L’ARCHETIPO SACRO E PROFANO NELLA MASSONERI

L’ARCHETIPO SACRO E PROFANO NELLA MASSONERIA di R. B. ARCHETIPO

  1. In filosofia, modello primitivo delle cose sensibili, ideale secondo Platone. L’idea preesiste, per cui le manifestazioni sensibili della realtà non sono che filiazioni od imitazioni.
  2. Redazione non conservata di un’opera letteraria, ricostruibile attraverso le testimonianze di altri manoscritti o stampe da essa derivati, che rappresenta il testo ipotetico più vicino all’originale perduto.
  • Nella psicologia-religiosa, ciascuno dei moduli ancestrali universali di intuizione e di pensiero che emergono, come rappresentazioni, nei sogni individuali e nei miti religiosi. Rappresentazione, nell’inconscio, di una esperienza comune a tutti gli uomini.


 SACRO

l. Che appartiene alla divinità, che partecipa della potenza divina, anche se non personificata, che è separato dal « profano ».

Il. Di cosa la cui maestosità incute un senso di riverenza e attonito stupore quasi religiosi. Ordine delle realtà e delle potenze che, per natura o per destinazione, sono opposte al « profano ».

PROFANO

1. Estraneo o contrario a quanto si ritiene o si sente attribuibile all’ambito della religione, sul piano delle manifestazioni umane. 11. Non iniziato ai misteri delle religioni per cui « che deve stare fuori del tempio »; non ha il diritto di entrare in un luogo, di toccare, sentire e vedere cose sacre.

Abbiamo voluto premettere questa breve sintesi dei significati tratti dal sapere e dai vari dizionari per disporre di un vocabolario comune, nel nostro caso più indispensabile che mai.

 Infatti nell’esaminare il tema proposto si affronta un campo d’indagine estremamente complesso e oggetto, tutt’oggi, di attente riflessioni, di studi sperimentali, di tesi ancora da dimostrare, soprattutto

da parte di studiosi di psicologia analitica, di esoterici di diverse scuole iniziatiche, di medici che affrontano con nuovo interesse e specializzazione il campo della medicina psicosomatica. Si ritiene di addentrarci nella spiegazione, la più precisa possibile, dei termini stessi, allo scopo di chiarire il significato globale di tali ricerche e nello stesso tempo sottolineare il punto di vista massonico al riguardo.

La parola « archetipo » — letteralmente dal greco principio-tipo — viene usata in letteratura quando ci si riferisce ad un’opera che, per prima, s’è proposta quale esempio da seguire. In filosofia il termine è adoperato per indicare quelle idee che si pongono come sfera trascendente rispetto alla materia, costituendo il modello eterno in base al quale vengono a formarsi tutte le cose. Il significato filosofico trova la sua origine in Platone, nell’opera « Menone » e, soprattutto, nel Fedone:

« compito della filosofia è quello di distogliere l’anima dall’indagine fatta con gli occhi, con gli orecchi e con gli altri sensi, di raccoglierla e di concentrarla in se stessa, in modo che essa scorga “l’essere in sé”, e proceda così dalla considerazione di ciò che è sensibile e visibile alla considerazione di ciò che è intellegibile e invisibile. ». Si ricorda che la famosa teoria delle idee di Platone non fu mai organicamente formulata: Platone si rifiutò, celebrando il principio del suo insegnamento, di trattarla sistematicamente. Essa era oggetto di quelle « dottrine non scritte », di cui egli stesso parla nella Lettera VII (34 r c).

Ma il termine « archetipo » è stato reso celebre da Carl Gustav Jung, il quale, nella sua concezione dell ‘inconscio collettivo, ha affermato la presenza di idee madri per l’appunto gli archetipi — nella psiche arcaica. Ciò sarebbe testimoniato dall’affinità fra i rlti ed i culti dei primitivi e le immagini dei sogni, che sono simboli radicati nel profondo dell’anima collettiva come serbatoio perenne, mantenendosi inalterati nel corso dei secoli. Gli archetipi o immagini primordiali sono gli elementi strutturali dell’inconscio collettivo, cioè elementi strutturali collettivi e non personali dell’anima umana in generale, che, come gli elementi morfologici del corpo umano, si trasmettono in via ereditaria. Carl G. Jung afferma: « Come il corpo umano presenta, al di là di ogni differenza razziale, una anatomia comune, anche la psiche possiede, al di là delle differenze di cultura e di coscienza, un substrato comune da me deflnito « inconscio collettivo ». Questa psiche inconscia, che è comune a tutta l’umanità, non consiste tanto in contenuti atti a divenire consci, quanto in disposizioni latenti a certe reazioni identiche. L’inconscio collettivo è semplicemente l’espressione psichica dell’identità della struttura cerebrale al di là di ogni differenza di razza. Questo spiega l’analogia e addirittura l’identità dei motivi mitici e dei simboli, e in generale la possibilità d’intesa tra gli uomini. Ecco quindi che attraverso lo studio degli archetipi, dei simboli comuni al genere umano in tutti i tempi, ci si addentra in quella sfera spirituale in cui il termine « fratellanza » acquista una luce particolare: solo gli iniziati, i fratelli della « vera luce » possono, meglio dei profani, averne giusta conoscenza, perché « se l’uomo sbagliato si serve di mezzi giusti, allora il mezzo giusto agisce in modo sbagliato ».

Il dizionario della lingua latina Ernout et Meillet afferma:

« Ciò che è sacro (sacrum) si oppone a ciò che è profano (profanum); ciò che è sacrum appartiene al mondo del divino ” e differisce essenzialmente da quel che appartiene alla vita corrente degli uomini ».

Tale definizione non illumina molto sulla reale differenza tra ciò che è sacro e ciò che è profano, sostituendo l’incognita « sacro » con l’incognita « divino ».

Si può però approfondire la differenza, rifacendosi all’etimologia della parola « profanum » aggettivo composto dalla particella « prô » — davanti — e « fanum » — tempio —; aggettivo che qualifica perciò qualcosa che è esterno, in particolare esterno ad un luogo, in cui, per elezione, si svolgono i « riti ». Il termine profano è dunque legato all’idea di qualcosa di esteriore, quindi di apparente. L’aggettivo profano si può applicare a qualsiasi cosa, perché si riferisce sempre a qualcosa che è percepito dall’esterno. Ma non sono le cose, di per se stesse, profane in sé, bensì il modo in cui sono osservate, la loro posizione nei confronti di chi le guarda.

Qualsiasi realtà è ad un contempo esteriore ed interiore: il profano è dunque quella persona che vede solo la parte apparente, alle volte disordinata, di ciò che osserva; l’iniziato invece è quella persona che compie il cammino per penetrare nell’interno di esse. Le cose, così come ci appaiono nella toro veste esteriore, non sono, ad ogni momento, altro che il simbolo di se stesse, la loro realtà risiedendo in qualche modo nel loro interno.

Sacro, essendo il contrario di profano, sarà dunque tutto ciò che è conosciuto dall’interno. Parallelamente a quanto detto al riguardo dell’aggettivo profano, si può affermare che non esistono cose sacre, ma un punto di vista sacro; o meglio ogni cosa, ogni essere è sacro o profano a secondo che gli sguardi che lo toccano sono sacri o profani, diretti all’interno o limitati all’esterno. E il punto di vista sacro è il punto di vista della realtà, il punto di vista profano è il punto di vista dell’illusorio.

La lettura quindi e l’interpretazione degli archetipi deve tenere conto di questa profonda differenza di « punti di vista ».

Sacro-profano, infine, sono aspetti di un’unica realtà, coppia di concetti, esempio tipico di opposizioni. Nella ricerca antropologica culturale sono « opposizioni » quei particolari aspetti dualistici che contraddistinguono comportamenti e significati riconosciuti come base fondamentale soggiacente alle varie strutture ed ai vari modelli culturali: maschio-femmina, puro-impuro, natura-cultura.

Negli archetipi sono racchiusi dei grandi tesori utili al progresso spirituale del singolo e quindi a mano a mano di tutta l’umanità. I grandi miti della creazione, dell’eroe, della trasformazione, cioè gli stadi mitologici dello sviluppo della coscienza, contengono dei segreti inaccessibili ad una mentalità profana. Come intendere il simbolo dell’Albero del mondo, della pietra grezza e della pietra tagliata, della scala, della catena d’unione se non si è iniziati? Pervenendo ad una prima conclusione, non esistono archetipi sacri o profani, ma esiste il modo in cui questi archetipi sono letti: l’iniziazione massonica fa di ognuno di noi non solo delle persone che possono conoscere, ma delle persone che possono penetrare nell’interno dell’insegnamento e « non rimanere in un sonno profondo anche da svegli ».

Simboli diversi tra di loro, custoditi tra quattro pareti ad angolo retto che partono e si chiudono ad oriente, definite dalla volta celeste e dalla pavimentazione mattonellata in bianco e nero, essi stessi simboli, sono, secondo alcuni fratelli, l’archetipo sacro, il luogo fisico dove spazia il punto di vista ideale, quello della realtà se vogliamo degnamente celebrarlo!

Vi sono tuttavia ancora molteplici chiavi di lettura a seconda della interpretazione che si dà al termine « archetipo » accettando per sacro ciò che è « in » e per profano ciò che è « out ».

L’enciclopedia filosofica della Garzanti, a pag. 44, ad esempio, recita al riguardo: « termine usato nella tarda antichità ellenica per indicare l’idea platonica ossia il modello originario delle forme di cui le cose sensibili sono semplici copie ».

La teoria degli archetipi venne sviluppata da Plotino e da Procio: gli archetipi erano i materiali con cui Dio aveva creato il mondo delle idee e sul cui modello aveva poi formato il mondo sensibile. Per questi connotati teologici la teoria degli archetipi è stata accolta dai padri della Chiesa ed adattata alla concezione cristiana.

Sant’Ambrogio delinea la contrapposizione dell’uomo come immagine a Dio come archetipo; per Sant’Agostino gli archetipi sono gli infiniti modi in cui Dio pensa la natura divina o il logos e questi modi di pensiero costituiscono i modelli delle cose create e la condizione della loro intellegibilità.

Quello che stranamente non dice l’enciclopedia filosofica è che Talete di Mileto « il più saggio dei sette sapienti » (Diogene Laerzio I, 28-33), iniziatore della riflessione filosofica (Aristotele), usa per primo, pare, il termine archetipo intendendo il principio primo di cui tutte le cose sono costituite (e che per Talete era l’acqua). Il « pare » in corsivo si riferisce al fatto che di Talete non ci è giunta alcuna opera, né alcun frammento, ma che le sue idee sono riportate da altri AA.

Quindi il concetto di Talete dell’archetipo non ha niente da spartire • con quello platonico.

Altra interpretazione di archetipo è quella di C. G. Jung nella sua psicologia analitica dove parla delle manifestazioni dell’« inconscio collettivo… che si presentano… nelle visioni dei mistici, nei miti e nei riti religiosi… esse sono dette archetipi… » ed ancora « l’archetipo si manifesta nel simbolo, ecc. (pag. 746 ibidem) » e vi tralascio il resto per la fratellanza che ci unisce.

Ma concludendo per Jung « l’archetipo ha il significato di potenziale momento di sintesi dialettica tra la coscienza e l’inconscio ».

Quindi il significato dell’archetipo sacro e profano nella L. M. varia a seconda di ciò che noi vogliamo intendere per archetipo e da questo rapido escursus ci pare che ognuno possa trovare l’interpretazione che più gli si confà, quindi non è possibile né vi può essere una univocità interpretativa al tema in discussione; ed è giusto che sia così, perché altrimenti non sarebbe più muratoria, né, tantomeno, libera.

Se poi qualche lettore più curioso volesse chiedere quale sia la nostra interpretazione ovvero quale preferiamo, ebbene avremmo delle perplessità a rispondere; ma due sono le interpretazioni che preferiremmo: la prima è quella ambrosiana, l’uomo immagine dell’archetipo Dio; e le implicazioni quali: il profano immagine del sacro, il lavorio dell’out per divenire in, dell’uomo per arrivare a Dio, la ricerca della perfezione, il « bisogno » di Dio dell’uomo, ecc… sino al « et sicut Dei eritis » … e così via.

L’altra totalmente opposta è più semplice, taletiana, e potrebbe formularsi così: quale è il substrato che differenzia il sacro dal profano nella L. M.?

È qualcosa che per noi è già nell’animo umano, quasi una predestinazione per cui alcuni uomini ricercano i valori dello spirito che altri hanno in non cale.

Anche qui il discorso diverrebbe lungo, interminabile ed ognuno può farlo per conto proprio.

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SULLA NATURA DELLA GNESI

SULLA NATURA DELLA GNOSI

« Per quanto tu cammini e percorri ogni strada non potrai raggiungere i confini dell’anima, tanto è profondo il suo Logos »

ERACLITO

Il frammento di Eraclito sopracitato mi sembra il più idoneo per introdurre un discorso quanto mai come quello riguardante le Gnosi, intesa non nella sua accezione storica ma nel suo più profondo significato che è conoscenza. Di questa antica disciplina religiosa e speculativa non si conosce né l’origine né la fine, gli ultimi maestri conosciuti e riconosciuti sono morti verso il 11-111 secolo. La portata storica del movimento gnostico, se tale lo si può definire, ha un interesse irrilevante da un punto di vista istituzionale, ma assume una grandissima importanza il suo significato intellettuale, la sua valenza filosofica, la sua eredità spirituale. Leggo una definizione: « Lo gnosticismo è la teoria dell’ottenimento della salvezza per mezzo della conoscenza ».

