SIMBOLISMO NEI PITAGORICI

Trattando la questione delle porte solstiziali ci siamo riferiti direttamente soprattutto alla tradizione indù, perché in essa i dati che vi si riferiscono sono presentati nel modo più chiaro; ma in realtà si tratta di qualcosa che è comune a tutte le tradizioni, e si può trovare anche nell’antichità occidentale. Nel Pitagorismo, in particolare, il simbolismo zodiacale sembra aver avuto un’importanza altrettanto considerevole; le espressioni ‘porta degli uomini’ e ‘porta degli dèi’, da noi usate, appartengono del resto alla tradizione greca; solo che le informazioni giunte sino a noi sono in questo caso talmente frammentarie e incomplete che la loro interpretazione può dar luogo a parecchie confusioni, che non sono mancate da parte di coloro che hanno considerato tali informazioni isolatamente e senza renderle più chiare per mezzo di un raffronto con altre tradizioni.

Anzitutto, per evitare certi equivoci, sulla posizione reciproca delle due porte, occorre ricordarsi di quanto abbiamo detto sull’applicazione del ‘senso inverso’, a seconda che le si consideri in rapporto all’ordine terrestre o all’ordine celeste: la porta solstiziale d’inverno, o il segno del Capricorno, corrisponde al nord nel ciclo annuale, ma al sud in relazione al cammino del sole nel cielo; così, la porta solstiziale d’estate, o il segno del Cancro, corrisponde al sud nel ciclo annuale, e al nord in relazione al cammino del sole. Per questo, mentre il movimento ‘ascendente’ del sole va da sud a nord e il suo movimento ‘discendente’ da nord a sud, il periodo ‘ascendente’ dell’anno dev’essere invece considerato compiersi nella direzione nord-sud, e il suo periodo’ discendente’ in quella sud-nord, come abbiamo già detto in precedenza. Proprio in rapporto a quest’ultimo punto di vista, secondo il simbolismo vedico, la porta del dêva-loka è situata verso nord e quella del pitri-loka verso sud, senza che vi sia in ciò, malgrado le apparenze, alcuna contraddizione con quello che troveremo più avanti.

Citeremo, corredandolo delle spiegazioni e rettificazioni necessarie, il riassunto dei dati pitagorici esposto da Jérôme Carcopino1: «I pitagorici» egli dice «avevano costruito tutta una teoria sui rapporti dello Zodiaco con la migrazione delle anime. A quale data risalirebbe? È impossibile saperlo. Fatto sta che nel secolo II della nostra era, essa fioriva negli scritti del pitagorico Numenio, che ci è permesso di conoscere attraverso un riassunto secco e tardivo di Proclo, nel suo commento alla Repubblica di Platone, e un’analisi, al tempo stesso più ampia e più antica, di Porfirio, nei capitoli XXI e XXII del De Antro Nympharum». Ecco, diciamolo subito, un esempio piuttosto significativo di ‘storicismo’: la verità è che non si tratta per nulla di una teoria ‘costruita’ più o meno artificialmente, a questa o quella data, dai pitagorici o da altri, a modo di una semplice opinione filosofica o di una concezione individuale qualunque; si tratta di una conoscenza tradizionale, che concerne una realtà di ordine iniziatico, e, proprio in virtù del suo carattere tradizionale, non ha e non può avere alcuna origine cronologicamente assegnabile. Sono, beninteso, considerazioni che possono sfuggire a un ‘erudito’; ma egli dovrebbe almeno capire questo: se la teoria in questione fosse stata ‘costruita dai pitagorici’, come spiegare il fatto che essa si trova dappertutto, al di fuori di ogni influenza greca, e in particolare nei testi vedici, che sono sicuramente di molto anteriori al pitagorismo? Anche questo, Carcopino, in quanto ‘specialista’ dell’antichità greco-latina, può sfortunatamente ignorarlo; ma, da quel che riferisce egli stesso in seguito, risulta che tale dato si trova già in Omero; dunque, anche presso i Greci essa era conosciuta, non diremo solo prima di Numenio, cosa fin troppo evidente, ma prima dello stesso Pitagora; si tratta di un insegnamento tradizionale che si è trasmesso in modo continuo attraverso i secoli, e poco importa la data forse ‘tardiva’ alla quale certi autori, che non hanno inventato nulla e non ne hanno mai avuto la pretesa, l’hanno formulato per iscritto in modo più o meno preciso.

Detto questo, torniamo a Proclo e a Porfirio: «I nostri due autori concordano nell’attribuire a Numenio la determinazione dei punti estremi del cielo, il tropico d’inverno, sotto il segno del Capricorno, e il tropico d’estate, sotto quello del Cancro, e nel definire, evidentemente sulle sue tracce, e sulle tracce dei ‘teologi’ che egli cita e che gli sono serviti da guide, il Cancro e il Capricorno come le due porte del cielo. Sia per discendere nella generazione, sia per risalire a Dio, le anime dovevano quindi necessariamente varcare una di esse». Per «punti estremi del cielo», espressione un po’ troppo ellittica per essere perfettamente chiara da sola, bisogna naturalmente intendere qui i punti estremi raggiunti dal sole nella sua corsa annuale, dov’esso in certo modo si arresta, da cui il nome di ‘solstizi’; a tali punti solstiziali corrispondono le due ‘porte del cielo’, il che è appunto esattamente la dottrina tradizionale che già conosciamo. Come abbiamo indicato altrove, 2 questi due punti erano talora simboleggiati – per esempio sotto il tripode di Delfi e sotto gli zoccoli dei corsieri del carro solare – dal polipo e dal delfino, che rappresentano rispettivamente il Cancro e il Capricorno. Inutile dire, d’altra parte, che gli autori in questione non hanno potuto attribuire a Numenio la determinazione stessa dei punti solstiziali, che erano noti da sempre; si sono semplicemente riferiti a lui come a uno di coloro che ne avevano parlato prima di loro, e come egli stesso si era già riferito ad altri ‘ teologi’.

Si tratta poi di precisare il ruolo proprio di ciascuna delle due porte, ed è qui che nasce la confusione:, «Secondo Proclo, Numenio le avrebbe rigidamente specializzate: per la porta del Cancro, la caduta delle anime sulla terra; per quella del Capricorno, l’ascensione delle anime nell’etere. In Porfirio, invece, è detto soltanto che il Cancro è a nord e favorevole alla discesa, il Capricorno a sud e favorevole alla salita: di modo che invece di essere strettamente assoggettate al ‘senso unico’, le anime avrebbero conservato, sia all’andata che al ritorno, una certa libertà di circolazione». La fine di questa citazione esprime, a dire il vero, un’interpretazione di cui conviene lasciare tutta la responsabilità a Carcopino; non vediamo assolutamente in cosa quel che dice Porfirio sarebbe ‘contrario’ a quel che dice Proclo; forse è formulato in modo un po’ più vago, ma sembra di fatto voler dire in fondo la stessa cosa: ciò che è «favorevole» alla discesa o alla salita deve probabilmente intendersi come ciò che la rende possibile, poiché non é molto verosimile che Porfirio abbia voluto lasciar sussistere in tal modo una specie di indeterminazione, il che, essendo incompatibile con il carattere rigoroso della scienza tradizionale, non sarebbe in ogni caso in lui che una pura e semplice prova d’ignoranza su questo punto. Comunque, è visibile che Numenio non ha fatto altro che ripetere, sulla funzione delle due porte, l’insegnamento tradizionale conosciuto; d’altra parte, se egli pone, come indica Porfirio, il Cancro a nord e il Capricorno a sud, evidentemente egli considera la loro posizione nel cielo; lo indica d’altronde abbastanza chiaramente il fatto che, in quel che precede, sono in questione i ‘ tropici ‘, che non possono avere altro significato oltre quello, e non i ‘ solstizi’, che si riferirebbero invece più direttamente al ciclo annuale; e per questo la posizione qui enunciata è inversa a quella data dal simbolismo vedico, senza tuttavia che ciò costituisca alcuna differenza reale, giacché si tratta di due punti di vista ugualmente legittimi, che si accordano perfettamente fra di loro se si è capito il loro rapporto.

Ma vedremo qualcosa di ancor più straordinario: Carcopino continua dicendo che «è difficile, in mancanza dell’originale, trarre da queste allusioni divergenti», ma che in realtà, dobbiamo aggiungere noi, sono divergenti solamente nel suo pensiero, «la vera dottrina di Numenio», che, abbiamo visto, non è la sua propria dottrina, ma soltanto l’insegnamento da lui riferito, cosa d’altronde più importante e più degna d’interesse; «ma risulta dal contesto di Porfirio che, anche esposta sotto la sua forma più elastica» – come se potesse esserci «elasticità» in un problema che è unicamente una questione di conoscenza esatta – «essa resterebbe in contraddizione con quelle di certi suoi predecessori, e, in particolare, con il sistema che alcuni più antichi pitagorici avevano fondato sulla loro interpretazione dei versi dell’Odissea in cui Omero ha descritto la ‘ grotta d’Itaca’», cioè quell’‘antro delle Ninfe’ che non è altro se non una delle raffigurazioni della ‘caverna cosmica’ di cui abbiamo parlato in precedenza. «Omero, annota Porfirio, non si è limitato a dire che la grotta aveva due porte. Egli ha specificato che una era volta al lato nord, e l’altra, più divina, al lato sud, e che si discendeva dalla porta a nord. Ma non ha indicato se si poteva scendere per la porta a sud. Dice solo: è l’entrata degli dèi. Mai l’uomo prende il cammino degli immortali». Pensiamo che questo dev’essere il testo stesso di Porfirio, e non vi vediamo la contraddizione annunciata; ma ecco ora il commento di Carcopino: «Secondo questa esegesi, si scorgono, in quel compendio, dell’universo che è l’antro delle Ninfe, le due porte che s’innalzano ai cieli e sotto le quali passano le anime, e, al contrario del linguaggio che Proclo mette in bocca a Numenio, quella a nord, il Capricorno, fu dapprima riservata all’uscita delle anime, e quella a sud, il Cancro, fu di conseguenza assegnata al loro ritorno a Dio».

Ora che abbiamo completato la citazione, possiamo facilmente renderci conto che la pretesa contraddizione, anche qui, esiste solo secondo Carcopino; c’è infatti nell’ultima frase un errore evidente, e persino un duplice errore, che sembra veramente inspiegabile. Anzitutto, è Carcopino che aggiunge di propria iniziativa la menzione del Capricorno e del Cancro; Omero, a quanto dice Porfirio, designa le due porte solo per mezzo della loro posizione a nord o a sud, senza indicare i segni zodiacali corrispondenti; ma, siccome precisa che la porta «divina» è quella a sud, bisogna concludere che è questa che corrisponde per lui al Capricorno, esattamente come per Numenio, vale a dire che anch’egli situa le due porte secondo la loro posizione nel cielo, e tale sembra quindi esser stato, in genere, il punto di vista dominante in tutta la tradizione greca, anche prima del pitagorismo. Inoltre, l’uscita delle anime dal ‘cosmo’ e il loro ‘ritorno a Dio’ sono propriamente una sola e identica cosa, di modo che Carcopino attribuisce, apparentemente senza accorgersene, lo stesso ruolo a entrambe le porte; Omero dice, tutto al contrario, che per la porta a nord si effettua la ‘discesa’, cioè l’entrata nella ‘caverna cosmica’ o, in altri termini, nel mondo della generazione e della manifestazione individuale. In quanto alla porta a sud, essa è l’uscita dal ‘cosmo’, e, di conseguenza, per essa si effettua la ‘salita’ degli esseri in via di liberazione; Omero non dice espressamente se si può anche scendere per tale. porta, ma ciò non è necessario, poiché, designandola come «entrata degli dèi», egli indica a sufficienza quali siano le ‘discese’ eccezionali che vi si effettuano, conformemente a quanto abbiamo spiegato nel nostro studio precedente. Insomma, che la posizione delle due porte sia considerata in rapporto al cammino del sole nel cielo, come nella tradizione greca, o in rapporto alle stagioni nel ciclo annuale terrestre, come nella tradizione indù, è sempre il Cancro a essere la ‘ porta degli uomini’ e il Capricorno la ‘porta degli dèi’; non può esserci in questo alcuna variazione e di fatto non ve n’è alcuna; è solo l’incomprensione degli ‘eruditi’ moderni che crede di scoprire, nei vari interpreti delle dottrine tradizionali, divergenze e contraddizioni che non vi si trovano.

