LA MORTE INIZIATICA

La morte iniziatica

Maestro Venerabile, carissimi Fratelli,

Il segno distintivo delle associazioni iniziatiche è la comprensione del significato dell ‘Iniziazione.

Nell’atto di varcare la soglia del Tempio il profano subisce volontariamente una mistica morte, nel senso che accetta di far morire dentro di sé tutto ciò che ha appreso nella vita profana: il suo modo di organizzarsi la vita, le amicizie, le abitudini, gli atteggiamenti, il modo di comportarsi, la scelta dei valori, le priorità delle scelte, la collocazione del proprio io rispetto al resto dell ‘umanità. Egli accetta volontariamente di morire a tutto ciò: il che lo pone in una situazione di grande responsabilità verso l’istituzione nella quale sta per entrare. Da quel momento il riüno della sua vita sarà prevalentemente scandito dai programmi, dalle scelte dei lavori della sua Loggia e della Comunione Massonica in genere.

La sua cultura sarà quella che, attraverso gli strumenti dell’ Arte Reale, egli apprenderà nel suo piccolo mondo, che è lo spazio sacro della sua Offcina.

Si muore dunque a ciò che fummo per rinascere ad una nuova vita, in maniera coscientc c razionale.

Il significato dell’iniziazione deve essere sempre presente in noi, ogni nostra azione, ogni nostra decisione, ogni nostro comportarnento deve essere condizionato da ciò che abbiamo promesso e giurato solennemente quando bussammo alla porta del Tempio e fummo fratemarnente accolti. Questo processo di trasformazione, graduale e progressivo, ci allontana sempre più dalle tenebre del mondo profano,

L’ Iniziato deve mantenersi al di sopra delle beghe profane, affaristiche, politiche, di potere, in quanto la sua finalità è – e sarà sempre – l’elevazione dell ‘uomo e della sua spiritualità.

Il suo impegno di scrictà rcndcrà sacro il Tempio ed il desiderio di rinnegarc il futile, profano, ik provvisorio, gli permetterà di dedicarsi totalmente al perfezionamento interiore e contribuire alla elevazione universale dell’umanità e dei suoi valori più nobili.

Per quale scopo, ancora oggi, ci riuniamo nei nostri Templi se non per scavare profonde ed oscure prigioni al vizio ed elevare Templi alla virtù?

Ci rechiamo perciò in Loggia per temprare il nostro carattere, accumulare energia e slancio, per poter assecondare quella meravigliosa ambizione che l’lniziazione ci ha infuso. Non bisogna mai dimenticare le prime minacciose frasi che abbiamo visto scrittc nel Gabinetto delle Riflcssioni:

“Se la curiosità ti ha condotto qui, vattene

“Se la tua anima ha provato spavento, non andare più oltre

“Se persevererai sarai purificato dagli Elementi, uscirai dall ‘abisso delle tenebre, vedrai la Luce

E in questa prigione che comincia la morte del profano che deve rispondere, per iscritto, alle domande che gli sono poste e redigere il suo testamento.

La parola Morte deve essere presa nel suo senso più generale, per cui si può dire che qualsiasi cambiamento sia, in pari tempo, una morte cd una nascita, secondo che la si consideri da un lato, oppure dall’altro: morte in rapporto allo stato antccedente, nascita in rapporto allo stato conseguente.

L’ Iniziazione è quindi una seconda nascita, ma questa seconda nascita implica necessariamente la morte al mondo profano ed in qualche modo la segue immediatamente, poiché non si tratta, in verità, che delle due facce di uno stesso cambiamento di stato.

Questa morte non è altro che una metamorfosi, un vero processo per cui il profano abbandona progressivamente il suo essere e lo trasforma totalmcntc.

L’ Iniziazione è solo virtuale, ma non basta: bisogna esercitare un dirozzamento intellettuale e moralc che ha lo scopo di liberare lo spirito da tutto ciò che impedisce alla Luce di giungere fino a lui. Solo cosi I ‘Iniziazione può considerarsi effettiva.

Non accontentiamoci dunque di riconoscerc semplicemente la verità, ma agimo in conformità della ragione che ci permette di attirare la luce verso di noi ed assorbirla totalmente.

Ma l’intelletto necessita di essere preparato pcr ricevere la Luce: una luce improvvisa acceca e non illumina. Ecco quindi la necessità di lunghi silenzi imposti, in cui le idee maturano con la meditazione silenziosa, che non è altro che una conversazione con noi stessi.

Superiamo con tenacia tutte le prove, molto spesso estenuanti e tentatrici, per dimostrare di essere veramente morti rispetto a tutto ciò che il mondo profano aveva un tempo significato per noi e finalmente rinascere a nuova vita.

Il senso autentico della scansione della nostra vita di comunione iniziatica, secondo i ritmi solari, altro non è che il simbolo dell’alternarsi di lucc e tenebre, di vita e di morte.

L’uomo che si lascia assorbire dalle molteplici spirali della vita profana si perderà sicuramente e spesso irreversibilmente, perciò chiunque abbia la volontà ben ferma di seguire una vita iniziatica, non soltanto non deve mai cercarc di acquisire i ben noti metalli, ma, se si presentano, evitarli spietatamente come ostacoli capaci di sviarlo dallo scopo unico cui tende.

Il segreto per unirci indissolubilmente consiste nell’impiegare un particolare ccmcnto composto dalla Stima, dall ‘affettuosa Amicizia e dall ‘Amore Fraterno, che devono essere la base delle nostre reciproche relazioni, dentro e fuori la Loggia.

Ci venne chiesto se volevamo diventare Libero Muratore di nostra propria e spontanea volontà, oppure se influenzati da qualcuno con forte asccndcntc su di noi, o perché spinti da qualchc poco nobile motivo.

Rispondemmo che la decisione da noi presa cra frutto di matura riflessione e che eravamo mossi da spontaneo e sincero desiderio di miglioramento interiore e dalla volontà di renderci utili al prossimo.

Chi non ricorda il giorno della propria Iniziazione? Chi non ricorda il primo momento di quasi terrore quando fummo fatti entrare nel Gabinetto delle Riflessioni?

Siamo stati poi condotti nel Tempio dove si udivano strani rumori di oggetti metallici (amici o nemici?), strani odori, strane ombre che si muovevano. Abbiamo bevuto non ben identificabili liquidi e nella nostra mente tutto era irreale.

