ISTRUZIONE PER APPRENDISTI

ISTRUZIONE PER APPRENDISTI

Tra i vari compiti istituzionali del Secondo Sorvegliante vi è anche l’istruzione degli apprendisti.

Istruzione è una parola importante, prevede che l’istruttore abbia delle conoscenze da estendere agli “allievi”.

In questo caso, purtroppo, le conoscenze sono piuttosto complesse da esprimere.

Si tratta, infatti, di acquisizioni molto personali, pertanto poco trasmissibili ad altri.

La Massoneria, si sente dire spesso anche in questa Officina, non è una religione (non ha dogrni), né un sistema filosofico (non ha una dottrina). Esistono molte definizioni di questa Istituzione.

Come altri, credo sia corretto considerarla una Scuola Iniziatica deputata ad insegnare un metodo.

E’ un metodo di ricerca che utilizza i Simboli, il Rito, ed il dialogo con i fratelli; serve ad indagare se stessi e il mondo esterno attraverso queste nuove tecniche.

Per rappresentare tale ricerca si usa sovente il simbolo del viaggio. Così sono infatti chiamate le quattro prove dell’lniziazione.

Percorrere la Via provoca una profonda, graduale trasformazione nel viaggiatore tale da sciogliere la benda che gli copre gli occhi.

E un viaggio di gruppo insieme agli altri fratelli della Loggia, senza guide spirituali o guru, che richiede volontà, impegno personale e disciplina; attraverso varie tappe intermedie la Via dovrebbe portare a quell’obbiettivo che abbiamo richiesto il giorno dell’iniziazione.

M. VEN.: Che cosa volete da noi?

Profano: La Luce.

M. VEN.: Dichiarate sul vostro onore di chiedere la Luce Massonica liberamente e spontaneamente con disinteresse e spirito di sacrificio per il vostro ed il nostro perfezionamento?

Profano: Lo dichiaro sul mio onore.

Per il vostro ed il nostro perfezionamento. Dunque uno dei motivi più comuni che spinge un individuo a bussare alle porte del Tempio è il desiderio di crescere. Tale desiderio, sovente, si associa ad una sensazione di insoddisfazione per ciò che ci può ancora offrire il mondo profano.

In un particolare momento della nostra vita abbiamo parlato con un fratello che ci ha vagamente accennato all’esistenza della Massoneria. Dopo un periodo di tempo più o meno lungo abbiamo effettuato la scelta. Domandina burocratica, tegolatura, ed una sera ci siamo ritrovati in una stanzetta buia in compagnia di simboli poco comprensibili; subito dopo siamo stati iniziati.

Anche i più cinici e disincantati di noi conservano il ricordo di quella sera.

La sera che viene tradizionalmente associata alla morte del profano che rinasce a nuova vita come Iniziato.

Un neonato.

L’Iniziato dovrebbe essere davvero così, come una tabula rasa.

Invece, essendo uomo adulto, ha una sua storia personale, di idee, concetti, giudizi.

Per questo motivo il primo simbolo che ci insegnano ad utilizzare è il martello.

M. VEN.: “Fr. Esperto, mostrate al Fr. Apprendista la pietra grezza e insegnategli a compiere il suo Lavoro di Apprendista”.

( L ‘Esperto conduce l’Apprendista accanto all’Altare e, col martello, gli fa battere tre colpi sulla pietra grezza….).

Il Massone è chiamato anche Libero Muratore; tradizionalmente, infatti, è considerato discendente degli antichi costruttori di cattedrali; per questo molti nostri simboli si rifanno alle tecniche costruttive.

Il compito dell’Apprendista Libero Muratore è di “squadrare la pietra grezza” a colpi di martello così da trasformarla in pietra squadrata adatta alla costruzione del Tempio.

In questo caso, il martello rappresenta la volontà, lo sforzo di cambiare, di imparare, di pensare, di perfezionarsi.

“Squadrare la pietra” oltre all’evidente e fondamentale significato morale, è simbolo di un’azione molto più ampia: l’abbandono di pregiudizi, di abitudini radicate, di false costruzioni intellettuali .

Si dovrebbe realizzare che tutto ciò che abbiamo capito fino al giorno dell ‘iniziazione non conta più.

Ovviamente non tutto è da eliminare, ma da rivalutare alla luce delle nuove esperienze e conoscenze.

Si deve “riordinare” il modo di organizzarsi la vita, le amicizie, la scala dei valori, la priorità delle scelte. In pratica rimettere in discussione il nostro modo di vivere con noi stessi e con il mondo che ci circonda.

La volontà di migliorarsi, il desiderio di conoscenza, una certa disponibilità ad ascoltare, ad apprendere, ed a correggersi sono le doti principali di chi vuole entrare in Massoneria ed anche la dote migliore di chi ne fa parte.

La nuova situazione di Iniziato dovrebbe gradatamente diventare il fulcro centrale su cui ruota tutta la nostra vita.

L’iniziazione cosi, da virtuale potrà progressivamente trasformarsi in reale.

Dunque il Massone è sì, un uomo che ricerca, ma è soprattutto un uomo di volontà. Squadrare la propria pietra, quindi essere contemporaneamente martello e pietra, è un compito non semplice, talora anche sgradevole; tuttavia indispensabile.

Ci troviamo di fronte ad uno dei primi esempi di “metodo massonico”: i simboli sono entità che vanno studiate e meditate, ma anche strumenti che si devono utilizzare.

In questo ambito rientra un ‘altra caratteristica peculiare dell’Apprendista:

IL SILENZIO

Perché il silenzio? Le risposte sono numerose.

L’ Apprendista si ritrova con molte aspettative ed altrettante perplessità come un bambino di tre anni che non sa né leggere né scrivere ma solo compitare.

Pertanto è indispensabile che abbia un periodo di adattamento, di ascolto, di comprensione.

Bisogna inoltre valutare la differenza tra il rimanere muto e rimanere in silenzio.

Il silenzio nel nostro caso è qualcosa di più del non parlare.

E un silenzio interiore; si può intuire in particolari momenti di massima concentrazione. Ma non basta ancora. Non si tratta solo di una situazione psicologica di grande attenzione su un problema, ma va oltre e coinvolge la capacità di svuotare la nostra mente per renderla il più possibile ricettiva.

Questo tipo di Silenzio è considerato fondamentale in tutte le vie di “perfezionamento”.

In Silenzio dobbiamo eseguire il rituale.

In Silenzio dobbiamo ascoltare i fratelli che scolpiscono una tavola ed i commenti successivi.

L’ascolto infatti, è indispensabile; il Fratello che parla esprime una verità parziale, incompleta, minima, ma in ogni caso quello che per lui, in quel momento, è la Verità. La fratellanza ci porta ad ascoltare con affetto e benevolenza. Ma non basta pensare che quella sia la “sua verità”. Quell’aggettivo “sua” mi distacca e mi allontana. Il riuscire a pensare, anche solo per un momento, che quello che dice sia “vero” in assoluto rende le parole espresse in Tempio molto più dense di significato.

In Silenzio dobbiamo cercare di capire, il linguaggio dei simboli (non sappiamo infatti né leggere né scrivere).

In Silenzio dobbiamo squadrare la pietra.

Ovviamente tutto questo rappresenta una meta da raggiungere anche per molti che come me, sono chiamati “maestri”.

Dunque, imparare a squadrare la pietra, riuscire gradualmente a creare il Silenzio, sono le condizioni fondamentali per poter “lavorare”.

La partecipazione attiva ai riti, la meditazione sui simboli, il dialogo con i fratelli permetterebbero il lento progresso lungo la Via.

Questo è il compito di noi Massoni.

Gli Apprendesti devono iniziare su questa strada, ascoltando i Fratelli più anziani con una certa benevolenza, cercando di cogliere i loro lati positivi, sorvolando su quelli meno luminosi, giudicando i Maestri non per quello che dovrebbero essere, ma per quello che sono in realtà: allievi solo un po’ più vecchi.

S. Clnn,                            

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CONSIDERAZIONI E PROPOSTE

CONSIDERAZIONI E PROPOSTE

Dopo un colloquio con il fratello R. S. mi è successo di fare delle considerazioni che reputo doveroso esporvi.

Già perché, secondo me, credo sia sempre un dovere comunicare ai fratelli i risultati dei nostri pensieri.

I lavori prevedono, abitualmente, la scolpitura di una tavola e la successiva, conseguente, discussione.

Però, come ben sappiamo, raramente accade che qui, in Tempio, si affronti il tema nella sua interezza e alla radice: molte, forse troppe volte ci limitiamo ad ascoltare ed a fare qualche intervento, talora anche solo marginale e di scarso rilievo. Questo per motivi che credo identificare in:

l . le idee si affollano in testa e non è facile coordinarle:: prendendo la parola rischiamo di fare “brutta figura” o anche di non riuscire a dire quanto vorremmo; 2. perché è già abbastanza tardi;

3. perché non vogliamo urtare nessuno.

Insomma, le cause sono magari poco nobili o difficili da ammettere, ma sono o stanchezza, forse anche timidezza o, peggio ancora, la scarsa considerazione nei confronti del fratello che ha scolpito la tavola.

Ci sono inoltre le giustificazioni “classiche”: tanto la dirà qualcun altro e meglio di me, non è poi così importante.

Fuori però, nei corridoi, come per magia ecco risuonare i: “non sono d’accordo”, “si però io …” “non credo sia cosi”, “non ho mai sentito né letto cose simili”. Credo che questo modo di pensare o di fare sia:

Una cattiva abitudine, che priva tutti i fratelli di uno o più contributi, fosse anche solo il dubbio che non sia tutto giusto quello che si è ascoltato quella sera, ma se non lo diciamo ciò che è stato detto diventa legittimo.

Sbagliato, perché è solo nel TEMPIO che il confronto delle singole opinioni può e deve avvenire, esattamente come ogni atto rilevante della nostra vita massonica. Antifraterno, poiché privilegia alcuni fratelli ed escluse tutti gli altri dal conoscere la nostra opinione.

Consideriamo inoltre che la Massoneria non è, né deve essere, patria del conformismo.

Il nostro pavimento è bianco e nero, non grigio!

Non trasformiamo la nostra Istituzione in una marmellata!

Un eccessivo uso del “YES SIR” poco si addice alle nostre colonne.

Qualche uscita fuori dalle righe può solo giovarci.

Non si deve avere paura di offendere un fratello con il nostro dissenso, purché sia ovviamente salvaguardata la forma e l’atteggiamento che devono sempre essere improntati a fratellanza.

Capita però, a volte, di sentire e veder superare i limiti imposti da stile e fratellanza.

Ed eccomi al dunque: qualche sera fa, al termine dei lavori, eravamo riuniti al secondo piano per un brindisi e stavo conversando con alcuni fratello quando ho sentito un fratello esprimere opinioni su altri fratelli (fra i quali il sottoscritto).

Giudizi non certamente lusinghieri e, in me, la stizza è stata inevitabile.

Chiaro che, per lo specifico caso, questo è un mio problema, forse di alcuni fra noi e auspico che non manchi l’occasione per un sereno confronto di idee fra gli interessati.

Risulta però evidente come, sia per il fatto in se, sia alla luce delle considerazioni suesposte, io giudichi doppiamente negativo e scorretto il dire (ed il fare) di tale fratello, peraltro carissimo e degno.

Perché, se si ha una opinione negativa su di un altro fratello, o su come lui svolge il suo incarico in Massoneria non se ne parla con l’interessato?

Perché in alternativa non se ne parla a lavori aperti?

Perché si parla male di un fratello senza consentirgli almeno di difendersi o di spiegarsi?

Perché, infine, esprimere pareri negativi su di un fratello?

