LA MASSONERIA TORNA ALLA RIBALTA IN ITALIA

Un’immagine interna della sede massonica del Grande Oriente d’Italia nella galleria Umberto I, eccezionalmente aperta al pubblico, a Napoli, 22 aprile 2017. ANSA / CIRO FUSCO

La Massoneria torna alla ribalta in Italia

DIVISIONI E MOLTIPLICAZIONI DEI GRANDI ORIENTI

Oggi sono riapparsi sui giornali e sui muri i simboli e le iscrizioni sibilline della fratellanza dei Franchi Muratori. La gente ci capisce poco o nulla. Le giovani generazioni, poi, non credo abbiano della Massoneria un’idea molto più chiara di quella che ne aveva l’illustre epurando, Per giunta le Massonerie sembrano non essere una o due, ma tre, quattro, cinque, e combattono fra di loro, polemizzano oscuramente: il che non contribuisce davvero ad illuminare l’opinione pubblica. Cercheremo di farlo noi, almeno su alcuni punti essen-

Non si può qui risalire alle origini leggendarie o storiche della misteriosa confraternita: le quali si riallaccerebbero alla costruzione del tempio di Gerusalemme, ad opera del Re David: ed il nome franc-maçon, libero muratore e la terminologia (Grande Architetto dell’Universo, loggia, balaustra, ecc.) non sarebbero altro che echi di quella colossale opera architettonica. Un’altra tradizione a cui riferirsi sarebbe quella pitagorica; ed anche qui militano a favore della tesi i simboli (squadra, triangolo, valore mistico, e indicativo dei numeri) di cui i massoni fanno uso. Ma forse è più attendibile la tesi che ci riporta a tempi più recenti ed esattamente al medio evo e a quegli ordinamenti di costruttori edili, inglesi, scozzesi ed anche italiani (i maestri comacini) che prosperavano come organi corporativi e come centri d’arte e di studio. Ancora sarebbero da ricordare l’ordine dei Templari, i Rosa Croce (associazioni più propriamente mistiche) ed alcuni centri di studio del periodo umanistico.

Quest’ultimo riferimento ci comincia a riportare nella storia, se è vero che si trova registrata una “Confraternita di S. Giovanni” amne in molti elementi alla Massoneria, in Germania nel 1440. Viceversa un’inglese “Company of Masson of the City” esisterebbe dal 1620. A tali associazioni si iscrivevano persone di alto rango, particolarmente inclini a studi filosofici ed umanitari. L’avvenimento più importante ed indubitabile, da cui data la storia della massoneria moderna, è comunque la unificazione delle sei Logge di Londra in una sola Gran Loggia” in data 1717, il 24 giugno, giorno sacro a S. Giovanni di Scozia.

Dall’ Inghilterra, la massoneria dilagò nel mondo. È abbastanza noto il contributo dato dai massoni alla causa del Risorgimento, per la quale essi lavorarono al fianco dei loro fratelli carbonari: massoni furono Foscolo, Romagnesi, Pisacane, Rossetti, Manin, La Farina.

Nelle varie logge disperse per l’Italia risorgimentale, si era venuto sviluppando – accanto al rito tradizionale, detto “Rito scozzese antico ed accettato” – un rito propriamente italiano o “Rito simbolico”. E su questa doppia ritualistica che verteranno tutte le questioni interne della massoneria italiana, le sue polemiche, le sue scissioni.

Già molto faticoso fu il processo di unificazione delle varie logge, al momento dell’unificazione nazionale: la Costituente massonica dovette riunirsi più volte e solo nel 1864 si riuscì ad unire le diverse tendenze ed associazioni, proclamato un unico Grande Oriente, del quale fu chiamato a Gran Maestro Giuseppe Garibaldi. Rimane dissidente solo la massoneria siciliana, che pure aveva avuto a capo fin allora proprio lo stesso Garibaldi; solo qualche anno dopo essa aderì alla massoneria unita ed ormai ufficiale.

Il Grande Oriente d’Italia contribuì vivacemente, attraverso i suoi iscritti, militanti nel campo politico, all ‘annessione di Roma all’Italia; e dopo Porta Pia, trasferì a Roma la sua sede principale, Oggi s’usa chiamarla “Massoneria di Palmo Giustiniani” dal nome del palazzo, sito fra il Pantheon ed il Senato, dove il Gran Maestro Ernesto Nathan la installò il 18 aprile 1899. Precedentemente essa aveva sede in Via del Governo Vecchio III ; ed il 20 settembre 1893 si era trasferita nelle storiche sale di Paolo V a Palazzo Borghese.

“L’organizzazione massonica italiana – chiarisce il Nathan – si riassume in una serie di logge od associazioni locali, sparse nei vari centri, libere della loro azione singolare periferica, ma sotto la direzione e il governo unificatore di un consiglio centrale, detto Grande Oriente. I capi delle Logge, come il capo del Consiglio – denominato Gran Maestro – e il suo supplente sono nominati con elezioni a doppio grado; gli altri funzionari a maggioranza assoluta di voti. Nei rapporti fra i diversi paesi, solo i Consigli centrali corrispondono fra loro e dove esiste una massoneria regolarmente costituita un’altra Nazione non può impiantare logge sue: così abbiamo logge di Italiani dipendenti dal Grande Oriente degli Stati Uniti, Logge di inglesi dipendenti da noi e così via”.

La bandiera della massoneria è verde listata di rosso con al centro la squadra ed il compasso incrociati in oro. La sigla A.G.D.G.A.D.U. “Alla gloria del Grande Architetto dell ‘Universo”; anche in fraicese essa corrisponde “a la gloire du Gran Architecte de l’ Universe”: ragione per cui essa è adottata universalmente e si chiama “formula cosmopolita”. La ritualistica e la simbologia massonica sono naturalmente tenute segretissime; comunque alcune cose i profani conoscono, come i grembiuli di cui si cingono i fianchi alcuni gradi durante le sedute, ed il cenno di portarsi una mano alla gola che significa ‘tratterrò nel mio petto le parole che ne vorrebbero uscire”. Al posto del punto, scrivendo, i massoni adoperano tre puntini disposti a triangolo, probabilmente in omaggio al valore simbolico tradizionale del numero tre: quanto al triangolo, rientra evidentemente nella serie dei simboli “architetturali”.

Nel 1908 avvenne quella scissione che ha diviso in due la massoneria italiana. Essa fu originata da due fatti:

  1. una proposta di unificazione in un unico rito Scozzese Antico ed Accettato e del Rito Simbolico, proposta che fu respinta dal Supremo Consiglio.
  2. il voto dato alla Camera da alcuni deputati militanti nella Massoneria in occasione della discussione del progetto di legge sulla soppressione dell ‘insegnamento religioso nella scuola primaria. Tali deputati s ‘erano manifestati non del tutto contrari a tale insegnamento, contrastando in ciò alle vedute della Massoneria, che propugnava la laicizzazione dell’intera vita civile, senz’altra autorità di quella libera dell’uomo.

I dissidenti si riunirono intorno a Saverio Fera, formando la Massoneria così detta di Piazza del Gesù, nella quale si esercita soltanto il Rito Scozzese Antico ed Accettato.

Se interrogate un massone di Piazza del Gesù, vi dirà che solo la sua confraternita tende a mantenere intatto il carattere puramente spirituale dell’ordine, mentre a “Palazzo Giustiniani” si fa della politica. Per altro noi abbiamo l’impressione che da tutte due le parti se ne faccia: solo che a Piazza del Gesù essa è politica conservatrice, mentre a Palazzo Giustiniani si tratta di politica democratica, repubblicana e progressista,

Non è senza significato che a tale massoneria abbiano appartenuto quasi tutti i principali rappresentanti dei partiti repubblicano e radicale; da Bovio a Carducci, da Rapisardi a Barzilai.

Le due massonerie continuano a convivere, avversarie spesso pacifiche, fin all’avvento del fascismo, Piazza del Gesù ottenne riconoscimenti stranieri; ma non ne mancarono neanche a Palazzo Giustiniani. Curioso è il caso degli Stati Uniti, dove il Grande Oriente di Wasington riconobbe soltanto la Massoneria di Piazza del Gesù, in quanto professante il “Rito Scozzese Antico ed Accettato” mentre la loggia di New-York non volle riconoscere altro che la loggia tradizionale di “Palazzo Giustiniani”, giudicando irregolare il modo in cui gli altri fratelli se ne erano allontanati.