Solo quando ci è stata tolta la benda, il Tempio ci è apparso con tutta la sua prorompente bellezza: le ombre si sono tramutate in volti sorridenti, il simbolismo regnava sovrano, il nostro desiderio si era trasformato in realtà.

Ma siamo veramente degli Iniziati?

Una sola cosa è certa: sono maledettamente in crisi!

G. Lgn,

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ORTODOSSIA MASSONICA

ORTODOSSIA MASSONICA

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

per quanto il termine ortodossia sembri estraneo alla Massoneria per essere servito soprattutto ad indicare posizioni dogmatiche della Chiesa romana o di coloro che, con lo scisma di Fozio, si separarono da essa nell’827, e sebbene il solo accennarvi possa costituire motivo di scandalo per coloro che amano professarsi seguaci del libero pensiero, non si può che convenire che il suo uso, sul piano massonico, risulti corretto se non essenziale. Poiché l’etimologia del termine indica che l’opinione (doxa) intomo ad una dottrina deve essere retta (hortè), ossia corrispondente a quelle che ne sono le caratteristiche intrinseche, nessuna obiezione appare valida quando esso venga adoperato per indicare, non tanto l’esigenza di una unicità interpretativa, quanto la rispondenza delle interpretazioni al significato di principi qualificati dal Rituale come immutabili e perfetti.

È del resto in questo senso che il termine è stato adoperato da Ragon e da Guénon, ambedue contrari a qualsiasi dogmatismo, ma altrettanto convinti della necessità di preservare il messaggio della Libera Muratoria da frammistioni estranee al suo rappresentare l’espressione di una Società Iniziatica, avente lo scopo di trasmettere la Tradizione in Occidente.

Sotto questo profilo si può allora dire, con Guénon, che l’ortodossia massonica “consiste prima di tutto nel seguire fedelmente la Tradizione, nel conservare con cura i Simboli e le forme Rituali che esprimono la Tradizione stessa e ne sono come I ‘abito, nel respingere qualsiasi innovazione sospetta di modernismo ” e definire quest’ultimo come “l ‘abuso della critica, il rifiuto del Simbolismo, la negazione di tutto ciò che costituisce la Scienza esoterica e tradizionale “. In una parola, come ancora nota Guénon, nell’assumere una posizione che non faccia “mai dimenticare il carattere iniziatico della Massoneria, che non è e non può essere, né un club politico, né un ‘associazione di mutuo soccorso

Ma se l’ortodossia massonica ha il suo fondamento nel riconoscere nella Massoneria una Società Iniziatica perfetta, anzi secondo Guénon, l’unica nel mondo occidentale in possesso di “una filiazione tradizionale autentica condizione al di fuori della quale non si potrebbe che parlare di pseudo iniziazione essa non può che significare il confronto continuo tra ciò che è stato trasmesso ed il modo in cui viene ricevuto, sia che ciò riguardi l’essenzialità del simbolismo, il significato della Tolleranza o la validità del Grande Architetto dell’Universo.

Tre punti particolarmente significativi in un’epoca nella quale troppi Fratelli vivono nella “ignoranza completa del Simbolismo e della sua interpretazione esoterica ed “abbandonano gli studi iniziatici senza i quali il ritualismo non è più che un insieme di cerimonie vuote di senso, come nelle religioni exteriche Ridotti a semplici ornamenti i Simboli perdono interamente la loro efficacia, mentre il Rituale diventa una recitazionc monotona di cui si tende a liberarsi il prima possibile, tanto che non manca chi sollecita riunioni informali nelle quali si discutano argomenti sociali o politici.

Tutto ciò è certamente superato quando, in una valutazione ortodossa del Simbolismo, si ripeta che esso è “una forma sensibile di sintesi filosofica di ordine trascendentale od astratto ” che non può “dare luogo ad alcun insegnamento dogmatico “, perché le sue forme “sono, come si è detto giustamente, dei Misteri che sfüggono alla curiosità profana, cioè delle verità che lo spirito non può cogliere che dopo essercisi giudiziosamente preparato “, ma lo è soltanto allorché si agisca in modo che forme di origine profana non si frammischino o divengano dominanti su quelle iniziatiche.

Così l’ortodossia massonica, sc richiede una rigorosa e libera rispondenza al significato iniziatico dei Simboli, postula l’abbandono, non di approfondimenti rituali che si fondino sulla Tradizione, ma di atteggiarnenti e posizioni che da Essa si distacchino, e respinge reinterpretazioni che costituiscano il portato di eventi storici contingenti rispetto alla sua immutabilità.

Più controversa, e perciò implicante di continua verifica, è l’esatta delimitazione del significato della Tolleranza, Virtù iniziatica che “niente ha in comune – secondo Guénon – con quella sorta di indifferenza alla verità ed all ‘errore che si indica comunemente con lo stesso nome ” e che “evoca piuttosto l’idea del sopportare con una sorta di condiscendenza delle opinioni che non si accettano “, e che neppure consiste nel cercare di comprendere i motivi di una qualsiasi azione.

Uscita da contingenze profane, complicatesi nel XVIII secolo per risonanze di opposte concezioni religiose e politiche, che la saggezza degli Iniziati del tempo volle escluse dal lavoro di Loggia, la Tolleranza supera, sul piano dell’ortodossia massonica, il fair play della vita civile, proprio per gli aspetti negativi che ne possono derivare, e si ricollega alla maniera stessa secondo la quale la Manifestazione Prima si è andata realizzando. In altre parole esprime il principio di “ammettere come ugualmente valide tutte le espressioni differenti della Verità una, cioè di riconoscere I ‘Unità fondamentale di tutte le tradizioni” e con esso il dovere di opporsi a tutte quelle posizioni che ostacolino o compromettano il processo reintegrativo dell’individuo e dell’umanità.

