L’ABBRACCIO RITUALE

L’abbraccio rituale di Carlo Alberto Buratti

L’ abbraccio è un gesto semplice, ma non un semplice gesto.

Non viene scambiato con chiunque ed in qualsiasi circostanza, ma soltanto con le persone care e quando si voglia comunicare affetto, amicizia, vicinanza

Il porre a contatto i corpi, con l’azione delle braccia che avvolgono e stringono il tronco della persona abbracciata, è un gesto intimo ed allo stesso tempo comunicativo, che, senza l’uso della parola è in grado di rendere palesi i sentimenti che si provano e che vogliono essere trasmessi. Così come esalta la gioia, l’abbraccio è in grado di lenire il dolore; nessun altro gesto di scambio umano è più ricco di simbologia. Se già nel mondo profano riveste una tale importanza, a maggior ragione nella massoneria acquisisce delle motivazioni ancora più elevate e vere.

Ripercorrendo la vita iniziatica incontriamo il primo abbraccio «Massonico» nel rito di iniziazione del profano. Quando questi, superate le prove iniziatiche, viene infine proclamato Fratello Massone, riceve l’abbraccio del Maestro Venerabile, seguito poi da quelli dei dignitari di loggia. E il primo gesto che il profano riconosce in una serie di eventi che lo travolgono e che forse poco lo coinvolgono, è quindi un «cordone ombelicale» che ridona sicurezza dopo lo smarrimento, e fa comprendere quali siano i sentimenti della loggia verso il nuovo fratello. Da quel momento l’ abbraccio si rivestirà del simbolismo legato ai precetti massonici — amore, fratellanza, solidarieta — e mai più se ne separerà.

Dopo l’iniziazione uno dei momenti sicuramente più importanti è il passaggio al terzo grado, cioè all’acquisizione del grado di Maestro, vertice della massoneria azzurra. Se nell’iniziazione si era un fuscello in balia degli eventi, qui siamo dei massoni alla soglia del compimento dell’opera di levigatura della pietra.

La cerimonia di passaggio al 30 grado riconduce il massone di fronte alla morte; dopo essere morto e rinato alla luce nella iniziazione, qui egli si trova a vivere e ad affrontare la morte del grande Maestro fliram, barbaramente assassinato da tre compagni che volevano in55

giustamente carpire il segreto del grado. La cerimonia si impernia sulla costernazione dei maestri riuniti e sulla ricerca del cadavere celato, con l’iniziando che vive questa tragedia nei panni simulati del Maestro deceduto calato nelle tenebre della bara, sospettato dell’omicidio. Infine riconosciuta l’innocenza del candidato il Maestro Venerabile procede alla consacrazione del neo maestro mediante la trasmissione dei cinque punti della maestria: mano a mano, piede a piede, ginocchio a ginocchio, petto a petto vengono in successione a simboleggiare il riconoscimento, il sostegno, la fratellanza e la fedeltà al nuovo fratello, il tutto suggellato dall’intimo amplesso dell’abbraccio che raggiunge le più elevate vette di spiritualità dell’intera vita massonica fino ad ora vissuta. Bisogna sottolineare che questo gesto giunge a compimento di un rito estremamente ricco di significato simbolico con Hiram, sommo architetto e custode del gioiello mistico, quale personaggio guida.

La sua figura e la sua vicenda possono essere interpretati diversamente: in senso astronomico rappresenta il sole al solstizio d’inverno, in procinto di spegnersi vinto dalle tenebre. L’uomo lo interpreta come la fine del mondo, la caduta nelle fredde tenebre ed il ritrovamento del gioiello simboleggia la rinascita del sole, espressione più potente della divinità e dono di immortalità. In senso intellettuale egli diviene lo spirito umano, ucciso dall’errore, l’accidia e l’orgoglio che degradano l’intelligenza. Dopo il dolore di fronte alla vittoria del vizio, il ritrovamento del gioiello riconduce all’immortalità dello spirito che prosegue anche nell’aldilà il cammino intrapreso verso la verità.

In senso morale diviene l’anima umana ed i tre assassini sono l’ignoranza, l’ipocrisia e l’ambizione annullate infine dalle buone opere simboleggiate dal gioiello mistico.

L’abbraccio rappresenta quindi il passaggio dalla morte alla vita, dal dolore alla gioia, dalla debolezza alla forza morale; l’abbraccio permette la trasmissione del gioiello ritrovato, vera arma per dominare e sconfiggere il vizio e propugnare la virtù, condizioni indispensabili per il coronamento della ricerca della Luce.

56

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LABIRNTO

Il Labirinto

di N. N,

La stesura di questa tavola per me è diventata un’avventura, perché mi ha portato in un terreno di tipo speculativo ed intimistico che non avevo previsto

Ho scoperto una parte di me stesso man mano che sono riuscito a carpire al labirinto il suo vero significato, o meglio, man mano che ho scoperto certe verità, meditando sulla sua rappresentazione.

Le due immagini che aprono e chiudono questa tavola sono importanti, perché vogliono sintetizzare il percorso di questa avventura. Il labirinto della cattedrale di Chartres è lo strumento, il mezzo, attraverso il quale cercherò di raggiungere la mia verità, simbolicamente rappresentata da un «hortus conclusus» in cui si trovano l’albero della vita, l’albero della sapienza, circondati da un muro. La sapiente mano di un Compagno Libero Muratore lo ha composto con pietre mirabilmente tagliate, traformandone la materia grezza e donando loro la dignità delle più alte idee.

Il mistero dell’origine del labirinto si perde nella notte dei tempi. Quando la storia era ancora mito, e l’uomo-fanciullo si esprimeva attraverso immagini come un poeta, molti sono i fatti o le occasioni che hanno ispirato l’idea del labirinto, e gli hanno dato, sempre, un significato religioso, o per lo meno sacrale.

Forse, le intricate foreste colpite dal fulmine divino hanno provocato nell’uomo il terrore di sentirsi perduto in un groviglio inesplicabile di cui bisognava in ogni modo trovare l’uscita per la propria salvezza. Forse il cielo nuvoloso, così affascinante perché continuamente bello e diverso, ha ispirato la prima immagine grafica e poetica del labirinto. Forse l’esigenza di conoscere il futuro ha spinto gli aruspici ad esplorare la profondità labirintica delle viscere delle vittime, nel cui intimo essi cercavano i misteri della vita futura, e del volere degli Dei. Queste ipotesi, ed altre simili, sembrano a prima vista frutto di una mente fantastica, ma trovano fondamento in tradizioni di popoli molto lontani fra di loro, sia nello spazio che nel tempo.

Il suo simbolo esprimeva la difficoltà della vita, ma anche la tortuosità dell’ascesi spirituale

75

Per questo venne adottato in tutte le Tradizioni Misteriche come percorso iniziatico di avvicinamento al luogo sacro in cui l’adepto doveva essere accolto.

Solo coloro che ne scoprivano la chiave di accesso, cioè che superavano le prove incontrate durante il viaggio, potevano penetrarvi.

Era, in ultima analisi, la difesa nei confronti dei profani che non avevano una guida (vedi il filo di Arianna) o che semplicemente non avevano le qualità per raggiungere il luogo ove si svolgevano i sacri riti. Il centro del Labirinto, luogo nascosto e difeso, venne associato all’uso della caverna iniziatica. La discesa agli Inferi, al centro della Madre Terra divenne «morte-rinascita», vittoria dello spirito sulla materia, sugli istinti e sulle passioni.

QUESTE, a mio parere sono le idee-forza espresse dal Labirinto. Nel lungo cammino umano ci sono state molte interpretazioni. In molte situazioni contingenti si è attinto alla sua ricchezza di significati, ma sempre a sostegno di tesi alte ed onorabili.

Per questo mi piacerebbe concludere, come dimostrazione, facendo una piccola analisi sul Labirinto della Cattedrale di Chartres sopranzi citato.

Definita un’ area nello spazio, il labirinto appare come la distanza più lunga e difficile da percorrere per raggiungere il centro e, ovviamente, per poi poter tornare al punto di partenza.

E l’opposto della linea retta, quale definizione di distanza più breve e più facile tra due punti.

A Chartres non esistono corridoi ciechi od altri inganni. L’inganno è di ordine psicologico, determinato da svolte a destra ed a sinistra, ora verso l’interno ora verso l’esterno.

Raggiungere il centro è il coronamento di uno sforzo che deve superare processi di sorpresa, di dubbio, di insicurezza, provocati dalla segmentazione dello spazio, dall’isolamento e dallo sconcerto derivante dalla mancanza di punti di riferimento. L’avvicinamento al centro è lungo e sconcertante: è LABOR INTUS.

E il percorso dell’animo umano entro una valle di sofferenze, verso la ricerca della verità. Il labirinto diventa «Itinerarium Mentis et cordis ad Deum». Dio, il Logos, è l’obbiettivo che una volta raggiunto, od avvicinato, dona il senso all’esistenza, trasforma l’uomo da cosa ad essere spirituale, consapevole della propria dignità individuale.

76

Nel Vangelo gnostico di Filippo si legge: «la Verità non è venuta nuda in questo mondo, ma in simboli ed immagini. Non la si può afferrare in altro modo. »

Alla luce di questa affermazione il labirinto diventa uno dei simboli più importanti nella Tradizione Esoterica, perché attraverso uno sforzo di ricerca interiore permette a chi lo osserva di proiettarsi verso le idee, verso l’illuminazione, verso l’intellezione spirituale. La conoscenza è conquista di colui che riesce a cogliere la chiave di interpretazione, [‘ordine logico che pervadono il labirinto.

Questo, nel suo più puro significato esoterico, ci può permettere di passare, come affermava Dante, dalla «metafisica in sé» rappresentata dalla linea retta, all’idea di una «metafisica in noi», che va ricercata seguendo a volte percorsi accidentati e dolorosi.

Dal punto di vista etimologico, diverse sono le radici da cui far deri77

Un triplice abbraccio.

vare la parola labirinto. La più accettata è LABRIS, l’ascia bipenne rappresentata a Creta, simbolo di potere e di giustizia.

La più vicina alla mia tesi è Lab-lav, cui sottende nella lingua greca, un’idea di peso (pietra, roccia), e, forse in maniera più specifica, il peso dell’operare, del lavoro per la trasformazione dell’ambiente, dell’aggregazione e della compattezza. A questo punto è bello ricordare un brano di una canzone medievale attribuita al Compagno d’ Arte La Gaité de Villebois.

«Compagno che vai d’intorno,

A quale opera sei intento, giorno dopo giorno?

Nella natura intera io prendo

L’innumere e scabra materia, E con il mio cuore e con le mie mani, impugnando l’utensile che canta e risuona, lo la trasformo e la plasmo.

E così opero per tutti gli uomini.»

78

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA VERITA E’ LA VERITA’ E? LA VERITA’ E’ …



  • Confucio: IA Religione della Tradizione

La Verità è, è?, è. . .

LA VERITÀ

è.

« Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,

Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,

Par delà le soleil, par delà les éthers,

Par delà les confins des sphères étoilées,

Mon esprit, tu te meus avec agilité,

Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde, “Tu sillones gaîment l’immensité profonde Avec une indicible et mâle volupté.

Envoie-toi bien loin de ces miasmes morbides,

Va te purifier dans l’air supâeur,

Et bois, comme une pure et divine liqueur, Le feu clair qui remplit les espaces limpides».

Sopra gli stagni, sopra i monti e le vallate sopra le foreste, le nuvale, gli oceani, al di là del sole, oltre gli spazi eterei, al di là dei confini delle sfere stellate, spirito, tu ti muovi con agilità, e, come un buon nuotatore nell’estasi dell’onda, solchi festosamente l’immensità profonda, Con un’indicibile e maschia voluttà. Fuggi lontano da questi morbosi miasmi, vola a purificarti nell’aria superiore, e bevi, come un puro e celestiale liquore, il chiaro fuoco che colma i limpidi spazi.

(Charles Baudelaire, da «I fiori del male»)

Ringrazio il nostro M.V. per avermi affidato il compito di preparare una Tavola su un argomento così impegnativo che in un certo modo può persino apparire ambiguo, nella formulazione, nelle possibili interpretazioni e, direi, nei risvolti applicativi che una riflessione sul tema può offrire.

La verità è.

La verità è?

La verità è…

Prendendo in considerazione le punteggiature utilizzate nelle diverse forme si colgono possibili differenze nei significati.

La verità è.

Questa locuzione appare «chiusa»: determinata nel suo valore semantico; assume il senso di un’affermazione di constatazione di un concetto chiaro, inequivocabile, perentorio. Nella sua apparenza testuale e fonetica, è una frase esauriente anche nelle risposte, seppure queste ultime non siano affatto espresse.

La verità è?

Con il punto interrogativo, ovviamente, la frase assume il senso di una formale richiesta di risposta. Ad un’impostazione sotto forma di domanda si presume sia lasciato il campo aperto circa le modalità di fornire risposte. Ciò significa che l’interrogato può limitarsi ad esprimere il suo pensiero sul tema; può documentarsi e ragguagliare sulla storia del pensiero umano nei confronti del concetto di verità; può — nel nostro caso specifico — esaurire la trattazione riferendosi esclusivamente al pensiero ed all’ordinamento massonico.

La verità è…

La punteggiatura cosiddetta di sospensione fa assumere al testo un carattere indefinito, offre la consapevolezza del vasto orizzonte che si ha di fronte e la disponibilità a misurarsi con le innumerevoli sfumature che emergono già solo prendendo in considerazione il sostantivo verità.

Quando mi sono posto questi problemi per poter meglio indirizzare sia gli studi sia il componimento richiestomi, mi sono accorto che l’ artificio letterario rende dubbioso il «taglio» dell’argomento e che, proprio per questo, esso rappresenta, forse meglio di qualsiasi altra figura retorica o simbolica, la complessità e l’ambiguità del tema, dimostrate peraltro dal vastissimo repertorio di studi, approfondimenti, significati che sia la filosofia che la scienza e le arti hanno profuso nei secoli intorno al concetto di «verità».

Non ho mai domandato al M.V. a quale delle tre situazioni avesse pensato, oppure se alludeva addirittura ad una quarta locuzione, semmai con il punto esclamativo.