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L’ANTIMASSONERIA “POLITICA” DELLA CHIESA CATTOLICA; ALLOCUZONE DI PIO IX

:
ALLOCUZIONE Dl PIO IX
(1865) di
Giorgio Richiardi
Il 25 settembre 1 865, in concistoro segreto, Pio IX condannava esplicitamente la Libera Muratoria con una allocuzione, le cui prime parole recitano:
“Nel numero delle molteplici macchinazioni ed arti, colle quali i nemici del nome cristiano osarono assalire la Chiesa di Dio, e si sforzarono, benché inutilmente, di rovinarla e di distruggerla, si deve ascrivere senza dubbio, o Venerabili Fratelli, questa perversa società di uomini, che chiamasi comunemente Massonica, la quale prima si unì nei nascondigli e nelle tenebre, e poi uscì fuori con impeto, a comune danno della religione e della società umana.
Fulmine a ciel.sereno! Benché già molti papi avessero condannato esplicitamente la Libera Muratoria, nessuno si attendeva un ulteriore attacco. E così forte. Persino il Times scriveva, sorpreso:
“Non possiamo che chiederci: cosa significa tutto ciò? E il Papa ispiratob delirante, o sta semplicemente facendo pratica del suo Latino, in modo da tenersi in esercizio per l’Imperatore Napoleone, quando questi comincerà il ritiro delle sue truppe da Roma?
Ma con il senno di poi, cioè di chi può osservare i fatti a debita distanza, anche se risulta difficile spiegare la causa immediata dell’intervento pontificio, quella allocuzione assume un significato speciale. Perché chiude energicamente il primo capitolo della storia dell’antimassoneria cattolica, quello dei papi-Re che condannano I ‘Istituzione su basi politiche. Quando i papi non saranno più Re, le loro condanne assumeranno dimensioni principalmente religiose. Ed è di questo significato speciale che vogliamo parlare.
Il contenuto dell’allocuzione.
Ma cosa dice, in sintesi, l’allocuzione? Leggiamone i passi principali. Dopo l’apertura, che abbiamo già citato, prosegue:
…Le cui (della Massoneria) insidie e frodi come prima scopersero i romani Pontefici Nostri predecessori… stimarono di non dovere punto indugiare di arrestare colla loro autorità, e di colpire colla sentenza di condanna, come con una lancia, e disperdere quella setta, la quale ispirava scelleraggine, e molti e nefarii mali fabbricava contra le cose sacre e pubbliche. Ed in vero Clemente XII Nostro predecessore, con le sue Lettere apostoliche proscrisse e riprovò la setta medesima… sotto pena di scomunica da incorrersi nel fatto stesso e da assolversi soltanto dal romano Pontefice… Questa giusta e dovuta sentenza di condanna Benedetto XIV confermò dipoi in una sua Costituzione, e non lasciò di eccitare i sommi Principi Cattolici, acciochè contribuissero con tutte le forze e le sue cure per estirpare questa perdutissima setta, e per allontanarla a comune salvezza. E fosse piaciuto a Dio che i detti supremi Principi avessero porto orecchio alle voci del Nostro predecessore!…
Non si sarebbero certamente deplorati dà nostri padri, e non si deplorerebbero da noi tanti moti di sedizione, tanti incendii di guerre, onde arse tutta l’Europa, efinalmente tanta acerbità di sciagure, onde fu ed è tuttora afflitta la Chiesa. Inoltre, non rimettendo i malvagi il lorofurore, Pio VII, Nostro predecessore, fulminò coll ‘anatema la setta de’ Carbonari, nata di fresco e diffusa ogni dove specialmente in Italia; e Leone XII, acceso di pari amore della salute delle anime, con apostoliche sue Lettere condannò e…
Agorà gennaio – marzo 1997 9 proibì tanto quelle prime società clandestine, che abbiamo menzionate, quanto le altre, qualunque esse siano e comunque si domandino, le quali cospirassero contro della Chiesa e del civile potere. Nondimeno questi studii, messi dalla apostolica Sede, non ebbero quel risultato che era da aspettarsi. Conciossiachè non è mai stata domata e raffrenata questa setta massonica, della quale parliamo, ma per lo contrario si è così diffusa in lungo e in largo, che in questo tempo calamitosissimo, in tutte le contrade impunemente si esercita… La qual cosa noi stimiamo che si deve in gran parte ascrivere a ciò, che molti, perché forse ignorano i consigli iniqui, i quali si agitano in cotali ceti clandestini, si siano dati a credere falsamente, che questa maniera e istituzione di società sia innocua… Ma chi può facilmente intendere, quanto questa opinione si dilunghi dal vero? Imperciocchè che cosa significa quell ‘aggregamento di uomini, di qualsivoglia religione e di qualsivoglia fede? Che cosa significano quelle conventicole clandestine, che cosa il severissimo giuramento fatto da coloro, che sono iniziati in questa setta, di non manifestar mai nulla di ciò, che può appartenere ad essa? Finalmente a che mira l’inaudita atrocità delle pene, alle quali si obbligano di soggiacere, se per ventura manchino alla fede del giuramento?
Dev ‘esser certamente ampia e nefaria quella società, la quale ha così eccessivamente in orrore il giorno e la luce: imperciocchè, come scrisse I ‘Apostolo, chi opera male, ha in odio la luce. Or quanto grandemente dissimili da questa deve dirsi, che sono le pie società de’ Jèdeli, che fioriscono nella cattolica Chiesa! In esse niuna cosa si toglie al cospetto e si nasconde, sono manifeste a tutti le leggi, con che si reggono, sono manifeste le opere di carità… Eppure questi sodalizi cattolici così salutari… non senza dolore vediamo in alcuni luoghi osteggiati, ed anche in altri aboliti; mentre per l’opposto viene favorita o almeno tollerata la tenebrosa setta Massonica, tanto nemica della Chiesa di Dio, tanto pericolosa anche della sicurezza de’ regni. Ed è poi per Noi, Venerabili Fratelli, una cosa grave e dolorosa a sopportare, il vedere che nel riprovare cotesta setta, giusta le Costituzioni de Nostri predecessori, alcuni siano trascurati e quasi sonnacchiosi; mentm in un ‘opera di tanto momento la ragione del ministero e dell’officio loro commesso richiede, che essi siano vigilantissimi. E se vi ha di quelli, i quali portano opinione, che le Costituzioni apostoliche, pubblicate colla pene di anatema, contra le sette occulte e contra i seguaci e fautori di esse, non hanno alcun vigore in quelle regioni, ove dal civil potere le mentovate sette si tollerano; costoro al certo s ‘ingannano a partito…
Per le quali cose, acciocché gli uomini semplici e principalmente i giovani non siano tratti in inganno, ed acciocché dal Nostro silenzio non si prenda alcuna occasione di difendere l’errore, stabilimmo di alzare la voce apostolica, o Venerabili Fratelli; e qui nel consesso Vostro confermando le mentovate Costituzioni de’ Nostri predecessori, coll’autorità Nostra apostolica, riproviamo e condanniamo quella setta Massonica e le altre società dello stesso genere, che colla diversità delle sole apparenze si costituiscono di giorno in giorno, le quali macchinino contra la Chiesa e le legittime potestà, sia in pubblico, sia in privato…
A questo punto possiamo lasciare il testo, che contiene solo più l’esortazione retorica e la preghiera finale. Come avete sentito, l’allocuzione dice assai poco; anche fisicamente, è un documento breve. Ma cita esplicitamente le precedenti costituzioni antimassoniche di quattro papi, delle quali si pone come ultimo capitolo: questo potrebbe permetterci di studiare la sequenza dei documenti precedenti e di rintracciarne la sostanza politica, se la nostra ipotesi è vera. Ma andiamo per ordine. Chi era, Pio IX del 1865? •

