Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, Saverio Fera.

Allorché, nel 1908, Ettore Ferrari propose la censura per quei parlamentari massoni che avevano votato contro la proposta di legge di Leonida Bissolati (socialista e massone) sull’abolizione dell ‘insegnamento della religione nella scuola elementare, l ‘ ala più conservatrice insorse e il 24 giugno Saverio Fera dichiarò risolte le costituzioni del 1906 che stabilivano i protocolli d’intesa tra Rito Scozzese e Grande Oriente. Ne seguirono l’espulsione di Fera (che nel 1910 coi fuoriusciti fondò la Gran Loggia d’Italia degli Antichi e Liberi Accettati Muratori) e l’elezione di Achille Ballori a Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese.

Saverio Fera morì nel 1915 e, di lì a poco, la Gran Loggia si sarebbe posta, col suo Gran Maestro Raoul Vittorio Palermi, confermando l’impostazione politica con la quale era nata — su posizioni di sudditanza nei confronti del nascente fascismo (il che tuttavia non giovò a salvare la Gran Loggia dalla legge repressi va del 1925), mentre il Grande Oriente, dopo una primissima fase di sostegno al fascismo, tornò sulle usuali posizioni democratiche e fece una pesante opposizione che costò a molti il confino o l’esilio e ad altri la vita.

6. L’indagine criminologica di Enrico Ferri

Enrico Ferri, nato a San Benedetto Po nel 1859, fu uno dei più importanti criminologi del suo tempo. Di formazione chiaramente positivista, allievo di Cesare Lombroso, fondò nel 1891 la rivista Scuola positiva.

ln politica aderì al Partito Socialista Italiano, di cui fu membro di spicco fino a rivestire la carica di segretario nazionale, prima nel 1896, poi nel biennio 19041906. Fu deputato per dieci legislature. Fu anche direttore dell ‘organo di partito Avanti! dal 1903 al 1908.

Aderì alla Massoneria e fu membro della Loggia VIII Agosto all’Oriente di Bologna; il suo nome risulta tra quelli divulgati dal settimanale L ‘assalto dopo che le squadracce fasciste avevano devastato, il 12 settembre 1924, la sede massonica di vicolo Bianchetti e ne avevano trafugati gli archivi.

Enrico Ferri, spesso criticato per il suo personalismo e per i frequenti cambiamenti di rotta politica che lo portarono anche ad uscire e a rientrare dal Partito Socialista (secondo i detrattori in perenne attesa di un ruolo di ministro), fu un criminologo di raffinatissimo livello.

A lui, e al professor Mingazzini (altro importante esponente della scuola positiva italiana, sebbene critico verso le teorie lombrosiane), furono affidate le indagini criminologiche e psichiatriche del D’Ambrosio.

Nel referto di Ferri si legge: “D’ Ambrosio è evidentemente un allucinato, (…) la sua forma di follia mi sembra essere la paranoia o delirio di persecuzione (…). Purtroppo il caso D’Ambrosio viene a confermare le critiche che la scuola criminale positiva ha sempre fatto al trattamento dei delinquenti pazzi stabilito dello nostre leggi, per cui la permanenza o la liberazione dal manicomio non offrono garanzie sufficienti per la sicurezza sociale”

In seguito alle perizie di Ferri e Mingazzini, D’Ambrosio venne riconosciuto totalmente infermo di mente e quindi prosciolto dall ‘accusa di omicidio, ma immediatamente internato, dapprima nel manicomio di Nocera (dove, come si è detto, era già stato in precedenza rinchiuso) poi, fino alla morte, in quello di Aversa.

7. Massoneria e positivismo

L’indagine affidata a un criminologo di scuola positivista nonché massone, ci offre il destro di analizzare sinteticamente la relazione tra Massoneria e positivismo, al fine di completare il quadro culturale in cui si svolse l ‘omicidio Ballori.

Non si può certo dire che la filosofia positivista recasse una pregiudiziale antimassonica. Anzi, con la sua netta separazione tra scienze positive e discipline metafisiche, essa sembrava la continuazione naturale quasi il necessario compimento del percorso iniziato con l’illuminismo, che tanto si avvalse della diffusione attraverso le logge e che tanto, d ‘ altra parte, diede come contributo al pensiero massonico.

Proprio nel testamento di Ballori si legge una affermazione di chiara matrice positivistica (specie negli accenni alla legge del progresso e alla scienza): “Ho avuto scrupoloso rispetto per ogni fede; ma non ho professato alcuna Religione rivelata, pur sentendo nella mia coscienza la forza dell’inesplicabile e dell’ignoto; ed a questa forza immensa ho creduto come ho creduto alla legge del progresso. ( … ) Ho tenuto nel dovuto onore la Scienza, ho adorato la Patria”

Non stupisce quindi che alcuni esponenti di spicco della filosofia positivistica abbiano trovato fertile terreno nell’ambiente massonico. E il caso, solo per citare i più noti, di Cesare Lombroso (affiliato alla Loggia Gerolamo Cardano all’Oriente di Pavia) e di Émile Littré, allievo di Comte (affiliato alla Loge La clémente amitié del Grand Orient de France).

Nondimeno, un altro celebre positivista italiano, Roberto Ardigò, ebbe parole non tenere nei confronti della Massoneria. In lui certamente risuonano le tante scomuniche cattoliche, assorbite quando vestita ancora i panni del canonico prima di essere lui stesso prima sospeso a divinis e poi scomunicato per apostasia.

Egli fu al centro, nel 1903, di una polemica con la Rivista della Massoneria Italiana; la riportiamo sommariamente per dare ancora una volta l ‘idea del clima antimassonico che si respirava in certi ambienti e, confidiamo, per sollevare almeno in parte il velo sui pregiudizi antimassonici,

Dunque, il 7 gennaio Ardigò scrive una lettera al giornale Risveglio liberale, indirizzata al direttore Genovesi, nella quale si legge: convengo interamente con

Lei che dice giustamente che La Massoneria in uno stato libero è un non senso: e che a combattere l’oscurantismo è più efficace l’opera indefessa ed aperta di educazione e di elevazione civile che non l ‘opera tenebrosa e nascosta di una setta: e che coll’esistenza di questa la gran massa popolare non può che perdere la fiducia nella giustizia pubblica del proprio paese, nell ‘idea che la massoneria sia poi in fine una associazione di interesse pei soci a danno di quelli che non vi appartengono. E fortuna per me che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo perché nulla spero”

La replica, molto articolata, arriva immediata (in un supplemento alla Rivista della Massoneria Italiana, datato 4 febbraio), del quale riportiamo qualche stralcio saliente: conclude essere fortuna per lui che alle scomuniche è avvezzo, e nulla teme perché nulla spera. E intanto la scomunica la lancia lui! Ma la Massoneria fa sua la frase che alle scomuniche è avvezza davvero e non le ha temute e non le teme, non perché nulla abbia mai sperato e nulla speri, ma perché ha sperato sempre e spera nel trionfo dell ‘onesto e del vero, che, né le scomuniche dei Papi, né le persecuzioni dei Principi, né, molto meno, le condanne dei filosofi positivisti o no, possono impedire”

E continua, riprendendo una polemica innescata dal giornale cattolico Sole del Mezzogiorno: “Ma il Sole del Mezzogiorno, rilevando questo fatto e la pubblicazione della lettera contro la Massoneria, avvenuta pochi giorni innanzi, cosi commenta: «ciò vuol dire che il prof. Ardigò, ex-canonico di Mantova, benché apostata dalla fede cattolica, non è ascritto all ‘infame setta: altrimenti non avrebbe pubblicato quella lettera — e noi aggiungiamo: verissimo — e tanto meno avrebbe permesso che un prete si accostasse al letto dell’inferma sua sorella e noi aggiungiamo: falsissimo. — Tutto questo ci dà buone speranze pel ritorno, presto o tardi, del prof. Ardigò alla fede e alla Chiesa. Affrettiamolo con le nostre preghiere». — E non aggiungiamo una sillaba”

Dunque, questo il clima antimassonico cui il Grande Oriente risponde ribadendo i propri principi di tolleranza, così efficacemente espressi da quel “falsissimo” con cui si commentano le illazioni del giornalista. Ma una tolleranza che si esplicita nella sfera personale, lasciando integra la dimensione politica e sociale manifestamente anticlericale, laddove il termine anticlericale non significa contro i preti, ma piuttosto contro il clericalismo, ovvero contro la tendenza politica ad andare a prendere ordini nelle curie e nelle sacrestie. Insomma, la difesa di uno Stato laico che un paio di generazioni di patrioti risorgimentali e postrisorgimentali avevano provato a costruire e che verrà demolito e ad oggi mai più ricostruito grazie alla alleanza tra clericali e fascisti sancita con i Patti lateranensi 1929 poi consapevolmente inseriti nelle  Costituzione repubblicane.

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L’ALCHIMIA SPIRITUALE

A tutti è ben nota la classica immagine del vecchio alchimista che nel suo antro tenebroso cerca di trasformare il piombo in oro.

Infatti, e sarebbe inutile negarlo, la Grande Opera non è altro che la trasmutazione dei metalli.

Ma di quali metalli si può ragionevolmente parlare, senza incorrere in fantasie pseudo New-Age?

Non è questa la sede per fare la storia dell’Alchimia, né tanto meno quella di dare una risposta scientifica o filosofica sull’argomento, quanto piuttosto di ricercare l’occasione per orientarsi in maniera sufficientemente corretta, per offrire una comprensione di tipo iniziatico.

I veri alchimisti del passato non cercavano l’oro fisico, ma tramite lo studio, la preghiera e la riflessione trasfondevano nel crogiuolo alchemico (l’Athanor, appunto), la propria parte di sensibilità sottile, che andava amalgamandosi di pari passo nell ‘Opera, mano a mano che procedeva quella fisica.

Le fasi erano tre: Putrefazione, Volatilizzazione e Fissazione, evidenziate nei tre momenti di trasformazione di NIGREDO, ALBEDO E RUBEDO, cioè i tre famosi passaggi concernenti l’Opera al Nero, al Bianco ed al Rosso, dopo la quale vi poteva essere (se completata l’Opera), la Moltiplicazione ovvero l’Opera Aurea, cioè la Pietra Filosofale. L’ Alchimista viveva una trasformazione Interiore, che si attuava contemporaneamente agli elementi che trasformava nell’Athanor .

La Tradizione ci tramanda che l’ Animus dell’Operatore si evolveva seguendo l’Opera: dal piombo, si arrivava al Lapis Philosophorum, attraverso le fasi per sommi capi descritte, e chi aveva avuto la pazienza di dedicarvisi, avendo trovato l’Oro della propria Immortalità Spirituale, poteva trasmutare anche gli elementi fisici.

Ecco perché, accanto ai veri maestri cultori della Via di perfezionamento Alchemico, sorsero coloro che ricercavano puramente l’oro fisico, i cosiddetti Soffiatori od Iperfisici.

Non è comunque strettamente necessario parlare di Alchimia Operativa, in quanto gli alambicchi e le storte possono essere riassunti in un processo Alchemico Spirituale ed Allegorico, per cui ciò che conta è il metodo, più che lo strumento.

E così che l’ Alchimia Spirituale è stata talvolta chiamata anche Agricoltura Celeste.

Fu per nascondere le verità spirituali ai Soffiatori, che gli operatori alchemici seminarono trabocchetti ed indovinelli nei loro trattati.

“Quello che caratterizza al più alto grado l ‘ Alchimista — dice Berthelot — è la pazienza. Essi non si lasciavano mai scoraggiare dagli insuccessi”.

Alberto Magno, nel suo volume “De Alchimia”, fornisce un rigidissimo codice morale (deontologico, diremmo oggi):

l) “L ‘Alchimista sarà discreto e secreto; non racconterà ad alcuno il risultato delle sue operazioni.

  • Abiterà, lungi dal gran mondo, una casa appartata, nella quale vi siano due o tre camere esclusivamente destinate ai suoi lavori.
  • Sceglierà il tempo e le ore opportune alle sue operazioni.
  • Sarà paziente, assiduo e perseverante.
  • Eseguirà, secondo le regole dell’arte, la triturazione, la sublimazione, la fissazione, la calcinazione, 1a soluzione, la distillazione, la coagulazione.
  • Non adoprerà vasi di vetro, né stoviglie inverniciate.
  • Dovrà essere in grado di sostenere le spese occorrenti alle sue operazioni.
  • Eviterà finalmente ogni rapporto con principi e signori. “.

Il primo approccio, la Spada d’ Assaggio nell’Athanor del Libro della Natura, è la Conoscenza.

Non si può agire su ciò che non si conosce, e Conoscere significa saper coordinare, distinguere, collocare nella giusta dimensione qualsiasi problema.

Comprendere, da cum-prendere, ovvero fare proprio, vuol dire assimilare, metabolizzare l’esperienza facendola propria. Essere, significa Realizzare.

Riepilogando, le tre fasi sono:

  1. Conoscitiva
  2. Assimilativa
  3. Realizzativa

Ricalcano molto da vicino le tre fasi Alchemiche di:

  1. Rubedo                  Putrefazione
  • Nigredo                  Volatilizzazione
  • Albedo                   Fissazione

E in tutto ciò potrebbe essere sintetizzato il problema principale della Via Iniziatica, cioè Essere e Conoscere.

La Natura non fa salti, e quindi è chiaro che nel periodo di depurazione dalle scorie della personalità non sarà possibile liberarsi immediatamente dalle dimensioni

inferiori, rappresentate dagli strati più densi della materia; nel lento processo di rettificazione alchemica, infatti, i corpi inferiori (il fisico, l’emotivo e lo psichico, ma specialmente questi ultimi due), subiranno delle trasformazioni, poichè saranno veicoli esterni di una individualità sempre più avanzata sulla via del cammino spirituale.

Ora, ben ricordiamo come dal punto di vista alchemico la tripartizione della dimensione del corpo, dell ‘anima e dello Spirito sia simboleggiata dagli elementi del Sale, del Mercurio e dello Zolfo, e come il Mercurio rappresenti il punto di congiunzione più importante tra la realtà fisica e quella immateriale.

Non confonda il fatto che, in Alchimia, il significato di Anima e di Spirito sia praticamente invertito, e che quindi l ‘ Anima qui valga come l’elemento propriamente sovrannaturale della personalità e lo Spirito, invece, sia inteso come l’insieme delle energie psico-vitali, le quali costituiscono qualcosa di intermedio fra il corporeo e l’incorporeo e sono la “vita”, il principio animatore dell ‘organismo .

Per capirci, quando gli alchimisti danno al Mercurio il significato di Spirito, intendono quello che noi chiameremmo Anima, e quando paragonano lo Zolfo all’anima, intendono quello che per noi è lo Spirito.

Il Mercurio, quindi, è la parte vitale che ha facoltà sia di lasciarsi attrarre dal Sale (corpo), identificandosi nella materia e compiendo l’Opera verso il basso (divenendo quindi Mercurio acquoso), come può identificarsi nello Zolfo (Spirito), sublimandosi e fondendosi verso l’alto (Mercurio Solforoso).

Troverei un ideale accostamento tra il concetto del Mercurio e quello della Maschera, intesa come Autocreazione della Personalità: infatti essa è in continua trasformazione come sgrossamento della pietra dal basso, come è pure in continua trasformazione verso l’alto, illuminata dalla Luce del Sé.

Se in questo sforzo di Autocreazione, la personalità (la maschera quindi, poichè il termine persona deriva da maschera) si lascerà attrarre dalle forze telluriche della materia, avremo il fallimento del nostro tentativo di “usare violenza alla Porta del Regno dei Cieli”, ma se la personalità si lascerà attrarre dall ‘alto, sarà sulla giusta strada verso il processo di Reintegrazione.