Lo gnostico non ha fede, non crede, lo gnostico arriva a sapere, sa. Certo la liberazione si opera nel tempo, ma l’atto che è in sé atemporale è una illuminazione interiore ed individuale, una rivelazione di sé a sé, un atto improvviso che non presuppone alcuna condizione preliminare, né alcuna preparazione nel tempo è, in definitiva, conoscenza diretta della realtà oggettiva.

È una disciplina sicuramente simile al buddismo Zen, infatti i vangeli gnostici, che costituiscono una valida traccia per decodificarne il pensiero, si esprimono attraverso « Logia » assolutamente assimilabili ai Koan Zen; il Koan è un brevissimo enunciato che tende a bloccare i meccanismi razionali al fine di recuperare l’intuizione; in altre parole è un metodo per arrivare alla conoscenza non mediata della realtà ed è dunque un mezzo per comprendere l’Ineffabile. Cito dal Vangelo di Maria, papiro 8502, logia n. 1 « La materia sarà distrutta oppure no? il Salvatore disse: « tutte le nature, tutte le formazioni, tutte le creazioni sussistono l’una nell’altra e l’una con l’altra e saranno nuovamente dissolte nelle proprie radici. Poiché la natura della materia si dissolve soltanto nelle (radici) della sua natura. Chi ha orecchie da intendere intenda ».

Al di la di quelli che possono essere considerati di ordine misticoreligioso che per me non rivestono interesse se non a livello di curiosità, ho citato appositamente questo frammento per un duplice motivo: primo perché esprime in maniera rigorosa l’intercorrelazione che esiste di tutto con il tutto e quindi l’assoluta unicità fra soggetto e oggetto, espressione del superamento di quello che sarà il futuro razionalismo cartesiano. Non discuteremo della dicotomia fra res-cogitans e res-extensa perché faremmo storia della filosofia e non è questo l’oggetto del nostro interesse, Il secondo motivo ci tocca molto da vicino perché giustifica il nostro essere Massoni e quindi il nostro perseguire una via di conoscenza che come visione ultima ha la comprensione dell’Ineffabile e che proietta noi soggetto. Tutto nel tutto.

D’altra parte la nostra istituzione, slegata dalla sua ragione più profonda (che sono possibili metodi di conoscenza), sopravviverebbe a sé stessa come vuota forma. Se consideriamo per un momento i simboli ne scorgiamo subito e la natura elusiva e la forza propulsiva che in essi risiede.

Sono intorno a noi, permeano i nostri rituali e adornano i nostri templi; in essi ogni verità si relativizza nell’atto stesso in cui si coniugano con una verità contraria e poiché essi non sono legati ad una dimensione razionale della mente sono in grado di riunificare gli opposti svalutandone le antinomie e in questa ambivalenza risiede la loro potenza.

Non ci dimentichiamo che i simboli funzionano come un ponte gettato su quell’abissale ambiguità che preesiste alla nascita della coscienza e delle sue distinzioni ma funzionano anche come possibile apertura a significati vitali e futuri che la mente razionale ancora non contempla. Da tutto questo, da quanto ho detto, emerge un dato per me fondamentale: non esiste possibilità diversa per un Massone che non sia la ricerca della conoscenza.

Siamo tutti in un labirinto, le vie possibili sono infinite, la porta d’uscita una sola così come è stata una sola la porta d’entrata.

La Gnosi nel cristianesimo

La tradizione cristiana non può essere che la continuazione e l’integrazione della tradizione biblica. Perciò, la dottrina Kabbalistica, la sua Gnosi, è la base, il principio su cui il faro dell’insegnamento cristiano si è acceso e si è esteso nei secoli.

Gesù Cristo, con la sua « Rivelazione » ha completato tutta la dottrina antica. Dal mistero della incarnazione al mistero della Morte e Resurrezione, egli ha manifestato molte verità. Pertanto i Vangeli non sono soltanto annunci della dottrina della « redenzione »; di una legge di affrancamento e di affratellamento universale; di una morale rivoluzionatrice nella società umana. I Vangeli sono anche imponenti documenti che mostrano, nel loro simbolismo, il possesso dei Misteri. Sono documenti rivolti a tutti gli Iniziati di quei tempi, per attestare ad essi che la nuova religione non era un movimento arbitrario, ma prestabilito e atteso, che conteneva la conoscenza dei grandi arcani.

La conferma la troviamo in queste parole di Gesù:

« Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a completare, e fino a quando il cielo e la terra non passeranno, non scomparirà dalla Legge neppure uno iota o un apice ».

E, qui Egli rinnova la validità dei dieci Comandamenti di Mosè e riconosce i Profeti biblici.

Un punto importante della dottrina di Cristo è il sostenere la necessità per l’uomo di « risvegliarsi ». Ogni uomo, quando nasce, riceve una scintilla divina che costituisce l’essenza del suo spirito. Ma, come un granello di senape (vedi relativa parabola) che viene messo in un campo, se il campo è curato e seguito si vede presto spuntare il germoglio che in breve tempo diventa una pianta; se, viceversa, viene dimenticato o il campo non è arato, non nasce nulla.

Certo, il sentiero per il « risveglio » è assai faticoso perché comporta rinuncia e distacco totale dalle cose terrene, e Lui ne è stato l’esempio vivente poiché nella sua vita terrena non si è legato a nessun bene. Lo sforzo dev’essere continuo, definito e cosciente, con una volontà ferrea di possedere la « conoscenza ». Ed è in virtù di questa volontà che a poco a poco le potenze interiori si risvegliano e il potere trascendente che è insito nella coscienza dell’essere diviene effettivo.

Questo concetto viene spiegato da Gesù in questo passaggio:

« Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa è la via che porta alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla “Vita”, e pochi sono quelli che la trovano! ».

Pertanto l’insegnamento cristiano divide ] ‘umanità in tre classi: gli Eletti, i Chiamati, i Vincolati.

 Gli Eletti sono gli iniziati alla Gnosi; essi sono ormai pervenuti alla conoscenza;

— I Chiamati sono coloro in cui la scintilla di « Luce » si è svegliata, nella coscienza, ma devono ancora percorrere il lungo e spinoso cammino che porta alla « conoscenza »;

— I Vincolati sono quelli legati irrimediabilmente alla materia, cioè alla natura ed alle cose terrene e, per questi, non ci sarà mai alcun risveglio.

La dimostrazione di questo pensiero la troviamo in un altro passo del Vangelo c cioè quando a un suo discepolo che gli chiede di andare a seppellire il proprio padre, prima di seguirlo, Gesù risponde:

« Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti ».

Sempre su questo argomento possiamo citare un ‘altra parabola molto significativa, quella del seminatore che uscì di casa per seminare il suo campo.

Nello spargere il seme, una parte cadde lungo la strada e, venuti gli uccelli, lo beccarono; un’altra parte cadde in luoghi rocciosi, dove non c’era molta terra e spuntò, ma non avendo terreno sufficiente, il sole lo inaridì. Un’altra parte ancora cadde tra le spine e queste, quando nacque, lo soffocarono; un’altra parte cadde in buon terreno e fruttò: dove cento, dove sessanta e dove trenta. Chi ha orecchi per intendere, intenda.

A questo punto gli si avvicinarono i discepoli e gli domandarono: « Perché parli ad essi in parabole? » ed egli rispose: « Perché a voi è dato conoscere i Misteri del “Regno dei Cieli”, ma a loro non è stato concesso. Infatti, a chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo io parlo sempre ad essi in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano, né comprendano ».

Queste parole sibilline possono sembrare un paradosso dette da Gesù, ma non è così perché il senso di queste parole è che a quelli che si trovano sulla strada della « conoscenza » sarà dato sempre di più per il loro « risveglio », mentre a quelli che « dormono » sarà tolta ogni possibilità di riscatto. E in questo senso continua ancora dicendo: « Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto; perché chi chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa verrà aperto ».

Ora, analizzando l’insegnamento cristiano si può dire che esso si distingue da quello antico « sacerdotale » egiziano solo perché veniva elargito per le strade, sulle piazze o in riva a un lago, alla folla che lo ascoltava, e non tra le mura di un tempio, ma anche il suo era un insegnamento velato, rivolto solo a chi sapeva intendere o aveva la chiave per intendere.

I sacerdoti egiziani dicevano che la totale « conoscenza » non può essere rivelata che ai fratelli che hanno attraversato le nostre « prove ». Bisogna misurare la Verità secondo le intelligenze; velarla ai deboli, nasconderla ai tristi. E Gesù seguiva anche lui questo metodo. Egli rivelava sì la Verità, ma la diceva senza veli solo ai suoi discepoli perché li aveva « iniziati » , e perché dovevano essere i suoi continuatori. Anzi, a loro raccomandava:

« Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le pestino coi loro piedi e, rivoltandosi, vi sbranino. Io aprirò la mia bocca solo in parabole, rivelerò cose nascoste fin dalla creazione del mondo e chi ha orecchi da intendere, intenda! ».

Il « risveglio » se praticato come lo intendeva Gesù porta ad una completa trasmutazione dello spirito e della psiche, e Lui chiamava questo processo « Redenzione ». Ecco, perché Lui è il Cristo Redentore !

Gli Alchimisti chiameranno a loro volta questa trasmutazione, nel loro linguaggio ermetico, « Pietra filosofale ».

Occorre il « risveglio » per ottenere la « trasmutazione » e per mezzo di essa si arriva alla « conoscenza » del segreto del « ritorno » (dopo la morte).

Il serpente

ln tutti i culti, in tutte le religioni troviamo il simbolo del serpente. Lo troviamo in Grecia, in Egitto, in Fenicia, in Siria, in Babilonia, in India.

Il Serpente dell’Universo è simbolo del potere generativo; è la sfera degli elementi della terra, della sua attrazione, cioè la sfera sublunare sottomessa alla legge del desiderio, della generazione e della morte.

Il serpente di Mosè è posto, nel deserto, come simbolo di vita e di redenzione.

Il serpente arrotolato attorno all’albero della vita ha due opposte figure: esso può raffigurare la dualità del bene e del male, della vita e della morte.

Ebbene, nell’insegnamento esoterico il simbolo del serpente è sempre legato al « risveglio » perché il « risveglio » permette all’individuo di uscire dal potere serpentino, di sottrarsi cioè all’attrazione della Terra e alla legge del desiderio e, quindi, uscire dal ciclo o dal vortice delle rinascite.

Spezzare la legge del Karma è il fine ultimo dell’uomo risvegliato. « Gli uomini sono dei mortali e gli dei sono uomini immortali. Felice colui che capisce queste parole perché possiede la chiave di tutte le cose ».

II « risveglio » porta alla trasmutazione dello spirito il quale, raggiunto quello stato di coscienza, al momento della morte il suo spirito oltrepassa veloce tutti i cieli soggetti all’attrazione della Terra e vola libero « nel Regno dei Cieli » e vi resta per l’eternità, ricongiunto finalmente al Padre suo cioè al Grande Spirito che Io ha emanato senza dover più ricadere nella prigione della materia. Solo così egli diventa immortale!

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L’ESOTERISMO MASSONICO

L’ESOTERISMO MASSONICO di E. B.

1. CARATTERISTICHE DELL’ESOTERISMO MASSONICO

I. Essoterismo ed esoterismo nella tradizione ieratica.

Nell’antichità i « sapienti » sacerdoti o filosofi — vedevano nel segreto un fatto di necessità, reputando che le verità ieratiche da loro conseguite non potessero venire date in pasto ai « profani », che potevano non comprenderle o sviarle, per cui il Tempio sacerdotale (o la « scuola ») divenne il luogo ove custodivano tali verità segrete che venivano « rivelate » per gradi man a mano che « l’iniziato » ascendeva i vari gradi dell’ordine al quale era stato ammesso. Si coltivavano così in maniera religiosa o filosofica e perfino scientifica (sulla natura, la cosmologia, I astronomia, la medicina, ecc.) due dottrine:

 l’una essoterica (dal greco exotericos pubblico, comune, esternato); — l’altra esoterica (dal greco esotericos riservato, intimo, interiore).

La prima adottata per la generalità, la seconda riservata agli iniziati. Le « verità » celate nell’esoterismo, venivano trasfuse in simboli — numerici o grafici, o in immagini prevalentemente di ordine naturale (ad esempio: il Fuoco, il Sole, la Luna, la Pianta, l’Uccello ecc.), o instrumenti di mestiere ecc., che dovevano servire all’iniziato, od all’iniziando, come mezzo per cogliere l’essenza concettuale in esso racchiusa e farne oggetto di intima (cioè esoterica) meditazione, mentre il dialogo rappresentava il mezzo ed il metodo dell’insegnamento da parte del Maestro.

