IL SIGNIFICATO DEL SIMBOLO IN MASSONERIA

  • Sulle strade di San Giovanni
  • Significato del Simbolo in Massoneria:

Contributo per una lettura consapevole

Sulle strade di San Giovanni

«Non siamo formiche pensose che brulicano sulle crepe del mondo cercandQ di scoprirne le caratteristiche senza influenzarlo.

[I nostro mondo è invece un ‘entità dinamica e multifomze che riflette l’attivitè dei suoi esploratori»

P, Feyerabend

Un universo in costante colloquio con se stesso. Una interazione attiva e continua tra tutti gli atomi del nostro mondo. Questa immagine rappresenta una giusta premessa a ciò che vuole essere il mio cammino di ricerca.

L’osservatore modifica l’osservato così come vuole anche il grande principio di indeterminazione di Heisenberg, alla base di tutte le ipotesi e conoscenze della fisica moderna. Il nostro essere nel mondo e il nostro essere… il mondo ci porta quindi ad una conoscenza che modifica profondamente lo stesso universo. Questa grave responsabilità ( . . . libero arbitrio?) chiede allora la massima attenzione a che i nostri passi siano corretti ed armoniosi, il più possibile ed in ogni istante. Ecco che vale allora la pena sentire come scopo principale della propria esistenza la necessità di comprendere le leggi che sottendono l’equilibrio e l’armonia universale per inserirsi nel sinuoso respiro del mondo con il giusto ritmo e la corretta forza.

Comprendere. Sublimare attraverso un’ alchemica sofferenza tutta la nostra ignoranza. Ecco perché siamo qui.

E alla mente affiorano le parole che ho ripetuto tante volte ai ragazzi nelle ore di scuola: primo passo per una giusta comprensione è il processo di lettura che deve essere attenta, che deve riguardare ogni simbolo e ogni forma. Se le nostre giornate fossero piene di attenzione verso i sottili o macroscopici messaggi che attraverso mille simboli zi vengono offerti, non riesco ad immaginare quanto migliore potrebbe essere la nostra vita ed il mondo circostante; meno grave certo di fraintendimenti, mistificazioni e false promesse.

Quando il simbolo prende vita dentro di noi genera un processo di conoscenza e comprensione che nel più felice compimento porta ad una corretta modificazione del nostro essere. Il simbolismo è necessario alle esigenze della natura umana che non è una natura puramente intellettuale ma ha bisogno di una base sensibile, della nostra capacità di emozionarsi per elevarsi ed affinarsi. La forma del nostro linguaggio è analitica, così come la ragione umana di cui esso è lo strumento. Il simbolo è invece essenzialmente sintetico e perciò intuitivo, quindi più idoneo ad una comprensione che non può essere solo intellettuale ma è anche emozionale e fisica. Così come «conosciamo» il pane solo dopo che il nostro olfatto ne ha ricevuto il profumo, il gusto ne ha esperito il sapore ed il corpo ne ha assorbito l’energia. Solo dopo l’esperienza totale possiamo, un pochino meno ciecamente, parlare oggettivamente.

Troppo spesso infatti il nostro linguaggio è preda di profondi fraintendimenti legati al diverso colore emozionale che uno stesso termine o immagine evoca all’interno di ciascuno di noi, ponendo alla comprensione limiti più o meno stretti.

Il simbolo per contro non prende vita se non attraverso una attivazione immaginativa, creativa e costruttiva che fa sì che le necessarie associazioni di pensiero si trasmutino in comprensione che è chiarezza della mente, calore emozionale e benessere fisico. In questo processo si gioca la nostra crescita ed è anche con questa speranza che noi siamo qui.

Sono in officina; attorno a me strumenti d’ogni forma e materia possiedono, come ologrammi colorati, una gamma quasi infinita di significati e sono pronti a porgere duraturi doni a chi con corretto processo interpretativo ne assimila il gusto profondo.

L’uomo che si pone in cammino verso la conoscenza non potendo sottrarsi alle leggi che governano l’equilibrio del mondo, può e deve imparare a riconoscerle per poterle utilizzare a vantaggio del proprio procedere. I simboli sono allora come luminose frecce poste ad ogni nodo importante. Essi sono il richiamo costante alla nostra attenzione a ciò che è fondamento, legge e senso della nostra esistenza. Come l’Ave Maria che a sera chiama al raccoglimento le menti affaticate e distratte dalla quotidianità che devono ricordare ed instancabilmente cercare il perché del proprio vivere, del proprio respirare, del proprio essere nel mondo… il mondo.

Quante volte, in quanti istanti rimaniamo sordi ai rintocchi e ciechi alla luce che pure ci circonda.

Il simbolo è sempre presente e non si cela mai agli occhi che guardano cercando di vedere oltre l’apparenza delle cose. La verità non è quasi mai ciò che appare. Solo la nostra ignoranza accetta di credere che verità è ciò che mi piace o convince o fa comodo…

La cristallizzazione delle verità universali in noi ed i conseguenti benefici che ne riceve il nostro vivere sono anche i frutti della tensione costante legata al processo di interpretazione dei simboli da parte del ricercatore. Come in un puzzle dove i tasselli si compongono attraverso successive correlazioni per formare alla fine un’immagine complessa e completa di un pezzetto di realtà.

Così come precisa Guénon, il modo normale e naturale di espressione della conoscenza oggettiva e l’unico per trasmetterla inalterata nel tempo e scevra da soggettivismi e pericolose mistificazioni è quello del simbolismo.

Una delle allegorie principe di tutte le tradizioni esoteriche è quella del viaggio ed anche per la filosofia massonica questa è un’immagine ricorrente ed importante. Ogni fratello si incammina, nella sera della sua iniziazione sulla «strada di San Giovanni» e si impegna a percorrerla senza cedere mai alla pigrizia, alla fatica e ai piaceri delle soste. Privato temporaneamente della vista, cammina apparentemente senza direzione certa (così come anche nella realtà), sottoposto ai rumori privi di armonia del mondo circostante, cosciente solo della propria solitudine e fragilità. Man mano che il viaggio procede i cacofonici suoni iniziali si traformano, attraverso le prove di purificazione e fortificazione, in musica che porta al cuore dell’apprendista la sicurezza di procedere sempre più verso il centro di se stesso e la sua grande armonia.

L’etimologia del termine «iniziato» è proprio di «messo sulla via» :osì come l’immagine del viaggio risponde perfettamente all’idea di cambiamento, di sperimentazione, di spostamento da posizioni note e garantite, da abitudini sclerotizzate e false sicurezze a situazioni nuove ed incognite. Esso reca in sé l’idea dell’incerto, dell’esperienza da vivere su tutta la pelle e provoca soprattutto la nuda sensazione di sé, priva delle inutili fioriture mentali che l’identificazione alle proprie abitudini ed il radicato senso di possesso nutrono in noi. Pellegrini, con bastone e sandali, ricchi solo del nostro respiro e delle nostre forze.

Così dovremmo sentirci ogni volta che la porta del tempio si chiude alle nostre spalle; curiosi e ricettivi di tutto il nutrimento che lo stare insieme in questo luogo ci può dare e poveri e privi delle irreali impalcature che tanto supportano il nostro vivere.

Lasciamo fuori le nostre maschere…

Ogni qualvolta calpestiamo il pavimento del tempio dovremmo riuscire a sentirci in cammino, di passaggio in passaggio; dovremmo immaginarci ancora a piedi nudi a contatto con la terra, spogliati da ogni metallo, da pesi o accessori che segnano con la loro gravità la nostra attrazione verso tutto ciò che è terreno e schermano le sottili vibrazioni che dalla volta celeste ci chiamano.

Provo una piacevole sensazione al ricordo del primo sguardo al pavimento a mosaico, per la sua regolarità compositiva e l’eleganza delle dimensioni. Per i pitagorici la forma quadrata rappresentava l’unità spaziale legata alla perfezione del numero quattro, primo numero generato dalla trinità creatrice e la bellezza della forma esaltata nel contrasto dei due opposti colori mi ricorda sempre l’armonia e l’equilibrio che solo scaturiscono dalla sintesi tra opposti e dal superamento delle contrapposizioni.

Tenebre e luce, ignoranza e sapienza, bene e male non più intesi come entità oggettive ma viste solo in senso relativo. I miei piedi calpestano ora la superfice nera ora il bianco così come i nostri pensieri prima di giungere alla cristallizzazione della verità oscillano tra dubbi, errori e corrette intuizioni.

L’alternanza cromatica del pavimento del tempio mi dice che né il bianco né il nero sono giusti e perfetti in se stessi ma prendono significato e pregio l’uno dall’altro.