Ricordo che una delle nostre massime ci impone di parlare sempre bene dei fratelli e, quando questo non sia possibile, di tacere.

Così non facendo si rischia di scatenare una guerra fratricida perché io mi sentirò autorizzato, mi devo pur difendere, a dire cose negative di chi ha sparlato male di me, offendendomi.

E magari, per sovrappeso, coinvolgo altri fratelli …

Non credo sia il caso di dilungarmi oltre sulla questione.

Fin qui l’aspetto di critica demolitoria del mio dire.

Ma noi, ben lo sappiamo, ci riuniamo per costruire e non per demolire. Ecco allora i miei suggerimenti:

Accertarsi di avere ben compreso le ragioni del comportamento e/o delle parole di una persona (a maggior ragione se un fratello) prima di emettere giudizi. Nel dubbio, parliamone.

Sollccitare la ripresa della discussione su argomenti trattati in tavole precedenti ed in cui ci sia la sensazione che non sia stato detto tutto quanto era da dirsi. Se tutti i fratelli sapranno che, regolarmente, verrà conce)sa la parola sulla “tavola tracciata nella precedente tornata” è possibile che molti fratelli si prepareranno un intervento, proprio quell’intervento che, nella sera della scolpitura, non sono riusciti a fare.

D’altronde già la consuetudine di concedere la pausa ai lavori a metà tornata, subito dopo la scolpitura della tavola, era nata proprio per consentire il riordino delle idee. Quanti fra noi la utilizzano a questo scopo?

Anche la possibilità di prendere la parola per il bene dell’Ordine in generale e di questa Loggia in particolare si presta bene ad esaminare cosi spinosi ed urgenti.

Ma, e soprattutto, via le false riverenze, via il timore (più o meno fondato) di urtare la suscettibilità di altri fratelli.

Via la brutta idea di “non essere all ‘altezza”.

Siamo fratelli, ci siamo selezionati e poi scelti, ci dobbiamo stima e rispetto, se non amore ed amicizia.

LAVORIAMO ALLA LUCE DEL SOLE, sempre!!!

A. Bgg

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PLATONR DICE CHE

Platone dice che …

A Platone dice che l’anima è dotata di ali e vola alto, ma poi le perde e cade: si salva entrando, nella caduta, in un corpo. Il corpo quindi salva l’anima, ma contemporaneamente essa perde la sua libertà le sue ali.

C Il corpo, non avendo il paradiso terrestre, quindi non conoscendolo, mira a perseguire le gioie della vita, subendo però anche il dolore.

B L’anima però è poco interessata a questo e vorrebbe ritornare a volare verso la libertà.

D Il corpo usufruisce di varie cose, alcune potenzialmente molto piacevoli (sesso e cibo, ad esempio), e altre no (il freddo e le malattie).

B Direi che questi sono limiti del corpo, ma certo non dell’anima, comunque. Per questa il corpo è una prigione, da cui si desidera evadere al più presto!

D Anche se è, o può essere, una prigione dorata.

B Verissimo: se stai mangiando bene, se ascolti della buona musica, in tutta tranquillità, non puoi dire che sei in prigione: direi che queste cose ricordano forse di più il paradiso…

A Però il corpo è molto “terreno”, è schiavo di necessità, di bisogni…

C E questi non hanno mai fine, sono inesauribili ed infiniti, ogni bisogno ne genera almeno altri due, con una crescita quasi esponenziale.

B ln questa direzione non vi è crescita, non c’è evoluzione: non si esce mai dal limite umano, terreno. … Crediamo di cambiare, invece rincorriamo sempre le stesse cose, gli stessi ideali: questo perché non “centriamo” mai il vero bersaglio, la vera “mancanza”.

A    Su questo piano, la vera vittoria è giungere a non avere più alcuna necessità, alcun bisogno da soddisfare.

D Però il corpo, il solo corpo, vuole avere dei bisogni: è la società, intesa come tutti gli altri uomini, questo lo sa bene, e se ne preoccupa e glieli crea, assecondandolo (o guidandolo?) imponendoglieli. Sarò troppo figlio del mondo e di questo secolo, ma io trovo bellissimo soddisfare i miei bisogni-desideri e poter permettere a mia moglie ed ai miei figli le stesse.

C Non è che vorremmo che si abbandoni il mondo, che si diventi asceti. La nostra

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istituzione mai ha prospettato queste soluzioni, tuttavia può essere sensato domandarsi se e quali sono i limiti.

  • La vera natura dell’uomo è ricercare la felicità, che non è la stessa per ognuno di noi. Qualcuno vuole la verità, altri l’amore, altri ancora il potere. Credo personalmente che un mix dei suddetti beni possano rappresentare effettivamente un rilevante modo per almeno avvicinare la felicità … terrena.
  • Per me il bene massimo è dato dalla libertà, comunque intesa: libertà dal bisogno, ma anche libertà di perseguire il piacere ed il sapere.

B Apprezzo maggiormente il concetto di verità, che ti fa conoscere il bene ed il male, lo scopo della nostra presenza nell’universo, la vita e la morte: se non avessi questi intenti, certamente non mi troverei tra te colonne.

A Credo che la necessità di ricerca sia, tra le cose elevate, l’elemento più “umano” che abbiamo: “fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza”, dice il sommo Dante.

D Di fatto però siamo circondati da idoli, da violenza: l’uomo è la somma di tutti i difetti, non delle virtù. Compresi i sedicenti “iniziati”! Per un uomo leale e sincero che conosco, ne conosco almeno dieci volte tanto che non lo sono affatto. E lo stesso posso dire di saggi e stolti, dei caritatevoli e degli egoisti e cosi via.

B Quando prima parlavo dell’uomo che ricerca la felicità intendevo dire che non la si può perseguire che con equilibrio: se in noi c’è corpo e anima dobbiamo soddisfare entrambe le componenti. in uno sviluppo armonico.

Il corpo è rappresentato dalla materia, che è ben rappresentato dal nostro grado di apprendista, dal piano orizzontale, mentre l’anima, o spirito, è tratteggiato dal grado di maestro, è la verticale che unisce la terra al cielo, l’uomo al divino.

D Siddartha insegna che c’è un momento per il corpo ed uno per lo spirito…

A L’incontro tra l’orizzontale ed il verticale (la croce) genera un punto, ed è quello il luogo dove deve collocarsi il libero muratore, almeno colui che raggiunge il grado di maestro.

D Già, perché il maestro dev’essere tale non tanto per sé, ma per i suoi simili, cominciando magari dai propri figli.

  1. Lo scopo dell’uomo è conoscere i ritmi della natura, innanzitutto della propria: dalla stato d’animo al pulsare del proprio cuore, dal percepire tutte le nostre componenti fisiche, come ci insegna lo yoga, alle pulsioni erotiche per sottolineare e rafforzare le armonie e per tentare di ridurre tutti gli squilibri.
  2. Prima tuttavia occorre riuscire a fare un esatto quadfo di quello che importa e quello che importa meno: intendo dire che bisogna conoscere ciò che è bene e ciò che è male, e non sempre è cosi facile come sembra. … Insomma, un enorme

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A Occorre talvolta fare silenzio in noi, ascoltare il nostro intimo, coltivarlo anziché zittirlo e sopraffarlo.

D Avete notato come invece questa società faccia, imponga esattamente il contrario? Il silenzio viene bandito, evitato, visto ed additato come un male, come un sinonimo di solitudine.

Cercano al contrario di stordirti, di evitare che uno abbia la possibilità di riflettere, di domandarsi il perché di certe cose.

Vi faccio l’esempio, eclatante, dei negozi più proiettati al futuro, i supermercati: possono essere visti come esempio di alienazione, ognuno con il proprio carrello della spesa, che compera cose di cui, almeno in parte, non ha affatto bisogno. E, non a caso, stordito da colori e dalla musica.

B Per parte mia, vi dico che invece, ogni tanto, faccio un bagno di … umiltà. Penso di sapere di non sapere, e così smetto immediatamente di sentirmi un po’ onnipotente, per combattere quello che il vivere quotidiano, per via del mio lavoro (profano), mi instilla.

A Ciascuno di noi è, deve essere, sinceramente orientato alla ricerca del bene e del giusto. Ma ognuno con percorsi differenti: l’istituzione è l’alveo, ma poi ognuno è una goccia che segue una diversa via, per cui qualcuno entra nella corrente impetuosa del centro del fiume, e qualcun altro si ferma nella pozza stagnante sul bordo; altri ancora viaggiano lentamente bordeggiando le rive. Alcuni, pochi, sono invece destinati a cambiare di stato, evaporando. E ancora, ci sarà chi verrà bevuto e chi arriverà al mare.

D Occorre che qualcuno invece si preoccupi di propagandare i (buoni) risultati raggiunti.

Perché molti non hanno la cultura, la necessità, la possibilità di cercare (bene o vero, fa lo stesso), né comprendono il senso, la necessità di farla, questa ricerca.

Noi, come istituzione, in questo momento e luogo, non abbiamo certo I ‘autorità, il rilievo e la credibilità per fare, del nostro operare, alcuna propaganda positiva. E la scuola non é più ben messa di noi, senza contare che, per definizione, si rivolge solo ai giovani.

Purtroppo, non c’è che la Chiesa (guarda un po’ la novità!), che possa proporre un lavoro di prospezione interiore.

  1. Tuttavia solo chi cerca il bene può sperare di realizzarlo! E la stessa cosa vale per la verità, la libertà e quant’altro vogliate. Insomma, l’intenzione deve essere retta.
  2. È molto facile, in questa società del benessere, vivere male!

A La lotta è infatti, tra l’intenzione e i vari condizionamenti, i quali, vorrei adesso ricordarlo, nascono sovente dall ‘esperienza.

C Ma torniamo ad un aspetto che mi interessa molto: indipendentemente dal fatto di avere, ora, un piccolo uditorio e una scarsa credibilità, unite al sistematico boicottaggio dei media, ma in buona sostanza, secondo voi, che cosa esattamente

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lavoro, tuttavia un po’, come dire, riduttivo.

C Serve a poco conoscere la nostra natura, che cambia continuamente. La soluzione può essere scoprire ciò che in noi è immutabile!

B E la nostra cultura, il nostro ambiente sociale. gli obblighi che il vivere ci ha procurato, dove li mettiamo? Non possiamo comportarci, questo lo abbiamo già detto e riconosciuto molte volte, come certe “teorie” vorrebbero, e forse anch’io, ma…

D Ricordo a tutti voi che i bisogni cambiano, tutti, con l’età, con i luoghi e con la cultura. La precarietà è ciò che contraddistingue l’essere umano (solo il profano?). L’iniziazione, da questo punto di vista, è il tentativo di agganciare il transitorio all ‘immortale, l’umano al divino, l’animalesco che è in ciascuno di noi insomma, con il sovrumano.

  1. D’accordo, l’uomo con l’iniziazione comincia una costruzione che Io deve rendere più libero.

E credo che l’elemento che renderà più forte l’iniziato sia il raggiungimento, o quantomeno I ‘avvicinarsi, alla sua libertà.

Libertà dai condizionamenti, dai sentimenti, dai bisogni e dall’egoismo.

I condizionamenti che, come credo tutti voi concorderete, dovrebbero essere i primi, e più facili ad eliminare perché riconoscibili con facilità, anche perché immessi un po’ forzatamente in ciascuno di noi. E insomma la società, con le sue regole, che ce li ha imposti, ed il rifiutarli dovrebbe, almeno apparentemente, esser facile.

I sentimenti, che sono di norma limitati nel tempo, o comunque destinati in gran parte a diluirsi, ci sono suggeriti dalla società e dalla cultura, sono invece dei vincoli molto potenti. Superarli richiede una convinzione, una fede che è solo di pochi.