Affacciatosi alla ribalta Mussolini, a Palazzo Giustiniani l’opposizione fu subito recisa ed inesorabile. A Piazza del Gesù viceversa il Gran Maestro Raul Vittore Palermi, fece una manovra di accostamento; riuscì, pare, ad attrarre nella loggia alcuni gerarchi, fra cui Balbo, Rossoni, Farinacci; e nel 1924 fece un formale atto di adesione e fedeltà al fascismo, a nome di tutti i fratelli.

Ma Mussolini, che aveva nell’animo, quell’infantile terrore di cui si parlava, e che della massoneria era antico avversario (al congresso socialista di Reggio Emilia era stato lui a proclamare I ‘incompatibilità del marxismo con le dottrine massoniche) non volle saperne e nel 1926 sciolse ambedue gli ordini. Il Palermi però rimase sempre ben accetto al fascismo ed indisturbato, tanto da ottenere una sinecura al Ministero delle Comunicazioni e, sembra, anche alcuni incarichi all’estero.

Qualunque rappresentante di qualunque massoneria interroghiate, vi dirà che, – tranne sporadici incontri di persone – di vera e propria attività massonica, nel ventennio fascista non è il caso di parlare. Tutti i fratelli – come si dice in gergo – caddero in sonno”. Il risveglio avvenne poco prima del 25 luglio, quando Domenico Maiocco, già “33” a Palazzo Giustiniani, poi esule in Francia, raccolse alcuni militanti di alcune logge tradizionali e costituì una massoneria così detta umificata” della quale off il grado di Gran Maestro al Palermi. Ma quest’ultimo ebbe paura delle ire dittatoriali e delle orecchie finissime dell’OVRA e declinò l’incarico, “girandolo” al Maiocco stesso.

Dopo l’ 8 settembre tornò a costituirsi ufficialmente la massoneria di Palazzo Giustiniani, rinviando a dopo la liberazione dell ‘intera Italia la nomina del Gran Maestro, e nominando una specie di consiglio di reggenza, formato da Cipollone, Lai, Guastalla.

Piazza del Gesù aveva fatto altrettanto già dal periodo badogliano, richiamando in carica il Palermi. Il quale, però, venuti i Tedeschi, preso da un altro impulso…di coraggio, diede le dimissioni ed affidò la carica di Gran Maestro al suo luogotenente De Cantellis, in data 4 dicembre 1943.

Ma alcuni “fratelli” non approvarono l’operato del De Cantellis, e decisero di seguire l’esempio di Palazzo Giustiniani, nominando un triunvirato di reggenza. Il De Cantellis (che fra l’altro è un gran decorato della grande Guerra ed ha un bel passato di attività benefiche nel campo sociale) trascinò con se un buon numero di adepti.

Nel frattempo il Maiocco si riavvicinò a Palazzo Giustiniani, dove però pretese di essere nominato Gran gli fu risposto che aspettasse la liberazione d’Italia, dopo di che avrebbe avuto anch’egli, come tutti gli altri fratelli, le sue probabilità di essere eletto. Al che il Maiocco replicò adducendo un’investitura ricevuta in una loggia di Parigi. Ma, dati

i principi che regolano la rete massonica internazionale, e a cui si riferisce la citazione di Nathan di cui abbiamo parlato più sopra, tale investitura non ha nessun valore (è come se un Deputato della Camera dei Comuni pretendesse dei essere Deputato anche della Camera Italiana). Così il Maiocco (meglio primo in Gallia che secondo a Roma), si allontanò di nuovo e tenne per se la massoneria unificata di sua creazione, quella stessa che oggi si trova mescolata all’affare Salvarezza-Gobbo del Quarticciolo, chi dice per la sede (Sita, com’è noto, a Via Fornovo, nel Palazzo, ormai famosissimo, dell’ex G.I.L.) chi dice per altri e più oscuri motivi.

Il 4 giugno, degli Alleati, il triunvirato, della diciamo così “Piazza del Gesù, bis” nuovamente la carica suprema al Palermi, sperando nei benefici effetti di una sua pretesa autorità internazionale e specie nel mondo anglosassone (a noi consterebbe però che egli sia stato radiato dal Grandi Oriente di Wasington per il suo filofascismo). Nacque così 1a massoneria di Via della Mercede; nella quale, però il 10 ottobre 1944 si verificarono nuove del Palermi, sostituito da Gustavo Scevrini, un odontoiatra di Napoli. E tutto sarebbe finito qui, se il Palermi (il cui comportamento, sia pure giustificato, dall ‘età senile, appare per lo meno bizzarro) il 20 dicembre non avesse fatto, seguito da alcuni ex fascisti di Bari e da altri energumeni, un atto di forza, irrompendo nella loggia di Via della Mercede e mettendone alla porta i suoi designati successori.

La morale è che abbiamo oggi a Roma la bellezza di cinque Massonerie; Palazzo Giustiniani senza Gran Maestro; Piazza del Gesù con De Catellis; Piazza del Gesù bis con Scevrini; Via della Mercede con Palermi; Vla Fornovo con Maiocco.

Tutta questa ridda di particolarismi e di arrivismi non fa certo bene alla veneranda istituzione, anzi conferma nell’opinione pubblica la sensazione, fomentata da vent’anni di propaganda fascista, che la massoneria non sia altro che un’associazione di mutuo soccorso politico e materiale, un colossale imbroglio per i gonzi al servizio delle ambizioni di pochi.

Se tuttavia le “massonerie serie”, cioè non inquinate da queste deviazioni personalistiche, vorranno agire come per il passato ed influire sugli avvenimenti italiani, quali probabilmente di credito e di successo hanno?

Si può considerare ancora attuale la massoneria, insomma?

La massoneria, considerata nel suo contenuto filosofico, altro non è, ci sembra, che schietto “illuminismo”: essa risente di quell ‘entusiasmo per la divinità dell’uomo e della ragione, per la scienza intesa a soppiantare ogni fede, per l’umanità come indefinito progresso, che fece dell ‘ illuminismo un preromanticismo, generando le così dette “società di anime belle”. L’uomo moderno è viceversa portato a creder poco nel progresso, a pensare che la scienza non sia altro che strumento di distribuzione e che il potenziamento dell’individuo altro non sia che volontà di potenza e dunque egoismo piuttosto che dedizione alla causa dell’umanità. L’uomo moderno è portato a pensare che il male non si vinca con uno slancio romantico dell’anima, ma piuttosto con le leggi, con l’autorità, con la costrizione; e che alla fine di questo stato di cose generi un rapporto duro e violento tra una massa informe ed un’elite politica.

Tuttavia è indubitato che quest’uomo così scettico, più fiducioso negli istinti che negli ideali, abbisogni una fede; ed ecco che il ad esempio, lo richiama proprio ad un’idea del progresso civile e del bene comune; ed ecco che i più avvertiti pensatori denunciano nell’irrazionalismo il male del mondo moderno.

Per queste vie potremo ritrovare sulla strada anche la massoneria, la quale appunto si fonda sui criteri di progresso e ragione. Ma soprattutto la ritroveremo sul terreno politico; perché proprio in questo lo scettico uomo di cui stiamo parlando ha ragione da vendere; nel ritenere che nessuna ideologia abbia valore determinante se non si converte in una forza sociale.

Da questo punto di vista è probabile che la massoneria di Palazzo Giustiniani sia la più pronta e vivace a venire incontro alle esigenze attuali. Il suo neo-illuminismo (di un neo-illuminismo oggi si vocifera da molti) lo ha posto, sempre, in Italia fianco delle sinistre; repubblicani, radicali, socialisti e riformisti l’hanno nutrito di capi e di gregari; una dichiarazione di Domizio Torrigiani, I ‘ultimo Gran Maestro (a cui avrebbe dovuto seguire Placido Martini, fucilato alle Fosse Ardeatine) che risale al 1920, si dichiara aperta a qualunque elevazione del lavoro, anche al comunismo, purché avvenga sul piano della libertà, Questo equilibrio di libertà e giustizia potrebbe condurre la linea politica di questa Massoneria su un piano affine a quello, per intenderci, del Partito d’Azione, o al socialismo di Saragat. L’importante è che i vecchi uomini non si isteriliscano nelle posizioni di un mauinianismo e radicalismo superato.