Non a caso Mercurio era, per gli antichi greci, sia il messaggero degli dei, in qualità di intermediario tra cielo e terra, come era pure considerato il protettore dei

Esiste un significato puramente mistico dell ‘alchimia (el-kimya) negli stessi termini in cui le operazioni “chimiche” descrivono in realtà le successive purificazioni dell ‘ essere.

La spiritualità nell ‘Opera Alchemica presuppone una interazione materiaspirito al centro dell ‘operatore il quale è, nello stesso tempo, sottoposto all’operazione. Questa ricerca spirituale non può non ricordarci quell’alchimia delle anime che presupponeva Teilhard de Chardin: infatti il suo Punto Omega è quel punto supremo, il luogo privilegiato che è il compimento finale dell’Opera Alchemica, punto in cui tutto I ‘Universo si svela.

Al possessore della Pietra Filosofale gli sarà dato di abbracciare il Cosmo nella sua completezza, senza aver bisogno di guardare il firmamento.

Con riferimento alla caduta originale del genere umano, l’alchimista dovrà reintegrare lo stato primordiale alla caduta.

Tale Reintegrazione, di cui l ‘ Alchimia offre uno dei mezzi per ottenerla, ha come scopo la riunione di Spirito e Materia affinché siano una Cosa Unica, come erano all ‘ origine.

E questo il vero scopo dell ‘Alchimia, la trasmutazione del discepolo che fa del proprio corpo l’Athanor, dentro il quale realizza la disgregazione degli atomi materiali e la loro trasformazione in Luce.

Più che una riconquista spirituale a base di tecniche illuminatrici, questa ARS REGIA sfocia nel mito dell’immortalità rappresentato dalla Fontana della Giovinezza.

Scriveva Paracelso: “Vi sono persone che, dopo essersi esaltate in Dio, si sono mantenute in questo stato e non sono morte. I loro corpi fisici hanno perso la vita ma senza essere coscienti, e i corpi cosi trasformati disparvero in tal modo che nessuno seppe cosa erano diventati, nel mentre ancora dimoravano sulla terra… .” (cfr. Philosophia Occulta).

In sintesi, per l ‘ Alchimia la grande macchina umana deve funzionare per produrre una sovrabbondanza di spirito.

Bisogna, allora, che la coscienza venga attratta in una concentrazione a spirale verso il proprio Sé, sempre di più, e attraverso questa superconcentrazione sia condotta a raggiungere tutti gli altri centri che la circondano.

La Consapevolezza delle opere umane diviene quindi la costituzione, da parte di ciascuno di noi, di un Centro assolutamente originale, in cui l ‘ Universo si riflette in modo unico, inimitabile.

Noi siamo infatti la fiamma, non vi è spirito senza sintesi!

Nel suo stesso Athanor l ‘ Adepto, senza il chimismo chiuso delle molecole e delle cellule, si libera e porta verso l’alto il suo carico incomunicabile di coscienza per farlo emergere in un Punto che tutto sintetizza: un centro metafisico di attrazione universale, trascendente lo spazio e il tempo.

Scriveva l’alchimista ROBERT FLUDD: “A colui che possiederà la parola proferita dalla nuvola e si riunirà allo spirito rutilante di splendore divino, apparterrà il destino di Mosè e di Elia”. (cfr. Tractatus Theologo-Philosophicus — liber III ).

Se si può asserire che la ricerca dell’Assoluto è eterna, al di là del tempo e dello spazio, allora gli Alchimisti ci hanno insegnato a perseguire sempre I ‘Unica vera meta, ma senza mai aggrapparsi, (né tanto meno divinizzarlo), allo strumento veicolante, sia esso rituale, cerimoniale o psichico, che ci permette di svolgere la nostra lenta e dolorosa trasmutazione interiore.

Uomini che hanno lavorato in silenzio con e modestia, possono ancora far sperare che, nonostante questi tempi bui, da qualche parte, in ciascuno di noi, possa albergare un barlume di speranza per una nuova alba dell’Umanità.

BIBLIOGRAFIA

Aïvanhov Omraam Mikhaël, L’ Alchimia Spirituale, Prosveta (Pg), Tavernelle, 2010;

Ambelain Robert, L’ Alchimia Spirituale, Genova, Amenothes, 1982;

Facca G.C., Alchimia e Alchimisti, Hoepli, Milano, 1934;

Hutin Serge, L’ Alchimia, Dellavalle Editore, Torino, 1971 ;

Hutin Serge, Gli Alchimisti, Encic. Pop. Mondadori, Verona, 1962;

Jollivet-Castelot, Storia della Scienza Alchemica, Ediz. Del Graal, Roma, 1981;

Testi Gino, Dizionario di Alchimia e di Chimica Antiquaria, Mediterranea, Roma, 1950;

Ventura Gastone, Mentalità Tradizionale e Tradizione Ermetica, Ed. di Vie della Tradizione, Palermo, 1972.

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DELL’ATTRIBUZIONE Dl FORZA E BELLEZZA Al DUE SORVEGLIANTI IN LOGGIA

DELL’ATTRIBUZIONE Dl FORZA E BELLEZZA Al DUE SORVEGLIANTI m LOGGIA

Maestro Venerabile, carissimi Fratelli,

in merito all’argomento espresso dal titolo di questo lavoro, esistono in Massoneria due posizioni contrastanti ove l’una sostiene che la Forza debba essere attribuita al Primo Sorvegliante e la Bellezza al Secondo, mentre l’altra sostiene il contrario. Nell ‘ultima edizione dei Rituali editi dal G. O. I. ha finito per prevalere la seconda delle due posizioni o, meglio, non si è ritenuto di dover modificare i precedenti rituali in uso (editi nel 1969) nei quali la Bellezza veniva già attribuita al Primo e la Forza al Secondo Sorvegliante laddove, in quelli precedenti tale data, esisteva la dizione, a mio awiso più corretta, conforme atla prima delle posizioni citate: Forza al Primo Sorvegliante e Bellezza al Secondo.

Le considerazioni che seguono, pur non avendo la pretesa di trattare compiutamente questo argomento, spero possano contribuire ad una maggiore chiarezza su tale controversa questione. Per are ciò sono tuttavia necessarie alcune considerazioni di carattere generale sulla tematica delle ‘opposizioni’ .

Esistono in effetti due forme fondamentali di opposizione, l’una a carattere “verticale” e l’altra a carattere “orizzontale”. La prima esprime un rapporto analogo a quello esistente fra Essenza (polo superiore) e Sostanza (polo inferiore) o, per usare il linguaggio aristotelico, quello fra Forma e materia (impropriamente Spirito e materia). Gli esempi analogici di questo tipo di opposizione sono molteplici, eccone alcuni:

  • Testa e piedi (corpo umano);
  • Tetto e pavimento (edificio);
  • Volta stellata e pavimento a scacchi (Tempio);
  • Cielo e Terra (cosmologico);
  • Compasso e Squadra (attrezzi simbolici);
  • Maestro e discepolo oppure padre e figlio (rapporti umani) con numerosi altri dello stesso genere.

La inversione degli attributi avrebbe, in questo caso, un carattere propriamente “diabolico” in quanto sovvertirebbe, per effetto di tale capovolgimento, il senso dei riti e la corretta direzione della “discesa” delle influenze spirituali

Il secondo tipo di opposizione si esplica invece sul piano di intersezione della verticale con il piano orizzontale secondo quanto espresso dal simbolo della croce:

piano otizontale

Questo tipo di opposizione si configura come “speculare” o “simmetrica” ed ha un carattere meno radicale della precedente. Per tale motivo, gli scambi di attribuzione fra i due termini di tale opposizione o, per meglio dire, di tale complementarismo, pur essendo tutt’altro che indifferenti, sono in genere meno gravi di quelli dell’altro tipo e, in ogni caso, alquanto più frequentemente riscontrabili.

Deve tuttavia essere precisato che scambi di questa natura, pur non comportando una vera a propria sovversione come nel caso delle “inversioni verticali”, hanno comunque l’inconveniente di sminuire il simbolismo e, conseguentemente, di sminuire l’efficacia dei riti compiuti adottando I ‘ errore.

È abbastanza noto l’utilizzo di questa “tecnica” nelle operazioni di magia nera che hanno precisamente lo scopo di far si che le influenze “celesti” vengano sostituite da quelle “infere”.

Esemplificazioni analogiche di questo genere di opposizioni possono essere le seguenti:

  • Destra e sinistra (nel corpo, in un edificio, ecc.);
  • Filo a piombo e livella (fra gli attrezzi simbolici);
  • Uomo e donna, moglie e marito, padre e madre (nei rapporti umani) e antri ancora.

Va detto per inciso che queste considerazioni molto generiche si complicano ulteriormente quando si considera che, sullo stesso piano orizzontale, esistono di nuovo due opposizioni cruciali: l’una “relativamente verticale” (asse Nord-Sud o dei Solstizi) e l’altra “relativamente orizzontale” (asse Est-Ovest o degli Equinozi) come illustrato qui di seguito:

                                                            Est

Nord                                         Sud

                                                                 Ovest

Pur non intendendo, in questa sede, approfondire in modo particolare questo punto, peraltro importante, vorrei annotare che, analogicamente a quanto detto in precedenza, anche qui sono maggiormente dannosi gli scambi riguardanti l’operazione relativamente verticale degli altri, a meno che, qualora le circostanze lo richiedano, non vengano effettuati in modo corretto avendo cioè in vista che, in questo tipo di configurazione, lo scambio di due dei termini deve sempre comportare lo scambio degli altri due

Fatta questa premessa, appare evidente che, nel caso di Forza e Bellezza, ci troviamo in presenza di una opposizione orizzontale di tipo simmetrico come ad esempio nella psiche umana, quella esistente fra la “mente” e “l’anima emozionale”3 . La Saggezza verrebbe così ad essere il polo superiore di una opposizione “relativamente verticale” il cui polo inferiore, essendo rappresentato da tenebre ed ignoranza, non può trovare posto nel Tempio se non identificandolo con il lato Nord cui non è “assegnata”, essendo appunto il lato oscuro, alcuna Luce.

L’opposizione di Forza e Bellezza che. come si è detto, meglio sarebbe definire come “complementarismo”, presenta caratteristiche di tipo attivo-passivo aventi forti analogie con il binario uomo-donna, oppure con la volontà attiva (Marte astrologico) da un lato e l’affettività, nonché la sensibilità estetica (Venere astrologica), dall’altro.

Cominciano qui a delinearsi i rapporti analogici rispettivi del primo e del secondo grado massonici. Nel primo grado, il lavoro si svolge soprattutto agendo sul piano del carattere che è il piano femminile o animico dell’essere umano, ovvero l’insieme degli impulsi non razionali di natura “vitale” che condizionano il comportamento; questo piano deve essere riequilibrato affinché si possa poi procedere con profitto a quello superiore (secondo grado). In camera di Apprendista si impara a sviluppare le “virtù” sotto il controllo, quasi “materno”, del Secondo Sorvegliante. Qui si apprende ad essere plastici e flessibili nei confronti delle influenze superiori ed a percepire la bellezza attraverso un atteggiamento ricettivo di “ascolto”, rinunciando temporaneamente all’uso attivo della parola (il Silenzio dell ‘Apprendista).

Nel secondo grado, invece, il lavoro si svolge sul piano mentale o del pensiero (lato maschile) e comporta un processo di ordinamento delle facoltà razionali. Questo corrisponde alla squadratura e politura della pietra grezza, fino alla trasmutazione della stessa in pietra cubica destinata,

.

quest’ultima, a servire come “base sostanziale” o punto di appoggio per la “piramide discesa dal Cielo”, che la trasformerà in “pietra cubica a punta” rappresentativa della perfezione della Maestria. La pietra squadrata dovrà pertanto essere solida e forte onde poter sopportare il peso della consapevolezza superiore che finirebbe altrimenti per frantumarla[1] . Il Primo Sorvegliante segue, come un padre attento e severo, questa seconda fase della evoluzione iniziatica.

In aggiunta a quanto detto, non sono forse inutili le seguenti osservazioni:

  • il Secondo Sorvegliante alza la sua colonnina durante la “ricreazione” che corrisponde ad un atteggiamento nel suo insieme edonistico e passivo (la fruizione e il riposo);
  • il Primo Sorvegliante, d’altro canto, alza la sua colonnina durante il “lavoro”, momento di fatica e di esplicazione della forza di volontà;
  • la fasi di costruzione di un edificio prevedono “l’ideazione” del progetto (Saggezza), cui seguono “l’attuazione” dello stesso attraverso l’erezione del corpo-struttura dell’edificio stesso (Forza) e, infine, “il compimento” attraverso l’abbellimento della forma esteriore visibile (Bellezza);
  • l’elemento associato al Secondo Sorvegliante è l’Acqua (che in astrologia corrisponde alla “emotività”) e questo fatto è conforme a quanto detto in precedenza a proposito della caratteristica di “plasmabilità” che deve assumere il carattere di chi si trova ancora in primo grado, laddove l’elemento associato al Primo Sorvegliante è, invece, l’Aria (che in astrologia corrisponde al “pensiero”) di nuovo conforme alle caratteristiche generali sopra indicate per il secondo grado.

Molti altri sviluppi e accostamenti potrebbero ancora essere fatti riguardo a questo tema; uno in particolare mi sembra importante perché serve a spiegare una apparente incongruenza: l’attribuzione, quale gioiello, di un attrezzo di tipo “passivo” coma la livella al Primo Sorvegliante e di un attrezzo di tipo “attivo” come il filo a piombo al Secondo Sorvegliante. Una spiegazione di questo fatto potrebbe essere ricercata facendo riferimento al noto simbolo taoista dello yin-yang che, nell’esprimere simbolicamente il dualismo cosmico, di cui Forza e Bellezza non sono che una specificazione particolare, prevede la presenza, in ciascuno dei due termini, del termine opposto (cerchio bianco in capo nero, lo yang che nasce dallo yin, e cerchio nero in campo bianco, lo Yin che nasce dallo yang)

evidenziando così il principio di “mutazione” che deriva dalla non-dualità principale. Questo significa che nel cosmo non esistono dualismi assoluti e irriducibili, ma che ogni cosa tende a mutarsi nel suo contrario (similmente a quanto espresso dall’analogo simbolismo della “doppia spirale”).

Nel caso che stiamo esaminando, una interpretazione semplice, fra possibili altre di natura più complessa, è la seguente: l’attribuzione del filo a piombo al Secondo Sowegliante e della livella al Primo Sorvegliante, evidenziando come la dolcezza e la comprensione del Secondo Sorvegliante debba essere, quando il caso lo richiede, corretta da una giusta severità, mentre l’abituale ‘Yigore” del Primo Sorvegliante debba, talvolta, essere temperato da una opportuna “indulgenza” che sappia tenere conto della imperfezione e delle debolezze umane.

Una obiezione, sollevata da alcuni a proposito dell ‘argomento in esame, consiste nel fatto che la sgrossatura della pietra grezza richiede l’uso della forza affinché, alla fine, possa essere intravista la bellezza dell’opera. Bisogna osservare, a questo riguardo, che al Bellezza, rappresentata dal Secondo Sowegliante (guardiano della colonna degli Apprendisti), deve essere concepita come punto di riferimento esemplare in funzione del fine da raggiungere, che è la purificazione dell’anima. Compiuta tale purificazione, potrà avere inizio la fase attiva della crescita interiore e qui il naturale punto di riferimento sarà la Forza rappresentata dal Primo Sorvegliante (guardiano della colonna dei Compagni).