2. L’esoterismo massonico. Il « mistero » massonico. Limiti del « segreto » massonico.

  1. La metodologia dell’esoterismo massonico.

La Massoneria

:a sembra avere adottato tale sistematica, tesaurizzando (cioè raccogliendo per conservare o quanto meno per ricor

dare e richiamare) nei suoi rituali i principi e le simbologie di molteplici Tradizioni ieratiche, intendendo con tale sistematica addestrare i propri adepti sui significati della vita spirituale, ricorrendo nei suoi rituali tanto al simbolismo, in gran parte preso dalle Fratellanze libero-muratorie, quanto al metodo del dialogo, in gran parte preso dalle « scuole » filosofiche, specialmente da quelle pitagoriche, platoniche, gnostiche, ed a nostro avviso dalle Accademie del XIV, xv, XVI secolo italiane ed europee, che rinverdirono tali tradizioni filosofiche. Parrebbe pertanto una contraddizione in termini un tentativo di rendere essoterico — cioè pubblico ed intellegibile ad un « profano » — ciò che è esoterico — cioè riservato agli « iniziati » — specie se si prospetta alla fine della gradualistica « scala » iniziatica, l’esistenza d’un segreto ieratico, di una verità nascosta. Tutto questo sarebbe esatto se la Massoneria fosse una religione segreta, che racchiudesse nel celebramento del tempio un mistero ieratico, ma la Massoneria non è una religione. È un’idea, o meglio col Lennhoff, è un’arte di vita, che i massoni definiscono Arte Reale (o Regia), che ha come suo precipuo fondamento: « l’assoluto riconoscimento della libertà di spirito e di coscienza e la rinuncia ad ogni legame dogmatico » e che si manifesta soprattutto come una « scuola di tolleranza », che ha per scopo di fare in modo che gli adepti possano « sentirsi uniti in una catena spirituale di fraternità ».

ln una acuta definizione inglese della Massoneria, citata dal Moramarco, si legge: « è un bel sistema di morale velato nell’allegoria ed illustrato da simboli », e forse tale definizione, se non tutta, coglie in larga parte l’essenza dell’esoterismo massonico, giacché la Massoneria si prospetta anche come una scuola iniziatica, caratterizzata però dall’assenza di ogni legame dogmatico. I simboli libero muratori — anch’essi liberamente interpretabili secondo il significato emotivo-spirituale che possono suscitare in ciascun adepto — hanno inoltre il pregio istituzionale di essere identici per tutte le Obbedienze massoniche del mondo — dato il carattere universalistico della Massoneria — e quindi di poter costituire, in certo qual modo, un linguaggio unico per tutti i massoni del mondo e facilitare — al di sopra delle personali diverse credenze religiose, ovvero delle diverse tradizioni culturali o filosofiche — la ricerca di quella che Vico definì la « lingua mentale dell’Umanità ».

  • Il « mistero » massonico.

Va, quindi, sfatato un altro dei tanti luoghi comuni: l’esistenza di un segreto mistero massonico conosciuto soltanto al vertice dell’Organizzazione. È questa una tesi molto frequente nella letteratura anti-massonica, di matrice cattolica, quanto meno di un passato anche recente, che ha prospettato l’idea del mistero massonico conosciuto solo al vertice e particolarmente in quello del 33 0 grado del Rito Scozzese. Mistero massonico che, sul piano religioso, per alcuni sarebbe una specie di Luciferismo o Satanismo e da qui le leggende « popolarizzate » di una specie di « messe nere » che si compirebbero nella ritualità e si celebrerebbero nella simbologia massonica, e che sono del tutto prive di reale fondamento, come si evince da un serio esame dei rituali massonici che sono tutti pubblicati. A parte molta pubblicistica dozzinale, sul preteso Luciferismo si rammentano le polemiche anti-massoniche di parte cattolica sul noto Inno a Satana del Carducci, notoriamente massone. Al riguardo il sacerdote cattolico Bellomo seriamente commenta: « Giosuè Carducci appartenne alla Massoneria Palladiana ed è significativo, al riguardo, il suo celeberrimo Inno a Satana che, a suo tempo, suscitò qua entusiasmo, là scandalo e polemiche vivacissime. Ma sarà opportuno precisare che per il massone Satana rappresenta non già la potenza tenebrosa che si immagina il volgo, ma quella ” ragione ” che intende opporsi alla “fede “. Satana fu per il Carducci, come lo è per i massoni palladiani, il libero pensiero ». Lo stesso Carducci in una lettera al massone Filopanti, citata dal Bellomo, precisa che: « con Satana si riferiva inneggiare ” alla natura” e alla “ragione ” ». « Sì, ho inneggiato a queste due divinità dell’anima mia, dell’anima tua e di tutte le anime generose e buone ». « A queste due divinità che il solitario e macerante e incivile ascetismo abomina sotto il nome di carne e di mondo, e che la teocrazia scomunica sotto il nome di Satana. Satana, per gli asceti è l’Eccellenza, l’amore, il benessere, la felicità ». Il Carducci poi non fu un palladiano, come afferma il Bellomo, ma fu iniziato massone nel 1862 dalla Loggia Severa di Bologna e nel 1866 fu segretario della Loggia Felsinea di Bologna, entrambe del Grande Oriente d’Italia. Fece inoltre parte del Rito Scozzese Antico ed Accettato nel quale conseguì il 33 0 grado nel 1888. Per altri il mistero condurrebbe ad una finale manifestazione di ateismo, mentre nella realtà fra i princìpi basici, cioè nei landmarks, si pone come presupposto la credenza in un Ente Supremo: G. • .A.• .D.• .U.• . (Grande Architetto dell’Universo), anche se ogni massone è libero di darvi il significato teologico che crede. A conferma di ciò stanno gli Antichi doveri, in cui nel punto 1 si legge: « il massone è obbligato dalla sua condizione ad obbedire alla legge morale e se egli comprende bene l’arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso ». Per altri ancora il mistero massonico lo si associa all’idea del complotto politico, e soprattutto a quello anti-cattolico, mentre nella realtà non si pone ostacolo alla libera credenza di ogni massone, cattolico o meno. Infatti come una seria indagine nel curriczdum vitae dei massoni conosciuti comprova, alcuni di essi furono perfino sacerdoti cattolici (ad esempio Ugo Bassi), o sacerdoti di altre fedi (come, ad esempio, lo stesso Anderson).

A parte il noto falso del Taxil — sul quale ancora (nonostante lo stesso Taxil abbia poi ammesso il suo falso) fiorisce un indulgente riferimento di certa letteratura anti-massonica, specialmente quando sono imperanti le persecuzioni dei regimi totalitari verso i massoni — non si sottraggono a tale prospettiva del « Complotto » neppure studiosi seri, come il sacerdote cattolico Bellomo o l’economista cattolico Palomba. Il Bellomo vede al vertice del Rito Scozzese Antico ed Accettato una « rivelazione » dell’ateismo massonico. Il Palomba vede nella eredità della tradizione corporativa o delle Fratellanze medioevali il proseguimento del paganesimo in opposizione al cristianesimo o al cattolicesimo. Per il primo (Bellomo), a smentirlo ci sembra suficiente non solo il richiamo al concetto del Grande Architetto dell’Universo (G.’ .A.• .D.• .U.• .), ma tutto lo gnosticismo che permea ogni grado massonico, nonché il rilevante richiamo in esso alle Tradizioni jeratiche biblicheebraiche, od al cristianesimo gnostico. Pertanto l’opposizione « concettuale », se così si può chiamare, della Massoneria è verso ogni sudditanza teologica (o dogmatica), e verso l’accettazione aprioristica di una fede, cattolica o meno, in funzione del libero arbitrio che è auspicato come meta per ogni uomo, giacché la Massoneria, diversamente da ogni religione, come afferma il Porciatti, « sconsidera il mistero della verità intimamente connesso all’intrinseco dell’individuo, da lui comprensibile perché sostanzia il suo sé, verità alla quale si può e si deve pervenire ricercandola (. » (non quindi accettandola per puro atto di fede). Tutto ciò non ha nulla a che fare però con l'” ateismo”, che, caso mai, sarebbe anch’esso un « risultato » dell”‘ intrinseco dell’individuo ” e non della gradualistica iniziazione massonica, che propugna invece di riconoscere una deità rilevabile in tutte le cose del Cosmo; ed è questo, forse, per certi aspetti il solo « dogma » della Massoneria. A smentire il Bellomo, stanno inoltre gli stessi rituali del Rito Scozzese. Infatti in quello del 180 grado si ribadisce: « la Massoneria non intende né può avere preferenze di carattere religioso, come non può averne e non ne ha di carattere politico » e dopo avere menzionato i principali « credo » delle Fedi monoteiste si legge: « voi avete incontrato la fiaccola della Fede e avete inteso proclamare i vari credo degli uomini. Se ve ne è una che la vostra coscienza accetta, seguitela, siete libero ». Nel rituale del 320 grado nella « cripta » sono poste le statue di Confucio, Zaratustra, Budda, Mosè, Ermete Trismegisto, Platone, Gesù, Maometto e una Stella per « Colui di domani », e nel « dialogo » si evocano brani del loro insegnamento rilevandone la rimarchevole concordanza in quanto facenti parte di una « catena ermetica che non si è mai spezzata » e si prospetta l’insegnamento di « colui del domani » e si precisa: « Siate tolleranti, perché nulla può definire il G. • .A. • .D.• .U.’ ., cercate la verità, praticate la giustizia cd amate il vostro prossrmo come voi stessi, tale è la via del dovere, la sola via di salvezza » e si auspica il « Terzo Tempio » avente per colonne la libertà, la giustizia, la ragione, l’amore, in cui « ciascuno farà se stesso ».

Non si prospetta, quindi, un « ateismo », ma caso mai una « religione universale » che ci fa rammentare l’Umanesimo di FicinoPico della Mirandola, Bruno, Socino, Bacone, Herbert e l’Illuminismo teista o deista di Boyle, Spencer, Voltaire ed altri; liberi comunque i massoni di seguire la « fede » che la loro « coscienza accetta ».

Per il secondo (il Palomba) si può osservare che, caso mai, storicamente le Corporazioni di mestieri e le Fratellanze trovarono una prima opposizione con la lex Julia nel 42 a. C. , con il divieto o le limitazioni alle libere strutture dei collegia di mestiere. Corporazioni e Fratellanze che ritrovarono spazio proprio con la contrapposizione del cristianesimo all’autorità imperiale romana ed una consacrazione giuridica nel diritto Giustinianeo e nel diritto medioevale, specialmente con l’editto di Rotari nel 632 d. C. mentre appare come una costante storica, come afferma il Gamberini, la loro soppressione o la loro costrizione quando si affermano strutture statali accentrate (comprese quelle derivate dalla rivoluzione francese), ovvero forme di cesarismo, indipendenti dal connotato teocratico. Né, d’altra parte, come alcuni hanno fatto, può assumersi come occulto paganesimo il richiamo massonico ad una simbologia pagana (in vero non provato per quanto riguarda il simbolismo della Libera Muratoria medioevale o della Corporazione e Fratellanze in genere). Infatti, nell’attuale simbologia massonica, il richiamo a Venere, Giove, Marte, Ercole, Minerva ecc., ha un valore chiaramente disgiunto da un « culto » pagano (almeno in termini essoterici dello stesso), essendo visto nella simbologia massonica soltanto come richiamo ad energie cosmiche, od animistiche o psicologiche dell’uomo, come d’altra parte i « dialoghi » dei rituali comprovano. Inoltre va inteso anche nei termini di ogni altra trasposizione poetica che possa avere fatto richiamo alle deità pagane, di cui è ricca da secoli tutta la letteratura occidentale. Infine è evidente la concezione monoteistica della Massoneria già nello stesso richiamo al Grande Architetto dell’Universo (G. • . A. • .D.• .U.• . ) e nell’art. 3 della Costituzione dell’Ordine, nonché nella condanna di tutti gli idoli religiosi espressa in molti punti del rituale massonico. Alla stessa stregua va visto il richiamo nella simbologia massonica, e nei rituali, al ricordo di profeti, eroi, eroine, santi (si pensi ai Quattro Coronati architetti martiri cristiani al tempo

di Diocleziano, uccisi perché si rifiutarono di scolpire figure di dei e che sono onorati dalla Massoneria) che appartengono alla tradizione Cristiana e Cattolica, ovvero il ricordo di altri « personaggi » appartenenti ad altre Tradizioni religiose, in particolare bibliche ed ebraiche (ad esempio Salomone, Hiram, Stolkin, Zarobabel), ma anche isiache e zoroastriche (ad esempio: Mithra, Confucio, Zoroastro, Ermete), oppure a tradizioni filosofiche (con i richiami a Pitagora, Socrate, Platone, ecc.) ed infine lo stesso frequente ricordo del Gesù di Nazareth.

Tali richiami non sono fatti però per affermare una data validità teologica, secondo la qualificazione di culto che possa essere data a tali figure, ma il richiamo massonico viene fatto per indicare simbologicamente e sincreticamente (nel senso usato dalle scuole neo-platoniche) un modo di essere dell’uomo — positivo o negativo — al fine della sua evoluzione spirituale, intesa come conoscenza di sé (o presa coscienza di sé) al pari di ogni altro simbolo (cosmico, materiale, strumentale) usato dalla Massoneria. Ferma, s’intende, la libera interpretazione di ognuno di tali « mezzi » simbolici ai fini di un esoterico — cioè intimo — cammino nella ricerca del Giusto e del Vero. È questo angolo di prospettiva, che a nostro avviso, è stato sovente ignorato e falsato da molta letteratura che si è occupata di esoterismo massonico, soprattutto in riferimento alla interpretazione dei simboli o delle figure (spesso mitiche) rievocate dalla Massoneria (come noi la conosciamo nella sua immagine « moderna » o « speculativa » dopo il 1717), che ha tratto tali simboli o figure dalle varie tradizioni ieratiche, religiose, filosofiche, letterarie, esclusivamente per i suoi « fini » iniziatici e non per fare « scelte di campo » teologiche o filosofiche. ln molta letteratura, invece, in chiave antimassonica vengono sovente usati tali « simboli » e tali « figure » per dimostrare determinate tesi interpretative in modo tale da poter ingenerare nel lettore l’impressione che esse rispondano a dei postulati dell’Istituzione — attribuendo loro scelte di campo — quando invece possono essere soltanto interpretazioni soggettive dell’autore; rischiando così di fare attribuire infondatamente alla Massoneria l’uno o l’altro indirizzo teologico o filosofico al quale l’autore si sente portato,

-S

ovvero guidato dalla propria interpretazione della simbologia e della ritualità massonica; ingenerando anch’essi l’idea di un mistero ieratico. Ci sforzeremo di non cadere, in un senso o nell’altro, in analogo errore, cercando d’intuire le essenze concettuali da una analisi del materiale offerto dai rituali e regolamenti ‘massonici, senza ricercare misteri o verità nascoste, precisando di volta in volta che si tratta pur sempre di personali opinioni interpretative, nostre od altrui.