Così bene e male perdono consistenza individuale diventando ai miei occhi sfaccettature diverse di una sola energia sottoposta costantemente a forti condizionamenti e deformazioni in spazio e tempo che generano risultanze positive o negative in relazione alla nostra esistenza.

Compito dell’iniziato è cercare di mantenere lineare il proprio cammino lungo l’esile filo di separazione tra ogni piastrella, ricercando in ogni giudizio l’equilibrio che supera e sintetizza ogni estremo.

Un particolare studio ha evidenziato una correlazione tra la situazione geografica dei grandi luoghi di fede e la disposizione della sfera celeste.

A partire dal santuario principe di ogni pellegrinaggio, Santiago de Compostela, la linea che unisce i grandi luoghi di culto sembra riflettere l’immagine celeste della via Lattea in una grande comunione che unisce e rende omogenea la terra al cielo.

La vita dell’uomo sulla terra è considerata un tortuoso periodo di prove ed esperienze e l’uomo che si pone sulla strada della conoscenza è ancor più destinato a passare di credenza in credenza, sempre immerso nelle insicurezze e nella sperimentazione fisica, spesso sofferente, che la verifica di ciò che a poco a poco comprende, richiede.

Chi cerca di capire il perché del respiro dell’universo è destinato ad errare, a percorrere un itinerario pericoloso, dall’approdo incerto, immerso nella «grande solitudine».

Come ci insegna Maria Montessori, sempre ogni progresso è un distacco da qualcuno, o qualcosa.

Impermanenza, incertezza e solitudine quindi, come grandi compagni di viaggio.

Molte cose oltre al pavimento a mosaico nel tempio mi ricordano che la vita si manifesta e si sostiene attraverso un processo oscillatorio tra estremi spesso inconciliabili, in una continua alternanza di opposti che chiede sintesi per generare la pace e l’armonia.

Attraverso le due colonne, quella ionica e quella dorica, Jachin e Boaz si rinnova l’idea del doppio, del dualismo, della lotta che precede ogni crescita spirituale.

Attraverso le colonne ci arriva la luce dell’Oriente; esse sono il punto di non ritorno oltre il quale è l’oceano delle burrasche e della co• noscenza.

lo appartengo alla colonna del Nord, provengo dalle buie regioni del freddo ma i miei occhi sono rivolti al mezzogiorno luminosi della speranza di sciogliere i cristalli di ignoranza che hanno finp a qui governato e gravato i miei passi. Alla mia destra è il Primo Sorvegliante, che rappresenta la Forza. Senza l’aiuto della sua mano ferma nessuno scalpello può scalfire la dura pietra grezza al fine di portarla alla bellezza della forma cubica, Alla mia sinistra è la Sapienza del Maestro e solo se saprò creare un giusto equilibrio tra Sapienza e Forza riuscirò a curare al meglio angoli e proporzioni della pietra donatami. Sono giunta al passaggio al sud da Perpendicolare a Livella e se fino ad oggi i miei passi e i miei pensieri subivano come il filo a piombo, passivamente la gravità terrestre senza poter opporre una volontà propria; ora l’orizzonte diventa parte di me e posso vedere la linea verticale lungo cui ascendere. La conoscenza che scava nel profondo della terra ha ora come riferimento l’orizzonte e può manifestarsi all’esterno tramite la mia coscienza.

Tutto il linguaggio rituale, gestuale e verbale Massonico si snoda attraverso immagini, allegorie e simboli che mutano ad ogni passaggio pur restando immobili nella forma. Sono gli occhi ed il cuore del Fratello che ne vedono mutare di passo in passo i successivi significati. La Massoneria non mi propone dogmi od assiomi; mi esorta invece attraverso tutte le sue icone a pensare, a cercare, per capire e prendere coscienza del vero e dell’armonia di ogni cosa. Tutto in officina e nel tempio mi obbliga ad una ricerca attiva, allo sforzo di comprendere, poiché nessuna verità mi viene gratuitamente rivelata. Ogni oggetto è per me ricco di promesse se lo guardo con gli occhi del cuore.

«Non ti è imposto di completare l’opera, ma non sei neppure libero di sottrartene »

R. Tarfou E allora ecco rinnovato il nostro entusiasmo, bruciata ogni stanchezza e tacitato ogni dubbio. Dubbi che sempre la greve «razionalità» che ci avvolge insinua nel cuore per rosicchiare forza al nostro affermare che il dono della vita è troppo grande e troppo prezioso per terlo sciupare e sporcare di pigrizia, ipocrisia, distrazione, vanità, vanagloria ed insincerità.

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CATTOLICI E MASSONERA ovvero la scomunica dei Massoni

Cattolici e Massoneria ovvero la scomunica dei Massoni

Su Civiltà Cattolica del 19/11/1974 (anno 125 – quaderno no 2984), a pagina 159, viene riportata la lettera del Cardinale Seper inviata ai presidenti di alcune Conferenze Episcopali.

Redatta in latino in data 19/7/1974 essa dice:

molti vescovi hanno interpellato questa Sacra Congregazione circa la portata e l’interpretazione del Canone 2335 del codice di Diritto Canonico il quale, sotto pena di scomunica, proibisce ai cattolici di iscriversi alle associazioni massoniche o altre associazioni del genere …” c prosegue.

Ora io non voglio parlarvi del problema sollevato dalla lettera del Cardinale Seper, che in verità riveste una specifica posizione in’ seno alla Chiesa Cattolica, né dell’importanza dogmatica che può avere per noi una bolla di scomunica; questo perché credo essere di estrema validità quella grande verità detta dal Cristo: “chi veramente crede sarà salvato”.

Ed allora, se la Chiesa Cattolica sente ora il bisogno di rivedere le sue posizioni verso la nostra Istituzione, se oggi per la Chiesa di Roma i Massoni non sono più quei nemici che ha sempre, e sino ad oggi, dichiarato essi siano o siano stati, quale valore dogmatico può avere la scomunica e quale l’infallibilità di chi 111a pronunciata?

La lettera dell’eminente prelato ammette che quanto noi sappiamo oggi della Massoneria non consente più accuse indiscriminate, né processi portati avanti sulla base di luoghi comuni …”

Questa dichiarazione ammette implicitamente che accuse e processi passati furono portati avanti sulla base di luoghi comuni e sulla scorta di conoscenze puramente superficiali. No comment.

Ciò nonostante la posizione non cambia, pur dando atto di un errore di valutazione, poiché essa ammette implicitamente una diversità fra le stesse associazioni massoniche, come se il Massone europeo fosse differente da quello asiatico, da quello americano, da quello africano. Ed aggiunge la lettera che giudicare di esse, associazioni massoniche, spetterà, per quanto riguarda la condotta dei cattolici, alle autorità religiose dei singoli paesi.

Come ciò sia possibile a me sembra essere cosa arcana, Come possa il Nunzio Apostolico del paese “X” dire che il cattolico massone sia da mettere all’indice quando il suo collega del paese “Y” decide di poter andare a braccetto con lui? Per una associazione iniziatica o si è o non si è; infatti noi o slamo Massoni o siamo profani. Come può dunque essere caro alla Chiesa Cattolica il Massone del Mozambico e non quello del Canada?

Questa posizione, a mio avviso, maschera un tranello, ha in se una certa ambiguità. Non è questo il problema con cui si debba cercare di salvare capra e cavoli. O i Massoni, per la loro posizione specifica, per la loro qualifica, per il segreto che li circonda, pcr le accuse cui sono stati oggetto, per la loro posizione umanistica, pcr il loro specifico atteggiamento di ricerca, per la loro accettazione ampia di calore umano, per il loro scetticismo dogmatico, sono dei buoni elementi per la Chiesa oppure sono seguaci di Satana che vogliono sconvolgere il cielo.

. Possono esistere ed esistono di fatto delle associazioni massoniche le quali nulla hanno di cospiratorio contro la Chiesa e contro la fede dei loro membri cattolici , Dunque ancora esistono per la Chiesa dei Massoni di serie “A” o di seric “B”. Esiste sempre una differenziazione.

Come possa esistere una tale situazione è un mistero. Non sono i Massoni proiettati verso la ricerca della Luce? Perché questa Luce non possa essere raggiunta attraverso le indicazioni del Cristo, per i Massoni cattolici, o quelle del Nirvana, per gli orientali, questo è un mistero inconcepibile. Non ha forse Cristo stesso indicato nella fede più pura il suo raggiungimento? E allora come può il Massone cattolico essere un nemico potenziale di questa fede quando in essa può identificare il suo intento? Un luogo comune dice: “le vie del Signore sono infinite”. Luogo comune di grande saggezza perché ogni essere umano può scegliere la via che più gli è consona per tale finalità.