Tuttavia, a riprova che vadano eliminati, basterebbe osservare ciò che fecero il Cristo, o San Francesco e Siddartha. Tutti costoro, che possiamo certo annoverare tra i grandi iniziati, hanno abbandonato gli affetti più cari, per seguire la via! E, chi più esplicito, chi meno, invitano tutti coloro che desiderano seguire i loro passi a fare altrettanto…

I bisogni invece sovente non dipendono da noi, almeno in maniera diretta: penso ovviamente non al cibo quanto alla salute, magari anche al sesso, con il risvolto illiberale del senso di proprietà del bene amato.

L’egoismo, che credo sia il più facile da vituperare è anche, sicuramente, tra i più facili da superare: forse è persino una componente del nostro spirito di sopravvivenza.

  • Nessuna idea credo si possa veramente sviluppare se non nella libertà.
  • La libertà non può che basarsi sul vero, se no significa arbitrio, indifferenza, relativismo morale. Il libero muratore infatti, che fa della libertà una delle sue bandiere, deve lavorare, nel senso di ricercare, mettendo continuamente sempre e tutto in discussione, soprattutto interrogandosi sulle sue certezze fin lì acquisite. E riconoscendo i propri limiti.

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sa proporre la nostra istituzione, sia ai già iniziati che, e forse soprattutto, ai profani?

  • Dei simboli, un rituale …

B No, no. Procediamo con ordine: se vogliamo affrontare un tema siffatto, occorre ordine!

Già, ora che ci penso, ordine alle cose nella loro giusta gerarchia di valori è proprio quello che si propone come risultato primo, immediato, l’iniziazione. Allora, dicevo, per prima cosa occorre dire che la nostra istituzione vanta un’antica origine, consentendo cosi di poter disporre di una tradizione (da tradere, portare e consegnare). Che cosa, se non un insegnamento? Esso è, non può che essere orale. Addirittura, quando sono stato iniziato io, mi si insegnò che in Massoneria ogni scritto era proibito! !

L’insegnamento, in origine, forse era una tecnica di mestiere (il triangolo di Pitagora, la sezione aurea o chissà cos’altro…); noi ora lo intendiamo come metodo, che si basa sui simboli, abbondanti nel Tempio e fuori (specie nel gabinetto delle riflessioni), che vanno interpretati. Ognuno di noi lo farà con la propria sensibilità e con I ‘uso della propria cultura.

Per far questo, è necessario essere in una comunione con altre persone che, attraverso il dialogo, il confronto ci aiutino e soprattutto ci impediscano di imboccare vicoli ciechi o, peggio, strade errate.

Affinché possa esserci dialogo, occorre che i componenti si stimino reciprocamente, si sentano pari in dignità: ecco la necessità dell ‘uguaglianza. E quando alcune persone condividono lo stesso ideale, scelto e perseguito liberamente, come non chiamarsi fratelli?

Come prima ha ben detto il fratello “C” questo tipo di ricerca, questo percorso non può che essere svolto nella più totale libertà, dato che qualsivoglia limite impedisce una corretta ricerca.

D Bravo, con pochi colpi di pennello hai illustrato alla perfezione il senso maggiore del nostro trinomio: Solo per dovere di una prima informazione vi ricordo che questo trinomio ha seguito nella Massoneria neo-latina: nei paesi anglosassoni il trinomio é sostituito da: umiltà, tolleranza e benevolenza. Volendo, anche questi tre valori sono da meditare ed approfondire…

A Già, ma noi dobbiamo piuttosto chiarire il senso del nostro rituale, l’uso dei nostri simboli: l’uso di un rituale, che deve essere quanto più possibile “stabile” nel tempo, è necessario per collegare il nostro operare ad un qualche cosa di non fisico, non materiale che ci trascende e che, se ben realizzato, consente di rafforzare il nostro lavoro. Permette di concentrare l’attenzione, di non portarci dietro gli affanni quotidiani: è per molte persone riunite e partecipi di una medesima scelta, un’operazione che sacralizza un’area, un momento e un’intenzione!

C Sono d’accordo. Per i simboli, viceversa, posso dire che sono degli strumenti offerti all’attenzione dei fratelli affinché, vivendoli nel pensiero (anticamente erano utilizzati per svolgere il proprio lavoro) sappiano cogliere dei significati che possono far intuire realtà che non sono di normale ed immediata comprensione.

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In questa ottica, un simbolo non finisce mai di essere “compreso”. Può sempre riservare delle sorprese o, meglio, far trasparire nuovi significati, nuovi accostamenti che ci portano a capire sempre più aspetti della vita.

B Verissimo! Ci sono degli aspetti che ci siamo abituati a vedere come simboli, anche se non ci sono proposti come tali: ma tanta è l’abitudine e le sollecitazioni che ci hanno insegnato in questo senso… Vi faccio l’esempio del silenzio dell’apprendista: questo è un fatto che, se ben compreso, può e deve esercitare un forte insegnamento su chiunque, e nel neofita tanto maggiore quanto, nella sua vita profana, è abituato a parlare ed a farsi ascoltare! Ma, se interpretato un po’ più a fondo, rivela, come sappiamo, altri insegnamenti.

A Non dilunghiamoci su questo, ma ricordiamo che la prima regola di un qualsiasi simbolo è che deve essere meditato da ogni singolo individuo: perché solo con il proprio approfondimento può farlo suo: mi pare che ricordi la condanna che Dio inflisse nel Paradiso terrestre ad Adamo per la sua nota trasgressione: d’ora in avanti dovrai guadagnarti il pane “con il sudore della fronte”.

D Ecco, il richiamo al sudore della fronte ci permette di concludere questa discussione: ricordiamoci che a questo mondo ci dobbiamo guadagnare tutto: a maggior ragione la nostra via, che promette un traguardo molto importante, deve esser intrapresa solo se si è disposti a sacrificarle tempo con volontà, discriminazione e perseveranza!

A. Bgg, 16 dicembre 1999 dell’e:.v:.

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DANARO E LAVORO

Denaro e Lavoro

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

nella nostra società il denaro è un oggetto di venerazione, quasi una religione. Siamo circondati da persone che conducono un’esistenza frenetica, lavorano giorno e notte per guadagnare soldi e comprare cose con cui fare colpo sugli altri.

Tutti siamo valutati in conformità a ciò che possediamo.

Gli oggetti di desiderio sono in grado di ottundere a tal punto le persone più fragili, da spingerle a commettere atti innominabili: dallo scippo alla vecchietta, alla truffa agli amici, dalle rapine in banca, ai “riders” in borsa.

La situazione non dovrebbe essere specifica di questo fine millennio, se pensiamo che circa tremila anni fa, il Dio degli Ebrei ha inserito ben due comandamenti che riguardano il rubare ed il desiderare la roba d’altri.

E noi?

Sappiamo bene che la nostra non è una via ascetica, non richiede l’abbandono del concetto denaro, o del lavoro.

AI contrario, nella nostra confraternita lavoro e giusto guadagno sono considerati valori fondamentali: a titolo di esempio ricordo che il primo articolo del Poema Regius (XIV Sec.) impone ai fratelli maestri di dare il giusto salario a compagni ed apprendisti.

Dunque la nostra via è “nel mondo”, siamo uomini che vivono, lavorano, guadagnano, e che incontrano tutti i giorni I ‘intoppo “denaro”.

In antitesi a molte religioni che nutrono un certo disprezzo per il denaro e che Io considerano fonte di corruzione (lo sterco del diavolo), per noi dovrebbe essere un oggetto neutro che non presenta di per se stesso valenze positive o negative.

Siamo noi i responsabili di eventuali valenze negative.

Siamo noi che non siamo in grado di controllare atteggiamenti compulsivi, che ci spingono a comprare a caro prezzo e subito, oggetti di cui non abbiamo assolutamente bisogno.

Siamo noi che abbiamo paura di morire di fame e che quindi dobbiamo accumulare beni, investimenti, patrimoni: senza renderci realmente conto che il denaro non basta mai.

Siamo noi che non capiamo che qualunque oggetto di desiderio acquistiamo: computer, automobili, case, non è altro che il punto di partenza di un altro desiderio E di desiderio in desiderio, la nostra vita ci sfugge dalle dita.

Quante volte mi è capitato di sognare di vincere al Totocalcio. Quasi che diventando miliardari, con la possibilità di comprare ville, barche, e di girare il mondo si risolvessero i miei problemi.

“Nel commercio, Siddharta diventava sempre più rigido e meschino, tanto che alle volte, gli capitava, di notte di sognar danaro “.(Herman Hesse “Siddharta”)

Se è capitato a Siddharta può capitare anche a me,. ma non è un bel segno E se perdessi tutto? E se domani mattina tutti i miei risparmi, le mie cose belle scomparissero? Se per un rovescio di fortuna, come è capitato a molti mi ritrovassi completamente a zero, cosa dovrei fare? Suicidarmi?

Avrei la forza di venire qui il giovedì sera? O entrerei in depressione?

Inizierei a bere? Mi vergognerei come un ladro?

Oppure io “iniziato” , sono davvero più forte, più consapevole, cosi concentrato sulla dimensione interiore, da superare un avvenimento di questo tipo?

O sono solo più fortunato? Un uomo ricco ed annoiato, figlio di una società ricca ed annoiata, che una sera la settimana discute amabilmente, con dei suoi pari, di elevati concetti esoterico-filosofici.

Molti grandi Maestri hanno indicato la capacità di superare l’antitesi desiderio di ricchezza e paura della povertà, o fama/vergogna, come una delle prime prove lungo il cammino.

E ahimé evidente che vostro fratello Stefano ha ancora dei problemi ad oltrepassare questo scoglio.

Il discorso “denaro” presenta dei legami assolutamente inscindibili con il problema lavoro.

Quante volte ci siamo detti che il lavoro è una perdita di tempo, che noi sprechiamo il nostro tempo e le nostre energie lavorando troppo; e che dovremmo dedicare meglio questo tempo/energia a fare, leggere, pensare cose più serie, visto che siamo iniziati?

“Coloro che considerano la vita comune un ostacolo al Dharma, non vedono il Dharma nelle azioni di ogni giorno; non hanno ancora scoperto che non ci sono azioni quotidiane fuori dal Dharma”.

Dogen, maestro zen del XIII secolo.

Dunque l’idea che il lavoro, ed il tempo dedicato ad esso, ci impedisca di crescere spiritualmente, o anche, che rallenti tale crescita e rappresenti solo una perdita di tempo, è un alibi che non regge.

Il grave problema è che il tempo non si perde, non va da nessuna parte.

Se Io sprechiamo la colpa è solo nostra.

Non capiamo che il contrasto che si prova tra il piacere ed il divertimento di leggere un libro affascinante o parlare con un fratello e la banalità del nostro lavoro quotidiano è solo un miraggio.

Riusciamo a lavorare al bene ed al progresso dell ‘umanità anche fuori di qui? La Saggezza, la Forza e la Bellezza illuminano, rendono saldo, irradiano e compiono il nostro lavoro solo in Tempio?

Non credo sia un problema di tipo di lavoro. Il medico e l’infermiere sono solo in apparenza più utili all’umanità, esattamente come i loro errori o le loro scorrettezze appaiono subito più gravi. Ma chi ha detto che un dirigente, un insegnante, un impiegato, un negoziante non possano svolgere un ‘attività altrettanto benefica.

Sono abbastanza sicuro che svolgere bene il proprio compito richieda una capacità di concentrazione sull”‘adesso”, che consente di aumentare la conoscenza di se stesso.