Di questa mancanza di precisazioni intendo ringraziarlo; anche perché proprio questa preliminare analisi linguistica mi ha permesso di entrare nel tema, così:

— è consuetudine associare al termine verità l’idea che si tratti di un’unica, indiscutibile ed insostituibile accezione, in contrapposizione energica ed assoluta al concetto di falsità;  è abituale ricercare il significato di verità tra le pieghe di una dottrina religiosa, ben sapendo che — soprattutto nel caso della religione cattolica — il concetto si fonda sul principio del dogma; ad entrambi i casi si può assimilare la prima locuzione.

  • Per molti il significato di verità non può essere espresso se non è rimandato a codici o norme di riferimento, ossia a quei criteri che ne determinano il senso ed il giudizio di valore;

— per taluni, invece, il sostantivo va inteso esclusivamente in forma utilitaristica e materiale: è vero ciò che è utile e che seme a qualcosa.

La varietà di situazioni sin qui descritte — che ho verificato essere solo una minima parte di quelle espresse nei secoli dal pensiero umano — trova riscontro nella seconda locuzione, proprio per la molteplicità delle risposte possibili.

— La verità ha a che fare con l’idea?

  • E antitetica alla falsità, o all’errore, analogamente a quanto il bene risulta essere contrapposto al male? Del giusto in antitesi all’ingiusto?

Dal senso interrogativo della seconda frase si evince un campo sterminato di possibili confutazioni sul tema.

Viene giustificata, dunque, anche l’ammissibilità della locuzione di sospensione.

Di verità si è trattato ampiamente in filosofia, in teologia ed in antropologia; meno, ma pur sempre abbastanza per quanto in altra maniera, nei vari settori della scienza; in parte ed in modo meno diretto nelle varie Arti, soprattutto dai punti di vista metaforico, simbolico ed allegorico.

La concezione più antica della verità si richiama al principio della corrispondenza fra pensiero e oggetto, tra il reale e la sua rappresentazione.

Aristotele nel libro Metafisica dice testualmente che la verità consiste «nell’ affermare quello che è e negare quello che non è».

Alla teoria della corrispondenza, si aggiunge successivamente il concetto del criterio di verità, ossia dell’individuazione di un’esperienza privilegiata, da assumere come canone del vero e del falso. (Lo stoicismo, rv sec. a. C. e l’epicureismo, 11 sec. a. C.).

Il criterio è assimilabile al concetto di norma, anche se tutti gli studiosi invitano a ben distinguere tra verità e nonna, nel senso che la prima è un’asserzione e, come tale, può essere vera o falsa in relazione a ciò cui si riferisce, mentre la seconda introduce il significato della obbligatorietà, ossia del vincolo predetemzinato di una verità indicata convenzionalmente.

San Tommaso d’Aquino (1225-1274) fa propria la nozione primaria della corrispondenza: afferma che la verità è l’adeguazione dell’intelletto e della cosa e ribadisce le interpretazioni religiose.

Il filone religioso del pensiero filosofico e teologico sottolinea il carattere quasi esclusivo della verità quale rivelazione.

L’uomo è tempio di Dio, ossia luogo in cui abita lo spirito e pertanto è portatore di verità rivelata, proprio mediante Io spirito divino (almeno stando alla patristica).

Secondo Husserl, filosofo tedesco seguace di Brentano (XIX sec.), la verità delle essenze si rivela nell’evidenza del presentarsi ad una men-

te già resa libera e ricettiva, secondo un’idea di intimità del singolo ricettore già cara a Sant’Agostino.

La verità viene anche indicata nella congruenza del pensiero con i suoi principi; Kant, per esempio, condivide la definizione originaria relativa alla corrispondenza della rappresentazione con la cosa, ma introduce anche il criterio della conformità del pensiero alle leggi necessa rie dell’intelletto.

Dunque anche verità quale coerenza: tutte le idee sono in rapporto di connessione e questo ordine si identifica con quello delle cose (Spinoza).

Anche nel pensiero di Hegel la verità è interna all’idea ed al suo movimento.

Popper sistematizza il ragionamento tra il concetto di verità come sinonimo di corrispondenza coi fatti ed il successivo procedimento nel definire l’idea di corrispondenza coi fatti.

Si possono pertanto considerare la verità e/o la falsità come proprietà non tanto della singola proposizione, quanto del suo senso; una proposizione è vera quando il suo senso è vero, cioè se questa e tutte le proposizioni di senso equivalente concordano coi fatti.

Si arriva così all’idea di verosimiglianza o a quella di conseguenza logica (Popper), che porta a combinare le idee di contenuto in modo da formulare l’idea di grado, di migliore o peggiore corrispondenza con la verità o di maggiore o minore somiglianza o similarità con la verità. Tutte le teorie soggettivistiche della veûtà tentano di definirla in termini di fonti o di origini delle nostre credenze; le teorie oggettivistiche, invece, presuppongono la rinuncia esplicita a ogni presunto criterio di verità.

Nel Rinascimento era ricorrente l’aforisma «la verità è figlia del tempo», in quanto «organismo che si costituisce attraverso fasi di sviluppo necessarie», quindi ammettendo l’ipotesi del mutamento del concetto nel tempo ed in relazione ai caratteri epocali del pensiero

umano.

Heidegger (filosofo tedesco contemporaneo) ritrova l’etimologia dal greco, richiamando il concetto di verità secondo cui l’uomo•ha sempre vissuto l’esperienza autentica della verità come disvelamento, ossia progressivo atto di scoperta del proprio significato.

Il cosiddetto pensiero pragmatico (pragmatismo in Europa tra il XIX ed il xx secolo) impernia tutta la sua teoria sulla riduzione del concetto di verità all’utilità: «un’idea è vera se serve praticamente».

La scienza, in un primo approccio al tema, assume il seguente ragionamento empirico: la verità è la conformità degli enunciati con la realtà e si può giudicare cos’è la realtà in base ai dati empirici. Affinché un enunciato possa essere verificato (o falsificato), esso deve essere verificabile (o falsificabile).

Nell’ applicazione scientifica al concetto verità si preferisce quello di verificabilità. Secondo la confutazione empirica, la possibilità di verificare in modo definitivo e conclusivo un’asserzione dipende solo dalla possibilità che si tratti di asserti base indiscutibili.

E ciò non avviene nel processo della scienza, proprio per il fatto che essa è di per sé fondata su una logica paradigmatica. L’evoluzione della conoscenza deve essere considerata come un processo di transizione da una teoria all’altra; processo determinato da programmi di ricerca finalizzati, appunto, alla sostituzione di paradigmi (o modelli). Thomas Kuhn, emerito filosofo della scienza contemporaneo, ha spiegato molto bene come si articola la complessità della rivoluzione scientifica paradigmatica, che ha sostituito precedenti teorie sulla scoperta scientifica erroneamente assunte come verità (per quanto momentanea) della scienza. «Se noi compositori volessimo seguire sempre fedelmente le nostre regole (che un tempo, quando non si sapeva ancora nulla di meglio, erano buonissime), scriveremmo musica di nessun valore».

Mozart La ricerca è fondamento, giustificazione, ambizione e legittimazione non solo nelle varie branche della scienza, ma anche nelle discipline umanistiche e nelle Arti, dove i linguaggi si succedono arricchendosi via via, seppure a volte eludendosi vicendevolmente.

L’espressione e la creatività umana hanno saputo corredare il risultato della propria invenzione spesso attraverso artifici tipici della propria manifestazione fisica, ossia la rappresentazione (o forma): la retorica, la metafora, l’allegoria, il simbolo, l’aneddoto, la geometria, la composizione e quant’altro.

Il teatro (la commedia sin dalle sue prime esperienze delle civiltà classiche) non vive nella luce della verità. Esso deve vivere di ombre, maschere, travestimenti, menzogne, trappole, finte, falsi sentimenti.

Paradossalmente alla ricerca di sentimenti ven.

L’uomo recita sempre, anche quando le passioni lo assalgono per metterlo allo scoperto.

«II y a des peuples qui sont comme des flambeaux; ils sont faits pour éclairer le monde. En géüéral, ce ne sont pas de grands peuples par le nombre; il le sont parce qu ‘ils portent en eux la vérité et l’avenir».

«Ci sono popoli che sono come le fiaccole sono fatti per illuminare il mondo. In generale non sono grandi popoli per il numero; lo sono perché portano ln sé la verità e l’avvenire».

(Emile Chanoux)

L arte della retorica da sempre si fonda su una precettistica che si poggia sul seguente principio: il sembrare vero conta più dell’essere vero. Donde la ricerca sistematica delle prove e lo studio delle tecniche atte a dimostrare la verosimiglianza di una tesi.

Oppure, come sottolineavano i sofisti, la dottrina dell’antitesi è idea forza di un’argomentazione, dimostrando come un argomento può essere trattato da punti di vista opposti.

Sull’ Importanza dell’apparenza si è svi_luppata in questo secolo la teoria dell’informazione e della comunicazione di massa; essa, più che riprodurre il reale, propone forme di surrogato del reale.

Il mezzo di comunicazione, divenuto onnipotente, si sostituisce al messaggio, che già costituiva un’interpretazione dell’evento, una forma di rappresentazione del reale.

La corrispondenza tra il reale e la sua rappresentazione, che in origine era alla base della spiegazione del concetto di verità, è praticamente saltata, in balia della possibile falsificazione della natura delle cose. Per esempio, come sostiene Roland Barthes a proposito della fotografia, essa è «certificato di presenza» — nel senso che il soggetto è effettivamente esistito in un determinato luogo nell’istante in cui è stato immortalato con processo fisico sulla celluloide intrisa di gelatina — ed è contemporaneamente «immobilizzazione del tempo», consapevole, quindi, che essa stessa non può garantire la corrispondenza alla realtà essendone soltanto somiglianza.

La fotografia è, in sostanza, una nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del fattore tempo.

(tratto da La camera chiara, nota sulla fotografia)

L’umanità — verrebbe spontaneo commentare — ama rendersi la vita difficile: sembra strano, ma intorno alla difesa di proprie verità si sono scatenati conflitti di interessi, guerre, dispute ideologiche, scontri verbali ed anatemi.

Forse aveva ragione Seneca (L ‘arte del vivere), quando ammoniva che bisogna cercare la verità, ma senza cavillose sottigliezze. «… qualunque sia il valore dei miei libri, leggili con la persuasione che in essi io cerco ancora la verità; non l’ho trovata, ma la cerco ostinatamente». «… Ciò che è bene è per ciò stesso necessario, ma ciò che è necessario non è sempre un bene, poiché vi sono cose necessarie che non hanno alcun valore».

La ricerca ostinata della verità è al centro del pensiero massonico; essa viene trasmessa anche mediante la figura allegorica del viaggio, che viene intrapreso dall’iniziato messo sulla via di San Giovanni (simbolo iconico del rinnovamento), non più da solo (semplice uditore nella scuola essoterica), bensì insieme ai fratelli (incluso nella scuola esoterica).

La forma dell’allegoria del viaggio che maggiormente si presta a simboleggiare lo spirito massonico della ricerca ostinata nel perpetuo ed avido processo della conoscenza (la luce), è il labirinto.

Se si accetta la definizione che il labirinto rappresenta l’essenza dei sistemi reticolari acentrati nei quali ogni decisione viene presa localmente (Pierre Rosenstiehl, nella voce «Labirinto», Enciclopedia Einaudi), ogni corridoio od incrocio può essere interpretato come una delle possibili deviazioni, che a loro volta diventano nuovo punto di partenza. Cambiando, volta per volta le variabili spazio e tempo (entità materiali) il tragitto genererà nuove situazioni e rifletterà porzioni di sto- rie sempre originali, ancor più se combinate con una terza variabile, quella del sogno e della immaginazione (entità spirituali).

Per noi viaggiatori instancabili la suggestione del labirinto serve come richiamo all’esplorazione, consapevolezza del viaggio infinito se volta per volta ad elementi dati si applicano diverse chiavi di lettura della realtà, perché, come sostiene Cornelius Castoriadis:

pensare è entrare nel labirinto.

In conclusione, riporto alcuni passi di una Tavola pubblicata proprio sul tema del Labirinto, dai quali emerge una concezione condivisibile di verità.

Il labirinto della cattedrale di Chartres è lo strumento, il mezzo attraverso il quale cercherò di raggiungere la mia verità, simbolicamente rappresentata da un «hortus conclusus» in cui si trovano l’albero della vita, l’albero della sapienza circondati da un muro.

L’avvicinamento al centro è lungo e sconcertante: è LABOR INTUS.

E il percorso dell’animo umano entro una valle di sofferenze, verso la ricerca della verità.

Nel Vangelo gnostico di Filippo si legge:

«la Verità non è venuta nuda in questo mondo, ma in simboli ed immagini.

Non la si può afferrare in altro modo».

(da M. Utari, Il Labirinto, in Delta n. 35, 1993)

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA MORTE

LA MORTE

La Morte

di Adele Menzio

«Chi non conosce la morte non conosce la vita».

Non è la frase di un filosofo, il verso di un poeta o il motto di un saggio.

E invece la battuta pronunciata da uno dei personaggi di un film degli anni trenta: «Grand Hotel».

Perché l’ho scelta come introduzione? Semplicemente perché si addice all’argomento di questa tavola e mi pare racchiuda una verità: mistero è la morte, mistero è la vita.

O, se volete, è tanto stretta la correlazione tra l’inizio e quella che comunemente riteniamo la fine, che le poche conoscenze che abbiamo debbono necessariamente intrecciarsi.

Siamo sinceri.

A tutti dispiace morire.

Anche gli uomini più disgraziati, che non fanno che soffrire per mille e mille disgrazie, cercano ogni giorno di ricacciare il pensiero della morte.

Almeno nel mondo occidentale.

L’istinto della sopravvivenza va oltre la salvaguardia del corpo. Interessa soprattutto il mantenimento di quella individualità che ci caratterizza.

Tanto che si è tentati di dire che il concetto di Dio e la credenza nell’anima non siano che trucchi inventati dall’uomo per illudersi. In un campo dove non esistono «prove» in cui tutto è avvolto nel più fitto dei misteri, qualsiasi teoria o credenza o speranza sono lecite.