Quale ultima considerazione, si potrebbe ancora annotare che le tre Luci, il Maestro Venerabile con i due Sorveglianti, sono le 4 ipostasi simboliche dei biblici Salomone (il re-profeta), Hiram di Tiro (il re-guerriero) e Hiram Abif (il capo degli artigiani) i quali, nella loro rispettiva posizione gerarchica, corrispondono alle tre categorie sociali con cui sono suddivisi gli uomini della “caste superiori” nelle civiltà che, come quella indù, si reggono ancora in conformità con i principi tradizionali e cioè: i Sacerdoti, custodi della sapienza e detentori della Saggezza, i Guerrieri, custodi delle leggi e detentori della Forza, e infine gli Artigiani, il cui rapporto con il terzo principio, la Bellezza, è di per sé evidente.

Alla luce di quanto fin qui esposto, ritengo si possa concludere che le caratteristiche generali di Forza e Bellezza siano nettamente a favore delle attribuzioni dell’una al Primo Sorvegliante e dell’altra al Secondo, le quali, peraltro, sono perfettamente coerenti con la logica successione delle tre frasi rituali espresse durante l’accensione delle candele in apertura dei Lavori di primo grado:

Che la Saggezza illumini il nostro lavoro.

Che la Forza lo renda saldo.

Che la Bellezza Io irradi e lo compia.

Sarebbe, a questo punto, legittimo chiedersi se, l’apertura verso il mondo profano e le “concessioni” fatte a questo punto di vista del tutto esteriore dalla Massoneria italiana in questi ultimi anni, non abbiano una qualche relazione con lo “scompenso” rituale causato appunto dalle improprie attribuzioni di Forza e Bellezza adottate dalla maggior parte delle logge nostrane. E questa forse una ipotesi non del tutto da scartare e che, in ogni caso, potrebbe costituire un utile spunto per riflessioni di non secondaria importanza circa la funzione ed il ruolo di organizzazioni iniziatiche, quali la Massoneria, negli equilibri del mondo.


[1] Sarebbe interessante, a questo proposito, esaminare più d’appresso il mito di Semele, madre di Dionisio, la quale, avendo richiesto di vedere Zeus nella sua gloria divina e non essendo preparata a sopportare un tale splendore, venne “folgorata” da questa visione.

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SUL “CONOSCI TE STESSO”

SUL “CONOSCI TE STESSO”

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

in una delle ultime tornate, dopo l’intervento di alcuni Fratelli, mi pare che sia emerso il dubbio sulla opportunità del nostro lavoro di Loggia, sul “conosci te stesso”.

E veramente necessario questi lavoro?

Alcuni di noi sono spinti a rispondere affermativamente a questa domanda. Ma quali sono le argomentazioni che rendono i essi così sicura questa risposta?

Indubbiamente, come prima cosa, deve avere molto peso la convinzione che essi hanno di trascorrere la vita in compagnia di quella entità che noi chiamiamo “se stessi”, senza avere la possibilità di conoscerla minimamente. Molti di noi, al contrario, sono convinti di conoscere se stessi, almeno in parte. Altri invece credono decisamente di conoscere perfettamente tale entità.

In che maniera quelli che ritengono di conoscere se stessi sono giunti a tale conclusione?

Certamente posso dire per esclusione, perché io faccio parte di quella schiera. Noi abbiamo cioè continuato ad eliminare, via via, tutte le affermazioni di questo tipo “Ecco, io posso finalmente identificarmi con questa entità”. Nessuna, perciò, delle entità con le quali ci siamo, via via, identificati ci è sembrata e ci sembra adatta per il rappresentare il “noi stessi”.

Eppure, a prima vista, sembra impossibile che non debba esistere un qualche cosa che sia adatto per rappresentare noi stessi. In ultima analisi, ognuno di noi, durante la sua esistenza è pur riuscito a comporre una immagine di se stesso che risponde alle sue esigenze. Alcuni di noi sono così convinti di possedere la “vera” immagine di se stessi che, ogni tanto, specialmente quando si trovano in difficoltà, conversano con codesta immagine, chiedono ad essa consiglio ed accettano le sue decisioni, come se queste provenissero effettivamente da qualche cosa di soprannaturale. Ma è vera questa convinzione o è frutto di una illusione, costruita dalla mente, che in noi tutto decide e tutto vuole?

Ecco che si vengono a costituire due opposte tendenze, due opposti partiti. Da una parte, un gruppo di noi è convinto di conoscere perfettamente il “se stesso”, e di non avere il minimo dubbio su tale argomento. Dall’altra parte, un altro gruppo afferma che il “se stesso” non può essere identificato con alcunché di materiale, e che diventa perciò impossibile una ricerca su di un piano comunemente mentale, poiché crede che qualsiasi immagine mentale di se stessi sia frutto della mente e, come tale, un’illusione.

Queste due posizioni opposte devono essere chiarite.

Non possiamo continuare per secoli nella disputa, rafforzando con esse le avverse posizioni. A noi si addice una chiara analisi dei fatti, alla luce della ricerca appassionata, con piena coscienza di causa, senza fanatismi o facili conclusioni di tipo enciclopedico.

E possibile fare tale ricerca?

Per conto mio il problema si può presentare così: esiste un’entità che noi chiamiamo noi stessi. Questo almeno mi sembra vero. Ognuno di noi crede nell’esistenza di tale entità. Può questa entità essere modificata, controllata, dominata, voluta in un certo modo, piuttosto che in un altro?

Se tale è la natura, essa è di origine mentale. Essa può subire perciò tutte le modifiche che sono alla portata del nostro desiderio, delle nostre aspirazioni. A questo livello, tale entità può essere totalmente conosciuta, nella stessa maniera in cui può essere conosciuta l’archeologia o la chimica. Ma se questa conclusione non ci soddisfa e se tutto quello che noi siano come entità sociale, economica, politica, religiosa non ci soddisfa, perché in qualche modo siamo portati a ritenere che il “noi stessi” possa esistere come entità non voluta dalla mente e che abbia una esistenza prima della nostra nascita e dopo la nostra morte, allora dobbiamo ritenere che questa entità è di natura extra sensoria e perciò extra mentale.

Questa entità risulta quindi essere di tipo super o extra, per cui ogni nostro intervento per un suo eventuale dominio o modificazione non può essere attuato. E anche il tipo di approccio cui dobbiamo ricorrere per fare la sua conoscenza deve essere di un tipo speciale, non comunemente alla nostra portata. se noi decidiamo per il primo tipo di noi stessi (per intenderci, di tipo mentale), allora il nostro comportamento sociale sarà del tipo autoritario, insofferente, altero, con un certo disprezzo per coloro che non sono riusciti ad attuare un’esistenza “degna”.

Certamente un uomo così fatto sarà portato alla lotta, all ‘incomprensione, all ‘odio o ad un tipo di beneficenza distaccata e piena di sussiego.

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Se noi decidiamo, invece, per il secondo tipo di “noi stessi”, il non intervento, l’incapacità di comprendere un’entità di tipo extra sensorio ci porterà alla ricerca, alla comprensione, alla tolleranza, alla visione distaccata del mondo. Questo è per me il problema, tracciato in grandi linee, vagamente delineate, secondo uno schema del tutto insufficiente e provvisorio. Molte convinzioni relative alla nostra esistenza si fondano sulle conclusioni di questa ricerca.

Saremo noi in grado di trovare una risposta sufficiente?

Forse no; ma se una tale risposta esiste, non può essere certamente cercata sui libri.

Comunque nell’ambito di questa Loggia i termini opposti esistono. Conosciamo o non conosciamo noi stessi?

Se tutti noi fossimo convinti di conoscerci, questa ricerca sarebbe ovviamente inutile e sprecheremmo il nostro tempo se ci soffermassimo a considerare simili oziose argomentazioni. M hanno veramente tanto coloro che affermano di non conoscere se stessi? L’unico modo per saperlo è di intraprendere una ricerca e di guardare a fondo nella questione, poiché accantonandola la si evita e non la si risolve. Date queste premesse, ritengo più che giustificata la ricerca sul conosci te stesso.

TAVOLA DEL  FR.’. A.’.  B.’.

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Il LIBERO MURATORE E IL SUO MONDO

Il LIBERO MURATORE E IL SUO MONDO

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

Il tema proposto all ‘attenzione dei Fratelli della nostra Officina quale motivo conduttore per i lavori di questo anno massonico, è forse assai più vasto e complesso di quanto si sarebbe tentati di pensare a prima vista e, pertanto, dietro l’invito del Maestro venerabile e a particolare beneficio dei Fratelli Apprendisti, mi accingo ad esporre alcune considerazioni che, oltre a servire da premessa par tali lavori, potranno eventualmente fornire lo spunto per sviluppi futuri.

Ho fatto accenno alla prima camera perché è in essa che il Libero Muratore entra per la prima volta in contatto con quel luogo “illuminatissimo e regolarissimo” rappresentato dalla Loggia Massonica. Questa sarà dora innanzi “il suo mondo”, ovvero quell ‘ambiente particolare nel quale il Muratore “libero e di buoni costumi”, cioè in possesso delle qualificazioni richiesta, potrà sviluppare, con il proprio lavoro personale e sotto la guida costante dei fratelli più esperti, quelle possibilità di ordine superiore che egli porta in se stesso allo stato di pure virtualità.

Bisogna innanzitutto osservare che la “loggia” è propriamente costituita quando una collettività di Liberi Muratori è riunita in modo rituale, quando qualunque sia d’altronde il luogo nel quale avviene tale riunione, e non deve pertanto essere confusa con il Tempio, cioè con l’edificio in cui la Loggia svolge abitualmente, ma non necessariamente, i propri lavori. Le misure tradizionali della Loggia già la distinguono dal Tempio e fanno di essa la misura stessa del Cosmo; essa infatti, come precisano esplicitamente alcuni Fratelli “è lunga da Oriente ad Occidente, larga da Settentrione a Meridione, alta dalla superficie della Terra al Cielo e profonda fino al centro del nostro globo” e in termine stesso di “Loggia” pare non privo di relazioni con la parola sanscrita “loka”, che significa “mondo o universo”, ma anche “stato”. La Loggia, nondimeno, si costituisce all’interno di una “cinta sacra”, la quale altro non è se non la forma di un doppio quadrato e i punti che la determinano sono detti “Landmarks”, termine inglese che serve ad indicare i picchetti posti su di un terreno per definire i confini di una superficie determinata.

I Landmarks, intesi simbolicamente, sono per il Massone i principi fondamentali ed immutabili che regolano l’edificazione del Tempio; essi rappresentano la traduzione in linguaggio umano di un “ordine” divino e definiscono, pertanto, il metodo proprio alla particolare via iniziatica nota con il nome di Libera Muratoria. Le vie iniziatiche, infatti, pur avendo tutte lo stesso fine e alcuni tratti essenziali in comune, come l’uso del simbolismo nell’insegnamento e la presenza di funzioni particolare atte a trasmettere tale insegnamento in modo regolare, utilizzando di fatto tecniche e metodi diversi onde potersi adattare alla varietà delle nature umane; a ciò si riferisce un detto orientale secondo il quale “le vie sono tante, quanti sono i cuori degli uomini”. La via massonica ha, come le altre, i suoi metodi, i suoi simboli, e le sue funzioni particolari; Io sforzo di ogni Muratore deve quindi essere teso innanzitutto alla assimilazione e alla comprensione di quei metodi, simboli e funzioni che “il suo mondo” gli offre e divenire così parte attiva e cosciente nella edificazione del Tempio vivente secondo il posto assegnatogli dal Grande Architetto dei Mondi nella costruzione universale.

Per quanto riguarda, in particolare, le funzioni di Loggia, sarebbero necessari lunghi sviluppi per dimostrare come esse derivino in modo abbastanza diretto da quello che possiamo chiamare l’ordinamento della Massoneria Operativa, ovvero dell ‘insieme delle antiche confraternite di Costruttori alle quali dobbiamo anche quanto è rimasto degli antichi Landmarks. Non essendomi possibile in questa sede ampliare tale argomento, che potrà essere oggetto di studio nel corso di questo ciclo di lavori, mi limiterò soltanto ad osservare che sia i Dignitari che gli Ufficiali in Loggia, così come i gioielli da loro indossati, noti come i “gioielli nobili”, sono innanzitutto dei simboli allo stesso titolo di tanti altri che decorano le mura e le colonne del nostro Tempio; i Dignitari e gli Ufficiali esprimono altrettanti “attributi” o “aspetti”, se così si può dire del G U :. e, pertanto, prima di essere degli iniziati che operano in conformità con i rispettivi doveri, sono i supporti sacri del particolare tipo di influenza spirituale che è collegata alla loro funzione ed è per loro tramite che un legame con il principio spirituale che essi rappresentano può essere mantenuto.

Queste ultime considerazioni potranno forse apparire un poco oscure, in particolare ai Fratelli di più giovane età massonica; al fine di renderle meglio comprensibili, mi soffermerò più a lungo sul secondo dei punti che, nell’ambito del nostro programma, intendiamo approfondire, quello inerente alle modalità particolari dell ‘insegnamento iniziatico in Massoneria.

Il simbolo più centrale dei nostri Templi è rappresentato dall ‘Ara, sulla quale sono disposti il Compasso, la Squadra e il Libro della Legge Sacra. Nelle Logge inglesi, sulla parte dell’Ara rivolta verso Occidente, è sovente presente un altro simbolo, costituito da un cerchio con il suo centro e da due linee verticali e parallele ad esso tangenti.

Questo simbolo, inspiegabilmente tralasciato dalla Massoneria latina, è alquanto importante giacché, come indica il rituale inglese, “il punto entro il cerchio” rappresenta il “luogo” raggiunto il quale un “Maestro Massone può errare”; in altri termini, tale “punto” raffigura la perfezione massonica e l’ottenimento della Luce. Esso corrisponde pertanto al “fine” dell’insegnamento iniziatico impartito in Massoneria e, non a caso, è situato sull’Ara proprio al di sotto delle “Tre Grandi Luci” di Loggia, il Compasso, la Squadra e il Libro.

Tali Grandi Luci, il Compasso che serve a tracciare le figure curve, la Squadra che serve a tracciare le figure quadre, ed il Libro che contiene in forma di Rivelazione le leggi che regolano l’esistenza, sono spesso intese come i simboli del Cielo, della Terra e dell ‘Universo manifestato, nel cui ambito si esplicano le azioni e le reazioni reciproche delle influenze celesti e di quelle terrestri.

Il Maestro Massone, che ha raggiunto il “punto entro il cerchio”, si trova quindi tra la Terra ed il Cielo, ovvero fra Squadra e Compasso, ed è ormai in grado di leggere direttamente il Libro della Norma universale divenendo così il Maestro per eccellenza e l’interprete veridico della volontà del Grande Architetto; per il suo tramite, coloro che percorrono la via, possono sperare di pervenire essi stessi, se ne avranno le capacità, alla Luce massonica o, in altre parole, alla umana perfezione.

Il Maestro Massone è il primo dei tre Regolatori Visibili, gli altri due essendo il Sole e la Luna. Questi con in tre Invisibili Pilastri che sostengono la Loggia, ovvero Saggezza, Forza e Bellezza, sono simboleggiati dalla tre Piccole Luci, i tre ceri che, durante il rito di Apertura dei

Lavori, sono accesi in corrispondenza delle tre stazioni del Sole, l’Oriente, il Mezzogiorno e l’Occidente. Le tre Piccole Luci sono inoltre fisicamente rappresentate dal Maestro Venerabile, che accende il cero orientale, dal 1 0 Sorvegliante, che accende il cero occidentale, e dal 20 Sorvegliante che accende il cero di Mezzodì.