C) Il «segreto» massonico.

In questa prospettiva va, a nostro avviso, affrontato anche il problema del segreto massonico, per individuarne la natura ed i limiti. Bisogna riconoscere, in vero, che non esiste associazione, segreta o meno, che sia meno segreta della Massoneria moderna. Infatti, non vi è simbolo, cerimonia, rituale, o « dialogo » , non vi è statuto o regolamento che non sia stato pubblicato in molteplici libri — ad opera di massoni, di antimassoni o di studiosi neu

e che non sia stato depositato presso le autorità statali di ogni paese del mondo. Quello che la Massoneria impone come segreto ai suoi adepti è soltanto il dovere di preservare il silenzio sui lavori compiuti nelle logge; così come, d’altra parte, avviene per i lavori svolti in ogni consesso, sia esso quello di un organo religioso, di partito, o di una società per azioni. Il silenzio degli adepti può inoltre riguardare certe forme di costume solidaristico o di ritualità o sui segni di riconoscimento, così come prescrivono gli statuti massonici, ma tutto ciò in vero ha ormai soltanto valore puratnente formale e tradizionale, giacché anch’essi sono oggetto di pubblicazione in ogni lingua del mondo. Inoltre, solo il retaggio di antiche persecuzioni, od il timore di attuali più o meno sotterranee malevolenze od ostracismi per i massoni, ha determinato in alcuni paesi il costume di prescrivere il dovere di non rivelare all’esterno i nomi dei massoni che non abbiano liberamente scelto di « scoprire » la loro appartenenza alla Massoneria, e perfino quello di creare logge « coperte » (non conosciute) anche per i Fratelli ospitanti massoni illustri od impegnati. Costume forse ancora giustificato, anche in Italia, dai perduranti pregiudizi verso chi è massone, ma che è del tutto sconosciuto in Inghilterra e negli Stati Uniti d’America dove l’essere massone non è celato — e sono milioni e non crea alcun pregiudizio né all’attività professionale, sociale o politica, né a qualsiasi « carriera » intrapresa dall’adepto nelle strutture dello Stato od in quelle di società private. Dunque il segreto permane solamente nell’ambito della vita massonica.

D’altra parte, se possono essere estensibili le cerimonie (come ogni altra « cerimonia » di qualsiasi religione) con ciò si svela solo la parte esteriore, ed esse permangono incomprensibili nella loro essenza e se non se ne vive l’esperienza del loro significato etico ed esoterico che poi permane un fatto esclusivamente individuale, intimo, cioè esoterico — e se non se ne vive la produttività creativa che promana da tutti i partecipanti, come fatto corale, in quella che nel simbolismo massonico si chiama catena d unione. Scrisse il Lessing: « il segreto della Massoneria è ciò che il massone non potrebbe far uscire dalla sua bocca anche se volesse ». In termini similari si è espresso Giacomo Casanova: « il mistero della Massoneria è per sua natura inviolabile: il massone Io conosce solo per intuizione, non per averlo appreso. Lo scopre a forza di frequentare la loggia, di osservare, di ragionare, di dedurre. Quando lo ha conosciuto si guarda bene dal far parte della scoperta a chicchessia, sia pure il migliore amico massone, perché se costui non è stato capace di penetrare il mistero non sarà nemmeno capace di profittarne se lo apprenderà da altri. Il mistero rimanc sempre tale ». Cioè rimane l’intimo « esoterico » risultato della propria esperienza di vita massonica nel cammino della propria evoluzione spirituale. Sul segreto massonico il Moramarco scrive: « Se le riunioni massoniche e se le logge non sono aperte al pubblico, ciò non avviene per motivi illeciti, o per amore del settarismo, ma ” affermano i massoni ” per ossequio alla tradizione iniziatica, che prevede la riservatezza ed il silenzio. Un silenzio quasi imposto dalla coscienza della incomunicabilità, a parole, dell’esperienza spirituale che la Massoneria dispensa. Il segreto poi implica — nell’accezione massonica — che ognuno deve pervenire autonomamente alla conoscenza senza riposare nell’opera altrui. Il ricercatore volenteroso sarà messo alla prova e spronato dal silenzio di chi lo ha preceduto sulla via della conoscenza a incrementare i propri sforzi, le proprie ricerche ». Giustamente il Lennhoff afferma: « Quello che distingue la Massoneria dalle società di culto dei tempi antichi è il suo contenuto: l’ideale dell’umanità. Essa non è quello che molti vorrebbero che fosse: un santuario di cavalieri del Graal. I massoni non custodiscono ‘il sacro recipiente… L’Arte Reale non è di per sé mistica, non possiede alcuna istruzione segreta, alcuna chiave per i misteri del mondo, essa lavora con materiale umano, con uomini viventi. Essa non ha bisogno di cercare segreti fuori dal mondo materiale, perché è sufficientemente segreto il fatto che da quando l’uomo è comparso sulla terra, nonostante tutti i sovvertimenti interni ed esterni, milioni di uomini si affannano, basandosi solo sulle forze dell’amore, al fine di portare nel loro intimo pietre alla costruzione, che sarà un giorno effettivamente compiuta e che dovrà troneggiare su roccia di granito ». (Il Graal è la leggenda della « Coppa sacra » custodita dai Cavalieri della Tavola rotonda, o la « Coppa profetica » dei Celti, o per altri la « pietra filosofale »; sempre l’immagine di un sacro mistero).

Per il Reghini « l’idea centrale dei misteri massonici è l’antica idea mediterranea della sopravvivenza privilegiata, dalla resurrezione alla immortalità dalla morte, della palingenesi, insomma conseguita attraverso la morte mistica ». Per noi, più latamente, tutto il rituale massonico sembra permeato dal problema: vita-morte e vita-trasformazione, senza però offrire una soluzione al di fuori del concetto gnostico di libera ricerca in sé del vero. Per questo, anche se può prospettarsi una certa concatenazione logica, riteniamo che non si possa affermare a priori una adesione del pensiero massonico all’idea della reincarnazione animica in una pluralità di umane esperienze spirituali. Se il massone giunge a tale concezione sarà una sua libera scelta, come può giungere ad accettare la concezione di una unica esperienza animica in una sola vita terrena. Del pari la Massoneria non ha nulla a che vedere — come invece molti pensano — con le varie dottrine dell’occultismo, dello spiritismo, della teosofia, e della antroposofia e simili, anche se dei massoni possono essere individualmente cultori delle suddette discipline e come tali possono essere portati ad interpretare, personalmente, il simbolismo e l’esoterismo massonico in chiave con l’una e l’altra di tali dottrine; con l’accennato pericolo però di essere portati a volere dimostrare determinate tesi, per certi versi affascinanti, sul mistero massonico, che invece non esiste, giacché la Massoneria non è una religione, né una scienza occulta, né una scuola filosofica particolare. Essa, come afferma Porciatti: « considera il mistero della verità intimamente connesso all’intrinseco dell’individuo, da lui comprensibile perché sostanzia il suo sé, verità alla quale si può e si deve pervenire ricercandola… ».

In questa luce la Massoneria può essere intesa come scuola iniziatica essenzialmente individualistica, o meglio intimistica (o esoterica), valida per l’uomo di desiderio, come l’ha definito il Salvini, richiamandosi ad una espressione del De Saint-Martin, che « ricerca ad oltranza i segni del Divino nell’umano e nel naturale », giacché « in ogni settore dell’esperienza esistenziale e culturale dell’uomo c’è spazio per la ricerca del Divino ».

Per noi l’essenza dell’esoterismo massonico può essere individuata nella ricerca intima e libera di una propria verità e di una propria forza d’amore, che concretizzi un comportamento etico verso i propri simili; cioè il « logos » della gnosi greca e dell’esoterismo cristiano, ad esempio, johannita. Contenuto gnostico che, come vedremo, emerge in tutto il rituale e nel simbolismo massonico, ed infatti sul frontone del tempio massonico è posto l’imperativo: « conosci te stesso ». Sotto questo aspetto può essere visto anche il richiamo al prologo del Vangelo, di S. Giovanni, sul quale, aperto alla prima pagina, in apertura dei lavori massonici si pongono il compasso e la squadra. « Prologo » indubbiamente di contenuto gnostico. Chiarificatore al riguardo è quanto si legge nella premessa ai « Quaderni di simbologia massonica » (editi dal Grande Oriente): « La Massoneria è una istituzione iniziatica che: ignora la guida spirituale di un Maestro; non si fonda su alcuna dottrina, ma tutte le abbraccia e le supera; si propone come scuola tesa alla ricerca di una via illuminativa; in quanto compresa nella dinamica della vita, e quindi nel suo continuo divenire, non pone paradigmi, assiomi, dogmi, ma esige soltanto il sacrificio dei singoli componenti affinché questi si sforzino nella ricerca interiore, alla scoperta di se stessi, e alla costituzione di se stessi per compiere il lavoro di gruppo ». . ) « La via muratoria, in quanto iniziatica, indirizza a risolvere la problematica: Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? contribuendo in tale modo a liberare l’uomo dalle angoscie della vita e della morte ».

  • Criteri d’indagine sull’esoterismo massonico. Ricerca delle essenze concettuali.

Il suddetto aspetto gnostico dell’esoterismo massonico — senza addentrarci nel linguaggio dei simboli, che meno può interessare qui — traspare nettamente dagli statuti c da tutto il rituale massonico. Si riscontra in quello dei tre gradi dell’Ordinc come in quelli dei gradi dei Riti. Così come traspare inoltre dal pensiero espresso dai massoni nei confronti di quelle che possono definirsi le principali « idee-forza » sulle quali regge l’umanità.

Tenteremo pertanto di rilevare l’esoterismo massonico attraverso una simile indagine, cercando di scoprire i caratteri essenziali sui quali si fonda l’istituzione (rinviando il lettore allo specifico nostro saggio sugli Organismi massonici dell’Ordine e dei Riti), così come appaiono dagli statuti e dai regolamenti, resi pubblici, cercando di intuire quelli che possono definirsi i principi informatori o le essenze  concettuali della Massoneria così come emergon r• dai « rituali » anche essi pubblicati. Si deve infatti considerare che l’uomo moderno, già di per sé, è portato ad una certa dissacrazione ed aspira alla ricerca dell’essenza concettuale, più che all’ermetismo di un linguaggio simbolico e quindi a tale figura d’uomo va oggi imposto anche l’esoterismo massonico, e pertanto una analisi dello stesso va vista in funzione di un tentativo di sintesi di quelle che potrebbero definirsi le idee guida dell’apprendimento gradualistico ai fini dell’evoluzione spirituale dell’uomo-massone. Senza con ciò sottovalutare l’importanza che ancora riveste l’ermetismo del linguaggio simbolico, né l’insegnamento che può recepirsi dalla conoscenza di quella che i massoni chiamano la Tradizione, cioè la « tesaurizzazione » del pensiero degli uomini più illuminati che

nelle varie epoche hanno arricchito l’umanità, al di là di ogni bandiera religiosa, filosofica, razziale, statuale o politica e che si compenetra principalmente nel Rito scozzese ed in tutto il simbolismo massonico.

  • I due orientamenti: Pratico-operativo (ricerca del giusto) e Speculativo-spirituale (ricerca del vero).

La struttura degli Organismi massonici ha carattere universalistico e tende, in primo luogo a favorire l’ascesi individuale e collettiva mediante una evoluzione iniziatico-spirituale, ma ha anche una funzione strumentale per l’Istituzione. Tutta la struttura massonica appare permeata, anche nei primi tre gradi (detti simbolici) da tale esigenza di evoluzione iniziatico-spirituale dei Fratelli, ma nel contempo si compenetra delle esigenze di conciliare e perseguire in parallelo due orientamenti, anche se a volte pare prevalere l’accento più su l’uno che sull’altro:

  1. L’uno pratico-operativo, rivolto principalmente alla ricerca strumentale del « Giusto », in una aspirazione di fratellanza universale che trascende, pur trovandone stimolo, la stessa esistenza nell’Ordine c dei Riti, per riversarsi operativamente nel mondo profano al fine, sempre auspicato e richiamato nella ritualità massonica, del bene e del progresso dell’umanità.
  2. L’altro speculativo-spirituale, rivolto principalmente alla ricerca del trascendente, del « Vero » attraverso il riconoscimento di una comune discendenza spirituale che si riallaccia all’Ente Supremo, massonicamente espresso nel concetto del Grande Architetto dell’Universo (G. • . .D.• .U.• .), che non rileva da una determinata « rivelazione » teologica o dogmatica a priori non accetta nel pensiero massonico, ma dalla essenzialità della Tradizione che porta a credere nell’esistenza di Dio, che trova conferma nella osservazione della stessa natura e dalla unicità, al di sopra delle disparità teologiche, di un concetto animico e trascendente dell’uomo ed a un concetto cosmico della Creazione divina. Da ciò quel minimo credo che, pur nella più assoluta libertà per ogni

massone di farsi una propria rappresentazione del Grande Architetto dell’Universo (G.: .A.• .D.• .U. • .), è prescritto da un Iandmark (cioè limite, confine immutabile per la Massoneria, od antico dovere) in quanto essenziale per una ricerca speculativo-spirituale. La ricerca del Giusto e del Vero si riflette quindi per il massone:

  1. da un lato nel costante collegamento con i valori espressi dalla Tradizione, intesa come tesaurizzazione (o conservazione o ricordo) del pensiero degli uomini più illuminati, di qualsiasi fede religiosa o di qualsiasi corrente filosofica essi siano stati.
  2. Dall’altro lato si riflette nel riconoscimento che in ogni uomo — pur nella complessità e relatività della sua natura, fatta di stimoli e di idealità — alberga in nuce, nella sua ragione, l’essenza del Giusto e del Vero. Per cui si ha il richiamo costante, che via via si accentua in ogni ritualità gradualistica, ad una ricerca introspettiva della deità dell’uomo, che è inteso come partecipe ed emanazione del Tutto.