Lasciate a ciascuno la sua angoscia e la sua libertà di credere o no ad una vita oltre la morte, vediamo come il Massone convive con l’idea della fine della vita terrena e quale sia per lui il significato specifico della morte.

Ho usato a bella posta il verbo convivere perché gli emblemi della morte sono costantemente presenti nei rituali, negli addobbi del Tempio e nei paramenti.

Il primo impatto con la Massoneria avviene, per il neofita, al cospetto di un teschio.

Non per ricordarci che ogni uomo, dal momento in cui nasce sa che deve morire, ma perché ci sia subito chiaro il significato dell’iniziazione che, come ben sappiamo, è essenzialmente la morte profana che, sola, consente la rinascita iniziatica.

Una morte non dovuta all’imperscrutabile decisione del G.A.D.U., ma volontaria, deliberata, scelta.

Di che morte si tratta?

Perché è necessaria?

È, ovviamente, una morte simbolica che deve operare nel neofita un cambiamento radicale

Nasce un uomo nuovo, recettivo, dlsposto ad abbandonare cognizioni, credenze, abitudini, sistema di pensiero e comportamento. Da bambina lessi un bel libro intitolato «Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino».

Una vita a rovescio.

Una vita da iniziato.

Acciaccato nell’anima e nel corpo Pipino credeva di sapere tutto, conscio della propria annosa esperienza.

Man mano che gli anni scorrevano a ritroso e che le sue umane e fallaci esperienze sbiadivano, egli acquistava una purezza, una sorta di incanto che gli consentivano di apprezzare la poesia delle cose e quando, con un atto di amore estremo, la madre lo riaccolse in sé, fu la gioia assoluta.

Una storia bella.

Una storia che coglie il senso profondo non solo dell’iniziazione ma della vita stessa, quando essa sia vissuta consapevolmente.

Come?

Un bambino è più consapevole di un adulto?

Certamente.

Il neonato proviene da un mondo misterioso. Non tanto per le leggi fisiche e chimiche che ne regolano la formazione corporea, quanto per l’arcano riguardante la presenza dell’elemento spirituale, senza il quale non esiste creatura umana.

Come avviene la congiunzione tra anima e corpo?

Quando? Non lo sappiamo.

Possiamo tuttavia constatare quanto il bambino piccolo sia recettivo

44

e come impari una somma straordinaria di nozioni in tempi brevissimi.

Sembra che, vivendo in terra e sollecitato dai sensi, ricordi cose, concetti, sentimenti già ben noti.

Si direbbe che il bambino, in contatto misterioso con il Tutto, una volta allontanatosi dall’utero materno, anziché acquistare, perda una parte delle sue conoscenze. Probabilmente quelle assolute.

Ecco allora che la consapevolezza assoluta è dell’infanzia, non dell’età matura.

Forse proprio a questa magica totale comprensione si riferiva Pascoli con il suo «Fanciullino».

Ecco perché Pipino, tornando nella madre, riacquista gioia e perfezione.

L’iniziato è un Pipino volontario.

Desidera «sentire» il tutto.

Sa che per ottenere la vista adatta alla dimensione altra deve necessariamente regredire attraverso l’abbandono (proprio come Pipino) delle pseudo certezze che, fino al momento dell’iniziazione lo hanno caratterizzato.

Pipino muore o non muore?

Se dei fatti diamo una interpretazione letterale Pipino, tornando nella madre, finisce.

Il che — secondo il metro comune — significa morte.

Tuttavia Pipino va a morte nel grembo materno. Cioè nel luogo ove nasce la vita.

Che cosa può voler dire?

Che vita e morte sono forse i due aspetti di un’unica realtà. Che ha ragione il personaggio di «Grand Hotel» quando dice: «Chi        non conosce la morte non conosce la vita».

Torniamo al nostro mondo iniziatico,

La presenza della morte è una costante nell’iter massonico.

Esaminiamo la morte di Hiram.

e come impari una somma straordinaria di nozioni ln tempi brevis„ simi.

Sembra che, vivendo in terra e sollecitato dai sensi, ricordi cose, concetti, sentimenti gia ben noti.

Si direbbe che il bambino, in contatto misterioso con il Tutto, una volta allontanatosi dall’utero materno, anziché acquistare, perda una parte delle sue conoscenze. Probabilmente quelle assolute.

Ecco allora che la consapevolezza assoluta è dell’infanzia, non dell’età matura.

Forse proprio a questa magica totale comprensione si riferiva Pascoli con il suo «Fanciullino».

Ecco perché Pipino, tornando nella madre, riacquista gioia e perfezione.

L’iniziato è un Pipino volontario.

Desidera «sentire» il tutto.

Sa che per ottenere la vista adatta alla dimensione altra deve necessariamente regredire attraverso l’abbandono (proprio come Pipino) delle pseudo certezze che, fino al momento dell’iniziazione lo hanno caratterizzato.

Pipino muore o non muore?

Se dei fatti diamo una interpretazione letterale Pipino, tornando nella madre, finisce.

Il che — secondo il metro comune — significa morte.

Tuttavia Pipino va a morte nel grembo materno. Cioè nel luogo ove nasce la vita.

Che cosa può voler dire?

Che vita e morte sono forse i due aspetti di un’unica realtà. Che ha ragione il personaggio di «Grand Hotel» quando dice: «Chi non conosce la morte non conosce la vita».

Torniamo al nostro mondo iniziatico.

La presenza della morte è una costante nell’iter massonico.

Esaminiamo la morte di Hiram.A mitigare il moto spontaneo di rivalsa urlato dai Cavalieri Kadosch, la parola pacata del Commendatore.

Non è De Florian a dover essere eliminato, ma ciò che rappresenta: ignoranza, ingordigia, ingiustizia, potere mal gestito, cecità gnoseologica, intolleranza, cieco dogmatismo.

Queste sono le cose da uccidere, da eliminare per sempre. La spada del Cavaliere (come ogni arma anch’essa portatrice di morte) assume un carattere singolare.

E una spada simbolica che non farà mai grondare sangue, ma taglierà inesorabile, metterà «a morte» ogni aspetto del male. Possiamo affermare che la morte ha un aspetto ambivalente,

Da un lato indica la fine ineluttabile di un qualche cosa di vivo: un uomo, un animale, una pianta. Oppure un amore, una epoca, una civiltà.

Dall’altro la morte può essere intesa come porta che si apre alla vita dello spirito. «Mors janua vitae».

E quest’ultimo l’aspetto che interessa il massone.

La morte che introduce ai mondi sconosciuti attraverso un procedimento di carattere psicologico che deve dcmaterializzare per liberare le forze spirituali.

Un ulteriore significato, dunque.

La morte corne liberazione, ma anche come assoluta libertà,

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA TAVOLA SMERALDINA

LA TAVOLA SMERALDINA di Adele Menzio

Nel 1978 una sonda spaziale americana ha scattato fotografie sul pianeta Marte.

Soltanto recentemente, dopo sviluppi ed ingrandimenti, gli studiosi hanno svelato quella che, senza dubbio, costituisce una delle più sensazionali e sconvolgenti scoperte. Le fotografie ritraggono piramidi e sfingi.

Esattamente il doppio delle opere egizie.

Non vi paia strano od azzardato che io inizi questa breve nota sulla Tavola smeraldina di Ermete Trismegisto con un collegamento tra il molto antico e l’avveniristico.


Se la « corrispondenza » tra Terra e Marte è addirittura identità ciò prova quanto tutti gli iniziati, fin dai primordi, hanno sempre intuito, saputo e predicato.

Che UNA è la cifra o, se vogliamo, il Numero o Logos; che il

Tempo non esiste; che alto e basso, grande e piccolo sono identici. Potevano parere — queste affermazioni — ai profani increduli vuote formule, postulati azzardati e non verificabili. Oggi la scienza, e non soltanto per quanto riguarda le sfingi e le piramidi di Marte, sta verificando, passo per passo, la verità oggettiva delle antiche conoscenze ed induce ad un profondo ripensamento sulla natura dell’uomo e del cosmo.

Sul pensiero Ermetico del Trismegisto sono stati versati fiumi di inchiostro e si sono cimentati studiosi, filosofi, sapienti, illuminati ed ermetici.

Non pretendo quindi di dire cose nuove o strabilianti. Voglio invecc confessarvi il metodo da me seguito.

Se, in un primo momento, ebbi l’idea e l’intendimento di leggere il maggior numero di testi e di studi sull’argomento, in un secondo stadio ho invece pensato che avrei dovuto leggere e rileggere e ancora leggere il testo e lasciare che le parole antiche, una ad una, lentamente potessero penetrare in me, carica ciascuna di una sua verità intrinseca, quasi che il suono stesso e la morfologia d’ogni sostantivo, aggettivo e verbo dovessero in qualche modo svelarmi una loro verità.

E ancora. Che se fossi riuscita a « sentire » il legame tra l’una e l’altra parola, ma in un modo diverso da quello logico e consueto, forse una piccolissima, infinitesima parte del pensiero ermetico mi avrebbe in qualche modo misterioso raggiunta.

É estremamente dffcile dire l’indicibile, parlare senza emettere suoni, farsi capire senza un gesto esplicativo, comunicare soltanto con il silenzio.

Quindi ci rinuncio anche perché non credo di essere depositaria di grandi verità.

Devo però dire che questo metodo ha funzionato.

Leggi e rileggi, medita ed assapora, ad un certo momento che non esito a definire magico, ho acquistato come una sorta di visione unitaria.

Ricorrerò ad una metafora.

Su una specie di grande schermo sul quale contemporaneamente ed esattamente collocate trovavano dimora tante cognizioni diverse ed apparentemente contrastanti, si snodava una storia infinita che cominciava là dove finiva e trovava nuovo inizio proprio nel punto che pareva d’arrivo.

E LEI, la Legge cosmica, era arcanamente immanente in ogni immagine che compariva; la si poteva sentir pulsare dentro l’infinitesima parte, percettibile e non, d’ogni cosa e, al tempo stesso, gigantesca ed ordinatrice, sovraintendeva al disegno generale delI ‘opera.

Così che tutte le cose erano la stessa cosa: ogni apparenza era il suo esatto contrario; ogni molecola (l’infinitamente piccolo) si specchiava nell’infinità di una grandezza senza misura.

Mentre queste immagini continuavano a snodarsi ininterrotte a significazione dell’infinito, uno ad uno i misteriosi insegnamenti di Ermete mi giungevano all’orecchio interiore, sempre scanditi da un ritmo, sottolineati dalla magia della parola « OSA ».

Assistetti così alla creazione, alla nascita del Cosmo in un vortice abbagliante e coinvolgente che mi riportò, poco dopo, nella terra d’Egitto, tra gli adoratori del dio Sole, unico e solo, riconosciuto

dalla intelligente e sintetica visione del più illuminato tra i faraoni. Mi sentivo inondata di Sole, di luce, come folgorata dalla sia pure imperfetta percezione di una verità tanto intensamente bella e straordinaria da non poterla sopportare a lungo.

Ma quando, guidata dalle parole di Ermete, percepii che io stessa, solo che avessi osato, avrei potuto essere sole e luce, allora, dopo tanti anni, mi riuscì di ricompiere il viaggio astrale.

Credo sia opportuno che si mediti insieme sulle parole del Trismegisto.

« È vero senza menzogna, certo e certissimo che l’inferiore è come il superiore ed il superiore è come l’inferiore.

Per compiere i miracoli di una cosa unica.

E come tutte le cose ebbero inizio a cominciare da uno per mediazione dell’uno.

Così tutte le cose nacquero per adattamento di questo uno.

Suo padre è il sole. Sua madre la luna. Lo portò nel centro il Vento. Sua nutrice è la terra.


Questo è il padre di ogni talismano e consumazione del mondo intero.

La sua forza è perfetta se convertita in terra.

Separerai la terra dal fuoco.

Il sottile dallo spesso soavemente. Con grande ingegno. Ascende di terra in cielo. Quindi cola di nuovo in terra e riceve la forza dei superi e degli inferi.

Così hai la gloria di tutto il mondo. Perciò fugge da te ogni oscurità.

Questa è la forza di ogni forza che vince ogni cosa sottile e penetra ogni cosa solida. Così fu creato il mondo.

Di qui adattamenti meravigliosi dei quali questo è il modo. Così sono chiamato Ermete Trismegisto che ha le tre parti della filosofia di tutto il mondo ».

Dalla tavola emergono sette fondamentali principi che vi enuncerò brevissimamente.

Essi sono: mentalismo, corrispondenza, vibrazione, polarità, ritmo, causa ed effetto e genere.

  1. Tutto è mente.

L’universo è mentale, Infinito, eterno, immutabile. Secondo il pensiero ermetico qualsiasi cosa, ciò che noi chlamiamo reale, è nulla. Il TUTTO è spirito o Mente vivente infinita che l’uomo non può comprendere appieno. Il TUTTO crea mentalmente l’universo. La conseguenza? Tutto qui è illusione o, per dirla con Calderon, sogno.

  • Corrispondenza.

Tutto ciò che è nell’universo emana dalla stessa fonte. C’è dunque una armonia, o meglio, una corrispondenza tra i diversi piani di manifestazione dell’essere.

  • Vibrazione

Gli ermetici dividono l’universo in tre principali categorie fenomeniche. Piano fisico, piano mentale, piano spirituale.

Si tratta di tre diversi gradi della scala della vita che, partendo dalla materia grezza, giunge allo spirito.

Come si differenziano i tre piani?

In base alla vibrazione, appunto.

Tanto più intensa è la vibrazione, tanto più alto è il piano e tanto più elevato il fenomeno vitale che occupa quel dato piano. Il principio della vibrazione evidenzia il concetto e la verità del movimento, che si manifesta in ogni aspetto del cosmo.

L’etere universale è la più alta manifestazione della materia, così come l’intensa vibrazione spirituale, quella che può condurre alla trasmutazione mentale, è uno dei capisaldi dell’arte ermetica.

  • Polarità.

