ALCUNE PROPOSTE DI CARATTERE OPERATIVO

ALCUNE PROPOSTE DI CARATTERE OPERATIVO

Venerabilissimo, Rispettabili Maestri,

PREMESSA

Quanto vado a sottoporvi è frutto di alcune mie riflessioni sulla possibilità di usare in modo operativamente più corretto le tre Camere in cui espletiamo i nostri lavori di Loggia. Al fine di non dilungarmi eccessivamente in termini discorsivi, ho elaborato tre tabelle di sintesi relative ai simboli (alcuni espliciti nei nostri rituali, altri ricavati da quel che mi è dato conoscere della tradizione) che desidero sottoporre alla attenzione dei Maestri di questa Officina in quanto costituiscono la base teorica delle proposte che, nella parte finale di questo scritto, presenterò a questa Camera di Mezzo.

Lo scopo di questo mio lavoro è “tentare”, con l’accordo dei Fratelli, di dare una svolta maggiormente operativa (qui intesa come operatività iniziatica) ai lavori che effettuiamo in Tempio e di evitare, al meglio delle nostre capacità, confusioni di “grado” nella espletazione degli stessi.

Un altro fatto che mi ha spinto ad intraprendere questa piccola ricerca sul “significato” delle Camere è stata la constatazione di qualche perplessità quanto alla determinazione della “maturità iniziatica” necessaria per poter accedere al secondo o al terzo grado (in particolare a quest’ultimo) al di là della regola che prevede come minimo un anno di permanenza in ciascuna Camera.

Spero che questo lavoro, indipendentemente da quello che la Loggia deciderà in merito alla attuazione pratica di quanto proporrò, possa almeno contribuire ad una maggiore chiarezza su alcuni fra i simboli che ci circondano.

A questo proposito vorrei enunciare alcuni punti di riferimento che possono, a mio parere, favorire una miglior comprensione dei contenuti che seguono, anche se, in questa sede, non tenterò ampliamenti interpretativi se non in forma estremamente sintetica.

  • “Tre Fratelli Maestri costituiscono una Loggia semplice, cinque Fratelli Maestri costituiscono una Loggia giusta, sette Fratelli, di cui cinque Maestri, costituiscono una Loggia giusta e perfetta”. Quest’ultimo è il numero minimo richiesto per poter “fare” un Libero Muratore ovvero per poter “affiliare” (il termine è significativo) nuovi aderenti. SETTE è quindi un numero avente l’implicazione simbolica di generazione e di crescita (non casualmente esso è sovente associato alla Luna, che in Astrologia rappresenta principalmente “la madre” ed è anche simbolo di espansione” quando in fase crescente)
  • Quattro sono i sensi secondo cui può interpretarsi un oggetto di conoscenza:
  • il senso letterale (percezione della realtà sensibile) – la messa in atto delle energie “corporee”.
  • il senso morale (l ‘agire) – la messa in atto delle energie “vitali”.
  • il senso analogico (il pensare) – la messa in atto delle energie “mentali”.

 il senso anagogico (l’intuizione sovramentale) – la messa in atto delle energie spirituali”.

A ciascuno di essi corrisponde (in una applicazione particolare) uno dei quattro elementi, nell’ordine: Terra, Acqua, Aria, Fuoco.

CAMERA Dl PRIMO GRADO

Apprendista Libero Muratore

LUOGO GEOGRAFICO NOTO Al SOLI FIGLI DELLA VEDOVA

Qualificazione spaziale: “luogo geografico” (idoneo a processi di natura fisica).

Forma geometrica: “doppio quadrato” (o quadrilungo) corrispondente alla giustapposizione (somma) di due quadrati; atto ad esprimere l’impenetrabilità dei corpi tipica del mondo corporeo. Dimensioni: I per 2.

Qualificazione temporale (Età): tre anni.

Governatore: Secondo Sorvegliante (Bellezza) munito di Filo a piombo.

Viaggi: Uno fuori del Tempio, nel Gabinetto delle Riflessioni (la Terra, il Settentrione), e tre all’interno del Tempio: l’Aria (Occidente) l’Acqua (Meridione), il Fuoco (Oriente).

CAMERA Dl SECONDO GRADO

Compagno d’ Arte

LUOGO GEOMETRICO NOTO Al SOLI FIGLI DELLA VEDOVA

Qualificazione spaziale: “luogo geometrico” (idoneo a processi di natura mentale, l’attuazione dell’armonia ovvero la Bellezza attuata dalla Forza secondo i canoni della Sapienza).

Forma geometrica: rappresentata da un rettangolo avente per lato breve la sezione aurea del lato lungo (ovvero quel segmento del lato lungo che è medio proporzionale fra il lato lungo e la porzione restante).

Seione aurea  

NOTA – Tracciando la stella pitagorica a cinque punte (Pentagramma), le intersezioni dei segmenti sono tutte sezioni auree. Questa stella consente la divisione in 5 parti uguali.

Qualificazione temporale (età): cinque anni.

Governatore: Primo Sorvegliante (Forza) munito di Livella. Viaggi: cinque inerenti a:

10 i sensi comuni.

20 gli ordini architettonici.

30 le “Arti liberali”.

40 la Tradizione (i “maestri” del passato)

50 l’assenza di percezioni “mentali”

CAMERA Dl TERZO GRADO

Maestro Libero Muratore

LUOGO GEODETICO NOTO Al SOLI FIGLI DELLA VEDOVA

Qualificazione spaziale: “luogo geodetico” (idoneo a processi di natura intuitiva e spirituale attraverso l’aggiunta della “terza dimensione’).

Forma geometrica: rappresentata da un rettangolo avente il lato breve di lunghezza “tre” e quello lungo di lunghezza “quattro” (la diagonale sarà naturalmente “cinque’ secondo il Teorema di Pitagora).

NOTA – Gli Antichi. per tracciare ritualmente il perimetro di base dei Templi, utilizzavano una cordicella chiusa che includeva dodici nodi (tre + quattro + cinque) e con essa procedevano alla determinazione “giusta e perfetta” dei quattro angoli di fondazione. Una variante (pare usata dai fratelli operativi inglesi fino a tempi recenti) è rappresentata dall’uso di tre canne aventi misura 3, 4, 5 ciascuna tenuta da uno dei tre Gran Maestn della Ghilda rappresentanti Re Salomone, Hiram re di Tiro e Hiram Abif.

Qualificazione temporale (età): sette anni e più (ove “e più” implica una apertura indefinita).

Governatore: Venerabilissimo (Saggezza) munito di Squadra.

Viaggi: in questo grado, profondamente diverso dagli altri due nei suoi contenuti simbolici, il viaggio è rappresento dal “peregrinare” dei nove Maestri ai quattro angoli del mondo per ritrovare il luogo di sepoltura del Maestro Hiram.

ALCUNE PROPOSTE SULL’USO DELLE TRE CAMERE

Con riferimento a quanto fin qui esposto su alcune specificità delle singole Camere, ritengo opportuno proporre, in linea del tutto generale, che sia fatto da parte di tutti uno sforzo particolare per ricercare l’armonia fra quello che le Camere simbolicamente esprimono e quanto in esse si compie. Più in particolare vorrei chiedere ai Maestri di questa Loggia di valutare le seguenti proposte operative ed esaminare la possibile attuazione.

  1. 0 Ritenendo che la prima Camera sia da intendersi come dedicata all ‘approfondimento del “senso letterale”, penso che la stessa debba essere riservata prevalentemente a lavori di “istruzione” circa quanto è contenuto nel Tempio (e Gabinetto di Riflessione) e nei Rituali di pertinenza del primo Grado. Penso inoltre che il “senso morale” sia comune alla prima ed alla seconda Camera e che, con approcci forse un po’ diversi, si adatti ad entrambe. In primo Grado è necessario apprendere “che cosa” sono gli oggetti che vengono proposti (ci sono “spazi culturali” anche prendendo in considerazione Rituali di altri Orienti o altre epoche) e quali sono i “buoni costumi” (molti riferimenti sono presenti, oltre che sui nostri rituali, anche in testi antichi dei “doveri”).

La seconda Camera è, a mio avviso, il luogo di approfondimento sia, come detto sopra, del punto di vista “morale” che del punto di vista “analogico”; qui si impara la “scienza muratoria”. In questa Camera possono essere lette le “Tavole” di argomento più svariato ad eccezione di quelle specificatamente destinate alla Camera di Mezzo (di quesito tipo penso debbano considerarsi tutte quelle Tavole che esprimono un qualche genere di “malessere” sia esistenziale e personale sia riferito all’andamento o conduzione dei lavori di Loggia, oltre, naturalmente, a quelle che sviluppano temi e simboli pertinenti al solo terzo Grado). Nella pratica settimanale, vorrei inoltre proporre che si esaminasse la possibilità che tutte le Tornate rituali, anche se previste in secondo o terzo Grado, prevedessero una prima parte di anche breve istruzione per il | 0 oppure per il 2 0 riservando ad una seconda parte i lavori previsti a programma.

I Neofiti, durante il loro periodo di apprendistato, non dovrebbero essere ‘turbati” con tematiche al di là della loro capacità di comprensione massonica per non correre rischi di “rigetto” (per fortuna pochi) o comunque cadute di attenzione verso quelle cose che è invece importante imparare per prime.

Questa proposta ha l’implicazione di dover redigere due Verbali per ogni Tornata, ma se gli stesi sono fatti in forma molto sintetica non credo che la cosa debba costituire un problema insuperabile. Relativamente al “Quadro di Loggia”, le modifiche da apportare per passare dal primo al secondo Grado sono, come sappiamo, molto poche e richiedono breve tempo; il “Quadro” di terzo, per via dei contenuti ridotti, è di rapida tracciatura.

Prendendo tutto in considerazione, il tempo aggiuntivo rispetto a quello attualmente utilizzato non penso superi i venti/trenta minuti, cosa che dovrebbe essere sopportabile considerando i possibili vantaggi su altri fronti ben più importanti.

  • 0 Essendo impossibile cambiare di Camera (fisica) per ogni Grado, si potrebbe ‘segnare” la Camera in cui si lavora con la forma geometrica che le corrisponde mediante lieve modifica della distanza fra le tre Luci al centro del Tempio, come segue:

primo Grado – distanza breve I , lunga 2 secondo Grado – distanza breve “segmento aureo” della distanza lunga terzo Grado – distanza breve 3, lunga 4.

L’evidente problema pratico (misurare le distanze) potrebbe essere superato se il M. delle C. venisse dotato di tre cordicelle, una per ogni grado, tali da indicare la corretta distanza fra i candelabri.

30 Per quanto riguarda i “passaggi”, vi sono buoni motivi per pensare che, sebbene il Regolamento preveda “un anno” come tempo minimo di permanenza in primo o in secondo grado, il tempo “giusto” necessario per apprendere in modo soddisfacente quanto il Grado prevede, sia molto più prossimo, anche in senso letterale, alle “età” dichiarate ovvero tre anni per gli Apprendisti e cinque anni per i Compagni. Con questa osservazione non intendo dire che questi debbano essere i tempi da osservare, ma solo che sarebbe auspicabile considerare con molta più attenzione se il fratello ha “assorbito” intimamente e profondamente il messaggio relativo al Grado in cui si trova ed è pertanto effettivamente nella posizione di poter accedere con profitto al Grado superiore.

Altri Fratelli attenti a questo genere di cose, potranno certamente ampliare quanto qui espresso e contribuire, meglio di me, ad un sempre più perfetto utilizzo degli strumenti operativi che abbiamo a disposizione. Spero tuttavia, con queste annotazioni e proposte, di aver portato un piccolo contributo in vista di una maggiore efficacia operativa dei nosfri Lavori ed anche, al di là delle eventuali attuazioni, una migliore comprensione di qualcuno fra i molteplici strumenti fornitici dalla Libera Muratoria per consentirci di operare al “bene ed al progresso dell ‘umanità” cooperando così al piano del G D:. U

A. Orlnd, 15 aprile 1999 dell’e:.v:. (3 0 grado)

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A SIMONE MNFRT NEL GIORNO DELL’INIZIAZIONE

A SIMONE MNFRT NEL GIORNO DELL’INIZIAZIONE

Caro Fratello Simone, benvenuto tra noi.

Benvenuto tra coloro che perpetuano una millenaria tradizione che vede la ragione guida della loro vita.