Questa impostazione che riapre, sia pure per un momento, la problematica dell’escatologia come dottrina delle cose ultime, chiarisce anche perché il Grande Architetto dell’Universo, simbolo massonico fondamentale, non possa essere inteso rettamente al di fuori di quanto indica il primo Landmark, I ‘essenziale e più nevralgico, di tutti i Landmarks in quanto, come rileva Baylot, “riguarda la presenza del principio spirituale al centro stesso della pratica massonica”. Di qui la validità della norma che sia “formalmente proibito di avere, su Dio e su quei problemi metafisici connessi, il più piccolo dibattito e, quindi, di domandare ai nuovi venuti un commento sulla loro credenza ” in quanto “essi la esprimono senz ‘altro e dicono di credere senza professione di fede

Nella sua generalità ed in ciascuno dei punti considerati, l’ortodossia massonica, quindi, null ‘altro esprime che l’esigenza di un intimo accordo e di una continua verifica fra l’azione della Massoneria quale Ordine Iniziatico ed i principi immutabili e perfetti che Io regolano e trovano il loro punto di partenza nell’iniziazione quale atto avente ‘per scopo di illuminare gli uomini perché apprendano a lavorare umilmente – come ripete Wirth – in piena conformità con le finalità della loro esistenza” fino a raggiungere, anche se ignari di quanto ciascuno si sia avvicinato, “la Conoscenza integrale e la gnosi perfetta

Come tale l’ortodossia massonica costituisce la regola della Libera Muratoria che, se lascia libero ognuno di scegliere la via per la realizzazione della Grande Opera, impone a coloro che ne fanno parte l’accettazione e l’approfondimento dei principi che

la costituiscono.

G. Bitt,


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MISTICI E INIZIATI

Mistici e Iniziati

Fratelli carissimi,

In questa tavola ho preso spunto da alcune riflessioni sul misticismo. Poi ho finito per divagare, come spesso capita. La tavola esprime convinzioni del tutto personali e, quindi, rischia di suonare presuntuosa. Spero che non vi faccia questo effetto.

L’idea era di soffermarmi su un problema quasi lessicale: cosa vuol dire mistico? È ben noto che nel mondo profano questo termine viene spesso usato come sinonimo di iniziato. Sappiamo che questa identificazione è sbagliata, come lucidamente indicò René Guénon. Tuttavia mi sembra che, se la definizione è sbagliata, anche la distinzione non sia poi così semplice o, per lo meno, non sia sempre di facile applicazione. La grande sufi Rabi ‘a era una iniziata che viveva come asceta e parlava come un mistico. E Meister Eckart era un mistico che parlava come un iniziato e, per questo, fu condannato dalla Chiesa. Lasciò detto “l ‘uomo giusto non serve né Dio, né le creature, perché è libero’ non è questo un linguaggio da iniziato?

Facevo queste riflessioni leggendo un libro che considero straordinario, La nube della non conoscenza dovuto ad un anonimo inglese del 1300 e annoverato tra i testi più importanti del misticismo medievale. E un manuale di preghiera nel quale le tecniche e il gergo sono di tipo yoghico e iniziatico. L’immagine che ricorre è quella della luce. Raggiungere la luce significa conoscere la ragione di tutte le realtà, materiali e spirituali, senza considerare in particolare ogni singola cosa in sé stessa. Incidentalmente, mi viene sempre da chiedermi se un simile traguardo non è in realtà un castigo, ma questo è un altro discorso.

Chi è un mistico, allora? Un mistico (condivido qui il parere dell ‘anonimo inglese) è sempre un contemplativo, e la sua pratica fondarnentale è una preghiera, per molti versi, indistinguibile da una meditazione; inoltre, è un uomo che normalmente fa vita ascetica. Questa ultima condizione non è necessaria, in teoria strettamente parlando; penso però che lo sia in pratica. Provate ad immaginare il mistico che al mattino viene svegliato dal suo cameriere. “il suo cappuccino, signore; è I ‘ora della preghiera; ecco il cilicio, appena stirato ‘

Una breve digressione. A volte penso che la nostra condizione è quella di una radio che deve captare debolissimi segnali extra stellari. La prima condizione è quella di eliminare i disturbi. Uscendo di metafora, questo è un lavoro che si svolge essenzialmente a livello mentale. E proprio di tutti coloro che praticano un qualche tipo di ricerca interiore. Hanno questo significato la preghiera, come la meditazione, come i riti, come il dhikr (ovvero la ripetizione costante del nome di Dio). Forse anche la creazione artistica. Sentiamo ancora Meister Eckart: “finché permane qualche mutevolezza, sia essa dissimulazione, collera, tristezza, essa ricopre l’intelletto, che allora non può intendere la Parola Ricordiamo per confronto il primo aforisma di Patafijali: “Yoga è I ‘arresto delle modificazioni della mente

Come quella iniziatica, la vita mistica è per pochi, e il suo fascino è quello della porta stretta. La differenza è nell’approccio verso il trascendente. Per il mistico, fondamentale è il requisito della Grazia, che è dono divino. Forse per questo si dice che la via del mistico è una via passiva. Dio è buono con lui, ed egli Lo ama. Al contrario, l’atteggiamento dell’iniziato è del tipo: io so some si fa. Il discorso del mistico è: “Signore, scegli me; sia io a captare, cioè a udire Non è casuale che nell ‘Induismo gli antichi profeti, i padri del Veda, erano coloro che avevano udito la rivelazione. Che poi quella del mistico sia una via passiva, è tutto da discutere, e, secondo me, è un ‘idea dettata dalla nostra presunzione di iniziati. Il mistico combatte ogni giorno una guerra sanguinosissima e mi sembra più simile a guerriero che a sacerdote. Da ognuno dei mistici che ho citato, dalla loro vita come dalle parole che ci hanno tramandato, l’idea che ricavo è quella di un vigore terrificante, al cospetto del quale non so se piangere o ridere delle mie deboli forze.

Penso all’anonimo inglese ed alla citazione che ho fatto poc’anzi. Se ciò che egli perseguc è la Lucc, cgli non ccrca solo la salvezza, ma molto di più, c la sua è una via secca. Egli cerca di trascendere il suo stato per approdare, anzi, riapprodare allo stato edenico perduto. Ciò presume che nell ‘Uomo sia presente una scintilla di natura divina. La fede in questa presenza è comune, non dirò al mistico ed all’iniziato, ma almeno a molti mistici ed a molti iniziati. E una posizione sospetta agli occhi delle ortodossie religiose: non per niente i mistici sono quasi sempre in odore di eresia.