È il principio che mette in evidenza il duplice aspetto (positivo e negativo) d’ogni cosa ed insegna come la verità debba ricercarsi nella conciliazione degli opposti.

  • Ritmo

Qualsiasi fenomeno ed ogni nostro modo umano ed individuale oscilla da un polo all’altro.

Ad ogni azione corrisponde una reazione.

Per quanto riguarda l’uomo il suo animo è continuamente preda di questa oscillazione che dal dolore lo porta al piacere e viceversa. Insegnano i maestri ermetici che con la trasmutazione è possibile sottrarsi ad alcuna delle azioni ritmiche.

Ciò in quanto spesse volte la oscillazione del pendolo avviene sul piano inconscio. Possiamo qui vedere anticipato il nucleo della teoria freudiana che risolve i malesseri della psiche invitando ad una presa di coscienza dei sussulti inconsci.

  • Causalità

Nel cosmo regna l’ordine. Non il caos.

Nulla avviene per capriccio, ma tutto ha una causa derivante dalla mente.

  • Genere Su ciascun piano sono presenti il principio maschile e quello femminile.

(Il Sole e la Luna).

Loro compito è quello di generare. Cioè produrre. Creare. Il principio maschile dirige una particolare energia verso il principio femminile che compie, a sua volta, il lavoro creativo.

Entrambi i princìpi soggiacciono alla legge di gravitazione in base alla quale, per attrazione misteriosa, tutte le particelle dell’universo tendono l’una verso l’altra per determinare ogni cosa.

Tra i mille e più pensieri che la tavola smeraldina può suscitare in ciascuno di noi, solo che la si compenetri quotidianamente, mi piace qui proporre un solo tema di meditazione.

Abbiamo parlato di ritmo.

Tutti noi portiamo dentro un ritmo che è quello del nostro respiro. Senza il quale non potremmo esistere come fenomeno.

Ora tale nostro ritmo personale, che è parte del ritmo dell’armonia globale, deve necessariamente sintonizzarsi con il Verbo. Attraverso un altro ritmo: quello del cuore.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA SCUOLA E IL MONDO DEL LAVORO DI PAN

LA SCUOLA E IL MONDO DEL LAVORO DI PAN

1 – Scuola media dell’obbligo

Da sempre le strutture della scuola italiana (nei suoi diversi livelli di studio, dalla formazione elementare a quella universitaria) sono lontane da un raccordo sistematico con il mondo del lavoro e la sua cultura.

Dal 1962 è stata introdotta la scuola dell’obbligo che prevede per tutti i cittadini italiani l’obbligo di frequentare 8 anni di scuola. Cinque classi di scuola elementare, tre anni di scuola media inferiore.

La scuola dell’obbligo, che ha carattere formativo, orientativo e non selettivo, discende da interventi legislativi che appartengono ad un unico disegno riformatore: è obbligatoria e gratuita, ha abolito i voti introducendo i giudizi, ha eliminato gli esami di riparazione. I princìpi e i fini generali della riforma erano molto ambiziosi. Secondo la legge istitutiva la scuola doveva: « concorrere a promuovere 1a formazione dell’uomo e del cittadino secondo i princìpi sanciti dalla Costituzione e favorire l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva ».

La scuola dell’obbligo dovrebbe anche: … formare e favorire mediante l’acquisizione di conoscenze fondamentali e specifiche, la conquista di capacità logiche, scientifiche, operative e delle corrispondenti abilità e la progressiva maturazione della conoscenza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno.

Dovrebbe altresì favorire l’iniziativa del soggetto per il proprio sviluppo ponendolo in condizione di conquistare la propria identità di fronte al contesto sociale tramite un processo formativo continuo a cui debbono concorrere unitariamente le varie strutture scolastiche e i vari aspetti dell’educazione.

Ho usato il condizionale perché, se quelli che ho enunciato sono alcuni princìpi e fini generali della scuola media secondo il legislatore, nella pratica ciò non sempre si è verificato.

La preparazione di molti giovani licenziati dalla scuola media si è

infatti rivelata del tutto approssimativa e comunque Inadeguata ad affrontare le problematiche sociali sempre più complesse anche nel mondo del lavoro.

Spesso, nelle selezioni del personale, mi è capitato di incontrare giovani con il diploma di scuola media che avevano solo una approssimativa conoscenza della lingua italiana, difficoltà a leggere e comprendere testi ed una scarsa dimestichezza con le operazioni matematiche più semplici.

Ho riscontrato in molti giovani dificoltà ad esprimersi, insicurezza, paura e scarsa abitudine alla memorizzazione.

Il ragazzo che ha conseguito la licenza media inferiore ha la possibilità di una triplice scelta: proseguire gli studi; entrare nel mondo del lavoro, possibilmente dopo un periodo di apprendistato; iscriversi ad un corso di formazione professionale.

È una scelta non facile per dei ragazzi di 14/15 anni: gli insegnanti hanno certamente un peso nel fornire degli orientamenti, ma un peso ancora maggiore, quasi certamente determinante, lo hanno tuttavia le famiglie che, spesso, non tengono conto delle indicazioni emerse dagli insegnanti e sono, a volte, responsabili delle dificoltà che il giovane incontra nel suo futuro professionale.

2 – Scuola media superiore

La scuola media superiore tiene ancora totalmente separata la cultura scolastica da quella del lavoro produttivo impedendo un raccordo organico fra profili professionali realizzati nella scuola e professionalità richiesta nel mondo del lavoro.

I programmi risentono di un grave distacco tra la realtà socioeconomica innovativa del paese e sono ancorati a schemi ormai obsoleti e superati.

Viene dato scarso rilievo all’insegnamento dell’economia, delle lingue straniere, all’aggiornamento sulle innovazioni tecnologiche e sui sistemi informativi.

I giovani che escono dalla scuola media superiore e desiderano entrare nel mondo del lavoro si trovano di fronte a realtà completamente diverse da quelle vissute o conosciute nella scuola.

Riscontriamo una preparazione di base molto superficiale, poca flessibilità mentale, una scarsa preparazione al ragionamento e quindi alla possibilità di assorbire rapidamente i nuovi concetti che le innovazioni tecnologiche hanno introdotto nel mondo del lavoro. Incontriamo giovani in possesso della maturità linguistica che l)on conoscono a sufficienza le lingue, giovani con un diploma di perito industriale che ignorano molti concetti che sono alla base di nuovi processi produttivi o della nuova organizzazione del lavoro anche in campo amministrativo e gestionale.

3 – Università

La scuola superiore consente ai giovani l’accesso all’Università. Negli anni 70 è esplosa una domanda sociale di istruzione e le iscrizioni alle università sono aumentate in modo preoccupante. Gli studenti in corso nell’anno accademico 85/86 superavano le 750.000 unità con prevalenza in tre facoltà:

Giurisprudenza

Economia e Commercio

Medicina

Sempre percentualmente in coda alle iscrizioni nelle varie facoltà vi erano le facoltà di:

Chimica

Sociologia

Scienze naturali

Proprio nella facoltà di medicina abbiamo avuto una impressionante escalation di studenti ancora più preoccupante quando si pensi che attualmente in Italia sono iscritti all’ordine oltre 220.000 medici e si prevede che questo numero aumenterà di circa 100.000 nei prossimi anni superando la cifra astronomica di oltre 300.000 medici (r ogni 200 abitanti).

Prendo spunto da queste cifre per ribadire che anche nel campo universitario manca una politica tesa all’orientamento dei giovani per la scelta della facoltà.

Spesso la scelta è lasciata al caso, alle mode, alle tradizioni e non si guarda quasi mai al futuro.

Non credo sarebbe stato infatti molto diffcile prevedere agli inizi degli anni 80 che in un futuro molto vicino la richiesta di ingegneri elettronici, di fisici, di informatici sarebbe stata molto elevata e prevedere anche che facoltà come Medicina, Giurisprudenza e Scienze Politiche avrebbero avuto, sul piano dell’occupazione, un futuro problematico.

4 – Il corpo insegnante

Una recente ricerca condotta dall’ISFOL ha messo in rilievo come fra i tre fattori sociali coinvolti nella scuola sono soprattutto gli insegnanti, più delle famiglie e degli studenti, ad essere incerti e smarriti nei riguardi del lavoro scolastico.

Famiglie e studenti continuano a nutrire aspettative nei riguardi della scuola.

Tale ricerca avverte anche la necessità di pensare all’aggiornamento del corpo docente secondo linee diverse da quelle attuali, troppo rivolte ad aggiornare il corpo insegnante su aspetti secondari del lavoro scolastico come la normativa e gli aspetti psicopedagogici. Dagli insegnanti emerge una domanda diversa: di aggiornamento sia nelle discipline che nelle conoscenze organizzative, sociotecniche e sociologiche che possono mettere l’operatore scolastico in grado di non sentirsi inadeguato di fronte alla crescente domanda di conoscenza di allievi esposti ad una pluralità di fonti del sapere.

 Non sempre la preparazione del corpo insegnante è basata su requisiti adeguati alla professione: cultura sì, ma è anche altrettanto indispcnsabile la capacità di trasmetterla.

 Mancano corsi di preparazione all’insegnamento prima di « entrare in aula ». Non è pensabile che sia sufciente avere una qualsiasi laurea (o aver vinto un concorso) per essere automaticamente un docente professionalmente preparato.

 Mancano linee programmatiche ben mirate e strutturate per l’aggiornamento degli insegnanti secondo le esigenze non solo di carat90

6    – Rapporto scuola/impresa

Ci troviamo di fronte a due realtà completamente diverse: l’impresa si trova ad operare in un mondo che si trasforma a ritmi accelerati e ln continua tumultuosa interazione tra mutamenti sociali, tecnologici ed economici.

L’impresa è un continuo divenire, un continuo innovarsi imposto dalle dure leggi della sopravvivenza.

La scuola invece esiste per legge, continua a vivere indipendentemente dai risultati che ottiene e dalla realtà che la circonda.

Ogni tanto subisce degli scossoni in misura più o meno traumatica a seguito dei malumori degli studenti: cerca di adeguarsi, ma è inevitabile che sia insito nel sistema stesso che questi adeguamenti siano lenti e non sempre rispondenti alle realtà che la circondano.

La diversità di velocità del passo tra le due realtà è tale che qualsiasi riforma dovesse attuarsi con le attuali procedure legislative rischia di nascere già obsoleta.

La rapidità dei cambiamenti tecnologici e il continuò mutare della organizzazione del lavoro e delle necessità aziendali portano come conseguenza un continuo mutamento delle professionalità necessarie al mondo del lavoro.

Il cambiamento della scuola non deve andare tanto nel senso di aggiornare le materie quanto in quello di imprimere ai giovani i valori della Società ed educarli all’entusiasmo per la sfida, alla concezione che il nuovo non è solo difficoltà ma è anche opportunità, educarli ad una autonomia progettuale, ad una volontà di intendere che è anche il gusto del rischio (bisogna dimenticare la cultura del garantismo e dell’immobilismo).

Educarli ad avere fiducia nello sviluppo e inculcare il concetto di essere imprenditori di se stessi. Molti dei giovani che sono oggi a scuola svolgeranno professioni che oggi non esistono.

6.1 – Cosa richiede ai giovani il mondo del lavoro?

— Autonomia e responsabilità;

— creatività e progettualità;

— flessibilità;

— partecipazione;

— conoscenze culturali ed economiche;

— non solo specializzazione ma disponibilità a specializzarsi.

Quasi tutti in futuro nell’arco della vita dovranno cambiare la loro professionalità: scommettere sulle proprie qualità è quindi il miglior modo di affrontare le scelte di orientamento.

6.2 – Cosa si chiede ai docenti

Ai docenti l’impresa chiede particolarmente:

  1. il superamento della scarsa conoscenza e della diffidenza esistente nella scuola sia nei programmi che nella cultura in generale, verso i problemi economici;

la motivazione al loro ruolo essenziale di formatori e orientatori dei giovani (la scuola deve formare giovani preparati e dar loro gli strumenti della conoscenza; la fabbrica e il lavoro daranno loro l’esperienza e la specializzazione, basate anche sulle conoscenze scolastiche).

7 – Conclusioni

È necessario superare alcuni luoghi comuni quali ad esempio: titolo di studio come punto di arrivo, posto fisso e garantito.

I giovani devono essere educati alla disponibilità ad imparare anche dopo la conclusione degli studi e, in questa situazione di mutamenti frammentari e complessi, ad adeguare la loro identità professionale.

Dobbiamo preparare i giovani a vivere in un mondo in cui la sicurezza del posto di lavoro sarà principalmente in funzione della professionalità che i singoli saranno in grado di esprimere in un mondo in cui la garanzia sarà piuttosto collettiva che individuale e dipenderà dalla efficienza della Società nel suo complesso.

Oggi molti giovani sono scoraggiati; a volte rinunciano alla ricerca

• di un lavoro — tanto non si trova — oppure continuano gli studi intesi come « area di parcheggio ».

— flessibilità;

— partecipazione;

— conoscenze culturali ed economiche;

— non solo specializzazione ma disponibilità a specializzarsi.

Quasi tutti in futuro nell’arco della vita dovranno cambiarè la loro professionalità: scommettere sulle proprie qualità è quindi il miglior modo di affrontare le scelte di orientamento.

6.2 – Cosa si chiede ai docenti

Ai docenti l’impresa chiede particolarmente:

  1. il superamento della scarsa conoscenza e della diffidenza esistente nella scuola sia nei programmi che nella cultura in generale, verso i problemi economici;

la motivazione al loro ruolo essenziale di formatori e orientatori dei giovani (la scuola deve formare giovani preparati e dar loro gli strumenti della conoscenza; la fabbrica e il lavoro daranno loro l’esperienza e la specializzazione, basate anche sulle conoscenze scolastiche).

7 – Conclusioni

È necessario superare alcuni luoghi comuni quali ad esempio: titolo di studio come punto di arrivo, posto fisso e garantito.

I giovani devono essere educati alla disponibilità ad imparare anche dopo la conclusione degli studi e, in questa situazione di mutamenti frammentari e complessi, ad adeguare la loro identità professionale.