D’altra parte le varie massonerie provenienti da Piazza del Gesù faranno più volentieri il gioco della reazione, Ecco dunque trasferita sul piano della lotta per la Costituente la tradizionale antitesi massonica. Monarchia e Repubblica, malgrado la dichiarata apoliticità dell ‘ordine, diventeranno domani anche per esso i termini della battaglia.

Ma quale peso effettivo potrà avere questa “forza oscura”? Essa conta fra gli anziani molti aderenti, e si dice che a Palazzo Giustiniani vi siano due Ministri del Governo attuale, di cui uno Capo-Partito. Ma la vitalità di un movimento è soprattutto nella sua possibilità di fare nuove leve. Aderiranno i giovani?

I giovani d’oggi non sembrano molto disposti al mistero. Ed ecco il primo degli elementi che possono rendere inattuale la massoneria ai loro occhi.

Circa il segreto massonico, dichiarava il Nathan: “La istituzione aspira alla sua abolizione, ma condizione indispensabile è la reciprocità. Fin quando la Compagnia del Gesù ed altre congreghe siffatte ordiscono le loro trame al buio, non siamo molto disposti a pubblicare elenchi a loro totale beneficio e a nostro danno”. Va bene, ma la disincantata gioventù del 1945, tra cui è già difficile trovare una disposizione alla “Società di anime belle” tratterrà poi il riso di fronte all ‘armamentario simbolico di cui il segreto s’ ammanta?

Nella citazione del Nathan echeggia poi un’altra delle direttive massoniche che oggi possono sembrare inattuali: I ‘anticlericalismo. Ma è questo un punto che crediamo, i massoni non possono rivedere senza svuotare d’ogni contenuto la loro ideologia. Né è a dire che fra mondo laico e mondo ecclesiastico non sia più desiderabile una tregua, ed un reciproco rispetto, che una rispettiva ingerenza: ad una tregua così intesa, forse i massoni potrebbero arrivare. Certo che ha destato in tutti loro la dichiarazione di morte decretata per l’anticlericalismo recentemente dal Palermi.

La Massoneria non può fare a meno di svolgere azione politica. D’altra parte non può rinunziare alla sua struttura segreta, altrimenti diventerebbe un partito e non un’associazione nella quale convengono uomini di tutti i partiti? La Massoneria non può fare a meno di essere l’araldo dello spirito laico; d’altra parte non può non tener conto della mutata situazione degli animi nei riguardi delle religioni. Su queste antinomie s’imposta la sua situazione d’oggi, che potrebbe diventare un vicolo cieco,

Ruggero Jacobbi      Dal settimanale romano “Domenica ” del 4/2/45    

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LA VITA È UN SOGNO

LA VITA È UN SOGNO

In verità l’uomo si impegna sempre per il futuro: il passato è per lui un ricordo, e cosi tutta la vita trascorsa appare un sogno, dilettevole od orrendo. Il guaio è che si vive sempre in ciò che passa, sicché se la speranza stimola lo spirito vitale, l’opera nostra si rinnova continuamente daccapo. Per questo l ‘attività umana non ha limiti, né di tempo, né di fini: solo la morte tronca tale connubio, questa relazione fra uomo e lavoro, togliendo al primo lo spirito vitale. Ov’esso vada, come sopravviva al corpo, come si ricongiunga e ritorni al mondo dello spirito, ognuno la veda come vuole: resta certo però che difficilmente esso riesce a riprendere il contatto con la materia, prova ne sia (a parte per chi crede, le miracolose apparizioni che, per altro, vengono appunto a ribadire l’eccezionalità di tale contatto e le sedute spiritiche, di incerto valore) the spiriti intelligenti, a noi ben cari, benché pregati, supplicati, non si sono più fatti sentire, malgrado ogni accordo preso con essi in questo mondo. C’è dunque una volontà che vieta loro di manifestarsi, in qualche modo, a noi, anche se noi avvertiamo la loro presenza confortatrice e protettrice in momenti gravi. Dal fatto della inesorabilità e impossibilità di un ponte fra anima dei trapassati e i viventi, alcuni deducono una ennesima (ma non superflua) prova della seconda, « diversa vita » , propria dello spirito, congiuntosi ormai con il grande Spirito dell’universo; altri invece colgono occasione dalla constatazione del silenzio dei morti, per trarre ed affermare la loro convinzione sulla inesistenza dell’al di là: muore, con il corpo, anche la ragione, lo spirito: si muore come le bestie, come le piante, come muore la natura effettuato il suo ciclo. Resta a chi vive il « ricordo » della persona che non c’è più, poche ossa ancora: resta, ciò che vive nella nostra memoria, l’eredità di affetti finché vive memoria di essi. Il sogno continua: la vita è attesa, è speranza ed è ricordo: è memoria estesa al passato, è presentimento del futuro e sensibilità in atto di ciò che passa. Il presentimento del futuro va pero di là della durata della vita terrena: che cos’è dunque tale ansia, che significa questo sguardo oltre la tomba? Chi ce l’ha suggerito? Chi ci spinge a pensare, a volere eterni i nostri morti, e beati? La ragione, che si rifiuta di accettare la tesi della fine dell’uomo come bestia, insiste nell’avvertire l’uomo anima immortale. Tale fede è comune a tutte le religioni, ossia a tutti i popoli. Perché, dunque? Tale speranza è dovuta soltanto al perdurare degli affetti per la persona estinta? o al bisogno di protezione, venuta a cessare con la dipartita del genitore, del capo famiglia, della madre? o alla necessita (spirituale) di ritrovare il bene momentaneamente perduto? ossia, lo spirito non può dunque arrestarsi alle barriere terrene e ha bisogno di un suo mondo?

La risposta a detti interrogativi non può essere che positiva: secondo quali motivi si potrebbe negare questa forza dello spirito che sopravvive al corpo; che accende, con l’educazione, altri spiriti; che inonda di sé il creato; che dà un  significato al nostro turbamento di esseri in transito, di passaggio in questo breve mondo, di turisti verso l’eterno? Come non si potrebbe ammettere la volontà dello spirito di perdurare in eterno?

Beati i popoli che onorano le tombe degli avi perché, nella luce del loro ammaestramento, conservano e migliorano i propri costumi! La forza del Giappone e della Cina, ad esempio, è questa virtù, più potente di ogni esercito perché è l’anima di ogni sacrificio e di ogni impresa. Un popolo che ha il culto degli antenati, non può perire, qualunque siano le prove che sopporta e che lo attendono.

Lo scetticismo invece non solo ruba all’uomo la speranza, ma gli nega la conquista dei valori morali, e cosi della verità, relegandolo in una notte senza fine. Il superuomo, privo di ogni legge morale, muove a pietà: si è grandi davvero, quando si compiono regolarmente e scrupolosamente i nostri doveri di piccoli uomini, di uomini morali. In tal caso la vita diventa kantianamente dovere e il piacere deriverà, incontenibilmente gioioso, dal dovere compiuto; e appare essa realtà certa e confortante e il nostro destino chiaro, logico, naturale, e il ricordo del passato, sogno di beatitudine e di gloria. Il dubbio potrà sopravvenire soltanto in merito alla bontà o meno, al valore, al pregio delle nostre azioni, e quindi sulla validità ed efficacia di esse in relazione ai talenti di cui disponiamo, in quanto ognuno è responsabile di sé « sulla base di ciò che è », principio di cui la legge dei tribunali deve tenere conto per essere veramente « uguale per tutti ». Dico dunque agli uomini di buona volontà: lasciamo gli insoddisfatti per carattere, gli increduli, i saccenti, i « bastian côntrari » agitarsi nel loro mondo di contraddizioni, di paure, di sgomenti, di cecità e di irrisione; diamo anzi ad essi una mano fraterna per un aiuto a vedere e a credere; ma non lasciamoci distrarre dalle loro argomentazioni, arzigogolature o derisioni. Preghiamo invece affinché venga il giorno in cui la santa volontà del Signore sarà fatta in cielo e in terra: in quel giorno questo mondo della materia avrà fine, perché sarà cessata la ragione della sua esistenza e dell’« esilio » dell’uomo