Uomo che aspira a salire la ideale scala (ed è la « scala » uno dei più importanti simboli muratori) del proprio riconoscimento e del proprio perfezionamento iniziatico (concetto pertanto gnostico), con il progressivo abbandono delle scorie che lo attanagliano nel suo stato di imperfezione e di tenebra e lo rendono schiavo di superstizioni, di pregiudizi, di paure. Da qui nel simbolismo il costante richiamo alla pietra grezza, intesa come stato d’imperfezione umana, che il massone deve imparare a levigare ed il richiamo alla costruzione del Tempio — che è essenzialmente concepito come Tempio interiore così come, poi vedremo, vi è il richiamo alla pietra cubica, intesa come « estrema dimensione possibile della materia » e simbologicamente vista anche come espressione delle possibilità intellettive dell’uomo. La suddetta diarchia fra la ricerca strumentale del Giusto e la ricerca trascendente ed introspettiva del Vero appare quindi come una costante per la Libera Muratoria che si riscontra nel fine, nel mezzo, e nel metodo indicati per l’ascesi individuale e collettiva che l’istituzione persegue. Diviene pertanto indispensabile la funzione strumentale degli

Organismi massonici, così come indispensabili divengono gli apporti che in varia guisa — in ragione delle doti individuali — i singoli massoni debbono dare in base agli statuti ed ai regolamenti che essi via via liberamente accettano con la cooptazione iniziatica ai vari gradi. Nella Massoneria, infatti, acquista rilievo il lavoro in comune, nell’officina (sinonimo di Loggia operante) e non ha invece rilievo l’ascesi individuale perseguita nell’isolamento, cosicché per la Massoneria, anche se può essere oggetto di apprezzamento, non si pone come criterio di realizzazione evolutiva iniziatico-spirituale l’immagine del « santo » o « santone » o del « saggio » che nel rifugio dell’eremo « intuisce » la Verità e si realizza. Vi è pertanto nella Massoneria tutto un simbolismo che ricorda, recepito in gran parte dalle Fratellanze muratorie, questa compartecipazione collettiva al « Lavoro » muratorio. Così, accanto al concetto di Tempio interiore, si affianca quello del Tempio di tutti, nell’immagine simbolica dell’accostamento delle varie pietre levigate, armonicamente composte con l’ausilio della livella, della squadra, del compasso, per cui il Tempio creato dall’unione dei Fratelli assurge a rappresentazione microcosmica del cosmo

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ASSONNAMENTO

ASSONNAMENTO

Premessa

 Analizzare «da militanti convinti», se pure con moderato scetticismo non disgiunto da un vigile autocriticismo, le ragioni che inducono un fratello all’assonnamento, significa comunque esprimere dei giudizi temerari. L’analisi infatti può soltanto essere supportata da una aneddottica vissuta in lunghi anni di militanza, su interpretazioni personali o collegiali di eventi visti, vissuti e poi interpretati. Anche se la casistica è talora supportata da dichiarazioni orali o scritte del fratello «assonnato», rimane comunque il plausibile dubbio che esistano ragioni diverse da quelle dichiarate che hanno indotto l’abbandono.

E forse ozioso premettere che in questa analisi non saranno considerate «le cause o gli eventi» imprevisti, talora incresciosi, qualche volta deludenti di pura natura profana. L’errore umano è comprensibile e degno di affettuosa solidarietà; la trasgressione di «certi» principî morali è comunque e sempre antitetica ai principî massonici.

Tratteremo l’assonnamento «spontaneo», non cioè indotto o imposto da cause comunque coerenti   il libero arbitrio del «fratello»; secondo le fasi ritmanti la militanza massonica. Analizzeremo così l’assonnamento immediato, quello precoce, quello in itinere e infine quello tardivo.

Considerata la natura iniziatica della nostra Obbedienza, è evidente che il tutto è modellato da una intima convinzione o da un inconscio connaturato desiderio di militanza. Quando questi supporti non esistono o vengono meno il «sonno», spesso preceduto dalla noia o dalla delusione, è inevitabile. E bella la definizione «sonno» e non dimissioni o altro significa che comunque i fratelli rimasti conservano qualcosa o nutrono sentimenti diversi «comunque massonici», diversi da quelli di colui che vuole «dormire».

La tecnica di realizzazione

Due sono invariabilmente le vie:

 la franca dichiarazione di apertamente richiedere d’essere assonnato: non è frequente ma è sempre degna di rispettosa considerazione della libertà altrui. E anche quella che più deve farci riflettere sulle eventuali responsabilità della comunità;

— la subdola tecnica dell’assenteismo, prima parziale poi prolungato, talora strafottente. E sempre espressione di mancanza di coraggio o comunque di meschinità e spesso di carenza «congenita» di vero afflato massonico.

Di fronte all’evento i quesiti che si possono formulare sono, indipendentemente dal momento di militanza in cui si verifica, gli stessi. Cosa cercava? Di cosa aveva «bisogno»? (in senso spirituale o profano). Cosa ha ricevuto? Cosa è venuto meno? Dove e come l’Obbedienza è stata carente?

Assonnamento immediato

Non di rado abbiamo assistito festanti e speranzosi all’ingresso di «profani » illustri o meno nella società reputati «elementi inclini alla massoneria». Dopo la cerimonia di iniziazione o dopo una o due «riunioni» sono spariti.

Marchiano errore di giudizio nostro? E senz’altro vero, ma non certo ragione di autocritica. E estremamente difficile sempre, e ancor più per noi, sapere come si comporterà un nostro simile di fronte a certe situazioni o circostanze. La repentinità dell’abbandono induce peraltro a pensare che il «profano» non cercava certo quello che noi potevamo dargli e non aveva bisogno di solidarietà fraterna, ma di mille altre cose reperibili facilmente altrove.

Fa comunque meditare il comportamento di «profani» affermati in campo profano, di età medio-matura, liberi quindi da «opportunistici» appetiti, apparentemente quindi disposti a «dare» più che a chiedere all’obbedienza, che sono entrati con estrema facilità e con disinvolto distacco si sono immediatamente eclissati.

Illusione di entrare in una centrale dei «bottoni segreti»? Delusione conseguente d’aver trovato «comuni» mortali? A ciascuno le ipotesi che vuole.

Assonnamento precoce

Come limite cronologico si può, sia pure artificiosamente, stabilire il periodo di apprendistato.

Le ragioni di abbandono sono tante. Per esemplificare:

delusione per mancate conoscenze importanti; percezione di non avere il supporto profano che si pensava; mancata preliminare confidenza coi famigliari (moglie contraria o semplicemente sospettosa di altri obiettivi); delusione dal punto di vista iniziatico per mancato acculturamento, assistenza, calore umano; incomprensione o intolleranza al cerimoniale di loggia; scarso carisma dei reggenti; invecchiamento della loggia; scarso «mistero» relativo ai gradi; impatto con «realtà» diverse da come si era immaginata la massoneria; militanza politica.

Assonnamento in itinere

Sempre avendo come metro cronologico i «gradi» massonici: l’assonnamento in grado di compagno o di maestro.

Anche qui le ragioni prospettabili sono molte, suggerite sempre dall’aneddottica di «vita vissuta»: contrasti «concettuali» sulla conduzione della loggia o dell’istituzione; il desiderio di «protagonismo» massonico deluso; insoddisfazione o noia; la mancata solidarietà per una qualunque «operazione» profana (richiesta congrua ma impotenza dell’istituzione… ma più sovente incongruità appetito» profano); un rifiuto al coinvolgimento operativo massonico; eventi imprevisti («copertura» censurata); timori di danni riflessi nella carriera profana; raggiungimento dell’obiettivo profano; frequenza di organizzazioni profane più gratificanti…

Assonnamento tardivo

Dopo tanti anni di militanza, non solo passiva ma pure validamente attiva, l’abbandono desta sempre perplessità in chi resta. Entro certi limiti può anche essere un evento naturale, nella sfera della «patologia senile», se è vero che la vecchiaia è sempre di per sé una malattia. L’usura, il distacco da quanto ci circonda e pur anche la «sonnolenza postprandiale» possono invogliare al «sonno» definitivo. L’abbandono da parte di «fratelli» noti per il loro «attivismo» massonico di lungo corso non può essere del tutto giustificato dal correre del tempo, anche se questo facilita l’acuirsi di certe inclinazioni caratteriali prima controllate. Incomprensioni dottrinali, «aspirazioni» deluse… (perché io non 32 0 33?); contrasti personali soprattutto con chi è salito più alto nella piramide. Qui, più che mai, diventa difficile, se non temerario, decifrare e codificare il perché di certi abbandoni… la logica con una strisciante arteriosclerosi non va sempre d’accordo (l’anagrafe di chi scrive autorizza questa considerazione apparentemente in contrasto con i sentimenti di fratellanza e tolleranza sollecitati dalle nostre regole).

Al di sopra di tutte queste interpretazioni sta, prima di tutto, una legge naturale di «selezione», che determina tra le altre cose:  Essere massoni convinti sempre; massoni entusiasti, attivissimi, pigri, scettici, scanzonati ma sempre massoni. Non esistono qui gradi o parametri; forse l'<<indicatore» più fedele è la voglia di fare proseliti…

— Credere di esserlo… ma…

— Paura di essere più «fratello»… ma…

— Paura di perdere «qualcosa» ma…

— La peggior sensazione… il «massone pentito» lo ero ma…

A questo punto sarà bene elencare tutti i dubbi che assalgono, dopo le ipotesi sui fattori che possono aver condizionato il «sonno» altrui; dubbi relativi alle responsabilità di chi «massone indefettibile» ha raccolto l’aneddotica.

L’altezzoso fariseo lascia il posto alla autocritica serena, obiettiva ma doverosamente spietata:

— Rispetto del cerimoniale: dovrebbe essere veicolo di stimolo, di educazione e ben venga anche di selezione.

— Rispetto della gerarchia, gerarchia degna di rispetto per impegno, dedizione, carisma, cultura.

— L’istituzione, la loggia in primis deve essere qualcosa di diverso dal «profano», ma deve esserlo veramente, coinvolgendo, stimolando. — L’apprendista deve essere assistito non solo in loggia.

— La situazione attuale, sciolti molti misteri. la concorrenza spietata di altre istituzioni, deve convincerci che non basta l’ora di loggia, ma devono esserci legami di amichevole fratellanza anche all’esterno.

— L’impegno al proselitismo attivo, affettivo e tecnico deve essere costante.

— E necessario pensare al cambio di generazione, si corrono comprensibili rischi, ma è l’unica via per evitare che fra tante gerontocrazie profane, si marmorizzi anche la gerontomassoneria.

Le considerazioni affastellate portano ad una conclusione finale: è difficile giudicare gli uomini, (uomo, conosci te stesso, diceva un tale), ergo è difficile individuare gli uomini in possesso inconscio dell’afflato massonico… Sbaglieremo sempre, il «sonno» precoce o tardivo è ritmato dalla natura, ma se il proselitismo fiorisce, avremo senz’altro un incremento di «addormentati» più o meno belli, ma anche maggior probabilità di schiumare «massoni veri» che non sanno di esserlo.

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CHI FA MOLTE DOMANDE

Chi fa molte domande

“Chi fa molte domande può a volte passare per imbecille; ma chi non ne fa rimane imbecille per tutta la vita”. Chiedo scusa della citazione. Per mio conto, a costo di sembrare imbecille, amo porre molte domande. Anzitutto, sono “io” in grado di fare del proselitismo Massonico? In che maniera, con quali principi dovrò caratterizzare il mio contatto col prossimo?

Il Rito (direi: il Simbolismo) parla della “pietra grezza” che si deve “squadrare”. Credo che la “pietra grezza” significhi l’uomo che non ha eliminato dal suo modo abituale di vivere certi vizi, di condotta e di pensiero; e la “pietra squadrata” equivale a chi è riuscito a comprendere se stesso fino ad avere eliminato le “scorze” (odi, affetti positivi e negativi, brame di autoaffermazione, di potere

Dopo queste semplici considerazioni la domanda che mi sono posta non ha più ragione di esistere.

Certamente,il mio progresso, simboleggiato dall’allegoria m.ca, è tuttora molto scarso; e perciò è scarsa la mia possibilità di fare del proselitismo e di intervenire nel campo profano. Certamente, se si trattasse solo di un proselitismo di tipo “associazionistico”, se l’azione di reclutare nuovi candidati si risolvesse con poche parole di tipo cameratesco, accompagnato da un abbondante entusiasmo gestuale, il problema non sussisterebbe. Ma esso diventa attuale qualora la scelta del candidato debba esser orientata tenuti presenti i principi per cui la M. esiste. Principi che non debbono essere solo “scritti” da qualche parte, ma devono essere vissuti dal Fratello Massone che si preparasse ad agire in campo profano. Ed a questo punto l’errore che spesso commettiamo diventa imponente. Purtroppo la maggior parte di noi, esseri umani, crede che, per far diventare vivo un principio in noi, basti prenderne coscienza, fissarlo nella memoria, e cercare di adeguare ad esso convenientemente la propria vita. Noi crediamo nell’azione meccanica di “trapianto” di un’idea, con un semplice atto volontario di accettazione.