Dobbiamo preparare i giovani a vivere in un mondo in cui la sicurezza del posto di lavoro sarà principalmente in funzione della professionalità che i singoli saranno in grado di esprimere in un mondo in cui la garanzia sarà piuttosto collettiva che individuale e dipenderà dalla efficienza della Società nel suo complesso.

Oggi molti giovani sono scoraggiati; a volte rinunciano alla ricerca di un lavoro — tanto non si trova — oppure continuano gli studi intesi come « area di parcheggio ».

Forse anche in questo settore la nostra Istituzione, che ha esercitato ed esercita una influenza enorme sui destini degli esseri umani, che favorisce e promuove l’evoluzione dell’uomo attraverso il sempre maggior perfezionamento delle sue conoscenze e delle sue capacità, può in un contesto così ricco e problematico, portare un decisivo contributo.

L’avvenire non si prevede, si costruisce!!!

Non rimane memoria delle cose di altri tempi e di quel che succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.

Ecclesiaste 1.11

Quando sarà venuta l’ora vorrei essere composto in una cassa di pino — tavole fresche di segheria, ruvide e schiette, che non abbiano conosciuto pialla.

Vorrei essere cremato, disperdermi in fumo nell’aria, le ceneri in mare, per rientrare nel Ciclo senza lasciare obblighi — neppure di un ricordo di circostanza.

Vorrei che, stringendo gli occhi colpiti da un’onda più alta, a qualcuno, qualche volta, venisse di pensare toh è lui, il solito, che vuole accertarsi che la randa sia ben tesata, il fiocco ben cazzato.

Vorrei che, semisbilanciato da un colpo di favonio che si infila giù per il canalone qualcuno, qualche volta, dicesse ecco è lui, al solito, che vuole accertarsi che il cordino da valanga sia ben filato.

E vorrei che, qualche volta, l’impeccabile testolina grigia si sollevasse dall’ago al fremere della tenda tra studio e faggio e gli occhi verdemare azzurrocielo dicessero sorridendo: è lui.

E ho detto in cuor mio anche questa è vanità.

Ecclesiaste 2.16

Di ignoto, a cura di Dighatapassi

95

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LAVORARE MASSONICAMENTE

LAVORARE MASSONICAMENTE di Adele Menzio

Che cosa significa lavorare « massonicamente » in Loggia e nell’Otdine?

Significa tutti insieme aiutarci a ritrovare la vera natura dell’uomo nell’alveo della ‘tradizione esoterica.

Siamo entrati in Massoneria per scoprire chi siamo veramente, qual è il nostro personale ruolo individuale e sociale, per far emergere dal profondo di noi stessi la parte migliore o, se volete, la nostra scintilla divina. Che c’è, esiste, ma spesso è ottenebrata e soffocata dalle preoccupazioni profane.

Mi direte che in Loggia si fanno discorsi sempre rivolti al passato, alla storia antica, mentre fuori nel mondo premono problemi importanti, drammatici, che non si possono rimandare ed alle volte nemmeno risolvere. In altri termini, che siamo anacronistici.

Ebbene sono costretta a dire che la Massoneria come ente non può proprio far nulla nel mondo esterno e che non è suo compito agire in tal senso, anche se storicamente ciò è avvenuto, ma sempre a scapito del suo carattere iniziatico. Dirò di più. Proprio nelle epoche profanamente più violente, caotiche quando sembra che tutti gli eterni princìpi etici siano sconvolti e l’umanità destinata alla distruzione o comunque ad un rivolgimento totale (e noi viviamo una di queste epoche di mutamenti radicali), proprio allora è indispensabile che un drappello di iniziati salvi i princìpi base, i pilastri su cui poggia la vita.

Depositari dei fondamenti dello spirito, assolutamente refrattari ad ogni dogmatismo, ad ogni parziale e fanatica visione della realtà, gli iniziati (e quindi noi massoni) hanno il compito non solo di portare avanti la ricerca, ma anche di conservare, evolvendoli, gli eterni princìpi che sono nascosti in ogni uomo e che devono essere risvegliati e compresi.

Questo è il compito della Massoneria e questo l’indirizzo fondamentale dei lavori di loggia.

 ovvio che la Massoneria ha una sua filosofia che trae le proprie

origini dai primordi ma che, nel corso dei millenni, ha sempre dimostrato la sua validità,

Un esempio fra tutti.

Umanesimo e Rinascimento, questi movimenti che hanno riportato l’uomo, con tutte le sue meravigliose capacità, alla intelligenza delle cose, che hanno dato (e voglio citare solo un nome) un Leonardo, in tanto hanno potuto fiorire in quanto proprio in quel periodo esoterismo, Kabbala e Tradizione furono alla base degli studi e della ricerca degli intellettuali.

A coloro che rifiutano l’esame della storia del pensiero e che si annoiano nello studiare quali siano le costanti universali della storia dell’uomo, vorrei dire prima di tutto che sono sempre state le idee a governare il mondo e gli individui.

Verne, tra le molte altre cose, descrisse la T. V. molto prima che la tecnologia la realizzasse. Verne ebbe l’idea.

Il nostro secolo è caratterizzato da uno sviluppo tecnologico straordinario e da un avanzamento scientifico quasi da capogiro. Tali da stravolgere il ritmo e le abitudini della vita di tutti. I futurologi prospettano un mondo ove la biogenetica applica’ta all’uomo (che pare potrà costruirsi persino un gemello di ricambio) condurrà ad una limitatissima attività lavorativa.

Che cosa farà l’uomo? Allungata la vita sino ai limiti di quella dei patriarchi biblici (e mi domando… ma allora dov’è la novità?) con la possibilità di viaggiare da un pianeta ad un altro, senza più il problema della fame e del freddo, con cuore, reni, stomaco, arterie e polmoni di ricambio, come passerà il tempo? Comunque decida o possa trascorrerlo, alla fine morirà.

Quanto, mi domando, gli saranno servite le conquiste della scienza e della tecnologia, sfruttate massimamente per il progresso materiale, ad affrontare consapevolmente l’ultimo traguardo che tutte le macchine di questo mondo non saranno mai riuscite a spiegargli? E come vivrà, lui che ci tiene tanto a vivere, quando avrà ogni giorno 10 ore da trascorrere? Si drogherà di più, si darà ad atti di violenza più raffinatamente  crudeli o penserà maggiormente al suo spirito?

Come lo guideranno i mass-media? Di quali occulte potenze profane sarà la preda? Sarà forte o fragilissimo?

L’esperienza mi dice — e me ne dispiace — che il benessere produce uomini fragili. Gli psicanalisti sono proporzionali al reddito. Allora, forse più di oggi, sarà necessario che gli iniziati anch’essi abbiano raggiunto una evoluzione spirituale superiore per soccorrere i deboli. I massoni saranno più che mai necessari. Veniamo ora al nostro lavorare.

Ho parlato prima di filosofia della Massoneria.

Essa è fondamentalmente di marca platonica ed ha recepito i fondamenti dello gnosticismo.

Ma quanti tra di noi conoscono o ricordano queste correnti di pensiero?

Proporrei quindi di dedicare qualche tavola proprio ad un esame di certi princìpi.

Fondamenti dello gnosticismo, ed argomenti di altrettante possibili tavole, sono:

— il mondo è il male ma nello gnostico vive un elemento divino che anela di tornare al Padre;

— stretto e soffocato nel corpo l’elemento umano ha perduto la nozione della sua origine divina. È come serrato in una tomba. E oro, ma nascosto nel fango. Di qui la necessità del risveglio, della purificamone;

— il risveglio è una operazione terribilmente difficile, forse superiore alle singole forze dell’uomo. È quindi necessario un aiuto, una chiamata;  il percorso dello gnostico è questo: natura divina incarnata, oblio del divino, schiavitù nel corpo, chiamata, risveglio, presa di coscienza del suo vero essere;

— tradotte massonicamente queste tappe si possono esprimere così: attitudine ad apprendere da sé, con l’aiuto dei fratelli, le scienze che la massoneria offre. Morte nella profanità. Rinascita iniziatica. Cooptazione. Elevazione alla maestranza.

 Altri punti gnostici che sono stati recepiti dalla Massoneria sono: — la conoscenza è contrapposta alla fede. Tutte e due hanno il medesimo obiettivo: la ricerca della verità, ma le vie sono diverse;

— la ricerca soggettiva, con mezzi a misura d’uomo, della verità;

— il rigetto d’ogni dogmatismo;

— il tentativo di dare una spiegazione razionale ai fatti che le religioni pongono sotto l’aspetto fideistico, trascurando il significato simbolico della tradizione;

— lo gnostico iniziato massonicamente è un individuo non certo avulso ma immerso nella umanità per la quale opera.

Libertà di pensiero assoluta, tenuto conto del fatto che la problematica delle origini e degli scopi dell’umanità è stata oggetto di intuizioni sorprendenti, ma sempre è stata violentata dalle varie ortodossie;

— la filosofia della conoscenza deve essere intesa come conquista dell’intelligenza che si alimenta ed approfondisce in se stessa; — la liberazione dalla materia è un fatto elitario;

— il rapporto con Dio non è una questione di gruppo, ma un affare squisitamente privato;

— nessuno detiene la verità, alcuni detengono varie loro verità; — non è la fede, ma la ragione il mezzo per l’identificazione dell’uomo.

Ho voluto, brevemente, proporre e suggerire alcuni temi su cui lavorare e meditare col duplice fine di non abbandonare la nostra linea di pensiero tradizionale e di informare i neofiti e gli apprendisti su alcuni princìpi che, a mio parere, costituiscono i pilastri del pensiero massonico che — come ognuno di noi sa bene — deve continuamente evolversi ed aggiornarsi e che, pur innestandosi nel passato ha sempre — come finalità ultima — il progredire ed il migliorare dell’uomo. Tanto dal punto di vista materiale-sociale quanto e soprattutto da quello spirituale.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

I TAROCHI – UN PO’ DI STORIA . . .

I TAROCHI – UN  PO’ DI STORIA . . .

I tarocchi – Un po’ di storia e il simbolismo degli Arcani maggiori

di Giacomo Durio

Da ELIPHAS LEVI

« un’opera monumentale, semplice e forte come l’architettura delle Piramidi e, come quella, duratura. Un libro che compendia tutte le scienze, passibile di innumerevoli combinazioni… che possono risolverce qualunque problema. Un libro che parla c fa pensare. Forse il capo. lavoro dello spirito umano, certo una delle cose più belle pervenuteci dal passato… ».

Origine – Leggenda e storia dei tarocchi

Una romantica e leggendaria tradizione fa risalire l’origine delle figure rappresentative (che diedero poi origine ai tarocchi) alla cristallizzazione, nei millenni, in segni e poi disegni, inizialmente geroglifici, degli insegnamenti orali che creature straordinarie, provenienti dal cielo, diedero agli uomini primordiali per cercare di trasferire loro nozioni del proprio sapere e delle proprie facoltà. D’altra parte la reminiscenza di un tale evento si ritrova in quasi tutte le origini rituali dei vari culti di popoli stanziati a migliaia di chilometri di distanza l’uno dall’altro, nei vari continenti attuali. Ne sono tuttora testimonianze letterarie o artistiche, a seconda delle culture che se ne impadroniscono: le stele e i codici delle civiltà azteche e maya meso-americane, le figure del libro di Thot egiziano, l’alfabeto cabbalistico degli israeliti, documenti cinesi e indiani, le riproduzioni rinascimentali degli arcani maggiori dei tarocchi… Tutte, o quasi, hanno di base il numero 22 e tutte, o quasi, hanno a che vedere con le pratiche di divinazione, che però non trattiamo.

L’origine storica delle carte da gioco dei tarocchi è rimasta oscura malgrado l’interessamento di molti studiosi. Si deve fare riferimento alle cronache. Giovanni Cavelluzza, nella sua storia di Viterbo, racconta: « il gioco delle carte venne portato nell’anno 1379 dal paese dei Saraceni dove è chiamato Naibi ». Le carte da gioco ancor oggi chiamate in Spagna Naipes rendono probabile che esse vi siano state introdotte durante l’occupazione araba (altra testimonianza di diffusione degli archetipi…) e da qui abbiano raggiunto il resto d’Europa.

Alla fine del ‘300, Carlo VI di Francia commissionò un mazzo di carte in oro e vari colori al pittore Gringonneur.

I tarocchi sono eseguiti inizialmente a mano su pelle o su pergamena, raramente su cartoncino. Sul finire del ‘300 si diffonde la stampa xilografica, ma nessun esemplare è giunto fino a noi. Agli inizi del ‘400 compaiono le prime « carte » miniate, vere e proprie rarità commissionate da nobili famiglie, quali ad esempio le carte dei tre mazzi dei Visconti-Sfotza, duchi di Milano (tra 1428 e 1477) di cui uno, opera di Bonifacio Bembo, quale dono di nozze per il matrimonio di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti. Tale mazzo, purtroppo smembrato, si trova ora in parte al Victoria and Albert Museum di Londra e in parte alla Pierpont Morgan Library di New York.

Anche il Mantegna si cimentò nel disegnare preziosi tarocchi, ora patrimonio di vari musei.

L’evoluzione che rese il gioco più popolare passa attraverso i cosiddetti tarocchi di Marsiglia del Grimaud, della fine del xv secolo e i tarocchi di Claude Burdel che ne continuò la produzione a livello di divulgazione tra le masse, a partire dalla metà del 1700. Naturalmente con l’avvento della stampa aumentarono le riproduzioni in veste occidentale. Ad esse la credenza popolare affidava la speranza nel trascendentale contro la realtà del presente e l’incertezza dell’avvenire.

Per maggior completezza non rimane che rammentare alcune interpretazioni degli studiosi più rappresentativi.

Fu Court de Gebelin che nel suo libro Monde primitif, del 1781, avanzò l’ipotesi che i tarocchi avessero a che fare con le 78 pagine geroglifiche del famoso libro di Thot, dio egizio della scienza e inventore del linguaggio e della scrittura.

Tale libro, sfuggito alle fiamme dell’incendio della grande biblioteca di Alessandria d’Egitto, contiene incontaminato il sapere egizio, sintesi delle dottrine filosofiche e delle conoscenze scientifiche degli antichi sacerdoti.