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L’INVOLUZIONE

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L’INVOLUZIONE

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Per altro l’ascesa dallo stato selvaggio a quello umano e da questo a quello civile, non fu e non è sempre costante: v1 sono i famosi corsi e ricorsi storici, i ritorni, gli annebbiamenti dei costume e dell’intelligenza, epoche in cui si riscatenarono violenze e istinti che covano in quel primitivo bestione che seguita a celarsi nel subcosciente dell ‘uomo, uomini feroci e primitivi in mezzo ad altri uomini più evoluti e miti. Le guerre rappresentano il ritorno alla forza belluina, all’omicidio, alla distruzione: e vi sono guerre di nazioni (mai di popoli, perché il popolo ama la pace in quanto vive allo stato umano) e guerre di famiglie e in famiglia. Oggigiorno assistiamo ai deleteri effetti di due guerre mondiali: homo homini lupus; bellum omnium contra omnes. Hobbes aveva individuato il carattere del tipo e della specie dopo il peccato d’origine, e tale substrato ritorna se non ad  affossare, ogni tanto, a frenare il cammino della civiltà morale, sociale, dello spirito, anche se sollecita il progresso tecnico. Oggigiorno l’egoismo, la superficialità, l’insensibilità ai propri doveri, la corsa all’ozio, ai piaceri del corpo, l’incredulità, la derisione della virtù, il misconoscimento e il rinnegamento dei valori, l’irriguardoso atteggiamento verso la verità umana, divenuta sfacciata, prepotente e oscena perché le si sono tolti i veli del Fudore e della riverenza e l’ostracismo e la lotta alla verità divina, comportano una umanità convulsa, affaticata, angosciata, amorale, che vive nel terrore della morte, di non far carriera

e non far denaro.

Si ritornerà, certamente, a tempi migliori e faticosamente, ma gradualmente e fatalmente, riprenderemo a vivere secondo grazia e sapienza, cioè salvando le varie oasi di bene che hanno pur resistito alla burrasca e che rappresentano gli anelli a cui ancorare la navicella del futuro. La saggezza riprenderà il sopravvento e gli uomini rinsaviranno: altrimenti si ritornerebbe al bestione, anche se rivestito di un completo di flanella di pura lana e in grado di solcare i cieli, come i mari del suo regno, il regnum hominis di Bacone, di un uomo perô che sa comportarsi da re del creato. La scienza non dà la virtù: questa è la grande lezione della storia; ne vale portare nel giuoco Montaigne, che addita il fine della istruzione nella virtù (fosse pur sempre così, come dovrebbe essere, almeno, il caso della scienza teologica), essendo questo un compito particolare (e importantissimo) addimandato e permesso agli educatori nell’ambito della scuola. La virtù è pure (e vorrei dire, soprattutto) degli analfabeti, di gente priva di istruzione: il regno dei Cieli non è certo monopolio dei laureati. La scienza può approfondire la virtù, ma non la crea: l’umiltà ammirabile dello scienziato è frutto della sua natura morale e non già dell’acquisto di conoscenze. Si sono visti (e si vedono) uomini di cultura astiosi, superbi, gonfi di sé; si sono visti gangster istruitissimi; delinquenti politici (come Hitler ed altri) dotati di una certa cultura. Il neoidealismo è utopista: la formazione della mente non coincide più (non coincide, perlomeno, ancora), ad un certo livello, ad una certa età (uscito cioè dalla giovinezza), con quella del cuore. Il che significa che esistono in noi degli allarmi, delle ataviche diffidenze e tendenze, delle suscettibilità, delle rivalità con i nostri simili, invidie, ecc. che è molto difficile vincere. L’uomo capace di tanto, è un santo e cioè superiore alle miserie umane e immerso nella grazia del Signore.

Possedere scienza, fede e virtù è un particolare dono di Dio, segno di predilizione per un’anima veramente eletta, che sa soffrire per la giustizia e che rappresenta, per tutti, un richiamo, un ammonimento, un ammaestramento. Per lo più la prudenza, la malafede e gli inganni, le delusioni, purtroppo, debellano l’onestà, e in un mondo di falsi il giusto viene sommerso; e a ben pochi è dato di patire per la virtù. Chi però fa progredire l ‘ Umanità, sono gli uomini di rottura, insofferenti della tradizione e soprattutto di ogni stasi o adagiarsi della società, e quindi dello stato attuale di essa. Questi uomini vivi e veri preparano il domani, un’ umanità migliore, che li ripaga oggi con la diffidenza, l ‘ostilità, il tradimento, l’accusa e la condanna, alla stregua stessa con cui profeti e pionieri vennero ringraziati dal mondo, che poi avidamente s ‘ appropria dei loro beni, delle loro verità, dei loro principi, delle loro scoperte.

Finché ci saranno uomini tali, uomini nuovi, la civiltà non dovrà patire di involuzioni, perché essi saranno capaci di scoprire e di affidarle nuovi mondi nel quali lo spirito dell’uomo, che è infinito, possa seguitare a svolgersi per nuove vie.

Civiltà di massa o civiltà di gruppo, il problema non è questo: il problema, di fronte alla uniformità e al livellamento, è quello di conservare se stessi, la propria personalità. L’individuo scompare nella nuova società, ed in effetti socializzarsi  significa acquisire una personalità sociale, passare da persona isolata a socio di un gruppo. Però la persona, come testa senziente, coscienza attiva, intelligenza libera, va formata, altrimenti i nuovi valori, prima retaggio di poche minoranze e ora aspirazione di tutti, non saranno né realizzati, né goduti, Non basta volere l’istruzione che educa (e la auguriamo presto anche a l•ivello universitario), il benessere fisico ed economico, la possibilità di esercitare la volontà di esprimere e di far valere le proprie idee quali doni estesi a tutti: occorre preparare questo tutto (e cosi ogni individuo) ad esprimere, produrre, essere cosi in grado di usufruire e di coltivare tali beni. Anche qui ritorna facile dire che bisogna agire sullo spirito vitale, indirizzarlo ai fini suddetti

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L’EVOLUZIOMISMO

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A quale altro essere del Creato è stato dato di opporsi alla volontà di Dio? Tutti gli altri obbediscono alle leggi di natura, stabilite dal Creatore: soltanto l’uomo ha questa particolare concessione, che non tocca, ad esempio, alle scimmie.

A parte il fatto che la teoria evoluzionistica prevede la scomparsa delle razze inferiori (e le scimmie ancora sussistono nella varietà dei tipi e delle famiglie), tale privilegio accordato solo all’uomo lo differenzia immediatamente da tutto il creato e lo afferma direttamente creato da Dio. Non può darsi difatti che, ad un dato momento della vita dell’universo, il Creatore abbia conferito particolari facoltà ad un animale derivato dal pesce attraverso gli artropodi più che ad un altro animale; e ubbie e sogni di fantascienza sono le teorie di coloro che hanno reputato il rene strumento capace di compiere una simile trasformazione, dando così non solo una forma fisica diversa (e ciò sarebbe possibile), ma addirittura una « ragione » a chi prima non la possedeva.

E giusto, è bene che si indaghino tutte le vie possibili per cercare la verità: in questo caso si torna pero sempre a ribadire, a riconfermare la verità data. La scienza, così, finisce con l’approvare la fede anche se, tomisticamente, ognuna di esse procede nel campo proprio. Iddio ha formato nell’uomo, « l ‘unico » essere uomo, per i Suoi imperscrutabili disegni: si voglia o non si voglia accettare, non si hanno a tutt’oggi motivi validi per negare o porre in dubbio tale verità di fede.

Possiamo pensare che le prime due creature uscite dalle mani d’Iddio, fossero perfette in quanto cesellate dal più grande artista dell’universo; possiamo pensare che, con il peccato e la conseguente caduta, anche il corpo dei nostri primogenitori si avvilisse. Perdendo la grazia, essi perdevano anche la bellezza, scemando in armonia di membra e acquistando, per il loro compito, in forza fisica: e pertanto ci raffiguriamo Adamo e la sua donna diventati semi animaleschi, con muscoli vigorosi e petti enormi, e viso prognato, atti cosi a sopravvivere in una atmosfera apocalittica, di miasmi, di bestie feroci, di malattie, di climi che per noi, ora, sarebbero letali. Le convulsioni della terra precedettero le convulsioni dell’uomo, che lo corazzarono contro le avversità e gli permisero di guadagnarsi il pane col sudore della fronte: ma l’uomo conserva, nella grossa massa cranica, arruffata di lunghi capelli, due occhi intelligenti che scrutarono il suo campo di lavoro: il creato, e una ragione che gli permise di organizzare e di iniziare la lotta, onde e redimersi e vivere, contro le forze della natura, contro l’ambiente naturale ostile, per renderlo sempre più confortevole al suo soggiorno terreno. Tale lotta, iniziata decine di migliaia di anni fa, seguiterà sino alla fine del mondo, rendendo l’uomo sempre più civile, più umano, e la Terra sempre più ubbidiente al suo comando e pronta a soddisfare ai suoi bisogni.