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ALCHIMIA seconda parte

ALCHIMIA SECONDA PARTE
Un via per levigare la Pietra
di
Francesco Rampini
Anche in Alchimia c’erano i Materialisti, che passavano il loro tempo sui fornelli, cercando di fabbricale l’ oro – praticando così la spagirica – e gli Spiritualisti, che, invece, cercavano di trasmutare il Saturno in Sole, il Piombo in Oro. La differenza tra questi nostri trasmutatori degli elementi è molto più sottile di quanto può sembrare a prima vista.
Anzitutto, entrambi cercavano di realizzare, a modo loro, la modificazione dei metalli.
Il punto di partenza, era, inoltre, per entrambi, la conoscenza ed il possesso della Materia Prima (che nessun testo né tradizione orale esplicitamente menziona o definisce). Senza questo primo elemento non si poteva nemmeno pensare di incominciare. Mancava il punto di partenza.
Gli Spagirici si calavano sui propri fornelli ed incominciavano, secondo procedure estremamente segrete (e di cui abbiamo rinvenuto solo poche tracce), a bruciare, calcinare, raffreddare, aggiungere sostanze, a sottrarre altre sostanze, distillare… fino a che non succedeva “qualcosa”. L’Oro? alcuni dicono che sia stato effettivamente fabbricato; al British Museum c’è un pezzo d’oro fatto da John Dee, circa nella seconda metà del 1600, che si sussurra sia di provenienza “sospetta”. Ma a noi non interessa sapere se e chi si è arricchito con l’ Alchimia. Ritengo che nel mondo odierno per fare un po’ di danaro ci siano molte più possibilità, e, in definitiva anche infinitamente meno faticose ( …e sicuramente più certe!) rispetto al metodo alchemico.
Guardiamo, invece, cosa facevano i “teorici” dell’alchimia (veri e propri filosofi), che ricercavano non I ‘oro fisico ma I ‘Oro spirituale. Il linguaggio che quest’ultimi utilizzavano era esattamente identico a quello in uso presso i colleghi “sperimentatori”.
Anche loro dicevano che occorreva anzitutto realizzare una serie di operazioni – o rettificazioni – tendenti a purificare i “metalli”. E qui metalli lo scrivo in corsivo perché si tratta di metalli diversi da ciò che comunemente si intende. Moltissimi autori infatti si riferiscono a tutta una serie di metalli premettendo, davanti al nome comunemente intese, la dizione “nostro”; avremo quindi “la nostra Acqua” oppure il “nostro Mercurio”, proprio per indicare rispettivamente la differenza tra l’ acqua ed il mercurio ordinario -come è possibile trovare in natura- e ciò che invece va inteso e quindi utilizzato dall’ alchimista per la propria operazione.
Ogni metallo, ogni sostanza, ogni gesto allude pertanto ad un qualcosa di interiore, si riferisce ad una corrispondenza nei “piani sottili” da identificare, trovare e quindi utilizzare, secondo i precetti dettati dall ‘ Arte. Qui si parla della trasmutazione delle passioni, della corretta comprensione delle informazioni genetiche che sono scritte da milioni di anni nel nostro DNA, del Karma che ci portiamo da altre esistenze, della comprensione della natura del corpo animico, dell ‘Uomo come unità che fa parte di un sistema più complesso ed ampio… fino ad arrivare a fabbricare l’Oro Spirituale.
Già prima abbiamo rilevato che la Tradizione Alchemica non ci parla della Materia Prima. Non ci dice qual è il punto di partenza. L’Ermetismo si allarga un po’ di più e, per fare ciò, prende .a prestito un simbolo di derivazione gnostica: un drago che si morde la coda.
Questo drago, che rappresenta la Natura, con le sue innumerevoli sfaccettature e la sua enorme forza creatrice – distruggitrice, ha un aspetto terribile ed ispira, istantaneamente un certo timore. Mordendosi la coda crea un cerchio perfetto in quanto tutto “l’essere-drago” diventa una unità dalla quale non è possibile
Agorà gennaio – marzo 1997 1 1 ricavare un inizio ed una fine; al centro del cerchio formato dal corpo del drago appare la scritta:
ev TO ItOtV
Il concetto dell’ EV TO ItOCV (en to pan – l’uno nel tutto -) tende a fissare l’aspetto “caos”. Definisce il Principio di Vita che sta dietro alla Grande Illusione. Come “Materia Prima” rappresenta la possibilità indifferenziata, principio di ogni generazione. E’ il drago Ouroburos che si morde la coda, la dissoluzione dei corpi.
L’alchimia, per esprimere lo stesso concetto, utilizza anche simboli più specifici, quali: Veleno, Vipera, Solvente Universale, Aceto Filosofale, proprio per designare l’aspetto della potenza dell’indifferenziato, al cui contatto ogni cosa differenziata viene distrutta.
Vediamo di cercare di capire bene questo concetto, perché è il vero fondamento della comprensione di tutto il linguaggio ermetico-alchemico.
Il principio di cui si parla, ha due aspetti ( …come il comportamento duplice delle particelle subatomiche ): è Morte e Vita, ha il potere di “solve” e di “coagula”. E’ Ruach, lo Spirito o Soffio “principio indeterminato di tutti gli individui” I è il “Piombo Nero”, la “Quintessenza” che può tutto in tutto e che a colui che sa e ne comprende l’uso dà Oro e Argento. Ma che porta alla dissoluzione chi sbaglia.
La Materia Prima quindi è il principio di vita “creatore” ed indistruttibile che permea tutte le cose; è indifferenziata, nel senso che può definirsi come la “legge” che regola tutto e da cui tutto deriva. E’ il quid imperscrutabile (utilizzo questo aggettivo solo perché non ce ne sono altri, per definire un qualcosa che evidentemente esiste ma che né la scienza né la Tradizione hanno avuto la possibilità – o l’intenzione – di esplicitare meglio), che “ordina” in modo intelligente tutto l’ Universo.
Mi rammento che ho letto da qualche parte – non mi ricordo proprio il libro – che le probabilità che hanno avuto le proteine di formarsi all’interno del “brodo” primordiale che esisteva poco dopo – si fa per dire – la formazione della Terra nei tempi in cui il tutto ha avuto luogo, è pressoché identica alla possibilità che ha un computer, ordinando l’ alfabeto secondo regole di stretta casualità probabilistica, di scrivere una pagina della Divina Commedia. Cioè: zero.
Però le proteine si sono formate. Ed il tutto è avvenuto secondo un processo “intelligente” (non so definirlo in modo migliore), che, facendo tesoro delle “esperienze” via via fatte ha modificato il suo “codice procedurale” fino ad arrivare ad un determinato risultato (che non sappiamo dove fosse scritto o quale effettivamente fosse).
Il principio di vita intelligente ed indifferenziato che anima tutto si veicola proprio attraverso la Materia Prima. Questa “energia intelligente” che permea tutto si incorpora nelle singole componenti della materia (che noi sappiamo è, comunque, sempre una forma di aggregazione energetica) e, nel linguaggio alchemico, questa differenziazione viene chiamata “sperma dei metalli”
Se si va a guardare, quindi, un po’ più da vicino al tutto, cercando di interpretare e di capire, al di fuori del linguaggio simbolico, il tutto può essere riassunto molto brevemente, a grandi linee, in questo modo: c’è un principio indifferenziato intelligente che permea tutto e che, via via che tende a “specializzarsi” (in una forma di “involuzione”), dà la vita, sempre intelligente, alle forme (ai metalli) che costituiscono I ‘Universo.
Le forme (tradizionalmente chiamate in Alchimia: Terra, Acqua, Aria, Fuoco e che compongono, quindi, il cosiddetto Quaternario ) sono formate, sotto un profilo alchemico da due componenti fondamentali:
e un principio di “sostanza”, cioè la Materia Prima, veicolo di vita “intelligente” indifferenziata che è ovunque ed in ogni cosa; e un principio di “forma”, cioè un aspetto particolare della Materia Prima, proprio della forma di cui si parla, e diverso da tutte le altre forme di differente natura.
Per spiegarci ancora più chiaramente: la Materia Prima che dà la vita ad un cristallo di quarzo, nel suo primo aspetto, è la stessa che permea tutto l’ Universo e che consente alle particelle atomiche e subatomiche di fare ovunque ed in ogni occasione il proprio dovere; ma se rompiamo il cristallo di quarzo questo tende a spaccarsi su dei piani di frattura diversi rispetto ad un diamante. E questo perché la struttura intima del quarzo è diversa da quella del diamante. Il “codice di vita” dei due cristalli – appunto detto “di forma” – è differente.
Questo principio intelligente, nella sua globalità duale, consente alle forme di evolversi. Se si guarda la Natura non è difficile rilevare come tutto tenda, seppure in tempi non brevi, a migliorare; in altri termini: si procede tendenzialmente dal “peggio” al “meglio”
L’ Uomo nel tempo è evoluto, gli animali sono evoluti, tutte le forme di vita tendono sempre di più a
12 Agorà gennaio – marzo 1997 specializzarsi e quindi a migliorare.
Il processo trasmutatorio alchemico, quindi, parte dal far emergere la Materia Prima nel suo aspetto originario, di “sostanza”, immutabile ed eterno, ignorando l’aspetto di “forma”, necessariamente legato all”‘involucro” che lo contiene, delimitato da vincoli di spazio-tempo. La realizzazione di questa operazione (o, meglio, la conoscenza del perché e del come si fa) viene denominata nella Tradizione Alchemica come “il Piccolo Arcano”, a cui si aggiunge anche l’aggettivo: “naturale”.
Lo strumento per la realizzazione del tutto è la Volontà.
Scritta però con la V maiuscola perché è ben altra cosa dalla volontà che tutti noi conosciamo e che, da chi più e chi meno, quotidianamente viene praticata.
La volontà dell ‘uomo è una forza molto potente. Basti pensare alle malattie psicosomatiche. Sono tantissime e l’elemento scatenante è sempre la volontà, anche se nella maggior pane dei casi è l’inconscio a “volere”.
La volontà manda un impulso realizzatore (o distruttore…) ed avvengono dei piccoli cambiamenti all ‘interno dell’ apparato umano: piccole modifiche di potenziale elettrico, secrezioni aumentate o diminuite, contrazioni o rilassamenti. Tutte queste piccole modificazioni possono benissimo portare al deterioramento e perfino alla distruzione di una perfetta macchina umana. O alla sua guarigione.
Ora, immaginiamo di fare un salto di qualità, in “alto”; proviamo a rendere un po’ più ardito il nostro pensiero e consideriamo la possibilità che la Volontà (attraverso un particolare addestramento), riesca ad estrarre dal nostro essere psicofisico il veicolo che contiene il principio di vita, attraverso una profonda conoscenza ed un corretto uso della Materia Prima.
Qui non si tratta di inviare messaggi al proprio corpo, messaggi fisico-chimici; il lavoro va effettuato solo a livello energetico, facendo uscire l’essere globale dal suo stato di dualità (e quindi di perenne contraddizione) per entrare nell’unità dell’Essere.
Il lavoro è sempre quello: sgrossare la Pietra (da non dimenticare che la pietra “levigata” non è un semplice cubo quanto, piuttosto un cubo sovrastato da una piramide; e questuproprio a significare che dal quaternario si è arrivati all’unità rappresentata dal vertice, quasi un punto matematico, unitario, della piramide), conoscere il Tao, risvegliare Kundalini, contemplare il Nirvana, andare in Paradiso, ottenere la Pietra Filosofale, l’Elisir di Lunga Vita. In tutti questi casi viene quindi più o meno promessa una sorta di vita eterna.
E la promessa non è mendace. Come poco sopra è stato rilevato, con la morte il corpo fisico, inteso come aggregato energetico, continua a vivere. Per il principio di conservazione dell’energia tutto si trasforma ma niente si distrugge. Ma che fine fa l’aggregato energetico rappresentato dalla nostra coscienza? Ragionevolmente farà la stessa fine del corpo fisico: si reintegra nei suoi aspetti energetici fondamentali che l’hanno costituito quand’era in vita. Ma noi sappiamo che il corpo fisico dopo la morte come “entità” si dissolve, non esiste più. Diventa un’altra cosa.
Per la nostra coscienza, grosso modo, avviene lo stesso.
La Tradizione Ermetico-Alchemica, per salvare la coscienza individuale nella sua globalità e quindi garantire alla stessa una “continuità” attraverso le successive esistenze, propone una sua pratica (ben simboleggiata in Massoneria dalla Parola Perduta…).
L’ Alchimia, quindi, attraverso i secoli ci ha tramandato delle oscure parole, il più delle volte assolutamente incomprensibili, contenenti però il concetto di un mondo che è solo energia, modificabile, plasmabile, un mondo con il quale possiamo “dialogare” ed interagire. Solo oggi, alle soglie del terzo millennio, possiamo veramente capire la portata scientifica di questo insegnamento, la grandezza di questa Tradizione, relegata per troppo tempo nel libri di testo delle scuole come una sottospecie di chimica. •

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VALORI E ATTUALITA’DELLA MSSONERIA UNIVERSALE

Valori ed attualità della Massoneria universale
Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani
Divenire uomo è un’arte, affermava con convinzione Novalis nei suoi Frammenti antropologici. La Massoneria Universale, scuola che inizia ai grandi misteri della vita, lo sa bene. E da almeno tre secoli lavora instancabilmente a testimoniare la pratica di quest’arte, che nessuno è in grado di insegnare poiché si può imparare solo individualmente. Osservando, intuendo, seguendo negli altri, nel mondo, i segni di una misteriosa orditura che, come faceva dall’alba al tramonto la mitica Penelope, va pazientemente ricostruita come una mappa in grado di condurci a battere, senza timore di perdervisi, i difficili ed accidentati sentieri della vita. Proprio per sviluppare quest’arte il massone ha bisogno, non solo di penetrare nella propria, ma anche nella altrui dimensione interiore. Ha bisogno, come l’aria, del dialogo con gli altri, per apprendere ma anche per contribuire, col proprio bagaglio di esperienze, di conoscenze, di saperi, maturato appunto in una vita illuminata dalla luce della Tradizione, al loro benessere. In questo modo, da muratore esperto nell’arte della edificazione, concorre, recando il proprio simbolico mattone, a costruire il grande Tempio sotto la cui volta celeste si riunirà l’umanità tutta. Ovviamente le modalità di questo lavoro cambiano coi tempi.
Ed in tempi di comunicazione di massa, di villaggio globale, di incontri e di scontri di culture anche la Massoneria non poteva fare a meno di scegliere strade nuove per attualizzare la propria naturale vocazione al dialogo. Il Forum dedicato alla complessa e delicata tematica dei Valori Universali si inquadra esattamente in questo ambito. E la chiamata al lavoro di tutti i Fratelli non solo perché esibiscano, con la propria testimonianza, la profondità dei valori di cui sempre la Massoneria si è fatta portatrice, come la tolleranza, la comprensione dell ‘altro da sé, la difesa intransigente della dignità dell’uomo, ma perché facciano molto di più. Si confrontino, a viso aperto, e senza alcuna reticenza o timore, col così detto mondo profano, sviluppando coram populo quella loro propensione al dialogo con lo stesso metodo del confronto, aperto e leale, tipico del lavoro di Loggia. Tanto più importante appare questa operazione dal momento che il tema affrontato si presenta, considerati i travagli che affliggono la nostra vecchia e cara Terra, sicuramente utile, oltre che, sul piano intellettuale ed umano, straordinariamente stimolante.
E mi fa particolarmente piacere che tutto questo sia maturato in una terra, la Toscana, nella quale è sorta la prima Loggia massonica — che vide la luce nella, per l’epoca, tollerante Firenze nel 1731, lo stesso anno in cui a L’Aja veniva iniziato Francesco Stefano di Lorena, futuro Granduca di Toscana — e dove tuttora opera, nel senso massonico che questa parola possiede, la più numerosa famiglia di liberi muratori del nostro Paese. Per di più questo Forum sui valori, che non si limiterà alle sole problematiche delle Nazioni Unite e della loro (possibile ed auspicabile) Riforma ma toccherà anche, in successive fasi, le identità religiose e culturali, nonché l’identità terrestre, cade in concomitanza con una ricorrenza quanto mai carica di significati per noi Liberi Muratori. Si celebra, infatti, quest’anno il secondo centenario della fondazione del Grande Oriente d’Italia, che ebbe come suo Gran Maestro Eugenio de

Beauharnais, viceré d’Italia e sodale di Napoleone Bonaparte. Una occasione imperdibile per mostrare il vero volto di una Massoneria che, ancora una volta, sa stare al passo coi tempi, una Massoneria che è, ieri come oggi, progettualità e azione al servizio dell’uomo, al di là di ogni frontiera, oltre ogni angusta limitazione. Proprio per questo, proprio nella consapevolezza dello straordinario “facere ” al quale le Logge ed ogni singolo Fratello vengono ora chiamati, sarebbe oltremodo significativo se, al termine della sessione di questo primo Forum, scaturisse, per mano di coloro che parteciperanno ai lavori, massoni o profani, ma comunque tutti uomini animati dalla buona volontà del bene operare, un documento di intenti da mettere a disposizione di altri uomini di buona volontà che, come noi, intendono agire molto semplicemente per la costruzione di un mondo migliore. Uomini che non possiedono ovviamente la verità, uomini come noi “dalle granitiche incertezze”, ma proprio per questo più autentici e credibili.
Si tratterà di un primo contributo che, auspichevolmente, potrà, dovrà innescare un dialogo aperto a tutte le voci diverse, secondo il tradizionale metodo massonico della ricerca condotta, come recita il nostro rituale, in piena libertà di pensiero da uomini di fede religiosa, di credo politico, di condizione sociale diversa, ma animati dal forte spirito dei costruttori. Il nostro è un piccolo ma non unico passo. Altri ne seguiranno, perché il cammino da percorrere è lungo e la meta, come sanno bene gli iniziati, sfugge di continuo, specialmente quando sembra più che mai a portata di mano. Ci piacerebbe comunque che, iniziative come queste, ed altre che lievitano e stanno lievitando sotto l’azione potente della fiamma di una antica e nobile Tradizione, contribuissero alla realizzazione di un grande sogno che cova nel cuore dei liberi muratori: quello di consentire alla Massoneria universale, di testimoniare, all’interno delle Nazioni Unite, nel consesso dei popoli della terra, nato e formato dalla volontà di grandi liberi muratori quali furono il Fratello Winston Churchill ed il Fratello Franklin Delano Roosevelt, i suoi grandi valori quali la liberazione dal flagello della guerra; la fede nei diritti fondamentali di ogni individuo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne; la giustizia, il progresso sociale, la libertà di tutti; la tolleranza e la pace. E questa per noi l’arte della vita, o Arte Reale, che esprime la nostra condizione di uomini di desiderio impegnati a lavorare senza sosta per onorare l’impegno preso quando varcammo, per la prima volta, le soglie del Tempio.