Ma ci sono altre vie. ln particolare, una è quella della teurgia sulla quale mi sono intrattenuto un anno o due fa, una via alla quale è molto vicina la magia naturale di Marsilio Ficino. Cerco di capire la natura, che è la rappresentazione del macrocosmo, e chc è l’unica cosa che posso studiare. Cerco di capire le leggi della simpatia che connettono il nostro mondo sensibile a quello delle potenze angeliche. Questo è il punto di vista dei cosiddetti maghi rinascimentali, cd è anche ciò che spiega la vocazione scientifica che traspare dai documenti dei Rosacroce. Ancora una porta stretta.

E c’è un altro connotato della via mistica , come dicevo, il più misterioso, quello dell’amore. Amore perché? dovremmo chiederci. Si può praticare, ma non si può teorizzare. Non vi è a priori nessuna ragione per amare chicchessia. Dio in particolare. Eppure l’amore c’è, assurdamente, cd è importante, “Colui che comprende è meno di colui che ama diceva Confucio.

Qui vorrei aprire una parentesi. L’amore dei mistici è essenzialmente amore di Dio. Si potrebbe obiettare che amare Dio è facile; difficile è amare gli altri uomini, soprattutto quelli che detestiamo. Il limite è quello del Bodhisattva Amithaba, il quale per amore dell’umanità rinunciò alla Realizzazione. Amare era più importante che comprendere, anche per lui, comc per Confucio; ma vorrei che qualcuno un giorno fosse capace di spiegarmi tutto questo.

L’amore, comunque, è inesplicabile e misterioso: è charis, cioè grazia, cioè dono di Dio. Personalmente, credo che tutto il resto valga solo come supporto di meditazione e che la meditazione sia il nostro strumento più importante. Ma a questo punto non posso che chiedermi: a che cosa approderà la mia meditazione? Se conoscessi i limiti del dominio spirituale e dello psichico, sarei illuminato io stesso. Non dimentichiamo la estrema limitatezza dei nostri meccanismi conoscitivi. Percepiamo oscuramente di essere circondati da una realtà complessa. Questa realtà dividiamo in categorie o domini ai quali diamo dei nomi: psichico, animico, spirituale. Avremmo potuto crearne di più. Non comprendiamo questa realtà più di quanto comprendiamo cosa è la quarta dimensione e il numero immaginario. Anche a questi abbiamo dato un nome, e il nome ha esorcizzato la cosa, nella segreta speranza di trasformare una ricerca impossibile in un esercizio di semantica, e risolverlo.

Col che sono arrivato al problema per noi fondamentale, quello dell’iniziazione: che cosa ci da l’iniziazione, oltre che supporti di meditazionc; quale sia la sua natura; a quale livello si collochi; se operi a livello oggettivo e sopraindividuale, ovvero soggettivo e mentale. Personalmente, penso che l’iniziazione operi a livello sopraindividuale, il che è come dire, credo che i nostri rituali abbiano un valore teurgico, ovvero trascendente. Tuttavia non sono in grado di rispondere a quelle domande con i miei mezzi. Ritengo che il lavoro iniziatico possa produrre certi risultati a livello di conoscenza; al di là non so andare. Rischierei di trovarmi nella situazione del selvaggio che vede scoccare il fulmine e lo considera un miracolo. Il ruolo dell ‘Iniziazione potrebbe situarsi a livello mentale, come quando uno vede meglio perché si è pulito gli occhiali; oppure a livello della magia naturale di Marsilio Ficino: I ‘Iniziato reale accede ad un mondo ancora naturale e condizionato, ma superiore. Diciamo, quello degli Dei. Oppure 11 discorso può completarlo ognuno di noi. Un ‘unica cosa non credo, ed è che qualcosa possa passare dallo stato condizionato all’incondizionato.

Bravo Lino, mi dico a questo punto. Bella frase, densa di pensiero. Ma ha senso?

Corporeo, animico, spirituale, condizionato, incondizionato, dio e il demiurgo… Mi chiedo se, come mi insegnava un Fratello, tutta questa sistematica non sia figlia della nostra ansia di schematizzazione. Se non siamo noi che creiamo una realtà conveniente per i nostri archetipi mentali; trasformiamo la scienza dell ‘Essere in un linguaggio che noi stessi creiamo così da poter trasformare quella scienza in una più accessibile scienza semantica. Forse la nostra ansia di conoscenza ci fa inseguire una Verità (con la V maiuscola) che non esiste. Forse l’unica scienza c l’unica verità sono l’amore, la sensazione, il silenzio, la consapevolezza hic et nunc, momento per momento: quando mangi, mangia e quando cammini, cammina, dice la saggezza yoghica. Una specie di misticismo senza dio.

Chiudo augurando a voi tutti molta speranza.

                 R, Scch,

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IL GREMBIULE

Il grembiule

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

il grembiule è la tangibile insegna del Lavoro e della operosità e simboleggia, quindi la missione, il compito, il dovere che ogni Massone è chiamato a svolgere.

Non si può e non si deve stare nei nostri Templi senza cingere il grembiule, e questo non per un vuoto formalismo, ma per una necessità interiore. Indossiamo fieramente i nostri grembiuli per veramente sentire e ricordare sempre che in Massoneria ognuno ha un compito e che questo compito viene accettato ed assolto; per dimostrare che siamo presenti e attivi, operosi c necessari, non assenti, passivi, oziosi ed inutili; per affermare che in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo dobbiamo lavorare nell ‘interesse del nostro comune ideale.

Tutta la nostra terminologia, cominciando dall ‘espressione partecipare ai Lavori per finire alla parola Officina, presuppone un’operosità che trova nel grembiule il simbolo più evidente.

Naturalmente, il lavoro che questo ornamento ha il compito di ricordarci costantemente, non può essere limitato al concetto che se ne aveva nelle confraternite dei Muratori medievali.

La Massoneria ha del lavoro una concezione ben più alta e più piena, che supera le comuni definizioni e proprio per questo potrcmmo affermare, con le parole del Fratello Fichte, che il lavoro massonico dovrà essere “insegnare e non solo operare “, che dovrà essere “produrre e non solo ricevere ” dovrà essere “creare e non solo imitare

Scopo della nostra Istituzione è quello di formare l’uomo e di formarlo in funzione ed in relazione agli altri uomini. La Massoneria si prefigge di adattare l’uomo alla società e quindi di adattare la società all’uomo. Edificare il Tempio interiore vuol dire cercare di conoscere se stessi il più possibile.