Da un certo punto di vista, queste tre triadi, dei “Regolatori Visibili”, del “Pilastri Invisibile” e dei tre principali Maestri di Loggia rappresentano una relazione abbastanza evidente con le tre Grandi Luci che, in qualche modo, sono così trasposte dal piano universale al piano umano. Il perfetto Maestro Massone e i due Luminari diurno e notturno stanno dalla parte celeste, i tre pilastri da quella terrestre e i tre Maestri di Loggia, mediatori e interpreti degli uni e degli altri nei confronti dei Fratelli, si situano in corrispondenza del Libro ovvero della Scienza Muratoria di cui il Maestro Venerabile in particolare è, come dice il rituale, il principale depositario.

Per tornare ai Regolatori, è detto, nel rituale inglese, che “il Sole regola il Giorno, la Luna la Notte, ed il Maestro Venerabile, avendo per norma il moto dell’uno e dell’altra, regola il lavoro di Loggia”. In effetti, se si riflette sul contenuto dei nostri rituali, si noterà che al 1 0 Sorvegliante è affidata la zona chiara del Tempio, al 20 Sorvegliante quella oscura ed la Maestro Venerabile tutta la Loggia. Il 1 0 Sorvegliante governa il Sud, la colonna dei Compagno, e tale parte, per le corrispondenze analogiche che presenta con la suddivisione del giorno, corrisponde al periodo che va dall ‘Alba al Tramonto; pertanto il 1 0 Sorvegliante si occupa di controllare il lavoro, che si svolge appunto durante il giorno e richiede, da parte di chi lo compie, sforzo e resistenza, necessitando oltre che della Luce, della “Forza”. Il 2 0 Sorvegliante governa il Nord, la colonna degli Apprendisti, e tale parte, per la stessa analogia citata in precedenza, corrisponde al periodo di riposo che, nel ciclo del giorno, va dal tramonto all’alba; è questo quel momento di ripiegamento su se stessi e di purificazione che caratterizza il primo grado. Trovandosi l’Apprendista in una fase che può essere paragonabile al sonno, egli deve osservare il “silenzio” e fino a quando non sarà compiuta la sua trasmutazione interiore, che necessita dell ‘oscurità e della “Bellezza” per potersi attuare, non potrà partecipare attivamente al lavoro di Loggia. Il Maestro Venerabile, infine, governa tutta la Loggia e in particolare il lavoro dei Maestri che, come insegna il rituale, no si arresta mai, non conosce cioè né il giorno, né la notte, né la Luce, né l’oscurità, giacché i Maestri, almeno virtualmente, si pongono al di là del tempo e dello spazio e di tutti i cicli particolari.

Il Maestro Venerabile e il 1 0 Sorvegliante, simboli viventi delle “Piccole Luci”, traducono esteriormente, in virtù della loro “funzione”, l’insegnamento iniziatico ispirato dal “centro”, da quel “punto entro il cerchio” ove si manifesta, per la mediazione del perfetto Maestro Muratore, la “presenza” vivificatrice del divino Architetto dei Mondi. Gli emblemi di questa “presenza” sono appunto le “grandi Luci”, la Squadra, il Compasso e il Libro della Legge Sacra; queste si situano nel punto della Loggia corrispondente alla traccia dell’invisibile asse verticale che collega fra di loto tutti gli stati dell’esistenza, sia quelli superiori, cui si riferisce il Compasso, sia quelli inferiori, cui si riferisce la Squadra. A ulteriore conferma della natura di questo “centro”, i quadri di Loggia inglesi riproducono abitualmente una scala a pioli che poggia sul Libro della Legge e che, come quella di Giacobbe, si perde nell’alto dei Cieli. Su di essa sono di solito raffigurati degli Angeli o degli emblemi delle tre virtù teologali: un libro aperto per la Fede, un’ancora per la Speranza e un cuore, o una coppa, per la Carità. Ai nostri tempi, raggiungere questa scala è certamente un compito assai arduo; la Massoneria tuttavia insegna, con i suoi simboli, che per farlo sono indispensabili i Pilastri, i Regolatori ed i Maestri; i primi conferiscono la stabilità necessaria a sostenere le inevitabili prove, i Regolatori consentono, a stadi diversi del cammino iniziatico, di avere un punto di riferimento cui tendere, i Maestri, infine, passo dopo passo, guidano e controllano l’andamento del lavoro muratorio, sulla cui natura è forse opportuno spendere qualche parola.

A questo riguardo, il rituale inglese dona una indicazione abbastanza interessante quando, a proposito di Saggezza, Forza e Bellezza, si esprime nei seguenti termini:

 “Wisdom to contrive” (la Saggezza per progettare);

 “Strenghth to support” (la Forza per sostenere);

 “Beauty to adorn” (la Bellezza per adornare).

Il verbo inglese “to contrive”, riferito alla Saggezza, ha il senso di “escogitare”, “trovare abili soluzioni di un problema”, “fare piani o progetti”, “premeditare con astuzia”, e bene si adatta a colei che, in Loggia, è raffigurata come l’emblema della Saggezza, la Dea Minerva. A giudicare, quindi, dal termine usato per definire lo scopo, la Saggezza massonica sembra accordarsi bene con le caratteristiche proprie di una via artigianale. L’artigiano, come il Commerciante, prepara con pazienza e metodo lo sviluppo graduale dell’opera alla quale attende e non ama né la fretta febbrile, né la violenza, potendo l’una e I ‘altra compromettere il conseguimento del risultato voluto.

Non bisogna tuttavia dimenticare che Minerva, oltre ad essere la Dea delle Scienze, e delle Arti, è anche una Dea guerriera e pertanto l’artigiano dovrà, all ‘occorrenza, levarsi a combattere per la difesa dei propri beni materiali e spirituali. contro gli attacchi esteriori. I costruttori del secondo Tempio di Gerusalemme, detto di Zarobabele, erano spesso rappresentati con la cazzuola nella mano destra, per edificare la distrutta Casa del Signore, e con la spada nella mano sinistra, per tenere lontano coloro che volevano impedirne la ricostruzione. La cazzuola per cementare ed unire, la spada per respingere e disperdere i nemici. Nella prospettiva massonica, tuttavia, l’aspetto guerriero deve, a mio avviso, essere considerato più accidentale che essenziale, come lo sarebbe in una via, per esempio, di tipo cavalleresco, e anche la “Forza”, il secondo pilastro, va forse più intesa come resistenza e capacità di sopportazione piuttosto che come potere di soggiogamento; il rituale inglese, del resto, afferma che la Forza serve a sostenere (to support) e dare stabilità alle cose, non a conquistarle o distruggerle. Tutto questo, tuttavia, per non cadere in una visione sistematica e restrittiva, si riferisce alla predominanza di un punto di vista e non alla soppressione dell’altro.

Progettato con Saggezza ed edificato con Forza, il Tempio deve infine essere “adornato” per mezzo di “Bellezza” che, pur essendo la più esteriore delle virtù simboleggiate dai pilastri, è nondimeno essenziale affinché l’opera possa dirsi compiuta. La Bellezza è anche quella forza di attrazione verso le realtà di ordine superiore, la cui influenza dispone alla fratellanza e all’unità l’animo di coloro il cui cuore è almeno in parte purificato dagli attaccamenti individuali e dall’egoismo. Da un simile cuore la Bellezza, reggitrice del primo Grado, potrà far nascere quell’amore fraterno che, se non è l’essenza della Massoneria, né costituisce comunque l’ornamento principale.

Le considerazioni che precedono hanno dato forse qualche scorcio sulla scena in cui si svolge il dramma massonico e su alcuni dei suoi personaggi principali. In questa scena, che è il mondo del Libero Muratore, viene improvvisamente a trovarsi chi, fra quanti hanno bussato alla porta del tempio, è riconosciuto “libero e di buoni costumi”. Tale uomo, onde passare dal mondo profano a quello iniziatico, deve innanzitutto fare Testamento rispondendo a tre domande:

 Quali sono i tuoi doveri verso te stesso?

z:» Quali sono i tuoi doveri verso la Patria?

 Quali sono i tuoi doveri verso I ‘Umanità?

La parola Testamento, a questo riguardo, oltre ad alludere al noto simbolismo della Morte iniziatica, acquista un altro profondo significato. Essa implica infatti che qualunque possano essere le opinioni e le risposte del profano in merito alle tre domande, egli deve essere disposto a rinunciarvi e a reimparare tutto da capo, secondo una prospettiva assai diversa da quella che gli è stata abituale fino a quel momento. Se stesso, la Patria e l ‘ Umanità diventano, una volta iniziati, il Libero Muratore, il suo mondo e il mondo, giacché, dal punto di vista esoterico, i concetti ordinari devono in qualche modo essere trasposti e non più intendersi secondo il poro significato più esteriore.

In questa visione trasposta, naturalmente inaccettabile al profano che si trova nel Gabinetto delle Riflessioni, ecco che la Patria, quale terra dei padri, non sarà più intesa in senso nazionalistico, contraddicendo questo alla universalità della Massoneria, ma verrà concepita come la Libera Muratoria stessa: i “padri” saranno allora glia scendenti spirituali di cui il Libero Muratore raccoglie l’eredità e la posterità spirituale che, se fedele alla propria investitura iniziatica, conserverà gelosamente a vantaggio proprio e di quanti, in questa travagliata umanità o nel “mondo”, troveranno la forza e il desiderio di contribuire alla edificazione del Tempio Vivente.

TAVOOLA DEL FR.’.  A.’. B.’.

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BAMBINO SAPIENS: EVOLUZIONE O INVOLUZIONE?

BAMBINO SAPIENS: EVOLUZIONE O INVOLUZIONE?

Una riflessione sugli aspetti cognitivi dei nativi digitali

Claudio Spinelli

Professore Ordinario, Università di Pisa

Il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo

 e l’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso.