Solo dal 1700, la Massoneria è organizzata nella forma e nei riti attuali, ma la ricerca della verità risale a molti secoli prima. Dai Sumeri agli antichi sacerdoti egizi, dalle scuole pitagoriche agli esseni, dalle scuole esoteriche, quali erano le prime comunità dei seguaci di Cristo, agli alchimisti, ai Templari, fino a noi … Unico filone d’oro che contraddistingue tutti è l’aver sollevato, di propria volontà, la faccia dalla palude della vita, per guardare le stelle e chiedersi: “Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”. Le tre domande che si presentano ad ogni uomo che sia “libero da .., per essere libero di … “.

Le religioni hanno dato sempre risposte sicure, dogmatiche e indiscutibili, in Massoneria riceverai solo dubbi. Ed è attraverso l’eterno linguaggio del simbolismo che verrai aiutato ad avere questi dubbi. Il segreto massonico lo apprenderai scavando nel significato dei simboli e dei rituali; simboli e rituali che contengono la saggezza antica.

Per tutto il periodo del grado di Apprendista, tra le colonne del Tempio, che ha il cielo e le stelle come confine superiore, imparerai a dominare l’istinto con il silenzio cui sarai obbligato. Imparerai pian piano ad acquisire quella qualità, così rara tra gli uomini, che ti permetterà di ascoltare il pensiero degli altri, dei Maestri; non solo le parole, ma il pensiero ed entrerai in una dimensione nuova, dimensione che nessuna scuola profana ha mai insegnato e che ti permetterà di comunicare attraverso la mente e lo spirito.

Nel silenzio tra le colonne, ti chiederai il perché di tutte le cose, ti renderai conto di quante sovrastrutture inutili e dannose l’educazione profana ti ha dato come fardello e inizierai a sbozzare la pietra grezza, per liberarla dalle scorie e dalle sovrastrutture che nascondono il capolavoro del creato: [‘Uomo.

Incomincerai a dare il giusto valore alle cose e agli avvenimenti. Scoprirai un modo di vivere in una dimensione diversa, il tuo modo di comportarti cambierà gradualmente, dopo aver intuito che la Fratellanza, I ‘Uguaglianza e la Libertà sono tre virtù molto sbandierate, ma molto poco praticate. Imparerai la virtù della Tolleranza che ti permetterà di accettare le idee degli altri, cercando di capirne le motivazioni ed assimilarne il contenuto di verità.

La Massoneria, ripeto, ti aiuterà ad avere dei dubbi, ma il dubbio è la virtù del saggio. Quando le voci rumorose si quieteranno e la ritualità del Tempio ti avvolgerà, allora emergerà, dal profondo della coscienza, la voce del silenzio. Sorgeranno i dubbi repressi e mai ascoltati, la realtà fisica ti apparirà sfuggente e provvisoria, effimera ed illusoria.

Prenderanno valore alcuni aspetti nascosti della vita, alcuni messaggi trascurati nel rumore quotidiano. Si ridimensioneranno i forti sentimenti e apparirà una verità a lungo negletta e inconsciamente desiderata ed allora vedrai la Via che conduce alla Luce.

Buon lavoro, fratello mio.

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S. Lppls, 25 marzo 1999 dell’e.•.v.•.

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APPUNTI E CONIDERAZIONI GENERALI SU GABINETTO DI RIFLESSIONI

Appunti e considerazioni generali sul Gabinetto di Riflessione

Come diceva giustamente un fratello maestro di questa officina, la nostra istituzione è una scuola, e più esattamente una scuola iniziatica.

E in quanto tale deve, fra le altre cose, proporre un obiettivo e un metodo di insegnamento. E il risultato si otterrà attraverso l’insegnamento trasmesso. Il gabinetto di riflessione è una sorta di “manifesto” della scuola.

Cerchiamo allora di evidenziare i contenuti ti tale manifesto.

All’esterno del nostro Tempio vi sono, almeno idealmente, due distinti locali: una è la sala dei passi perduti e l’altro il gabinetto di riflessione.

Quest’ultimo è, di norma, un locale abbastan2a piccolo, con un rapporto larghezza lunghezza I a 2, analogamente al tempio e di quest’ultimo ha lo stesso orientamento.

Il pavimento, le pareti e il soffitto sono in nero opaco, ed alle pareti compaiono scritte e figure.

Lato Est

In alto il simbolo dell’Ariete, in rosso,

Sotto è dipinto un gallo (con cresta, bargigli e pettorina rossi), con piume bianco e nere, posato su una banderuola in cui è scritto “VIGILANZA E PERSEVERANZA”.

Ai lati del gallo, in bianco, la scritta:

“SE TU PERSEVERI SARAI PURIFICATO DAGLI ELEMENTI”

“VERRAI FUORI DALL’ABISSO DELLE TENEBRE VEDRAI LA LUCE” Più in basso ancora è dipinto in rosso il simbolo del fuoco (triangolo con la punta verso l’alto).

Lato Nord

In alto, il simbolo del Cancro, in blu.

Sotto, uno scheletro umano in piedi, dipinto in bianco.

La scritta V.I.T.R.I.O.L., i simboli alchemici del solfo (triangolo col vertice in alto sormontato da una croce) e del sale (cerchio tagliato a metà da una retta orizzontale)

La scritta: “SE LA TUA ANIMA HA PROVATO SPAVENTO, NON ANDARE PIÙ

OLTRE”.

Infine il simbolo dell ‘acqua, in blu (triangolo col vertice in basso)

Lato Ovest

In alto il simbolo della Bilancia, dipinto in giallo, che sovrasta la scritta, in caratteri bianchi: SE LA CURIOSITÀ Tl HA CONDOTTO QUI, ESCI).

Su questa parete c’è la porta di ingresso, dotata di spioncino orizzontale.

Sulla porta, in basso, è dipinto in giallo il simbolo dell’aria (triangolo col vertice in alto, tagliato da una retta orizzontale.

Lato Sud

In alto il simbolo del Capricorno, dipinto in verde, sotto cui è tracciata una falce e una clessidra (in bianco). Accanto la scritta “SE TIENI ALLE DISTINZIONI UMANE, VATTENE”.

In basso, in verde, il simbolo dell’elemento terra (un triangolo col vertice in basso, tagliato da una retta orizzontale)

All ‘altezza degli occhi uno sportello nero, apribile, occulta uno specchio.

All’interno del vano l’arredo è costituito da  un tavolino (alto 72 cm.) appoggiato al lato Sud. Sul tavolo si trovano:

— un teschio (umano)

— una penna (d’oca)  un calamaio ( in cristallo di rocca) contenente inchiostro (di china)  un candelabro con candele di cera d’api  tre ciotole di terracotta contenenti rispettivamente sale, zolfo e mercurio

— un pezzo di pane (secco)

— una brocca d’acqua (di fonte), ed infine — uno sgabello (nero opaco) — una lanterna ad olio.

Prima di poter salire la scala diritta di tre gradini, il candidato è fatto scendere in questa stretta ed angusta “prigione”, il gabinetto di riflessione dove il termine riflessione va inteso come analisi di se stessi, ovvero di ri-flessione, sinonimo di rispecchiarsi , proprio come se ci si guardasse in uno specchio.

Insomma, rappresentando la terra (questo è il primo viaggio del candidato) si compie il primo “transito” del candidato: egli entra vivo ed esce morto; questo è quello che possiamo legittimamente definire e giustamente chiamiamo “suicidio metafisico” del profano che attende l’iniziazione, cioè la nascita a vita nuova! Una nuova vita che non ha alcuna implicazione con la materialità profana, qui il candidato “perde” le coordinate di spazio – tempo finora avute e comincia a vedersi e stimarsi per quello che realmente è, dove e fintanto che è, con la promessa di ottenere successivamente nel Tempio quella luce che gli permetterà di proporre all ‘umanità intera queste sue conquiste

E questo primo viaggio ha una singolarità: esso si svolge non all ‘interno del tempio, ma all ‘esterno; questo significa che questa prima esperienza del candidato NON può ancora essere definita come una prova vera e propria, ma quasi come una ulteriore preparazione.

Per meglio spiegare il concetto di “morte iniziatica” e di “suicidio metafisico” vediamo cosa ci suggerisce il passato, che specie a noi deve esser maestro. Basta saper cogliere il senso “nascosto”.

Nei piccoli misteri eleusini che si celebravano in primavera, la condizione del profano alla porta del Tempio veniva drammatizzata con la tragedia di Proserpina. Figlia di Demetra, vinta dalle astuzie e dalle tentazioni di Eros, raccoglie il narciso che la Terra ha creato per lei in base al volere del dio Plutone, che si era invaghito di lei. Subito il dio sorge dagli inferi e la ghermisce, trascinandola con sé e facendola sua sposa e regina.

Laggiù resterà, vestita a lutto e perennemente con la tristezza nel cuore, pensando continuamente al suo perduto amore.

La discesa agli inferi simboleggia quindi la presa di coscienza del proprio essere, avvolto dalle pastoie della materia e dal piacere dei sensi, nella febbre per la ricchezza e per la ricerca del primato sui nostri simili. Questo è il nostro essere, la nostra anima, questa è la nostra prigione (e condanna).

Per Proserpina i sentimenti e la passione costituirono la sua condanna e la sua perdizione; tutta via deve essere chiaro che non sono i sentimenti che debbono essere annullati, ma casomai il nostro attaccamento torbido ad essi: il desiderio, la voluttà, I ‘avversione, l’ira, eccetera.

Scrive un anonimo “iniziato” italiano. “Se le passioni ti molestano, non reagire né turbarti. Conducile invece deliberatamente a soddisfazione e poi discioglitene”.

E ancora: “Come un’acqua chiara, non smossa, lascia trasparire le cose che ci sono sul fondo, così, non più identificato con i sentimenti, accoglili e osservali come faresti con le cose del mondo esterno”.

Se dalla cultura ellenica passiamo ad una lontana, almeno nello spazio, come può essere la cultura pellerossa, troviamo il rito Hopi (v. Alce nero: La sacra pipa, Rusconi 1996) che si svolge nella “capanna sudatoria”, cosiddetta dalle fumigazioni cerimoniali che vi si compiono.

La capanna, circolare, ha la volta a cupola sorretta da dodici rami che rappresentano i quatfro quadranti dell’universo, ossia i punti cardinali. La capanna ha un unico ingresso, basso e stretto, situato ad occidente, in modo che chi entra cammina verso oriente; non ci sono aperture e viene affermato esplicitamente che la luce viene da oriente.

Alla tenda si giunge percorrendo un sentiero sacro, lungo dieci passi, tracciato con terra di riporto ricavata dal focolare (centrale) della tenda stessa. Il focolare rappresenta in Watan Tanka (il grande spirito) che è appunto simboleggiato dal fuoco.

Tutti i partecipanti al Rito entrano in fila “indiana” e, marciando in senso destro centrico, raggiungono in silenzio ognuno la propria posizione.

La pipa sacra, di terra rossa, viene accesa con una fiamma portata dall’esterno. Vi si aspira il fumo di un’erba sacra (talvolta è anche tabacco), ed il fumo (che rappresenta lo spirito di Watan Tanka) entra e penetra gli officianti. La pipa è contraddistinta da un lungo cannello che simboleggia l’asse del mondo, ed è usa anche per dei “toccamenti” sacri durante il rito, che è un rito di purificazione e di iniziazione guerriera.

La capanna è immersa nel buio, rischiarata solo dal focolare centrale, un po’ come il nostro gabinetto di riflessione.

Ma tutte (o quasi) le culture hanno in qualche modo a che fare con la cavità del sottosuolo. Possiamo dire che la caverna deve essere considerata un archetipo.

Nell’antico Cristianesimo il Catecumeno non era ammesso nel Tempio, ma faceva istruzione fuori e solo quando era considerato istruito riceveva il battesimo e diventava neofito.

Ce dire poi di Gesù Cristo, che nasce in una grotta?

Ma d’altronde il ventre di una donna non è la stessa cosa?

Voglio ancora ricordare, al riguardo di locali sotterranei e chiusi e passaggi da uno stato ad un altro, nascita o rinascita che siano, che il novizio benedettino deve rimanere sdraiato fra quattro ceri e coperto da un lungo drappo mortuario (e nero) mentre i futuri confratelli cantano il “miserere”, quindi si rialza e “resuscitando” passa la soglia della morte, acquisendo così la sua nuova coscienza e conoscenza (ed un nome nuovo).

E poi ancora le catacombe, ove i primi cristiani compivano le prime messe per ricordare il Cristo che, morto e immesso nella tomba, rinasce dopo tre giorni ed assurge al cielo.

Insomma, qualunque iniziazione avviene DOPO la morte, perché solo morendo si può cominciare una nuova vita. E la morte avviene e consiste nell ‘andare in un luogo senza luce, suoni, altre persone: proprio come il gabinetto di riflessione.