L’ Età dell’oro, la Repubblica di Platone, il Paradiso terrestre sono delle semplici aspirazioni dell ‘umanità. La Massoneria è nata per cercare di avvicinarsi il più possibile a questi ideali, per fornire un metodo di vita il più possibile aderente a questi modelli e, in una parola e più semplicemente, per rendere possibile la convivenza degli uomini fra loro.

La nostra Istituzione è principalmente una scuola dove si studia una sola materia: l’uomo. La religione, la filosofia la politica sono alcuni dei mezzi escogitati dall ‘uomo per aiutare se stesso a comprendere o, almeno, a sopportare i suoi simili. La Massoneria è il compendio, la sintesi, la ragione di tutti questi mezzi.

Infatti i concetti di stato, di religione, di fede politica, riescono a collegare una parte di individui, ma, nel tempo stesso, creano nuove divisioni e nuovi motivi di disaccordo. La nostra Istituzione, pur partendo dall’evidente presupposto che esistono cristiani e maomettani, europei e asiatici, bianchi e neri, cerca di superare queste differenze per creare una piattaforma comune a tutta l’umanità; prende quindi Ic mosse laddove le altre ideologie, gli altri dispositivi per l’aggregazione degli uomini si arrestano, tende a superare queste divergenze c ad appianare gli ostacoli che si frappongono ad una pacifica e fraterna convivenza.

Questo è il fine della Massoneria ed è quindi evidente che il lavoro muratorio sarà rivolto alla ricerca del mezzo o dei mezzi più idonei per raggiungere questo fine.

Il grembiule serve, perciò, a ricordarci costantemente questo compito che, con le parole del Fratello Lessing, può essere espresso in quella che ci pare una completa definizione del lavoro massonico: “rendere inutili la maggior parte di quelle che comunemente si chiamano buone azioni

G. Bltt,

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RELIGIOSITA’ ED ALIMENTAZIONE

Religiosità ed alimentazione

(parte I A – Ebraismo e Cattolicesimo)

Tra quelli che si usa definire i bisogni primari dell’uomo, l’alimentazione è certamente al primo posto.

Se non si mangia si muore!

Ma sc l’alimentazione effettivamente risponde ad un’esigenza fisiologica basilare, a ben vedere, trascende questa caratteristica per imporsi, anche e soprattutto, come fenomeno sociale e culturale.

Le abitudini gastronomiche, i tabù verso certi alimenti, i rituali spesso complicati che accompagnano le consumazioni del cibo, espressi da gruppi ben definiti di persone, non hanno nulla a che fare con le esigenze organiche di sopravvivenza, ma sono assurte ad elementi caratterizzanti di ben definite differenti società.

Il modello dietetico di ciascun popolo è dettato dall’appartenenza di questo popolo ad una determinata arca geografica, ma ancor più ad una precisa arca culturale.

Ad esempio, l’ordine dei piatti nei nostri pasti, con una partenza da cibi salati ed un finale riservato al gusto dolce, frutta o pasticceria, non è altro che la rappresentazione gustativa e reiterata di una storia a lieto fine.

Così, sempre trascurando il fattore fisiologico del nutrirsi, la cena con gli amici, la colazione d’affari o il pranzo commemorativo, sono momenti aggregativi di persone o di gruppi socialmente uniti da interessi comuni.

Nelle comunità del Nord America, come nei kibbutz israeliani o nelle mense aziendali (per citare casi disparati c molto lontani fra loro) il pasto viene consumato in comune.

Quando un elemento della comunità comincia ad isolarsi ed a consumare i pasti da solo, vuol dire che la sua vita comunitaria sta finendo, si sta allontanando dalla sfera degli interessi del gruppo ed è quindi ormai pronto ad andarsene.

Uno dei fattori che maggiormente ha contribuito a differenziare culturalmente e spiritualmente i popoli, attraverso un rigido dettato alimentare, è stata certamente la religione.

Quale più, quale meno, ogni tipo di religione ha cercato di aggregare attorno a sé i propri adepti, differenziandoli dai seguaci delle altre religioni, oltre che attraverso teorie e pratiche spirituali e dottrine teologiche originali, anche attraverso rigide regole dietetiche e tabù alimentari, più facilmente comprensibili da parte di masse non sufficientemente istruite per assimilare difficili concetti filosofico-teologici.

Per averne una conferma cerchiamo di scoprire la connessione dottrina-alimentazione, nei modi in cui si estrinseca nelle più diffuse religioni del mondo.

L’antico concetto biblico di differenziazione e separazione degli ebrei da qualsiasi altra società si poggia interamente su due pilastri, rappresentati dalla santità e dalla purezza.

L’ordine naturale, cosi come è configurato nella Bibbia, è composto da tre elementi e ad ognuno di essi si adatta ogni forma di animale: nel ciclo volano gli uccelli, che hanno due zampe e le ali; sulla terra corrono e saltano gli animali, che hanno quattro zampe; nel mare nuotano i pesci, caratterizzati dalle squame e dalle pinne.

Questi animali sono santi e puri, quindi possono essere mangiati con la massima tranquillità, sia per il corpo che pcr l’anima.

Ma vi sono animali che sono estranei a questo ordine: l’anguilla, ad esempio, sta nell ‘acqua, ma non ha le pinne, così come non hanno squame e pinne i crostacei.

Serpenti, lombrichi e tutti gli animali che strisciano e vivono sulla terra, ma sono sprovvisti delle quattro zampe prescritte dall ‘ordine biblico.

Ogni tipo di animale, che non è equipaggiato per il giusto tipo di movimento assegnatogli per l’ambiente in cui vive, non è santo e puro ed il mangiarlo porta anche I ‘uomo a perdere la sua santità e purezza.

Chi magia questi animali fuori posto è come una bestia a quattro zampe che voli.

Ecco, quindi, che l’alimentazione, così strettamente regolamentata, diviene per gli ebrei un preciso fattore di unione, che li rende uguali fra loro e differenti da ogni agglomerato sociale. Col passare del tempo e con l’evolversi dei modi di vita, queste regole alimentari si sono adattate alle nuove condizioni, addolcendosi e perdendo per via alcune delle indicazioni più drastiche.