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UNA TRADIZIONE ANTICA “SAN VALENTINO”

Una tradizione antica: SAN VALENTINO
Carissimi Fratelli,
forse, sono in molti a non sapere che tutte le usanze, in verità molto antiche, legate a questo giorno, nulla hanno a che spartire con i due martiri cristiani, che si chiamavano entrambi “Valentino”.
Le remote tradizioni legate a questo giorno derivano, quasi certamente, da una festa dell ‘ antica Roma, chiamata appunto “Lupercalia” che cadeva a metà marzo ed era dedicata a Giunone.
Per certi aspetti, la divinità romana “Luperco” era molto simile al dio greco “Pan”, il dio della natura, tanto che la celebrazione a lui dedicata coincideva con una grande festa dedicata ai giovani. Nel corso dei festeggiamenti, venivano effettuati gli abbinamenti dei giovanotti e delle fanciulle, i cui nomi, in precedenza trascritti su foglietti di carta, erano stati inseriti in una urna.
I prescelti erano soliti, per dimostrare il reciproco compiacimento, scambiarsi doni e gentilezze: questi incontri, poi, non di rado si consolidavano in felici unioni matrimoniali.
Con l’avvento del cristianesimo, la Chiesa volle dare, anche a questa ricorrenza, un significato religioso tanto che papa Gelasio, nell’ anno 496, spostò le festività dei “Lupercali”, al 14 febbraio, facendole coincidere con il giorno dedicato al santo di nome Valentino.
Ma chi era san Valentino?
Gli storici sono discordi sulla identità del santo degli innamorati.
Era presumibilmente l’anno 270 ed a Roma regnava l’imperatore Claudio II. Valentino, era un umile prete che predicava la parola di Cristo. Condotto in carcere, venne barbaramente ucciso, sul colle Palatino, proprio nel luogo dove era stato eretta l’ara in onore di Giunone.
Le cronache dell’epoca raccontano, in verità, di un altro Valentino, vescovo di Terni, che nel 273 dopo Cristo, venne ucciso per aver tentato di convertire alla cristianità, una famiglia patrizia di Roma.
Particolarmente curiosa era la credenza diffusa tra i celti. Essi ritenevano che nei giorni tra il 12 e il 14 febbraio, avveniva l’ accoppiamento degli uccelli e la natura, in coincidenza di ciò, si svegliava dopo il lungo letargo invernale.
In questo periodo, in una zona boscosa a ridosso del fiume Po, giovani e fanciulle, in età da matrimonio, erano soliti accendere grandi fuochi e dare il via a festose danze.
Si sorteggiavano i nomi dei componenti le coppie che, una volta formatesi, davano il via al vicendevole scambio di fiori profumati e dolci fragranti, lasciandosi successivamente andare, in un crescendo di effuSioni amorose…
Dovunque, così come in Inghilterra e Francia, in Lorena e Scozia, l’abbinamento di giovani felici, desiderosi d’amore, coincideva sempre con il risveglio della natura e con essa, il desiderio di tutti gli esseri
viventi di eternare, con la procreazione, la specie.
Il nome Valentino, dal latino “valens, valentis”, vuol dire vigore, salute florida, gioventù, mentre nell ‘antico linguaggio celtico, invece, le parole “vales, valez, valet”, volevano significare giovane uomo in età puberale, non legato ancora ad alcuna donna.
Nella “Histoire ecclesiastique”, viene espressamente indicato nel capo della setta degli Gnostici, conosciuta anche con il nome di Valentiniani, l’eresiarca di nome Valentino Egizio. Essi, continua il racconto,
erano soliti iniziare i neofiti, ai misteri Valentiniani, dopo aver predisposto il tempio, a camera nuziale: recitando un misterioso formulario, celebravano ritualmente il suggestivo matrimonio spirituale, tra i candidati e le Entità spirituali, gli Eoni.
In alcuni paesi scandinavi, la festa dei fidanzati è quasi sempre legata alla giovane reginetta della luce:
santa Lucia. E’ durante questa festività che è consentito ai giovani di adocchiare la fanciulla a cui essi si dichiareranno, poi, con la promessa d’amore, il giorno di san Valentino.
Inevitabile, nel riscoprire I ‘origine pagana di una festività come quella di Valentino, percorrere, con gli occhi della mente, verdi prati fioriti, boschi rigogliosi, laghi incontaminati e rive di fiumi argentati.
Dovunque, nell’ agreste scenario… giovanetti festosi, sorridenti, che danzano al dolce suono del flauto di Pan, impegnati in carezzevoli lanci di fiori profumati, preludio di gentili corteggiamenti d’amore.
Serene, immagini bucoliche appartenenti ad un passato, purtroppo, tanto, ma tanto lontano da noi.
Se quelle giovani creature, ahimè, per una malaugurata coincidente apertura del diaframma spazio4 Agorà gennaio – marzo 1997 temporale, venissero proiettati improvvisamente nel nostro secolo, sono certo rimarrebbero, irrimediabilmente, traumatizzati dallo scenario totalmente mutato. Qualche centinaio d’anni… e la cosiddetta civiltà del XX secolo avrebbe cancellato radicalmente, e per sempre, quel paesaggio paradisiaco, del passato!
Difficile, ritengo, immaginare, sia pure per un istante, lo stato d’ angoscia in cui si verrebbero a trovare i nostri giovani viaggiatori del passato e, cosa da non poco, il loro disperato desiderio di fuggire lontano, nel tentativo di allontanarsi dall’ attuale scenario di morte.
Come sarebbe possibile, altrimenti, danzare sulle rive di laghi putrescenti, privi del verde riflesso dei boschi, sradicati, purtroppo, per produrre parquets e legna da ardere?
Che dire, poi, delle torbide acque giallastre di fiumi senza più vita, a causa dei rifiuti, delle città e delle industrie, e…, dappertutto, nell’aria, l’appestante odore degli scarichi delle auto… !
Attenti ! Fate attenzione, giovani fanciulli del passato, che fuggite lontano, terrorizzati da tanto scempio! Attenti a non fare brutti incontri !
Potreste essere inevitabilmente oggetto di qualche lancio di pietre, o strattonati violentemente, con conseguenze gravi, da uno spregiudicato scippatore di passaggio, a caccia di prede, oppure, peggio ancora, adescati da uno dei tanti lerci figuri dediti alla pedofilia, perversione molto comune, oggi, da noi.
Come poter spiegare loro che viviamo, nostro malgrado, in una società dove bimbi, cagnolini e spaz zatura, senza alcun distinguo, vengono gettati nei cassonetti, impietosamente… ?
Quale ragione addurre per giustificare, tentando una sia pur piccola difesa d’ufficio, il “barbaro nostro contemporaneo” che si divertiva a spegnere cicche di sigarette sul dorso di un inerme, fedele cane… ? E poi, dei nostri ragazzi, giovani fanciulli anch’essi, alla mercé di branchi di spacciatori, all’uscita delle scuole… ?
Avrete certamente notato, giovani e fanciulle di un passato più giusto, in perfetta simbiosi con la natura, quanto difficile sia vivere, oggigiorno, nel XX secolo.
Capisco. Vorreste fuggire… lontano, verso chissà dove!
Per noi, purtroppo, della civiltà del consumismo, non vi è ormai più scampo. Nessuno può sfuggire, ahimé, all’agghiacciante e diffuso vuoto esistenziale che la stupida follia dell’uomo ha determinato, con il sovvertimento dell’ordine naturale delle cose…
Silvio Nascimben
Presidente del Collegio Circoscrizionale della Puglia

“Per cercare Dio non è necessario andare in pellegrinaggio o accendere lampade e bruciare incenso davanti all’immagine della divinità o aspergerla d’olio o dipingerla di rosso cinabro. Egli risiede nel nostro cuore. Se potessimo cancellare completamente in noi la consapevolezza del nostro corpo fisico, lo vedremmo faccia a faccia.
Gandhi

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CULTURA E LIBERTA’

“Cultura e Libertà per un ‘Umanità da purificare e da salvare”. Con questo appello il Gran Maestro, Virgilio Gaito, conclude il suo discorso di presentazione del Centro studi e Ricerche Università Pitagora, la Super Università che sorgerà a Crotone, voluta dalla Massoneria Italiana del Grande Oriente d’Italia.
Riportiamo integralmente il testo che il Gran Maestro porterà a conoscenza dei Fratelli, in occasione della Gran Loggia del 22-23 marzo 1977.

CULTURA E LIBERTA’
Il grande Pitagora soleva concludere i suoi aurei insegnamenti esortando i discepoli della famosa Schola di Crotone a guardare il cielo, a significare che tutte le conoscenze umane debbono essere sublimate in una visione spirituale trascendente che conduce necessariamente ad interiorizzare nella coscienza le conquiste della scienza.
E perché questo nostro corpo, prezioso involucro dell ‘ anima infusa dal soffio divino, sia degno custode della coscienza, suprema acquisizione del lavoro iniziatico, Pitagora ammoniva: soprattutto abbi rispetto di te stesso.
Rispettare se stessi vuol dire anche acquisire consapevolezza della presenza dei propri simili e rispetto della loro dignità, sicché diviene imperativo temperare il nostro egoismo per far posto alle più elevate e legittime aspirazioni altrui.
Ed ecco, da un imprescindibile arricchimento culturale, nascere il concetto di libertà fondato sul rispetto di se stessi e degli altri, facce non antitetiche ma speculari di un valore che è essenziale per una sana ed armonica crescita dell’umano consorzio.
Cultura, dunque, come matrice di libertà, ma, ad un tempo, libertà come garànzia di cultura.
Ad avvertiti osservatori della realtà quotidiana come siamo noi Massoni non sfugge l’allarmante fenomeno dell’appiattimento dei valori fondanti dell’odierna società, facile preda di furbi manipolatori dell’informazione asservita a squallide logiche di potere socio-politico-economico dalle quali l’etica è rigorosamente bandita; e tutto ciò mentre dilaga la cultura dell’incultura come humus per un più agevole controllo delle masse.
E’ quindi giunto il momento, per noi, che da sempre operiamo per il bene ed il progresso dell ‘Umanità, di contribuire concretamente alla difesa ed alla diffusione della cultura formando quegli uomini veri, paladini delle libertà di tutti, che possano affrontare con successo le sfide del Terzo Millennio.
E, poiché l’ Iniziato, secondo Pitagora, deve avere una visione panoramica dei fenomeni e dei problemi, riteniamo che il concetto di Universitas, come luogo deputato allo studio delle varie branche dello scibile umano, debba oggi essere rimediato alla luce, per un verso, della rapidissima globalizzazione dei bisogni, delle tendenze, del linguaggio, e, per l’altro verso, della diffusione prodigiosa dei mezzi di comunicazione.
Abbiamo quindi concepito il disegno di una Università nuova, caratterizzata dalla interdisciplinari della cultura, che renda possibile una integrazione della preparazione umanistica con quella scientifica, arricchita da un insostituibile substrato etico e da una conoscenza approfondita delle radici antropologiche, tradizionali, linguistiche di tutti i popoli, in particolare di quelli del bacino del Mediterraneo.
E dove localizzare questa Università se non, sulle orme di Pitagora, in quella città di Crotone, una delle perle della Magna Grecia, rimasta famosa per la Schola che formò uomini saggi e dotti ma anche amministratori competenti e onesti? Quegli stessi esperti che, coniugando l’etica con la politica e l’economia, saranno in grado di guidare l’ Umanità del Duemila lungo i sentieri della comprensione, dell’armonia, della pace, della crescita culturale e morale nella libertà.
Inizialmente, questa nostra idea, recepita con incondizionato entusiasmo dai più qualificati esponenti del mondo accademico e professionale italiano e straniero, sarà attuata attraverso il Centro Studi e Ricerche Pitagora che darà vita a c corsi di alto contenuto idonei ad attirare un numero sempre più crescente di discenti da ogni parte del mondo così come accade da tempo per le libere Università massoniche di Lovanio in Belgio e di Santiago nel Cile. Quella di Crotone non sarà seconda ad alcuna e rinverdirà nel Terzo Millennio le glorie della Scuola pitagorica.
Potremo così dare un notevole contributo all ‘ inserimento della Calabria nel circuito culturale mondiale ed all’avvio a soluzione dell’annosa questione meridionale troppo a lungo trascurata e fonte di tanta tragica arretratezza del Sud,
Siamo certi dunque del consenso attivo e fattivo di quanti, Fratelli e profani, credono nelle validità del binomio Cultura – Libertà per un’ Umanità da purificare e da salvare.
Il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani
Virgilio Gaito
Agorà gennaio – marzo 1997 7