Italo Calvino, 1967

               L’espressione “Bambino Sapiens” non è comunemente utilizzata, ma il mio scopo nella scelta di questo titolo, è quello di evocare la dinamica dell’evoluzione cognitiva della specie umana, che ha permesso – già 70.000 mila anni fa – la supremazia dell’”Homo Sapiens” (sapiente/intelligente) su tutte le precedenti specie umane, e di aprire una riflessione su un argomento dibattuto: se il “bambino digitale” stia subendo, dall’uso delle nuove tecnologie, un processo di evoluzione o di involuzione? I “bambini digitali” o “nativi digitali” sono quelli nati all’inizio del terzo millennio e cresciuti in un ambiente fortemente influenzato dalle tecnologie. Dalla nascita, la luce giallo-blu dello Smartphone o del Tablet ha occupato il loro campo visivo in perfetta armonia con tutti gli altri oggetti a loro familiari. L’evoluzione o l’involuzione cognitiva dei nativi digitali è direttamente proporzionata al modo di utilizzo dei dispositivi. Se la tecnologia è utilizzata in modo consapevole e responsabile, apportando un contributo positivo oltre a sé stessi anche alla collettività, potremmo assistere a una vera e propria evoluzione cognitiva. Immancabilmente, i social network offrono ai giovani molteplici vantaggi, come la possibilità di accedere a una vasta quantità di informazioni o di risorse educative; la partecipazione a iniziative di solidarietà e di volontariato (basta pensare ai cosiddetti “angeli del fango”, la recente mobilitazione dei giovani, nata dalle chat, che ha portato aiuto alla popolazione alluvionata dell’Emilia-Romagna e della Toscana); l’opportunità di coinvolgere tantissime persone su problematiche sociali o ambientali, con la possibilità di promuovere azioni concrete, come ad esempio la raccolta di fondi online a scopi umanitari per i minori colpiti dagli orrori dei conflitti in corso. I social consentono, inoltre, come è successo durante la pandemia, di rimanere in contatto con i familiari, amici o docenti anche quando sono fisicamente distanti. Al contrario, un uso eccessivo o poco attento della tecnologia digitale da parte dei giovani può avere un effetto involutivo: con conseguenze negative, sia sul comportamento sociale, sia sulla salute mentale. La prima domanda che dobbiamo porci, credo che sia questa: è sbagliato o è corretto demonizzare i social-network? L’uomo, per sua natura, ha sempre cercato, nei vari momenti del passato, un elemento da demonizzare, da ritenere il principio del “male”. E, oggi, sembra che i nemici, su cui è stato puntato il dito, siano lo Smartphone, Instagram, TikTok, Facebook e più recentemente anche l’intelligenza artificiale. Nella storia della società umana, le nuove conquiste scientifiche hanno sempre acceso un’iniziale resistenza. L’insidia del “nuovo” ha origini antiche: già Lucrezio, Seneca e Plinio il Vecchio avevano affrontato il tema dell’ambivalenza del “progresso” (progredior in latino: avanzare, procedere, progredire). Il progresso tecnico, secondo Lucrezio (98-50 a.C. –De rerum natura), era una “necessità storica”, anche se non garantiva all’umanità una maggiore felicità; addirittura, poteva perfino accentuare il suo declino morale, con degenerazione dei rapporti umani. Per Seneca (4 a.C.- 65 d.C. – Epistole a Lucilio) il vero progresso era quello spirituale e non quello tecnico. Per Plinio il Vecchio (morte 79 d.C. –Naturalis Historia) il vero progresso era quello che determinava un miglioramento morale. Inoltre, egli affermava che l’uomo era l’unico essere nato imperfetto, capace di danneggiare il suo simile: la maggior parte dei mali che capitano all’uomo sono cagionati dall’uomo stesso(“homini plurima ex homine sunt mala”); “L’uomo – sosteneva– non sa nulla se non glielo insegnano, né parlare, né camminare, né mangiare; in poche parole, spontaneamente non sa fare altro che piangere”. Infatti, in confronto agli altri animali, gli uomini nascono “prematuri”. I bambini devono essere educati e plasmati più di qualsiasi altro animale: escono dall’utero come se fossero vetro fuso e possono essere trasformati, aggiustati e modellati, con un grado di libertà sorprendente. Il loro cervello ha una proprietà fondamentale, quella della “plasticità”, cioè di modificare sé stesso: crea di continuo nuove connessioni sinaptiche, demolendo i vecchi circuiti neuronali e ricostruendone dei nuovi, per poi demolirli e ricostruirli ancora. Grazie a questo processo, definito “pruning” (potatura): una vera e propria potatura delle connessioni cerebrali non necessarie, il cervello riesce con rapidità a cambiare i suoi comportamenti adattandosi alle necessità che via via incontra.  Il cervello dei bambini è come una spugna, assorbe tutto ciò che gli viene immesso. E, quale trasformazione subirà la materia cerebrale dei “nativi digitali” dall’uso indiscriminato delle nuove tecnologie? Una delle principali preoccupazioni è che l’acquisizione di una mentalità scientifica e tecnica, da parte delle nuove generazioni, porti ad un deterioramento nel comportamento etico; a una vera e propria disumanizzazione, fino alla dissolvenza dell’”essenza” stessa dell’uomo, cioè della sua “umanità”: basata su valori che pongono al centro la “dignità e il rispetto della persona umana”. Questo inquietante rischio era già stato preannunciato, in passato, da filosofi, come Martin Heidegger (Lettera sull’Umanismo- 1947) e Günther Anders (L’uomo è antiquato -1956), e da scienziati, come Albert Einstein (Lettera dell’aprile 1946). Purtroppo, non è possibile, e non è mai stato diversamente da millenni, mettere in discussione il valore della scienza; tutto, comunque, dipende da come la si usa. La scienza è alla base della civiltà umana, anche se può nascondere imprevisti; un esempio eclatante è stata la scoperta della reazione di fissione nucleare e la costruzione della bomba atomica, con i suoi effetti devastanti su Hiroshima e Nagasaki. Sappiamo benissimo che il “male” si introduce sempre sotto la parvenza del “bene” ed è impossibile discernere, inizialmente, il male dal bene, perché essi sono intrecciati. Il bene e il male rappresentano due aspetti della stessa cosa; come la verità e la menzogna – come ci insegna la parabola evangelica del Buon Seminatore. Questo concetto, ci permette di comprendere che prendiamo coscienza del male, come della menzogna, solo in un momento posticipato…solo dai loro effetti. Probabilmente la moderna tecnologia provocherà sull’uomo …sulle nuove generazioni una “mutazione antropologica”; una modificazione nel modo di pensare e di agire. Quest’ultimo aspetto credo che sia un nuovo e pressante problema sociale su cui riflettere! Alcuni dati recenti (da parte del Dipartimento di Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità), sui comportamenti giovanili in Italia, sono allarmanti: due milioni di ragazzi fino a 17 anni sono colpiti da disturbi neuropsichiatrici, con un incremento degli accessi al pronto soccorso pediatrico del 12%; con un aumento dei comportamenti autolesivi e suicidari, rispetto al periodo pre-Covid, del 27%. Il 59% dei ragazzi, tra i 13 e i 25 anni, presentano disturbi di condotta alimentare (bulemia/anoressia); il 12% degli studenti, prevalentemente maschi, sono affetti da disturbi da uso eccessivo di videogiochi: una forma di dipendenza digitale (digital addiction) associata a comportamenti ossessivo-compulsivi. Da sottolineare, inoltre, che il cervello in questo periodo della vita è più reattivo alla dopamina: il neurotrasmettitore del piacere, che induce gli adolescenti a ricercare di continuo una gratificazione, incrementando il rischio di abuso o di dipendenza; analogamente a ciò che succede per l’alcool e la droga. Questi soggetti manifestano il loro disagio mentale, con il silenzio, con l’isolamento (in casa o in camera), escludendosi dal mondo reale e rifugiandosi nel mondo virtuale (Social, video-game). Questo fenomeno di “esclusione sociale volontario” viene definito con un termine giapponese “Hikikimori”, che significa starsene in disparte. Dietro questa loro “fragilità”, spesso, si nasconde un’“aggressività”, che può manifestarsi con fenomeni di incitamento all’odio – hate speech – o di cyber-bullismo o di revenge porn (diffusione, per vendetta, di immagini sessualmente esplicite allo scopo di umiliare la vittima). Un’altra complessa e sensibile questione, connessa all’uso dei social, è l’”erotizzazione precoce dell’infanzia”, a causa dell’esposizione – tra i 9 e i 14 anni- a video erotico-sessuali, che pur essendo mistificati (falsi e alterati con astuzia) sono accettati come “normali e reali” e di conseguenza come modelli comportamentali-imitativi. Le immagini pornografiche possono determinare negli adolescenti alterazioni dello sviluppo psicoaffettivo e spingerli, al fine di soddisfare a tutti i costi le proprie emozioni, ad azioni impulsive e violente. Il “suicidio” rappresenta la seconda causa di morte nei giovani tra i 15 e i 26 anni (la prima sono gli incidenti stradali). Esso nasce, per lo più, dall’”angoscia del futuro” (crisi economica, ambientale, guerre). La visione della mancanza di un futuro genera nei giovani un “presente” ansiogeno; così, il loro percorso esistenziale sembra mancare di una precisa destinazione, di una meta. Essi sembrano fuggire da tutto ciò che è “solido” e “durevole”; avvalorando la visione profetizzata da Zygmunt Bauman, nel 2002, della “società liquida”. I giovani digitali crescono spesso con un “Io ipertrofico”: non accettano consigli e non vogliono essere giudicati. Essi sono rivolti alla continua ricerca della notorietà virtuale. Il mondo virtuale, a sua volta, plasma la loro interiorità o identità, “idealizzandola”, orientandola verso un modello astratto di perfezione e di bellezza che tende a mutare di continuo e per questo definita: “Identità digitale fluida”. La loro ingannevole identità è poca propensa ad accettare gli “inciampi del vivere”, l’”incompiutezza del vivere”. Essa si scontra, man mano che crescono, con una realtà diversa da quella immaginata: le illusioni si trasmutano in disillusioni innescando possibili disturbi della personalità. Il rischio è che i giovani, confusi dalle varie “identità digitali” che via via assumono, si allontanino sempre più dalla propria “identità reale” e, contemporaneamente, anche dalla propria capacità “critica”, “riflessiva”, “emotiva” e “immaginativa”. Al contrario delle “relazioni a faccia a faccia” in cui domina la spontaneità, nelle “relazioni digitali” essi cercano di mascherare e reprimere le vere emozioni, specialmente quelle negative, come la rabbia o l’invidia. Essi preferiscono rinunciare alla propria “Libertà Emotiva” pur di evitare l’isolamento dai social, adeguandosi alle scelte della maggioranza o del “gruppo”. La percezione del venir meno della propria autonomia decisionale riduce, conseguentemente, anche l’“autostima”. Questo processo conduce, immancabilmente, a un “impoverimento della personalità” o della “unicità” dell’individuo stesso, trasformandolo in un vero e proprio “Automa Sociale”: un “individuo massificato e omologato; individui simili gli uni agli altri, incapaci di distinguere fra realtà e irrealtà. Un ulteriore fenomeno, che si sta delineando nel mondo giovanile in maniera sempre più netta, è quello dell’“impoverimento del linguaggio”, correlato all’eccessivo utilizzo degli Smartphone, all’informalità delle Chat e all’esiguo tempo libero dedicato alla lettura (infatti, da una ricerca promossa dalla Regione Toscana, nel 2023, su 15000 ragazzi da 11 a 17 anni: “La maggior parte degli adolescenti non legge nessun libro -non scolastico- in un anno e tra chi si dedica alla lettura il numero dei libri difficilmente supera la soglia di due”). Non dobbiamo dimenticare che i pensieri sono proporzionali alle parole che possediamo…e quando abbiamo poche parole, abbiamo anche pochi pensieri; per quel “misterioso meccanismo mentale” in cui il pensiero genera la parola e dalla stessa parola viene a sua volta definito e precisato, ma anche per la “complementarità del vedere e del parlare”: perché nel momento stesso che osserviamo, parliamo dentro di noi in modo conscio o inconscio, istante dopo istante: “vediamo-parlando”.

     Sulla base di queste riflessioni, la domanda conclusiva che ci dobbiamo porre è come prendersi cura delle nuove generazioni? Io credo che iniziare a riflettere e a comprendere l’influenza dei mezzi tecnologici sullo sviluppo neuro-psichico dei bambini, sia utile per diffondere un movimento di pensiero che abbia come fine quello di controllare e arginare gli aspetti negativi di questo fenomeno. Se il nativo digitale beneficerà o meno dalla tecnologia, dipenderà da come essa verrà utilizzata. I giovani devono essere consapevoli dell’importanza che la loro partecipazione online avvenga in modo sempre più responsabile. Fondamentale sarà il ruolo svolto: dalla “famiglia”, spesso distratta nei confronti del disagio dei figli; dalla “figura del padre”, di cui oggi assistiamo a una completa evaporazione; dalla “scuola”, pilastro educativo dopo la famiglia, che sembra venire meno al proprio compito primario; dalla “società”, di cui oggi stiamo assistendo al suo fallimento, perché il suo elemento fondante, il senso della “socialità” (la relazione socievole tra individui), sembra sbriciolarsi; si sta diffondendo una sorta di “non-socializzazione”: sempre più virtuale, superficiale, rapida ed egocentrica. Io credo che sarà necessario, nel migliorare e responsabilizzare la popolazione giovanile all’uso della tecnologia digitale, che tutte queste istituzioni – la famiglia, la scuola e l’intera società- si sforzino ad intraprendere un “nuovo percorso di tipo culturale”, sinergico e sapiente (Sapiens!). Solo così, mi auspico, potremmo assistere a una reale evoluzione cognitiva del genere umano.   

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GRANDE ORIENTE DEL PAESI BASSI

GRANDE ORIENTE DEL PAESI BASSI

Ambasciata della Repubblica Italiana

Z.E. Andrea Perugini

Alexanderstraat 12

2514 J’. Den Haag

Paesi Bassi

L’Aja, 16 giugno 2018

Eccellenza,

oggi, durante l’annuale assemblea generale dell’Ordine della Massoneria dei Paesi Bassi a Bussum, ho espresso la mia preoccupazione sull’intenzione del nuovo Governo italiano di escludere massoni da funzioni pubbliche. È noto che ai regimi autoritari non piacciano i liberi pensatori, ma è uno choc che in un democratico paese europeo si stia preparando un divieto professionale per massoni.

Abbiamo inviato una dichiarazione di sostegno al Grande Oriente d’Italia (GOI), con il quale manteniamo fraterni legami. Allegata a questa lettera troverà la dichiarazione dello stesso Gran Maestro Stefano Bisi, che condividiamo di tutto cuore. I veri massoni sono lontani da attività illegali. La massoneria non è un marchio registrato: chiunque può definirsi massone, oppure cristiano o musulmano. La massoneria è sempre allerta ai gruppi che abusano del suo buon nome a propri fini, perché la massoneria riconosciuta a livello internazionale non persegue obiettivi politici.

E proprio per via del ruolo patriottico che i massoni hanno esercitato nella storia d’Italia, che pseudo-massoni hanno creato logge finte, nascondendo così le loro attività. Queste logge non appartengono alla massoneria riconosciuta d’Italia. Insieme ai nostri fratelli del GOI offriamo al Governo italiano la nostra assistenza nello smascherare di finte logge massoniche.

I fondatori dell’Italia furono massoni. In ogni città ci sono piazze o strade che hanno preso il nome da Garibaldi, Mazzini o Cavour. I nostri fratelli Paganini e Puccini hanno composto la più bella musica. È impensabile che gli italiani si dimentichino di tutto questo per schierarsi tra i paesi come l’Iran e la Corea del Nord, in cui la massoneria è proibita. L’Italia sta presentando il brutto esempio e sarà superato da paesi come la Cuba e la Turchia, dove la massoneria è permessa. E un diritto inalienabile di ogni cittadino di scegliere la propria convinzione politica o religiosa.

Ovunque in Europa si prepara una nuova legislazione sulla privacy, mentre il Governo italiano esige la pubblicazione di elenchi dei soci. La Corte Europeo ha rispinto tali azioni già nel 2009. L’esitazione dei fratelli italiani di farsi conoscere, ovviamente, ha a che fare con la persecuzione della massoneria durante la seconda guerra mondiale.

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La massoneria è una linea di condotta per liberi cittadini. Libertà, tolleranza e fratellanza sono le sue caratteristiche. In questo conflittoso mondo il nostro ideale di fratellanza è attuale più che mai. Per noi conta solo la dignità dell’essere umano, indipendente da razza, fede, inclinazione sessuale o convinzione politica.

La prego di trasmettere le nostre preoccupazioni, eppure l’offerta della nostra assistenza al Presidente della Repubblica Italiana eppure al Primo Ministro. Lavoriamo insieme per il futuro dei cittadini in genere e per quelli d’Italia in particolare.

PorgendoLe la mia più alta stima,

Gerrit van Eijk

Gran Maestro del Grande Oriee dei Paesi Bassi

tradotto da Marinus Schouten, L’Aja, 15 giugno 2018 

Allegato 1: La dichiarazione della Giunta del Grande Oriente d’Italia

Per il Grande Oriente d’Italia è Incostituzionale la clausola sulla Massoneria del

Contratto stipulato tra le parti del futuro esecutivo. E chiede l’intervento del Presidente della Repubblica

I Massoni del Grande Oriente d’Italia giurano solennemente fedeltà alla Repubblica Italiana. Lo fanno sulla Carta Costituzionale e s’impegnano a rispettarne le norme e le leggi. L’idea di inserire una clausola antimassonica nel contratto stretto tra Lega e M5S è contraria ai principi costituzionali. Ricorda le leggi fasciste che i Massoni hanno sempre denunciato e che sono la conseguenza di una pericolosa deriva liberticida. Gli articoli 2, 3, 18 e 21 della Costituzione sono molto chiari e non ammettono patti negoziali che impediscano a categorie di cittadini di esercitare la libertà di partecipazione, d’espressione e d’associazione in tutte le sue forme. Chi pensa per fini politici di sfruttare una campagna contro i Massoni e di impedire l’esercizio dei diritti primari commette un abuso e deve assumersene ogni responsabilità.

Questa odiosa discriminazione non solo reca offesa alla storia d’Italia, al cui farsi come

Nazione e al cui progresso civile i Massoni da Garibaldi a Carducci, da Mameli a Crispi, da Fermi a Ruini, a Quasimodo, hanno dato un contributo fondamentale; ma procura anche inquietudine nell’opinione pubblica di tutte le grandi Democrazie Occidentali, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, alla Francia, nelle quali l’appartenenza alla Massoneria è sinonimo di attaccamento patriottico e lealismo costituzionale. Ricordiamo a tutti i Deputati e Senatori neoeletti e in modo particolare ai leader ed ai Parlamentari delle due formazioni che si candidano a reggere le sorti della nostra Nazione che essi devono rappresentare tutti i cittadini e li invitiamo a ri-leggere qualche utile pagina di storia partendo dal Risorgimento e finendo all’Istituzione della Repubblica Italiana.

I Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia hanno inviato una lettera al Capo dello Stato, garante di tutti gli italiani, in cui chiedono che vigili perché la Costituzione sia applicata nella sua interezza e senza discriminazioni.

La Giunta del Grande Oriente d’Italia

Roma, Il Vascello 18 maggio 2018

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IL LAVORO DEL MURATORE

Il lavoro del muratore

Si seguì poi la folla, che procedeva lentamente e che ora aveva formato un cerchio intorno all ‘area della futura casa. Il proprietario, la sua famiglia e i principali fra gli ospiti, furono invitati a scendere nella fossa, dove 1a prima pietra, appoggiata a una parete, era già pronta per essere posta. Un muratore tutto in ghingheri, con la cazzuola in una mano e il martello nell’altra, tenne un brioso discorso in versi, che in prosa possiamo rendere solo imperfettamente.

“A tre cose”, egli cominciò, “bisogna badare in una costruzione: che sia opportunamente situata, ben fondata e perfettamente eseguita. Il primo punto è certamente di competenza del proprietario; poiché, come in città solo il principe e il comune possono determinare dove si debba costruire, cosi in campagna è prerogativa del padrone dire: qui e non altrove ha da essere la mia casa”.

A queste parole Edoardo ed Ottilia non osarono guardarsi, benché fossero vicinissimi e l’uno in faccia all ‘altra.

“11 terzo punto, l’esecuzione, è a cura di molti operai; che sono pochi quelli cui non tocchi occuparsene. Ma il secondo, le fondamenta, è compito del muratore e, per dirla schietta, è il cardine di tutta l’opera. E un lavoro serio, e serio è questo nostro invito, poiché questa solennità si comincia nel profondo della terra. Qui, dentro a questo spazio strettamente scavato, fateci l’onore d’essere testimoni del nostro lavoro segreto. Ora deporremo questa pietra ben stagliata e tra poco queste pareti di terra, ora adorne di belle e degne persone, non saranno più accessibili e verranno completamente colmate.