Assistiamo, quindi, al formarsi di due nuove aggregazioni all’interno dello stesso gruppo: gli ortodossi, uniti nella stretta osservanza e nella rigida applicazione delle antiche regole, ed i progressisti che, pur percependo parte dei dettami che li differenziano dagli altri gruppi religiosi, si trovano meglio inseriti in un ordine nuovo, più adatto agli stili di vita attuali.

Quanto il cibo è importante, regolamentato e discusso nel Vecchio Testamento, tanto è di scarso interesse e di poca rilevanza nel Nuovo Testamento.

A dire il vero, nei primi anni del Cristianesimo, si ebbero infinite discussioni sulle possibili regole alimentari da far seguire ai credenti, ma le continue ed insanabili controversie fra il ramo giudaizzante della Chiesa, più vicino al Vecchio Testamento, e quello ellenizzante, più pragmatico e innovatore, misero i teologi in una situazione di stallo che si risolse solo con il concilio di Gerusalemme, che si limita a mettere un tabù alimentare solo sulla carne delle bestie strangolata e di quelle impiegate per fare sacrifici.

Un nulla di fatto, quindi.

D’altro conto il concetto di impurità di alcuni animali, rispetto ad altri, propugnato dalla legge ebraica, non poteva essere recepito nel credo cristiano per il quale, essendo tutti gli esseri viventi frutto della creazione divina, non poteva esistere in natura nulla di imperfetto.

Fu l’apostolo Paolo a sancire definitivamente questo concetto, sostenendo che nulla è impuro per proprio conto.

L’usanza, più che la regola, di non mangiare come il venerdì è piuttosto recente ed è stata poi abbandonata; in essa vi si poteva vedere il ricordo simbolizzato dei lunghi digiuni di un lontano passato.

Il Cristianesimo non ha stabilito, dunque, regole di comportamento nei confronti dell’alimentazione, ma ha anch’csso impiegato l’ideologia del cibo per rendere accessibile a tutti la comprensione del proprio dettato.

Momenti di grande religiosità si trovano nell’Ultima Cena, preludio alle grandi sofferenze che il Cristo sta per affrontare per la redenzione degli uomini, ma l’apice della simbolizzazione cristiana avviene là dove i più semplici ed universalmente noti elementi della tavola – il pane ed il vino -, nel rito dell’Eucarcstia, divengono divinità che può essere assunta da ogni credente

C. A.

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ELOGIO ALL’AMORE

Elogio dell’amore

La più perfetta esperienza che ci fa definitivamente vivere l’unità totale con I ‘altro non è la devozione, è un ‘esperienza più intima e insieme più irresistibile: l’amore.

L’amicizia e la benevolenza riescono a eliminare dall ‘animo umano quella diffidenza sistematica di cui l’individuo suol farsi una corazza, quasi a difesa della propria intimità.

La devozione, poi, ci fa compiere un altro passo innanzi: ci fa scoprire che I ‘unità spirituale con il maestro non costituisce, per il discepolo, un uscir fuori di sé.

L’esperienza dell’amore compie questo ciclo mostrandoci che è possibile realizzare un’unità di vita, completa e perfetta, con l’altro di sé senza che ciò abbia minimamente a ferire l’intimità dell’individuo che si dà all ‘altro.

Affinché venga realizzata l’unità completa di due individui è necessario che si stabilisca fra essi una confidenza totale; e questo esige due condizioni:

l) una profonda simpatia dell’uno verso l’altro, simpatia per lui, nel suo essere concreto, non comunque idealizzato; per lui, con i suoi slanci, le sue capacità, le sue debolezze, i suoi dubbi, le sue paure, le sue piccole ingenuità.

2) un ‘assoluta sincerità, costante, senza eccezioni; sincerità che li porti a

comunicarsi l’un l’altro ogni loro esperienza, ogni sentimento, ogni desiderio, ogni pensiero.

Perché questa comunicazione totale, senza segreti, non ferisce l’intimità dell ‘individuo che ama? Perché la comunicazione con l’amante non è la comunicazione con un individuo qualsiasi; la fiducia più completa dell ‘uno nell’altro li garantisce che, quanto essi si rivelano a vicenda, resterà un segreto per gli estranei.

Essi ne parleranno soltanto fra loro; ne discuteranno come l’individuo suol discutere fra sé e sé intorno a ciò che gli sta più a cuore, ma con il vantaggio di circondare questo loro discorso con un velo di tenerezza, di affettuosa indulgenza che l’individuo non può trovare in sé.

L’intimità non è ferita, perché l’amato non è più un altro per l’amante; è lui stesso in quanto vive le medesime gioie, i medesimi desideri, i medesimi dolori, ma è più di lui in quanto è sempre qualcosa di nuovo per lui; è un essere che si è aperto completamente per lui e che tuttavia, come un essere vivo e concreto, riserva sempre al suo sguardo appassionato qualcosa di non ancora visto, di non ancora approfondito a sufficienza.

È chiaro che noi parliamo qui dell’amore ricambiato. L’altro, quello non corrisposto, si riduce ad un’aspirazione, ad un desiderio; è qualcosa di incompleto, è un ‘ esperienza mancata.

Forse, da un punto di vista psicologico, può risultare più interessante; per questo i poeti si soffermano preferibilmente su di esso. Però, dal punto di vista filosofico, l’esperienza davvero essenziale è l’amore ricambiato, è quella serie illuminata di atti amorosi, per cui due individui riescono a vivere una sola vita, sentire e vibrare all ‘unisono, creare un ‘unità più alta che li supera senza distruggerli.

Non è nemmeno il caso di ricordare, tanto risulta evidente, che l’essere anonimo, l ‘automa, il non individuo non può né amare, né essere amato.

L’amore è un rapporto caratteristico fra persone, è impossibile negare la realtà dell ‘individuo senza negare insieme la realtà dell’esperienza amorosa.

L’inizio della vita individuale è l’opposizione fra il proprio io e quello altrui; la conclusione di essa è l’atto dell ‘amore che elimina fra due individui tale opposizione.

I due amanti erano, prima di amarsi, due individui diversi, erano due esseri cresciuti ciascuno con le proprie esperienze, le proprie lotte, le proprie vittorie o sconfitte.