Ecco la vera evoluzione dell’uomo, nella interazione fra l’uomo e l’ambiente, per cui, migliorato dal primo il secondo, questo migliora chi alberga e così il primo, come ben vide il Dewey. L’ambiente naturale è ormai quadro di romantiche contemplazioni: è l’ambiente creato dalle opere dell’uomo che infiora questo

mondo e che si offre a Dio come testimonianza dell’attività della Sua creatura. E Dio benedice l’opera dell’uomo, mezzo da Lui datoci per realizzare il bene e renderei degni della Sua visione: e l’uomo, da quando un riso di donna e Io sguardo stupefatte del padre, salutarono il primo vagito, dal mondo dei bestioni cacciatori accesi di fantasia (di vichiana memoria), passa al mondo dei pastori guidati dalla riflessione e anziché uccidere soltanto, alleva, e anziché imitare le fiere, le ammansisce e se ne serve. Ecco allora come sorgono l’arte e la poesia, forze creative per cui l’uomo «fa nascere » fantasticamente il mondo che gli abbisogna: quello che sfama la sua intelligenza, il mondo dello spirito. Cosi il cuore partecipa, nel tripudio e nel terrore, a questa trasformazione, e l’uomo si intenerisce e piange, si addolcisce e ama, e i costumi ferini si cangiano in costumi umani. La rudezza e grossezza di un tempo, cedono il posto a sentimenti delicati; l’uomo diventa un essere gentile. È questo il grande momento della storia umana, in cui il sole splende nelle spelonche. L’uomo gentile rende gentile la foresta, il fiore, la belva: le piante, coltivate da mani inoffensive e cortesi, lasciano cadere le spine oramai inutili e le sostituiscono con nuovi fiori; gli altissimi alberi, liberati dalla stretta delle liane e del bosco intricate, non hanno più bisogno di lanciare le loro vette al cielo per rapire al sole un raggio di luce e di calore e farlo scendere sino al tronco ammuffito e sepolto nelle tenebre della giungla; la belva trova cibo e difesa accanto all’uomo e allora ritira gli artigli, accorda le corna, posa la corazza e si adatta a servire il padrone, che le dà la vita Così sorridono i giardini, i prati, i campi, a Dio Padre. Benedetto il giorno ln cul una donna vide per la prima volta, il suo uomo offrirle due tremuli fiori nelle vigorose mani! Da quel giorno accanto alla caccia, all’allevamento, alla coltivazione, ebbe inizio la dolcezza e la riconoscenza negli affetti familiari, si che i lineamenti stessi dell’uomo si addolcirono e si rimbellirono. E Dio sempre sorrideva e benediva all’opera buona dell’uomo e cioè alla Sua opera

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IL REGNO Dl DIO

IL REGNO Dl DIO

Se la fede è viva, la speranza è molta e la carità abbonda nelle nostre azioni. Venga il Tuo Regno, imploriamo con Gesù, l’eterno Padre di tutte le genti davanti all’ingiustizia, alla cecità, al sopruso, alle iniquità, all’omicidio, alla frode, alla fame, alla crudeltà, alla menzogna, alle miserie, alle oscenità, alle turpitudini de! mondo: e sia fatta la Tua volontà come in Cielo, « così » in terra. Tale atto non può non avvenire che con il « consenso » della creatura che Dio ha forgiato a Sua immagine, altrimenti Dio smentirebbe se stesso, non essendoGIi possibile non volere ciò che ha voluto. L’uomo ha quindi questa duplice nobiltà: di essere il mezzo, lo strumento, con cui Dio si è obbligato a manifestare la Sua volontà, ed esplicare i Suoi disegni, e, al tempo stesso, di potere disubbidire al Creatore. Dopo il peccato di origine che fu l’inizio della ribellione e cioè il pronunciamento diverso da quello di Dio, l’uomo è condannalo a conquistare Dio e cioè a meritare di ascoltare e seguire la Sua volontà. Perciò la nostra « libera » volontà, altro non è se non « difetto » di volontà, che cerca il completamento nella volontà della Legge, della Rivelazione, nel dettato dei Santi Padri, nello spirito di coloro a cui Dio concedette di illuminare fedeli e non credenti con la luce della Sua parola. Facciamo difatti distinzione fra volontà desiderata e volontà ordinata, fra volontà cosi detta libera e cioè anarchica e la volontà buona o volontà nella legge; parliamo difatti di arrivare alla conquista e alla realizzazione della « volontà etica » , che ci assicura la « libertà » nella legge, l’unica possibile all’essere razionale. Perciò se il Regno di Dio non è di questo mondo per quanto riguarda il prevalere del male sul bene e l’infelicità del giusto e la fortuna (apparente e caduca) di chi inganna il prossimo, e del malvagio, aiutati e protetti dalle forze demoniache nei loro misfatti, può essere benissimo realizzato nei singoli individui, in gruppi di individui votati a tenere accesa la lampada per lo Sposo promesso; quando essi cioè lealmente e moralmente sottomettono l’orgoglio e la superbia (conseguenza di una volontà senza limiti e quindi senza un fine, una guida, una regola, una luce) alla volontà dell ‘Onnipotente, trasformandola in volontà d’amore, di dedizione, di sacrificio per il bene delle anime e la maggiore gloria d’Iddi0.

Tanto più si estenderà tale regno nel sacrario della coscienza umana, tanto meno avremo ad assistere a fatti rattristanti e a scemenze, che ci fanno temere sulla sanità mentale dell’uomo. Saggi e savi, dovrebbe essere lo slogan di ogni scuola che non deve cercare solo di formare l’individuo a ben esercitare il suo mestiere di uomo, e quindi solo sottomesso a sé, ma di uomo credente e cioè sottomesso ai voleri di Dio: la prima educazione è volutamente parziale, mentre la seconda appaga « tutti » i bisogni dell’uomo compresi (e in primis) quelli dell’anima, coronando l’ansia divina che è nell’uomo.

Basterebbe un nulla a Dio per « obbligare » tutte le volontà a seguirlo, ma con ciò cancellerebbe, in un attimo, la nobiltà e l’eccellenza della ragione umana, il segno distintivo dell’uomo, che rimane arbitro di realizzare il regno di Dio nel mondo dell’uomo e quindi pienamente colpevole di subire le conseguenze della non realizzazione di un mondo di verità e di pace. Spiegami, o mio Dio, il mistero del perché gli uomini sono cosi ciechi, da pervicacemente tener Ti lontano, vantandosi di non conoscer Ti, di ripudiar Ti, di – o vaneggiamenti di dementi! – combatter Ti? Perché Ti offendiamo? Quanta pazienza e misericordia è la Tua, per attendere l’ora del nostro rinsavimento, senza punire le offese, tutto macerando all’altare del sacrificio, incredibile olocausto dove, per volontà Tua (o inaudito mistero d’amore!) mandasti il Figlio a riscattare con il Suo sangue, a farsi uccidere dagli uomini per i delitti ei peccati dell’uman genere