Se possono esistere delle associazioni massoniche che non siano cospiratrici contro la Chiesa, quale valore può averc una scomunica generica? Se ne deduce che essa è stata, in illo tempore, dettata non da fini fideistici o morali, ma solo da timori temporali. Si ricade quindi nella scomunica politica che il fascismo o altre correnti politiche hanno comminato o comminano nei nostri riguardi perché non possono controllarci.

Diventa pertanto palese che un valore morale della scomunica pontificia verso i Massoni cattolici non ha alcun significato e ciò è chiaramente dichiarato nella lettera del Cardinale Scper poiché viene confermato nel punto cinque delle considerazioni: come devono regolarsi coloro che .finora si consideravano ed erano considerati scomunicati per il solo fatto di essere iscritti alla Massoneria? Nessuno meglio di loro, in coscienza ed in piena lealtà, può giudicare della natura e dell’attività del gruppo massonico cui appartiene. Se la sua fede di cattolico non vi riscontra nulla di sistematicamente ostile e organizzato contro la Chiesa ed i suoi principi dottrinali, morali, eccetera, egli può rimanere nell’Associazione “. E chiaramente una dichiarazione di decadenza della scomunica, anche se non confortata da una bolla pontificia.

Questi commenti, se pur oggettivi, se pur nati da un’antica convinzione che la Massoneria può e deve esistere a fianco di ogni fede, deve tollerare in sé, promuovere in sé, il continuo confronto di ogni ideologia, di ogni credo, di ogni tendenza, sempre espletato nella più libera considerazione della libertà umana, questi commenti alla lettera del Cardinale Seper non hanno fatto che confortare il mio pensiero di Massone cattolico.

Ed ancora, se il sottoscritto Massone può ancora avvicinarsi al confessionale tacendo l’anatema della sua posizione, se può awicinarsi alla mensa divina senza alcuno scrupolo per la sua appartenenza alla Famiglia Massonica, questo è tutto chiarito nei commenti alla lettera del Cardinale Seper, solo perché la sua coscienza lo ritiene degno; orbene Fratelli miei quale significato può avere la scomunica della Massoneria?

Fra di noi può benissimo esserci, o esserci stato, chi ha seguito in nome massonico spirituali non concepiti ortodossi dalla Chiesa, ma se egli li reputa validi può tacerli ed accostarsi al pane divino. Si ricade qui in una assoluzione generica dello stesso valore della scomunica generica.

A questo punto non riesco più a capire quale sia la posizione del Vaticano. Basilare per un buon cristiano è il pentimento della mala azione, la sua sincera confessione; però io, Massone, reputo il mio agire, anche se difforrne dai dettami cattolici, perfettamente aderente al credo c tranquillamente mi avvicino alla particola divina.

Sarà questione di coscienza, sarà superficialità, sarà persuasione mia, ma non può giustificare la linea di condotta di una istituzione che si definisce iniziatica.

Iniziatica è una scuola che indirizza su basi ben definite, secondo determinate concezioni e finalità. Ora se la condanna comminata agli iniziati è basata su fatti e concetti ben definiti essa è valida oggi quanto era valida ieri, a meno che il colpito vada a Canossa.

Ma se oggi si sente il bisogno di rivedere una posizione presa, se oggi si sente la necessità di dichiarare che certi fedeli possono, pur mantenendo intatta la loro posizione, rientrare in seno della predetta scuola iniziatica, se si lascia ad essi stessi l’opportunità di valutare il fallo per cui, allora, sono stati colpiti, ebbene ciò vuol dire che l’errore, l’eresia, non sussisteva.

Ecco dunque o Fratelli quale per me è il valore che ha sempre avuto la scomunica papale nei confronti della Massoneria e mi auguro che l’apertura iniziata dal Cardinale Scper porti abbondanti frutti permettendo che profani, tutt’ora legati da posizioni fideistiche di fedeltà, possano vedere in noi quell’alternativa, quel completamento cui anelano.

Durante l’inaugurazione della casa massonica di Aosta, il Gran Maestro Lino Salvini riferì che in una riunione, non so più dove e a quale livello, vide che sull’Ara erano contemporaneamente posati diversi libri sacri, salvo quello cattolico. Ebbene auguriamoci che questa apertura faccia si che agli altri libri si unisca anche il Vangelo.

6 dicembre 1974 dell’e.•. v

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LE CARICHE DI LOGGIA

Le “Cariche di Loggia”. A ciascuno il proprio Tempio di Salomone

Il libero muratore si muove con coerenza e rispetto delle regole che disciplinano il Grande Tempo all’interno del Tempio, ma al tempo stesso interagisce con ogni cosa reale del mondo profano cercando di percepirne l’essenza. Ogni libero muratore può considerarsi “architetto” di un personalissimo Tempio di Salomone, quando edifica la propria esistenza all’interno dello spazio che occupa con strutture architettoniche funzionali al riparo e alla protezione, ma anche con solide forme spirituali in grado di dare una logica, un senso virtuoso e una coscienza costruttiva al proprio mondo interiore.

È proprio attraverso questi due elementi (materiale e spirituale), in apparenza opposti, che la libera muratoria, intesa anche come prezioso strumento per decifrare la realtà per come viene percepita dalla nostra mente, può aiutarci a comprenderne la sostanza, a condurci verso una verità soggettiva e dinamica, stimolandoci ad andare oltre la superficie di tutte le cose, a superare ogni barriera e oltrepassare qualunque confine, sollecitando il pensiero di colui che è stato iniziato verso la Luce.

Il Tempio di Salomone – Re di Israele, Principe della Pace e dell’Architettura per Divina Ispirazione – è iniziato e si è concluso nel breve tempo di sette anni e sei mesi con 3.600 Maestri Muratori, 80.000 tagliatori di Pietra (Compagni d’Arte) e 70.000 operai comuni (Apprendisti). A questi si unirono i Muratori di Hiram, Re di Tiro, tra i quali Hiram (suo omonimo) considerato il Muratore più perfetto della Terra. Grazie all’aiuto economico degli Israeliti più facoltosi e dei nobili dei Reami vicini, fu possibile edificare una costruzione maestosa capace di ospitare 300.000 persone. Fu considerato l’esempio di muratoria più sublime della Terra, la più grande meraviglia del mondo, consacrato e dedicato a Re Salomone. Il Tempio, ritenuto esempio sublime di armonia, divenne modello per il mondo e, di conseguenza, la muratoria fu perfezionata in tutte le nazioni vicine per merito di tutti gli artisti coinvolti nell’impresa che diventarono Gran Maestri di quest’Arte Reale.

Il nostro MV considera le “Cariche di loggia” come preziosi e fondamentali elementi decorativi che costituiscono un tempio: colonne, capitelli, trabeazioni, architravi, balaustre. Ogni singola componente, di per sé, non sarebbe determinante, ma unita alle altre contribuisce a creare sapienza, forza, bellezza e armonia universale. Un ragionamento che porta alla mente una corrente della ricerca psicologica, la Gestalt (in tedesco Forma), che si inserisce all’interno di una prospettiva di tipo fenomenologico secondo cui è centrale l’esperienza che si verifica in un soggetto nel momento in cui esamina un fenomeno.

La Gestalt deriva dalla riflessione filosofica legata all’attenzione per gli aspetti innati della conoscenza: idee e principi che già esistono in noi e che non provengono dall’esperienza, ma che fanno già parte del nostro spirito. Per i Gestaltisti (Kohler, Koffka, ecc.) la coscienza non è scomponibile in elementi semplici e il Tutto è sempre maggiore della somma delle singole parti.  Così come la globalità di un fenomeno non può essere spiegata dalla semplice unione delle singole parti, allo stesso modo la Bellezza, la Sapienza e la Forza che si generano e si perpetuano all’interno di un Tempio non sono valutabili analizzando il singolo lavoro di ogni libero muratore, ma dipendono dalle relazioni che si creano tra di loro, dalla loro struttura organizzativa e dai principi valoriali, etici e morali che vengono osservati.

‘M.’.  V’.’.

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IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE

Il giuramento di Ippocrate di R. N.

Il giuramento del medico tramandato dalla scuola ippocratica si delineò nell’antichità greca come patto d’iniziazione sacrale e di fedeltà collegiale. La formula sopravvisse nel medioevo e nell’età moderna, ed è ancora considerata con rispetto, benché nei suoi termini letterali possa essere considerata non del tutto adeguata ai giorni nostri, in particolare per gli sviluppi legati alla trasformazione scientifica della medicina.