Il lavoro di tutti i giorni può essere svolto da uno zombie frustrato ed annoiato che guarda solo l’orologio o, come nel mio caso, che non vede l’ora di cancellare l’ultimo nome dalla lista dei pazienti; l’identica attività può essere realizzata da un individuo convinto che il luogo di lavoro sia un ottimo ambiente per diventare più consapevoli delle proprie azioni Non possiamo ovviamente essere ingenui. L’ambiente di lavoro spesso appare caotico, frenetico, privo di valori umani e sempre pronto a premiare egocentrismo ed avidità.

“Pochi uomini hanno la rettitudine di reggere al miglior offerente” (George Washington).

“In società la rettitudine non 6 mai stata rispettabile quanto il denaro” (Mark Twain).

Tuttavia io penso che noi Massoni dovremmo essere differenti Se uscendo da qui siamo uguali a tutti gli altri, allora sarebbe meglio stare a casa.

Se la nostra etica di comportamento, anche nel mondo del lavoro non è distinguibile da un profano, allora le nostre sono solo elucubrazioni mentali completamente staccate da una reale crescita interiore.

Non sto parlando di coloro che utilizzano la Massoneria per i loro giri d’affari, che talora sfruttano, ingannano e danneggiano i fratelli, questi poveretti buttiamoli fuori perché non hanno capito nulla; la nostra è una strada troppo complessa e difficile, non ha bisogno di ulteriori ostacoli e disturbi.

Sto parlando della maggior parte dei Massoni che si sforzano di essere corretti con i fratelli, credono di essere liberi e di buoni costumi, e fuori di qui sono magari ineccepibili dal punto di vista dell’etica vigente.

Tuttavia non sono diversi.

Sono delle bravissime persone, ma Saggezza, Forza e Bellezza non agiscono a sufficienza nel loro lavoro Come dovremmo essere abbastanza intelligenti da non cadere nella trappola dell’accumulo sempre maggiore di denaro, cosi dovremmo imparare a valutare il nostro lavoro non solo in termini di guadagno.

Penso che se la nostra attività diventasse qualcosa di differente dal “portare a casa il pane”, ma facesse parte realmente della nostra strada di perfezionamento, forse, il nostro comportamento anche profano, apparirebbe completamente diverso.

Se durante il nostro lavoro ci ricordassimo che gli altri non solo gente che ci farà guadagnare, ma esseri umani, nostri fratelli, forse il nostro modo di agire cambierebbe In tale maniera, anche solo con l’esempio, riusciremmo a lavorare per il bene ed il progresso dell’umanità oltre che dare lustro all’immagine esterna della Massoneria. E’ ovvio che la perfezione è un ideale impossibile da realizzare.

In certe situazioni adottare una logica che non sia quella del “prima io” , oppure del “ed io cosa ci guadagno” sembra un po’ strano e fuori posto . Tutte le situazioni di lavoro sono in certa misura imperfette, caratterizzate dall’ipocrisia, dai compromessi, dall’egoismo, sovente dal nostro egoismo.

Penso che se il Vangelo fosse scritto oggi, forse, una famosa frase sarebbe cambiata in ” Date al Mercato quello che è del Mercato, ma date a Dio quello che è di Dio”.

Non possiamo trincerarci dietro il mondo degli affari crudele e spietato.

Non possiamo dimenticarci le parole dette dal M:. V la sera dell ‘Iniziazione:

E per mettere freno alle nostre passioni, per elevarci al di sopra dei nostri vili interessi, per imparare a calmare l’ardore dei nostri desideri antisociali ed antimorali che ci riuniamo nei nostri Templi.

Noi lavoriamo senza tregua al nostro miglioramento, perché è solo regolando le nostre inclinazioni ed i nostre costumi che penerremo a dare quel giusto equilibrio che costituisce la saggezza, cioè la scienza della vita, ” E ancora:

. Non dimenticate mai il precetto universale ed eterno: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, e fa’ agli altri tutto il bene che vorresti che gli altri facessero a te. ‘

Denaro e lavoro sono, a mio parere, due ottimi banchi di prova della nostra capacità di crescita Riuscire ad elaborare massonicamente questi due concetti credo sia un buon indicatore di tale capacità: anche a costo di sembrare un po’ stupidi, o di prendere grandi bidoni.

Ne asceti, ne avidi: dentro il mondo senza lasciarsi coinvolgere: lavoratori di successo, ma più corretti degli altri: uomini che lavorano, guadagnano, e non bramano denaro: apparentemente stupidi, ma in realtà più saggi.

Siamo alle solite, se non fosse bellissima, sconsiglierei a chiunque di seguire una Via cosi dissennata.

S. Clnn,  

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L’OBIETIVO CHE ME SONO POSTO

L’obiettivo che mi sono posto

Venerabile Maestro, carissimi Fratelli,

il principale obiettivo che mi sono posto, prima di entrare in questa Istituzione, è stato quello di aumentare la mia conoscenza, però oggi direi che in realtà era quello di avvicinarmi il più possibile alla “Luce”.

Evidentemente, prima di entrare a far parte di questa Loggia, e di conseguenza, di questa mondiale Istituzione che, grazie all’alacre lavoro di tutti i membri che la compongono, ognuno secondo le sue capacità, sia individuali, che psichiche e morali, non sapevo nemmeno che cosa si intendesse per “Luce”, come non avevo la minima idea ci che cosa significasse realmente la parola “Massone”.

Oggi, dopo diversi anni che “lavoro” con la Loggia cui appartengo, grazie al contributi dei miei Fratelli, che ho sempre accettato con umiltà (nel limite della mia capacità ad essere umile), ho il mio piccolo bagaglio di esperienze intellettuali.

Grazie proprio a queste esperienze, mi sto accorgendo che, più penso di essermi avvicinato alla “Luce”, più la Via si fa irta di difficoltà.

O perché con l’aumentare dell’età, nel mio caso, diminuisce la mia capacità, oppure poiché (e questa è la mia speranza) con l’avvicinamento, seppur minimo, all’obbiettivo le difficoltà si fanno più eclatanti.

La mia pietra, che pensavo di avere squadrato e levigato a sufficienza, ora mi sembra ancora ruvida e necessitante di ulteriori correzioni.

Naturalmente questa mia tavola vuole esclusivamente esaminare un solo aspetto del lavoro, che mi sono prefisso per dare il mio contributo all’attività che ha per scopo il miglioramento dell’uomo, poiché, se mi sarà data occasione e se nel futuro riuscirò a proseguire nell’esame, sarò grato alla Loggia che mi consentirà la prosecuzione della mia vita.

Per ora mi limiterò ad esaminare l’aspetto individuale dell ‘Uomo poiché, secondo il mio modo di vedere, prima di migliorare l’Uomo inteso nella sua globalità, mi sembra opportuno migliorare l’aspetto individuale dell’Uomo, cioè prima di assemblare il Tempio nella sua totalità è necessario curare il miglioramento della pietra che concorre all’avanzamento della costruzione; a questo scopo l’esame ed il perfezionamento dell’individualità ha la sua importanza, poiché, se anche solo alcuni dei componenti di un complesso presentano una minima anomalia, l’opera finale ne soffrirà avendo accumulato la somma di tutte le imperfezioni presenti nella totalità.

Ne è simbolo la pietra cubica che, assieme agli altri simboli presenti nel Tempio, ci sewe come modello.

Il modello più adatto, tenendo conto della mia situazione attuale, che mi viene suggerito dalle circostanze, e forse dalla congenialità, è quello di esaminare in modo approfondito la propria individualità per poi risalire ad altre mete, restringendo la visone dell ‘essere fino a giungere all ‘unità.

Purtroppo, ora che penso di avere una apertura leggermente più ampia di quella precedente, ho una visione un po’ più limpida dei metalli che appesantiscono la mia individualità e ciò, per certi versi, mi aiuta. ma per altri mi scoraggia, anche perché mi evidenzia più chiaramente la massa di difficoltà che devo ancora affrontare.

Questa elucubrazione la faccio dopo aver superato una crisi durata circa due mesi, dopo i quali sono stato aiutato da un Fratello che ha saputo darmi un aiuto per diradare un po’ di confusione, incoraggiandomi a proseguire nel lavoro interiore che aveva subito una stasi.

Ora la Massoneria mi sta aiutando molto perché, frequentando il Tempio e partecipando ai Riti con i Fratelli, mi sento continuamente alimentato da quella energia che ne scaturisce.

Durante questo periodo di tempo ho studiato, con la massima concentrazione consentitami dalle “distrazioni” che mi sono imposte dai miei doveri profani, alcuni testi che parlano di alchimia tra i quali, il primo che citerò, mi è parso meno classico, mentre il secondo mi è sembrato molto più pregno. Essi mi sono serviti da introduzione all’argomento e, continuando, fino ai massimo della intensità di immersione consentitami nella materia dell’alchimia, Eccoli: “La Nuova Alchimia” di Osho, ed. Psiche e “Alchimia” di Titus Burckhardt, ed Guanda.

Questo studio. mi ha aiutato molto a vedere il mondo da un punto di vista più generale, cioè più macroscopico. In questo modo non ho risolto il mio problema, ma lo ho alleggerito enormemente.

Anche perché la materia mi sembra cosi complessa che, nonostante abbia riletto il testo di alchimia di Burckhardt almeno tre volte, non ho ancora la capacità di esprimermi in modo esauriente su questo argomento; l’unico commento che mi sento di formulare è questo: fino ad ora è la migliore visione delle realtà che mi è stata prospettata, la cui sacralità mi sembra tale che non ho ancora il coraggio di fare neanche il tentativo di azzardare alcun commento.

L’opera mi sembra cosi completa che, tentare dal mio livello di comprensione di commentarla, mi sembra quasi un “sacrilegio”, quindi, prima di entrare in essa, dovrò ancora completare la mia purificazione per poi rischiare qualche punto di vista su una cosi grande opera.

Ma anche questo non mi è sembrato abbastanza proficuo, perciò mi sono domandato sono io (come individuo) all’altezza di approdare a qualche soluzione con queste riflessioni?

A questo punto mi è arrivata una prima risposta: Certamente se mi fosse preclusa la comprensione di un argomento di cui riesco a recepirne l’importanza non mi sentirei cosi attratto da esso.

La via iniziatica è lunga e non ha alcuna scadenza per l’arrivo, anzi ho sentito dire, da più di un fratello e anche io la penso così, che il lavoro dei Massone non finisce mai.

Questa riflessione è avvenuta nei mio intimo e mi ha incoraggiato a proseguire coi mio “lavoro”, con la pazienza caratteristica di un massone, necessaria ai proseguimento nella Via.

Con maggior coraggio continuerò a “lavorare” senza curarmi di coloro che potranno dirmi, come mi hanno già detto (a lavori aperti), che a loro parere sembra un po’ tardi per la mia età essere ancora a questo livello.

O forse questa espressione è solo il fatto di una mia interpretazione, causa la imperfezione della mia pietra? Ma questa dichiarazione mi ha sollecitato a intensificare il mio lavoro.

Dopo queste riflessioni comincio a sentirmi veramente più avanti nella Via intrapresa, anche se “virtuale”, ma ho l’impressione che la virtualità sia solo un attributo provvisorio, destinato a scomparire da solo

Se le circostanze mi consentiranno di continuare nel mio lavoro, ritornerò con altra tavola che potrà essere più esplicita di questa.

D. Obrt,  

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ALCHIMIA

Alchimia

“Sii Tu stesso la Via” …

Fra le Colonne si è detto di Alchimia nei modi più diversi.

Chi ha voluto o potuto, ha apportato la propria esperienza personale od operativa e l’ha comunicata ai Fratelli con l’obiettivo di renderli partecipi e tentare di trasmettere loro gli echi di una disciplina molto diversa fra tutte quelle più comuni, usando un linguaggio comprensibile.