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LA VOLONTÀ LIBERA

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LA VOLONTÀ LIBERA

La libertà è tale in quanto e fin dove la ragione la può comprendere. ln effetti l’uomo ha avuto da Dio, volontà assoluta, il gran dono della volontà libera, magistrale lezione di democrazia, governo fatto per cittadini intelligenti, istruiti e coscienziosi. Questo dono ha reso responsabile l’uomo delle proprie decisioni, ma ha altresì aperto la via al giudizio critico di ogni verità, riducendo quindi la verità a verità individuale, relativa ad ogni essere dotato di ragione. Cadono cosi tutti i sistemi filosofici (compreso quello kantiano del dovere inteso quale legge universale che io affermo con la mia condotta) fondati su principi universali, validi in ogni tempo e luogo, in quanto non ciò che vale per i più, non ciò che « potrebbe » valere per tutti vale per me, ma ciò che ritengo debba » valere per me, ossia ciò che io ritengo valido. Pertanto anche « l ‘ostinazione » nel difendere la propria tesi e nel non accettare il punto di vista altrui, ha la sua legittimità. Anche la verità assoluta, e cioè quella divina, viene ad essere inevitabilmente sottoposta a simile setaccio, sicché la Rivelazione e ogni raggio di luce divina vengono sottoposti a vaglio, soppesati e, purtroppo, accolti in tutto o in parte o in nulla, il che fa meraviglia sulla cecità dell’uomo, ma sanziona la sua libertà d’azione. Di qui l’orgoglio di sapere e di credere; di qui il vanto di ciò che possediamo, la « fede » in ciò che riteniamo vero. Convincere, portare un’ altra ragione a ragionare veramente come la nostra, è ufficio straordinario, che nessuna lode può premiare: e pure e l’ufficio di quanti vogliono formare gli altri a loro immagine e somiglianza o confortare cuori, dei missionari dell’idea, della fede, della verità, di civiltà; ed è pure svago dei sofisti antichi e nuovi e degli affaristi e dei ciarlatani di piazza, che vilipendono tale sublime azione e possibilità di vincere il libero arbitrio dell’uomo, di persuadere la sua volontà.

Entrare nel sacro culto delle memorie care ad ogni essere, nel retaggio di cultura, convinzioni, evidenze che ogni uomo possiede, e scalfirne la compattezza o renderne insostenibile la fede che tanto sorreggeva, non è cosa di breve momento: le vere conversioni si contano sulla punta delle dita; ma gettare un essere nel dubbio, nello smarrimento, nell’angoscia perché gli si è incrinata la pietra angolare su cui poggiava la « sua » verità, senza sostituirla con un’ altra, è cosa diabolica, assassina, malvagia. La conversione vuol la « scelta tra due verità »: quella che si aveva e quella che altri ci vengono ad offrire e rientra quindi nel ferace compito dell’uomo verso se stesso e i suoi singoli: ma la distruzione di un’idea, non seguita da una critica costruttiva, è uno dei mali peggiori che a mente umana possa capitare. Si può dover scegliere fra il bene e Ciò che ci appare un male (e allora la scelta è facile); oppure fra due beni (l’uno di maggiore e l’altro di minor valore: e allora la scelta è più ardua); ma lasciare senza ricevere, perdere e non sostituire, significa rompere l’equilibrio interiore in chi c’è la serenità, la compostezza, la calma, la equità dell’uomo. Meglio lasciare gli uomini nella ignoranza, che generare l’inquietudine: l’istruzione deve servire a rendere più tranquillo e felice l’uomo, e a migliorare i costumi, altrimenti è distruzione di animi e di cuori. Beati invero i nostri morti, che ormai vivono nella volontà di Dio e possono finalmente riposare lo stanco affanno della ragione!

Ritornare a Dio significa difatti perdere la volontà libera, ma imperfetta che ci lascia insoddisfatti perennemente, per acquistare la volontà eterna e perfetta che completamente e infinitamente ci appaga. Volontà volente, volontà di vivere, di essere, di fare, di affermarsi, di credere, di operare, di volere, o sinonimi di libertà, per cui è degno il mondo di essere vissuto e degna è in me la vita dell’uomo, voi ci rendete l’esistenza terrena faticosamente gioiosa, mirabilmente divina, i mali affrontando e superando e sopportando, nell’eterno ritmo del creato ove il nascere ha bisogno dei perire, e i beni creando e recependo, per concreare con Dio, soggetti e signori dei mondo, pur nel breve arco di tempo delle nostre singole vite

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LA LEGGE DELLA NECESSITÀ

LA LEGGE DELLA NECESSITÀ

E dunque la legge della necessità che grava sull’umano consorzio: non ai beni più alti, non alle aspirazioni più nobili, si mira dapprima, ma a soddisfare alle necessità di ordine fisiologico e di ordine contingente, come il lavarsi, il vestirsi, ecc., attività che rappresentano un lavoro forzato, ripetuti come sono tutti i giorni, lungo e faticoso, a cui non si pon mente nel computo del lavoro quotidiano e che invece impegna le ore importanti della giornata (han mai fatto il conto, gli economisti, dell ‘enorme quantità di tempo e di lavoro che I ‘Umanità quotidianamente spende in tali improduttive occupazioni?) e che tocca non una élite ma tutti gli uomini, compresi quelli che, o per incuria, o ignoranza, o insensibilità, non curano affari superiori a quelli che riguardano la vita animale. Anche se affranti dal più grande dolore, la legge della necessità riappare in noi: è lo spirito vitale che ci sprona a vivere, che pone in movimento tutti i congegni del nostro corpo, anche contro la nostra volontà. Quando si parla della seconda vita dell’uomo, quella dello spirito, non ci domandiamo mai a quanti esseri essa è aperta e non ricordiamo come i 3/4 dell’umanità non superino, oggi, quella dei sensi, delle necessità primordiali.

In effetti la legge della necessità regola pure la vita spirituale, ed infatti il cibo dell’anima, il pan degli angeli, è vizio e droga tali che, gustatolo, non se ne potrà più fare a meno: « Non de solo pane vivit homo, sed de omni verbo qui procedit de ore Dei ». Pane, adunque, per l’esistenza fisiologica; scienza divina, per la vita dell’anima: la legge della necessità lega la terra e il cielo. D’ altra parte non vi è profondità umana o celeste, maggiore di quella del pensiero umano, che esplora e varca, d’un solo balzo, tali immensità, e che sorrda abissi ben Più paurosi e immani, eco dell’infinità che l’ha originato e annuncio dell’infinità che lo attende.

Ed ecco che una demanda pur si pone, in questo mondo del contingente: siamo

noi necessari, bastanti a noi stessi? Come può l’uomo essere necessario (e non inutile) a sé? L’ Umanità si farà più furba e più saggia, se si porrà sovente tale domanda, se il politico, il sociologo, l’educatore, il sacerdote, il padre e la madre di famiglia, il giovine e via discorrendo, si rappresenteranno la questione di come si possa essere utili a se stessi, nell’esercizio della propria professione o semplicemente nel mestiere di uomo che tutti esercitiamo.

Orbene, prima di tutto occorre essere se stessi, presenti a noi in ogni momento (il che non è facile: basti pensare che alle volte la coscienza e il buon senso si ergono a nostri giudici, per accusarci: ma che razza di bestione sono mai io? quali idee mi sono scervellate in capo? quale orecchio ho mai io prestato ad esse? ma sono io o è « un altro » ben diverso da me, che ha potuto pensare, o commettere, simili sciocchezze, stupidaggini, oscenità, iniquità? c’ è dunque un « secondo io » in noi, che opera all’insaputa o comunque contrariamente alla volontà del primo? c’è l ‘io dello spirito e l’io dell’animale, l ‘ io eterno e l’io della materia? se un conflitto sorge fra i due, qual è dei due quello che lo vince? e in virtù di che, per quali ragioni o cause, di cui la mia persona è responsabile o non piuttosto per necessita intrinseche alla mia natura terrena, da cui non posso sempre svincolarmi? Che l’educazione sia dunque proprio liberazione dall’istinto, dall’incoscienza, dagli appetiti della natura umana inferiore e che la dottrina della metempsicosi non rappresenti invero la necessità della graduale purificazione, in bagni successivi, per essere degni dello spirito divino lievitando sempre più il peso » del corpo?) . Essere « compos sui » , come ad esempio, lo sa essere una buona, vera madre, eccellente per virtù naturale, questo è il punto. Se so stare in equilibrio con le mie necessità ed i miei obblighi, sono a posto: se me ne rendo schiavo, sono in debito; e pagherò con l’aritmia della mia vita, e la conseguente insoddisfazione, angoscia, impossibilità di godere dei beni che la vita dispensa, volontà di morire nel senso della disfatta del vinto. Se all’opposto non mi faccio comprare e pago cioè quanto il corpo e la società da me reclamano, resto libero, sovrano, tranquillo, padrone di me e del mio destino, pater fortunae meae. A questo fine sì importante, vanno convogliate le forze e le capacità dell’individuo, gli uni aiutando gli altri, per « salvarsi » a vicenda. Solo se la mia risposta alla legge della necessità è piena e positiva, potrò sperare di non far naufragio in questo mondo, che è mondo della necessità perché mondo della realtà; mondo del fare perché mondo dell’essere e quindi dell’attività: mondo del riparare ai consumi perché mondo dell’usura. Per essere bastanti a sé, occorre essere in grado di giovare anche agli altri, di cui faccio parte e che sono gli altri « me stessi ». Siamo in catena: la socialità val bene questo anello, che mi congiunge al prossimo; se soddisfo alle necessità mie e del gruppo a cui appartengo, sono a posto perché « tutti siamo a posto » : in una Umanità dove si piange, non c’è posto per chi ride; in una Umanità dove si pena e si sta male, non c’è posto per chi gode: se voglio la mia felicità, mi dice Stuart Mill e l’utilitarismo, è necessario che procuri la felicità di coloro che mi stanno attorno e con i quali vengo a contatto. A tanto ci porta la legge della necessità: a vincolarci l’un l’altro, a mettere in comune le nostre sorti e i nostri beni. Essa è dunque guida e scuola di fraternità, carità, umiltà, umanità: essa è dunque da benedire, anche se significa (o forse, appunto perché anche significa) sforzo, impegno, richiamo ai valori morali e ai nostri limiti, sacrificio, bontà e offre un significato positivo, spirituale alla vita, aiutandoci a guadagnare, su questa terra l’eterna felicita in Dio