Ora si sono dati l’uno all ‘altro, hanno provato la gioia sublime di rivelarsi, gioia tanto più viva quanto più di suo ciascuno di essi aveva (di intimo a lui, di non conosciuto agli altri). Due esseri meccanici, due automi, non nascondono alcun segreto, non posseggono nulla e perciò non possono darsi, non sono in grado di amare.

Due essere spirituali che non fossero realmente altri ( che già ab initio fossero un unico essere) non avrebbero nulla di verarnente intimo da rivelarsi, non avrebbero da lottare per vincere i propri limiti, non avrebbero bisogno di trasformarsi a fondo per realizzare fra loro un’unità superiore, anche se l’esperienza amorosa potrebbe essere soltanto un’esperienza illusoria, non realtà.

Ma se fra gli uomini – fra alcuni di essi – l’esperienza amorosa è davvero un’esperienza non illusoria, ciò dimostra a chi ricerca che gli individui umani sono individui reali, particolarizzazioni contingenti di un unico essere sopraindividuale.

La realtà dell ‘amore dimostra che l’unità di due individui è una conquista, difficile c non concessa a tutti, è il punto di arrivo non un punto di partenza.

Tale unità superiore non abbraccia, su questa terra, più di due individui, questo è un fatto che non ammette dimostrazioni dialettiche, ma è semplicemente dato come gli altri fatti del nostro mondo.

Di principio, però, nessun ostacolo teorico impedisce che l’amore si estenda sì da comprendere in sé l’universalità degli uomini.

Il filosofo non può intercalarsi tuttavia di questa nuova unità, se non come un desiderio (desiderio che si esprime, per esempio, nella tradizione cristiana, con I ‘amore fra i beati nella contemplazione di Dio).

Per quanto l’amore terreno sia limitato a due individui, per quanto generi fra loro un ‘intimità che non comunica i propri segreti agli altri, esso però non è in alcun modo fonte di egoismo rispetto a quegli altri. Al contrario, creando nell’individuo una natura sopraindividuale, lo dispone alla comprensione, alla generosità, alla fiducia, alla benevolenza verso tutti.

Una volta apertosi con un altro individuo, una volta compreso quest’altro individuo in tutta la sua profonda e segreta realtà, l’essere umano impara, da un lato, il valore della comunicazione sincera, dall ‘altro, quanti segreti essa riveli, prima nemmeno sospettati, impara perciò il rispetto della personalità altrui e impara – attraverso questo fondamentale rispetto – a trattare più umanamente con tutti gli uomini.

Ma una cosa, sopra tutto, l’individuo impara nell ‘amore: impara ad essere sincero.

Talvolta, per desiderio di essere amato,  qualcuno può fingere di possedere ciò che di fatto non possiede (qualità morali, intellettuali, fisiche che desidererebbe avere, ma non ha); questa finzione lo costringe, però, a controllare continuamente sé stesso e, per il fatto che si controlla, non può abbandonarsi – per la contraddizione che nol consente –

non riesce quindi ad amare e ad essere amato, la parvenza d’amore che crea in se sarà per lui soltanto una fonte di disillusione, di disprezzo e di odio.

Per essere sincero bisogna rinunciare nel modo più assoluto a giocare una parte, bisogna parlare ed agire non in vista degli altri (in vista di ciò che gli altri potranno pensare di noi), ma per esprimere ciò che è veramente in noi.

Ora la società è talmente penetrata di finzioni che spesso l’uomo, educato da essa, non sa essere sincero nemmeno nei suoi pensieri.

Egli non osa pensare per sé; perfino quando discute nel suo animo intorno alle verità che più lo interessano, egli non osa seguire spontaneamente il corso dei propri ragionamenti; all’improvviso si ferma per chiedersi che diranno gli altri di questa mia ricerca? Non parrà loro ingenua? Non rideranno delle mie verità?

Perfino il ribelle riveste il proprio atto di ribellione di una forma artificiosa affinché esso si presenti agli altri nel modo più attraente, più simpatico e, talvolta, più spettacoloso.

Soltanto nell’amore e nella morte non si può fingere; chi nell’amore cerca di fingere può illudersi di amare, ma non ama.

Chi sta morendo non finge più perché ciò che diranno gli altri ormai non lo interessa; egli cessa di pensare per gli altri e riflette unicamente per sé.

L’amore c la morte hanno, dunque, davvero qualcosa in comune, come ritennero molti poeti. Hanno in comune quello stato d’animo d’ebbrezza per cui l’individuo rinuncia totalmente a voler apparire ciò che non è, per cui comprende l’inutilità di persistere nella finzione, la vanità di ogni giudizio che non sia fondato sulla pura realtà.

Il vero amore cerca l’amore effettivo, non la finzione dell’amore, poiché questa non può accontentarlo. Egli deve, quindi, per necessità logica dell ‘amore, essere sincero di fronte all’amato, come è sincero di fronte a sé stesso chi sta per morire.

In questa sincerità completa l’uomo scopre sé medesimo così quale egli è: una realtà diversa da quella che gli altri pensano, inconfondibile con essi, innanzi tutto e sopra tutto individuale.

R. Grll,

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LE TRE LUCI

Le tre luci

Venerabile Maestro, Fratelli tutti di ogni dignità e grado,

le Luci di una Loggia sono tre. Il Maestro Venerabile, che ha per gioiello una squadra e siede all’Oriente; il’ Primo Sorvegliante, che ha per gioiello una livella e siede nella colonna del Settentrione; il Secondo Sorvegliante, che ha per gioiello un filo a piombo e siede nella colonna del Meridione.

Presso il Secondo Sorvegliante è posta la statua di Venere, dea della bellezza, dell’amore, della fecondità; dea della generazione. Di qui nasce il motivo del perché al Secondo Sorvegliante spetta la conduzione primaria dell’iniziazione di un profano. Si può affermare che Venere è il simbolo dell ‘iniziato, del nuovo nato alla Luce Massonica e pertanto il Secondo Sorvegliante è il Sorvegliante dell’Apprendista.