Il giuramento di Ippocrate è una dichiarazione solenne di appartenenza ad un gruppo di medici legati da un impegno di fedeltà reciproca e di comportamento esemplare, che si istituì come scuola tra i secoli v e IV a. C. I testi che si posseggono del giuramento sono trascrizioni medioevali che hanno certamente subito manipolazioni rispetto all’originale, che peraltro non è noto. Il testo che riporterò è comunemente accettato come il più antico, ma cercherò di mettere in rilievo le parti verosimilmente più tardive, anche se in questa sede non interessa tanto l’autenticità, quanto il valore etico del testo, come riferimento al contegno da tenere verso pazienti, colleghi, maestri e discepoli. Quindi, un codice deontologico che potrebbe essere proprio anche di altre arti liberali, oltre che della medicina, ma, nello stesso tempo, un giuramento iniziatico che ha spunti in comune con il giuramento dell’iniziazione massonica, anch’esso patto di iniziazione sacrale e di fedeltà collegiale, oltre che impegno morale.

In questa tavola vorrei sottolineare i punti di contatto, ma anche le differenze, tra i due giuramenti, tenendo anche conto degli oltre duemila anni di distanza che li separano; e vorrei anche discutere se, alle soglie del duemila, le indicazioni etiche del giuramento ippocratico siano ancora attuali, come lo sono quelle del giuramento massonico. Ed ecco il testo integrale del giuramento, diviso in otto parti o commi:

1. Giuro per Apollo medico, per Asclepio, Igea Panacea e per tutti  gli dei e le dee, chiamandoli a testimoni, di tener fede secondo le mie wze e il mio giudizio a questo giuramento e a questo impegno scritto:

di considerare colui che mi ha insegnato quest’arte come pari a mio genitore, di avere con lui comunanza di vita e, se avrà bisogno, difargli parte del mio; di considerare i suoi figli come miet fratelli e d’insegnare loro quest’arte se ne avranno desiderio, senza compenso né impegno scritto; di trasmettere i precetti e le parole e tutti gli altri insegnamenti ai figli miei e di colui che mi ha istmito e agli allievi che hanno sottoscritto l’impegno e hanno giurato secondo l’uso medico, ma a nessun altro. In questo passo l’aspirante ad essere iniziato alla medicina ippocratica vincola il proprio contegno con impegno scritto, invocando come testimoni gli Dei, impegnandosi ad una solidarietà con maestri e colleghi, e a non rivelare gli insegnamenti ricevuti se non a chi dovrà essere accolto come aspirante allievo. Nel giuramento massonico il profano che aspira a diventare apprendista si impegna per iscritto alla solidarietà con i fratelli ed al segreto, «alla presenza del Grande Architetto dell’Universo». Qui le analogie tra i due giuramenti raggiungono il massimo grado: l’impegno scritto, la solidarietà, il segreto, l’invocazione ad un essere trascendente, preludono ad una scelta vincolante, per cui non pare eccessiva l’enfasi usata in entrambi.

  • Mi servirÒ del regime per giovare agli infemzi secondo le Wie forze ed il mio giudizio e mi asterrò da danno ed ingiustizia.
  • Non darò a nessuno un farmaco mortale, neppure se richiesto, né lo proporrò come consiglio; similmente non darò a ana donna un pessario abortivo.
  • Sacra e pura consewerò la mia vita e la mia arte.
  • Non inciderò alcuno che abbia il male della pietra, ma lascerò il posto a uomini che esercitano questa pratica.

In questi commi, che sono stati probabilmente modificati in epoca medioevale, non compaiono solo problemi di ordine tecnico, ma traspare anche un forte impegno morale, e, a mio parere, un invito indiretto al rispetto delle leggi. Nel giuramento massonico tale invito è assai più esplicito: Onesto, solerte e benemerito cittadino, ossequiente alle leg,gi dello Stato».

  • In qualsiasi casa andrò, entrerò per soccorrere gli infemi, astenendomi da qualunque ingiustizia volontaria e da ogni danno, come da atti sessuali sa corpi di donne e di uomini, liberi o schiavi.

Anche in questo passo è evidente la somiglianza con «Prometto e giuro di non attentare all’onore delle famiglie dei miei fratelli.:. », ma il giuramento di Ippocrate ha qui una valenza morale più ampia, perché l’impegno di non arrecare danno o ingiustizia anche con atti sessuali abbraccia non solo i confratelli, ma tutti coloro che al medico si rivolgono per aiuto.

  • Quanto vedrò e udirò nel curare e anche al di fuori del curare Nguardo alla vita di uomini, che non sta opportuno mai divulgare, tacerò tenendolo alla stregua di segreto.

L’obbligo del segreto è considerato dal punto di vista del danno che può derivare dalla sua violazione, sia per il medico che per il paziente. I medici ippocratici, riuniti in un’associazione esclusiva vincolata dal giuramento e dal segreto, proteggevano non tanto le capacità tecniche della professione, quanto le formule e le regole di vita sacrale alle quali si affidavano sia la tutela del raggruppamento, sia la capacità di acquisire conoscenze utili alla professione (Ippocrate, negli Aforismi, scrisse: «Le cose sacte sono nvelate solo a uomzni sacti»). In questo senso l’impegno al segreto è analogo a quello del giuramento massonico. D’altra parte, nel giuramento di Ippocrate il segreto è dovuto anche per ciò che riguarda il paziente, e ciò è senz’altro valido anche oggi, ed anche in codici deontologici non medici. Ma mentre il segreto sacrale è sicuramente proprio del testo originale (il primo comma è probabilmente quello che ha subito meno manipolazioni), la norma sul segreto professionale (settimo comma) potrebbe essere stata rimaneggiata in epoca medioevale, di fronte a nuove esigenze etiche a cui nell’antichità classica veniva dato minor peso.

  • A me dunque se adempirò a questo giuramento e non lo violerò sia dato di cogliere ilfrutto della vita e dell’arte, onorato da tutti gli uomini per sempre nel tempo; se salò traditore e spergiuro, sia per me il contrario. Più che ogni altra riflessione, una si impone a commento di questa conclusione: la sanzione contro l’inadempienza non è affidata alla legge, né al castigo degli Dei, e neppure a dichiarati valori morali, ma semplicemente a motivi di prestigio, alla soddisfazione di aver bene operato, alla riconoscenza del prossimo, che il medico si è faticosamente :onquistato e meritato, con la professionalità e la perfezione dell’ar-

te. Nel giuramento massonico la sanzione contro l’inadempienza è invece da Grand Guignol: « Sotto pena di aver tagliata la gola, strappato il cuore e la lingua, le viscere lacere, fatto il mio çorpo cadavere in pezzi, indi buciato e ridotto in polvere, questa sparsa al vento per esecrata memoria ed infamia eterna… ». Mancando tuttavia la precisazione di chi dovrebbe in pratica effettuare la punizione, tutto è lasciato alla sfera emotiva. A me pare che la minaccia del giuramento di Ippocrate, di essere cioè considerato un fallito a cui nessuno dà credito, benché apparentemente più misurata di quella del giuramento massonico, sia molto più terribile, perché tragicamente reale, nel senso che tutti noi, medici e non medici, l’abbiamo talora vista verificarsi. Da un punto di vista massone, ma anche più in generale da un punto di vista di uomini moderni e liberi, non possiamo non accorgerci che nel giuramento di Ippocrate manca un concetto che per noi è di fondamentale importanza, ed è dove il massone dice « Prometto e giuro di consacrare tutta la mia esistenza al bene ed al progresso… di tutta l’Umanità». L’impegno ippocratico giunge al punto di aiutare tutti i sofferenti, e di non arrecare danno o ingiustizia, ma non pretende di lavorare per il progresso dell’Umanità. Ciò perché il concetto di Umanità era ancora remoto ai tempi della cultura greca e romana precristiana, ed in parte anche nel periodo medioevale. E solo durante l’ Illuminismo che compare, negli spiriti più evoluti, l’esigenza di favorire il progresso dell’Umanità, ed è questo in effetti lo scopo principale della Massoneria che, come forza morale, prende inizio in questo periodo.