“Questa pietra, che col suo angolo determina l’angolo retto della costruzione, col suo profilo rettangolare ne informa la regolarità, colla sua orizzontalità e verticalità suggerisce l’equilibrata posizione di tutti i muri e di tutte le pareti, noi potremmo senz’altro deporla, poiché riposa perfettamente sul suo stesso peso. Ma neppur qui deve mancare la calce, quale elemento di coesione: poiché come le creature che già per natura si sentono l’una verso l’altra inclinate, si associano ancor meglio quando la legge le unisce, cosi anche le pietre, che già combaciano per la forma, si saldano ancor meglio per mezzo di queste forze coibenti; e poiché non s’ addice rimanere oziosi fra gente che lavora, così voi pure non sdegnerete di farvi qui nostri collaboratori”.

Cosi dicendo porse la cazzuola a Carlotta, che con essa spruzzò di calce la faccia inferiore della pietra. Altri furono invitati a far lo stesso e la pietra fu subito posata; dopo di che a Carlotta ed agli altri fu offerto il martello perché con un triplice colpo consacrassero formalmente l’unione della pietra col suolo.

“11 lavoro del muratore”, prosegui l’oratore, “che ora vedete all’aria aperta, anche se non si svolge in segreto, è però destinato a restar nascosto. Le fondamenta accuratamente eseguite vengono sotterrate, e in presenza delle mura che noi stessi abbiamo tratte alla luce, v’è appena chi alla fine si ricordi di noi. I lavori dello scalpellino e dello scultore seducono di più la vista, e noi dobbiamo perfino reputare una fortuna che l’imbianchino cancelli completamente la traccia delle nostre mani e si appropri  del nostro lavoro nell’atto di rivestirlo, lisciarlo e colorirlo.

“Chi, dunque, meglio che il muratore lavora per soddisfazione personale quando eseguisce bene quello che fa? Chi più di lui agisce unicamente in forza di quella molla che è, la coscienza del proprio valore? Quando la casa è compiuta, il suolo spianato e lastricato, il muro esterno rivestito d’ornamenti, attraverso tutte le sovrapposizioni penetra ancor sempre l’occhio del muratore e riconosce quelle regolari accurate commessure, a cui l’insieme deve la sua esistenza e la sua conservazione.

“Ma come colui che ha commesso una mala azione deve temere che, nonostante ogni cautela, essa venga ugualmente alla luce, cosi chi ha fatto il bene in segreto deve attendersi che anche questo venga un giorno alla luce, contro la sua intenzione. Questo è il motivo per cui di questa pietra angolare noi facciamo anche una lapide commemorativa. Qui in queste nicchie variamente scavate, vari oggetti devono essere sotterrati a testimonianza per una lontana posterità. Queste scatole metalliche saldate contengono notizie scritte; su queste lastre di rame vengono incise varie cose degne di memoria; in queste belle ampolle di vetro sotterriamo il miglior vino vecchio, con la sua data di nascita; non mancano monete di vario valore, coniate quest’anno; tutte cose che abbiamo ottenuto dalla generosità del nostro padrone. E rimane ancora del posto, per il caso che qualcuno dei signori qui presenti avesse desiderio di trasmettere qualche cosa alla posterità”.

Facendo una breve pausa il compare girò lo sguardo intorno, ma come suole accadere in simili casi, nessuno era preparato, tutti erano colti alla sprovvista, finché un giovane e vivace ufficiale prese I ‘iniziativa e disse: “Se devo contribuire con qualche cosa che ancora non sia stato deposto in questo prezioso ripostiglio, mi tagliere un paio di bottoni dall ‘uniforme, poiché meritano bene di passare ai posteri”. Detto fatto! e allora molti altri ebbero idee del genere. Le donne non tardarono a depositare qualcuna delle loro piccole forcine; fialette di profumo ed altri ornamenti non furono risparmiati; solo Ottilia esitava, finché Edoardo non la riscosse con una parola amichevole dalla contemplazione di tutti gli oggetti offerti e collocati nella pietra. Allora ella sciolse dal collo la catena d’oro, cui aveva tenuto appeso il ritratto del padre, e la depose lievemente sopra gli altri ricordi: dopo di che Edoardo diede ordine in fretta che immediatamente si calasse e si cementasse il ben commesso coperchio.

Il giovane muratore, che in quest’operazione s’era mostrato attivissimo, riprese la sua posa d’oratore e continuò: “Noi poniamo questa pietra per l’eternità, a garanzia del più lungo godimento possibile da parte dei proprietari presenti e futuri di questa casa. Ma mentre qui sotterriamo una specie di tesoro, pure insieme pensiamo, durante la più stabile di tutte le operazioni, alla caducità delle cose umane; noi presupponiamo una possibilità che questo coperchio saldamente sigillato possa di nuovo venire sollevato, il che non potrebbe avvenire altrimenti se non quando tutto fosse distrutto ciò che noi non abbiamo ancor neppure compiuto. Ma appunto perché questo venga compiuto, distogliamo il pensiero dall ‘awenire, ritorniamo al presente! Sollecitiamo il nostro lavoro, appena terminata questa festa, si che nessuno degli operai che dovranno proseguire l’opera sulle nostre fondamenta debba restare ozioso, e la casa cresca rapidamente fino al suo compimento, e dalle finestre, che ancora non ci sono, il padrone, coi suoi e cogli ospiti, possa lietamente contemplare la contrada, alla cui salute, come a quella di tutti i presenti, ora beviamo!”

Cosi dicendo vuotò d’un fiato un finissimo calice di cristallo e poi lo gettò in aria, poiché significa un empito di gioia spezzare la coppa di cui ci si serve nell ‘allegria.

Wolfgang Goethe, “Le affinità elettive”, capitolo IX, Einaudi editore (Traduzione di Massimo Mila).

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INIZIAZIONE: IL SALTO DAL MONDO PROFANO

INIZIAZIONE: IL SALTO DAL MONDO PROFANO

L’iniziazione muratoria ha mantenuto, nonostante tutto, un aspetto traumatico nei confronti di un profano che bussa alla porta del Tempio.

Tale aspetto traumatico è forse necessario da un punto di vista di tecnica rituale, per consentire il trasferimento e il conferimento dell ‘influenza spirituale propria dell’iniziazione stessa.

Traumatico deve essere anche, perché indica il passaggio da uno stato dell’essere ad un altro profondamente diverso (non si dimentichi che l’iniziazione rappresenta una “morte”).

Traumatico deve infine essere in quanto predispone una materia grezza alla ricezione dell’influenza spirituale.

Inizialmente, al profano impreparato, il Rito di Iniziazione può sembrare uno dei tanti cerimoniali propri della vita profana e religiosa, ma quasi immediatamente, una differenza dovrebbe apparire chiara; tutto ciò che lo circonda, tutto ciò che viene Retto, sono stimoli a riflettere, a pensare, non una serie di atti da subire passivamente, quasi inconsciamente.

Al contrario, l’atteggiamento del candidato deve essere eminentemente attivo nei confronti del Rito. Egli ha scelto liberamente e spontaneamente di aderirvi ed è stato ammesso dai rappresentanti autorizzati della via iniziatica per i quali egli è risultato qualificato. Tutto ciò lo differenzia enormemente dall ‘exoterista, il cui atteggiamento è eminentemente passivo.

Gli inviti alla riflessione si ripetono nel corso del Rito e si fanno via via più incalzanti. Dagli stati emozionali delle tre prove e del giuramento, si passa ad un approccio più diretto con i simboli, quando il Fratello Esperto insegna all’iniziato a compiere il suo lavoro nella pietra grezza.

E verosimile che, a questo punto, risulti difficile non comprendere il livello molto diverso su cui ci si pone intraprendendo la strada iniziatica.

E che sia una strada irta di difficoltà e di ostacoli, ben lo sa chi si ponga con giusta predisposizione d’animo a percorrere tale cammino. Si può dire che tra il profano e l’iniziato non esista comune misura, poiché al primo non è possibile, nella migliore delle ipotesi, andare più in là del mondo sottile, mentre al secondo, mediante la trasmissione dell’influenza spirituale, sono aperte le possibilità di un ordine più elevato, cioè quello spirituale.

E una via che sposta, quasi completamente, almeno per taluni, l’asse degli interessi che sono propri della vita profana. È chiaro che, bussando alla porta del Tempio, ci si era in qualche modo resi conto dell’inutilità e della vacuità di ciò che, nella vita profana, è invece considerato un traguardo ambito, ma si può affermare tuttavia che l’approccio con la via iniziatica sia comunque estremamente duro.

Intanto si deve passare da si deve passare ad un’attività fisica e mentale (anche se tale termine va inteso, generalmente, nella sua eccezione più grossolana) ad un ‘attività essenzialmente spirituale: dalla facile comprensione di cose semplici al difficile compenetramento del simbolismo.

La via profana è, nella stragrande maggioranza dei casi, lastricata di “certezze”; nella via iniziatica il dubbio, il ripensamento l’incertezza, la crisi, sono pane quotidiano. Si deve essere disposti a mettere in discussione quello che, il giorno prima, sembrava assodato e questo, nella vita profana, difficilmente avviene.

Si vuol dire con questo non che la via iniziatica sia la via del dubbio e dell’incertezza costante  ma che, essendosi ormai smarrita la strada che porta alla verità, il suo ritrovamento, all’inizio, è frutto di tentativi continui e quindi aperti all ‘errore.

L’unica certezza che l’iniziato deve comunque sempre avere è che la sua vita deve essere dedicata alla ricerca della Luce, pur sapendo che tale Luce a pochissimi è dato di trovare.

I

LA SIMBOLOGIA

Uno degli avvenimenti  della mia esistenza fu la scoperta che il senso della vita era “comprendere”. E che questa parola designava una mutua integrazione dei due principi costituenti il pensiero: la coscienza e il fenomeno. Ciò posto, è evidente che il punto di impatto tra questi due principi, perché divengano intelligibili, è una riduzione a denominatore comune, riduzione che si può designare sotto la parola di “simbolismo” (Moise Engelson – Ginevra).

Questa definizione di uno dei fondatori dei “Quaderni di simbologia” si riferisce evidentemente alla attività creatrice del simbolo, che più propriamente possiamo chiamare simbolismo. Il nostro approccio vuole partire da un passo ancora precedente, provando ad affrontare alcuni concetti relativi alla simbologia generale o scienza dei simboli, senza assolutamente voler pretendere di dare dei codici di decifrazione, ma piuttosto cercando di definire i processi logici ed i postulati che tale scienza si pone, come qualunque altra scienza.

“D’altra parte, nel campo simbolico, non esistono codici di decifrazione generali, ma solo sistemi particolari, che esigono essi stessi una interpretazione. Il simbolo non significa qualcosa: esso evoca, focalizza, concentra una molteplicità di significati che non si riducono ad uno solo, né a qualcuno solamente. Una nota di musica non ha un senso determinato una volta per tutte, anche se è una nota determinata. Essa dipende strettamente dal suo contesto ritmico e rituale che gli è associato. Penetrare nel mondo dei simboli è provare a percepire delle vibrazioni armoniche e, in qualche modo, è scoprire la musica dell’Universo” (René Allau, “La science des Symboles”, .

Il simbolo

All’origine il simbolo è un oggetto spezzato in due parti. Due persone sono le depositarie di ciascuna delle parti, e si tratta sempre di due persone destinate a perdersi di vista per lungo tempo, che desiderano creare una manifestazione fisica ed unica in un legame che le unisce: il riavvicinamento delle parti per ricreare l’oggetto primitivo, ricreerà automaticamente il legame, non fosse altro che per il riconoscimento della sua esistenza. I simboli erano ancora, presso i Greci antichi, il modo con cui i genitori potevano riconoscere i figli abbandonati. Malgrado l’estensione che il termine ha raggiunto, a partire dal suo significato originale, possiamo affermare che esso continua ad implicare fondamentalmente le due idee di separazione e riunificazione che ne contraddistinsero I ‘origine.

Allegoria e simbolo

Come tutte le scienze, la Simbologia deve ammettere delle nozioni primarie non dimostrabili, i cosiddetti postulati.

Il primo è quello dell’esistenza dell’ordine nell’universo. In realtà tale ordine non è dimostrabile, poiché i nostri sistemi di misura e riferimento sono meno generali e contenuti nell’oggetto da misurare; tuttavia molte delle nostre scienze moderne ammettono tale ipotesi e la verificano, almeno parzialmente, scoprendo le leggi.

Il secondo postulato è quello della probabilità della analogia delle strutture tra un ordine parziale e quello totale: ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso. Meno facile da ammettere del precedente, non è tuttavia smentito dall ‘osservazione della natura (basti pensare ai modelli atomici sistemi solari).

Le funzioni  del simbolo

Una prima funzione del simbolo è di ordine “esplorativa”;. il simbolo permette infatti di cogliere ed esprimere legami tra due termini, di cui uno è conosciuto e l’altro no, estendendo il campo della coscienza in sfere ove la misura esatta è impossibile e ove l’inoltrarsi comporta sempre un aspetto di avventura, di rischi e di sfida.

“Ciò che noi chiamiamo simbolo – scrive C. G. Joung – è un termine, un nome o una immagine che, anche quando ci sono famigliari nella vita quotidiana, possiedono tuttavia delle implicazioni che si aggiungono al loro significato convenzionale ed evidente. Il simbolo implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di nascosto per noi … Quando li spirito intraprende l’esplorazione di un simbolo, esso è condotto a delle idee che si situano al di là dei limiti cui può giungere la nostra ragione … Ed è per il fatto che innumerevoli cose si collocano al di là dei limiti dell’intendimento umano, che noi utilizziamo continuamente il simbolo per rappresentare dei concetti che non possiamo né definire, né comprendere pienamente”, pur tuttavia simbolo presuppone sempre che l’espressione scelta designi o formuli nel modo più perfetto possibile, certi fatti relativamente ignoti, ma la cui esistenza è stabilita o appare necessaria”.

Punta avanzata dall’intelligenza creatrice, il pensiero simbolico rende possibile, secondo l’espressione di Mircea Eliade “la libera circolazione attraverso tutti i livelli del reale”.

Possiamo cioè definire una seconda funzione del simbolo, quella di mediatore: esso getta dei ponti tra elementi separati, collegando il cielo e la terra, la materia e lo spirito, la realtà tangibile e quella intangibile, stati di coscienza separati da salti qualitativi.

Occorre aggiungere che tale funzione mediatrice non è da vedersi in forma statica, ma in termini dinamici di reale forza unificatrice.

L’uomo, diviso e disperso nei suoi momenti di uomo lavoratore, di uomo politico, di uomo religioso, di uomo sociale, ritrova condensata nei simboli fondamentali la globalità della sua coerenza a livello fisico, psichico e spirituale: essi realizzano la sintesi del mondo, mostrandone la fondamentale unità dei suoi tre piani.

Non da ultimo, la funzione mediatrice si manifesta nel collegare, nel “religare” l’uomo, il mondo e la trascendenza, inserendo il processo di realizzazione personale del primo in quello globale del secondo, sottoposti ambedue alla medesima tensione verso la terza, senza isolamento, né confusione: è grazie al simbolo che l’uomo può trovare il mezzo di non sentirsi esfraneo all ‘universo, ma anzi di comprendere le fondamentali, mutue, infinite inter relazioni.

Unificatore, il simbolo esercita per ciò stesso anche una funzione pedagogica e terapeutica. Procura in effetti una sensazione se non di costante identificazione, per lo meno di partecipazione ad una forza sovra individuale. Collegando elementi tanto differenti, esso riesce a far sentire all’uomo di non essere cellula isolata e perduta nel vasto insieme che lo circonda.