L’uomo, all’inizio della sua storia, ha sempre considerato la terra, e forse più ancora la caverna, come l’ambiente per sentirsi protetto, ha. sempre considerato la terra come “madre terra”, come la sua sostentatrice, tributandole onori e sacrifici.

Insomma, le prime grotte naturali, poi quelle artificiali: cripte, ipogei, sotterranei Non sempre per culti matriarcali o per culti ctonii e terresti, ma anche per culti solari; tuttavia le più antiche forme di iniziazione descritte o testimoniate dagli etnologi hanno quasi sempre la presenza o la partenza da caverne-tempio artificiali o simboliche.

Interessante in questa ottica è allora il culto di Mitra.

Esso si svolgeva sempre in caverne o luoghi sotterranei inseriti in una o più pareti di roccia viva o comunque disseminati di “finte” rocce o asperità (erano in pietra pomice, di solito).

Nella Roma del EO secolo d. C. il culto per il Dio persiano-vedico Mitra, dio della luce, invincibile e guerriero, era molto diffuso, tanto da contendere il primato allo stesso Cristianesimo.

Scrive Renan: “Se il cristianesimo fosse stato interrotto nel suo sviluppo da qualche colpo mortale, il mondo sarebbe stato seguace di Mitra”.

L’aristocrazia romana ostentava le insegne e le decorazioni che testimoniavano I ‘iniziazione ai misteri di Mitra.

Templi di questo culto ve ne erano un po’ dovunque nell’impero.

Scrive nella “storia delle religioni” di Laterza R. Turcan. “In origine si tratta di grotte. Di esse i santuari conserveranno il nome e l’aspetto, anche quando cominceranno a tendere alla forma e alle dimensioni di templi veri e propri”

Un teorico del Mitraismo, Ebulo, che Porfirio cita nel suo “Antro delle ninfe” faceva risalire ai tempi favolosi di Zoroastro la consacrazione di grotte naturali, fiorite e bagnate da fonti.

A Bourg Saint Adeol un mitreo addossato alla roccia porta ancora scolpita l’immagine di Mitra nella roccia viva, ed è una delle poche che ci siano pervenute.

A Epidauro e a Costanza (in Romania) il mitreo è una vera e propria grotta.

Presumibilmente da questo culto deriva la festa del 25 dicembre, che era destinata al Dies Natalis Solis Invictis. E sempre per i mitrei la Domenica era giorno sacro al sole (Hiram 2, febbraio 1987).

Un altro aspetto legato alla caverna, o agli antri in genere, è quello delle Sibille.

Secondo lo storico latino Varone, esistevano al mondo dieci sibille. cioè vergini dotate di virtù profetiche grazie al loro “contatto” con la divinità in luoghi ben precisi, guarda caso tutti antri, caverne o simili.

La più antica, la Delfica (o Pizia), vaticinava nel luogo più caro di tutta la Grecia (Schuré. i grandi iniziati: Pitagora). Il tempio, dedicato ad Apollo, sorgeva in una palude ed aveva alle sue spalle una caverna con una profonda fenditura nel terreno. Da qui uscivano dei vapori freddi che provocavano ispirazioni ed estesi donando una “seconda vista”.

Un’altra sibilla era la Cumea; quella che Virgilio descrive come una vecchia di 700 anni incartapecorita. Secondo il poeta, Enea va a consultarla prima di scendere all ‘Averno, ricevendone il ramo d’oro. Anche qui un cunicolo in discesa immetteva in una vasta sala rettangolare da cui si dipartiva un “dromos” rettilineo ed a sezione trapezoidale che infine portava all’antro della sibilla.

Cosi scrive Virgilio: “È d’un canto dell’euboica rupe un antro immenso che nel monte penetra. Avvi all’interno cento vie, cento porte cento voci n’escono insieme allor che la sibilla al sua risposta intona” (Hiram 3, marzo 1987).

Riprendendo il discorso ora più aderente alla nostra tradizione, occorre dire che il gabinetto di riflessione chiuso ermeticamente, nero, con una luce fioca e tremolante farà una certa impressione al candidato.

Questa emozione gli impedirà, almeno in un primo momento, di esaminare con calma e in toto i vari simboli che lo circondano. Comunque non è neppure detto che in ogni caso lui sia in grado di comprenderli, o anche solo di apprezzarli e valutarli.

Tutte le scritte sulle pareti tuttavia non lasciano molto spazio all ‘immaginazione, Esclusa la scritta V.l.T.R.1.O.L.

E presumibile e sperabile che poco per volta il candidato cercherà di capire dove si trova, ripenserà a quanto sta per compiere, dovrebbe domandarsi perché è così, perché è li, che cosa mai lo attende.

Ovvero si pone le tre domande fondamentali per l’Uomo: “Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”. Queste dovrebbero quindi essere le tre domande cui rispondere nel Testamento.

Molto importante in questo momento diventa quanto e come il candidato è stato edotto sulla nostra istituzione, sui suoi riti e sulla nostra modalità di istruzione, insomma sul simbolismo.

Se spaventato chiederà di abbandonare questa “folle” impresa, poco importa; non avremo certo perso un buon fratello: chi si arrende così facilmente alle difficoltà non potrà mai essere un buon “ricercatore di verità”.

Dobbiamo auspicare che nel candidato ci sia solo curiosità, non la paura per la morte che sta affrontando.

Questo è, dicevo, il primo viaggio fatto in un mondo “diverso” da quello che conosciamo, che siamo abituati a frequentare ed a vedere, insomma al mondo profano.

E proprio questa potrebbe essere la prima “riflessione”

Ma se supera questa prima paura, egli si è avvicinato alla prima fase del mutamento e quindi di conoscenza; qui il supporto della sua cultura, della sua capacità di comprensione e di analisi, del suo buonsenso lo aiuterà a cominciare a capire ciò che lo circonda.

La possibilità di comprendere comunque di più e meglio sarà limitata e fermata dal compito che, troppo spesso di solito, gli viene assegnato: la stesura del suo testamento.

Ambiente e testamento fanno percepire al candidato la sua completa solitudine, il silenzio che lo circonda (purtroppo da noi ora suona una musica: in una “tomba”!) lo aiuteranno nel suo compito.

Nuovamente, come prima, molta importanza avrà quanto e come è stato inforrnato e preparato; certo qui ed ora gli è relativamente facile guardare dentro se stesso, sentire la verità che lo riguarda e che deve, o dovrebbe, trasmettere a tutti noi.

Presumibilmente il candidato ora è già diverso da quello che era quando, pochi minuti prima, è entrato nel gabinetto di riflessione.

Tutti noi, se riandiamo con la memoria a quando siano stati introdotti nel gabinetto di riflessione, ci rendiamo conto che è stato proprio “quello” il momento più choccante (insieme forse alla caduta della benda) di tutto il rito, ed a quel momento si torna col pensiero ogni qualvolta si ha la sensazione di aver fatto un passo avanti sulla via della conoscenza.

Possiamo aggiungere che è auspicabile che il candidato, qui, faccia non già delle considerazioni troppo generiche, ma che compia UNA, e una sola, riflessione sulla vita, sulla morte sul passo che si appresta a compiere e sull’istituzione che crede di conoscere e di cui chiede di entrare a farne parte.

Potrebbe, per esempio, ricordare le parole di Albert Schweitzer: “liberati dalla terribile barriera dell ‘educazione, e tutto ti sembrerà più chiaro, semplice, lucente”.

La nostra istituzione prevede, per chi si appresta ad entrarvi, tre fasi ben distinte tra loro:

l. il distacco da tutti i pesi che ci legano al mondo profano (lo spoglio dei metalli). Questo atto deve essere compiuto PRIN,4A di essere introdotti nel gabinetto di riflessione.

  • il viaggio nella terra (gabinetto di riflessione), che si compie da soli.
  • i tre successivi “viaggi” (acqua, aria e fuoco) che si compiono nel tempio, non più soli, ma in compagnia, anche se di persone che non si vedono, di norma non si conoscono, ma che si percepiscono e si sentono.

Che la permanenza del candidato nel gabinetto di riflessione sia un “viaggio nella terra” raramente è percepito dal diretto interessato, ma è chiaro; dal colore, ai vari simboli, per finire al testamento richiesto non possono non far pensare alla caducità delle cose umane, alla morte ed alla sepoltura.

A proposito del punto l) sopra citato, possiamo dire che lo spoglio dei metalli è una operazione “a togliere”, così come quando appena iniziato dovrà battere tre colpi sulla pietra grezza, per toglierle subito almeno le più grosse imperfezioni: deve lasciare le propri convinzioni (la vita finora fatta).

Deve demolire i vizi, le passioni, la sua presunzione, il suo egoismo se vuole sperare di portare alla luce l’occultum lapidem.

Per il punto 2) posso solo ricordare che la morte si affronta sempre da soli: è il destino di tutti noi mortali.

E per il punto 3) invece una nota di gioia: questa istituzione è una comunione, e tutta la nostra futura vita (massonica) si svolgerà in compagnia dei nostri “fratelli”, che in questo caso è forse più giusto definire compagni. Si, compagni di viaggio, quel viaggio che durerà molto, di cui sappiamo la meta, ma non il percorso, che dovremo individuare poco per volta, passo dopo passo, anche grazie alla capacità di collaborazione con i propri compagni-fratelli.

Il gabinetto di riflessione oltre che come tomba può anche essere visto come una prigione; e dalla prigione si desidera uscire, evadere. Il nostro corpo fisico può essere la prigione che trattiene il nostro spirito, che vorrebbe evadere, uscire per farsi vedere, sentire.

Ma ritornando alle altre tradizioni e culture posso ancora ricordarne altre. Vediamo un po’: Alice, che cade in un profondo burrone, una fenditura della terra, che risulta poi essere la tana del coniglio bianco.

E se parliamo di favole e leggende, di miti o di sogni troviamo molto spesso che il “tesoro” è difficile e pericoloso da trovare o di impossessarsene: esso è sempre nella caverna più profonda e buia, le gemme sono poste in luoghi che divengono accessibili solo dopo ave r vinto terribili draghi e forti guardiani. Se la ricerca anziché vertere sul tesoro è nella ri-cerca di un proprio caro o la predizione di ciò che dovrà accadere (insomma conoscere la verità!), le difficoltà permangono, e sono praticamente le stesse.

Qui possiamo citare, a titolo di esempio:

 Argo, il feroce guardiano dell’Ade, che ha il compito di bloccare chi si volesse avventurare in quella discesa o chi volesse da lì ritornare.

— Tamino, che affronta i drago e altre difficoltà (specie le prove iniziatiche vere e proprie) per giungere a conquistare Pamina (e la luce e la saggezza!).

 Pinocchio e Giona, che finiscono nel ventre della balena, dove ventre e caverna sono molto simili.

— Osiride, che deve compiere la discesa agli inferi per ritrovare la propria sposa, e che rappresenta il percorso notturno del sole.

 Ercole, che deve compiere le sue fatiche ( o prove che dir si voglia) per …

— Teseo, che deve salvare la sua amata Arianna dal sacrificio e quindi affronta anche lui la prova più difficile.

— Ermes, lo psicopompo, (guida delle anime) che accompagna, sia dentro che fuori dell’Ade, quei pochi che ottengono il permesso di ritornare … alla luce (il neo-fito) (Hiram 5, 1987).

 Giasone, per la conquista del vello d’oro.

 Enea e Dante, che per conoscere la verità scendono nell ‘Ade e nell’inferno.

— E ancora, la leggenda di Hiram.

 O ricordare che la trasmutazione avviene, per gli anchimisti, nell ‘athanor.

Alcuni animali si scavano la tana per difendersi, per allevare la prole o per trascorrere il letargo; per sopravvivere insomma.

Cosi anche l’uomo, che sono ormai secoli che scava, ora dovrebbe cominciare ad elevare.

Ma questo non è appunto lo scopo dichiarato dei nostri lavori?

A. Bgg,

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COMPRENDERSI PER COMPRENDERE

Comprendersi per comprendere

E nostra consuetudine che un argomento proposto dalla tavola di un fratello venga ripreso anche a distanza di tempo. Nel caso particolare, vorrei fare qualche commento sulla tavola scolpita dal Fratello 110 Sorvegliante tempo addietro e intitolata “Comprendere per comprendersi”; commento giustificato anche dal fatto che la sera delta lettura dovetti assentarmi presto, e non potei quindi partecipare alla discussione.

Personalmente, penso che in una loggia massonica “comprendersi per comprendere” è forse una via più costruttiva che non “comprendere per comprendersi”. L’essenziale del mio commento è tutto qui, e la prima tentazione era di non andare oltre. Poi ho ritenuto più giusto chiedervi un po’ del vostro tempo, per esprimere un commento meno sibillino, e meno incompleto.