L’affermazione del Court de Gebe(in circa l’origine egizia dei tarocchi, introdotti in Italia al seguito delle legioni romane, è oggi ritenuta del tutto personale e arbitraria.

Per restare in argomento, un discepolo del Wirth, di cui accenneremo dopo, Jean Baptiste Pitois nella sua Storia della magia fa risalire le immagini degli Arcani ai 22 dipinti di cui ancor oggi sono riconoscibili le nicchie nella galleria interna della Grande Piramide di Cheope. Essi erano utilizzati per istruire i neofiti ai Misteri di Osiride durante i viaggi della cerimonia di iniziazione. Altro personaggio che ha provocato una specie di terremoto interpretativo è stato chi dice un parrucchiere parigino, chi un professore di algebra allievo del de Gebelin di nome Alietta. Sotto lo pseudonimo di Atteila (anagramma del cognome) divenne un famoso cartomante e indovino. Egli per i suoi ragionamenti, forse di comodo, mutò l’ordine e a volte Ic didascalie tradizionali degli Arcani, ponendo ad esempio se stesso al posto del Bagatto (dimostrandosi così un abile giocoliere…) e trovò proseliti in una pseudocorrente che ebbe vita per un certo numero di anni.

Caratteristico invece l’accostamento dei 22 arcani ai 22 sentieri che collegano nell’Albero della Vita le 10 Sephirot e, conseguentemente, ai valori numerici delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, attraverso cul si completa l’interpretazione cabbalistica di tutti i misteri della Creazione (vedasi Annesso).

L’idea fu di un abate del XIX secolo Alfonse Constant che ebraicizzò il proprio nome in Eliphas Levi Zahed.

Perfezionatore di tale connubio fu Gerard Encause ( 1860-1916) noto sotto lo pseudonimo di Papus (fondatore dell’Ordine massonico dei Martinisti e studioso cabbalistico nell’Ordine dei Rosa Croce).

Ottimo il libro di Oswald Wirth (1888) studioso anglosassone, in cui l’autore ha inserito valori interpretativi di natura massonica che si collegano agli insegnamenti esoterici della nostra Istituzione. Alla sua lettura rimando gli appassionati che desiderino arricchire le interpretazioni massoniche da me tentate.

Per ultimo, a testimonianza della origine antichissima degli archetipi dei tarocchi, San Giovanni nella sua opera l’Apocalisse, rimanda, in maniera inequivocabile, per ciascuno dei ventidue capitoli in cui essa è divisa, alla descrizione di una carta dei tarocchi! Risaliamo cioè a molto tempo prima del mazzo commissionato da Carlo VI di Francia…

Brevi considerazioni finali

Mi sembra necessario non dimenticare gli Arcani minori. Il mazzo dei tarocchi infatti è costituito da 78 carte di cui 56 di quattro semi diversi con valori numerati da uno a dieci, più due figure.

Mentre gli Arcani maggiori tendono alla conoscenza del trascendentale, quelli minori si riferiscono alla pratica quotidiana del mondo fisico e agli interessi umani più spiccioli. Da essi sono derivati i semi delle carte moderne: Denari-Quadri; Bastoni-Fiori; CoppeCuori; Spade-Picche.

Essi rappresenterebbero:

— Denari: il commercio, la borghesia;

 Bastoni: l’agricoltura, il volgo;  Coppe: il clero, i nobili, i regnanti;  Spade: le forze armate.

La disposizione ordinata della sequenza numerica dei 22 Arcani maggiori, invece, permetterebbe di formulare una sintesi armonica, in « chiave massonica », dei valori simbolici ed esoterici espressi da ciascuna carta.

Sintesi armonica che può dare origine ad un metodo globale di conoscenza dei problemi dell’uomo visti nel mondo della Natura: per trovare il rapporto reale tra il microcosmo umano e il macrocosmo dell ‘Universo.

Ed ora, esaminiamo nel particolare alcuni di questi valori.

Annesso – IL SIMBOLISMO DEI 22 ARCANI MAGGIORI

Ad evitare ripetizioni, all’inizio di ogni descrizione precede, per ciascuno di essi, una interpretazione del significato « archetipale » , scritto in carattere corsivo, e una sua breve definizione, tra virgolette.

I – Il Bagatto o Giocoliere

 La causa prima « la verità che risveglia l’uomo dormiente e gli dà la vita ».

La prima carta, tra le più straordinarie delle componenti il mazzo, è l’immagine di un giovane giocoliere, leggermente arcuato all’indietro, che ha dinnanzi a sé un tavolino, a tre gambe, su cui sono posati vari oggetti. Tra di essi una coppa, una moneta, una spada. Nella mano sinistra una verga o un bicchiere (per il lancio dei

La posizione arcuata del corpo copierebbe la forma della prima lettera dell’alfabeto ebraico, l’aleph, che nella Kabbala ha particolari significati.

Il cappello è a forma di 8 orizzontale, simbolo dell’infinito, dimensione del macrocosmo in cui vive ed esiste l’uomo; esso richiama il nodo di amore della catena d’unione del Tempio. Il giovane rappresenterebbe il postulante che chiede di conoscere il proprio destino e, per noi, il profano riconosciuto iniziabile per le sue attitudini e buone disposizioni. È alla ricerca della conoscenza e chiede risposte ai quesiti del divenire della vita. Nella saggezza degli insegnamenti della Natura tenta di comprendere l’interpretazione cosmologica dell’esistenza.

11 – La Papessa

 L’esistenza « il riflesso dell’esistenza si comprende ».

Personaggio tragicamente popolare da un episodio della storia pontificia ha sostituito la figura di Giunone. Sacerdotessa sontuosamente vestita, assisa sul trono, copre con il drappeggio i due pilastri del trono stesso raffigurabili nelle due colonne del Tempio di Salomone. Essa sta a guardia della soglia che si apre ai misteri; regge infatti sulle ginocchia un libro aperto: il libro della Conoscenza da raggiungere anche attraverso l’intuizione del libro della Natura. In tal senso le due colonne, simbolo delle due divinità siriache Agni (fuoco) e Soma (aria), presiedono all’ingresso di ogni creatura vivente nell’Universo.

Madre degli Iniziati, insegna che la scienza iniziatica deve essere scoperta da se stessi. Assimilata ad Iside, essa confida la chiave dei misteri solo ai suoi figli, ai figli della Vedova, degni di conoscere i suoi segreti, tra cui il grande segreto cosmico, relativo al senso reale delle cose, al senso da dare alla stessa esistenza dell’universo e dell’uomo.

III – L’Imperatrice

 L’evoluzione — « l’evoluzione mira ad organizzare ».

Donna alata seduta su di un trono, con corona regale che sancisce il suo rango. Uno scudo con aquila dorata nella mano destra, nella sinistra uno scettro sormontato da un globo con croce, simbolo della terra. La volatilità permessale dalle ali significa la capacità di attuare nella materia tutte le trasformazioni consentite. Presiede al mistero del concepimento dell’uomo. È la trasposizione cabbalistica della Vergine cristiana. Per noi è la Saggezza che concepisce e accompagna il recipiendario nel suo cammino iniziatico verso gli ideali sublimi della Massoneria.

IV L’imperatore

— L’ordine — « l’ordine consente la comprensione ».

È rappresentato di fianco, con barba e sopracciglia folte, volto sereno, ma profilo severo; scettro nella mano destra (dualità con l’Imperatrice), scudo ai piedi del trono. È seduto all’aperto e il suo sguardo spazia quale Logos cosmico reggitore supremo dell’equilibrio della natura. La posizione delle gambe è particolare: sono incrociate a delta. Nell’insieme rappresenta il principio della vita eterna, il respiro che il G.A.D.U. impresse nell’argilla. Da tale ispirazione divina alcuni uomini consapevoli traggono la scintilla iniziatica per risalire a livelli di coscienza superiori a quelli su cui si adagia la massa che vive « meccanicamente » in balia degli « accadimenti » della vita stessa.

V – 11 Papa

 La forma fisica — « osservare ciò che si muove ».

Immagine di un uomo anziano, dal volto benevolo e gioviale, seduto con insegne pontificie su un trono il cui schienale è anche qui costituito dalle due colonne sacre del Tempio di Salomone.

Nella mano sinistra la lunga croce a tre braccia, sul capo una mitra a tre corone. La mano destra in atteggiamento benedicente, due personaggi ai piedi del trono che indossano abiti a colori complementari. La benedizione è l’elemento equilibrante della dualità dei personaggi che riconduce al ternario massonico evidenziato negli altri simboli. Il simbolismo globale può riferirsi al concetto di Gnosi, detentrice della scienza degli iniziati, identificabile in quell’Uomo che emerge dalle tenebre della superstizione per divenire cosciente del proprio Sé, in una dimensione reale e unitaria della natura nel suo microcosmo.

Lo scrittore poeta argentino Luis Borges, recentemente scomparso, ha espresso un bellissimo pensiero a tal proposito: gli uomini anziché utilizzare le loro forze per « esistere » dovrebbero imparare a utilizzarle per « essere

VIL’Innamorato o gli Amanti

 L’intelletto — « l’elaborazione delle forme vitalizza l’esistenza trasformando le cose ».

La carta mostra tre personaggi, un giovanetto imberbe al centro affiancato dagli altri due, di cui uno soltanto ha un chiaro aspetto femminile ed è alla sinistra del giovanetto cioè dalla parte del cuore. Sovrasta il tutto un putto alato, iscritto in un sole sfolgorante, che punta una freccia sulla mezzeria, diciamo così, tra il giovanetto e la donna. L’interpretazione comune vede nel giovanetto la raffgurazione del libero arbitrio che deve scegliere tra la Virtù e il Vizio, ma attribuisce al putto l’intenzione di separare la Virtù dal giovane con il lancio della sua freccia! Per cui altri interpreti identificano nei due più giovani personaggi, una coppia di sposi che non rappresentano altro che l’Umanità, in atto di chiedere la benedizione augurale alla Madre (al Padre?) del marito (chissà perché non della sposa che con il braccio esprime un segno di invito verso la terza figura) quale simbolo della passata esperienza del genere umano.

Mi permetto di esporne una terza che, tra l’altro, si avvicina di più a concetti massonici.

Il putto che trae la sua energia dalla fonte inesauribile del Sole, intende segnalare, all’incerto giovanetto in diffcoltà per fare la sua giusta scelta, la via della Virtù con una folgorante freccia originata dal dispensatore della Luce: messaggio, come vedremo nel suo arcano, di conoscenza-libertà-amore.

In definitiva l’uomo incerto che sappia inoltrarsi con volontà e perseveranza nel cammino iniziatico, guidato dalla Luce, saprà divenire consapevole nelle sue giuste scelte.

VII – 11 Carro

 La volontà — « la volontà completa l’edificazione del Tempio ». Il carro di forma cubica è trainato da due cavalli, uno rosso e uno blu. Il loro atteggiamento di movimento è rivolto in due direzioni differenti e divergenti, ma la loro testa, e quindi lo sguardo, è rivolta dallo stesso lato.

Sul carro, coperto da un baldacchino, una figura coronata, con nella mano destra uno scettro, che termina con una raffgurazione di cile connotazione.

Sul frontespizio del carro uno scudo con le lettere S.M. di cui non conosco l’interpretazione; nei tarocchi del Wirth, invece, la sfera volante degli egizi.

Il tutto ci richiama alla allegoria della carrozza che rappresenta il corpo, dei cavalli che rappresentano sentimenti e desideri, del cocchiere che rappresenta la mente e il pensiero e del Padrone che siede nella carrozza e rappresenta il Sé, la coscienza di questo sé che origina la volontà.

Se manca il padrone che è consapevole della meta del viaggio e dà disposizioni, i pensieri della mente possono trovarsi in balìa dei desideri e la carrozza procederà senza meta guidata soltafito dalla pressione di influenze esteriori cui il cocchiere si assoggetterà inconsapevolmente, come un automa.

Per noi, la figura alla guida del carro è quella del Maestro Venerabile che sa riportare gli eventuali devianti a guardare verso l’unica direzione corretta che è quella della Luce. Esso rappresenta la Spiritualità dell’uomo che vuole e deve emergere dai contrasti del mondo materiale.

Il Maestro è l’elemento equilibrante delle possibili dualità, preoccupato di mantenere l’armonia e conscio della sua precipua responsabilità nel predisporre, condurre e dirigere i lavori della Loggia.

VIII – La Giustizia

 L’equilibrio — « l’equilibrio nel guardare alle cose del mondo segue il destino ».

Altro personaggio femminile seduto su un trono. Nella mano destra una spada rivolta in alto e nella sinistra una bilancia con i due piatti allo stesso livello.

Simboleggia l’azione coordinatrice che la volontà dell’uomo può esercitare per contribuire a controllare il suo destino, piuttosto che sottostare meccanicamente al caso.

La livella afferma l’uguaglianza davanti alla Legge del Lavoro, propria del 2 0 grado iniziatico, sia individuale che collettivo.

Nell’egregoro di Loggia il Massone, pur mantenendo inalterata la sacralità individuale, deve integrarsi con giusto equilibrio per dare e ricevere esperienza iniziatica.

Gli aumenti di salario ricompensano il buon operaio che in tal modo beneficia del livello superiore di esistenza al quale ha saputo elevarsi.

IX – L’Eremita

 L’introspezione — « l’introspezione nella evoluzione della realizzazione produce mutamento

Un vegliardo coperto da un ampio mantello si sostiene con un rozzo bastone e si fa luce con una lanterna.

Nella serie di tarocchi del mazzo di Visconti Sforza questa è sostituita da una clessidra.

Il simbolismo è quello della Saggezza: dell ‘uomo maturo o di chi ha raggiunto le prerogative della Maestria, acquisita con la meditazione e l’isolamento al riparo del mantello. La Luce, la lampada, o il Tempo, la clessidra, lo hanno aiutato a penetrare a fondo i segreti delle cose in rapporto alla Natura, per predisporre con accortezza il suo futuro.

X – LA RUOTA DELLA FORTUNA

 Il destino delle cose — « la ciclicità della vita costruisce nel mondo le forme ».