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AMA IL PROSSIMO TUO COME TI STESSO

Ama il prossimo tuo come te stesso
Non fare ad altri quello che non vorresti fosse a te fatto. Non farai il male ma sempre il bene. Il vero culto del Grande Architetto consiste nei buoni costumi. Conserva sempre la tua anima in uno stato abbastanza puro per comparire degnamente al cospetto del Grande Architetto che è DIO, e spera da LUI la ricompensa del bene che avrai fatto sulla terra. Rispetta tutte le forme colle quali piace agli uomini di rendere omaggio a DIO. Combatti l’errore non col ferro non col fuoco ma colla verità. Ama i buoni, compiangi i deboli, fuggi i cattivi, ma parla sobriamente coi grandi, prudentemente coi tuoi uguali, sinceramente cogli amici, dolcemente coi fanciulli e teneramente coi poveri. Istruisci l’ignorante, copri colui che ha freddo, nutrisci chi ha fame, dà lavoro all’operaio e sii padre dei poveri. Ciascun sospiro che la tua durezza di cuore farà esalare, aumenterà il numero di maledizioni che cadranno sul tuo capo.
Non portare odio ad alcuno, rispetta lo straniero viaggiatore, aiutalo nei suoi bisogni. La sua persona deve essere sacra per te. Evita le querele, previeni gli insulti, rispetta le donne, non abusare mai della loro debolezza, e muori piuttosto che disonorarle.
Se il Grande Architetto ti dà un figlio, ringrazialo, ma trema pel deposito che ti ha confidato. Siiper quel fanciullo l’immagine della Divinità, fà che sino a dieci anni ti tema, che sino a venti anni ti ami e sino alla morte ti rispetti.
Sino a dieci anni devi essere suo maestro, sino ai venti suo padre e sino alla morte suo amico. Pensa a dargli dei buoni principi piuttosto che delle belle maniere, e che ti sia debitore d’una morale educazione e non d’una frivola eleganza. Fà che diventi onesto. Vigila con tenerezza alla felicità della sua famiglia, procura di allevarla nei sentimenti d’amore, di umanità e di devozione alla Patria. Ama il tuo paese, procura di esserli devoto sino al sacrificio di tua vita. Se tu arrossisci del tuo stato è segno d’orgoglio. Pensa che non è il lavoro che ti onora o ti degrada, ma il modo con cui lo eserciti. Rallegrati nella giustizia, affliggiti contro l’iniquità. Leggi e profitta, vedi e medita, rifletti e lavora. Procura l’utile dei tuoi fratelli, e lo procuri per te stesso. Soffri senza lagnarti. Non giudicare mai leggermente le azioni degliuomini, non biasimar mai alcuno e tanto meno lo loderai. Proclama sempre ed ovunque fraternità di tutti, l’uguaglianza di tutti e la libertà di tutti.
( Da un Codice massonico fine Ottocento )

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VALORI ED ATTUALITA’ DELLA MASSONERIA UNIVERSALE

Valori ed attualità della Massoneria universale
Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani
Divenire uomo è un’arte, affermava con convinzione Novalis nei suoi Frammenti antropologici. La Massoneria Universale, scuola che inizia ai grandi misteri della vita, lo sa bene. E da almeno tre secoli lavora instancabilmente a testimoniare la pratica di quest’arte, che nessuno è in grado di insegnare poiché si può imparare solo individualmente. Osservando, intuendo, seguendo negli altri, nel mondo, i segni di una misteriosa orditura che, come faceva dall’alba al tramonto la mitica Penelope, va pazientemente ricostruita come una mappa in grado di condurci a battere, senza timore di perdervisi, i difficili ed accidentati sentieri della vita. Proprio per sviluppare quest’arte il massone ha bisogno, non solo di penetrare nella propria, ma anche nella altrui dimensione interiore. Ha bisogno, come l’aria, del dialogo con gli altri, per apprendere ma anche per contribuire, col proprio bagaglio di esperienze, di conoscenze, di saperi, maturato appunto in una vita illuminata dalla luce della Tradizione, al loro benessere. In questo modo, da muratore esperto nell’arte della edificazione, concorre, recando il proprio simbolico mattone, a costruire il grande Tempio sotto la cui volta celeste si riunirà l’umanità tutta. Ovviamente le modalità di questo lavoro cambiano coi tempi.
Ed in tempi di comunicazione di massa, di villaggio globale, di incontri e di scontri di culture anche la Massoneria non poteva fare a meno di scegliere strade nuove per attualizzare la propria naturale vocazione al dialogo. Il Forum dedicato alla complessa e delicata tematica dei Valori Universali si inquadra esattamente in questo ambito. E la chiamata al lavoro di tutti i Fratelli non solo perché esibiscano, con la propria testimonianza, la profondità dei valori di cui sempre la Massoneria si è fatta portatrice, come la tolleranza, la comprensione dell ‘altro da sé, la difesa intransigente della dignità dell’uomo, ma perché facciano molto di più. Si confrontino, a viso aperto, e senza alcuna reticenza o timore, col così detto mondo profano, sviluppando coram populo quella loro propensione al dialogo con lo stesso metodo del confronto, aperto e leale, tipico del lavoro di Loggia. Tanto più importante appare questa operazione dal momento che il tema affrontato si presenta, considerati i travagli che affliggono la nostra vecchia e cara Terra, sicuramente utile, oltre che, sul piano intellettuale ed umano, straordinariamente stimolante.
E mi fa particolarmente piacere che tutto questo sia maturato in una terra, la Toscana, nella quale è sorta la prima Loggia massonica — che vide la luce nella, per l’epoca, tollerante Firenze nel 1731, lo stesso anno in cui a L’Aja veniva iniziato Francesco Stefano di Lorena, futuro Granduca di Toscana — e dove tuttora opera, nel senso massonico che questa parola possiede, la più numerosa famiglia di liberi muratori del nostro Paese. Per di più questo Forum sui valori, che non si limiterà alle sole problematiche delle Nazioni Unite e della loro (possibile ed auspicabile) Riforma ma toccherà anche, in successive fasi, le identità religiose e culturali, nonché l’identità terrestre, cade in concomitanza con una ricorrenza quanto mai carica di significati per noi Liberi Muratori. Si celebra, infatti, quest’anno il secondo centenario della fondazione del Grande Oriente d’Italia, che ebbe come suo Gran Maestro Eugenio de
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Beauharnais, viceré d’Italia e sodale di Napoleone Bonaparte. Una occasione imperdibile per mostrare il vero volto di una Massoneria che, ancora una volta, sa stare al passo coi tempi, una Massoneria che è, ieri come oggi, progettualità e azione al servizio dell’uomo, al di là di ogni frontiera, oltre ogni angusta limitazione. Proprio per questo, proprio nella consapevolezza dello straordinario “facere ” al quale le Logge ed ogni singolo Fratello vengono ora chiamati, sarebbe oltremodo significativo se, al termine della sessione di questo primo Forum, scaturisse, per mano di coloro che parteciperanno ai lavori, massoni o profani, ma comunque tutti uomini animati dalla buona volontà del bene operare, un documento di intenti da mettere a disposizione di altri uomini di buona volontà che, come noi, intendono agire molto semplicemente per la costruzione di un mondo migliore. Uomini che non possiedono ovviamente la verità, uomini come noi “dalle granitiche incertezze”, ma proprio per questo più autentici e credibili.
Si tratterà di un primo contributo che, auspichevolmente, potrà, dovrà innescare un dialogo aperto a tutte le voci diverse, secondo il tradizionale metodo massonico della ricerca condotta, come recita il nostro rituale, in piena libertà di pensiero da uomini di fede religiosa, di credo politico, di condizione sociale diversa, ma animati dal forte spirito dei costruttori. Il nostro è un piccolo ma non unico passo. Altri ne seguiranno, perché il cammino da percorrere è lungo e la meta, come sanno bene gli iniziati, sfugge di continuo, specialmente quando sembra più che mai a portata di mano. Ci piacerebbe comunque che, iniziative come queste, ed altre che lievitano e stanno lievitando sotto l’azione potente della fiamma di una antica e nobile Tradizione, contribuissero alla realizzazione di un grande sogno che cova nel cuore dei liberi muratori: quello di consentire alla Massoneria universale, di testimoniare, all’interno delle Nazioni Unite, nel consesso dei popoli della terra, nato e formato dalla volontà di grandi liberi muratori quali furono il Fratello Winston Churchill ed il Fratello Franklin Delano Roosevelt, i suoi grandi valori quali la liberazione dal flagello della guerra; la fede nei diritti fondamentali di ogni individuo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne; la giustizia, il progresso sociale, la libertà di tutti; la tolleranza e la pace. E questa per noi l’arte della vita, o Arte Reale, che esprime la nostra condizione di uomini di desiderio impegnati a lavorare senza sosta per onorare l’impegno preso quando varcammo, per la prima volta, le soglie del Tempio.

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BREVE STORIA DEL PALAZZO

Breve storia del palazzo

Il palazzo si trova sul Decumano Maximo (direzione Est-Ovest) dell’antica colonia romana di Florentia e fu costruito nel XVI secolo. Al suo posto c’erano una serie di case appartenenti a Rinaldo Di Maso degli Albizi al quale fu confiscato l’intero patrimonio immobiliare perché si era schierato contro Cosimo il Vecchio de’ Medici. Il tutto fu poi riacquistato dal suo parente Lucantonio di Niccolò degli Albizi che lo tenne fino al 1536. Verso la fine del XVI secolo, Baccio Valori, nuovo proprietario, decise un radicale restauro del grande palazzo. La famiglia dei Valori ne conservò la proprietà fino alla morte dell’ultimo erede della dinastia che si estinse nel 1687. Passò quindi nelle mani di Luigi Guicciardini, che a sua volta ristrutturò il palazzo per adeguarlo al suo gusto personale e a quello della nobiltà del tempo. Nel 1707, alla morte di Luigi Guicciardini, sua figlia Virginia, unica erede del patrimonio, portò il palazzo in dote al marito Giovan Battista Altoviti.
Le 15 erme poste all’esterno sono “I Visacci”, strane figure in marmo, omaggi alla memoria di celebri personaggi toscani. Tra questi si trovano i ritratti di Dante, Boccaccio, Petrarca, Alberti, Guicciardini, Vespucci. Il popolino, non sapendo chi rappresentassero queste figure e giudicandole alquanto brutte, chiamò questo palazzo “Dei Visacci”.
Dopo avere varcata la porta del primo piano, ci troviamo davanti alla galleria, dove gli affreschi raccontano l’apoteosi della famiglia Guicciardini con una chiara allusione al faticoso percorso seguito dalla stessa famiglia prima di raggiungere quella virtù a coronamento della propria esistenza terrena, come indicato nel cartiglio: “Hoc Virtutis Opus” – cioè “Questa è l’opera della virtù” – e il cammino verso la virtù è rappresentato nei cartigli proprio come il percorso che noi massoni intraprendiamo fin dalla cerimonia iniziatica. Comincia con il motto “la virtù è fuggire il vizio” per proseguire con: “le lusinghe del vizio resistendo devi fuggire”. Il percorso allegorico continua con una frase ermetica: “viaggio irrealizzabile per raggiungere la virtù”. Quindi: “getta le fondamenta della vera felicità”, perché: “alla fine delle fatiche l’inizio della felicità”, vale a dire: è soltanto alla fine che tu “sarai in grado di conoscere la virtù”.
E adesso arriviamo al Tempio in cui siamo, dedicato al nostro compianto Fratello Lando Conti, sindaco di Firenze e barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse. Questo Tempio massonico è considerato tra i più belli e significativi dell’Oriente Toscano, dove le figure mitologiche affrescate, quelle scolpite, gli altri simboli e le stesse insegne massoniche, sembrano dialogare con uno stesso linguaggio. L’affresco della volta è di Matteo Bonechi ed è stato dipinto nel 1715.
Personalmente mi sono reso conto che, quando siamo dentro questo Tempio, la concentrazione che assumiamo e che diventa necessaria per il proseguo dei nostri Lavori rituali, spesso non ci permette di osservare adeguatamente le opere d’arte che ci circondano. Per questo mi sono permesso di fare qualche accenno e di dare alcune tracce, che hanno molto in comune con il nostro esoterismo massonico e fare sì che ognuno di noi possa sentirsi come parte di un tutto, di questa bellezza, nella certezza di far nascere in noi quella curiosità che, anche lei, fa parte del nostro essere massoni.
Mitologia e Massoneria

Diceva il nostro Fratello scrittore Denis Roman che “La Massoneria è l’arca vivente dei simboli”, ma, aggiungo io, che lo è anche per quanto riguarda la mitologia.