Giuramenti medici più moderni accolgono questa istanza. Ad esempio la Dichiarazione di Ginevra del 1948 recita (World Medical Association Bulletin 1:15, 1949):

« Nel momento di essere ammesso come membro della professione medica, mi impegno solennemente di consacrare la mia vita al servizio dell’umanità conferirò ai miei insegnanti il rispetto e la gratitudine che sono loro dovuti praticherò la professione con coscienza e dignità

la salute del mio paziente sarà la mia prima preoccupazione rispetterò i segreti che mi sono confidati manterrò con tutti i mezzi in mio potere l’onore e le nobili tradizioni della professione medica i miei colleghi saranno miei fratelli non permetterò che considerazioni di religione, nazionalità, razza, partiti politici o posizione sociale s’ interpongano tra il mio dovere e il mio paziente manterrò il massimo rispetto per la vita umana dal tempo del concepimento anche sotto minaccia, non userò la mia scienza medica contrariamente alle leggi dell’Umanità faccio queste promesse solennemente, liberamente e sul mio onore». Come si vede, salvo il primo comma che sancisce i doveri del medico verso l’ Umanità, ed il giuramento sul proprio onore anziché su un essere trascendente, non vi sono grosse differenze rispetto al giuramento di Ippocrate. Ci si sarebbe potuto aspettare, da un giuramento così recente, forse un po’ di retorica in meno ed un po’ d’attenzione per i problemi sociali in più. Credo quindi che il giuramento di Ippocrate, pur con i suoi limiti storici, sia tuttora valido anche in mancanza di una dichiarazione specifica verso l’Umanità. Chi lo applica integralmente, aiutando il prossimo ed astenendosi da ingiustizie, in pratica lavora «al bene ed al progresso della patria, al bene ed al progresso di tutta l’ Umanità».

D’altra parte, i problemi che oggi si pongono a chi si occupa di etica medica non potevano certo essere previsti venticinque secoli fa. Cito alla rinfusa: i genocidi ed il rischio di scomparsa della specie umana nelle contese fra grandi potenze; la sperimentazione sull’uomo, consenziente e non; le manipolazioni genetiche e le pianificazioni della discendenza; gli interventi lesivi della vita psichica; il riduzionismo tecnologico della medicina; le superspecializzazioni ed il distacco dall’assistenza di base; l’assistenza sanitaria sociale uguale per tutti; la priorità nella scelta delle prestazioni; le inchieste sulla salute del singolo per interessi di comunità, con violazione del segreto; il preponderante peso della politica nella gestione e nell’utilizzo della medicieccetera.

Non possiamo pretendere di trovare nel giuramento di Ippocrate una risposta specifica a tutte queste domande, ma possiamo trovarvi indicazioni etiche generali «buone per tutte le stagioni», anche se nel singolo caso vi possono essere, ed è bene che vi siano, discussioni e divergenze di opinioni.

Ed infine, anziché concludere io stesso, che mi riconosco del tutto impreparato di fronte a problemi di tale portata, vorrei riportare le conclusioni del libro «Il giuramento di Ippocrate. I doveri del medico nella storia», scritto dal mio Maestro, Giacomo Mottura … un patologo che, vissuto in margine della professione medica e trovatosi ad assistere a innumerevoli vicende istruttive, ne ha preso nota, pur non trovandosi sempre nel caso, per incompleta competenza e oggi infine per l’età troppo avanzata, di impegnarsi nell’arte del solubile.

Il giuramento di Ippocrate in verità è un cimelio bello e nobile, come una vecchia bandiera. Fregiatsene può fare piacere o anche essere utile, secondo le intenzioni. Buoni motivi lo hanno tatto sopravvivere e ho cercato di mettere in evidenza qualcuno di essi. E proprio delle dichiarazioni etiche possedere un fondo che non ha tempo. Qualche componente della formula può appassire e può cadere, ma la fomzula tende ad essere mantenuta con la sua patina preziosa, fin quando forse di prezioso non sussista che la patina. Non dico che il caso sia giunto a questi estremi: il vessillo è divenuto simbolo di una tradizione alla quale torna grato conservarsi fedeli e che può spingere al meglio, come anche può indurre a “fare quadrato ” in difesa del meno buono.

. . La risposta pare avvicinarsi quando, invece che al “perché”, si pensa al “per chi che è il prossimo, qualche volta anche dimenticando se l’azione può riuscire, se è atilitariamente conveniente, preferendo il gratuito, non rifuggendo da ciò che pare impraticabile.

Nell’atto di tacere, ricordo i molti uomini e donne, medici e infermieri, che mi è stato dato di conoscere nei loro atti di dedizione fraterna».

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LE RAGIONI DELLA LIBERTA’

Le ragioni della libertà


A duecento anni dalla Rivoluzione del 1789, la libertà è tornata in piazza. Uscita dalla penombra delle aule universitarie e spogliatasi dei fruscii cartacei delle pagine di giornale, la libertà ha ripreso la voce degli uomini e — da Pechino a Budapest, da Danzica a Mosca — ha richiesto udienza dinnanzi alla storia e ha rivendicato le sue ragioni dinnanzi alla coscienza dei popoli, con determinazione, con passione. A duecento anni dalla grande vampata rivoluzionaria francese, la libertà è nuovamente un sentimento di cui si discute poiché ci si è accorti che, nonostante una consuetudine secolare con essa, si tratta pur sempre di una situazione non definitivamente acquisita, Il potere ne è sempre l’interlocutore inaffidabile e rninaccioso, ne è sempre il negatore in agguato. Ecco perché, talvolta, drammaticamente, quella libertà consacrata nell’Olimpo delle Dichiarazioni Universali — che pure sono ormai patrimonio comune dell’umanità — deve essere difesa nei fatti, nella storia, nella cronaca, assai spesso col sangue.

Eppure, osservando con sgomento ciò che è accaduto sulla piazza Tienanmen e ciò che va accadendo su tante altre minori piazze del mondo, ripensando a due secoli di distanza ciò che accadde in Francia dal 1789 in poi, rifiutando coscientemente la passionalità che ci sale dentro, e ricostruendo il tutto secondo un’ottica massonica, non si può fare a meno di scorgere anche nelle grandi vampate di libertà un qualcosa di patologico, di estremo, di incongruo, pur nell’ammirazione verso chi, a rischio della propria esistenza, ridà alla parola «libertà» un senso concreto e, spesso, tragicamente concreto.

Tutti ammutoliamo dinnanzi al sacrificio estremo in nome della libertà. Ma, non dimentichiamolo, siamo massoni. E per noi la libertà ha un significato grande ma altrettanto grande è per noi il significato della vita umana. E nessun massone che sia degno di tale nome posporrà mai la vita umana, nella sua concretezza, ad un ideale astratto. La vita umana è troppo preziosa, troppo irripetibile per sacrificarla sull’altare dell’ideologia o dell’astrazione.

La libertà, le sue ragioni, possono essere difese in altri modi. Certo, ci sono luoghi del mondo in cui la libertà si può difendere solo rischiando la vita. Ma la nostra libertà, la libertà dell’Occidente, la libertà delle nostre nazioni nate e nutrite sul terreno dell’Illuminismo e degli ideali  dell’89 — forse — si difendono assai più prosaicamente sul terreno della vita quotidiana, con costanza e buon senso e, soprattutto, con una vigilanza solerte e continua nei confronti di quei cedimenti istituzionali che — impercettibilmente — ogni giorno ci fanno scivolare un poco verso quel totalitarismo strisciante, bene educato, acculturato, ma infinitamente pericoloso e infinitamente malvagio pur nell’accettabilità delle forme esteriori. Non dimentichiamo mai che, come massoni, noi coltiviamo una religione della libertà che affonda le sue radici in tempi antichissimi. La libertà massonica è una di quelle idee senza tempo e senza terra che fanno parte del patrimonio collettivo dell’umanità. La loggia, la comunità massonica è uno degli esempi più raffinati — eppure storicamente concreti — di società pienamente libera. La società massonica è, da sempre, una «città del sole», un’utopia, in cui autorità e libertà si bilanciano e si equilibrano sul perno di un’ antica saggezza esoterica dove non esistono rivendicazioni e invidie. Ma perché questo? Perché noi partiamo dal presupposto che la libertà può realizzarsi solo fra individui che già siano liberi individualmente, fra uomini e donne che già abbiano in sé una piena e compiuta libertà spirituale. La sintesi di tante libertà non può che essere una libertà collettiva, sincera, compiuta, saldamente fondata. Ma la nostra è una società esoterica, non perfetta ma costruita perennemente sul principio e sulla tensione di un ideale di perfezionamento individuale. Se la parte è giusta anche l’insieme è giusto. Ma la domanda che oggi noi dobbiamo porci è invece questa: la libertà massonica, quella costruita e perfezionata durante tanti secoli nelle nostre logge, può valere, può espandersi fecondamente in una società profana che assai spesso libera non è? La libertà massonica, che scaturisce dalla libertà spirituale del singolo, può esprimersi pienamente nel mondo profano che è invece infinitamente più rozzo, infinitamente più rapace, infinitamente più violento? Ecco perché le ragioni della libertà massonica devono essere confrontate con le ragioni della libertà profana.