È detto nella tavola che esistono due tipi di amore, quello che coincide con la conoscenza e quello che appartiene al dominio delle passioni e del sentimentalismo. Io direi che esiste un amore che non è né questo né quello. Non è l’amore passione dal quale siamo dominati, e che ci distoglie dalla Via; amore per la donna, l’arte, la scienza o il gioco degli scacchi. E’ invece l’amore che coincide con la carità, virtù teologale. Non è questo un amore che ci frena nel cammino; è un amore che ci sostiene. Se io arriverò ad amare tutti i fratelli della loggia, tutti i fratelli dell ‘istituzione, I ‘Umanità tutta, quello lo considererò un traguardo parziale, ma non poco importante, sulla via della realizzazione. Accettare con serenità e amore il discorso di un fratello quando questo discorso mi dispiace; valutare la sua posizione intellettuale senza presumere di detenere il monopolio della verità, sono atti d’amore che appartengono a questo dominio. Tolleranza, secondo me, è questo. Se in Massoneria qualcuno disapprova questo tipo di tolleranza, posso solo archiviare tra le cose che non capisco.

Ma vorrei tornare al tema “amore e conoscenza”. Se al limite, ovvero all’infinito, amore e conoscenza coincidano non lo so, e oserei dire che non mi interessa. Da noi in Loggia c’è a volte tendenza a traslare tutti i discorsi a livello dell’Assoluto, che è come la notte dove tutte le vacche sono grigie. Nel dominio relativo e finito nel quale viviamo, le cose stanno in modo diverso, e cioè, le vacche non sono tutte grigie. Mi sia concesso di attingere un paragone al campo della matematica Posso costruire moltissime funzioni che, per x tendente a infinito, tendono tutte allo stesso valore: 0 oppure -l-  oppure infinito oppure pi greca ecc. ecc. Ciò non toglie che siano tutte funzioni diverse, a ognuna delle quali corrisponde un grafico, una curva. E quelle curve non sono affatto tutte uguali, come ben sanno tutti i fratelli che sono nel mondo degli affari.

Seconda osservazione. E stato detto che non tutte le opinioni sono ugualmente rispettabili, e nel mondo profano ciò è probabilmente vero: 2 + 2 = 5 è un’opinione meno rispettabile di 2 + 2 4. ln Massoneria, piuttosto che di rispettabile, parlerei di rispettato. E’ nostra prassi che tutto ciò che si dice in tempio, venga rispettato, a meno che non suoni ingiuria ai fratelli o all’Istituzione, nel quale caso spetta al M.V. di usare con fermezza il suo maglietto. Penso che equivoco sia legato ad un altro che gli sta a monte, e che mi ostino a considerare molto pericoloso: quello tra Verità e Ricerca della Verità.

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Ultima osservazione: il Fratello II Sorvegliante ha ricordato come in passato qui sia stato detto come nell ‘Istituzione convivono parecchie anime, ovvero parecchi modi di intendere l’Istituzione stessa. Posso dire con certezza che quella non era un’affermazione a contenuto dottrinale. Era semplicemente una constatazione e, come tale, mi pare avesse la stessa palmare evidenza di quella che in questo tempio ci sono un tappeto a scacchi e dei candelabri. Quali di queste anime sono da considerare spurie? Certamente una: quella che il Fratello Mario Bnc chiama “simoniaca”. Quanto alle altre

Chiudo qui perché non voglio abusare del vostro tempo, Fratelli carissimi

R. Scch,  

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UBBIDIENTI E LIBERI

Ubbidienti e liberi

Uomo libero, nella comune profana accezione del termine, sta a significare chi viva in uno Stato che, con le sue leggi, assicura ai propri cittadini la possibilità di esprimere diverse opinioni politiche, filosofiche e religiose.

Ma questo significato dell’espressione “Uomo libero”, se è relativamente sufficiente per la visione profana, non è certo bastante per chi voglia approfondire in senso iniziatico il concetto di uomo libero.

Nell’accezione profana, la libertà riguarda i rapporti fra gli uomini e le loro relazioni con la collettività in cui vivono. La libertà dell’individuo dipende quindi dalle garanzie che le leggi gli assicurano.

È libero, insomma, colui che vive in una cornice politico-giuridica che glielo consente.

Per contro, non è libero, se volgiamo, è servo colui che vive in una società che gli impone l ‘ adesione e l’ossequio acritico alla accennata cornice politico-giuridica.

Si può concludere che questo concetto di libertà dipende da forze esogene, cioè non della coscienza individuale, ma dagli istituti che determinate società elaborano nel corso della loro storia.

E tuttavia evidente, a mio avviso, che questo concetto della libertà, in qualche modo valido sul piano giuridico e, comunque sia, necessario per regolare la convivenza, non ha che scarso o nullo significato iniziatico.

Più precisamente, intendo dire che, se anche la cornice politico-giuridica si ispira a concezioni liberali, il singolo individuo può non fruire concretamente della libertà.

La vera libertà, noi lo sappiamo, nasce da forze endogene e si rafforza nell ‘intimo della coscienza, ed è verso questa libertà che la Massoneria indirizza i suoi adepti.

Si può affermare che non è libero, quindi non Massone perfetto, chi di noi rinuncia alla propria autonoma facoltà di scelta accettando in modo acritico i suggerimenti che gli giungono dall ‘esterno della propria coscienza.

Il Massone deve essere, a avviso, un ricercatore della verità e sapere che il primo segno della libertà riposa nella disponibilità ad esaminare con umiltà le idee e le opinioni degli altri, traendone, di volta in volta, tante piccole verità che lo aiuteranno ad evitare i luoghi comuni, le frasi fatte, a ripudiare l’aria fritta che trabocca nella vita profana. Tutto questo potrebbe far pensare che al Massone, ricercatore della libertà vera, non vengano posti canoni di obbedienza, in quanto I ‘obbedienza potrebbe significare non libertà.

Secondo me, invece, è proprio nell’ambito dell’obbedienza, che ritengo un valore fondamentale per una società iniziatica, che si può trovare un buon grado di libertà.

Vediamo come: ricordando 2 LANDMARKS ed esaminando alcuni brani di Costituzione e Rituali, che trascriverò per rendermi più agevole la spiegazione.

Landmark no IO (n.d.r.: Mackey): “11 governo dell’ARTE, durante le riunioni di Loggia. mediante il M:. V:. e due Sorveglianti Maestri”. E un Landmark che si fonda sulle più Antiche Tradizioni delle scuole iniziatiche, nelle quali il M:. V:.

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effettivamente svolgeva, come tuttora deve svolgere, le funzioni proprie del nome, con compiti di governo e conseguente obbedienza dei governati.

Landmark no 17 (n.d.r.: Mackey): “Ogni Libero Muratore resta sottomesso alle Leggi e Regolamenti della Giurisdizione Massonica nella cui circoscrizione si trova a risiedere”.

E un concetto che si ritrova, peraltro, anche negli “Old Charges” e deriva direttamente dalla Massoneria Operativa.

Se il profano sente e vive l’obbedienza come una imposizione, il credente dogmatico come una “rivelazione indiscutibile”, il Massone la deve sentire come scelta libera e consapevole.

Nella Tradizione Massonica, “l’obbedienza” è uno dei punti di riferimento costante della filosofia e della storia muratoria, tanti da usare il termine per individuare la regolarità e la discendenza di una Gran Loggia o di un Grande Oriente.

La vigente Costituzione esige il “giuramento di fedeltà all ‘Ordine” dal profano che bussa alla porta del Tempio; esige altresì il giuramento del M:. V e dei Dignitari di osservare le deliberazioni del Grande Oriente d’Italia, di cui sono all ‘ obbedienza.

Nel Regolamento, poi, troviamo all’articolo 31: “La Loggia giura obbedienza al M:. V ” e all’articolo 129 “1 Grandi Maestri Aggiunti ed i Grandi Dignitari giurano obbedienza al Gran Maestro”.

Durante l’iniziazione, il M:. V nell’enumerare all’iniziando i doveri che dovrà compiere, così si esprime: “11 terzo dovere (dopo il silenzio e la pratica delle virtù) è conformarsi alle leggi dell ‘Ordine e ai Regolamenti della Loggia”.

Dunque, non soltanto dal concetto stesso della gerarchia, dal simbolo del maglietto, dalla leggenda di Hiram (tragedia della disobbedienza e dell’arrivismo arrogante) discende l’insegnamento della necessaria obbedienza, ma dalla stessa normativa costituzionale e regolamentari e dalla trasmissione di precetti dal M:. V :. al neofita.

A questo punto si potrebbe pensare che obbedienza significa “non libertà”, però non va dimenticato che la Libera Muratoria non espropria il potere-dovere del singolo Massone del controllo, della verifica, soprattutto dell’impegno valutativo tra precetto e condotta conforme nell’armonia delle funzioni che annullano il concetto profano di cariche e di potere.

Già la Costituzione, postulando il dovere reciproco dei Fratelli all ‘insegnamento e all ‘ assistenza, lo subordina alla valutazione della rispondenza del Giusto e dell ‘Onesto (a mio avviso, questa valutazione richiede grande libertà).

E ancora, nella cerimonia di iniziazione viene dato grande rilievo alla libertà come potere di compiere o non compiere certi atti, secondo la determinazione della nostra volontà, diritto di fare tutto ciò che non è contrario alla legge morale e alla libertà altrui”.

Potrei evidentemente citare ancora moltissimi altri brani di Costituzioni, Regolamenti e Rituali, ma non è certamente quello che importa a noi, bensì lo sforzo di comprensione del significato profondo dell’Obbedienza, della catarsi che dobbiamo compiere per liberarci di pregiudizi, presunzioni, dogmi per rimanere all ‘Obbedienza, appunto, “liberamente”.

S. Pnt,

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IL MASSONE,IL MONDO, IL SUO MONDO

Il Massone, il mondo, il suo mondo

 ovvero una Loggia, un fratello, un profano!

Maestro Venerabile, Fratelli tutti,

il filo conduttore dei nostri lavori calza in modo perfetto con l’argomento che ci ha occupati, in parte, nell’ultima tornata: “La domanda di affiliazione di un profano, relazioni della commissione tegolatrice”.

Ho seguito con attenzione l’evolversi del fatto anche se nella mia mente, pervasa da continui interrogativi, una ridda di immagini urtavano contro la mia volontà di attenzione.

Ciò che mi ha colpito non è il fatto inerente l’esito negativo, nei confronti di un profano, ma la preoccupazione che aveva pervaso l’atmosfera in quel momento.

Ho visto i Fratelli tutti con la spada in pugno, pronti alla pugna.

Avrei voluto vedere i Fratelli rigidi, solenni, impassibili, pronti a reagire con l’intelletto, con l’amore verso l’umanità, scevri di ogni animosità.

E per questo che vi chiedo, carissimi Fratelli di ogni ordine e grado, di abbandonare qualsiasi atteggiamento rilassante, vedi, ad esempio, il capo appoggiato sul palmo della mano o le gambe accavallate e la mente assente, forse, e di voler assumere quella corretta posizione “faraonica” atta a conciliare lo spirito con la materia.

Ecco, proprio così!

Ora, mentre vi parlo, provate a ripercorrere con la mente le vicissitudini remote o recenti di questa Officina – cosa che ci tocca direttamente – ed a quelle dell ‘Istituzione che hanno travagliato il nostro passato.

Eppure siamo qui, a volte più numerosi, altre meno; e ci riconosciamo tutti disposti, chi più chi meno, ad agire, lavorare secondo una etichetta od un’altra.

Siamo qui tutti colpevoli di errori o meritevoli di elogi.

Siamo qui tutti ancora impregnati di quella umanità che ci limita, che ci induce in errore, che ci spinge a giudicare, che ci opprime con la sua immensa limitatezza.

Vi ho sollecitato a rivangare il passato, ma voglio portare la vostra attenzione su due fatti che ci riguardano da molto vicino, sono di ieri, non sono lontani.

Nell’ultima tornata avete sentito di una espulsione, abbiamo votato un rigetto.

Rifacendomi ai due casi precedentemente enunciati, che sono simili, anche se il prima riguarda un “essere umano” già fratello ed il secondo un “essere umano” ancora profano, non posso dimenticare che i loro nomi furono proposti in Loggia secondo i crismi che i regolamenti e gli statuti impongono; e lasciando perdere l’adamantina dignità di entrambi i presentatori, la serena convinzione dei vari tegolatori, il saggio decidere di tutti i Fratelli, mi domando:

che cosa c’è da recriminare?