Ma occorre stare bene attenti a non confondere il simbolo con l’illusione o con il culto dell’irreale. Sotto una forma “scientificamente inesatta”, cioè in genere, il simbolo esprime una realtà che risponde a molteplici bisogni dell’umanità, di conoscenza, di amore, di sicurezza. La realtà che esso esprime non è tuttavia quella espressa dal suo aspetto esteriore e immediato, ariete, stella o spiga di grano: è qualcosa di indefinibile, ma di profondamente sentito, come la presenza di una energia fisica e psichica che al contempo feconda, eleva e nutrisce. Attraverso le sue “molteplici” intuizioni, l’individuo si sperimenta apparentemente ad un tutto che lo spaventa e lo rassicura allo stesso tempo e che, in ogni caso, gli insegna a vivere.

Resistere ai simboli sarebbe come amputarsi una parte di noi stessi, impoverire l’intera natura e fuggire, sotto il pretesto di malinteso realismo, il più autentico invito ad una vita integrale (Dictionaire des Symboles )-.

IL LAVORO DELL’APPRENDISTA

“Il simbolismo è un lato immediato della coscienza totale – afferma Mircea Eliade – cioè dell’uomo che si scopre come tale, dell’uomo che prende coscienza della sua posizione nell ‘universo; queste scoperte primordiali sono legate in nodo talmente organico al suo dramma, che gli stessi simboli determinano tutte le sue attività, da quelle del subconscio alle più nobili

espressione della vita spirituale”. Dobbiamo dunque attenderci due importanti caratteristiche di una via iniziata basata sul simbolismo:

l . che la percezione del simbolo escluda l’attitudine di semplice spettatore ed esiga una partecipazione attiva. Il simbolo esiste solo a livello del soggetto che lo percepisce, ma è basato sull’oggetto percepito. Attitudini e percezioni soggettiva fanno appello e traggono fondamento da esperienze e non da concettualizzazioni. La proprietà del simbolo è di rimanere “in definitivamente suggestivo: ciascuno vi scorge ciò che la sua potenza visiva gli permette di vedere. Mancando la penetrazione, nulla di profondo può essere percepito” (O. Wirth). Dunque una via simbolica è sinonimo di una via attiva, di lavoro reale per raggiungere dei risultati che, a loro volta, saranno sempre parziali, aprendosi nuovi orizzonti ad ogni gradino raggiunto.

2. che il legame organico con il dramma umano faccia si che il simbolo debba interagire con l’operatore a tutti i livelli di manifestazione. La tradizione orientale, la Qabbalah, la stessa tradizione cristiana (Paolina) indicano nell ‘uomo almeno tre livelli di manifestazione. La Teosofia dei madame H. P. Blavaysky ne indica sette, perché due dei precedenti sono divisi, l’uno (l ‘inferiore) in tre “sotto livelli” e l’altro (il mentale) in due.

In termini semplificati, questi tre (più uno, il corpo fisico) livelli sono:

I  il psicofisico, cioè il livello del corpo fisico, insieme con le componenti che gli sono più strettamente legate: il “corpo vitale”, sede della “!direzione tecnica”, sede degli istinti, delle passioni e dei desideri-ripulsioni. E la triade inferiore delle Sephiroth

II. il mentale, sede dei processi di elaborazione e di coordinamento dei dati forniti dai sensi, i quali recepiscono i messaggi che giungono dal mondo esterno, fisico e manifestato. Il mentale ha due aspetti, o due settori (è paragonato ad uno specchio con due facce, una rivolta verso il “basso”, verso il mondo sensoriale e l’altra verso “l’alto”, il mondo della trascendenza). Corrisponde alla triade intermedia delle Sephiroth.

III. l’intelletto, dove per “intelletto si intende quella facoltà che l’uomo ha di percepire quei messaggi che non vengono dalla sfera dei sensi; Kant, anche se contraddetto poi, ha classificato tra di essi “l’imperativo categorica”, ossia l’intuizione di un codice morale, che non ha origine nel mondo fisico. B. Croce ha parlato dell ‘arte come “intuizione lirica”, affermando che certe visioni dell ‘artista non provengono dall ‘esperienza dei sensi.

Per esempio, nei “Dàrshana” indiani emergono tre punti di vista, che per un europeo sarebbero totalmente contraddittori o mutualmente escludentisi: il materialismo, il dualismo materia-spirito, e il non-dualismo, per il quale la sola realtà è lo spirito. Ebbene, anzitutto l’intelletto indiano non li vede come “sistemi” esclusivistici, ma li chiama “punti di vista”, “dàrshana”, e li ammette per validi tutti e tre. Ad un certo livello, quello dei nostri contatti con il mondo fisico, il primo “dàrshana” è perfettamente valido; quello che conta sono le leggi fisiche e null’altro. Ma, per intanto, si vede subito che c’è un altro livello; quello delle scelte “etiche”; l’uomo vede che si deve rispettare una certa scala di valori; ecco un caso nel quale, accanto o sopra il mondo fisico, c’è una normativa, una legge – il “Dharma” – che è poi quella che ci viene insegnata durante l’iniziazione al primo grado, che “controlla” questo insieme di cose e di azioni che sono spesso comuni all’uomo e agli animali, e, per un certo settore, anche alle piante. A questo livello si constata la presenza della “dualità” Spirito-Materia.

Coloro che si dedicano all’indagine spirituale approfondita possono sperimentare un terzo livello, nel quale si ha la completa percezione del Tutto, Unico, nel quale l’osservatore, l’osservazione e l’oggetto della osservazione diventano una Unità sola ed universale. Questo, che dovrebbe corrispondere al livello di Maestro Muratore, è il livello dell’esperienza dell’Assoluto, che comprende tutto e trascende.

IL LAVORO DELL’APPRENDISTA SUL PIANO FISICO

Sul piano fisico ciò che l’Apprendista deve fare è mirabilmente rappresentato dalla 14A carta dei Tarocchi, la “temperanza”: una giovane donna travasa il contenuto di un recipiente d’argento in un altro d’oro, simbolo di una forma più perfetta, cioè di un veicolo meglio condizionato. Veicolo che deve essere sempre meglio padroneggiato, tramite varie forme e modalità di controllo, in maniera di essere sempre più rispondente al morso della volontà.

Alla realizzazione effettiva del lavoro di Apprendista, che è il primo lavoro del Massone, il rituale offre un aiuto ed una via.

Il lavoro compiuto su noi stessi e realizzato nel Tempio, deve essere portato e continuato al di fuori nel mondo profano, altrimenti tutto si ridurrebbe a una riunione settimanale di qualche ora, invece di essere un punto di partenza e di sostegno.

Con al realizzazione scrupolosa del rituale, I ‘Iniziato che entra nel Tempio lascia fuori dalla porta le proprie preoccupazioni, siede immobile, rilassato, nella posizione del “faraone”, eliminando ogni movimento fisico istintivo, cominciando quindi a sottomettere il corpo alla volontà, con una disciplina simile a quella delle posizioni nella pratica dello Yoga.

Un altro elemento che caratterizza il rituale dell’Apprendista è il silenzio. Questa disciplina è stata praticata da varie scuole iniziatiche, tra le quali la più nota è la scuola di Pitagora.

Si parte anche qui da un dominio da realizzare sul piano fisico, per poi indirizzarlo verso un ulteriore progresso. L’ Apprendista deve riuscire a dominare l’istintività del fisico e del mentale inferiore, soprattutto quando è in disaccordo con le affermazioni di colui che incide la tavola.

Fatta tacere ogni emotività personale, l ‘ Apprendista deve controbilanciare la diminuita attività esterna e ciò è possibile, sviluppando in sé un’attività interiore, realizzando una ricettività attiva verso tutto quanto scorra nella catena costituitasi nella Loggia in un piano di vita più elevato.

La vita vera, quella costruttiva, è fatta di silenzio, in modo che il pensiero penetri nella profondità e venga illuminato dall ‘intuizione.

Un altro riferimento può essere fatto con il cammino dello Yoga, almeno per quello che riguarda la prima parte. La prima operazione che deve fare il praticante (il “Sadhaka”) è la “purificazione”, ossia la messa in atto, come modo di essere in ogni momento della vita, dei “divieti” (Yama) e dei “precetti” (Niyama). Il praticante diventa un uomo nuovo e i valori non sono più quelli del profano. Il primo e il più importante è la non-violenza (Ashima); astensione dalla violenza fisica, verbale e mentale verso chiunque, persone, esseri viventi e cose inanimate, e neppure contro se stesso.

E evidente che I ‘Iniziazione Massonica tende a fare dell’Apprendista un Uomo Nuovo e che, prima di agire sul livello mentale, ed in pratica attuazione di ciò che percepisce la mente, si deve operare sul piano fisico e su quelli ad esso più vicini: appetiti, istinti e passioni.

Cioè sul piano etico, sempre facendo intendere – come dice il Fratello Ward – che l’etica non è fine a se stessa, ma prepara I ‘uomo a raggiungere stati superiori dell ‘essere.

Pare quindi che l’affermazione per la quale l’Apprendista impara anzitutto a sgrossare la pietra grezza, cioè a perfezionare la sua condizione umana, eliminando tutte le irregolarità del suo carattere, corrisponda a quello che nello Yoga è la fase delle purificazioni e che nella Tradizione Indiana corrisponde alla fase di “brahmaciawa”. Si noti che in questa fase il discente pratica “la sgrossatura” a livello comportamentistico, ma, a livello mentale, prende conoscenza della dottrina tradizionale e quindi ha già una visione del lavoro che lo attende nelle fasi successive della sua evoluzione … se evoluzione ci sarà.

IL LAVORO VERSO L’ESTERNO

Il travaglio del Gabinetto di Riflessione, la sala dei passi perduti, il Tempio, la prova dell’iniziazione: è il viaggio essenziale che il profano deve percorrere per fare scaturire nel proprio animo, se porta in sé gli elementi necessari, la scintilla che lo porterà a conoscere la forza reale della dimensione massonica. Se il neofita, attraverso quella conoscenza, avrà raggiunto il dominio sulle passioni, sui sentimenti, sui fanatismi, sui pregiudizi, sugli scontri ideologici, è chiamato al compito glorioso, ma talvolta difficile, di costruttore sociale.

Il Fratello in Loggia ha udito sovente le parole fratellanza, uguaglianza, tolleranza, obiettività, libertà, verità; ne ha discusso con i Fratelli, ha affinato con l’insegnamento massonico i propri sentimenti, la propria educazione morale e civica; l’insegnamento massonico ricevuto lo ha portato a distinguere ciò che bisogna distruggere e ciò che invece bisogna ricostruire.

Questo insegnamento non può rimanere fine a se stesso.

Nella vita profana di ogni giorno il Massone è circondato da persone di chiusi orizzonti, settari, che professano la distruzione di tutte le forme. Il Fratello deve avere la forza d’animo di nuotare contro corrente, di scostarsi dall’atteggiamento conformistico, non già per individualistica presunzione, per fanatica rigidezza di principi, ma in nome dell’etica, della responsabilità, della libertà umana.

Nella vita di ogni giorno occorre orientare, documentare, educare, con interventi privi di passionalità, com’è consuetudine dei Liberi Muratori, l’opinione pubblica su situazioni e problemi particolari o generali, tenendone ben presenti gli aspetti morali e sociali; far notare le situazioni del mondo d’oggi, sensibilizzare le persone con le quali si discute, praticando la tolleranza che è la base della concordia tra gli uomini, discutere con intelligente obiettività, convincere gli interlocutori ai quali, comportandosi con identica tolleranza, permetterà di raggiungere soluzioni, anche in situazioni che a prima vista possono apparire insolubili.

Non è un lavoro facile, ma se il Fratello durante la giornata profana fa mente locale, ricordandosi di essere un Massone, di aver ricevuto un’iniziazione, questo pensiero gli sarà d’aiuto, trattenendolo dal tracciare facili critiche e affrettati giudizi, impedendogli di comportarsi da profano, ma ottenendogli il rispetto dell’interlocutore, in modo che no si smarrisca nei sentimenti passivi, nella paura, nei facili, allettanti svaghi di massa, ma giunga con il pensiero e con I ‘azione ad un comportamento libero, personale, responsabile.

Pertanto il Massone, che più di ogni altro è portato a valorizzare i rapporti umani, onde edificare una società nuova, fondata su basi umane, sull’integrazione di tutti i membri, sul riconoscimento della dignità e libertà dei singoli, deve adoperarsi affinché il trinomio “Libertà Uguaglianza, Fratellanza” si realizzi non solo nelle Logge, ma nel mondo esterno.

E pure nostro compito primo diffondere ovunque un po’ di quella luce che abbiamo ricevuto, cercare nella società profana quelle intelligenze libere da pregiudizi, i cuori elevati, gli spiriti avventurosi che, vincendo gli ostacoli di una vita facile, cercano una nuova vita e possono essere elementi potenziali per la diffusione delle idee massoniche.

Si deve fare in modo che la catena universale costituita dalla Massoneria aumenti suoi anelli, per dare all’umanità, ogni giomo, un po’ più di luce, un po’ più di benessere e di ragione.

Così facendo, forse un giorno il verbo di fratellanza e di amore troverà la sua completa realizzazione.

IL LAVORO DELL ‘ APPRENDISTA: ASPETTI MORALI

Con l’iniziazione un profano muore e nasce un Apprendista Libero Muratore. Nel corso del Rito al profano viene rivolta una domanda su ciò che sa dell’Istituzione ed egli risponde, ritualmente, di non conoscere nulla. Anche se suggerita e rituale, questa risposta è sempre, assolutamente sincere; niente, tra quanto ha vissuto fino a quel giorno nel mondo profano, o ha letto, o gli è stato detto, o ha dedotto, lo ha preparato a vivere l’esperienza del lavoro in Loggia ad Iniziazione avvenuta.

Il distacco dal mondo, come lo conosceva in precedenza, ne sia egli più o meno cosciente, è totale. Il suo ingresso nell’istituzione è avvenuto secondo le modalità della morte: sepolto nella terra, è stato poi purificato da elementi via via più sottili, fino a che il suo spirito, libero da vincoli materiali, è stato portato a ricevere in forma anche esteriormente sensibile, con le tre spade del Maestro e dei Sorveglianti, quella “sostanza” che fa di lui un uomo diverso.

In questo momento ha iniziato il suo vero lavoro, per la cui esecuzione gli sono state impartite istruzioni rituali e suggerimenti ed è stato avvertito che in ogni momento potrà attendersi il totale appoggio dei Fratelli, che in cambio lo attenderanno da lui.

Il significato di quanto è stato detto, dei simboli che lo attendono e di tutti i dettagli del Rito per il quale è passato non gli è sicuramente chiaro; per quest’ultimo, in particolare, l’occasione di comprendere appieno ciò che ha vissuto gli sarà data non tanto dall ‘esperienza immediata o dalla memoria, ma dal rivivere e rimeditare lo stesso Rito, ogni volta che, lui presente, un nuovo anello verrà ad aggiungersi alla Catena iniziatica di cui ora fa parte.

Conviene però che, con l’approfondimento dei significati, che costituiscono una buona parte della sostanza del suo lavoro, egli proceda con ordine. E stato ammesso nell ‘Istituzione sulla base di alcuni presupposti e di una dichiarazione, che costituisce un impegno.

L’impegno è quello della ricerca della Luce, motivo unico che deve averlo spinto e che ogni volta in Loggia il Primo Sorvegliante gli ricorda: con i Fratelli deve “costruire Templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio” e ciò “per il bene e il progresso dell ‘Umanità”.

I presupposti, senza i quali non sarebbe stato considerato degno di essere messo alla prova in questo compito, sono che egli sia risultato “uomo libero e di buoni costumi” e inoltre “sia in grado di assumere i pesi derivanti dall ‘appartenenza alla Istituzione”.