La libertà massonica è fondata sulla libera, piena, convinta accettazione di un ordine che spazia dalle regioni dello spirito a quelle del72

la morale, da quelle della convivenza sociale a quelle della razionalità organizzativa.

La libertà profana non è mai pienamente e spontaneamente accettata. La libertà profana è sempre in qualche modo coattivamente limitata poiché dalla società civile non si esce, se non a prezzi attissimi. Ecco perché la libertà profana, quella che si deve conquistare individualmente e duramente, è qualcosa di diverso dalla libertà massonica, già conquistata attraverso la sintesi di rituale e libertà di pensiero, attraverso la sintesi di sentimento e ragione, attraverso la sintesi di simbolo ed esperienza personale, attraverso la sintesi di gerarchia e dramma esoterico individuale.

La libertà profana — pensiamo — è senza guida. La libertà profana è una casa che consta di infiniti mattoni, e ogni mattone va — quotidianamente — posto al punto esatto.


Personalmente non credo alla Libertà, ma alle libertà che — avendo rinunciato anche graficamente alla maiuscola — sono assai più umilmente esposte alle intemperie della vita sociale e politica di ogni giorno. Le libertà vanno perseguite, conquistate, espugnate singolarmente, una ad una. Non esistono più «dichiarazioni universali» in grado di codificare e sistematizzare il complesso delle libertà, l’idea di libertà. Esiste, assai più modestamente, una fenomenologia della libertà che ogni giorno assume forme diverse, aspetti mutevoli, forme storiche cangianti e differenziate. Si poteva, un secolo fa, immaginare una libertà sessuale? Si poteva, cinquant’ anni fa, immaginare dei diritti ambientali? Si poteva concepire, vent’anni fa, una «libertà di antenna»? Le libertà sono un grande popolo in cammino, una specie in evoluzione che — quasi biologicamente — si ramifica e si articola in una serie infinita di nervature e di irradiazioni. Le libertà si articolano nella storia, mentre spesso gli ideologi e — purtroppo — anche una certa massoneria celebrativa e un po’ retorica venerano il monolito irreale e vuoto di una Libertà illuministicamente solidificata come un monumento neoclassico, La libertà come «work in progress», le libertà come una grande famiglia da tutelare. Non più la Dea capricciosa e scultorea dell’89 che, accanto ai mille benefici dispensati ad un’Europa che della libertà non aveva alcuna idea, pretese anche mille sacrifici in termini di vite umane e di sofferenze collettive.

Purtroppo, l’idea di Libertà, come quella di Verità — entrambe scritte illuministicamente con la maiuscola — hanno generato luci ed ombre, progresso e regressione, gioie e dolori. «Temi, Adso, i profeii e coloro disposti a morire per la verità» scrive Eco nel «Nome della Rosa», «ché di solito fanno morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro». E questo vale anche per la libertà, per la «Grande libertà», quella libertà che non è concepita come strumento al servizio del benessere e della felicità degli uomini, ma come ideale sadicamente astratto, gelido, razionalmente perfetto, sulla cui ara si può anche versare del sangue e una gran quantità di lacrime e di infelicità. Ecco perché, oggi, noi uomini e donne della Massoneria dobbiamo chiederci quale libertà vogliamo.

Ecco perché, oggi, noi uomini e donne della Massoneria dobbiamo chiederci se la Libertà è ancora quella del 1789, che risvegliò l’Europa ad un’epoca più alta e civile ma che insanguinò anche le nazioni col suo fanatismo giacobino e con gli eccessi napoleonici.

Ecco perché, oggi, noi uomini e donne della Massoneria dobbiamo chiederci se invece non convenga batterci per le mille libertà che una civiltà europea — sempre più concretamente vicina e tangibile – Cl offre in misura abbondante. Oggi, una professione può essere esercitata in ogni parte del vecchio continente, oggi gli studenti d’Europa  quasi una riedizione dei «clerici vagantes» medievali — studiano nelle università d’Europa senza vincoli e senza problemi burocratici, oggi — e domani ancor di più — chi ha volontà e ambizione potrà dare il suo contributo economico e d’intelligenza ad una collettività europea che è la stessa concepita e vezzeggiata dall’intellettualità illuministica di duecent’anni fa. Queste sono le libertà emergenti, concrete, concepibili, misurabili, dell’oggi. E su queste libertà che la nostra idea di libertà deve misurarsi e adeguarsi,

Se la Massoneria è fenomeno europeo, ed è anzi una delle espressioni più alte dello spirito europeo, allora è su questo metro della libertà che la Massoneria deve confrontarsi: una libertà continentale e culturalmente aliena da semplificazioni e idolatrie intellettuali ma concretamente aggrappata a tutta quella nuova schiera di libertà singole che vanno affermandosi, nella prima vera realtà politica e culturale sovranazionale che la storia del nostro continente ricordi da un millennio a questa parte.

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La Massoneria come ideologia europea?

Forse è azzardato intellettualmente e presuntuoso politicamente proporre una simile valenza, Eppure si tratta di un’aspirazione non completamente fuori della verità storica né priva di prospettive future. La libertà del 1789, spezzata e frammentata nell’arcobaleno di libertà plurime che l’Europa prossima ventura ci prospetta e ci offre sullo scorcio del primo millennio: libertà vere, sperimentabili, coltivabili singolarmente, programmabili, incrementabili politicamente e soprattutto verificabili in termini di benessere sociale e di felicità collettiva. I temi ed i sottotemi sono infiniti: dai sistemi elettorali alla libertà della cultura, dalla giustizia fiscale ai sistemi previdenziali, dalla circolazione delle persone alle procedure giudiziarie, dai diritti civili alle libertà economiche.


Le ragioni della libertà — scaturite dall’unico ceppo intellettual-rivoluzionario del 1789, condite e vivificate dalla secolare tradizione massonica, esplicitate dall’impeto illuministico della cultura che ci è propria, concretate dall’attenzione pragmatica alle esigenze quotidiane della convivenza sociale — sono oggi quelle ragioni che ancora ci spingono a riunirci nei nostri templi, nelle nostre officine.

C’è una grande continuità nella nostra Idea di libertà.

C’è soprattutto una continuità che ci deriva dal non aver mai fondato la concezione della libertà su ragioni puramente storiche, ma nell’averle sempre ricercate in qualcosa che trascende la storia, mediando fra ragioni metafisiche ed esigenze storiche.

La Massoneria vive per questo, per aver sempre saputo parlare del. l’ Eterno con parole comprensibili all’uomo di ogni giorno.

La libertà, come tante altre idee, come tante altre passioni che affondano le radici nel cuore comune delle genti di ogni epoca, ha oggi bisogno di parlare anche agli uomini concreti del 1989.

La Massoneria può farlo — come l’ha sempre fatto — perché la sua secolare saggezza ha compreso che le parole vanno mutate sempre per far comprendere sempre ciò che non muta mai.

Questo è il nostro compito oggi dinnanzi ad una parola come «libertà» e dinanzi a tutte quelle idee che la nostra cultura, la nostra tradizione ci propongono come simboli e richiami della dignità umana.

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V.I.T.R.I.0.L.

V.l.T.R.1.O.L.

di Franco Coggiola

Il termine «V.I.T.R.I.O.L. » ci rimanda subito al gabinetto di riflessione, al momento in cui, dopo la morte mistica, è incominciato il nostro cammino iniziatico.

Sulle pareti scure, infatti, tra alcune scritte ammonitrici, spicca l’acrostico alchemico «V.l. T.R.I.O.L. VISITA INTERIORA TERRAE RECTIFICANDO(QUE) INVENIES OCCULTUM LAPIDEM (od anche VISITA INTERIORA TUA…), che è il maggiore assioma della scienza ermetica, noto a molti, ma compreso da pochi, frutto della scienza antica che trova riscontro nella moderna «scienza» massonica.


«V.l. T.R.I.O.L.» richiama infatti il significato della ricerca, dell’analisi dell’intimo e del perfezionamento: in altri termini è l’ampliamento del concetto dell’introspezione socratica «NOSCE TE IPSUM» (conosci te stesso) ed anche dell’affermazione agostiniana «IN INTERIORE HOMINE HABITAT VERITAS » (la verità sta nel profondo dell’io).