Chi Io ha fatto ha trovato sul suo cammino non pochi ostacoli.

Sarà stato ben conscio che le difficoltà per spiegare una materia come questa, sono soprattutto dovute al fatto che in Alchimia non esiste un supporto teorico preciso, non esiste un modello del mondo e dell’uomo univoco, ma esistono tanti modelli del mondo e dell ‘uomo quanti sono coloro che si avvicinano questo argomento.

Anche se volessi sovrappormi, con questa tavola, alle esperienze, al pensiero, alle conoscenze altrui, non potrei in ogni modo arrivare a delle enunciazioni o conclusioni certe, univoche.

È impossibile.

A quanto mi risulta nessuno c’è mai riuscito.

Ma intanto, si può definire, l’Alchimia? Od essa è “anche” indefinibile?

Alcuni autori (ne cito due) dicono:

… “È l’arte della trasformazione. Il lavoro dell’Alchimista consiste nel produrre, nel materiale su cui sta operando, una serie successiva di mutamenti per condurlo, a partire da uno stato grezzo, ad uno stato perfetto e purificato.”

… “L’Alchimia è una Via di ricerca spirituale. Il suo oggetto è la creazione del rapporto col Divino, come per le religioni, con la differenza che il suo rapporto operativo non è la fede, ma I ‘Arte”

Quale di queste definizioni (potrei citarne altre, ma non serve) corrisponde meglio a quella che universalmente è chiamata Ars Regia?

Vediamo intanto di conoscere meglio la Tradizione Alchemica così come ci è stata tramandata.

L’Alchimia non è mai stata una scienza, né l’Alchimista si è mai fregiato del titolo di scienziato in quanto la sua operatività è un’Arte.

Mai ha preteso di essere a conoscenza di un processo ripetibile e dimostrabile, ma ha sempre evidenziato che le caratteristiche dell’Opera, sono strettamente connesse al valore del suo creatore.

La difficoltà (una delle difficoltà) di penetrare nella operatività Alchemica è proprio questo suo relativismo.

Ogni autore ha il suo modello, il suo schema di riferimento. Trattandosi inoltre di stati dell ‘essere, l’Alchimista si esprime usando un linguaggio metaforico, anagogico, analogico, che aumenta le difficoltà di comprensione dell ‘Alchimia.

Vorrei citare Dante (Convivio 2, l) il quale afferma che le scritture si possono intendere e debbonsi sponere” per i quattro sensi: il senso letterale, il senso allegorico . verità ascosa sotto bella menzogna” il senso morale e quello anagogico” “quando spiritualmente si pone una scrittura, la quale, ancora nel senso litterale, eziandio per le cose significate, significa delle superne cose dell ‘eternale gloria”.

Avvicinarsi all’Alchimia, quindi è impresa non da poco, non solo per la comprensione dei termini di gergo, ma, in particolar modo, per la “voluta” equivocità di tali termini.

Solo l’ideatore, l’artefice può esprimere la genesi, l’angolatura da cui li ha creati e solo un altro operatore mosso dalle identiche istanze, dalla medesima ricerca di quel particolare stato dell’essere può coglierne l’intimo significato.

Non ho ancora provato, però, a delineare, a cercare di definire chi è dentro, al centro di tutto questo: I ‘Alchimista.

Sostanzialmente è un artista, il quale, attraverso una sua metodica, tenta di raggiungere un risultato che si è intimamente posto e 1a cui dimostrazione non deve essere fatta a nessuno se non a se stesso.

L’iter di realizzazione è un’autocreazione, la sua materia prima è la materia mercuriale che egli tenta di far divenire corpo.

Certo, potrebbe dedicare una vita intera all’Alchimia raccogliendo pochissimo e, spesso, nulla.

Un grande Alchimista, Basilio Valentino, meditò trent’anni sul significato di una parola …

Ma il fatto è che, per il suo modo di ricercare, può darsi delle risposte sulla vita e sulla morte.

Egli è preso dalle proprie immagini, nel proprio mondo, che è altrove da questo mondo, ma è sempre pronto a modificarsi perché in lui tutto è movimento, tutto è in continuo mutamento.

Personalmente, forse romanticamente, ho sempre prediletto come immagine dell’Alchimista, la figura del cavaliere errante, del solitario in eterna cerca.

Non sono mai mancati contatti fra Alchimisti, sanno riconoscersi, ma sono sempre stati di tipo individuale.

La continuità della tradizione non è legata ad atti ufficiali.

I messaggi degli Alchimisti, più che con le parole, possono essere colti . . “in modo più libero, chiaro ed evidente per mezzo di un discorso muto, o, in assenza di discorso, nella raffigurazione dei segreti o laddove gli enigmi sono rappresentati in immagine …” (Horlacher 1707).

Ed avvertono . . ”laddove abbiamo parlato apertamente, in realtà non abbiamo detto nulla. Laddove, invece, abbiamo scritto in modo cifrato o figurato, abbiamo nascosto la verità …” (Rosarium Philosophorum).

Tutto questo, come già detto, non può avere conclusioni, ma lasciatemi ancora affermare che tutto questo ci viene dalla notte dei tempi, senza alcuna certezza del luogo di origine, eppure, ancora attrae, in modo definitivo, colui che in tutta umiltà si avvicina alla Ars Regia.

La Via è stata seguita, nei secoli, da uomini conosciuti e sconosciuti, alcuni screditati, tacciati di stregoneria, di magia, ma animati da fuoco interiore, dotati di una profondità di pensiero non comune, capaci di operatività immane, forti di una dedizione senza pari.

Il loro posto è e sarà sempre accanto ad ogni uomo che desidera trovare.

C. A. Cst,  

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ALCHIMIA

Alchimia

“Sii Tu stesso la Via” …

Fra le Colonne si è detto di Alchimia nei modi più diversi.

Chi ha voluto o potuto, ha apportato la propria esperienza personale od operativa e l’ha comunicata ai Fratelli con l’obiettivo di renderli partecipi e tentare di trasmettere loro gli echi di una disciplina molto diversa fra tutte quelle più comuni, usando un linguaggio comprensibile.

Chi Io ha fatto ha trovato sul suo cammino non pochi ostacoli.

Sarà stato ben conscio che le difficoltà per spiegare una materia come questa, sono soprattutto dovute al fatto che in Alchimia non esiste un supporto teorico preciso, non esiste un modello del mondo e dell’uomo univoco, ma esistono tanti modelli del mondo e dell ‘uomo quanti sono coloro che si avvicinano questo argomento.

Anche se volessi sovrappormi, con questa tavola, alle esperienze, al pensiero, alle conoscenze altrui, non potrei in ogni modo arrivare a delle enunciazioni o conclusioni certe, univoche.

È impossibile.

A quanto mi risulta nessuno c’è mai riuscito.

Ma intanto, si può definire, l’Alchimia? Od essa è “anche” indefinibile?

Alcuni autori (ne cito due) dicono:

… “È l’arte della trasformazione. Il lavoro dell’Alchimista consiste nel produrre, nel materiale su cui sta operando, una serie successiva di mutamenti per condurlo, a partire da uno stato grezzo, ad uno stato perfetto e purificato.”

… “L’Alchimia è una Via di ricerca spirituale. Il suo oggetto è la creazione del rapporto col Divino, come per le religioni, con la differenza che il suo rapporto operativo non è la fede, ma I ‘Arte”

Quale di queste definizioni (potrei citarne altre, ma non serve) corrisponde meglio a quella che universalmente è chiamata Ars Regia?

Vediamo intanto di conoscere meglio la Tradizione Alchemica così come ci è stata tramandata.

L’Alchimia non è mai stata una scienza, né l’Alchimista si è mai fregiato del titolo di scienziato in quanto la sua operatività è un’Arte.

Mai ha preteso di essere a conoscenza di un processo ripetibile e dimostrabile, ma ha sempre evidenziato che le caratteristiche dell’Opera, sono strettamente connesse al valore del suo creatore.

La difficoltà (una delle difficoltà) di penetrare nella operatività Alchemica è proprio questo suo relativismo.

Ogni autore ha il suo modello, il suo schema di riferimento. Trattandosi inoltre di stati dell ‘essere, l’Alchimista si esprime usando un linguaggio metaforico, anagogico, analogico, che aumenta le difficoltà di comprensione dell ‘Alchimia.

Vorrei citare Dante (Convivio 2, l) il quale afferma che le scritture si possono intendere e debbonsi sponere” per i quattro sensi: il senso letterale, il senso allegorico . verità ascosa sotto bella menzogna” il senso morale e quello anagogico” “quando spiritualmente si pone una scrittura, la quale, ancora nel senso litterale, eziandio per le cose significate, significa delle superne cose dell ‘eternale gloria”.

Avvicinarsi all’Alchimia, quindi è impresa non da poco, non solo per la comprensione dei termini di gergo, ma, in particolar modo, per la “voluta” equivocità di tali termini.

Solo l’ideatore, l’artefice può esprimere la genesi, l’angolatura da cui li ha creati e solo un altro operatore mosso dalle identiche istanze, dalla medesima ricerca di quel particolare stato dell’essere può coglierne l’intimo significato.

Non ho ancora provato, però, a delineare, a cercare di definire chi è dentro, al centro di tutto questo: I ‘Alchimista.

Sostanzialmente è un artista, il quale, attraverso una sua metodica, tenta di raggiungere un risultato che si è intimamente posto e 1a cui dimostrazione non deve essere fatta a nessuno se non a se stesso.

L’iter di realizzazione è un’autocreazione, la sua materia prima è la materia mercuriale che egli tenta di far divenire corpo.

Certo, potrebbe dedicare una vita intera all’Alchimia raccogliendo pochissimo e, spesso, nulla.

Un grande Alchimista, Basilio Valentino, meditò trent’anni sul significato di una parola …

Ma il fatto è che, per il suo modo di ricercare, può darsi delle risposte sulla vita e sulla morte.

Egli è preso dalle proprie immagini, nel proprio mondo, che è altrove da questo mondo, ma è sempre pronto a modificarsi perché in lui tutto è movimento, tutto è in continuo mutamento.

Personalmente, forse romanticamente, ho sempre prediletto come immagine dell’Alchimista, la figura del cavaliere errante, del solitario in eterna cerca.

Non sono mai mancati contatti fra Alchimisti, sanno riconoscersi, ma sono sempre stati di tipo individuale.

La continuità della tradizione non è legata ad atti ufficiali.

I messaggi degli Alchimisti, più che con le parole, possono essere colti . . “in modo più libero, chiaro ed evidente per mezzo di un discorso muto, o, in assenza di discorso, nella raffigurazione dei segreti o laddove gli enigmi sono rappresentati in immagine …” (Horlacher 1707).

Ed avvertono . . ”laddove abbiamo parlato apertamente, in realtà non abbiamo detto nulla. Laddove, invece, abbiamo scritto in modo cifrato o figurato, abbiamo nascosto la verità …” (Rosarium Philosophorum).

Tutto questo, come già detto, non può avere conclusioni, ma lasciatemi ancora affermare che tutto questo ci viene dalla notte dei tempi, senza alcuna certezza del luogo di origine, eppure, ancora attrae, in modo definitivo, colui che in tutta umiltà si avvicina alla Ars Regia.

La Via è stata seguita, nei secoli, da uomini conosciuti e sconosciuti, alcuni screditati, tacciati di stregoneria, di magia, ma animati da fuoco interiore, dotati di una profondità di pensiero non comune, capaci di operatività immane, forti di una dedizione senza pari.

Il loro posto è e sarà sempre accanto ad ogni uomo che desidera trovare.