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IL TEMPO

IL TEMPO

Il tempo non ha significato fuori del creato, della vita, dell’uomo; esso ha valore e sostanza ed effetto soltanto se può essere « fermato » nell’attimo che passa o in attimi successivi, e la natura e l’uomo, nel loro farsi e disfarsi, sono difatti in misura del tempo, la sua personalizzazione.

Senza di essi il tempo sarebbe parola vana, atta per lo più ad esprimere il concetto di eterno e cioè di senza tempo, come lo spazio, senza il creato, servirebbe soltanto a definire l’infinito e cioè il senza spazio. I due principii a priori kantiani altro non sono che i mezzi necessari per acconsentire all’uomo di conoscere e cioè di far valere la sua intelligenza.

Il tempo è quindi in noi, nel nostro pensiero, nella nostra trasformazione. Come tale esso è ricordo, storia; ed è pure attesa, vale a dire avvenire. Non vi sono popoli, per quanto primitivi, senza storia: la tradizione è storia ed è esperienza di cose vissute, monito e suggerimento per le cose da vivere, da fare.

Senza il creato il tempo (nato con esso, perché il creato si sintonizza, evolvendosi compiendo i suoi fatali cicli, appunto nel tempo), il tempo diventerebbe – ammesso che possa esistere da solo – pura meccanicità e uniformità: la varietà sta nel contenuto. Il tempo è dunque forma di un contenuto, che gli dà una realtà: diversamente esso sarebbe cosa astratta, idealizzata. Con la realtà esso s ‘ inserisce profondamente in tutta la gamma e le specie dell’universo, incidendo come legge inesorabile perché assoluta, a servizio del comando divino, nella vita terrena.

ln altre parole anche il tempo non si può comprendere, se non lo si accetta come realtà terrena; e cosi lo spazio, impensabile – come osservò S. Agostino prima che il mondo incominciasse ad esistere. Mentre Dio non ha dimensioni essendo infinito, ossia senza limiti, l’uomo è dimensione nel tempo e nello spazio, i due elementi a priori ritenuti da Kant indispensabili per la conoscenza empirica. Come tali, noi li afferriamo nel momento della conoscenza, anche se essi esistono indipendentemente da essa, ma pur collocando ogni nozione nello spazio e nel tempo (l’hic e il nunc di S. Tommaso), non possiamo dire di possedere e cioè di conoscere che cosa sia lo spazio e che cosa il tempo. Li usiamo, necessitano all’essere fisico per essere: li definiamo come successione di attimi, nella durata e nella distanza, le due dimensioni che regolano appunto la vita del creato. Nel nostro mondo tutto è fatto di attimi: il primo amplesso umano, fra Adamo ed Eva, durò forse pochi attimi e dette l’avvio a tutte le generazioni. Un attimo segna il destino del mondo, dell’uomo: noi viviamo di attimi, pensiamo per attimi, decidiamo – in un attimo – per il bene o per il male, per la carità o l’egoismo, per la vita o per la morte, per l’eccelso o per la bruttura. Orbene, ciò che Cartesio definiva scienza, conoscenza dell’esistenza e Vico correggeva in coscienza dell’esistenza, altro non è se non la coscienza della nostra temporaneità di fronte alla coscienza di una infinità che l ‘ha creata e determinata, poiché il più forma il meno, ma non viceversa. Tutto ciò è puro ragionamento umano, ma la ragione è tutto quanto può fare l’uomo. D’ altra parte il tempo ci costruisce e ci sfascia: prima ci aiuta e poi ci offende, ci vitupera, ci deteriora, annullando ciò che ha fatto. Vi è dunque una parabola, il cui culmine segna la svolta della azione del tempo: dapprima positiva e poi negativa. L’uomo si difende disperatamente contro il tempo, ma il suo destino è inesorabile e nulla può contro quel giustiziere del creato, che adempie con scrupolo al suo incarico. Il tempo è quindi il mezzo che serve a ricondurre in polvere ciò che è sorto dalla polvere e cioè a compiere il ciclo ineluttabile della vita nel mondo della materia: donde il « Memento homo, quia pulvis es et in pulverem revcrteris! » che si confà pienamente al nostro assunto e all’ipotesi scientifica che. tutto è nato dalla materia. Comunque tale distruzione è necessaria per l’eterna primavera del mondo: ma tant’è, tutto ciò che è nato, perisce per mano del tempo, scopa del creato, voluto da Dio insieme al mondo, a regolarne gli attimi e il destino. Altra soluzione, altra via, non esistono: noi parleremo di cicli e di ricorsi: l’Autore dell’universo ha posto i fondamenti della scienza compiendo il fenomeno scientifico più grandioso che sia mai stato dato a conoscere all’Umanità e a questa offrendo il libro scientifico più sterminato che mente umana possa, nei millenni, spaziare. Perciò, non si può non pensare che Dio abbia pure concesso all’Umanità, seguito di individui, il tempo necessario per leggere tutto il Suo libro prima di distruggerlo, in quanto. non potrebbe, per « quel » futuro, più scrivere

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LA FORZA DELLO SPIRITO

LA FORZA DELLO SPIRITO

La realtà esiste per se stessa, tanto è vero che essa bruscamente ci richiama, alte volte, dai nostri sogni; per ognuno di noi esiste però solo la realtà che ci facciamo, che costruiamo, che pensiamo, che ci rappresentiamo, che immaginiamo.

Ciò premesso, è pacifico che gli esistenzialisti non accettino altra realtà se non quella che si può constatare e che innalzino interrogativi maiuscoli alle domande che l’uomo pone attorno alla propria esistenza, essenza, ai proprii fini: chi siamo? donde veniamo? dove andiamo? ; e in merito ai misteri della natura: che ci stanno a fare le stelle sopra il nostro capo? , ripeiendo in ben altra guisa l’interrogativo veggente di Kant; domande tutte alle quali teologi e scienziati hanno pure dato una risposta, che gli esistenzialisti considerano pero non esauriente, come non esauriente (abbiamo visto) sarà di ogni sentenza umana, -correndo quindi il lieto rischio di non chiudere mai il problema e pertanto di arzigogolare in eterno, com’è loro speranza e necessita della filosofia, in quanto essi non accettano per tali le sole verità diremo definitive, dettate dalla Rivelazione.

Vediamo allora di rispondere brevemente noi stessi a tali dilemmi: il mondo è nato dalla materia e l’uomo è nato dal mondo, è arrivato ad affermare padre Thediard de Chardier, scienziato e teologo. ergo, l’uomo è nato dalla materia. E la materia da chi, da che è nata? La cellula primitiva, chi l’ha formata? Di questa energia cosmica, che continuamente si sviluppa, nasce e muore e continuamente rinasce e si trasforma, chi è stato l’autore, chi I ‘ordinatore, chi il governatore delle leggi alle quali essa ubbidisce? La mente universale che regge i mondi, l’intelligenza che in essa si manifesta, non può essere minore dei mondi creati e di quelli che verranno creati. Essa è perciò superiore a quella di tutti gli uomini sommati assieme e più potente di loro, anche perché vede nel futuro.