In tutto ciò sono bene evidenti aspetti morali. Ma c’è da chiedersi in quale modo tutte queste cose vadano intese: se infatti il passaggio dal mondo profano a quello iniziatico, sia col simbolo della morte, che con la risposta “Nulla” costituisce un vero e proprio salto qualitativo, in particolare ogni modo di intendere i criteri morali nel mondo profano deve essere, come minimo, rimesso in discussione.

Come ulteriore stimolo in questa direzione, l’Apprendista ha costantemente sotto gli occhi, nella sua vita di Loggia, il pavimento a scacchi bianchi e neri, attorno al quale deve circolare ogni volta che entra ed esce dal Tempio. La più immediata interpretazione di questo simbolo può essere quella del distacco, a lavori aperti, dal movimento che hanno le forze contrapposte nel mondo profano; in particolare, per scendere al nocciolo delle cose, dallo stesso senso che colà possono avere il bene ed il male.

Si è cioè chiamati ad apprendere l’arte della Discriminazione: a saper distinguere tra i sistemi di valori contingenti e limitati, generalmente convenzioni di validità circoscritta nel tempo e nello spazio, aventi per fine la regolazione della convivenza sociale, allo scopo di prendere coscienza di un “altro” sistema di valori, cui ha fatto cenno il Maestro Venerabile sempre nel corso dell’iniziazione.

L’Apprendista deve cosi avere coscienza della necessità di demolire ulteriormente ogni criterio che ha assimilato nel mondo profano e che sia sopravvissuto al passaggio per I ‘Iniziazione.

Questo lavoro è estremamente arduo: può infatti facilmente trasmutarsi in una visione delle cose che è semplicemente cinica e spregiudicata; ossia di comodo e capace di giustificare ogni debolezza e cedimento.

Se avviene così, nulla di male per un ordine di cose più ampio, ma molto di male per colui che in questo modo ha mostrato che, almeno questa volta, non ha saputo superare nemmeno la prima prova del suo cammino iniziatico.

La “demolizione” ha cioè senso soltanto se prepara la strada ad una ancora più solida “ricostruzione”. Quella “saldezza morale” che, provenendo dal mondo profano, l’Apprendista ha visto nella sua vera luce di “guscio vuoto” o “condizionamento” deve essere il frutto di una amara e sofferta riconquista.

Su questa strada non trova direttive rigide: quella “morale universale ed eterna” di cui gli è stato detto non può (come è di tutto il resto dell’insegnamento muratorio) venire codificata e comunicata in forma razionale, che la costringerebbe di nuovo nelle “camicie di forza” inevitabili per le espressioni del mondo profano.

Per questo gli si dice che la squadratura della pietra grezza (della sua pietra grezza) può avvenire solo nel Tempio, col contatto continuo con i Fratelli (e di qui l’assiduità ai lavori), con contatto con i simboli, con l’umiltà e la perseveranza (e di qui il silenzio e l’immobilità, vissuti come esperienze interiori, e non come costrizioni, assurde in quanto tali).

E così, e soltanto così, che alla chiusura dei lavori potrà “manifestamente attestare” la sua soddisfazione per gli stessi, mettendo a frutto l’opportunità che gli è stata data e, in definitiva, lavorando.

IL LAVORO ESOTERICO DELL’APPRENDISTA

Il profano è stato iniziato al grado di Apprendista.

È detto che l’Apprendista rappresenta l’età giovane dell’uomo: egli sosta alla porta del Tempio ed è al confine tra la realtà profana apparente, appena lasciata alle spalle, e la presa di coscienza con i simboli che sono il supporto della meditazione, di quel ‘atto cioè che pone in stato di ricerca interiore, per conseguire conoscenza di ciò che i simboli rappresentano.

Ha il conforto dei Fratelli che gli sono accanto con la loro spiritualità.

Da profano è diventato pietra attraverso l’attestazione (testamentum) resa nel Gabinetto di Riflessione.

Umilmente e in silenzio persegue il simbolismo sino al punto di “riconoscere la scrittura che fa apprendere a leggere”, e abituarsi a comprendere che cosa il martello impugnato nella mano destra e lo scalpello nella mano sinistra significhino nella proiezione interiore di quei due simboli, e penetrarvi fino quasi ad una identificazione di volontà e di forza.

Guardarsi intorno e rendersi conto della volta del Tempio che è il cielo e che il Tempio è sacro, poiché sovrasta in esso il  e perciò ogni movimento non è più una parte cerimoniale (che è pratica del profano), ma di un rituale proprio perché dà regole e misure nel Tempio nel quale è allocata e riconosciuta la sacralità.

Stare in ascolto, seduto ed eretto, con gli occhi all ‘infinito nella posizione del “faraone”, con i piedi allineati sul pavimento a scacchi, alternando la propria attenzione mentale al bianco e al nero. Meditare sulla collocazione della Loggia, orientata verso la sorgente della Luce, ad Oriente, nei due assi verticale (del sole) e orizzontale (equatore) e sapere che quello è il punto unico e noto nel quale con gli altri Fratelli apprende l’arte del pensiero, poiché, come Apprendista, ha tutto da apprendere. Cosi sentirsi in quella camera di concentrazione massima, come dice it Wirth, e operare in se stesso in questo “uovo” che è la Loggia e sentire “sé” in sviluppo e gestazione.

Compiere i gesti, le parole scandite, esprimenti modi di realizzazione della volontà. Elevarsi giorno per giorno, quindi distanziarsi dalla materialità, secondo l’avvertimento della pericolosità dei metalli, se operanti la loro suggestione.

Trovare il giusto modo di ispirarsi alla Saggezza, all Forza e alla Bellezza.

Sapere che dopo la prova della terra, avvenuta nell’isolamento della camera di meditazione, egli è morto e quindi ritornato alla terra, iniziando sé ad una vita superiore attraverso la purificazione delle tre prove rimanenti e che a quel momento egli ha collocato la prima pietra alla edificazione del tempio interiore del quale, per il suo grado, egli provvede allo zoccolo. Approfittando del rituale espresso dalle Luci, non ottundersi mai, debole alla sonnolenza mentale; in una parola egli deve “vegliare”.

Così nei componenti di una realtà non diversamente esprimibile se non attraverso i simboli, proiettata nei suoi significati nel proprio essere interiore, con il supporto dei medesimi, confortato della fratellanza spirituale di tutti, attraverso anche la significanza esteriore del rituale (che è l’exoterismo) ricordare ciò che è detto dell’Apocalisse: “A colui che vincerà io donerò una pietra bianca sulla quale è scritto il Suo Nuovo Nome che nessuno conosce se non quello che lo riceve”.

Cosi inizia il cammino di accesso dell ‘arte rituale che gli permetterà di leggere e di scrivere il linguaggio iniziatico.

L’APPRENDISTA E L’ISTRUZIONE MASSONICA

Un Apprendista si trova tra i suoi vari compiti, anche quello di apprendere, come dice il suo appellativo. Ma apprendere che cosa?

In ogni caso, tutto ciò che egli dovrà apprendere può benissimo andare sotto l’etichetta di istruzione massonica.

L’istruzione massonica, che non deve essere confusa con la cultura massonica (la cultura la può benissimo avere chiunque, anche profano, che abbia voglia di leggere i circa 4.000 libri che sono stati scritti sulla Massoneria; un buon esempio di ciò è padre Esposito), può essere identificata in queste tre fasi:

l) Quella impartita al neofita la sera stessa dell’iniziazione. Essa, data dal Maestro Terribile (0 1 0 Esperto) e dallo stesso Maestro Venerabile in base al rituale, fornisce tutta una serie di norme di comportamento, essenziali per la vita intera del Fratello Libero Muratore.

  • Quella impartita dall’intera Loggia nei suoi lavori rituali, anche senza avere ciò come scopo precipuo. In fatti il Fratello Apprendista dovrà uniformarsi a certi comportamenti e si formerà così un “habitus mentis” che gli consentirà, quando diverrà Compagno, di inserirsi bene nella vita attiva, di partecipazione della Loggia.
  • Quella che gli verrà impartita direttamente dal Maestro Venerabile, dall ‘Oratore e soprattutto dal 2 0 Sorvegliante in tomate specifiche o comunque in riunioni indette con questo scopo preciso.

A questi, che sono concetti di massima, vediamo che cosa si può aggiungere, senza andare ad interferire nell ‘organizzazione di ogni singola Loggia.

L’istruzione deve essere data, sempre in linea di principio, dal 20 Sorvegliante, in quanto è lui che sovrintende la Colonna degli Apprendisti. Egli si deve preoccupare affinché tutto si svolga in maniera tale che, al termine del periodo di apprendistato, il Fratello Apprendista sia pronto a passare di grado. Quindi presenze (fisiche e psichiche) e apprendimento.

L’apprendimento deve essere cioè sovente saggiato, in modo da poter sapere se tutto procede per il meglio, anche nella considerazione che, non potendo l’ Apprendista parlare in Tempio, ma dovendo parlare per lui il 2 0 Sorvegliante, questi deve conoscere il pensiero di ogni Apprendista.

L’insegnamento deve essere dato nel pieno rispetto delle opinioni di ogni Fratello. Non deve cioè essere un indottrinamento, ma piuttosto un preparare la mente e il cuore ad affrontare temi vecchi con mentalità nuova.

L’istruzione è un dovere del Fratello Libero Muratore. E un dovere che egli ha verso se stesso, per quanto ha dichiarato all’atto della sua ammissione: è un dovere verso gli altri Fratelli che lo hanno accettato in Catena d’ Unione e che quindi si aspettano da lui quanto è nelle sue capacità; è un dovere infine verso il G:.A:.D :. U :. , poiché io credo che sia giusto “cercare” di capire di più.

Non ritengo, per contro, che si possa parlare di diritto all’Istruzione. In Massoneria il termine “diritto”, concepito nella sua accezione normale (profana) non deve trovare posto.

Da noi, tutto deve essere dato (o ricevuto) con amore, per solidarietà, per dovere, per poter procedere e far procedere sulla via dell’Illuminazione, ma mai per un diritto. Infine I ‘istruzione più importante:

l) quella offerta dai simboli preposti a tutti i Fratelli in Tempio. Ognuno fin dalla sera dell ‘iniziazione, deve cercare di comprenderli.

2) quella offerta dalla regola del silenzio, obbligatorio per tutto il periodo di apprendistato. Questo è, a parer mio, il più importante e, così come per il segreto massonico, non può essere spiegato, deve essere capito. Solo vivendolo e meditandoci sopra, se ne può intuire la bellezza.

L’istruzione si differenzia, a prima vista, da tutto ciò che è richiesto all ‘Apprendista, poiché richiede un impegno attivo, di fare, mentre, per il resto, è un impegno identificabile in senso passivo.

L’Apprendista ha, in ogni caso, la possibilità di rivivere l’insegnamento dei quattro viaggi propostogli nella sera dell’iniziazione, già sufficienti di per sé ad un’auto istruzione di grossa efficacia.

Un ulteriore suddivisione può essere costituita dall’apprendimento compiuto nell’ambito dell’Officina (sia a lavori aperti che no), con quello fatto per proprio conto, riproponendosi fatti, parole e immagini viste e udite nelle riunione. Se manca uno di questi aspetti, inevitabilmente l’apprendimento è incompleto.

1 NEMICI SULLA STRADA INIZIATICA

Un proverbio cita: “La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Senza tema di apostasia, si può parafrasare il detto succitato come segue: “La strada iniziatica è pure lei lastricata di buone intenzioni”.

Se ne può dedurre che con ogni probabilità le buone intenzioni sono il coacervo dei nemici iniziatici. Perché? Perché purtroppo sono, malauguratamente, troppo sovente l’alibi per fermarci dopo solo pochi passi di strada. Non per nulla fanno testo le due parole che noi leggiamo nel Gabinetto di Riflessione, sulla parete di fronte al panno nero sul quale abbiamo scritto il nostro testamento: Vigilanza Perseveranza.

In ogni moneto della nostra non coerenza massonica nella vita profana, ci possiamo rendere conto della mancanza di prudenza e della pigrizia che è congenita al grave peso della parte materiale di noi. Guardiamoci ancora attorno, sempre nello stesso Gabinetto di Riflessione.

E scritto: “Se la curiosità ti ha condotto qui, vattene”.

Almeno in linea di principio, si dovrebbe presumere che chi ha scelto la via iniziatica, lo abbia fatto con coscienza di causa, per cui la leggerezza e la superficialità che sono legate a questo invito non dovrebbero toccare l’iniziato.

Continuiamo a leggere: “Se temi di essere scoperto dei tuoi difetti, ti troverai male con noi”.

“Se la tua anima ha scelto lo spavento non andare oltre”.

In queste due frasi si cela uno dei grossi nemici della via che abbiano scelto: la paura.

La paura di se stessi, la paura dell’inconscio, cioè di quello che, continuando a percorrere la stessa strada, dovrebbe, a poco a poco, divenire conscio, la paura delle cose più grandi di noi. E il microcosmo che lotta invano il macrocosmo per poterlo raggiungere e per poterlo compenetrare.

Sovente la paura di conoscere, la paura dei nostri limiti, che prose in realtà non esistono. Ci costruiamo noi stessi delle barriere, legate a pregiudizi, a conformismi, ad abitudini che diventano parte integrante di noi, pietre grezze, che solo con fatica riusciamo a scalpellare.

“Se sei capace di dissimulare, trema, sarai scoperto”.

L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri è il freno alla ricerca di cosa siamo. “Conosci te stesso” ci hanno insegnato gli antichi filosofi; aggiungerei “senza paura e senza ipocrisia”. L’equilibrata valutazione di noi stessi, la presa di coscienza che non vegetiamo solamente, ma che esistiamo, è la base per iniziare a salire la lunga e difficile scala che ci conduce alla Luce.

L’ipocrisia verso noi stessi e verso gli altri. La difficile via della verità non si confà alla vita profana, che ci obbliga invece a continui compromessi, alla continua prostituzione, a vari gradi, dei nostri ideali, in favore dei nostri interessi materiali.

Solo se avremo il coraggio di scalpellare, senza pietismi, le asperità, le rugosità, le impurezze della nostra pietra grezza, ci metteremo nelle condizioni di ricevere e recepire il Verbo.

“Se tieni alle distinzioni umane, qui non se ne conoscono”.

C’è un modo di dire che può mettere in evidenza il pericolo insito nelle distinzioni.

“Siamo tutti buoni, ma io sono il migliore”. Il rischio dei “distinguo” non è solo umano o materiale, ma anche e più spesso morale.

La distinzione. la gara, la competizione, mettono in evidenza in tarlo del più forte. “Io sono più forte, più veloce, più intelligente, più potente”.

Ecco, in sintesi, il grosso nemico della via iniziatica: “il più”! “11 più” significa potenza che si contrappone alla mancanza di umiltà, che non consiste nella diminuzione della nostra personalità, ma nella presa di coscienza della nostra vera personalità.

Più si salgono i gradini ascetici, più si diventa potenti. Dipende da come usiamo questa potenza. “Così in alto, così in basso” è indicato nelle Tavole Smeraldine. Lucifero ha scelto il basso!

Qualcun altro, un Rabbi, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, fu condotto dal demonio in un monte molto elevato, da dove gli furono mostrati tutti i regni della terra, il loro splendore e la loro potenza.

Il Maligno Gli disse. “Ti darò tutte queste cose se tu, prostrato, mi adorerai”. Allora rispose il Maestro: “Vattene, satana, perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo renderai culto”.

Il cerchio si è chiuso con due anelli: su uno è scritto Vigilanza, sull’altro è scritto Perseveranza.

Questa raccolta di tavole, frutto del lavoro di alcuni Fratelli delle RR.•.LL.•. Propaganda no 14 e Pedemontana no 696 all ‘Oriente di Torino, riunite in tornate congiunte.

dell’apprendista I I

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