Ho anche letto, ma non intendo  oltre su tale interpretazione, «V.I.T.R.I.O.L. = vetriolo = acido solforico ad azione dissolvente scoperto nel XVII secolo da Basilio Valentino, alchimista, filosofo e scienziato del suo tempo. Questi rappresentò il simbolo acrostico nel noto disegno: il triangolo, la linea chiusa, senza uscita e le parole inscritte “corpus, anima, spiritus” , tutte connesse con le sette parole dell’aforismo di cui stiamo trattando. E il tentativo di dare una duplice interpretazione, alchemica e filosofica, correlata agli elementi costitutivi dell’Uomo… »

Analizziamo le singole parole:

VISITA: comporta una partecipazione fisica e spirituale alla ricerca costante verso INTERIORA TERRAE (TUA): ma in quale modo? Nel pensiero ermetico la terra — uno dei quattro elementi che costituiscono il mondo unitamente ad aria, acqua e fuoco — viene sempre associata allo stato fisico dell’Uomo.

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VISITA INTERIORA TERRAE (TUA) è pertanto un categorico inVito all’Uomo a studiare il proprio corpo, a comprenderne tanto il valore quanto la miseria, tanto la forza quanto la debolezza, il suo vivere/esistere e la sua morte: è il primo, indispensabile passo verso la realizzazione dell’imperativo «NOSCE TE IPSUM» sopra ricordato.

Un primo esame ci consente subito di realizzare che non siamo solamente corporeità, ma una pietra grezza che deve essere sgrossata, levigata e rettificata dalla forza del pensiero. E mi pare che sia qui particolarmente valido il simbolo della pietra: infatti il sistema speculativosimbolico dell’alchimia, dove si ha la graduale trasformazione della pietra grezza in pietra filosofale, ben si ricollega al sistema speculativosimbolico dell’Arte Reale che consiste nel graduale sgrossamento della pietra grezza, nella quale il Libero riconosce la sua personalità in fase di evoluzione iniziatica.

RECTIFICANDO(QUE): rettificare, migliorare le nostre qualità poiché il viaggio iniziatico comporta, come tutti noi ben sappiamo, il graduale, ma continuo, incremento dell’impegno di ricerca per avvicinarci alla Luce, per scoprire la corretta visione della vita come tensione costante al miglioramento e, quindi, alla perfezione, ben consapevoli del fatto che, come scrisse Dante Alighieri, …«fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza».

OCCULTUM LAPIDEM: la pietra occulta, 1a pietra filosofale degli alchimisti è lo scopo ultimo della ricerca: è, simbolicamente, la pietra che possiede non già i poteri di trasmutare vili metalli in oro, ma di trasformare l’Uomo in essere degno di venire illuminato, di realizzare la costruzione perfetta del tempio interiore, dell’OPUS MAGNUM. Ritengo che si debba illustrare il profondo significato dell’acrostico «V.l. T .R.I O.L. » nei lavori di Loggia affinché i Fratelli Apprendisti intraprendano con noi il cammino iniziatico e noi, più anziani, ricominciamo umilmente con loro a ripercorrerlo insieme.

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Il simbolismo massonico fa corrispondere alla levigazione paziente della pietra l’opera di purificazione e rigenerazione spirituale, animica e fisica dell’Uomo.

Il viaggio iniziatico del Massone è sempre all’interno dell’Uomo – IN INTERIORE HOMINE – per raggiungere la piena coscienza di ciò che egli è, corpo e spirito, e di ciò che deve aspirare ad essere; è un cammino che non può avere mai fine perché lo spirito dell’Uomo anela a ricevere sempre più Luce.

È il viaggio iniziatico avviato in un piccolo locale buio dove, illuminata soltanto da una fioca luce di candela, spiccava la scritta «V.I.T.R.I.O.L.».

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LETTERA DI UN APPRENDISTA AL SUO M. V. DOPO L’INIZIAZIONE

Lettera di un apprendista al suo M. V. dopo l’iniziazione

di R. L. B.

La ricerca di un amico

Per lunghi anni disseminata di ingenue illusioni, insabbiata e resa vana da visi recanti tratti e apparenza di ostentata cordialità, ma troppe volte ricchi di rughe che celano l’inganno, l’indifferenza e il torpore di una vita vissuta all’insegna dell’egoismo.

La ricerca della luce negli occhi di une uomo, della luce che significa purezza, lealtà e desiderio di donare, troppe volte offuscata dalla polvere soffiata e sollevata dal vento caldo e arrogante che proviene dallo stagno del male.

Il desiderio di un giovane uomo di condividere, insieme ad un amico, la bellezza di un cielo senza nuvole, di un mare ricco di luci create dal riflesso del sole, di un monte innevato che si staglia e si specchia in un lago increspato dalla brezza di un mattino luminoso.

In contrasto con tali armonie, notare, troppe volte, la persona al tuo fianco, distratta dalla noia della luce troppo vivida, dalla paura del buio che seguirà al tramonto, dal freddo… , che se da un lato rende più nitido il profilo del monte, dall’altro sferza il viso e spettina i capelli di colui che non accetta la fatica del cammino e il rigore dell’inverno.

ln una sera nebbiosa e per questo di per sé esoterica e misteriosa, sono stato condotto da un amico in un luogo a me sconosciuto, uomini incappucciati mi hanno bendato e condotto in un’ angusta stanza; mi sono avvicinato ad un tavolo, ove un fioco lume illumina un foglio. Uomini esperti mi hanno invitato a stilare il mio testamento spirituale, mentre i miei occhi guardavano intimoriti oggetti e scritte che inevitabilmente hanno condotto il mio animo alla riflessione dei doveri che io sento profondamente verso l’umanità, verso la patria e verso me stesso.

Inginocchiato all’altare mi è stata concessa la mezza luce, mi hanno levato la benda dagli occhi e in quell’attimo… ho visto volti sorridenti e sicuri che mi guardavano. Non ho più avuto timore, un’at93

mosfera severa, ma calda ed avvolgente mi ha riscaldato il cuore e mi ha reso partecipe di una cerimonia antica e nobile, fatta di parole e di gesti che conserverò gelosamente come un caro ricprdo.

La ricerca di un amico ora diventa meno penosa, la fatica del viaggio ora si smorza al pensiero di essere entrato nel tempio e di aver visto volti che posseggono la luce.

Grazie Fratelli, per aver saputo alleviare il mio sforzo di ricerca, per avermi accolto donandomi la consapevolezza di non essere solo.

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UNA FAVOLA MODERNA

Una favola moderna

I giornali abbondano di tristi storie. Siamo angosciati dalla vista di corpi straziati, di disordini, di stragi. Siamo disgustati dalla presentazione di certi spettacoli che ci danno la sensazione di essere caduti molto, molto in basso.

Fra tante brutte storie ne voglio raccontare una molto, molto bella. Quasi un racconto di fate dei Fratelli Grimm o di Hans Andersen: quei racconti che tanto ci incantavano da bambini e ancora oggi, dopo tanti anni, se in noi è ancora rimasto un margine di fantasia, di sogno.

In questo racconto non ci sono fate, bacchette magiche o animali par[anti, ma una vera mamma, un vero bambino di tre anni, un vero tecnico sessantenne della Camera Agricola.

Il fatto si svolge in un piccolo villaggio dell’Oise, Saint-Aubain-enBray, dove in una rustica casa di campagna sono rimasti la mamma con il piccino. Il padre, agricoltore, è fuori a mungere le vacche.

Improvvisamente la donna si sente male, perde conoscenza e si accascia al suolo. Era già accaduto altre volte e, molto probabilmente, la mente del piccolo aveva registrato questa circostanza. Ricorda che il babbo si era avvicinato al telefono, aveva chiamato qualcuno, che era poi il medico del paese. Il bimbo, impaurito, affannato, si mette a maneggiare con il telefono e furiosamente a pigiare i tasti. Per miracolo risponde ad un certo momento la Camera Agricola di Beauvais, che era stata chiamata da poco dal babbo e di cui l’apparecchio memorizzava ancora il numero.

L’uomo che risponde sente la voce affannosa, impaurita e quasi incomprensibile di un bimbo: «Maman bobo, maman dort par terre». Comprende che è cosa seria e per avere il tempo di cercare la provenienza della telefonata lo trattiene all’apparecchio, facendogli le domande che si possono fare ad un bambino, sui suoi compagni di giochi, sul suo cane.

La France Telcom, tramite la Procura di Beauvais, dà l’assenso per l’individuazione della telefonata. Al rientro il papà trova medici e vigili del fuoco, ma la moglie fuori pericolo.