Ma il fatto è molto più complesso. Il “trapianto” è molto simile a ciò che quotidianamente compiamo nel mondo fisico, spostando oggetti a nostro piacimento. Invece il PRINCIPIO diventa vivo in noi solo quando siamo riusciti a comprendere ciò che in noi è costituito come oppositore ad esso. Cioè, il Principio non può entrare a far parte del nostro mondo psichico finché vi esistano dei principi a quello opposti. Essi sono rappresentati dalle idee e dai convincimenti negativi; e la loro eliminazione non è neppure possibile mediante il procedimento meccanico di un’esclusione forzata, ottenuta con un atto di volontà categorico e violento, fosse anche sostenuto da vari esercizi meccanici, o fisici’, ma solo ed esclusivamente con un atto di onestà e di intelligenza. Le opposizioni all ‘acquisizione di idee nuove si vincono solo con un atto di riconoscimento della loro esistenza in noi e della loro precisa ed inequivocabile identificazione. A questo scopo è necessario operare su sé stessi con un duro lavoro di introspezione, fino al raggiungimento della completa libertà.

Il mio convincimento quindi, relativo alla necessità di un intervento del Fratello Massone nel campo profano, e del proselitismo, è questo: sono convinto della necessità di queste azioni, ma ritengo che debbano essere svolte solo da quei fratelli che hanno raggiunto un grado di perfezione di squadratura della loro pietra cubica, da non compromettere con la loro azione l’essenza stessa della Massoneria., travisandone i principi fondamentali. Personalmente ritengo di essere lontanissimo da quella meta, e di aver bisogno di continuare sulla strada dell ‘apprendistato,

D. vttr,

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ALCUNE RIFLESSIONI

Alcune riflessioni

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi

Sono portato alla stesura di questa breve tavola dalla necessità di giustificare davanti a tutti voi una posizione da me presa e rimarcata dal M:. V nell’ultima tomata famigliare.

Si tratta di una mia “resistenza” all ‘avanzamento dal grado di Compagno a quello di Maestro.

Per giustificarla sono ricorso ad una esigenza, direi quasi di carattere estetico, asserendo di voler vedere trascorsi almeno tre anni dal mio ingresso nella Istituzione.

La realtà è però più diversa e, spero, più profonda.

Essa riguarda il mio domo di sentire questo avanzamento; ritengo che oggi i motivi ai quali il mio atteggiamento era dovuto possano considerarsi superati, e mi dichiaro quindi pronto ad accettare l’onore che mi viene fatto, se dopo le mie parole i Fr:. me ne riterranno ancora degno.

Il motivo fondamentale era il fatto che l’avanzamento era ancora rivestito, per me, di un significato ben preciso, significato che mi sembra oggi scomparso.

Si tratta, in breve, di essere ancora legato ad un mito, per il quale il conferimento del simbolo esteriore (in questo caso il grado di Maestro) viene considerato segno del raggiungimento effettivo di una qualità, o peggio ancora la conferisce automaticamente.

Con questo punto di vista verrebbe esclusa la responsabilità personale del lavoro continuo, non tanto per un Più o meno vago miglioramento, ma addirittura per tenersi desti.

Questo aspetto mitico non riguarda solamente i gradi, ma coinvolge pure la stessa appartenenza all ‘Istituzione, ossia il piccolo mito della qualità particolare costituita dal grado non è altro che un aspetto del più grande mito di una qualità generale che è poi quella di essere “Massone”, considerato come sinonimo di appartenere alla “Massoneria”.

Ebbene, gli stessi fatti di cui giorno per giomo, o tomata per tomata, siamo testimoni stanno a provare che è proprio in questo atteggiamento che si trova la radice di ogni crisi.

Fino a che portiamo dentro di noi anche solamente una piccola traccia di questo modo di pensare, ogni progresso reale è da escludere.

Dicendo ciò, non intendo affatto asserire implicitamente che mi sono liberato di queste idee, ma solamente che mi sono reso cosciente della loro esistenza e della loro portata.

Ciò che oggi mi sembra di avere compreso chiaramente è che i gradi sono, di per sé, privi di ogni significato, paradossalmente, ritengo, però, che sia proprio questa comprensione ciò che ai gradi può dare una qualche sostanza, nel senso che una volta raggiuntala il periodo provvisorio in cui si è apprendista o compagno può considerarsi terminato, e si può, con pieno diritto, fare il proprio ingresso in una comunità massonica.

Quanto poi si è detto per i gradi, trova corrispettivo in ogni aspetto della vita massonica: se debbono esistere, oppure no, credenze ed ideali; quali siano i significati da attribuire all’autorità, alla gerarchia, all’obbedienza ed al silenzio; quale ruolo debbano avere i simboli, e così via.

Ognuno di questi argomenti merita ampia considerazione a parte.

Vorrei ancora, per il momento, soffermarmi brevemente sul ruolo che, nel mio attuale modo di vedere le cose, ha il trinomio Autorità, Gerarchia e Obbedienza, essendo questo gli argomenti più direttamente collegati alla scala dei gradi che vengono conferiti nella Massoneria.

In particolare l ‘ Autorità è l’argomento che il Fr :. Vttr ha scelto per una sua tavola della quale ho potuto prendere visione, avendo egli voluto discuterla con me prima della sua presentazione. D’ altra parte, dei tre termini menzionati sopra, questo si presenta come il più importante

Da un chiarimento del concetto di Autorità seguono infatti quasi automaticamente la necessità della Gerarchia, che a sua volta comporta I ‘Obbedienza.

Il Fr:. distingue due tipi di autorità, che chiama funzionale e psicologica; il primo è quello connesso ad una funzione svolta in un ambito sociale, che viene, per così dire, delegata ad uno o più individui da tutti i membri del gruppo sociale. 11 secondo tipo si riduce invece, sostanzialmente, ad una specie di plagio di qualcuno da parte d qualcun altro, ed è questo il tipo di autorità al quale, per ogni organismo sano e giusto, è lecito ribellarsi.

Questo tipo di analisi interessa la sociologia. Esso non è però completo, ed in quella disciplina si riconosce infatti, anche se con un certo fastidio, l’esistenza di individui dotati di una qualità particolare, detta “carismatica”, capaci di influenzare gli altri in misura notevole con le proprie parole, i propri atti od anche solo con la propria presenza.

Tali qualità è posseduta da molti capi politici e religiosi, e si presenta nettamente come una manifestazione di autorità Direi anzi di autorità innata che sovente, ma (e questo è importante notare) non sempre, deve essere riconosciuta come quella che il Fr chiama autorità psicologica.

Una eccezione, a giudicare almeno da quanto è giunto fino a noi, è quella di Buddha; non certamente l’unica.

L’insegnamento di Buddha è sovente commentato sinteticamente: “Così ho visto, così è” e tale asserzione non è un atto d’orgoglio, ma molto più semplicemente la constatazione di uno stato di fatto.

Il Buddha è cioè un uomo che è in contatto con il reale (qualunque cosa questa frase significhi) e tale fatto gli conferisce automaticamente un’ Autorità, immediatamente riconosciuta da chi ha potuto avvicinarlo. Tanto forte è questa esperienza, che essa è oggi ancora valida negli scritti che ci sono stati tramandati.

Questa esperienza del Reale, condivisa da altri, che sono stati detti Illuminati, questo stato di fatto è la radice di una autorità di tipo diverso dalle due dette sopra e che può giustamente essere definita Autorità Reale (o fattuale, o, con un termine più suggestivo, Regale.)

Quando essa è presente, ogni cosa è chiara e non esistono dubbi e discussioni di nessun genere. Ed è inoltre questa l’unica base possibile per l’esistenza di quelle società che vengono definite tradizionali.

In questa prospettiva, ogni individuo occupa automaticamente il posto che gli compete (per il quale cioè è il più naturalmente competente) in Gerarchia, e l’Obbedienza ne è il necessario corollario, senza che per nessuno vi sia costrizione di sorta. A questi principi, in particolare, è ispirata la Massoneria, che si presenta quindi come struttura ideale e perfetta.

Ma la perfezione ideale, purtroppo, non è cosa umana. Se infatti deve ritenersi per data l’esistenza di individui dotati di Autorità Regale (e sono convinto di averne conosciuto qualcuno), è anche vero che è una società Tradizionale è destinata a rimanere, per quanto riguarda gli uomini, nel mondo dei sogni. Se pure infatti, si supponesse esistente, una simile società ideale in breve tempo, col passare degli uomini che sono riusciti a farla tale, essa si corromperebbe, e l’Autorità Regale, della quale le forme dell ‘autorità erano conseguenza, sarebbe sostituita da una autorità funzionale o psicologica, capace solo di mantenere in vita (ed eventualmente rinforzare) le forme, ma priva ormai di ogni sostanza.

Questa almeno è la lezione che è possibile trarre, sia dalla storia, che dalla singola esperienza individuale.

Ma il papere che una società ideale non è realizzabile, o se pure fosse realizzata non potrebbe durare, non esime dal compito di tendere ad essa; compito che d’altra parte non può presentarsi come un dovere, ma solo come una esigenza interiore.

Non soltanto, ma una volta compresi questi fatti non possono più esistere scuse o compromessi. O si è desti e si opera, oppure semplicemente si è in sonno e si declina, spegnendosi giorno per giorno. E solamente in queste considerazioni che riesco a trovare una ragione di essere nella Massoneria, tanto più importante in tempi quali quelli che stiamo vivendo, dal caos del quale essa stessa rischia di essere travolta, ma contro il quale (o dopo il quale) può presentarsi come uno dei pochi nuclei di speranza. E solo così che essere “MASSONE” può veramente venire una qualità distinta, ed effettiva quando (e solo quando) si esprime nei fatti.

G Bld,

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FRATERNITA’

Fraternità

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi di ogni dignità e grado,

vi chiedo il permesso di riprendere l’argomento del mio intervento, che fu troppo estemporaneo, alla tavola del Fratello Vttr. Come avevo detto in quell’occasione, l’impressione fattami da quella Tavola veniva a intessersi con quella provocata dalla lettura di alcune conferenze di Krishnamurti; ed entrambe mi offrivano maggior luce sul principio della Fratellanza, principio che caratterizza, forse più di ogni altro, il nostro Ordine.

Che lo caratterizzi fortemente è dato da constatare, ricordando le tegolature ed i testamenti di gran parte dei recipiendari; infatti, la più ricorrente motivazione alla richiesta di accettazione nella Massoneria è quella di un’aspirazione ad una Fratellanza. Tralasciando spinte deteriori, questa aspirazione può in gran parte essere dovuta all’immensa solitudine in cui viviamo in questa società modeRNa.

Il principio della Fratellanza che permea il nostro Ordine, anche a detta di autorevoli Fratelli scrittori di cose Massoniche, travalica le mura del Tempio e si estende a tutta I ‘Umanità. Non senza intenzione il Fratello Ex Maestro Venerabile, o in sua assenza il Fratello Oratore, al ricevere la fiamma che ha acceso le tre Luci, ripete il mantra rituale: “per il bene dell ‘Umanità e alla Gloria del Grande Architetto dell ‘ Universo”.

Non vi nascondo che, sulle prime, questo continuo richiamo all’Umanità sapeva di Ottocento illuministico, vagamente populista, e mi odorava di rimasuglio giacobino e risorgimentale. Mi ci volle, dapprima, una rimeditazione su J. W. Dunne e, ultimamente, l’incontro con Krishnamurti per rivedere le mie opinioni. In verità, avrei dovuto rivederle senza bisogno di agenti extra massonici. Tutto ciò che è in Massoneria, che ce ne accorgiamo o no, discende da un punto primigenio, che è la giustificazione metafisica della presenza stessa della Massoneria: questo asserto fondamentale avrebbe dovuto smorzare i miei sospetti e indurmi ad una ricerca più seria di una semplice impressione. Nel caso presente, questo sentimento di Fratellanza non può venire soltanto da un impulso sentimentale di una generica buona volontà; e la dichiarata presenza di tutta I ‘Umanità che il Rituale propone alla nostra meditazione non può essere contraddittoria con i principi di tutte le metodologie di ricerca della Luce; che ripetono sempre che il lavoro di ricerca è un fatto individuale, da compiere in assoluta solitudine, salvo l’assistenza del Maestro. La radice di questo principio di fratellanza deve essere trovata dentro la dottrina esoterica.

Krishnamurti, del quale ho avuto occasione di tradurre alcuni passi, parte dall’analisi dei fatti psicologici che stanno all’origine della conflittualità, nell’intimo di ciascuno di noi. E evidente che i grossi fenomeni sociali, che affliggono l’umanità sempre, anche nei periodi di pace politica, sono il risultato della somma dei tanti fatti individuali; una comunità i cui componenti non hanno tendenze aggressive, non può essere aggredita.

La conflittualità nasce da uno stato di malessere psicologico; e la causa principale del malessere psicologico è il confronto, ci si confronta sempre contro qualcuno; su scala di collettività, si confronta il nostro stato attuale con uno stato ideale, che si cerca di raggiungere, lì nasce il conflitto. Su scala individuale, io mi confronto con qualcun altro; vorrei essere come lui, più bravo di lui, ecc. ecc.; e me ne nasce un dispiacere. Vorrei avere quello che non ho; ritengo che la Società mi faccia un torto, perché non sono ricco, non sono apprezzato, mi fa pagare le imposte, perché mi manda in guerra, perché incombe la minaccia dell’atomica, e così via; tutto ciò produce un dispiacere sordo, che sbocca in neurosi, e la mia neurosi la trasferisco nei miei rapporti sociali e nella mia azione, o inazione politica.