La ruota campeggia al centro con avvinghiati, in apparente equilibrio tra loro, due personaggi: il primo Tifone, mostruoso genio del male, che sembra precipitare in basso; il secondo Hermunibus, genio del bene, in evidente sforzo di risalita. La manovella imperniata sull’asse della ruota con un suo movimento può decidere della sorte delle due creature. Sul trespolo che sovrasta la ruota una sfinge dal busto di donna e dal corpo di leone configura una posizione di equilibrio immutabile.

Nell’insieme la carta ricorda che pochi mutamenti sono permanenti e irreversibili. Le ruote del destino girano lentamente ma, alla fine, dopo vari sbilanciamenti fanno sempre un giro completo che risolve la dualità in una forma di equilibrio.

Nelle due creature possono configurarsi la vecchiaia che si alterna alla giovinezza e, nel campo della Natura, il ciclo dell’alternanza che si manifesta nei due Solstizi d’inverno e d’estate, celebrati in ogni dove fin dall’antichità e puntualizzati solennemente anche dalla Tradizione massonica.

  • – LA FORZA
  • La forza — « essa permette all’uomo il completamento delle sue intenzioni

La giovane donna, sul cui capo poggia un cappello dalla forma di 8 rovesciato come quello del Giocoliere, è colta nell’atto di domare un leone con la stretta delle sue pur esili mani.

La forza d’animo, sorretta da chiari convincimenti, sostiene l’uomo in ogni momento cruciale della sua vita e del suo cammino iniziatico e lo aiuta anche a sorreggere la forza fisica per vincere i mali del corpo.

Radici di questa forza si trovano sia nelle esperienze infinite della Natura, sia nella dimensione del lavoro comune in Loggia che, legando in cordata le energie di tutti, aiuta i singoli a ricercare nel grande mistero cosmico una dimensione propria più completa ed armonica dell’esistenza, che si avvicina all’essere.

  • L’IMPICCATO O L’APPESO
  • La precarietà — « l’individuo si rivela guardando i suoi errori ». Vi è raffgurato un giovane appeso per un piede a testa in giù, tra due tronchi cui sono stati tagliati sei rami ciascuno. Alcuni studiosi del passato affermano che la figura dovrebbe essere in posizione normale, appoggiata su un piede solo, precisando che l’attuale posizione è conseguente ad un errore di lettura di antichi testi che concorsero ad ispirare gli autori dei tarocchi.

L’interpretazione della precarietà nel suo significato simbolico non cambia. È da notare che la posizione relativa delle gambe è anche qui incrociata a delta come quella dell’Imperatore, ma non sono riuscito a trovare una correlazione tra le due disposizioni simboliche. Ai Lettori ricercarne e suggerirne una.

Perché sei rami tagliati? Rammentando le spiegazioni di Arturo Reghini nel suo libro I numeri sacri, il 6 è il primo numero « perfetto » in quanto è uguale alla somma dei suoi divisori

(1-4-2+3 = 6), ma è anche uguale al prodotto dei suoi fattori

Uno, due, tre che corrispondono ai primi tre gradi della via iniziatica e corrispondono altresì ai tre distinti piani su cui poggia l’esperienza unitaria dell’esistenza:

 1 : quello del corpo;

— 2 : quello della mente;

 3 : quello dello spirito.

Altri suddividono le funzioni dell’uomo anziché in piani, nell’attività dei suoi tre centri costitutivi:

— 1 : quello funzionale, relativo alle attività neurovegetative e metaboliche ;

— 2 : quello intellettuale o della mente;

— 3 : quello emozionale o dello Spirito e del Cuore ln entrambi i casi:

— le funzioni del n. 1 sono essenzialmente indipendenti finché non si impari, con grande sforzo, ad assoggettarle ad una volontà; — le funzioni mentali sono quelle attraverso le quali la maggior parte degli uomini esprime la sua vita quotidiana « meccanicamente » secondo il succedersi di accadimenti esterni indipendenti da una volontà propria o determinati in rapida successione secondo l’ispirazione mutevole, incostante e momentanea dei suoi vari Io, fonti di piaceri fittizi, di dolori altrettanto fittizi, prigionieri delle parole, di desideri, di concetti discriminativi.

Per tale motivo la maggior parte dell’umanità è composta da esseri « dormienti» o al massimo al primo ed, eccezionalmente, al secondo stadio di « coscienza » (in totale sono progressivamente 7); — le funzioni del n. 3 sono quelle delle creature che hanno saputo raggiungere stati di coscienza superiori che assicurano loro consapevolezza. Esse padroneggiando la propria « essenza » in un unico Sé, non lasciano più sbrigliarsi disordinatamente i propri io pazzerelloni. Sono questi gli iniziati o quelli che perseverano con costanza e determinatezza nel cammino Iniziatico fino alla Maestria, convinta e relativamente vissuta.

XIII – La Morte

 Il sovvertimento — « il sovvertimento rivela nuove forme ».

La carta mostra uno scheletro che brandisce una falce.

Nel prato ai suoi piedi, frutto della sua opera, giacciono i corpi smembrati di un uomo e di una donna.

Il significato simbolico è chiaramente ed inequivocabilmente riferito alla morte dell’uomo e gli ricorda la futilità delle sue azioni se sono legate soltanto alla materialità. È distruzione, ma è anche trapasso e trasformazione.

L’iniziando fin dal principio, prima di intraprendere la Via, e successivamente ad ogni gradino della scala, muore simbolicamente abbandonando un fardello di tutto ciò che è stato fittizio nel passato, ma rinasce e con il miglioramento di sé stesso impara a trasferire la sua continua esperienza di risveglio all’esterno, cercando di costruire anche per altri un habitat più felice a misura di uomo consapevole che, in linguaggio massonico, costituisce il Tempio delI ‘Umanità.

  • LA ‘TEMPERANZA

 Il mutamento — « la trasformazione fa comprendere la caducità ». Una figura alata di angelo intento a travasare un liquido da una piccola brocca blu in un’altra grande e rossa, Il simbolismo è riferito alla manifestazione di un cambiamento di situazione. Può rappresentare anche il fluire della vita, l’energia vitale che non si disperde se, come un liquido che sia continuamente ben versato da un contenitore all’altro, non diminuisce la quantità e le proprietà di onda vivificatrice. Il lavoro costante del Compagno nella vita collettiva gli fa ottenere il suo salario e lo prepara ad essere degno di proseguire verso la Maestria.

  • 11 DIAVOLO

 La fede — « la fede completa l’intelletto ».

Nei tarocchi non vi è alcuna immagine che si riferisca direttamente a Dio perché non è possibile raffgurare la sua pura spiritualità.

La dottrina ebraica non consente di pronunciarne nemmeno il nome. La sua configurazione risulta, ma risalta in contrapposizione a quella del Diavolo. Questi appare come signore incontrastato delle forze involutive, trionfalmente eretto su di un piedistallo, con ali nere, una spada sguainata verso (o contro?) l’alto, ed avendo ai piedi un uomo e una donna costretti in catene.

Il significato simbolico è chiaramente riferito alla schiavitù in cui versa il genere umano che non sappia sottrarsi a tale giogo, essendo il diavolo il simbolo della materia che imprigiona lo spirito. La via iniziatica, qualsiasi via scelta tra le tante possibili, può consentire ad ogni essere umano di contrastare per gradi tale giogo, fino a sottrarvisi vittoriosamente con lo sviluppo della sua personale evoluzione interiore e con la partecipazione cosciente e attiva al lavoro di gruppo nell’Offcina.

XVI – LA TORRE

 La caducità delle cose — « la caducità dei beni materiali porta all’illusione ».

La carta presenta l’immagine di una torre che, colpita dal fulmine, frana e crolla coinvolgendo nella sua rovina due uomini che precipitano a terra.

Quanto può costruire l’ambizione umana senza un qualsiasi fondamento razionale è destinato a crollare. Parimenti è trascinato nel crollo chi tenta di raggiungere impreparato mete superiori alle sue possibilità, per incoscienza o cupidigia.

Le carte più antiche riportavano la didascalia di Casa di Dio, superata poi dal parallelismo con la biblica Torre di Babele.

Per noi è facile il riferimento al Tempio di Salomone il cui Maestro costruttore Hiram viene colpito e ucciso da tre compagni che rappresentano l’ignoranza, il fanatismo, l’ambizione.

  • LE STELLE
  • La speranza — « la speranza che è nel mondo promette il futuro ». Una donna nuda inginocchiata davanti ad uno specchio d’acqua vi sta versando il contenuto di due brocche.

Dall’alto la proteggono c la ispirano otto stelle di cui la più grande e splendente è sulla verticale del suo capo. È la speranza che alimenta anche nei momenti peggiori il lago della vita: vivificando ideali, bellezze, ricerca del vero e del giusto, pensieri rivolti ad una condizione di immortalità. Grazie ad essa ogni volta è come un nuovo inizio, una rinascita proprio come nel cammino in difcile ascesa sulla via iniziatica.

Le stelle minori sono sette, numero sacro della Maestria e tra esse spicca splendente di Luce Venere, il Maestro Venerabile. Sta ad essi operare nella vita della Loggia per sostenere Apprendisti e Compagni nei momenti di incertezza o di rilassamento insegnando e inculcando loro, con l’esempio e la parola, fiducia e perseveranza nel conseguire gli scopi che gli ideali massonici additano.

  • – LA LUNA

— Il ricordo — « il ricordo che domina l’uomo ipoteca il suo avvemre ».

La luna appare al di sopra di due torri tra cui si snoda un tortuoso sentiero. Ai lati due cani levano verso di essa i loro latrati. In un grande stagno in primo piano, in cui non compare il riflesso lunare, è sommerso un gambero, La mutevolezza delle sue fasi ci richiama alla incostanza, alla volubilità. Anche nella sua pienezza la Luce della Verità che proviene, riflessa, dai suoi raggi è flebile, incerta. Non è accessibile a chiunque. La Tradizione la ammanta di miti, leggende, favole, simboli. È un invito ad andare cauti nel cammino verso la Verità alla cui guardia stanno le due torri. Il cammino è irto di diŒcoltà. Chi non si immette in quel cammino è capace di emettere solo latrati o peggio ripiomba nello stagno dell’ignoranza e della meccanicità e rischia il movimento a ritroso del gambero.

Occorre avventurarsi, capire e approfondire significati celati dai miti, dai simboli, dalle leggende, scartare le superstizioni e i ricordi mentali che, come abbiamo già visto, trattengono l’uomo in uno stato di coscienza assai basso che gli impedisce di aprirsi e migliorare la consapevolezza.

  • 11 SOLE

 L’organizzazione sociale — « la fratellanza, nell’uomo che ragiona, porta alla comunità organizzata ».

L’immagine del sole è radiosa, sfolgorante nel cielo al di sopra di due bimbi (o due giovani) che si tengono per mano. Dietro di essi un basso muretto di mattoni.

Il simbolismo di questa carta è legato a quello della precedente. Contrariamente alla luna, il sole illumina completamente il paesaggio e invita i due giovani (apprendisti) a rivolgersi verso di lui, ad affrontare gli ostacoli che si frappongono al loro cammino, ma che ora sono ben chiari e illuminati, più facili da individuare e superare con l’aiuto della Saggezza che proviene dai Maestri. L’iniziato prosegue nel suo risveglio di coscienza e di progresso interiore e attraverso libere esperienze di libera ricerca approfondisce la conoscenza del rapporto armonico che esiste tra il suo microcosmo della Natura e dell’Universo. Si avvicina così passo passo alla Realtà di cui piano piano prende atto per viverla in proprio con consapevolezza e in armonia con i compagni di cordata.

  • – 11 GIUDIZIO
  • La rivelazione — « la rivelazione realizza il destino ».

Una immagine apocalittica del giorno del giudizio evento di espiazione e di redenzione. Un angelo con corona avvolto da nubi dà fiato alle fatidiche trombe annunciatrici. In basso da una tomba aperta emerge un giovane nudo. Ai lati un uomo e una donna in atteggiamento di preghiera a mani giunte. I tre personaggi rappresentano una delle tante Triadi delle religioni del mondo (vedasi RENÉ GUENON, La grande Triade, Edizioni Gallimard).

In particolare dalla eterna Tradizione costruttiva: il Padre detentore della Sapienza contenuta nell’Arte Reale che affonda le radici nel passato; la Madre custode di tutti i sentimenti d’amore; il giovanetto, che eredita da entrambi i loro insegnamenti, incarna il leggendario Maestro Hiram, costruttore del Tempio, risorto per riprendere la direzione dei lavori che non saranno più interrotti. I figli della Vedova o della Putrefazione alchemica risorti dalla morte iniziatica (più volte rinnovata nel corso del cammino) realizzano: — la Conoscenza piena della Realtà, come espressione di Verità; — la Libertà, come piena partecipazione non solo all’Esistenza, ma all’Essere;

— l’Uguaglianza, come partecipazione paritetica e non più egocentrica all’Universalità della Natura e delle sue leggi; — la Fratellanza, come rapporto universale di Amore.

  • – 11 MONDO

— La realizzazione — « la realizzazione dell’organizzazione dell’esistenza è evidente ».

Al centro campeggia la figura di una giovane donna coperta solamente da un drappeggio svolazzante. È circoscritta in una corona ovale di foglie in cui spiccano quelle di alloro. Ai quattro spigoli sono posti un angelo alato, un bue, un leone e un’aquila.

II simbolismo esoterico di questa carta riprende le conclusioni di quella precedente, ma in chiave prettamente alchemica come ermetica conclusione della Grande Opera degli alchimisti.

Le quattro figure che contornano la corona rappresentano i quattro elementi fondamentali Terra, Aria, Acqua e Fuoco che secondo l’iconografia medioevale costituiscono l’Universo. Si ha anche qui il grande connubio terminale: tra « l’Uomo rigenerato nell’aurea risultanza e l’Universo ».

Rammentiamo che tali elementi sono presentati all’inzio della sua accettazione al recipiendario massone nei suoi viaggi di iniziazione e rappresentano così l’alfa e l’omega del suo cammino iniziatico.

XXII 11 MATTO

— Il congedo — «il finire delle cose rappresenta il completamento del ciclo ».