Nulla, assolutamente nulla! È la solita risposta.

Di contro, abbiamo la certezza che la incommensurabile presenza del Divino ha dato a tutti noi la possibilità di usare gli strumenti necessari alla difesa dell’Istituto Massonico.

Siate ancora in perfetta simbiosi con me?

Ebbene guardate con gli occhi dello spirito il simbolo a fianco del Maestro Venerabile, quello a fianco del Primo Sorvegliante, quello a fianco del Secondo Sorvegliante.

Compenetrateli, cercate di superare la loro apparenza materiale, sforzatevi di raggiungere il loro più intimo significato; e nel fare ciò non dimenticate un atto rituale che termina recitando così: “per il bene dell’Umanità ed alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo”.

I tre simboli citati esprimono dunque: Saggezza, Forza, Bellezza.

Ed allora eccovi le mie riflessioni:

La Loggia ha agito con Saggezza?

Certamente perché ha sofferto nell’istruire, nel temporeggiare, nell’agire, nel condannare.

La Loggia ha agito con Forza?

Sicuramente perché il suo agire è stato sempre sereno e non condizionato da alcun sentimento.

La Loggia ha agito con Bellezza?

Ciò è più difficile da asserire perché tale angolo visivo riguarda l’animo di ogni singolo Fratello.

Tale posizione non è Sita nel verdetto del Tribunale, ma, ripeto, nell’animo di chi lo ha ascoltato.

Se ha gioito, mi arrogo il diritto di dire che egli non è mio Fratello; se è stato indifferente, mi arrogo il diritto di dire che egli è un mio Fratello degno di ignavia; se nel suo intimo, o palesemente, ha solamente approvato egli è per me incosciente;

se ha sofferto e meditato, allora egli è mio Fratello, è Fratello dell’Umanità tutta, egli è il mio Maestro.

Quando una Istituzione condanna e rifiuta, condanna e rifiuta se stessa perché denuncia la propria limitatezza. Che dire allora di una Scuola iniziatica?

Quale diritto ci arroghiamo di avere se non siamo capaci di trasferire nell’Umanità le nostre conquiste, le nostre realizzazioni?

Mi si dirà, allora, si aprano le porte del Tempio ed i mercanti o i mestatori ne facciano loro bottega.

No! Il Cristo li ha scacciati dal Tempio nel momento dell’agire profano, ma non li ha mai esclusi dal rito spirituale.

E voglio concludere: Fratelli, ogni occasione che ci viene proposta nell’iter della nostra vita, sia religiosa, spirituale, iniziatica o profana non è fine a se stessa, ma è il quesito che siamo tenuti a risolvere per aiutare I Umanità, di cui siamo parte integrante, a compiere anche il più piccolo passo verso la Luce.

Nulla ci perviene dal caso, tutto ci è offerto dal Grande Architetto dell’Universo.

                                 A. Cmss,  

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L’ESOTERISMO DEI SIMBOLI MASSONICI

11. L’ESOTERISMO DEI SIMBOLI MASSONICI di E. B

5. Simbologia nel Tempio.

A) Descrizione del Tempio.

Prima di proseguire nella nostra indagine, riteniamo opportuno prospettare al lettore i possibili significati esoterici dei principali simboli recepibili nel tempio massonico. Nel Tempio, alle spalle del posto (Trono) occupato dal Maestro Venerabile «presidente della loggia », che simbolicamente s’ intende sempre collocato ad Oriente, campeggia la scritta A. • .G. • . D. • .G. • .A. • .D. • .U, • . (Alla Gloria Del Grande Architetto Dell’Universo). Sotto a tale scritta vi è il Delta luminoso rappresentato da un triangolo equilatero con all’interno un occhio. Sotto di esso è posta la Stella fiammeggiante a cinque punte con all’interno la lettera G (o, per alcuni rituali, in grado d’apprendista un triangolo con la lettera G). Ai lati, dietro il Trono, sono posti i simboli del sole e della luna; la scritta: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Davanti al trono del Maestro Venerabile (discesi sette gradini) e dietro un candelabro a sette bracci, è posta l’Ara, fatta in forma di triangolo, sulla quale, in apertura dei lavori di loggia, viene aperta la Bibbia, alla prima pagina del Prologo di S. Giovanni, e sulla quale, incrociati, vengono apposti la squadra ed il compasso aperto. Ai due lati del trono sono poste una pietra grezza ed una pietra levigata (cubica). All’ingresso del Tempio, di forma quadrangolare, sono poste due colonne, la prima a destra con capitello dorico sul quale è riposto un mondo e sul centro della colonna è segnata la lettera B (Boaz, o Bohaz, o Booz), la seconda, a sinistra, con un capitello corinzio (per alcuni jonico) sul quale sono riposte tre melagrane e sul centro della colonna è segnata la lettera J (Jakin o Jachin). Altri simboli che ador* La prima parte è comparsa su Delta n. 19, pp. 61-75.

nano il Tempio sono la Spada fiammeggiante posta sul trono, mentre candelabri sono sul trono del Venerabile, (a 3 luci), sul banco del «1 0 Sorvegliante» (a 2 luci), sul banco del 20 Sorvegliante (a 1 luce) il 10 e 20 Sorvegliante sono, dopo il Maestro Venerabile le massime autorità (Luci della Loggia, seguite dal Segretario ed Oratore). Al centro del Tempio, accanto a tre candelabri singoli, all’apertura dei lavori viene posto il Quadro (o quadrato) di Loggia, contenente il disegno dei principali simboli e la riproduzione della pianta del Tempio. Sulle pareti sono disposti una corda con 7 nodi ad intreccio. Il pavimento del Tempio è fatto a scacchiera a quadretti alterni bianchi e neri. Il soffitto riproduce un cielo stellato.

B) Possibili interpretazioni dei simboli del Tempio

Cerchiamo ora di indagare sul possibile significato di tali simboli del Tempio massonico, premettendo che su di essi gli studiosi di simbologia massonica sono spesso discordi nell’interpretazione e che la stessa Massoneria afferma che ogni adepto è libero di dare ad essi il significato spirituale che possono avergli stimolato la sua ragione ed i suoi sentimenti.

a) E univoco il significato dato alla scritta:

A. • .G. • .D. • .G. • . A. • .D. • . U. • . Alla Gloria del Grande Architetto Dell’Universo; anche se, come si è detto, per la Massoneria rappresenta la glorificazione del concetto di Ente Supremo, o Dio, così come ognuno se lo rappresenta.

  • Il Delta luminoso (triangolo) con all’interno l’occhio è variamente interpretato: per alcuni rappresenta l’antico simbolo della « Trinità» cristiana (Nardini); per altri sarebbe il Veggente eterno, cioè Dio (Porciatti); per il Righini significherebbe la «cristianizzazione della Tetractys» cioè del simbolo pitagorico:

raffigurante la «totalità divino-cosmica»; per altri ancora (Gentile) rappresenterebbe — l’Occhio della coscienza — (che non è la sola «ragione») «che sarebbe pienamente risvegliata dalle tre verità: Tesi, Antitesi, Sintesi» concepite come i «tre momenti del ciclo dialettico, non solo cosmico, ma inteso come categoria di base della ricerca razionale: affermazione, negazione, posizione nuova per una ulteriore ricerca

Noi propendiamo per quest’ultima interpretazione, perché il simbolo dell’Ente Supremo è già stato dato dal richiamo alla gloria del G. • .A. • . D. • . U. • ., e non avrebbe ragione, a nostro avviso, un duplice richiamo (Veggente eterno) al concetto di divinità. Né, tanto meno, ci sembra accogliere un triplice o quadruplice, o quintuplice richiamo se, come vedremo, si dovesse dare un significato di Dio anche agli altri simboli. Del pari non condividiamo il riferimento alla Tetractys, sia perché pensiamo che in tale caso sarebbe stato usato direttamente il simbolo pitagorico del triangolo formato dai nove puntini o, quanto meno, entro un triangolo non vi sarebbe stato bisogno di disegnare un occhio al posto del puntino centrale, sia perché sarebbe pur sempre una specificazione ulteriore del concetto di divinità. Analogicamente non riteniamo attendibile la tesi che il Delta luminoso con l’occhio rappresenti l’antico simbolo della Trinità cristiana, perché sarebbe una determinazione teologica della divinità, che è invece vista in Massoneria, come vedremo, come fatto di gnosi; ed inoltre, caso mai, già basterebbe, in senso gnostico, il triangolo a dare l’idea della Trinità (Delta) non solo in una prospettiva cristiana, ma in quella di tutte le tradizioni ieratiche che l’esprimono. Propendiamo infine per l’interpretazione suddetta dell’occhio della coscienza perché nella Massoneria ci sembra fondamentale non solo il richiamo gnostico (vedremo poi a proposito della lettera G), ma, come diremo più innanzi, anche il richiamo alla più completa liberalizzazione dell’uomo da ogni sudditanza spirituale, dogmatica o teologica, secondo la concezione pitagorica e platonica che fa appello alla ragione ed alla immaginazione («occhio della coscienza») che implica pur sempre una ulteriore ricerca. Ciò è in armonia, come vedremo, con il principio massonico che «ogni concezione dell’uomo è progressiva e di conseguenza relativa», giacché «la Libera Muratoria non ammette alcuna concezione come definitiva» (dal rituale del 1 0 e 40 grado scôzzese).

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  • La stella fiammeggiante a cinque punte, starebbe a significare il fuoco centrale della natura o fuoco sacro (per Ermete Trimegisto) o il Principio Generatore. La lettera G che compare entro la stella, è variamente interpretata: per alcuni significherebbe God, Dio Jod, Jehovah in ebraico (Guénon, Moramarco), per altri Geometria, in senso pitagorico come invito «ad agire geometricamente, giustamente» (Kloss, Testi, Farina); per altri significherebbe Generazione (dei corpi), non in senso alchemico ma in quello della filosofia Ermetica, come «principio generatore», «generazione», e quindi come tale Dio (Ragon); per altri ancora significherebbe Gnosi, nel senso di «rivelazione individuale» (Gentile, Porciatti).

Noi propendiamo per quest’ultima interpretazione di G = Gnosi, giacché, come si è visto per il Delta luminoso, il Simbolo dell’Ente Supremo è già espresso nella lettera G. • .A. • . D. • . U. • . che già di per se stesso è anche «principio generatore» come ciascuno possa rappresentarselo — e quindi la G, come God, o «Generazione» sarebbe una inutile ripetizione del concetto. La G come Gnosi ribadirebbe invece proprio la affermata libertà di rappresentarsi il concetto stesso di divinità, come fatto di Gnosi, e come accettazione di rivelazione individuale del «principio generatore» espresso dalla Stella fiammeggiante (o dal Triangolo). Né ci sembra prospettabile la G per Geometria, in senso pitagorico (come «agire geometricamente», «giustamente») perché tale concetto è espresso da altri simboli, fra i quali la squadra ed il compasso.

  • Il Sole simboleggia la fermezza, la forza razionale, la «forza che dissolve il solidificato delle idee» (Porciatti) ed è massonicamente inteso quale simbolo maschile.
  • La Luna simboleggia la sensibilità intuitiva, l’immaginazione che «riveste l’idea di una forma appropriata» (Porciatti) ed è massonicamente intesa quale simbolo femminile. I suddetti significati simbolici del Sole e della Luna non appaiono controversi nella letteratura rnassonica, anche se possono, come sempre, prospettarsi ulteriori implicazioni e molteplici richiami storici su di essi da parte di svariate scuole iniziatiche che usano detti simboli. Secondo noi può assumere rilievo il dualismo dei due simboli, intesi però fra lord non disgiungibili, perché potrebbe affermare il concetto che nella ricerca introspettiva l’uomo non può affidarsi soltanto alla fermezza, od alla forza razionale, cioè alla pura ragione (od alla esperimentazione, o al razionalismo scientista), ma deve sapere fare appello anche alla sensibilità intuitiva ed alla forza della immaginazione (o alla forza del sentimento), da porsi fra loro in armonica correlazione.
  • Le due colonne poste all’ingresso del Tempio, hanno anch’esse indicazioni di opposto segno: maschile e femminile. La prima colonna, con la lettera B (Boaz, ebraico Beth — in forze, forza, fermezza) è ritenuta simboleggiare il sole, segno maschile, fecondante, che incide sul mondo. Il mappamondo è posto sul capitello dorico e, per il Farina, simboleggia il regno etico della Massoneria. La seconda colonna, con lettera J (Jakin = Stabilità) è ritenuta simboleggiare la luna, segno femminile, recettivo. Le tre melagrane sono poste sul capitello corinzio (per alcuni autori jonico) e simboleggiano il frutto e la Fratellanza umana (Porciatti). Ambedue le Colonne simboleggiano gli opposti complementari, l’equilibrio delle forze (fisiche e psichiche) a cui devono tendere i fratelli che nella loggia siedono nel lato dell’una e dell’altra colonna, rispettivamente agli ordini (e sotto la guida) del | 0 e 20 Sorvegliante (ufficiali, o «Luci», delle rispettive colonne).
  • Il pavimento a scacchiera, ad alterni quadrati bianchi e neri, esprime ancora il dualismo: fra luce e tenebre, fra bene e male, o la dialettica della vita stessa, nel dramma degli opposti, ed inoltre il dualismo che regge la manifestazione cosmica, intesa come polarità dei ritmi del cosmo.
  • Il Quadro di Loggia — che riproduce, in 1 0 grado, la pianta ed i simboli del Tempio — ci sembra evocare l’immagine del micro-cosmo nel cosmo, quest’ultimo rappresentato dal Tempio (Macro-cosmo); concetto sempre ricorrente nell’esoterismo massonico. Il «quadro di Loggia» potrebbe quindi significare anche il «Tempio interiore» di ogni fratello e nel contempo quello creato dall’unione corale dei Fratelli di Loggia.
  • Le Statue di Minerva, Venere, Ercole, che figurano nel Tempio, per accettata interpretazione, rappresentano la Sapienza (o Saggezza), la Bellezza, la Forza.