La mitologia greca è piena di dei ed eroi appartenenti alla cultura religiosa del loro tempo che incarnavano qualità e vizi comuni a tutti gli esseri umani. Ma era proprio attraverso questi miti che i greci spiegavano i comportamenti degli uomini e le caratteristiche del mondo che li circondava. Questi racconti avevano sempre, alla fine, una morale e spesso raccontavano la lotta tra il bene e il male. Per quanto ci riguarda da vicino, quante volte ci siamo detti che la leggenda – o per meglio dire il mito – di Hiram ci insegna valori etici immortali attraverso esempi o personaggi. Noi sappiamo bene che, ancora oggi, quei valori devono essere seguiti, se vogliamo diventare migliori o essere di esempio per il mondo esterno.
Poi ci fu l’avvento del Cristianesimo che soppresse e addirittura cancellò in brevissimo tempo l’intera mitologia greco-romana abbattendo i templi pagani ed edificando al loro posto le chiese cristiane.
Quando, dopo il Medio Evo, la civiltà occidentale iniziò a risorgere e a ristrutturarsi, lo fece principalmente attraverso la riscoperta delle civiltà classiche e, nel secolo dell’Illuminismo, ovvero dell’esaltazione della ragione e della scienza come unici strumenti che potevano liberare l’uomo dall’ignoranza e dal giogo della Chiesa, il Neoclassicismo ripropose la scoperta del bello, nella ricerca dell’armonia, delle proporzioni, degli equilibri guardando all’arte antica dei greci e dei romani.
Il cristianesimo, questa volta, non riuscì ad ostacolare la popolarità dei miti e, con la riscoperta delle antichità classiche avvenuta nel Rinascimento, queste divennero una delle fonti di ispirazione principale per poeti, pittori e artisti. A partire dai primi anni di questa epoca personaggi come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello ritrassero scene pagane tratte dalla mitologia greca insieme ai più convenzionali temi cristiani. I miti greci influenzarono anche poeti come il Petrarca, Dante e Boccaccio.
Addirittura all’inizio del secolo di cui stiamo parlando, l’avvento del Romanticismo segnò uno scoppio di entusiasmo e di attenzione per tutto ciò che era greco inclusa, ovviamente, la mitologia.
Arriviamo quindi ai nostri giorni ed al luogo in cui ci troviamo che, appunto, è il risultato di quella complessa trasformazione che ho raccontato prima.

L’affresco della volta

Devo subito dire che, per ragioni di tempo e di spazio, bisogna prescindere dai criteri architettonici e di prospettiva usati dall’eccellente pittore, nonché dai complessi restauri, concentrandoci solo sui significati allegorici e mitologici delle rappresentazioni pittoriche e degli stucchi che non possono essere subito interpretabili dagli occhi di un profano (parlando in questo caso, di qualcuno che non conosce la materia). Si nota subito che tutte le figure dell’affresco sono come immerse in un mondo magico, quasi incantato, dove esse convivono con animali feroci e animali da pascolo, mentre le tante nuvole contribuiscono a farci sembrare sotto una volta celeste, come fosse un cielo aperto.

Non scenderò volutamente nella storia dei singoli miti, sul come si sono formati o sulle loro molteplici variazioni, sarebbe oltremodo lungo, mi limiterò a evidenziare nel soffitto i personaggi componenti questo splendido giardino incantato, questa casa spirituale, questo sacro Olimpo. Tutti e sottolineo tutti, hanno il loro significato nascosto, esoterico che spesso si sposa con quello della Massoneria. Cominciamo a evidenziare sul soffitto le divinità delle quali la Massoneria ha fatto i suoi più importanti Simboli: Eracle, Afrodite e Athena.

Eracle, l’Ercole dei romani, simbolo della forza:

La figura di questo personaggio è raffigurata nel soffitto del nostro Tempio in un modo molto particolare, direi anche piuttosto raro nelle rappresentazioni mitologiche. Eracle è quel fanciullo neonato che sta succhiando il latte dal seno di Era, la moglie di Zeus. La cosa potrebbe sembrare molto strana, dal momento che Eracle era il figlio illegittimo che Zeus aveva concepito con l’inganno insieme alla bella e virtuosa Alcmena. Fatto è che Era non sapeva chi fosse il bambino che lei stessa aveva raccolto abbandonato in un prato (con la complicità di Zeus e Athena), quindi lei, la dea delle partorienti, lo avvicinò al suo seno, ma questi gli si attaccò con una forza tale, che la stessa Era, dal dolore, lo strappò via da sé. In quel modo uno spruzzo del latte uscì dal suo seno andando a formare in cielo la Via Lattea. Questo ci fa capire quale era il modo di spiegare le cose per chi viveva 2/3000 anni fa e come si cercasse di dare una spiegazione ai fenomeni naturali senza poterne conoscere il vero significato che si è scoperto scientificamente solo molti secoli dopo.
Fu proprio per la vendetta della stessa Era, tradita dal marito, che il nostro mitico eroe dovette affrontare tutte le 12 fatiche, che, prese singolarmente, hanno un profondo significato esoterico. Ma nonostante tutto quello che aveva passato al termine dei suoi sforzi, la moglie di Zeus non aveva ancora colmato il suo odio e fece in modo che, inconsapevolmente, Eracle infilasse una camicia che, appena indossata, cominciò a dilaniare le sue membra, rendendolo pazzo di dolore. Non sopportando più gli atroci tormenti sul suo corpo, costruì con le sue mani una catasta di legna e, salendoci sopra, vi fece appiccare il fuoco. In mezzo alle fiamme rimbombarono tuoni e fulmini, e una nuvola coprì il corpo dell’eroe, che fu raccolto dal carro di Athena e portato sull’Olimpo dove, la stessa Era finalmente, lo accolse tra gli immortali.
Alle sovrumane imprese di Eracle, spesso compiute come sfida alla morte, si può quindi attribuire un significato morale che supera quello immediato di semplice narrazione di gesta eroiche. La storia di questo antico figlio del sommo Zeus è la metafora delle prove del Sentiero Iniziatico. Ercole è chiunque lotti con i problemi della vita, affrontando con coraggio i compiti del proprio destino, sopportando pene e tribolazioni, ma ci fa anche pensare che alla fine ci sia sempre la speranza di una ricompensa. La sua vita finisce nel tormento, il suo corpo brucia, ma il suo spirito, la sua anima vanno in cielo e Zeus lo fa diventare immortale.
Le interpretazioni allegoriche del mito abbondano e, con l’avvento del Cristianesimo, questo subisce una straordinaria metamorfosi: quella che vede Ercole come figura di Cristo che lotta contro il demonio e muore soffrendo per poi risorgere. E’ questo il motivo per cui ritroviamo l’eroe nei dipinti delle catacombe, oppure scolpito sulle porte di bronzo della Basilica di San Pietro a Roma o in quelle di San Marco a Venezia
Ercole raffigura l’Uomo, quello di ieri, di oggi ed anche del domani. E’ questa la vera, unica, importante forza dei miti e dei simboli: l’Immortalità.

Afrodire, la Venere dei romani dei romani, simbolo della bellezza

Nella mitologia greca il Caos è la personificazione dello stato primordiale di vuoto, buio, anteriore alla creazione, quel luogo primigenio della materia informe e rozza, come ci racconta lo scrittore Esiodo. Ma, in questo “nulla”:
“Ad un certo punto la luce avanzò gradatamente dall’oriente e nella spessa coltre delle nubi si notava un cielo più chiaro e cominciava a stagliarsi, ancora informe, la massa montuosa dell’isola di Cipro e nel mare, fin allora invisibile, si avvertiva il rumore delle onde con qualche vago luccichio. Ma la luce ben presto avanzò a fiotti, la¬cerò le nubi, si precipitò attraverso gli squarci ad invadere terra e mare, a restituire i colori e le forme alle cose. Un miracolo si compiva infine: in mezzo ad essi, ritta in una conchiglia di madreperla, amman¬tata da un’onda di capelli d’oro e da una nube di morbidi veli, emerse la bellissima Afrodite, dagli occhi azzurri, dalla dolce voce e dal sorriso pieno d’incanto”.
E’ questo il racconto mirabile che ci fa Esiodo – il maggior autore latino della mitologia- talmente entusiasmante che ci fa pensare inevitabilmente alla luce che squarcia le tenebre, il bene che vince sul male, il bianco sul nero, la notte sulle tenebre, l’ordine sul caos. Il suo influsso aiuta a sviluppare nell’individuo la percezione della propria bellezza interiore e il senso dell’armonia.
Afrodite pur essendo la sposa di Efesto, ebbe diversi amanti, soprattutto il dio Ares, dal quale ebbe numerosi figli e tra questi ci furono Armonia e Eros il figlio alato che vediamo emergere dalla nuvola bianca.

Athena, la Minerva dei romani, simbolo della Sapienza

Platone spiega la parola Athena come “mente di dio”. Cioè Athena è un modo di pensare e di vivere, una guida interiore.
Tutta la mitologia ed il significato esoterico di questa divinità ruota intorno alla sua nascita. Narra il mito che, agli inizi, Zeus non aveva in sé la saggezza che si addice ad un re, ma ogni volta che doveva decidere qual¬che cosa, si rivol¬geva alla dea Metis, la quale era, al contrario, tutta saggezza e prudenza e gli dava preziosi consigli. Così avvenne che Zeus s’innamorò della sua consigliera e volle farla sua sposa, ma il Fato aveva stabilito che, se da Metis fosse nato un figlio di sesso maschile, questo sarebbe stato il re di tutti gli dei, così come era già accaduto per Urano prima e Crono dopo. Allora Zeus, temendo di essere spodestato, come seppe che la moglie attendeva un bambino, per impedire la temuta profezia e nello stesso tempo per tenere sempre con sé la sua preziosa consigliera, la ingoiò, dopo averla trasformata in una goccia d’acqua. In questo modo Metis continuò, dall’interno del suo sposo e re, a consigliarlo, indicandogli il bene e il male.
Ma l’espediente di Zeus non valse ad arrestare la gesta¬zione di Metis e, quando il tempo fu trascorso, venne l’ora del parto. Non era però Metis che soffriva all’avvicinarsi dell’even¬to, bensì Zeus e fu Metis stessa che, dall’interno del corpo del suo signore, gli suggerì il da farsi. Subito Zeus invocò a gran voce Efesto, il dio dei metalli e delle officine.
Come questo giunse sulla vetta dell’Olimpo, il re degli dei gli ordinò di fendergli il cra¬nio con la scure, ed ecco che dalla fenditura balzò fuori una figura alta, solenne, armata di scudo, elmo e lancia, bellis¬sima nel corpo e nel volto, con occhi grandi e dallo sguardo severo ed insieme sereno. Dal cervello di Zeus era nata Athena.
Il frutto dell’olivo, che Athena dona alla città di Atene quale simbolo di pace dopo la competizione con Poseidone, alimenta le lampade, quindi illumina il buio. Ma, dal simbolo della luce fisica, si può passare alla riflessione della luce interiore. Era una dea molto riflessiva, cauta e per noi è l’equivalente di chi ha dei dubbi, che sono poi i fondamenti di ogni Conoscenza.