C. A. Cst,  

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ASSOCIAZIONE CULTURALE PEDEMONTANA

Associazione Culturale Pedemontana

Un giovanotto bene, figlio di una di quelle famiglie secolarizzate, laiche, progressiste, moderne, dopo la laurea in logica e dialettica socratica, vuole darsi un’infarinatura di cose esoteriche entrando a far parte dell’Associazione Culturale Pedemontana.

Si sa… fa così chic!

Si reca dunque dal presidente e gli dice: “Esimio vorrei entrare a far parte dell’Associazione ed arrotondare così la mia cultura con un po’ di esoterismo. Mi darebbe qualche lezioncina?”

“Capisco giovanotto”, risponde il presidente, “ma tu lo hai letto qualcosa delle scuole iniziatiche? Anche il Guénon, ad esempio?”

“Andiamo presidente! Io sono laureato in Logica e Dialettica socratica! Non so se mi spiego!”

“D’accordo figliolo questa è un bella cosa, ma hai mai sentito parlare dei muratori?”

“Presidente, lei mi sta facendo solo perdere tempo. Mi faccia un test! Mi metta alla prova per vedere se sono all ‘altezza!” “Come vuoi figliolo”.

Il presidente alza di scatto due dita proprio davanti agli occhi del baldanzoso giovane e…”Attento giovanotto. Due uomini scendono dallo stesso camino: uno ha la faccia sporca e l’altro ha la faccia pulita, chi si lava la faccia?”

“Hahaha! Ma presidente, questa è una domanda per bambini deficienti! È evidente! Quello con la faccia sporca”.

“Sbagliato figliolo. Quando quello con la faccia sporca vede che l’altro ha la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita e non si lava la faccia. Quello con la faccia pulita vede che l’altro ha la faccia sporca, pensa di avere la faccia sporca e quindi si lava la faccia”.

“Ah!… Certo presidente! Come ho potuto cadere in una trappola cosi banale. La prego, mi sottoponga ad un altro test per favore comincio a capire… molto, molto

“Va bene figliolo, come tu vuoi, non c’è problema! Attento!”

Di nuovo il presidente fa scattare le due dita in alto: “Due uomini scendono dallo stesso camino: uno ha la faccia sporca e l’altro ha la faccia pulita, chi si lava la faccia?”

“Presidente, non sono mica scemo, lo abbiamo già detto. Quello con la faccia pulita”.

“Sbagliato figliolo. Quello con la faccia sporca, vedendo che l’altro ha la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita e non si lava. Quello con la faccia pulita vedendo l’altro con la faccia sporca, pensa di avere la faccia sporca e si lava la faccia. Ma… quando quello con la faccia sporca vede che quello con la faccia pulita si lava la faccia, pensa di doversi anche lui lavare la faccia. Quindi tutti e due… si lavano la faccia”.

“Ah! mmm… certo… il ribaltamento dialettico… molto arguto… Vede presidente, sono un po’ sconcertato… La prego, mi faccia un’altra domanda”.

ventaglio d’oro.

E il sole era con i raggi caldissimi, e ardeva la terra, tanto che l’erba diventava secca.

E il re si lamentava perché il sole gli bruciava il viso, e perché aveva più potere di lui. E non era contento.

Languiva, e diceva: “mi piacerebbe essere il sole”.

Venne un angelo dal cielo, che gli disse: “sia fatto come tu ha detto”. E lui era il sole. E spandeva i suoi raggi sopra e sotto, a destra e a sinistra, e dappertutto. E ardeva l’erba sulla terra e il viso dei re che erano sulla terra.

E una nuvola si mise tra la terra e lui, e i raggi del sole furono riflessi.

Si arrabbiava tanto perché il suo potere gli veniva tolto, e si lamentava che la nuvola fosse più potente di lui. E non era contento. Avrebbe volute essere la nuvola, che era tanto potente.

Venne un angelo dal cielo, che gli disse: “sia fatto come tu ha detto”.

Ed era una nuvola che si mise tra il sole e la terra riflettendo i suoi raggi, in modo che l’erba divenne verde. E dalla nuvola sulla terra cadevano grandi gocce di pioggia che faceva crescere i fiumi. Le inondazioni portavano via i greggi, e i campi erano rovinati dalla troppa acqua.

E cadeva giù sulla roccia, che non cedeva. E scrosciava a fiotti, forte forte, ma la roccia non cedeva.

Si arrabbiava perché la roccia non voleva cedere e perché la violenza dei sui flussi era vana. E non era contento.

Diceva: “alla roccia è dato più potere di me. Vorrei essere la roccia”.

Venne un angelo dal cielo, che gli disse: “sia fatto come tu ha detto”.

Ed era ta roccia, e non si muoveva ne quando brillava il sole né quando pioveva.

E veniva un uomo con uno scalpello aguzzo e un mazzuolo pesante che, dalla roccia, ricavava delle pietre.

E la roccia diceva: “che cosa è che quest’uomo ha più potere di me, e taglia le pietre dal mio grembo?”

E non era contento. Diceva: “sono più debole di quello, vorrei essere quest’uomo”.

Venne un angelo dal cielo, che gli disse: “sia fatto come tu ha detto”.

E lui era il tagliapietre. E tagliava le pietre dalla roccia, con lavoro pesante, e lavorava duro per pochi soldi, ed era contento.

Un sogno

Sono comodamente seduto in una comoda poltrona.

In un silenzio da apprendista chiudo gli occhi.

Entro virtualmente in una stanza senza pareti. Mi appare un tavolo da disegno sul quale, come in un fotomontaggio animato, si materializzano, in ordine sparso, dei simboli.

Vedo il sale, il mercurio, lo zolfo, una squadra un compasso e tanti altri.

All’improvviso la tavola da disegno si trasforma in una tavola da pranzo. I simboli fanno adesso da corona ad una bellissima ceramica di Faenza, grande, con colori accattivanti ed ad un piccolo flûte di cristallo purissimo che riesce a vibrare anche solo quando lo guardo.

Nella ceramica c’è il mio ego, nel flûte il mio sé.

Una parete con uno schermo si materializza di fronte al desco. Vedo scorrere a ripetizione delle frasi che le mie orecchie avevano già sentito :

chi sono, da dove vengo, dove vado?

conosci te stesso!

ama il prossimo tuo come te stesso!

Lo sguardo scende dalla parete al tavolo e l’occhio scorre su quello che c’è sopra.

Sono belli i simboli, sono accattivanti, mi viene voglia di perdermi dentro in una meravigliosa quanto, qualche volta, inutile ricerca dialettica. Vuol dire questo, no .. quello. Io lo vedo così, un altro lo vede in una maniera differente.

E il simbolo, perfettamente indifferente a me, rimane lì a guardarmi con un’aria di commiserazione mista a tristezza perché sa che il giorno in cui io lo capissi, lui, in quel momento, diverrebbe perfettamente inutile.

Poi c’è la bellissima ceramica di Faenza. Il mio ego, compresso e straboccante è lì, in bella vista, ed io mi ci affondo dentro, mi ci sguazzo come se fosse una piscina di acqua stagnante, me lo spalmo addosso come se fosse una vernice opaca assolutamente impermeabile alla luce.

Non ho voglia di vedere altro che lui. Quasi tutto quello che faccio, lo faccio in nome e sotto gli auspici suoi, anche quando non me ne accorgo.

È il regno dell’io, del mio, del mi.

Mi piace, mi da fastidio, sono orgoglioso di quello che faccio, anche quello che sembra un bene, mi piaccio nel compiacimento di me stesso, delle mie abitudini, del mio orgoglio e di ciò che è più subdolo, e cioè dell’attaccamento ai metalli.

Anche la carne, anche i desideri, anche gli affetti, sono metalli, sono piombo e non oro. Poi guardo meglio e vedo che, sovente, anche quello che credo oro è un metallo. Dice un saggio proverbio “non è tutto oro quel che luccica”.

Mi sento offeso se sono ignorato, mi sento lusingato se sono lodato. Vedo tutto in chiave personale, egoica, come se fossi il centro dell’universo, senza sapere, solo perché non ne ho la consapevolezza, che in realtà sono il centro dell ‘universo.

La soluzione del problema sarebbe, molto semplicemente, una lettura in chiave del sé e non dell’io.

Non ho mai provato, quando mi guardo allo specchio, di andare al di la di quello che guardo, perché mi sono sempre compiaciuto o dispiaciuto solo di quello che lo specchio rifletteva. Non ho mai avuto il coraggio di guardare dentro, oltre.

Molti sono i chiamati, pochi gli eletti e quei pochi sono quelli a cui non importa nulla di essere chiamati, perché avendo la consapevolezza di arrivare, non hanno il bisogno di scegliere sul “dove andare”. Il “da dove vengo” equivale al “dove andare”.

Andare, andare, andare. Cercare sempre altrove quello che con estrema facilità potrei trovare dentro di me, nel mio sé, senza muovermi. Cerco purtroppo sempre la strada più difficile nella convinzione che questi mi porti, più facilmente, al punto di partenza.

Beati quelli che crederanno e non hanno visto. Non c’è bisogno di andare. La

Divinità è dentro di me Basta che io chiuda gli occhi al mondo e il divino mi appare.

Il mondo è l’ego, la divinità il sé. Riuscire a capire questo vuol dire fare sacrificio che, secondo l’accezione originale del termine, non vuol dire rinuncia, sofferenza, ma molto più semplicemente fare qualcosa di sacro.

Sacrificare significa dare un significato sacro a tutte le meravigliose, apparentemente inutili banalità della vita. Non è vivere il giorno da leoni. ma fare sacri i 100 giorni da pecora.

Non posso amare me stesso se non ho visto il sé che è dentro di me. Non posso non amare gli altri se non ho visto in loro il mio stesso sé.

Quando privilegio il bisogno di un altro rispetto al mio, ho fatto un sacrificio, ho fatto un gesto di amore verso quest’altro.

Smetto di pensare. Sulla parete dinanzi a me la virtuale maschera informatica si è modificata e mi sono apparse alla vista delle parole dette da Alessio un giovane brillante nel fiore degli armi che un incidente di macchina ha costretto alla carrozzella:

Non sono un corpo che ha un’anima. Sono un’anima che ha un corpo.

Apro gli occhi. Tutto si è dissolto. Intorno a me non ci sono più pareti. Solo uno specchio di fronte.

Guardo e vede il mio corpo con dentro l’anima.

Fratelli come è lungo il percorso.

E. Scld, 27 maggio 1999 dell

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ZOLFO – MERCURIO – SALE

ZOLFO – MERCURIO – SALE

Mi è stato richiesto da alcuni Fratelli di trasformare in tavola alcuni brani oggetto di una mia ricerca passata. Una buona dose di timore unita ad una dovuta cautela ed ad un po’ di umiltà sono stati il collante per quanto andrò a leggervi.

Tutti sappiamo come, negli anni, la Massoneria si sia, direi quasi naturalmente, appropriata di simboli appartenenti a tradizioni diverse. Questa considerazione richiederebbe spiegazioni complementari che altri Fratelli potranno, meglio di me, illustrare In altra occasione; tornando quindi ai nostri argomento, già nel gabinetto delle riflessioni si possono notare molti simboli di provenienza Ermetico-Alchemica: le coppe con il sale e lo zolfo (evidenti) ed il mercurio (rappresentato in modo evidente dal Gallo annunciatore per II profano dell’arrivo della luce, oltre che implicitamente dal profano stesso in quanto soggetto passivo che in un qualche modo dovrà essere “svegliato” e rettificato) sono l’oggetto di queste poche righe che oggi pongo all ‘attenzione dei Fratelli.