Concetti quest’ultimi che vengono evocati, prima di dare inizio ai lavori della Loggia, accendendo le tre candele poste a triangolo al centro della sala (o accanto al Venerabile, al 1 0 ed al 20 Sorvegliante) e pronunciando le parole, dopo ogni accensione: «Che la sapienza illumini i nostri lavori», «che la forza li renda saldi», a cui fa seguito la finale invocazione: «alla gloria del Grande Architetto dell’Universo, e per il bene ed il progresso dell’Umanità». Cioè, nella sempre presente duplice proiezione della ricerca spirituale del vero e della ricerca strumentale del giusto.

C) Tentativo di ana sequela interpretativa dei simboli.

Si potrebbe quindi tentare di prospettare una sequela interpretativa dei simboli del Tempio:

a) Sui tre simboli centrali: A. • .G. • . D. • .G. • .A. • . D. • .I_J. • ., Triangolo con l’occhio; Stella fiammeggiante con la G (o triangolo con la G). La Loggia nel Tempio lavora:

— alla Gloria del Grande Architetto dell’Univetso (A. • .G. • . D.

G. • .A. • . D. • .U. • .) richiamandosi «all’occhio della coscienza» (occhio) che consente alla ragione, attraverso il metodo della ricerca razionale — rappresentato da: Tesi = affermazione, Antitesi negazione, Sintesi = posizione nuova per immettersi ancora in una ulteriore ricerca — di proiettarsi verso il perfetto infinito (Triangoli, Delta) cercando di comprendere il «principio generatore» (o «Forza creativa»), (Stella fiammeggiante, o il «Delta») come un fatto di Gnosi (G) — e non una rivelazione teologica accettata a priori — nella quale l’uomo, sentendosi «partecipe del tutto» (indizione), può prendere coscienza della propria Deità.

b) Sugli altri simboli, che ci paiono confermare la suddetta prospettata sequela, ad integrazione della stessa, ci sembra possibile prospettare la seguente concatenazione interpretativa.

La Loggia lavora inoltre, affinché:

— si ottenga il risultato dell’ armonica riconciliazione degli opposti complementari, rappresentati (per ciascun adepto e collettivamente) dalla fermezza e dalla forza razionale (Sole, Colonna B) e dalla «sensibilità intuitiva e dall’immaginazione» (Luna, Colonna J) così da con- sentire (all’adepto e collettivamente) di discernere fra luce e tenebre, fra bene e male (scacchiera bianca e nera) e di equilibrare ciascun «opposto» in una duplice contemporanea proiezione fra Trascendente (luce, bianco, Triangolo con la punta in alto) ed immanente nelle cose del Mondo (tenebre, nero, Triangolo con la punta in basso), così come avviene nella dialettica della vita stessa;  nel contempo ricercando ciascuno la propria realizzazione spirituale (quadro di Loggia: tempio interiore «microcosmo») e dall’altro lato la partecipazione attiva ad una ascesi collettiva (catena dai sette nodi di «amore» che collega le due Colonne, Quadro di Loggia inteso come Tempio di tutti i Fratelli);

— per realizzare tutto ciò ciascuno deve raggiungere la sapienza (la conoscenza) «Minerva», essere ispirato dalla bellezza (intuizione, immaginazione) «Venere» rivelata dalla natura e dall’armonia del Cosmo, ed acquisire la forza (Ercole) che possa rendere saldi i propositi contro tutte le avversità esterne e psichiche;  consentendo a ciascuno di comprendere ed essere partecipe sia della propria Deità sia della propria Umanità (alla gloria del G. • . A. • . D. • . U. ., e «per il bene ed il progresso dell’Umanità»). Ed è quest’ultima l’invocazione collettiva, formulata dalle Tre luci della Loggia (Maestro Venerabile, 1 0 e 20 Sorvegliante) all’apertura dei lavori attuata all’atto dell’accensione delle Tre candele poste al centro del Tempio, (o per alcuni, ai lati dei posti delle Tre «Luci»), sempre in modo da formare fra loro i tre angoli di un Triangolo. Triangolo che può evocare: il Delta; la Trinità di ogni Tradizione; i Tre piani della costituzione energetica umana: fisico, animico, spirituale; i Tre aspetti animici: vegetativo, astrale, immortale; le Tre verità intellettive: tesi, antitesi, sintesi; ed ogni altra delle molteplici rappresentazioni esoteriche del numero Tre in Massoneria.

D) Significato simbolico dei numeri.

Tralasciamo, non rientrando nel più ridotto quadro delle nostre indagini, di prospettare al lettore il significato simbolico dei numeri, limitandoci a segnalare che essi hanno notevole rilievo nell esoterismo massonico, anche se su di essi i rituali ed i dialoghi non danno spiegazione — richiamandosi prevalentemente alla tradizione pitagorica e qabbalistica (nella letteratura massonica al riguardo in particolare segnaliamo le opere di Guénon, Ragon, De La Ferrière, Boucher, Porciatti, Farina, Baylot, Stol ed altri). Da quando abbiamo fin qui esposto confidiamo che sia già apparsa al lettore l’importanza del numero 3 per i massoni (almeno nel grado d’apprendista) e ciò può spiegare come essi amino riconoscersi, come è notorio, con i tre puntini posti a triangolo, rispondendo ciò ad un significato esoterico e non meramente di codice convenzionale, come con superficialità alcuni hanno sostenuto.

6. La dispensazione massonica.

Da quanto abbiamo fin qui esposto, riteniamo sia parso evidente al lettore come non si possa concepire la dispensazione massonica su base dogmatica o come proclamazione di una dottrina che l’uomo debba singolarmente conoscere ed abbracciare fideisticamente. Le uniche dispensazioni a nostro avviso sono:

  1. L’indicazione di un metodo per la ricerca introspettiva e di gruppo che ha per fine di consentire la più ampia possibile autoliberazione dell’uomo da ogni sudditanza spirituale. La Massoneria, infatti, non pone alcuna meta a tale ricerca interiore e già nell’iniziazione ad «apprendista» (1 0 grado) si precisa iniziando: «La Massoneria è avanti tutto progressiva, non impone alcun limite alla ricerca della verità» e non prospetta premio o compenso finale (come invece avviene in quasi tutte le religioni). Al massimo si indica un concetto di auspicata identità con il Tutto, così come però ognuno singolarmente può giungere a rappresentarselo, in una visione, teistlca o naturalistica di energia cosmica che sia, secondo la propria ragione.
  2. Altra dispensazione è rappresentata dalla offerta di un mezzo: quello della iniziazione muratoria ai vari gradi degli organismi della istituzione, nella quale, il massone è partecipe su un piano di eguaglianza, anche se l’ascesa nei «gradi» che compongono gli organismi massonlci avviene sempre per cooptazione da parte di chi è già insignito nel grado e mediante iniziazione. La eguaglianza nei diritti-doveri si acquista con l’iniziazione al 1 0 grado, ma nel contempo vi è una gerarchia i funzioni, liberamente accettata dagli adepti, per cui un massone non potrà mal «lavorare» ad un grado che non gli sia proprio per avvenuta cooptazione iniziatica.

111, LA RICERCA DEI CONTENUTI ESOTERICI ATTRAVERSO L’ESAME DEI RITUALI, DEI SIMBOLI, DEI DIALOGHI, DEI GRADI DELL’ORDINE

7. Schema unitario dell’esoterismo massonico.

La ricerca dei contenuti — in una sintesi concettuale — dell esoterismo massonico, a questo punto va spostata, per trovare o meno conferme sulle considerazioni fin qui tratte, partendo da altri «angoli di visuale» sui rituali, sui simboli, sui dialoghi della Massoneria Azzurra, che rivelano l’esistenza di uno schema concettuale unitario, recepibile da tutte le Tradizioni «tesaurizzate» dalla Massoneria nell’Ordine e nei Riti. Sostanzialmente esatta ci sembra a tale riguardo l’osservazione del Moramarco della esistenza di una equazione: Massoneria = Gnosi, che forse può costituire uno degli elementi più salienti per comprendere cosa sia l’esoterismo massonico. Noi aggiungiamo a tale equazione, come caratteristica peculiare:

a) l’esistenza di una diarchia d’indirizzo: pratico-operativo (ricerca del giusto) e speculativo-spirituale (ricerca del vero), così come è costante il collegamento con i valori espressi dalla Tradizione ed è costante il richiamo alla ragione ed alla libertà di coscienza e di pensiero, attraverso una ricerca introspettiva sia della propria moralità (ricerca del Giusto, partecipazione dell’Umanità) sia della propria Deità (ricerca del Vero, partecipazione della Divinità, od Indizione). b) L’esigenza di permearsi, attraverso l’idea di un perfezionamento progressivo dell’adepto, mediante una rinnovata catarsi-iniziatica — nell’immagine della morte e rigenerazione (o rinascita) spirituale nei «gradi» iniziatici di saldi principî morali, che gli consentono un sempre più vivo spirito d’indipendenza — di pensiero, di coscienza e d’azione — che lo stimoli sempre più, facendo appello alla ragione, da ogni sudditanza dalle idee ricevute che egli possa avere acquisite e liberamente accettate — per fede religiosa, o per formazione filosofica o socio-politica — perfino che lo svincoli dallo stesso acquisito legame spirituale o culturale con la Tradizione offerta dalla stessa Massoneria o dai richiami alle molteplici scuole ieratiche del passato delle quali la massoneria conserva l’eredità. Al limite quindi dell’evoluzione iniziatico-spirituale offerta dalla dispensazione massonica, non vi è la rivelazione della verità, né la conoscenza di un millenario segreto o mistero ieratico, come compendio della acquisita conoscenza dell’Arte Reale, ma vi è la più elevata liberalizzazione dell’uomo, che in pieno spirito d’indipendenza può aspirare a rilevare in sé il Giusto ed il Vero.

Nel simbolismo massonico dei vari gradi, vi è la costante della edificazione del Tempio, ma è essenzialmente concepita come costruzione del Tempio interiore e non come Tempio della fede, casa di Dio, cioè come creazione in una chiesa che raccolga dottrine teologiche dispensate da «sacerdoti» depositari di un verbo, ed accettate fideisticamente dagli adepti come atto di credo, così come avviene nelle religioni e nel loro concetto di Tempio. La fede, infatti, in chiave teologica, può essere simboleggiata dal Tempio, inteso come casa di Dio o come chiesa, come luogo di culto per invocazioni adoratorie o propiziatorie, tipiche di ogni concezione esoterica della religiosità. La fede, qualunque essa sia — compresa quella che il massone possa acquisire recependola dai tesori della Tradizione o dalle scuole umanistiche delle varie epoche — può apparire appagante per l’uomo (anche per la sua relativa semplicità) e può essere illuminante in alcuni stadi della sua evoluzione spirituale. Gli statuti ed i rituali dell’istituzione massonica non respingono di per sé una «fede»’, riconoscendone il valore morale, rispettandola come libera estrinsecazione d’ognuno. Anzi, in un Antico dovere se ne fa una condizione indispensabile per ogni massone (non essere un «ateo stupido ed un libertino irreligioso) che aspiri ad una autentica conoscenza spirituale, indicando come minimo credo la credenza nell’esistenza di Dio e ponendosi «come veicolo di quella religiosità universale e metastorica fondata sul sentimento dell’unità della vita, sulla certezza interiore dell’esistenza di una legge morale, sull’esperienza mistica e razionale al contempo, del ” sacro” che irrompe nella quotidianità», come acutamente scrive il Moramarco. Il massone però, così indicano tutti i rituali, deve avere come meta la verità della ragione e quindi deve porre al vaglio critico ogni fede acquisita, compresa quella che gli possa essere insorta, come «credo» od assioma accettato ed immodificabile, attraverso le sue esperienze iniziatiche muratorie. E, sostanzialmente, un processo di liberazione mentale e spirituale dell’uomo che la Massoneria propone all’adepto di compiere in tutti i campi — e questo, a nostro avviso, è uno dei pilastri del pensiero massonico e dell’esoterismo, deducibile dalla dispensazione gradualistica dei rituali massonici. Cercheremo di verificare quanto sopra attraverso l’esame dei simboli e dei dialoghi del rituale massonico dell’Ordine.