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E una storia vera, appresa dalla cronaca, ma sa di miracoloso. In essa è condensato un che di prezioso e magico, La magia dell’infanzia, spesso sconosciuta, un crogiuolo di impulsi, sentimenti, flash fotografici in via di sviluppo. Non sempre li sappiamo valutare. La concomitanza della fortuna con il caso, momento magico e felice. La sensibilità, non offuscata dal dubbio, dall’incredulità o dall’indifferenza di chi ha intercettato il richiamo e Io ha saputo giustamente e prontamente interpretare.

Penso non sia una storia frutto di immaginazione. Ma se anche lo fosse, è bello sia stata scritta, come è bello che siano state scritte le fiabe in cui un colpo di bacchetta magica compie il miracolo del lieto fine.

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NEL SENSO ESTETICO

NEL SENSO ESTETICO

E un giorno di inizio primavera, sono in campagna. Di fronte a me l’orizzonte è grandioso, e posso ammirare le onde di verdi colline e più in là la maestosa catena di montagne, molto innevate, sublimi, uno stimolo per la mia immaginazione. Il cielo è intensamente azzurro, non offuscato dallo smog.

Di fronte ad un simile spettacolo viene spontaneo riflettere sulla bellezza, sul senso estetico. Riflessione sollecitata, acuita dalle macchie di colore rosso, rosa, giallo, dei primi tulipani, eleganti sul loro stelo verde pallido, dalle modeste commoventi pratoline bianche, da questo verde ancora intatto e fresco di inizio primavera.

Le città in cui oggi viviamo sono ormai invivibili: contaminate dallo smog, dall’intenso traffico, dall’incuria della gente che molto spesso non le ama abbastanza, soltanto le usa, che non sa e non vuole vedere. Città che sono pur scrigni di bellezza, ma nelle quali questa bellezza è tenuta nascosta, è ignorata. Come accade in certe abitazioni nelle quali splendidi mobili e ornamenti sono nascosti da inutili e banali suppellettili, che le involgariscono, le imbruttiscono.

Il senso estetico è molto spesso un innato dono di natura, e il fortunato mortale che lo possiede può godere di gioie infinite. Un chimico sa come manipolare e trasformare i prodotti, l’economista elabora grafici e dal loro zig-zag prevede crisi monetarie o lo sviluppo della ricchezza di un paese. Professioni indubbiamente utili, come lo sono tutte le professioni che aiutano il progresso. Ma la ricerca della bellezza non è ricerca di guadagno, è un dono del tutto gratuito, infinitamente prezioso per chi la sa trovare, la vuole trovare. La gioia che ci può dare la vista di un fascio di rose elegantemente sistemate in un vaso, un raggio di sole attraverso i vetri della finestra, l’azzurro intenso del cielo, il volo di un uccello, un bosco verde cupo, tutto lo spettacolo grandioso, variopinto, Intenso della natura.

Il senso estetico. In alcuni è istintivo, in altri più nascosto, assopito e che pur può essere improvvisamente risvegliato in una felice pausa nella corsa sfrenata della vita.

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E un dono dell’anima. Non si sofferma sulla composizione chimica degli oggetti, ma vede la forma, il colore, la luce. Non indaga sulle leggi della creazione ma indugia sulle gioie della creazione. E una ricerca artistica e intuitiva, che non richiede il sapere, ma il saper vedere. Un geologo, uno scienziato che studia la composizione delle piante e delle rocce non è sempre in grado di rendere artisticamente; poeticamente le forme, i colori come invece hanno saputo superlativamente fare Leonardo, Tintoretto, Turner con qualche colpo di pennello. Penso che le sensazioni così dette inutili siano le più potenti, le più squisite.

I nostri sensi• — il tatto, l’olfatto, il gusto, la vista, l’udito — sono serVitori della nostra vita e strumenti per preservarla. Hanno una funzione fisiologica e ci guidano alla ricerca di quanto ci è necessario. Ma questi strumenti ci regalano anche sensazioni profonde e raffinate che spesso, inconsciamente, ci accompagnano per tutta la vita e rimangono parte del nostro essere, della nostra sensibilità.

Con il ragionamento filosofi, psicologi possono spiegare molte cose, l’universo, la sua evoluzione. Ma definiscono apparenze il fremito delle foglie, i limpidi ruscelli scroscianti, la fiamma dello sguardo, il palpito delle palpebre. Apparenze a cui tuttavia noi dobbiamo molte nostre sensazioni. E anche molte nostre decisioni e debolezze. L’apparenza della gloria, l’apparenza dell’amore.

Il filo dei miei pensieri potrebbe continuare a lungo. Il contrasto fra corpo e anima, fra concretezza ed intuizione, fra logica, ricerca e sentimento. Il nostro complicato io che deve cercare e possibilmente trovare un ampio sbocco di liberazione, come il fiume che sfocia nell’ immenso oceano. Un oceano dove può trovare poesia, bellezza, sentimento, pace, liberazione, conciliazione.

Fortunato chi tutto questo tenta di trovare. Fortunato chi lo trova.

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L’ARTE DEL SILENZIO E DELL’ASCOLTO

L’arte del silenzio e dell’ascolto di Roberto Pesce

Alcuni anni fa ho colto, su una rivista massonica, una frase lapidaria che mi ha colpito: «il silenzio è meditazione, l’ascolto è ricezione e fra essi c’è il dinamismo della parola».

Queste poche parole mi sono rimaste impresse e su esse ho maturato, con la frequentazione di numerose Logge e con la presenza a tante cerimonie di iniziazione, un continuo ma sempre più profondo accostamento con i valori e i comportamenti massonici.

L’apprendista — lo dicono i rituali — deve ascoltare in silenzio, ma anche i Fratelli dei gradi successivi, sino al punto più alto della piramide gerarchica, hanno il dovere di ascoltare in silenzio, oltre al diritto di essere ascoltati in silenzio, perché la prima qualità di un Libero Muratore è di accettare e di vedere accettate le proprie idee. Il profano che si accosta alla Massoneria viene lasciato subito nel silenzio del Gabinetto di riflessione perché ascolti le «voci di dentro», perché risponda scrivendo, senza parlare se non con se stesso, ad alcune domande che possono condensare, nelle risposte, tutta la sua interiorità. E quando viene introdotto nel Tempio, privato simbolicamente dei suoi averi personali e della sua forza profana, non fa che ascoltare una voce che lo introduce nei princìpi della Muratoria e gli pone un primo gravoso impegno di meditare su quanto gli viene offerto e richiesto.

Sospinto verso il silenzio proprio e l’ascolto degli altri, il Massone riceve continui inviti alla riflessione ed impara soprattutto ad applicare due princìpi che lo accompagneranno per tutta la vita, non solo all’interno dell’istituzione, ma anche nelle attività profane, là dove dominano ormai la sopraffazione psicologica e la rissa verbale; ascoltare attentamente il Fratello che espone le sue idee e ci offre sovente qualcosa di nuovo su cui meditare, vuol dire anche essere tolleranti e solidali.

La tolleranza, lo abbiamo detto e scritto in molti, nasce dalla comprensione che abbiamo per la persona e per l’opinione altrui; e la solidarietà, a sua volta, proviene dal sentimento tutto massonico di aiutare il simile che cerca sulla strada della Vita il sostegno di un compagno di viaggio che lo ascolti e lo capisca.

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Come non concludere che il silenzio e l’ascolto sono sfaccettature di due cardini del comportamento massonico?

Ascoltare tacendo (o tacere ascoltando) è espressione di un movimento interiore che sconfina nell’arte e che non è consentito a chi non si predispone a ricevere con attenzione e comprensione la parola dei suoi simili, offrendo loro in un secondo momento la propria visione ed il proprio conforto.

L’Apprendista tace, il Compagno esprime una sua opinione, il Maestro insegna; ma tutti e tre ascoltano sempre, e sempre in silenzio, il Fratello che parla, chiede, rappresenta qualcosa di suo.

Il grande Fratello Mozart diceva che «in musica i silenzi sono più importanti dei suoni, poiché è nei silenzi che la forma musicale trova il proprio compimento»; riportiamo questa felice espressione alla vita quotidiana, ascoltiamo le voci spesso rumorose o indistinte che ci assalgono, selezioniamo tutto quello che può dare forza al nostro pensiero e può essere ribaltato verso una migliore comprensione fra gli esseri umani.

Se riusciremo a fare tutto questo, in umiltà interiore ma senza perdere la personalità, potremo dire di essere sulla buona strada per diventare veri Massoni.

Del resto e in conclusione, chi ha mai affermato che la Massoneria è una strada facile da percorrere?

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