L’argomento trattato è per sua natura ermetico e simbolico; richiede quindi per essere compreso, uno stato d’animo scevro da punti di vista particolari.

Esso opera su un terreno insidioso dove in gioco ci sono da una parte la materia, il corpo nei mezzo la mente, la psiche e, dall ‘altra parte, lo spirito. Dove porterà questo gioco?

Il ternario di spirito anima e corpo si sposa perfettamente con il ternario alchemico di Zolfo Mercurio Sale dove lo Zolfo è il principio attivo, maschile, il Mercurio è il principio passivo, femminile ed il Sale è neutro, è il prodotto di due complementari, prodotto in cui si trovano in equilibrio le tendenze inverse inerenti alle loro rispettive nature.

Ecco quindi delineata, perlomeno nei concetti, l’opera dell ‘alchimista che imita o se meglio vogliamo dire lavora come la natura. Egli agisce in conformità al detto “solve et coagula”, dissolvendo le coagulazioni imperfette dell’anima, riducendo quest’ultima alla sua natura primaria, alla materia ed infine cristallizzandola nuovamente in una forma più nobile ed elevata.

Per dissolvenza, brucia e lo Zolfo è all’origine della combustione, per ridurre, usa il Mercurio/argento vivo che è all ‘origine dell’evaporazione, per cristallizzazione si crea il Saie che ne è la cenere residua e serve a fissare lo “spirito volatile”.

Abbiamo detto che l’anima cristallizzandosi in forme più elevate, oppure una volta liberatasi dalla febbre delle passioni, può servire da supporlo per stati puramente spirituali Questa operazione trasmuta poi anche il corpo che diventa veicolo di “Verità”.

Questo principio non viene affermato solo dall’alchimia poiché tutte le vie contemplative (ed includo anche quelle religiose …) danno una grande importanza alla funzione “naturalmente spirituale” del corpo.

In effetti la “sensazione dell’essere” non è nel mentale ma è racchiusa nel corporeo ed ecco che può farsi strada una spiegazione al gioco estremamente serio che stiamo facendo.

Si capirà, poco a poco, la natura simbolica del nostro corpo è il corpo e non la mente l’immagine più diretta del macrocosmo, è il basso che corrisponde analogicamente all ‘alto secondo le parole della Tavola Smeraldina.

Così al superamento intellettuale del mentale fa da contropartita l’integrazione “esistenziale” del corpo nello spirito: integrazione che realizzerà la Grande Opera, la trasmutazione del piombo in Oro, in luce corporificata.

Questo è quanto, saccheggiando da diversi autori, ho cercato di dirvi.

Ma come sempre sarà la nostra mente piena di sé, piena delle sue forme logiche e razionali a scindere, distinguere ed io spero condividere.

Spogliamoci quindi dei nostri preconcetti, mondiamo la nostra anima ed impariamo ad imbrigliare la mente; solo a questo punto qualche scintilla di verità potrà venire alla luce da noi stessi ed aiutarci ad andare oltre.

L’alchimia ci è di supporto per queste dure operazioni di purificazione.

II Sale e lo Zolfo sono gli strumenti di depurazione e di preservazione.

Sale che garantisce la purezza e la fecondità: che simboleggia anche la vita poiché ne sono pervasi la linfa delle piante ed il sangue degli animali, che è simbolo di vita perenne perché imbalsama, che è anche pietra perché, incantati, … si diventa di sale, pietrificati.

Paracelso nel De Naturalibus Rebus dice che l’uomo nutre di cibi il suo zolfo, di bevande il suo mercurio ma … morirebbe senza sale, il correttivo equilibratore dei liquidi e del sangue Voi siete, dice ancora, il correttivo, il purgante del mondo, ma il sale espulso con le urine e combinato con il nitro forma il salnitro esplosivo: il fulmine, il tremendo consacratore.

Sembrano strane queste definizioni … ma molte altre nel corso dei secoli si sono susseguite per darci la possibilità di porci almeno qualche dubbio. Distruggiamo le nostre certezze e le nostre abitudini, non fermiamoci all’apparenza delle cose ed allora, piano piano, i veli che coprono e falsificano vengono sfilati, tolti, aperti. Ci si svelano barlumi di ricordi, ancestrali sensazioni con una semplicità che non è umana perché viene dal cuore, dallo spirito, semplicità per sua stessa natura difficile, quasi ostica al nostro orgoglio, al nostro io.

Mi viene da esporre ancora un esempio: bello e facile credere ad una storia lineare che grazie, che so, all’economia o al progresso, procede verso un futuro più buono, più comodo, più umano. Ma cosa vuole dire umano?

New age ed altre teorie bizzarre, i verdi e l’ecologismo parossistico, lo scientismo moderno ed il buonismo sociale, tutto è in attrito con la natura, con il cosmo. La natura non è bella o brutta, o riconducibile ad una nostra visione particolare: essa è.

Il fine dell’iniziato è di essere o perlomeno tendere all’armonia con il cosmo; è anche imparare ad udire i suoni che ci provengono dal passato, a riconoscere gli archetipi del reale vissuto, in altre parole, cercare di sviluppare un nuovo tipo di percezione dall’interno del nostro Io.

Dalla morte nasce la vita e la conoscenza metafisica non è e non sarà mai trascritta su pergamene, libri o personal computer essa è oracolo, tradizione verbale, ritmo musicale e simboli. Sta a noi imparare a percepirli.

Da questa percezione possiamo accorgerci allora che parte della struttura culturale attuale e dei valori normalmente accettati cominciano a stridere, a vacillare.

Leggendo autori come M. Schneider C. Levi-Strauss, E. Zolla, R. Guénon, Coomaraswamy, F. Schuon, Fulcanelli, T. Burckhardt, M. Eliade, si intravedono sprazzi: cattedrali e capitelli che urlano nel silenzio dell’incomprensione, un Medioevo che non è ciò che comunemente si pensa, un’arte che ha perso il suo scopo, simboli che non sappiamo più comprendere, visioni di culture tradizionali opposte a quelle propinateci negli anni.

E semplice rivedere il gioco iniziale: questi simboli che fra noi massoni vediamo nel Tempio, trasferiamoli nel mondo ed impariamo a conoscerli. A cosa serve studiare filosofia, storia (e tutto quello che volete mettere nel grande paniere della cultura) se poi, in realtà non siamo in grado di percepire come un ritmo, un canto, una danza, un bel corpo, un’alba o un tramonto, ma anche una tempesta o un terremoto siano il messaggio non scritto che dobbiamo imparare a decifrare? Ecco perché anche tutti i simboli dei gabinetto delle riflessioni hanno importanza: sono, se vogliamo, i primi impatti forti che il profano che chiede di entrare nel Tempio vede, stupito e spaventato. Se accetta di proseguire, comprende -o perlomeno viene messo in guardia su cosa comporterà superare quella porta …

Seppur tali simboli, non si ritrovino se non in parte dopo l’iniziazione, restano a mio parere scolpiti dentro di noi come messaggio al nostro orgoglio ed alla nostra presunzione.

Nel Tempio ed anche nella vita di tutti i giorni, le divergenze estreme si assomigliano ed il rischio più gave, se da una parte abbiamo detto che è l’indurimento spirituale, dall’altra è il mito del Superuomo, del super partes “intellettualmente evoluto” che solo per “sua bontà” concede al suoi simili, ogni tanto, di esporre i suoi punti di vista, le sue verità!

Ancora una volta dobbiamo porre attenzione al nostro io, dobbiamo spogliarci delle nostre sicurezze e porci in intima umiltà ad ascoltare i messaggi divini: essi ci sono, siamo noi che dobbiamo reimparare ad udirli.

Concludo con uno splendido passo di O. Wirth dai Misteri dell’Arte Reale:

“il Sale e lo Zolfo del gabinetto delle riflessioni possono lasciare perplesso il recipiendario estraneo al linguaggio alchemico Queste sostanze fanno parte di un ternario completato dal mercurio Secondo l’ermetismo tutto si compone di Zolfo, Mercurio, Sale; ma questi tre principi alludono:

— all ‘energia espansiva, inerente ogni individualità;

— a questa stessa energia proveniente dalle influenze ambientali che si concentrano sulla individualità;  alla sfera di equilibrio risultante dalla neutralizzazione dell’azione solforosa centrifuga e della reazione mercurile centripeta, penetrante e compressiva.

L’isolamento, la sottrazione alle influenze esterne condannano a morte il soggetto, cosi privato del soffio mercuriale che trattiene la vita.

Quando lo Zolfo brucia in un involucro di sale divenuto impenetrabile all’aria che trattiene il fuoco vitale, quest’ultimo tende ad estendersi, ridotto a covare sotto le ceneri saline. Tale è precisamente lo stato del recipiendario che subisce la prova della terra; egli è sepolto nel suolo come il grano destinato a germogliare. Bisogna che il suo nucleo spirituale si schiuda interiormente prendendo possesso della propria cavità solforosa. Cominciamo con il regnare sul nostro infero se vogliamo uscirne per conquistare cielo e terra.”

Con Il triplice fraterno abbraccio.

S. Frrnt

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COME CONCEPISCO LA PRESENZA DEL DIAVOLO E DELL’INDIVIDUALIGMO

Come concepisco la presenza del diavolo e dell’individualismo

Venerabile Maestro, Cari Fratelli,

Sono stato indotto a trattare del presente lavoro dall ‘incalzare sempre maggiore di nefaste influenze erranti e dai loro effetti di volta in volta sempre più evidenti che, se veniamo meno ai doveri di governo del nostro regno interiore e perciò del nostro microcosmo, rischiano di travolgere noi tutti in una disastrosa sconfitta.

Infatti il diavolo, loro sovrintendente, ha anch’esso i suoi emissari similmente a Dio e quindi alla Verità benché ne sia solo un imitatore avente però tutto l’interesse a generare lo scompiglio.

Esso però è quanto più pericoloso quanto meno lo si conosce, infatti è proprio sull ‘oblio della sua presenza, che egli gioca per poter meglio realizzare il suo diabolico disegno.

Si dice per la Verità: “Chi conosce se stesso conosce il Suo Signore”. Parimenti, ma con opposto significato riferito all’identità della menzogla si dice: “Dentro di noi sta il nostro peggior nemico”. Qualunque cosa noi pensiamo, diciamo o facciamo durante il corso del nostro ciclo esistenziale, in vista dell ‘elevazione e della realizzazione delle nostre facoltà, quindi di noi stessi, richiede, oltre un’adeguata conoscenza appunto del nostro peggior nemico alfine di poterlo combattere, una vigilanza perpetua e costante su ogni istante di tempo che sovrintende il corso del nostro operato, poiché questo atteggiamento è infatti la concentrazione, cioè quello che nelle diverse tradizioni, con nomi diversi ma con uguale sostanza, viene inteso come partecipazione non solo fisica ma anche spirituale, in vista di tale fine. A tal proposito è bene ricordare che appunto la vigilanza è una delle scritte che l’iniziando vede nel gabinetto di riflessione, seguita dalla perseveranza non meno importante, anzi forse addirittura complementare.

Succede però che, “mentre ciascuno di noi attende più o meno diligentemente alle proprie funzioni governative interiori, che un qualcosa di non ben identificato, un’entità estranea o forse anzi sicuramente più di una, intervengano nelle nostre funzioni, cercando di stornarci da esse, questo sempre e regolarmente quando siamo in concentrazione e meditazione e quindi cerchiamo per mezzo dell ‘intelletto, e non già di semplici elucubrazioni mentali, come a qualcuno potrebbe essere dato credere, di collegarci con il  al fine di essere illuminati circa le modalità e lo svolgimento del nostro compito.