Occorre eliminare le cause del conflitto; occorre eliminare il confronto. Ora, il confronto è bipolare; soggetto ed oggetto; l’osservatore che si mette in opposizione alla cosa osservata, e la cosa osservata Se si riesce a far sì che un polo svanisca, non c’è più confronto. Quale è il polo che possiamo far svanire? Non certamente l’altro; se volessimo far svanire l’altro, occorrerebbe sopprimerlo; e questa intenzione esalterebbe la conflittualità, oltre ad essere di impossibile realizzazione. L’unico polo sul quale possiamo agire è il nostro. Osserviamo una cosa; Cl sono dei momenti, nella nostra vita di tutti i giorni, nei quali la nostra attenzione è afferrata in modo totale; ed allora ci dimentichiamo di noi stessi, i nostri dispiaceri sono scomparsi; abbiamo degli attimi di “serenità”, se non vogliamo chiamarla “felicità”.

Qualora ci fosse possibile estendere a tutta la nostra giornata una simile condizione, avremmo prosciugato in noi la fonte dei dispiaceri. C’è nella gente che lo fa, e tutti noi ne conosciamo qualcuno; l’artista che, totalmente assorto nelle sue visioni, dimentica i piccoli problemi della vita quotidiana; così lo scienziato o il tecnico veramente e profondamente interessato al suo lavoro; chi si dedica a servire ed aiutare gli altri, dimentico di sé. La realizzazione di una simile condizione, oltre che darci serenità, ci allenerebbe anche a far meglio il nostro lavoro; infatti saremmo capaci di avere una visione integrale di ogni problema, perché sapremmo dedicargli tutto l’intero orizzonte della nostra attenzione, orizzonte al quale normalmente sottraiamo una grossa fetta, che dedichiamo alla nostra importantissima (per noi) persona.

Siamo tutt’uno con il tutto; a cominciare con ciò e chi è più vicino a noi. Ma questa è fraternità?

La Massoneria è da sempre Maestra. Lo si voglia credere o no, Essa ha ricevuto un insegnamento che, prima o pi, per chi viene a conoscere altre dottrine, si deve riconoscere coincidente con quel fondo generale che è la base di tutte. Ogni tanto appaiono delle verifiche che dovrebbero essere abbacinanti. Vediamo le considerazioni di J. W. Dunne. Dai suoi scritti non appare che egli abbia ricevuto la minima influenza dalle Dottrine Tradizionali. Eppure, le conclusioni che egli trae dalle sue considerazioni, direi, di metafisica geometrica e gnoseologica, coincidono con quelle della dottrina teosofica. A livello del secondo Osservatore, siamo già immersi nello Spirito Universale; ossia, superando con un primo passo la condizione di menti legate ad una visione tridimensionale di un universo a quattro dimensioni (Larghezza, lunghezza, altezza e durata), siamo tutt’uno con lo Spirito Universale; siamo tutt’uno con tutto I ‘Universo sensibile, ed ultrasensibile. Siamo un’unica unità! E non siamo quindi tutti Fratelli? Ecco che, a quanto mi sembra, abbiamo intravisto una immensa profondità metafisica, esoterica, nell’insegnamento Massonico della Fraternità. Nella sua minuta, anche materiale attrazione di ogni giorno, l’esercizio della Fraternità è pari alla ripetizione delle sacre sillabe OM. Laus Deo, Baruch Hu, Sai Ram; è I ‘affermazione di una grande verità cosmica.

Per chi lo voglia, da questa constatazione si potrebbe trarre una linea di lavoro di Officina. La pulitura della pietra grezza si potrebbe esplicare, dal lato pratico, nell ‘esercizio continuo della Fratellanza, anche in azioni minime; dal lato spirituale, ed ancora pratico, nell’abituarsi a vedere il mondo dimenticandoci di noi stessi: vedere, non osservare, Dimenticandoci dell ‘osservatore; solo allora saremo capaci di vedere.

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi, vi ringrazio della vostra benevolenza nell’ascoltarmi.

M. Bnc,

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INIZIAZIONE CONTRO INIZIAZIONE

I

Maestro Venerabile, Fratelli tutti di ogni Dignità e Grado,

approfitterò della vostra fraterna indulgenza per esporvi alcune considerazioni, che mi sono sorte leggendo un capitolo del primo libro della “Introduzione alla Magia” scritto dal Gruppo di Ur.

Anzitutto, perché la parola Magia non ritorni a far affiorare reazioni avverse, dovute allo svisamento che negli ultimi quattro secoli ha subito il significato di questa parola, vogliamoci ricordare che, originariamente, per Magia si intendeva, ed anche oggi si deve intendere, lo svolgimento da parte dell ‘uomo di attività che trascendono il mondo delle cosiddette leggi fisiche. I Maghi Caldei erano saggi e santi; anche nella tradizione cristiana, il primo riconoscimento della natura di Gesù venne da parte dei tre Re Magi. Forse l’etimo di Magia è simile a quello del verbo tedesco mogen che significa potere; forse è simile a quello di magister, i poteri magici sono conferiti solo a coloro che si saranno portati molto in alto nella Vera Conoscenza. Ma I ‘argomento di questa Tavola è:

INIZIAZIONE, CONTRO.IMZIAZIONE

All’entrare nella Famiglia Massonica, ricevemmo l’Iniziazione. Non ne afferrammo subito tutto il significato e tutta l’importanza, né tutto l’impegno che ci siamo assunti, ma nessuno di noi dubitò mai della serietà e della realtà del Rito d’iniziazione. Con quel Rito, ognuno di noi, che aveva preventivamente dichiarato di cercare la Luce, è stato ammesso ad incominciare una via intesa ad elevare la sua condizione umana, a portarlo alla più completa conoscenza e realizzazione di se stesso; un se stesso molto più grande di quello che di solito riteniamo confinato al nostro corpo ed alle esperienze sensoriali che esso ci trasmette.

Ci siamo messi per un cammino difficile, pieno di ostacoli e di strattoni all’indietro, provenienti da quelle forze che, omologamente, legano il nostro SE alla materializzazione, con quello dell ‘intero Universo. Quel cammino, apparentemente differente per ciascuno di noi, è l’unico che ci possa condurre alla Verità, alla conoscenza dell’essenza nostra e del Tutto.

Sulla base di questi principi, Bene e Male si definiscono da soli, automaticamente. Per I ‘Iniziato, è Bene tutto ciò che lo porta avanti sul cammino della conoscenza; invece, tutto ciò che lo frena, lo arresta o lo fa retrocedere è male, il Male. Questa definizione di Bene e Male non si collega a nessun quadro di riferimento moralistico, ma è totalmente pratica, per quanto riguarda il progredire sulla Via. L’opposizione delle forze del Male alle forze del Bene, così come ci viene raffigurato dalle varie religioni, può avere, da un lato, un significato puramente mitico, evocativo; oppure quello dell ‘osservanza ad una certa legge morale, molto variabile nel tempo e nei vari luoghi.

Ogni movimento di sovversione, nella storia e nel pensiero ha un’origine occulta ed una finalità avversa al progresso spirituale. Una delle confezioni più recenti è la teoria positivistica, la quale nega ogni retroscena del genere e pretende che tutto, nel mondo, si spieghi con cause storiche tangibili . ed una delle più antiche è la strumentalizzazione della spiritualità a fini di potere e di ricchezza. La istituzionalizzazione del Cristianesimo operata da Costantino ne è un esempio antico; l’assassinio di De Moley da parte di Filippo il Bello, per distruggere la tradizione e la potenza Templare, un esempio più recente; più recente ancora è lo scientismo.

Il Guénon indica quali siano le influenze che, dietro le quinte, hanno lavorato alla fabbricazione di quella che si chiama mentalità moderna. Essa parte da domini che, come quelli della scienza, dovrebbero essere più refrattari a preconcetti ed a pregiudizi. Invece, a partire dal secolo dei lumi, nelle roccaforti della scienza ufficiale si è ordita una infrangibile congiura che taccia a priori di pregiudizio, o di superstizione, tutto ciò che non è visibile, pensabile, misurabile; e tutto ciò che in qualche modo si riallaccia alla Tradizione.

Il materialismo e lo scientismo, in effetti, derivano in parte da suggestioni e la limitazioni di orizzonti, troppo organizzate e tendenziose, per ritenerle come estemporanee e dovute semplicemente all ‘umana ottusità . E tutto ciò si vede convergere verso una diffamazione generalizzata di tutto ciò che ha colore di esoterico; ne nasce una presa sugli animi che ha gli effetti di una contro-iniziazione. Il fatto che oggi sia considerato sano e normale solo l’uomo che considera le cose dal solo punto di vista materiale, oggettivo, ecc., è il sintomo di questo procedimento contro-iniziatico.

Ma le forze della contro-iniziazione agiscono anche in altri modi; molte sono le vie dell’antispirito. A coloro che sentono che, al di là delle apparenze fisiche, può trovarsi qualcos’altro, si possono offrire delle aperture verso un. aldilà inferiore. Gli stessi psicanalisti (con qualche eccezione) non si occupano che di un subcosciente, senza ipotizzare minimamente un livello sopracosciente.

Attraverso codeste aperture si affaccia un mondo subnaturale, di uno psichismo inferiore; chi scambi queste apparizioni con la luce del soprannaturale è portato verso la via discendente, verso una via contro-iniziatica. Le correnti dello spiritismo e dell’occultismo commerciale irretiscono anche persone di un certo livello intellettuale, sedotte anche dallo scorgere fenomeni, che sono facilmente presi per segni di realizzazioni spirituali.

Vi è anche colui che si rifugia in una vita fervida di attività benefiche, le quali lo fanno sentir buono, e gli permettono di creare una cortina di fumo dietro la quale nascondere le sue profonde istanze della ricerca di una spiritualità più reale.

Si direbbe che il desiderio di agire nel mondo profano, di far qualcosa, di migliorare la società, nascano proprio da forze contro-iniziatiche che tutti portiamo in noi, Come potremmo migliorare qualcosa se non incominciamo a migliorare noi stessi? Se vogliamo edificare il Tempio di Gerusalemme, cominciamo prima ad edificare il nostro Tempio interiore e ad individuare, isolare e neutralizzare le forze contro-iniziatiche. Questo si chiama scavare profonde ed oscure prigioni al vizio e lavorare al bene ed al progresso dell ‘Umanità.

M. Bnc,

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CHE COSA CERCHIAMO

Che cosa cerchiamo?

Cerco un oggetto la cui funzione è quella di darmi la felicità.

Di quale oggetto si tratta ?

Di cibo, di un altro essere umano, del caldo estivo, della conoscenza scientifica, di un ideale, di un uomo eccezionale , di un santo, di una fede in un dio, della droga, dell’alcool, di una bella casa, di un conto in banca, di un grosso patrimonio, di un potere su altri uomini, del dominio del successo, ecc. ecc.?

Quando l’oggetto mi manca soffro. Chiamo felicità la presenza dell ‘oggetto. Traggo felicità dall ‘oggetto. L’oggetto viene da me utilizzato per ricavarne felicità.

Dalle piante traggo il frutto, dall’oggetto traggo felicità. Molto Spesso la presenza di un oggetto particolare mi disturba, mi procura disagio, dolore, sofferenza. In tutti i modi debbo allontanarmi dall ‘oggetto dannoso o distruggerlo.

La felicità mi viene dalla distruzione o dalla fuga. Dalle piante traggo il ,frutto, dalla distruzione o dalla fuga traggo la felicità.

Traggo felicità dall’assenza o dalla presenza dell’oggetto. Per questo scopo lavoro, lotto, combatto, mi dispero, soffro. Soffro per non soffrire. Soffro nella ricerca. Soffro per l’assenza o la presenza di un oggetto

Dove sta la felicità? Di là da venire, alla fine della ricerca, alla fino della sofferenza.

Dove sta la fine dalla sofferenza ? Alla fine della ricerca.

Perché non smetto subito, in questo istante, di cercare l’oggetto, il suo frutto, la felicità?

Allora smetto, tanto più che la felicità dura solo un istante e, dopo quell’attimo, si piomba nel buio, nello sconforto, nella disperazione.

Ma è possibile rendere duraturo quello stato di felicità cosi fugace ed istantaneo?

Cerco un oggetto la cui permanenza duri almeno per la durata della mia vita e, per la durata dalla mia vita, mi procuri felicità.

Forse in questa maniera la sofferenza della ricerca ha senso.

Soffro nella ricerca, lotto, combatto e mi dispero, ma se prima di morire avrò trovato la soluzione del problema potrò essere soddisfatto.

Cercherò l’oggetto che mi darà una felicità duratura ed immutabile, almeno per il tempo della. mia vita.

Ecco, sono di nuovo sulla strada della ricerca, della lotta e della sofferenza. Ma forse questa volta ne varrà la pena.

Non perseguirò più l’oggetto che mi darà una felicità momentanea, ma cercherò l’oggetto che mi darà. una felicità duratura.

Tale oggetto può essere un ideale, una fede, un’ideologia, un Dio. Lotterò per un’idea, per un ideale, per una fede, per un’ideologia, per un Dio,

Chiamerò materialisti coloro che perseguono gli oggetti che danno una felicità effimera, e li disprezzerò!

Chiamerò idealisti tutti gli altri. Lotterò e combatterò per I ‘ideale, anche se sono convinto che i miei sforzi non otterranno risultati definitivi.

Sono sicuro che la lotta dovrà essere continuata anche dai miei successori, forse per millenni.

Un risultato almeno l’ho ottenuto. Non dovrò più perseguire l’oggetto per ricavarne pace e felicità. Perseguirò direttamente la felicità e la pace come ideali da raggiungere.