Ci sono molte altre figure divine che sono state affrescate sulla volta del Tempio, fra queste vorrei farvi osservare:

Zeus, (purtroppo è la figura meno visibile) il signore degli dei olimpici e di tutto il genere umano. Qui si vede poco perché l’affresco è danneggiato proprio al centro della volta;
Demetra-Cerere, la seminatrice, colei che aveva iniziato la Grecia il culto dei Misteri Eleusini, qui tiene in mano le spighe di grano simbolo di fertilità e di rinascita;
Apollo, il dio della medicina, ma anche del sole, protettore della musica e della poesia simbolo a sua volta della bellezza e della gioventù.
Efesto-Vulcano, colui che, per ordine di Zeus, modellò l’argilla per plasmare la donna, creatura bellissima ma che fu foriera di non pochi problemi agli uomini. E’ lo sposo legittimo di Afrodite, dio del fuoco e dei metalli.
Pan, il signore dei boschi e dei campi, la personificazione della natura selvaggia; protettore degli armenti ma anche colui che poteva incutere la paura (panico).
Ganimede, qui insieme ad Ebe, il fanciullo amato e quindi rapito da Zeus, coppiere degli dei, raffigurato nell’atto di versare il nettare o ambrosia;
Dioniso-Bacco, che nacque due volte. La divinità meno aristocratica e più vicina al popolo, Dio del vino e dell’ebrezza, il dio più misterioso e originale, irrazionale e istintivo del mondo antico, ma anche un dio iniziatico, dal momento che, chi era partecipe ai suoi misteri, poteva sperare in una eterna beatitudine. Era lo fece catturare dai Titani che lo fecero a pezzi. Dal suo sangue nacque l’albero del melograno, la cui simbologia è per noi molto cara.
Il piccolo Ermes-Mercurio: il messaggero degli dei, con il caduceo, simbolo di pace e di amicizia, ma anche di armonia e di equilibrio. Dio dei commercianti, dei viaggiatori, ma anche dei ladri.
Era-Giunone, dea protettrice dei matrimoni e delle nascite, nonché la sposa “ufficiale” di Zeus, è la divinità più positiva dell’Olimpo. Qui, come già detto, la dea allatta Eracle il cui nome significa appunto “La gloria di Era”.
Tutte le 9 Muse, tra le quali si riconosce Euterpe, “colei che rallegra” musa della musica, mentre tiene in mano il suo doppio flauto (Aulos) e anche Erato musa del canto che ha in mano i due Crotali;
Ares-Marte dio della guerra, con elmo e scudo, che si diceva fosse il padre di Romolo e quindi trasmetteva alla città di Roma, un’aurea di divinità.

Gli stucchi

Gli stucchi sono di Giovanni Martino Portogalli e sono del 1717, lo stesso anno della fondazione della prima Loggia Inglese, mentre sappiamo che, tra le prime Logge costituite in Italia, ci fu quella di Firenze nel 1731.
“Eros che svela a Diana l’amore di Atteone”
Questo stucco mi ha incuriosito non poco dopo che ne avevo appreso il significato. Ho sempre saputo che il mito greco dei personaggi qui rappresentati racconta che un giorno Atteone, famoso cacciatore, vagando per i boschi si fosse imbattuto, per puro caso, nel luogo dove Diana (Artemide) stava facendo il bagno nuda. Vedendosi osservata, la dea fu presa da una rabbia estrema e trasformò Atteone in un cervo. Praticamente il cacciatore fu trasformato in preda e subito i suoi stessi cani gli saltarono addosso e lo sbranarono. Questo racconta il mito greco classico e per me la storia contrastava con la scultura che noi possiamo vedere, cioè una dea che si mostra tutt’altro che crudele, anzi, felice, sorridente, ritratta con una sfumatura sensuale alla notizia portata da Eros. Poi, facendo un po’ di ricerche, ho elaborato un’altra supposizione: in età rinascimentale, come ho già detto, un po’ tutti i miti greci vennero attualizzati, in pratica riscritti e adattati alle circostanze e ai gusti del committente dell’opera. In questo stucco Diana, la dea che disdegnava l’amore e voleva rimanere per sempre vergine, si trasforma nel suo esatto opposto e la dea della caccia diviene un’allegoria del desiderio sessuale.
Evidentemente questo stucco doveva avere un preciso significato (che non scopriremo mai) per la famiglia che lo aveva commissionato.
“Il tempo che scopre la verità”
Il significato di questa rappresentazione è: “Per quanti sforzi si faccia per celarla, presto o tardi una menzogna viene sempre smascherata, portando alla luce la verità”. Era un modo di dire molto antico, già diffuso tra gli antichi romani. “Il tempo scopre la verità”, scrive per esempio lo stesso Lucio Anneo Seneca. Insomma, la verità viene sempre a galla e le bugie, come usiamo dire anche oggi, “hanno le gambe corte”.
Anche in questo caso si capisce che questo stucco, come il precedente, deve aver avuto un interesse molto particolare riferito alla committenza.

Alcune riflessioni

Noi, in quanto iniziati e ancora di più perché appartenenti al RSAA, non possiamo e non dobbiamo dimenticarci del nostro passato e questo significa anche conoscere e saper interpretare i miti greci, che sono la base della nostra cultura, le nostre radici lontane, quelle che ci hanno permesso di formulare il nostro pensiero collettivo.
D’altra parte, come dicevo all’inizio, sappiamo anche che tutta la Massoneria fa riferimento ad una leggenda mitologica: quella di Hiram, che ci accompagna dal grado di Apprendista fino al XXXIII grado del R.S.A.A. ed anche oltre.
Sappiamo poi che, nel XXXII grado ci vengono ricordati i “Maestri Grandi Iniziati del Passato” e il rituale ci dice che sono tutti discepoli di un’Unica Ricerca Universale, quella della Verità. Si tratta di 12 personaggi, alcuni esistiti realmente (Confucio, Pitagora, Platone, Gesù, Maometto), altri sono figure mitologiche nate dalla fantasia popolare (Rama, Krishna, Budda, Orfeo). Anche gli dei olimpici, quasi tutti rappresentati sulla nostra volta, erano 12 ed anche loro, per chi sapeva interpretarli, potevano e possono aiutare nella ricerca della Verità
Le tornate che si susseguono all’interno di questo tempio, sia dell’Ordine, ma ancor più del R.S.A.A., come ben conosciamo, sono ricche di significati allegorici riferiti alla costruzione del nostro Tempio interiore e, volgendo lo sguardo verso l’alto, sembra proprio che tutte le figure mitologiche, vogliano assistere e condividere con noi i nostri Lavori e il nostro modo di operare. Con il loro sorriso, la loro evidente serenità, il senso di armonia, pare che ci stiano aspettando, custodi silenziosi di quel Real Segreto che noi, Sublimi Principi, stiamo cercando di completare dentro di noi.
Maggio 2023

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COME SI COSTRUISCE UN’ICONA

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(di Emanuela de Leva-Vacca)

COME SI COSTRUISCE UN’ICONA

Dicono i greci che l’icona è “deuteròtypos toù prototypoù”, cioè “riflesso della realtà di Dio”, perchè dà all’immagine una dimensione trascendente.

L’iconografia è una cosa sacra, pertanto, anche la scelta del materiale di preparazione dell’icona è di natura trascendentale. I colori venivano preparati con materiali del tutto naturali: la pietra, il guscio dell’uovo (di gallina, di struzzo, oppure di legno o metallo), la pelle di pecora o materiali fabbricati dall’uomo come la carta pergamena, la tela, il vetro, lo smalto. Si prepara il medium all’uovo,una miscela di rosso d’uovo, acqua demineralizzata e pigmenti colorati.

Le icone erano dipinte su tavole di legno di tiglio, di larice, di abete o di pino. Con l’accetta si taglia il tronco, scegliendone il punto più duro. Il processo è faticoso e lungo.

La parte frontale della tavola ha un avvallamento: lo scrigno, limitato da bordi. Per determinare il tempo e il luogo di preparazione di un’icona spesso si è analizzato il tipo di colla usato, la profondità dello scrigno e la larghezza dei bordi. I bordi delle icone del XI-XII secolo sono larghi e lo scrigno è profondo. Le icone del XIV secolo sono spesso senza bordi.

Per la qualità del fondo s’impiegava il levkas (miscela di alabastro e colla). La tavola dell’icona viene lavata alcune volte con una colla calda e liquida. S’incolla un tessuto di lino. Quando è asciutto, si mette la miscela di alabastro con colla. Si mettono diversi strati di levkas. Si raddrizza la superficie. Sull’ultimo strato viene fatto il rilievo.

Nelle icone dal XII secolo, si faceva la “cesellatura” sull’alabastro dorato. A volte la cesellatura era fatta sulle aureole. Dal XVI secolo,si opera un intaglio sull’alabastro prima di dipingere. In un secondo tempo si esegue la doratura.

Finita la preparazione della superficie del fondo si opera il disegno. Si fa un primo schizzo della rappresentazione con un morbido carbone di ramoscelli di betulla, poi un secondo, più preciso, con una vernice nera oppure rossa. Il tutto in modo delicatissimo. Dopo di che, finalmente s’inizia il vero e proprio processo di pittura.

All’inizio la doratura: i bordi dell’icona, lo sfondo, le corone, le pieghe dei vestiti. Poi i vestiti, gli edifici, il paesaggio. Per ultimi i lichi, i volti. In fine si spalma la raffigurazione con una speciale vernice – lacca – di olio di lino cotto.

Il lavoro con i colori si faceva secondo una sequenza ben definita: il fondo, le montagne, gli edifici, i vestiti, le parti del corpo scoperte, i lichi. Dopo si illuminavano i dettagli dando rilievo agli oggetti con la biacca. Infine i balenii di luce chiari sulle parti in rilievo del volto: fronte, zigomi, naso, ciocche dei capelli, con la biacca o con l’ocra mescolata a biacca. Il roseo: la vernice rossa si poneva con uno strato delicato sulle labbra, sulle guance, sulla punta del naso, negli angoli degli occhi, sulle orecchie. Infine, con una vernice marrone liquida si disegnavano le pupille degli occhi, i capelli, le ciglia, i baffi, la barba.

Come paradigma per la pittura delle icone si usavano gli originali.

L’iconografia era un’arte molto forte e difficile. Il pittore si prepara appositamente per creare l’opera iconografica mettendosi in relazione con Dio, operando una purificazione spirituale e fisica: “…lui, quando dipingeva una santa icona, toccava cibo soltanto i sabati e le domeniche, non concedendosi pace né di giorno né di notte. Passava le notti in veglia, in preghiera e adorazione. Di giorno si dedicava all’iconografia con umiltà, semplicità, purezza, pazienza, amore, digiunando e pensando solo a Dio”. Le icone ben dipinte si consideravano dipinte non dall’iconografo, ma da Dio.

Si sono conservati pochissimi nomi di antichi iconografi perché era inopportuno porre il nome della persona di cui Dio si era servito.