In questo modo il Diavolo Demiurgo e Signore di questo mondo, e i suoi angeli neri che lo sovrintendono, quali fautori di tutto ciò che è separazione e divisione spinto agli estremi limiti, cercano di portare appunto la separazione fra lo spirituale e il corporeo, obnubilandoci se occorresse ed indirizzando i nostri interessi alla più mera esteriorità.

Molto più comodo sembra il crogiolassi in una materializzazione sempre più solida e consistente, in una quantificazione di cui il denaro è il più degno rappresentante, in una vana illusione di scienza, razionalizzazione e progresso, in un abbandono completo e totale al mondo Gran Libertino, in dispregio al primo capitolo degli “Antichi Doveri”, ancor sempre validi nella forma e nella sostanza sebbene alle soglie del duemila, secondo il quale: se un muratore intende correttamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso, invece di occuparsi delle questioni che riguardano la propria anima, che sono di ben altro ordine che quello materiale: non si vedono, non si toccano, ma si percepiscono e si acquisiscono con adeguati sforzi interiori.

Il Demiurgo è la Volontà dell ‘uomo quando realizza la distinzione fra il Bene e il male, e poiché l’uomo è un essere individuale viene limitato dalla sua stessa volontà e perciò essendo che essa non si assoggetta più a lui ma se ne distingue, l’uomo vedrà in essa una potenza ostile che chiamerà Shatan cioè Avversario. Il Demiurgo in quanto “Principe di questo mondo” è anche la “Creazione”, poiché essa stessa rispecchia la distinzione e la molteplicità delle cose da lui stesso organizzata nel “Caos primordiale”.

Il Demiurgo e il suo dominio non esistono, dal punto di vista universale.

Questo, evidentemente, perché tutto ciò che concorre alla formazione di questo mondo essendo soggetto a cambiamento è effimero cioè di breve durata.

Quando l’uomo si svincola dai legami della materia e dell’esistenza individuale e perciò perviene alla conoscenza reale identificando se stesso e tutto allo SPIRITO UNIVERSALE non appartiene più all ‘Impero del Demiurgo, ed è quindi libero.

Ci si potrebbe chiedere, e la richiesta è più che legittima, perché tanta ostilità nei nostri confronti da parte di questa entità?

La ragione c’è, ed è per cosi dire stata celata nella notte dei tempi dalle epoche che da allora ne sono seguite ad oggi.

Sono tuttavia rimaste valide vestigia e testimonianze arrivate da allora fino a noi, delle quali ne riporto per sommi capi una parte.

Chi possedeva il mondo prima di Adamo

Dio creò la terra, e creò una schiera di angeli traendoli dalla propria luce.

Fece i cieli e ne affidò il governo a Iblis che prima della sua ribellione a Dio era chiamato Hàrut.

In precedente Dio aveva creato un’altra schiera di angeli e li aveva chiamati ginn. I ginn vennero sulla terra e ne ebbero il dominio. Nell ‘empireo erano comandati dal diavolo, che per molte migliaia di anni si era consacrato al servizio di Dio, in ogni cielo e non si era mai ribellato.

In seguito, i ginn fecero il male sulla terra e si ribellarono a Dio.

Dio ordinò che il diavolo venisse sulla terra e la liberasse dai ginn. Il diavolo venne, e a lui, e agli angeli che lo accompagnavano, fu affidata la sovranità della terra.

I ginn fuggirono, davanti al diavolo, ripararono sulle isole e nei mari, e furono fatti a pezzi.

Il diavolo ebbe la sovranità del mondo nel suo cuore apparvero orgoglio e superbia, e disse: “Chi è simile a me nei cieli e sulla terra? Io ho servito Dio per anni in ogni cielo, e mai mi sono ribellato. Ora sono sceso sulla terra, il dominio della terra mi appartiene, ho messo in fuga i ginn”.

Dio seppe che orgoglio e superbia erano nel cuore del diavolo e volle renderli manifesti agli angeli, che sapessero che non si deve confidare troppo nel culto reso a Dio: sulla terra e nei sette cieli non c’era stato alcun essere che avesse reso a Dio culto uguale a quello tributato dal diavolo quando ancora si chiamava Hàrut.

Dio si rivolse agli angeli della terra che erano con Hàrut, e fece loro una rivelazione, com’è detto: “E quando il Tuo Signore disse agli angeli: Ecco, io porrò sulla terra un mio vicario essi risposero: Vuoi mettere sulla terra chi vi porterà la corruzione e spargerà il sangue, mentre noi cantiamo le Tue lodi ed esaltiamo la Tua santità? Ma Egli disse: “Io so ciò che voi non sapete, e so che dai lombi delle creature a cui darò forma nasceranno profeti e uomini devoti, e alcuni di loro saranno consacrati al mio servizio”.

Lucifero, o Iblis, l’angelo più bello del Paradiso montò in superbia, e invidioso degli onori attribuiti da Dio alla Sua creatura e a lui negati si ribellò. Dunque la superbia, la vanità e l’invidia, sono alla base dell’individualismo. Tali gravi manchevolezze hanno come risultante, la mancata considerazione del vincolo di legame con la divinità, poiché scomodo all’individualità, la quale si ribella esattamente come ha fatto Lucifero. Da questo errore a quello successivo, quello di negare I ‘esistenza della divinità, il passo è breve.

Ora il diavolo chi altri è se non colui che all’origine avrebbe dovuto essere il vicario di Dio sulla terra, quando era angelo con il nome di Hàrut, ma fu da Dio maledetto perché peccò d’orgoglio e superbia al Suo cospetto, e venne sostituito da Adamo? Per questo il diavolo giurò vendetta a Dio e alla sua creatura, giurando che di coloro che da essa avessero a’A1to origine ne avrebbe distrutti più che poteva con la tentazione.

E disse ancora Iblis: “Poiché Tu mi hai fatto errare io mi apposterò sulla Tua Via Diritta e apparirò loro davanti, e di dietro, e a destra, e a sinistra! E non certo molti di loro troverai che ti saranno grati!”

Per tali motivi l’uomo si trova cosi quale discendente di Adamo ed Eva quali suoi progenitori a dover combattere per il peccato di Hàrut per riacquistare le condizioni primordiali, garanti di eterna salvezza, ma a ciò può arrivare esclusivamente con una perpetua penitenza e una altrettanto pari devozione.

Tale penitenza e devozione sono normalmente esplicate nelle tradizioni inchinandosi a Dio per rispetto nella preghiera, infatti con tale gesto con cui il fedele si avvicina maggiormente a Dio, poiché concentra cosi la propria attenzione verso I, essenza della propria interiorità, si vuole sottolineare in termini di adorazione l’avvicinamento diretto, cioè interiore, a Dio, ed il medesimo in forma indiretta e perciò esteriore tramite Adamo.

E poiché Adim significa: “Sia il rosso, che la superficie di una cosa, essa, appunto è l’espressione indiretta di Adamo, di colui cioè che fil fatto vicario di Dio sulla terra e attraverso il quale il fedele adora inchinandosi nella preghiera il Suo Signore.

Il diavolo farà comunque, in forza della vendetta giurata a Dio e alla sua creatura, la sua apparizione nel peggiore esponente dell ‘ingiustizia alla fine dei tempi che è imminente, e come Anticristo (Al Daggial). Verrà a chiudere ogni speranza per bocca di autorevolissimi consacrati al suo funesto servizio. «Sarà un uomo rosso di carnagione, corpulento, dai capelli crespi, orbo dell ‘occhio destro, sarà come se il suo occhio sia un acino di uva secco. Las sua fronte porterà il marchio delle lettere Kâf, fâ, râ, le leggeranno sia chi sa leggere, sia chi non ne è capace».

Fra i segni della sua venuta saranno oltre i già più che evidenti sconvolgimenti stagionali, irregolarità meteoriche e naturali, infatti vi saranno tre anni: nel primo saranno trattenuti natura ed acqua per un terzo dell’effettivo, nel secondo per due terzi, nel terzo totalmente, fino all’estinzione di ogni animale con zoccoli o zanne”. Dice S. Giovanni nell’Apocalisse: “Poi vidi un’altra bestia venir su dalla terra. Aveva due corna simili a quelle di un agnello, ma nel parlare era come un dragone. Maneggia tutto il potere della prima bestia a servizio di essa, fa si che la terra e i suoi abitanti adorino la prima bestia che guari dalla sua ferita mortale. Fa grandi prodigi, sino a far discendere fuoco dal cielo in terra a vista del pubblico. Inganna gli abitanti della terra per mezzo dei prodigi che le fu concesso di fare in servizio della bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare un’effigie alla bestia che ha la ferita della spada ed è rimasta in vita. Le fu permesso di dare spirito all ‘effigie della bestia, sicché persino parlasse e di far mettere a morte quanti non adorassero l’effigie della bestia. Ottiene da tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, che si facciano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, e che nessuno posa comperare o vendere, se non chi ha il marchio, il nome della bestia o la cifra del suo nome. Qui ci va l’intelligenza. Chi ha comprensione, calcoli il numero della bestia, infatti è la cifra di un uomo, e la sua cifra è 666”. (Apocalisse, 13/11.18)

Sarà vinto e ucciso da Gesù nella Sua seconda venuta che avverrà non già secondo la legge cristiana ma secondo la legge islamica (Sharya).

Gesù ha inoltre anche predetto e raccomandato negli Evangeli la pratica della preghiera onde evitare che quei tristi giorni capitassero d’inverno.

Quale grande peccato è stato ed è ancora oggi quello dell’umana specie eletta e privilegiata fra le specie quello di prostituirsi al mondo esteriore, delegandogli le facoltà fino a divenire degli automi anziché acquisirne il pieno possesso, mettendosi quindi nelle mani del mondo anziché farne a meno, assecondando quindi il diavolo nella sua richiesta di trasformare le pietre in pane, di prostrarsi innanzi a lui per averne il mondo quale compenso, di gettarsi giù dal pinnacolo del Tempio dell’Intelletto, per precipitare negli abissi dell’oscurità, senza reagire rispondendo al diavolo come fece Gesù quando fu tentato nel deserto!

Tentazione di Gesù

Allora Gesù ripieno di Spirito Santo, parti dal Giordano, e fu dallo Spirito condotto nel deserto, dove rimase per quaranta giorni e quaranta notti, tentato dal diavolo.

Non mangiò nulla in quei giorni, e quando furono finiti ebbe fame. Gli disse adunque il diavolo: “Se tu sei Figliolo di Dio, di che queste pietre diventino pane”. Ma Gesù gli rispose: “Sta scritto: – Non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque cosa ordinata da Dio -“.

E, condottolo su in alto, il diavolo gli mostrò in un baleno tutti i regni del mondo, e gli disse: “A te darò tutta questa potenza di reami e la loro magnificenza, poiché è stata data a me, ed io la do’ a chi voglio, se tu dunque ti prostri davanti a me, sarà tutta tua”. Ma Gesù gli rispose: “Vattene, o Satana! Poiché sta scritto: – il Signore tuo Dio adorerai, e a Lui solo presterai culto”.

Lo condusse poi a Gerusalemme e, collocatolo sul pinnacolo del Tempio, Gli disse: “Se tu sei Figliolo di Dio, buttati giù di qui, poiché sta scritto che – agli angeli suoi darà ordine a Tuo riguardo, perché Ti custodiscano -, e che – essi ti porteranno in palmo di mano, perché tu non abbia a inciampare in qualche pietra -“. Ma Gesù gli rispose: “E stato detto: «Non tenterai il Signore, Dio tuo».

E il diavolo, esaurita ogni sorta di tentazione, si allontanò da Lui, ed ecco degli angeli presentarsi a Lui e servirlo.

L. Orlnd,  

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