La lotta sarà dura. A volte rimarrò senza speranza, poiché essa verrà posta nel lontano futuro.

Non dovrò farmi spaventare dalla fatica. Lotterò, combatterò, superando tutte le difficoltà della mia strada.

Vivrò nella miseria, superando tutti gli ostacoli. Cercherò dei compagni.

Mi farò aiutare. Tutti insieme combatteremo contro gli elementi naturali, contro gli altri uomini uccidendo, se sarà necessario, gli oppositori.

Ucciderò gli uomini che portano un ideale diverso dal mio. L’eccidio collettivo in nome dell’ideale è sacro.

E questo che voglio? Ma in questa maniera la vita continuerà ad essere un inferno. Non cercavo forse all ‘inizio   la pace e la felicità?

E vero, voglio la pace e la felicità. per la pace e la felicità la mia vita si svolge combattendo.

Per la pace e la felicità mi trovo in guerra, devo uccidere, devo avere e procurare miseria, fame, dolore.

Questa è la trappola che io stesso ho teso. Mi trovo preso nella mia stessa trappola.

Ho tentato di imprigionare la felicità. Nel laccio sono stato preso io, la mia miseria, la mia lotta, il mio dolore, la mia infelicità.

Forse non è questa la strada della pace. E inutile continuare a combattere nell’attesa che finalmente si apra la porta della pace.

La pace armata è un inganno. Sono vittima della mia illusione.

L’ideale è una chimera. Cerco la fonte di ogni bene e mi ritrovo la bocca piena di sabbia.

Devo smettere di combattere. Devo smettere immediatamente di uccidere. Devo smettere di procurare a me stesso ed agli altri miseria, fatica, dolore.

Devo rinunciare all ‘ideale. Devo smetterla di cercare pace e felicità.

Per la ricerca della pace e della felicità, secondo un certo ideale, un giorno. sulle piazze delle città e dei paesi divamparono i roghi.

Per un altro ideale si elevarono le ghigliottine. Per l’imperatore migliaia di persone persero la vita.

Per gli ultimi e nuovi ideali sorsero i fomi crematori e le camere a gas.

Fratelli smettiamo di cercare pace e felicità. I frutti di questa ricerca sono troppo amari.

La strada che abbiamo percorso fino ad oggi ci conduce a nuove rovine. Un’altra è la strada della felicità.

D. Vttr, 8 marzo 1973 dell’e.•. v:.

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MOMENTI DI RIFLESSIONE

Momenti di riflessione

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

Questo studio non vuole essere od implicare un punto di vista unilaterale. Vuole solo creare momenti di riflessione. Riflessioni alle quali lo scienziato, lo storico, il razionalista, I ‘evoluzionista hanno già dato una risposta; e il Massone?

Che cosa ci differenzia dagli uomini del passato? Solo il Tempo, la cosiddetta evoluzione, il Progresso, oppure qualcosa d’altro? Che cosa abbiamo dimenticato? Che cosa stiamo ricercando?

Perché tute le tradizioni riportano che questa umanità deve finire?

Secondo la teoria dei cicli cosmici indù siamo alla fine del 7 0 Manvantara (14 Manvantara = il Kalpa = 1 giorno di Brahma). Ogni manvantara dura un numero pari a 64800 (anni, o forse no, o forse non come li consideriamo noi); di cui il rapporto pcr ere è di 4-3-2-1 (oro, argento, bronzo, ferro); ora siamo nell’età del ferro…

Alce Nero apparteneva al ramo Oglala dei Tetom Dakota, della grande famiglia dei Sioux; fu cugino di Cavallo Pazzo e fu l’ultimo sacerdote custode della Sacra Pipa.

Combatté contro i bianchi sul Little Big Horn e girò l’Europa come pagliaccio alla cortc di Buffalo Bill. Nel 1947, un giovane studioso di antropologia indiana lo incontrò, ormai ottantaseienne nella riserva indiana di Pine Ridge e restò con lui 8 mesi trascrivendo quanto gli venne detto.

In passato, le cose dette da Alce Nero erano troppo sacre per essere raccontate ed erano tramandate gelosamcntc solo oralmente; ma il vecchio capo disse: “quando ci avviciniamo alla fine di un ciclo, quando dappertutto gli uomini si allontanano dalla comprensione e dalla partecipazione alla Verità che è stata loro rivelata, e quando, come risultato di ciò, il disordine ed il caos regnano in ogni sfera della vita, allora è consentito ed è desiderabile rivelare questa sapienza. La verità, per sua stessa natura, si difende da sola contro la profanazione e può raggiungere coloro che ne sono capaci di comprenderla profondamente, affinché essi possano rafforzare il ponte che deve essere costruito per uscire dall ‘età oscura

25/12/1947 South Dakota – Henaka Sapa (Alce Nero)

F. Ossendowski – Bestie Uomini e Dei

Profezia effettuata dal Re del Mondo e riportata dal viaggiatore:

. sempre più gli uomini dimenticheranno le loro anime e si occuperanno dei loro corpi. La più grande corruzione regnerà sulla terra… Milioni di uomini scambieranno schiavitù ed umiliazioni con fame, miseria, morte… Le vecchie strade saranno coperte di folle vaganti da un luogo all ‘altro… Il padre si rivolterà contro il figlio, il fratello contro il fratello… Il vizio, il crimine, la distruzione dell ‘anima e del corpo seguiranno. Le famiglie saranno disperse… Fedeltà ed amore scompariranno… .

Dupuis – Origine des tous le cultes

Gli Hierophanti d ‘Oriente (Portatori della Luce) non cessarono di ripetere che il mondo si sarebbe sempre più deteriorato nel fisico e nella morale sino a che, nel momento in cui la malizia dell ‘uomo avesse raggiunto il massimo grado possibile, tutto sarebbe stato distrutto per essere poi rigenerato

                Ovidio – Metamorfosi       

” Dice – Tutti i crimini, in questa età oscura si fanno più intensi; pudore, verità, buona fede, prendono la fuga; al loro posto regnano la violenza, la colpevole sete di possedere, il tradimento, la scaltrezza, l’artifizio… Non ci si accontenta più di chiedere alla terra le messi e gli alimenti necessari, si discende fino alle sue viscere e le ricchezze che essa ci teneva nascoste, vicino alle tenebre dello Stige, portate alla luce, daranno risveglio a tutti i mali… Raramente unione ci sarà tra fratelli, l’ospite teme il suo ospite, la suocera suo genero… La Vergine Astrea (soprannome di Dike Dea della Giustizia), infine, abbandonerà la Terra arrossata dal sangue, allorché tutti gli altri Dei già I ‘han lasciata ‘

Esiodo – Opere e Giorni

. Zeus, poi, pose un ‘altra stirpe di uomini mortali, dei quali, quelli che ora vivono… La stirpe ora è di ferro; né mai di giorno essi cesseranno da fatiche ed affanni, né mai di notte affranti; e aspre pene manderanno loro gli Dei. Però, anche per questi, ai mali si affiancheranno i beni. Ma Zeus distruggerà anche questa stirpe di uomini mortali, quando nasceranno avranno già bianche le tempie; allora né il padre sarà simile ai figli, né i figli al padre, né l’ospite all ‘ospite e nemmeno il fratello caro sarà come prima; ma ingiurie faranno ai genitori appena invecchiati né ai genitori di che nutrirsi daranno; . essi non avranno più timore delle ire del Cielo il diritto starà nella forza e coscienza non vi sarà; il cattivo ingannerà il buono facendogli false promesse . l’invidia agli uomini tutti, miseri, amara di lingua, felice del male, s ‘accompagnerà con volto impudente… Allora, lasciando la Terra per raggiungere I ‘Olimpo, nascondendo i loro bellissimi corpi sotto bianchi veli, le Dee Aidos (Vergogna – Dea del Pudore) e Nemesi (Sdegno – Dea dell ‘Ordine Naturale) si allontaneranno dagli uomini salendo verso gli Eterni. Tristi sofferenze resteranno .

Bhâgavata Purana (libro XII S I dal 24 al 44)

Durante il Kali Yuga, la quarta ed ultima parte dei piedi del Karma (Dovere) diminuisce sino a sparire completamente, lasciando il posto all ‘Ingiustizia. Durante tale periodo gli uomini sono cupidi, sregolati, insaziabili, impietosi, gratuitamente ostili; gli Shûdras occupano 1 ranghi chc non gli competono… Bontà, Passione, Oscurità: ecco le qualità che si manifestano nell ‘uomo nelle diverse ere; messe in movimento dal Tempo esse operano nell ‘anima. L’Oscurità è esclusivamente del periodo Kali; quando inganno, sonno, malafede, inerzia, preoccupazioni, tristezza c soffcrcnza regnano questa è Kali ed è esclusivamente tenebrosa… Gli uomini hanno l’ Intelligenza celata, di poche risorse, ingordi, cattivi ed indigenti; le donne sono libertine e cattive; i Libri Sacri sono travisati dagli eretici…

Frithjof Schuon – Le Stazioni della Saggezza

L ‘essenziale in un ‘età oscura come la nostra, in un ‘età dove le Forme dello Spirito sono minacciate, sia da un ‘ostilità preconcetta, sia dalla inconsapevolezza degli uomini, consiste nel collocare in una atmosfera sapienziale la Verità di cui I ‘uomo ha sempre vissuto e di cui dovrebbe continuare a vivere; se vi è una scienza esatta, contenente tutto ciò che E, essa risiede anzitutto nella consapevolezza delle realtà che soggiacciono ai simboli tradizionali ed anche alle Virtù fondamentali che sono lo splendore del Vero

René Guénon – Il Re del Mondo

Il Centro Spirituale Supremo Agartha, nascosto nei nostri tempi

Tutte le tradizioni alludono a qualcosa di nascosto o di perduto che viene rappresentato con simboli diversi; se preso in senso lato, cioè concernente l’umanità terrestre nel suo insieme, questo si riferisce appunto alle condizioni del Kali-Yuga. Il periodo attuale è dunque di oscuramento e di confusione; le sue condizioni sono tali che, finché persistono, la conoscenza iniziatica deve necessariamente rimanere nascosta, da qui i caratteri dei Misteri dell’antichità detta storica (la quale non risale neppure all ‘inizio di tale periodo) e delle organizzazioni segrete di tutti i popoli: organizzazioni che conferiscono una iniziazione effettiva là dove sussistono ancora dottrine tradizionali vere, ma non ne offrono che l’ombra quando lo spirito di tale dottrina ha cessato di vivificare i simboli, che ne sono soltanto la rappresentazione esteriore, e questo perché, per ragioni diverse, ogni legame con il Centro Spirituale del Mondo si è ormai spezzato. Tale è il significato più specifico della perdita della tradizione. Si dovrebbe, dunque, parlare di qualcosa di nascosto, piuttosto che di veramente perduto, perché non lo è per tutti e vi è ancora chi lo possiede integralmente, Se è veramente cosi, altri hanno sempre la possibilità di ritrovarlo, purché lo sappiano cercare come si conviene, qualora, cioè, la loro intenzione sia diretta in modo che, attraverso le vibrazioni armoniche che risveglia secondo la legge delle azioni e reazioni concordanti, essa possa mettersi in comunicazione effettiva con il Centro Supremo, Questo modo di dirigere I ‘intenzione ha la sua rappresentazione simbolica in tutte le forme tradizionali; intendiamo parlare dell’orientamento rituale: essa è di fatto propriamente dirigersi verso un Centro spirituale che è sempre un ‘immagine del Vero Centro del Mondo.

Tuttavia, man mano che si procede nel Kali-Yuga, l’unione con questo centro, sempre più chiuso e nascosto, diviene più difficile e più rari divengono i centri secondari che lo rappresentano esteriormente; sicché, quando questo periodo finirà, la Tradizione dovrà essere di nuovo manifestata nella sua integrità poiché l’inizio di ogni Manvantara, coincidendo con la fine del precedente, implica necessariamente per l’Umanità terrestre, il ritorno allo Stato Primordiale.

Mi ricollego alle domande iniziali: quanti e quali sono i significati per noi Massoni del forgiare il nostro spirito all ‘interno del Tempio? Il duro lavoro collettivo teso al bene dell’Umanità quanto è collegato, se non implicito, nella ricerca del Sé, della Luce ? (motore immobile?).

E se il fine ultimo di noi Massoni, alla fine del sesto millennio di Vera Luce, fosse veramente quello di costruire un ponte con il Divino? Fare continuare la Tradizione, non dimenticare i simboli, ricordarsi dell’enorme valore spirituale che la Massoneria può dare all’uomo: questi potrebbero essere i nostri presupposti e le nostre finalità; ognuno di noi, nel Tempio, riesce a dare; sotto gli auspici del Grande Architetto dell’Universo, nell’aspetto trascendente ed esoterico della nostra organizzazione iniziatica potremo trovare ciò che si è nascosto in questa fase della storia; potremo provare, insieme, a cercare risposte non frammentate e specifico-settoriali come nel razionalismo, né unilaterali e dogmatiche come nella religione. Come Superbia, Accidia, Orgoglio uccidono l ‘uomo, così l’esoterismo può farlo rinascere a nuova vita (F. Schuon).

In ultimo, le parole  di Joseph de Maistre (XI Conversazioni nel Soirée de Saint Petersbourg): ‘Bisogna tenerci pronti per un avvenimento immenso nell ‘ordine divino, verso il quale procediamo ad una velocità accelerata che deve colpire tutti gli osservatori. Temibili oracoli annunciano che i tempi sono giunti .

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi, non voglio essere considerato un catastrofico o un suggestionabile, ma sentivo di dovere riportarcr alcune cose lette negli anni che, a mio parere, possono fare riflettere.

S. Frrnt,  

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