Ora questo Autore ha creato, fra l’altro, l’uomo: perché doveva creare proprio questa speciale creatura che, dotata di una particella della intelligenza che anima il creato, avrebbe osato sfidarlo?

La mia risposta è semplice: perché soltanto l’uomo sarebbe stato capace di compartecipare, di collaborare alla creazione di Dio. L’uomo è il concreatore della divinità nella trasformazione dell’universo: dico l’uomo, la specie, che sopravvive nei millenni al singolo e che pertanto può operare fin che sarà al mondo o vi sarà il mondo.

Una considerazione fa, come si suol dire, il punto della situazione: perché l’uomo muore? dopo 80 0 700 anni (ciò non importa), l’individuo muore. La risposta è semplice: perché, in quanto materia, esso deve ubbidire alle leggi della natura, per cui tutto si trasforma, generando nuova energia per il creato, e tutto rinasce, per riavere giovinezza (l’eterna giovinezza del mondo); e tutto passa, per far posto agli altri, ad altro. Come materia l’uomo non può che assoggettarsi a tale destino: è sull’altra componente, l’anima, il soffio di Dio, che i pareri si dividono Se si ritiene che I ‘anima sia Immortale, perché Dio cosi l’ha creata e pur partecipando di Dio come intelligenza non è parte di Dio, perché è nata ad un certo momento per sempre essere, tutto è spiegato; se, all ‘opposto, non si crede alla sua esistenza, identificandola nell’istinto, nella coscienza, nella sensazione, nei fermenti di vita che ci animano, nella stessa ragione, ossia nelle facoltà in esercizio, allora si pone il problema dei perché del culto dei morti (nessun altro essere dei creato onora i propri morti), di questa speranza di unirci per sempre ai nostri cari oltre la tomba, delle « forze spirituali » che vigilano il nostro destino (vedo un gobbo, corro a giuocare al lotto e vinco centinaia di migliaia di lire: è sempre un caso che « quel » giorno – e non un altro giorno o un giorno qualunque in cui ho visto un segno propizio della fortuna, io abbia avuto effettivamente fortuna; è sempre il caso che fa nascere con la camicia uomini al quali tutto va sempre bene, affari e salute; è sempre il caso che guida una pallottola a colpire in fronte chi ti sia accanto in trincea e non te, che sei a trenta centimetri da lui; è il caso che ti fa passare un attimo – millesimo di secondo, ma basta! – prima dello schianto? Io propendo per il destino, fissato dall’Onnipotente e reso nella volontà Sua dalle forze spirituali che comandano alla nostra vita, compresa la vincita al totocalcio o alle corse dei cavalli o il « sogno dei numeri buoni » , che ml permettono di fare una scorpacciata di milioni al lotto e che o mi sono stati « portati » da un’anima pia o che rappresentano una proiezione nel futuro, alla stregua stessa dei profeti, della mia sensibilità, del mio intendere e quindi della mia spiritualità)

Lo spirito, qualora fosse svincolato dalla prigionia della materia, vedrebbe l’ Eterno e potrebbe tutto ciò che Dio gli permette di volere. Esso non è solo immortale, ma è nella verità; esso è potenza che nessuna forza materiale può vincere: l’impeto stesso della massa del mare arretrerebbe di fronte al comando della bacchetta di Mosè.

Tutto ciò si postula accettando l’esistenza dell’anima e tutto ciò non si può negare anche se non si accetta tale verità, perché non si potrebbe altrimenti spiegare l’essenza della realtà, del singolo vivente corpo-anima, o della realtà morte (corpo senz’anima) e quindi della Vita libera dalla materia.

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L’ERRORE È UNA FORZA?

L’ERRORE È UNA FORZA?

Da che l’uomo è al mondo, ha sempre cercato la verità. Il dubbio, l’interrogativo, è la Caratteristica dell’uomo e dimostra, come ben vide il Dewey, il suo stato di precarietà, ma il bisogno di scoprire la verità attesta la sua sete d’Iddio, la sua origine di figlio di Dio, la sua ansi a e la necessità di ritornare a Dio.

Non basta essere nel precario, nell’instabile, nell’incerto, per volere la sicurezza, il certo: si potrebbe essere nel dubbio ed essere paghi di stare nel «dubbio: chi, qual forza ci spinge a scervellarci, a torturare le nostre facoltà; chi è che non ci lascia star quieti, a bearci della nostra ignoranza e limitatezza, a oziare nei nostri piaceri vani, se non il richiamo prepotente del divino ch’è in noi, al divino che vive in tutto l’universo e che è eterno nel suo e nostro Creatore?

Così, affannato viaggiatore alla volta dell’essere, l’uomo alza la vela della sua barca a navigare, da secoli, nei più ignoti e difficili mari; e se uno vi fa naufragio o si ferma, l’altro gli subentra, raccogliendo la sua eredità e portando oltre la sua bandiera. Così la civiltà, il progresso, sono il frutto di tale navigazione nell’universo del cuore e in quello del mondo, degli astri; così l’esperimento scientifico, che sancisce una ricerca e porta prove ad una verità, non ferma » la verità, che è perfettibile perché umana, e che può essere e che viene ad essere superata o completata da un’ altra verità magari alla prima concatenata o ad essa opposta. La dialettica dei contrari, la logica degli opposti, trovano qui la loro ragion d’essere e ogni considerazione ha il suo lato di credibilità e di verità. Non esiste l’errore nell ‘uomo, se non per sofisma: esistono soltanto verità più grossolane e altre più raffinate, verità parziali, unilaterali, appena abbozzate o monche. L’errore suppone la controparte di una verità perfetta, che solo Dio può dare: è l’orgogliosa ragione che ci fa parlare di verità e di errori umani; più umilmente dobbiamo dire di ipotesi e di correzioni, pure ipotetiche, di tali ipotesi. Ove l’uomo si adagiasse, perché ha raggiunto la verità, egli si metterebbe fuori di questo mondo.

Non l’errore quindi, ma il bisogno della verità e la coscienza della possibilità di essa, fanno muovere il creato. Corriamo quindi il rischio di agire sotto una continua e perpetua illusione, se non ci fosse un dato di l’alto a confortarci e ad impegnarci a proseguire: l’uomo NON può fare a meno di’ essere così com’è e che altro non gli resterebbe, né egli potrebbe fare, segno, anche questo, di un ordine e di un comando a cui nulla e nessuno possono sottrarsi pena la confusione, il dissenso con noi stessi, l’angoscia, il terrore e la morte o annientamento dello spirito vitale, che si rinnega. L’autodistruzione dell’uomo sarebbe il risultato di una simile follia, che affiora, ogni tanto, come superficialità, passività, insensibilità ai valori, ai doveri, all’attività (dono divino, che – come vide Froebel – ci rende simili a Dio creatore), segno di un’epoca che si spegne (come, per tanti versi, si delinea purtroppo, la nostra e come, per altri versi, non è certamente quella di popoli che a noi, europei stanchi e disfatti, subentreranno nella secolare, ciclica e alterna altalena e fortuna, delle sorti delle umane genti).

E ancora uomo, difatti, quell’essere che vediamo sul tram, allo sportello di un ufficio, al volante di una macchina, allo specchio, animato solo dal proprio egoismo, preso nel vortice dei proprii interessi materiali e delle proprie passioni, indifferente al gregge che gli formicola attorno?

L’uomo sta distruggendo l’uomo: questa è l’incredibile (e spaventosa) constatazione che possiamo fare; l’uomo annienta se stesso, perché non avverte più l’unica ragione di vita: la ricerca della verità, l’affermazione e la difesa di essa e cioè della sua libertà, dignità, umanità, spiritualità, lealtà, sincerità, del suo onore. « L ‘uomo sta mentendo a se stesso: ecco l ‘errore » (e questo è vero errore, perché contraddice una verità divina), che non è certo fonte di nessuna azione, di nessun stimolo a superarsi, a mutare le condizioni del mondo.

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