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RIFLESSIONI SULLA PENA DI MORTE

RIFLESSIONI SULLA PENA DI MORTE

Di Paula Cooper, la ragazza di colore condannata a morte per un orrendo delitto commesso quando era appena quattordicenne, hanno parlato tutti i giornali. Si è creato un movimento di opinione che, come sempre avviene in questi casi, ha trovato oppositori e sostenitori. Atteggiamento legittimo per entrambi.

Ho davanti agli occhi la foto segnaletica di Paula Cooper. Un volto statico, impietrito; la testa come se fosse sospesa nel vuoto, decapitata. Un volto drammatico, che sembra non aver mai conosciuto la dolcezza di un sorriso.

Rifletto sulla pena di morte. So di non essere particolarmente originale in questo. Altri, e ben più qualificati di me, lo hanno fatto e continueranno a farlo. Ma è giusto avere le proprie opinioni, è un modo di sentirsi vivi e partecipi alla vita che viviamo.

Di fronte a un delitto — e non solo quando annienta una vita, ma quando è tortura fisica e morale, aberrazione, corruzione — il primo impulso è di voler per sempre cancellato dalla faccia della terra il colpevole. Io stessa non ne sono stata aliena.

Ma poi penso che il male non può essere estirpato con un colpo di spugna. -È una soluzione, quella della pena di morte, certo drastica e veloce, ma non risolve nulla. Ed è un controsenso perché punisce il delitto con un altro delitto. Questo legalizzato che non risveglia, in chi Io compie, rimorsi o ripensamenti.

La pena di morte è retaggio di tempi autoritari. Nel contrasto fra forti e deboli, fra dominatori e dominati — soprattutto in tempi di tirannide — rendeva i secondi succubi e timorosi. E sottomessi. Le condanne, e le torture erano inflitte anche per colpe immaginate, lievi, inesistenti. Se le mura di Castel Sant’Angelo, o della Torre di Londra potessero parlare! Se un ipotetico film potesse mostrarci le scene di orrore intorno a capestri e ghigliottine! Questo per fermarci a tempi lontani.

Da Caino e Abele il male esiste da sempre, è nell’uomo, è nella natura. Oggi, con i mezzi di comunicazione di cui siamo forniti, il terribile fatto di cronaca ci fa inorridire. Ma che dire di quel

male subdolo, mimetizzato, invadente — che non è il delitto — che penetra, corrompe e moralmente uccide?

Di chi la colpa?

Pensiamo alla miriade di vite umane, al percorso della vita dalla nascita alla morte, a tutti gli stimoli o freni, esaltazioni o umiliazioni, pensiamo alla salute e alla malattia, alla socialità e alla solitudine, alle tentazioni, alle crudeltà, agli inganni che si incontrano nel corso di questo cammino. Ai successi ed agli insuccessi, alle tragedie. Ogni individuo ha reazioni diverse, aderenti alla personalità che si è sviluppata o che non si è potuta sviluppare.

L’individuo nasce con una impronta genetica, ma il ruolo della famiglia e della società è determinante per la sua formazione. Un Impegno consapevole e responsabile dà sostegno, fiducia e speranza. Ma che avviene quando la famiglia è addirittura inesistente o peggio, quando la società è non partecipe o essa stessa corrotta? Quali miserie, quale incuria e abbandono possono aver influito su Paula Cooper e su tutti quei meschini in attesa di morire nel braccio della morte?

Mi si potrà opporre che molti di quei meschini sono delinquenti incalliti, irricuperabili, che hanno compiuto azioni orrende. Sì, è vero. Ma questo è un punto di arrivo. Penso che un gesto di pietà, di cortesia, di gentilezza, di umanità in un certo momento della loro vita avrebbe svelato un lato sensibile e nascosto. Forse ancora oggi, nella cella della morte, si potrebbe fare qualcosa che restituisca, o dia loro per la prima volta, la dignità di esseri umani, non da annientare ma da ricuperare.

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IL GIUDIZIO

« IL GIUDIZIO »

Il meccanismo oscuro, indifferente ad angosce e sentimenti, che non ha pietà perché non umano, ma automatico e rigido, secondo schemi prefissati, disciplinati, regolamentati, cavillosamente puntigliosi in sfumature sottili e pericolose: il processo inquisitorio fu costruito su misura per una realtà distorta ed incontrollata, un fenomeno patologico del diritto scritto e di quello non scritto; aberrante dalla religione cattolica, fuorviante dalla legge, si era prestato ad una oscura trama di potere, ordita da monarchia contro nobiltà, da papato contro monarchia, da gerarchie ecclesiastiche contro il papato; servì ai falsi contro i nemici, agli spagnoli contro gli ebrei, contro i mori, contro gli spagnoli.

Il nostro schema logico deduttivo, occidentale e cartesiano, ci insegna a trarre conseguenze dalla osservazione dei fenomeni: poniamoci quindi nell’ottica di essere chiamati a giudicare e, se pur non è nostro il diritto di giudicare il comportamento di nostri simili, concediamoci questa libertà, nello spirito di apprendere dalle altrui vicissitudini, insegnamento utile alla costruzione del Tempio. Sono passati quasi 3 secoli, ma le tracce dei dolori atroci sopportati dagli innocenti, affiorano vive e sanguinose dai verbali freddi dei processi dell’inquisizione spagnola, come fossero dolori di ieri. Il cancelliere, gelido testimone, inumanamente trascrive senza emozione anche i gemiti degli angosciati e dei torturati. L’uomo, sottoposto alla sofferenza morale ed al dolore fisico, mette a nudo la sua natura originale, il carattere, la sua filosofia più intima, mostra i lati migliori e quelli peggiori del proprio spirito.

Giudicare oggi il comportamento di alcuni di loro, sulla base delle dichiarazioni, delle suppliche, dei ragionamenti intrecciati con l’Inquisitore nel disperato tentativo di comprendere l’accusa, di indovinare i delatori, di farsi perdonare: inchiniamoci prima un attimo di fronte al dolore, col rispetto dovuto comunque verso chi ha sofferto.

La prima Inquisizione nasce con Innocenzo III nel tredicesimo secolo. Miete le sue prime vittime nella Gallia Narbonnese, poi regna in Italia, Spagna, nelle Colonie. La Grande Inquisizione nasce col Torquemada nell’ultimo quarto del 15 0 secolo: in 18 anni di Ministero, il Grande Inquisitore trasforma il vecchio tribunale del Sant’Uffizio nella Santa Inquisizione, organo politico religioso, autoregolamentato, non soggetto ad altre autorità che un Monarca avido e compiacente ed un Papa lontano e titubante. La Massoneria viene colpita da scomunica solo nel 1738 (Clemente XII enciclica « In Eminenti »), l’accusa è di indifferentismo, superstizione, naturalismo ed eresia grave, la pena prevista: la morte.

Madrid, 1757.

Il Signor Pierre Tournon, Francese stabilitosi in Spagna per dirigere una fabbrica di manufatti di rame, viene denunciato al Tribunale della Inquisizione il 30 aprile per avere istigato alcuni suoi operai ad entrare nella Massoneria, dichiarandosi Libero Muratore legato al Grande Oriente di Parigi.

A seguito del primo interrogatorio nella prima Udienza di ammonizione, l’inquisitore riassume:

Inquisitore — « Si fa osservare a Monsieur Tournon che tutte le spiegazioni che ha dato dei fatti o delle cerimonie che si succedono nelle Logge sono false e differenti da quelle che si sono apprese da Lui stesso attraverso dichiarazioni rese spontaneamente di fronte a gente degna di fede. Lo si invita dunque nuovamente per il rispetto che deve a Dio e alla Santa Vergine, a dire la verità ed a confessare le eresie d’indifferentismo, gli errori di superstizione che gli hanno fatto mescolare le cose sacre a quelle profane; nonché gli errori di idolatria che l’hanno condotto ad adorare gli astri

L’inquisitore preme su Tournon per ottenere una confessione che confermi le accuse delatorie: solo così potrà…

Inquisitore — « Consentire al Santo Tribunale di usare al suo riguardo la comprensione e la misericordia che è solito usare in favore dei Colpevoli pentiti — (e solo a questi, non agli innocenti che ammettono tutte le loro colpe ».

Tournon — Ho detto la verità in tutte le mie risposte, e se c’è qualche testimone che abbia deposto delle cose contrarie, si sbaglia nella interpretazione data alle mie parole!

Inquisitore — Non contento d’essere stato Frammassone, Voi avete persuaso altri a farsi ricevere nell’Ordine, e ad abbracciare gli errori eretici, superstiziosi e pagani nei quali siete caduto!

Tournon — Sì è vero, ho spinto quelle persone a divenire Massoni, perché pensavo che potesse essere loro utilissimo, se avessero dovuto viaggiare, per esempio, incontrare fratelli pronti a venire loro in soccorso negli imprevisti e nelle difficoltà, ma è falso che io abbia tentato di spingerli in errori contrari alla fede cattolica, dato che non ve n’è alcuno in Massoneria, in cui non ci si occupa mai di questioni dogmatiche.

Inquisitore — È già provato che l’esistenza di questi errori non è affatto chimerica. Monsieur Tournon consideri di essere stato eretico dogmatizzante, sarà meglio che lo riconosca, ne faccia ammenda con umiltà e domandi il perdono e l’assoluzione; atteso che se persevera nella sua ostinazione sarà causa della sua sfortuna per il corpo e per l’anima. Lo si consiglia pertanto di riflettere con più senno sul suo stato per prepararsi alle altre udienze che gli saranno accordate per effetto della compassione e della misericordia di questo Santo Tribunale ».

Il povero Tournon fu riportato in prigione. Persistette nella tesi di innocenza dalle accuse di idolatria, riferite all’uso simbolico di figure astrali, di indifferentismo, riferite alla genericità nell’indicazione dell’Ente supremo, di superstizione riferite alla confusione tra cose sacre e profane durante gli empi riti di Loggia. Egli protestava di non trovare nulla in contrario alla fede cattolica nelle tesi e nelle opere massoniche e quindi, se si fosse trovato in errore, lo aveva fatto senza colpa.

Si arrivò alla presentazione dell’atto di accusa. Si propose all’accusato la scelta di un avvocato, ove avesse voluto difendersi di fronte al Tribunale. Tournon rispose che la sua disgrazia non aveva per causa che la sbagliata interpretazione che si era data a quanto accaduto; che gli avvocati spagnoli non conoscevano le Logge massoniche; che questi condividevano a questo riguardo i pregiudizi comuni, e che egli non sarebbe stato capace di difendere la sua causa.

Tournon affermò che queste considerazioni lo costringevano ad un ripensamento su se stesso e sulle conseguenze che il suo presente stato avrebbe potuto comportare. Egli credette, tutto ciò considerato, che la cosa più saggra da fare era convenire di avere torto, di invocare la sua ignoranza circa lo spirito pericoloso degli Statuti e degli usi della Massoneria; che conseguentemente rettificava da subito tutte le sue dichiarazioni, nel senso di non aver mai realmente creduto in quello che aveva fatto come massone, che non aveva nulla in contrario con la fede cattolica, ma che avendosi potuto sbagliare, non conoscendo nel particolare i dogmi, egli si dichiarava pronto a condannare tutte le eresie nelle quali era potuto incorrere. Chiese una pena moderata in virtù della buona fede dimostrata.

Il giudizio fu « Sospetto di eresia lieve », la pena, pur complessa, lunghissima ed aberrante, gli permise un anno dopo di essere esiliato, segnato per sempre, ma vivo.

Madrid, 1768.

Michel Maffre des Rieux marsigliese era stato arrestato a causa del suo spirito franco e sincero, ma ingenuo ed irresponsabile.