È la carta Jolly che ha la prerogativa di poter essere collocata in qualsiasi punto si voglia della sequenza tradizionale. Mostra l’immagine di un giovane vestito da giullare che, con un fagotto in spalla, cammina senza curarsi di un cane che gli sta azzannando la gamba sinistra. Tl fatto che la carta non abbia numero, ma sia lo Zero porta a riferire l’allergia del suo simbolismo alla dimensione dell’inconoscibile che sfugge al tentativo della comprensione umana: l’abisso senza fine da cui è nato l’universo ed in cui esso perirà. Spettro irreale della « non esistenza » opposta al Tutto, notte cosmogonica, il caos.

Collegandosi alla filosofia dello Yang (luce) e dello Yin (tenebre) si può infatti veder corrispondere nella figura dello Zero il « vuoto » ed il « cerchio » che rappresenta il « tutto » con al suo centro « l’Uno ». Lo zero allora diviene porta, foro di entrata nell’Universo in senso metafisico: la cruna dell’ago attraverso cui pochi riusciranno a passare. L’atteggiamento dell’immagine del matto lo mostra eternamente in cammino, sostenuto dalle sue sole energie che porta con sé racchiuse nel fagotto, per superare gli ostacoli. L’iniziato massone deve farsi nessuna illusione sulla relatività del suo sapere. Qualsiasi stadio del cammino non sarebbe che un compimento relativo, perché il lavoro deve continuare indefinitamente. È una attività necessaria ed indispensabile che non saprebbe precedere né seguire una inconcepibile passività. L’esperienza massonica deve progredire fino all’ottenimento della conoscenza del mistero della nostra esistenza e dell’Essere. Una affermazione che è verificabile nel passato, nel presente e che per il futuro costituisce la sola certezza che può avere l’uomo che si riconosca (almeno come ferma aspirazione…) proteso a tendere i suoi passi sull’abisso misterioso dell’Infinito.

Il Matto si associa al buffone, al giullare di corte, ad uno zingaro, ad un semplice che si fida solo dei proprii istinti, ma la sua semplicità non sempre si dimostra imbevuta di follia, ma risulta spesso essere piena di saggezza, tale che gli consente di districarsi tra i vari aspetti buffi, seri ed a volte tragici della vita.

Il folle viandante è forse l’uomo alla ricerca della verità e della giustizia come i mitici cavalieri del Graal? In effetti siamo tutti viandanti in questo mondo confuso tra saggezze eterne, errori, follie ingannatrici che accompagnano, e spesso dividono, gli uomini fino alla morte.

ln definitiva a noi piace affancarlo alla Ruota della fortuna, per aiutarla ad essere apportatrice e annunciatrice, forse insolita, ma dinamica, della ricerca e della inventiva costruttrice.

Nel lavoro di gruppo della Loggia, cui deve partecipare con spontaneità e costanza, il massone ricerca, infatti, una nuova dimensione individuale e attraverso il « transfert » reciproco con i fratelli aspira a conseguire quella condizione di Uomo Cosmico che la dottrina Shan definisce come Shan-a-man (da cui deriva lo Sciamano?) e nella Kabbala è l’Adam Kadmon.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

IL BIANCO E IL NERO

IL BIANCO E IL NERO di E. Tauber

Nel tempio massonico vi sono solo due colori di valore simbolico: il bianco ed il nero del pavimento a mosaico.

Essi rappresentano l’indissociabile complementarietà operativa dei due• principi cosmici, l’yin ed il yang, il positivo ed il negativo. Bianche e nere sono le pietre grezze ed il lavoro su di esse, che non avrà mai fine, le squadra e leviga sino a formare dei cubi (piuttosto che delle piastrelle), che possano essere giustapposti senza soluzione di continuità e sempre con un nettissimo limite. Gli spigoli sono rettilinei e perpendicolari fra di loro: non vi sono sporgenze e rientranze, non vi sono nemmeno incastri — mai il bianco ed il nero si compenetrano e si mescolano.

L’iniziato deve sapersi affrancare da questo contrasto tra le forze positive e quelle negative e deve imparare a sapersene servire per operare in modo costruttivo. Deve anche rendersi conto che proprio questo contrasto è indispensabile alla dialettica massonica — anzi presupposto all’esistenza stessa della massoneria: noi edifichiamo templi alla virtù e scaviamo oscure, profonde prigioni al vizio, combattiamo contro le tenebre e cerchiamo la luce, siamo per la verità e contro le menzogne e i pregiudizi, per la libertà e contro l’oppressione e la schiavitù. In questa prospettiva l’etica massonica è manichea: non esistono vie di mezzo, non esistono contaminazioni tra i due principî: nella realtà iniziatica non vi è spazio per il compromesso, Nel nostro esoterismo il grigio non ha diritto di cittadinanza — ed infatti esso non trova rispondenza nella pur ricca nostra simbologia.

Ma è nell’esperienza di tutti che il grigio esiste: esso origina precisamente in quel punto in cui la speculazione astratta si confronta con la realtà umana e si incentra su di essa.

Nel cosmo i contrari raggiungono un equilibrio che è ordine ed armonia a tutti i livelli: da quello macro a quello micro, dalle galassie all’atomo, dal cristallo alla cellula vivente. Non ha qui importanza se, come oggi si ritiene da molti, questo equilibrio venga conseguito attraverso una sommatoria di eventi casuali: a noi interessa, in questo discorso, l’evidente risultato che è amzonia.

Iddio non giuoca a dadi con l’universo, disse una volta Albert Einstein. Questo equilibrio comunque sappiamo che è tutt’altro che statico: se esso fosse rigido, se ogni moto fosse terminato, se il divenire venisse a cessare, sarebbe il non-essere, la composizione e l’annullamento totale di tutte le spinte possibili e, in sintesi, del progresso, anzi dèlla vita stessa.

No, questo equilibrio è dinamico, soggetto a continue variazioni, volto al perenne perseguimento di sempre nuovi e diversi assetti.

Ed è proprio questo divenire che, in campo umano, può essere espresso con il colore grigio in tutte le sue infinite tonalità — infinite come senza numero sono le persone e le loro manifestazioni.

Questo grigio tuttavia rimane strettamente limitato al piano umano. Anche operando con la massima tolleranza, il massone non può cedere sui principî: egli non ha dogmi da difendere o, peggio, da imporre — ma ha dei punti fermi che accetta, che fa suoi, che sono per lui irrinunciabili e non passibili di compromesso alcuno.

Se noi facciamo ruotare su una sua diagonale un disco che abbia una faccia bianca ed una nera, ne vedremo, per effetto ottico, uno grigio — e questo grigio lo percepiremo senza che, in realtà, il bianco ed il nero si confondano e perdano le loro caratteristiche peculiarità. Questo colore nuovo è un fatto dinamico e, si potrebbe dire, trasponendolo in campo umano, dialettico, perché nasce dalla continua e rapidissima contrapposizione (o apposizione) dei due colori base.

Alla stessa stregua possiamo considerare come fatto dinamico e dialettico il modo di essere massonico che non rifiuta mai di confrontarsi con il mondo esterno ma, anzi, da esso trae stimolo e ragion d’essere — così come lo trova nelle nostre problematiche personali, intime, che sono anzi la prima materia, la prima pietra grezza su cui il massone è chiamato a lavorare.

Il risultato — sempre provvisorio, sempre perfettibile — di questo lavoro fra bianco e nero non è il grigio, la penombra, il compromesso — come abbiamo già detto. E al contrario la netta separazione tra la luce e le tenebre, tra il bene ed il male, tra il vizio e la virtù — ed il riconoscimento dei loro reciproci limiti, di ciò che li individua e li rende opposti.

Ma come nel moto degli astri la forza centrifuga e quella di gravità

si compongono in un equilibrio durevole ma costantemente variabile (le orbite sono ellittiche e non circolari), così noi prendiamo atto ed accettiamo la coesistenza perfettamente autonoma dei contrari. La massoneria ci fornisce gli strumenti ed il metodo per lavorare su di essi: il compasso per misurare le incongruenze nostre e quelle del mondo — e la squadra per comporle su un piano etico superiore, Piano che sarà individuato secondo i principî di fratellanza e tolleranza, con Fiducia nella ragione umana, con Speranza nella possibilità di miglioramento nostro personale e del genere umano, con Carità che per noi è responsabilità verso noi stessi e verso il nostro prossimo.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento

LA RUOTA E LA ROSA … NELLE ANTICHE ELIGIONI

La ruota e la rosa nelle antiche religioni di L. M.

La ruota è forse, insieme con la croce, il simbolo più ricorrente nelle religioni antiche sia occidentali che orientali.

Diffusissima nelle rappresentazioni celtiche rappresenta la divinità creatrice (il perno immobile) intorno alla quale tutto gira. È il dio druidico Dagda al quale Mag è servitore o meglio «servitore della ruota».

Nella piastra di Gundestrug un uomo gira la ruota cosmica mentre il dio, le braccia levate in alto, è impassibile fermo nel tempo e nello spazio, perno di un moto che è insieme avanzamento e ritorno proiettato all’infinito, simbolo quindi dell’eternità.

La ruota di Mag è fatta di legno di tasso, albero della morte (i suoi archi si piegano nel dare la morte ma indefinitivamente ritornano nella loro posizione di partenza). Questa ruota è una ruota cosmica.

Quando apparirà sulla terra ne seguirà la fine: chi la toccherà morrà, chi la vedrà perderà la luce, chi ne udrà il rumore perderà l’udito. Arianrhod, dea gallese, è la ruota d’argento.

Essa ha due figli, uno si chiama Dylan eil Ton e nuota rapidissimo nell’acqua, l’altro è Llew ed è un guerriero invincibile.

Riti e danze di queste popolazioni sono tutte improntate al moto rotatorio e si perpetuano ancor oggi nel folklore inglese, bretone, normanno e nel nord in genere. Ruote alate, ruote infiammate di Daniele, ruote dei cherubini di Ezechiele nella religione ebraica.

Le ruote infiammate girano perpetuamente intorno al Bene immutabile; sono ruote rivelatrici ed elevano l’intelligenza dell’uomo abbassandosi nel loro movimento fino ai più umili. Esse sono portatrici dell’ illumlnazione divina.

Le ruote alate girano eternamente su un perno senza declinazione: rappresentano la verità, unica ed assoluta, verità che può lambire il mondo ma non pervaderlo completamente in quanto imperfetto. La perfezione è unicamente cosa divina e quindi totalmente ultramondana.

La cintura di Ishtar (casa della luna per gli antichi babilonesi) è per gli arabi la ruota dello Zodiaco. Zodiaco significa ruota della vita, Primitivamente con significazione lunare si trasforma nel tempo in significazione solare.

I limiti dell’orizzonte sono circolari, il firmamento è emisferico, gli astri si muovono con moto circolare, la perfezione filosofico-matematica è nel cerchio, sublimazione divina del quadrato, limite dello spazio umano.

Nell’iconografia indiana la ruota ha spesso dodici raggi: sono il ciclo lunare ed il ciclo solare espressi nei mesi.

La ruota cinese ha trenta raggi; sono i giorni approssimati del ciclo lunare.

La ruota dell’esistenza buddista ha sei raggi, cioè quante sono le classi di esseri o Ioka: è la ruota della Legge volta in un movimento in unico senso. La ruota del Dharma, con i suoi otto raggi simbolizza gli otto sentieri della vita.

Il perno della ruota è sempre la Divinità, il Sovrano, l’Uomo univerSale. Il Chakra è attributo peculiare di Vishnu e non è altro che un disco solare.

Nel mondo occidentale, medioevale la ruota è attraverso il rosone delle cattedrali il simbolo del centro cosmico e del centro mistico ricongiunti in una sola figura.

I raggi vanno dal centro alla periferia e da questa ritornano al centro: unità nella totalità.

RUOTA – ROSONE – ROSA

La fiamma che, sotto il crogiolo dell’Alchimista, fonde la croce di vile metallo e la trasforma in metallo perfetto ed incorruttibile è la rosa. E essa mistica rigenerazione nel mondo greco.

Apuleio nel suo «Asino d’oro» fa mangiare, con l’aiuto di un sacerdote di Iside, a Lucio un serto di rose vermiglie: solo così egli potrà riacquistare le sue sembianze umane.

Nell’antica Grecia i roseti erano dedicati ad Afrodite ed in certi casi anche ad Atena, dea dell’ulivo. Sulle tombe venivano poste le rose: i «rosalia» dei latini che, nel mese di maggio simbolizzavano in que53

sto modo la rigenerazione della natura. Da ciò derivava un simbolo di resurrezione e quindi di immortalità.

Centro mistico, perfezione assoluta, anima, cuore ed amore della coppa della vita: ecco gli aspetti simbolici della rosa indiana.

Nell’iconografia cristiana la rosa è la coppa che raccoglie il Sangue di Cristo (il Santo Graal) ma anche con i suoi petali vermigli, la trasfigurazione di questo sangue.

L’erta per giungere al Santo Graal è piena di spine e di triboli. Persino il peccato si dovrà commettere per potervisi avvicinare. Peccato e redenzione, terra e cielo.

«Rosa candida», «rosa mistica», «rosa aurea», ecco tre simboli cristiano-medioevali con significati che spaziano dalla purezza assoluta alla potenza spirituale.

La Riforma protestante si fregia di una rosa apposta sulla croce. Analogo emblema è dei Rosa-Croce. In questi due casi la rosa non è che il Cuore del Cristo.

Rosa è purezza, amore, sofferto amore, sublimato attraverso la sofferenza che ne arrecano le spine. Giardino dell’anima, giardino del cuore, tramite di elevazione: Rosa dei Cavalieri, Giardino dell’Amore, Romanzo della Rosa…

Perfezione umana mai perfetta, perfezione divina sempre perfetta. L’eterno slancio dell’Uomo, che cosciente della sua razione rna anche impotente nei suoi limiti cerca nel Trascendente di raggiungere quella perfezione che intuisce ma che non sarà mai sua. La rosa e la ruota: identificazione ma non totale.

Pubblicato in Lavori di Loggia | Lascia un commento