LE ICONE DELLA MADRE DI DIO

Ad eccezione del Salvatore, non c’è nella iconografia cristiana un altro soggetto raffigurato così spesso come il volto della Santa Vergine. In tutti i tempi gli iconografi hanno cercato di dare al volto della Vergine tutta la bellezza, la tenerezza, la dignità e la grandezza, che potevano immaginare.
La Madre di Dio nelle icone russe è sempre triste. Questa tristezza è ora piena di dolore, ora piena di luce, però sempre carica di saggezza e forza spirituale. La Vergine Maria a volte “mostra” al mondo il Bambino, a volte “stringe” a sé il Figlio con tenerezza, altre lo “sostiene”. Porta sulla testa un velo, secondo il costume delle donne ebree di quel tempo. Questo velo, o drappo, si chiama in greco maforij. Esso è dipinto di solito in rosso (simbolo regale e di sofferenza). I vestiti sono dipinti in azzurro, segno di purezza. Il vestito della Vergine ha le “soprammaniche” che simboleggiano la “concelebrazione” della Vergine Maria con Cristo.
Sulla fronte e sulle spalle della Vergine sono dipinte tre stelle dorate. Simili ornamenti, fatti di metallo, erano molto diffusi tra gli antichi. Nelle icone le stelle si dipingono come segno che la Madonna è rimasta Vergine prima, durante e dopo il parto. Le tre stelle sono anche simbolo della Santissima Trinità. In alcune icone la figura di Gesù Bambino copre una delle stelle, simboleggiando così l’Incarnazione della seconda ipostasi della Santissima Trinità, il Verbo.
Esistono cinque tipi principali d’icone della Vergine Maria:
1. La Vergine Orante o “Panaghia” o “del Segno”
2. La Vergine che mostra la via o “Odighitria”
3. La Vergine della Tenerezza o “Eleousa”
4. La Vergine Kyriotissa o “Panachranta”
5. La Vergine della Supplica o “Haghiosoritissa”

VERGINE ODIGHITRIA
Bari è molto collegata all’Impero bizantino. Nella sua Cattedrale infatti c’è l’icona della Madonna di Costantinopoli conservata nella cripta, in precedenza dedicata alla Vergine Odegitria, che in alcuni documenti è anche ricordata con il nome popolare greco di “Metizza” , o “Madre Divina”.
‘icona era molto venerata a Costantinopoli, capitale dell’Impero Bizantino,e, secondo la tradizione fu dipinta da San Luca. Prese il nome di “Odegitria” dal luogo in cui era collocata, nel monastero dei monaci Calogeri di san Basilio, detto “delle guide” – “ton Odegòn”, cioè “indicatrice della via”, fatto edificare dalla regina Pulcheria sulla strada retta, chiamata dai greci “Odilonica”, da cui deriva il termine “Odegitria”, cioè che “mostra la via”. L’icona andò distrutta nel 1453 durante la conquista turca. L’immagine attuale è una copia di una più antica eseguita, probabilmente, dal pittore Onofrio Palvisino da Monopoli nella prima metà del 1500. Ancor oggi si festeggia, come avveniva anticamente a Costantinopoli, il primo martedì di marzo.

CRISTO PANTOCRATOR

L’immagine sacra, forse più conosciuta al mondo, è quella del Cristo ortodosso, Pantocratore, letteralmente “sovrano di tutte le cose”. In Italia vi sono molte sue immagini di rara e particolare bellezza e perfettamente conservate. Le più famose sono sicuramente a Ravenna, Palermo e Cefalù in Sicilia, Firenze. Una delle più famose, è a Istanbul, nella Basilica di Santa Sofia o Santa Sapienza, principale monumento della città e oggi adibita a museo.

Il Cristo Pantocrator è stato rappresentato nelle icone, negli affreschi, nei manoscritti, nei mosaici, nelle grandi absidi e cori delle cattedrali e nelle cupole, sempre, più o meno, con le medesime sembianze.

A noi però interessa il mondo delle icone e in quanto tale non può essere paragonato a nessun altra opera d’arte. L’icona non è un quadro, in molti sostengono che per comprendere l’arte iconografica, si debba avere fede e la vista spirituale. Non sono d’accordo. Sono convinta che, l’ispirazione di un pittore, può essere del tutto simile a quella di un monaco che nel ‘300, accostandosi a creare un’icona, digiunava e si purificava. Non vedo molte differenze, era tra l’estasi ossessiva di Van Gogh e quella religiosa e mistica di un monaco del Monte Athos. L’icona è sicuramente una finestra su un mondo trascendentale e forse per apprezzarla bisogna avere la vista spirituale, ma quando mi fermo in estasi davanti ad un opera di Michelangelo e la sindrome di Stendhal s’impossessa di me, credo, anzi, sono convinta di essere in una dimensione mistica, questo lo dico senza nulla levare alla leggiadra perfezione delle mie adorate icone. Scusate la digressione, torniamo al Nostro Cristo Pantocratore. Quello che voglio dire è che per poter apprezzare un’icona non è necessario essere per forza un credente, ve lo dice una che appunto, non è preda dello zelo religioso. Qui ci vuole una piccola “boucle” per spiegare il perchè nacque l’“iconoclastia”, la feroce caccia alle icone. Ogni tanto la Chiesa deve epurare il mondo dal male, questa volta non sono streghe o catari o templari, ma icone, innocui quanto bellissimi oggetti sacri. Siamo nel 730, l ‘imperatore bizantino Leone III proibisce il culto delle icone. Bisanzio, divenuta Costantinopoli e poi l’attuale Istanbul, era si sa, molto vicina al mondo mussulmano e da esso sicuramente influenzata. Molti re e imperatori, pur essendo cristiani, nei fatti seguivano gli usi arabi e quindi mal tolleravano chi si perdeva in quello che loro definivano “mera idolatria”, che anche gli ebrei condannavano, ma senza sposarne il cieco fanatismo. Nell’islam l’interdizione della venerazione degli idoli, ai quali i musulmani aggiungono anche la croce e le icone, è assoluta. I vescovi dell’Asia Minore erano quindi influenzati dall’islam, e cercavano di purificare la religione cristiana da ogni elemento materiale che per loro appunto diventava idolatria. Si aprì quindi la caccia a tutto ciò che rappresentava visivamente Dio, la Santa Trinità , santi e angeli. Icone, mosaici, affreschi furono distrutti e i seguaci ferocemente perseguitati. Ma si sa, se uccidi un simbolo, non ne annienti la fede, quindi, nell’ombra i cultori di quest’arte, proseguirono la loro opera.
Il culto delle icone fu riammesso temporaneamente nel 787 dal VII Concilio Ecumenico, e definitivamente nel 843. Uno dei più autorevoli difensori della venerazione delle icone fu il teologo Giovanni Damasceno (675-750 circa).
Le prime rappresentazioni del Cristo erano molto semplici e simboliche: l’agnello, il pesce, a volte un pastore. In seguito il simbolismo si evolve fino a diventare figura umana. Solo nel IX secolo abbiamo la descrizione fisica di Gesù: “…di bell’aspetto… ciglia aggrottate, occhi bellissimi, con il naso lungo, capelli chiari, inclinato, umile, con un bellissimo colore del corpo, barba scura, dall’aspetto color di frumento, somigliante alla madre, con dita sottili, mite, silenzioso, paziente…”. Le icone che rappresentano il Cristo non sembrano rispecchiare molto questa descrizione, anzi, spesso, come alcune Madonne, Egli è scuro di pelle, di capelli e ha un aspetto che incute reverenza e rispetto, a volte anzi è severo e terribile. Un Cristo in totale antitesi con quello europeo o comunque cattolico che lo vuole chiarissimo, efebico, effeminato, rassegnato e spesso sottomesso, mai forte e volitivo. Nell’iconografia vi sono diversi tipi di rappresentazione del Cristo, le più ricorrenti e famose sono:
1. Spas Pantocrator “ Signore creatore del mondo”. Nelle immagini ha l’età della sua predicazione. Indossa un mantello coi colori divini, il rosso e l’azzurro, con la mano sinistra tiene il vangelo, con la destra benedice.
2. Spas in trono La figura di Cristo è su di un trono. Il trono è il simbolo dell’Universo, di tutto il mondo visibile e invisibile ed inoltre, è il simbolo della gloria regale del Salvatore.
3. Spas tra le potenze è l’immagine centrale nell’ “iconostasi”, parete della chiesa ortodossa sulla quale si distribuiscono, in un ordine prestabilito, le icone del tempio ortodosso (dal greco eikon, immagine, e histemi posto). Sullo sfondo di questa icona si vede di solito un quadrato rosso, sotto un cerchio azzurro. Il simbolo della terra e il simbolo del mondo spirituale, il quadrato e il rosso, il cerchio e l’azzurro. Nel cerchio ci sono gli angeli, le potenze celesti, da cui prende il nome l’icona. Nel quadrato i simboli dei quattro evangelisti.
4. Spas Emmanuele, icona rara. L’immagine di Cristo è di quando aveva dodici anni.
5. Spas Beato Silenzio è un’icona di Cristo rarissima. Rappresenta il cristo “prima” della sua discesa tra gli uomini. Nell’aureola c’è una stella a otto punte: due quadrati, la divinità e l’impenetrabilità della Divinità. Il Salvatore è raffigurato sotto forma di un angelo.

LA VERGINE DI VLADIMIR
Una delle icone più famose al mondo è la Vergine di Vladimir che vanta una storia molto strana e intrigante. L’icona è stata dipinta forse da Teofane il Greco, architetto e autore di affreschi di portata immensa, che visse per molto tempo a Novgorod, in Russia sede incontrastata della cultura nei secoli XIII-XIV. La tradizione vuole che la Madre di Dio di Vladimir, come numerose altre icone, sia stata dipinta da San Luca. Secondo il racconto di un cronista, l’icona fu portata nel XII secolo da Costantinopoli a Kiev e che appartenga all’arte bizantina dell’epoca macedone. Trovò collocazione definitiva nella città di Vladimir (Vladirmiskaija) nel 1164. Dopo il 1395 è stata trasferita nella Cattedrale della dormizione al Cremlino. Celebre per i suoi interventi miracolosi, è sfuggita a diversi saccheggi ed incendi; la si trova presente ad ogni importante avvenimento della Russia come vero tesoro sacro della nazione.

LA REGINA TAMARA E LA MADONNA DI KHAKHULI
Figlia primogenita del re georgiano Giorgio III, Tamara governò durante quella che è detta età dell’oro della Georgia. Fu un’eccellente sovrana, tanto che fu ribattezzata “re dei re e regina delle regine”. È considerata tra i più grandi monarchi georgiani ed il suo regno ha visto la conquista di quasi tutti gli stati confinanti di religione musulmana. Nel 1185 un gruppo di nobili georgiani organizzarono un matrimonio per Tamara ed il candidato sposo sarebbe stato il principe russo Yuri Bogolyubsky. Tamara accettò la proposta dei nobili e lo sposò, ma da questo matrimonio non nacquero figli. La regina ben presto fu delusa dal marito, che aveva dimostrato di essere immorale, ubriacone e per giunta impotente. Divorziò dopo soli due anni nel 1187 e si scelse un marito più consono alle sue esigenze, il principe Davide Soslani. Davide fu re solo di nome, di fatto Tamara continuò ad essere chiamata “re dei re e regina delle regine”, il sovrano effettivo. L’ex marito di Tamara, Yuri, sì alleò con un potente gruppo di nobili georgiani e con essi organizzò due rivolte, ma nella seconda (1191) soccombette nel tentativo di conquistare il potere. Dopo aver riportato l’ordine negli affari interni Tamara si dedicò all’espansionismo, seguendo le orme del padre e anche qui ebbe un notevole successo, grazie alla sua capacità strategica e alla lungimiranza nella organizzazione e riorganizzazione del regno. Contribuì a fondare l’impero di Trebisonda, sulla riva meridionale del Mar Nero, fornendo ai nipoti bizantini un esercito con il quale conquistare questi territori. Durante il suo regno la Georgia raggiunse l’apice della sua potenza politica, economica e culturale. Come gli altri monarchici medievali, Tamara svolse un ruolo attivo nella religione e nella cultura del proprio paese, infatti fece costruire numerose chiese ortodosse in Georgia. Tamara morì nel 1212 e dopo la sua morte fu canonizzata dalla chiesa apostolica autocefala ortodossa georgiana. A tutt’oggi il nome di donna più diffuso in Georgia è ancora Tamara.

La Madonna di Khakhuli è forse la più prestigiosa icona georgiana. Il trittico di Khakhuli, della Theotokos Vergine Maria, deve il suo nome al monastero medievale di Khakhuli (ora Haho, Turchia), dove era originariamente conservato. Essa è stata creata tra l’VIII e il XII secolo e incorpora oltre 100 esemplari bizantini di smalto cloisonné. All’inizio del 12 ° secolo, il re georgiano Davide il Costruttore, aveva aggiunto diverse pietre preziose all’icona ritenuta miracolosa. Venne in seguito trasferita al monastero di Gelati, dove la regina Tamara, la ornò di una cornice d’oro con le ali d’argento dorato. Secondo le cronache medievali, nella battaglia di Shamkor nel 1195, quando furono sequestrate grandi quantità di bottino ai mussulmani, la regina Tamara, che aveva una grande venerazione per l’icona, donò alla Madonna di Khakhuli, lo stendardo vinto al califfo di Shamkor. L’icona fu rubata da Gelati nel 1859, presumibilmente su iniziativa del governatore russo di Kutaisi, conte Levashov. La maggior parte dell’oro e dei gioielli furono strappati e venduti in Russia. Più tardi, Levashov commissionò una riproduzione da un orafo di Mosca e la offrì al monastero di Gelati nel 1865. L ‘icona originale, così come molti dei suoi medaglioni, entrò successivamente nella collezione privata del pittore Botkin russo Mikhail (1839-1914) per poi finire al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. L’icona fu restituita alla Georgia solo nel 1923 in avanzato stato di degrado.

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