Cattolico convinto, dopo la lettura di Rousseau e Voltaire, si era fatto una propria filosofia circa la falsità di tutte le religioni, riconoscendo come unica vera religione quella naturale. Ai suoi inquisitori rispondeva candidamente di essersi posto come scopo della propria esistenza la ricerca della verità: si disponeva dunque sinceramente a rivedere le sue idee ed a risottomettersi alla religione cattolica, se qualcuno fosse riuscito a dimostrargliene la superiorità.

Ci riuscì un ecclesiastico attraverso lunghe amorevoli sedute. L’uomo che divenne in seguito vescovo di Almeria, lo portò a riconoscersi vinto: — vuoi perché voi abbiate ragione, — affermò Maffre — vuoi perché il vostro sapere superi il mio.

Maffre si dispose dunque durante il processo a riconciliarsi con la Chiesa Cattolica, a condizione che gli si restituisse la libertà, dato che non rilevava nulla di colpevole nell’aver abbracciato la religione naturale, e per di più ritenendo meritorio agli occhi del Creatore l’esser riuscito, seguendo la strada della ragione, a ritornare alla vera fede.

Era abitudine del Tribunale promettere indulgenza e compassione a coloro che si fossero sottomessi con una confessione piena e sincera. Maffre, da uomo ingenuo semplice e schietto, ammise pienamente gli errori in cui era sinceramente convinto di essere caduto, dichiarando che nel suo sistema le menzogne continuavano ad essere il più grande peccato contro la religione, sia cattolica che naturale. Egli attendeva quindi fiducioso un perdono, o comunque una pena molto leggera. Maffre arriva, durante il processo, ad affermare con soddisfazione di sentirsi particolarmente fortunato di poter raccontare agli amici, una volta uscito di prigione, di essersi svincolato con onore dall’inquisizione, e che niente si sarebbe opposto a che potesse essere arruolato nella Compagnia Fiamminga delle guardie del corpo del Re, presso le quali aveva presentato domanda. Ed in effetti la pena avrebbe dovuto essere leggera, ma per un uomo non così sensibile ed ingenuo come Maffre: una mattina, lo prelevano in cella dieci famigli (la guardia armata a disposizione degli inquisitori), che gli ordinano di togliersi i vestiti e di indossare il San Benito.

(Tl San Benito è uno scapolare di stoffa grigia, con grandi croci gialle o rosse su spalle e petto, si indossava a piedi scalzi con una corda legata intorno al collo. Nei casi di condannati al rogo, era decorato con lingue di stoffa rosse che avevano le punte verso l’alto se il condannato non era confesso, a segno del fatto che sarebbe morto tra le fiamme, con le punte curvate verso il basso se il reo era confesso, a segno che con atto di pietà e in considerazione della confessione, il reo sarebbe stato strangolato un attimo prima di appiccare il fuoco alla pira. Il San Benito, che deriva il suo nome dalla volgarizzazione di Saco Bendito, era completato da un cappello alto a forma di cono che impediva la vista). Il capo dei famigli spiega a Maffre che avrebbe dovuto recarsi nella sala delle udienze, con il San Benito ed un cero verde in mano ad accogliere la sentenza. Lo sfortunato si ribella e lo si deve ridurre con la forza ad indossare il degradante aspetto di penitente. Maffre è convinto di recarsi al cospetto dei soli inquisitori e dei cancellieri,

ma quando viene fatto entrare nella sala, si accorge di essere al cospetto di una numerosa assemblea di dame e cavalieri, espressamente riunita per assistere allo spettacolo di un Auto ‘da Fè particolare di riconciliazione. L’intimo travaglio intellettuale di un uomo sincero che rischia la fine più orrenda a causa di una sottile sensibilità diviene uno spettacolo mondano in cui Chiesa e Monarchia, sprezzanti, impongono ed ostentano il proprio potere. Maffre perde il controllo di sé, vomita insulti contro la barbarie e la inciviltà dei suoi giudici e urla:

« Se è vero che la religione cattolica comanda di fare quello che fate, io la rifiuto ancora una volta, perché è impossibile che una religione che disonora gli uomini sinceri sia vera ».

Lo scompiglio, la lotta inaspettata del reo, la disperazione dell’uomo avvilito, umiliato.

Lo si dovette riportare in cella con la forza. Lasciato a se stesso, digiunò per trenta ore protestando il proprio diritto alla libertà, alle proprie idee, alla propria dignità. Il quinto giorno si impiccò, lasciando scritta in francese una preghiera:

 O Dio! Autore della natura dell’uomo, essere essenzialmente puro, che amate la sincerità nelle anime, ricevete la mia che sta per unirsi alla Vostra Divinità da cui ella è stata emanata; io Ve la invio, Signore, prima del tempo, al fine di lasciare il soggiorno di bestie feroci che hanno usurpato il nome di uomini: ricevetela con favore, giacché vedete la purezza dei sentimenti che mi hanno sempre animato. Liberate la Terra dall’orribile mostro, il tribunale che disonora l’umanità e Voi stesso, fino a che Voi lo permetterete.

Firmato: l’uomo della natura

Giudicare oggi come sforzo della coscienza, come esercizio dello spirito: Tournon massone che si adatta alla realtà, salva la vita a fronte di una abiura che gli costa niente, salvo un piccolo compromesso con la propria coscienza; Mafre, illuminista fragile ed ingenuo, che per non sopportare qualche ora di umiliazione per la sua natura di Uomo, preferisce restituire l’anima al Signore. Chi siamo oggi, dei Tournon o dei Maffre?

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GEOMETRIA

GEOMETRIA di Mirosa Occhiena

Se un mio nipote, nell’età dei « perché? », mi avesse chiesto: « Zia Mirosa, cos’è la geometria? », mi sarei trovata in un qualche imbarazzo, Ma poiché alle domande è giusto dare una giusta risposta, avremmo insieme consultato fonti attendibili. Ed avremmo trovato:

« La geometria è un ramo della matematica che si occupa dei punti e delle figure da essi generati »; oppure « Propriamente l’Arte del misurare la terra; ma oggi si piglia in senso più largo e si dice della scienza che indaga la proprietà e la misura delle linee, delle superfici, dei solidi » e poi: « La geometria ci dimostra ed insegna le ragioni delle grandezze, delle figure e dei termini che sono in esse » ed ancora: « La geometria è l’arte per cui noi sappiamo le misure e le proprietà delle cose per lungo e per alto e per ampiezza

Molto vero, ma forse non ancora tutto il vero.

Il tempo dei primi « perché? » è ormai lontano; nel tempo sono cresciuti e maturati nipote e zia, e tempo è venuto per andare oltre il significato apparente delle parole.

Da qualche anno, per mia libera scelta, partecipo a lavori con Fratelli e Sorelle, riunendoci tutti insieme in un punto geometrico. Così, ho avuto modo di meditare che il punto non è solo « il più semplice degli enti geometrici, privo di dimensioni », ma un inizio spirituale dal quale partire per giungere ad un altro punto che, a sua volta, sarà Insieme arrivo e nuovo inizio.

Poiché in questi nostri lavori mi è stata presentata una riga, con essa traccio una prima linea che diventa la mia strada, il cammino da percorrere per tendere al perfezionamento di me stessa, e per ciò, in tale fase, la linea deve essere « retta »!

Questo tracciare e percorrere la linea, che diventa la Via, è il progressivo lavoro « alla ricerca della verità cui non è posto limite alcuno » come mi è stato detto all’iniziazione, aggiungendomi anche, perché io bene lo intendessi e molto vi meditassi, « occorre

che tu sia disposta a lavorare senza tregua al tuo perfeziona-

mento

Da allora mi si è via via insegnato e ho fatto maggior uso, della riga perché cominciassi a tracciare linee  componendole in figure: primi passi nella diffcile arte di costruire superfici per passare poi ai volumi, nell’intento sempre di giungere ad « architettonici lavori  ».

Nel frattempo ho imparato a capire che linee e figure sono misura ed armonia e che il cammino di lavoro da compiere entro se stessi, è quello di giungere a misura ed armonia considerate non più come solo fatto esteriore, ma come fatto di interiorità: all’estetica va aggiunta l’etica.

Speso alcun tempo a sgrossare pietra grezza con maglietto e scalpello, ho ricevuto dai Fratelli, che me ne hanno fatto consegna con fiducia, squadra, compasso, regolo, leva.

Ero partita da quel punto senza dimensioni ed ora, lavorando di riga e di squadra, mi trovo a tracciare non solo più linee ma a disegnare superfici. Ardirò al quadrato perché quadrata sia la mia vita e quadrati siano i principi che la informano e la regolano? Tenterò il triangolo che mi addita un vertice?

Ed ancora, se mi è stato dato un compasso, ne dovrò fare uso (ahimé, non sono Giotto…). Se vorrò continuare nel lavoro, sempre partendo da un infinitesimo punto che ne diverrà il centro, traccerò un cerchio. Mi fermo a meditare: un punto infinitamente piccolo diventa un centro attorno al quale si sviluppa una linea — curva ora — che lo racchiude, linea curva che parte anch’essa da un punto e su quello stesso punto si completa. Ciò che è principio diventa fine e la fine genera un nuovo inizio.

Osservo questa figura bidimensionale che attinge alla perfezione, per quanto di perfetto sia dato all’uomo di fare e di raggiungere. Cerco di capirne il significato al di là del segno grafico e delle sue proprietà (dei diametri, degli angoli iscritti, delle corde, di tangenti comuni) via via scoperte da Talete a Baltzer.

Questo cerchio lo posso anche riempire di colori: uno solo? Bianco? Nero? Non risulterà carente? Secondo la teoria dello Yin e dello yang, il cerchio comprende entrambi i colori che rappresentano gli estremi per antonomasia, cosicché in esso sia tutto contenuto. C’è della saggezza in questa teoria!

Maturata l’età dei cinque anni, il Venerabile mi ha additato la Stella Fiammeggiante che racchiude nel suo centro il brillare di una « G »: Geometria, appunto, della quale Talete disse: « È l’Arte della Misura ».

Così ora mi dice il Venerabile e spiega perché io meglio intenda: « La Geometria è l’arte di misurare. Il geometra ha sottomesso l’estensione al suo compasso e misurato le dimensioni dell’universo visibile. Tal metodo razionale ha condotto l’uomo, di verità in verità, fino all’infinito e perciò tale arte deve essere oggetto di studio speciale da parte del Compagno. La lettera ” G” che tu vedi nel centro della Stella Fiammeggiante è il simbolo particolare del secondo grado. l’immagine dell’intelligenza universale ». Ora il vero si approfondisce e se ne discopre la parte che ancora era mancante.

Ma io devo continuare nei miei lavori e fare sì che essi diventino « architettonici » per poter « edificare templi alla virtù, scavare oscure, profonde prigioni al vizio ». Ma per poter fare ciò mi manca ancora la terza dimensione: dalle superfici occorre passare ai volumi.

A sbozzare e disgrossare il cubo ho già dato mano; ora lo devo perfezionare e dopo iniziare ad innalzare una piramide, immagine del Monte Analogo, la cui cima si cela all’occhio ma che sarà percepibile a viste più acute: quelle dell’intelletto e del cuore, se la volontà saprà essere molta e sorreggere le fatiche dell’ascesa, se la consapevolezza saprà maturare passo dopo passo in continuo salire. Di là acquisirò « conoscenza » della sfera? Essa mi è già stata presentata, ma quanto a capirla, forse, per ora, ho solo tentato. « Un solido in cui i punti situati sulla superficie sono equidistanti da un punto interno detto centro ». Sempre quel piccolo punto a far da centro. Sempre quel niente che dà origine. al tutto. Sempre quell’infinitesimo piccolo che dà origine all’infinitamente grande: atomo e universo; micro-leggi che si dilatano in macro senza nulla perdere e nulla acquisire perché ordine ed armonia sono già all’inizio. Sfera, forma che fai sognare, che induci a pensare!

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Quanto a costruzione, di sferico per ora forse ho saputo solo fare… bolle di sapone che lievi, salendo, si portavano via piccoli frammenti dei miei arcobaleni. Erano affascinanti nel loro andar per lo spazio, mentre per lo spazio le prime lucciole tracciavano misteriose vie luminose.

Ma se piccole sfere di sapone, piccole luci ancora fioche, tanto ci attraggono e ci affascinano, quanto più potrà attrarci, affascinarci ed appagarci la visione e la comprensione, seguendo « virtude e conoscenza », della sfera che tutto ingloba e tutto illumuna? Possa il mio cammino giungere a tanto e possa Pan l’Eterno accogliermi nella sua divina armonia!

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