Presso il Primo Sorvegliante è posta la statua di Ercole, protettore del suolo e del bestiame, dio dell’abbondanza e della lealtà di parola. Infatti i Fratelli debbono rafforzare se stessi in tutte le loro qualità, debbono avvicinarsi alla Luce Massonica con modestia e semplicità. Al Primo Sorvegliante spetta il controllo dei Fratelli Compagni e la sua luce deve prepararli al maggior chiarore: alla maestranza.

Presso il Maestro Venerabile è la statua di Minerva, dea della sapienza, protettrice delle arti pacifiche, luce di tutti i Fratelli in quanto sono queste le doti che un Fratello Maestro deve raggiungere per essere degno di tale grado.

Tre luci che raffigurano un numero chiave della Massoneria, infatti tre sono gli anni dell’Apprendista, base dell ‘edificio massonico; tre fondamenti dell’universo stesso; tre graficamente rappresentato dal triangolo.

Permettetemi di osservare questo numero Tre pitagoricamente scomposto nell’uno o nel due, cercando di comprendere il significato filosofico del numero Due ed i suoi rapporti con l’unità e, mentre procederò a questo esame, valutate le Luci della Loggia.

Il due, che è simboleggiato dalle colonne, esprime quel principio fondamentale dell’universo sensibile che è chiamato principio di dualità o degli opposti. Luce ed ombra, passato e futuro, destro e sinistro, alto e basso, bianco e nero, positivo e negativo, essere e non essere, ecc.. Possiamo affermare che gli opposti sono inseparabili perché sono il duplice aspetto di un’unica realtà; realtà che non potremmo percepire se non si manifestasse mediante questa dualità. Ma oltre che inseparabili gli opposti sono relativi, cioè ciascun attributo ha un significato di per sé, ma solo in rapporto all’altro. Un albero non è né alto né basso se non in confronto ad un altro oggetto. Un bambino è piccolo rispetto ad un adulto, ma è grande rispetto ad un coniglio. Sembrano opposizioni banali, ma non lo sono più se le applichiamo a tutte le coppie di attributi o qualità opposte, non solo alla proprietà degli oggetti che cadono sotto i sensi, ma anche ai valori morali ed ai fenomeni sociali.

Bello e brutto, buono e cattivo, sono anch’essi coppie di opposti, espressioni del principio universale di dualità, e quindi inseparabili e relativi. Un’infinità di discussioni inutili e di gravissimi errori sociali derivano dalla credenza  che gli aggettivi buono e bello possano avere un valore assoluto, indipendente dal riferimento o paragone con il

cattivo ed il brutto. Pretendere che gli uomini siano tutti buoni e che la vita sia tutta bella e piacevole, è come desiderare che tutti gli oggetti siano egualmente illuminati da tutte le parti.

Questa può sembrare un’affermazione paradossale, ma è proprio uno degli insegnamenti che ci dà il triangolo. Ad ogni vertice sta opposto un lato: non possiamo sopprimere i lati e ritenere i soli vertici o viceversa. Un punto isolato non è più un vertice: esso è tale quando è messo in relazione ed opposizione ad un segmento che ne rappresenti il lato opposto.

D’altra parte il triangolo è il simbolo del Grande Architetto, vale a dire che è il fondamento dell’universo, che esprime una legge, o principio che dir si voglia, che si applica a tutto ciò che nell’universo si manifesta. Per affermare l’universalità di questo simbolo basterà considerare il fatto che esso si ritrova in tutti i capisaldi del rituale. Osserviamo che in questo il Maestro Venerabile non si rivolge mai direttamente ai Fratelli, ma sempre per il tramite dei due Sorveglianti. Ciò simboleggia appunto il fatto che l’uno si manifesta solo attraverso la dualità e questa è, per la sua stessa natura, una dualità di opposti.

Per meglio chiarire pensiamo al triangolo. Esso è formato da tre punti: due di essi rappresentano una coppia di opposti, il terzo la loro sintesi.

Ora osserviamo il sacro Delta che splende all’Oriente: i due estremi della base rappresentano, abbiamo detto, la coppia degli opposti; il segmento che li unisce ci dice la loro inseparabilità; i due lati del triangolo che uscendo dagli estremi della base convergono al vertice ci mostrano che i due opposti derivano dall’Uno (se li consideriamo in senso discendente) c ncll ‘Uno si risolvono (se li consideriamo in senso ascendente).

E questa, secondo una opinione, l’inseparabilità delle Tre Luci di Loggia le quali attraverso i suoi lati (Colonne) debbono diffondere continuamente bellezza, forza e saggezza. Bellezza per il significato d’amore che si deve dare agli iniziati attraverso l’istruzione e la guida del Secondo Sorvegliante; Forza per il significato di lealtà che si deve creare nei Fratelli sotto gli insegnamenti del Primo Sorvegliante; Saggezza per il significato della tolleranza, primaria arte della pace e della comprensione, che, nel suo vertice, il Maestro Venerabile può dare a tutti i Fratelli nella completezza della dualità.

G. Bltt,

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IN MEMORIA DEL FRATELLO AUGUSTO

In memoria del Fratello Augusto

Carissimi Fratelli,

il nostro Rituale dice che ci riuniamo “per edificare Templi alla Virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio e lavorare al bene e al progresso dell ‘Umanità ‘

Orbene, i nostri normali lavori in Tempio sono soprattutto, o dovrebbero essere, lo scavo (delle prigioni al vizio, quando si lavora in Primo Grado) e l’elevazione (di templi alla Virtù, con i lavori in Terzo Grado). Ma lavorare per il bene e il progresso dell ‘Umanità, quando lo facciamo?

E sempre stata mia convinzione che tale lavoro consistesse nell’esempio che ciascuno di noi porta all’esterno sì da far pensare coloro che vivono accanto a noi, ma tale esempio non necessariamente deriva da un iniziato, perché esso può benissimo giungere anche da un profano di buoni costumi.

E allora? Allora noi dobbiamo avere in più la visione esoterica delle cose, del mondo e della vita stessa. Il mondo, beh, è quello che è e va come va, e noi possiamo solo, caricandoci come molle nei nostri lavori rituali, migliorarlo un pochettino quando, fuori dei nostri Tcmpli, scarichiamo le energie ivi accumulate; la vita, invece, nei suoi molteplici aspetti comprende anche la morte o, per dirla con il nostro linguaggio, il passaggio all ‘Oriente Eterno.

Un iniziato non teme c non ama particolarmente né la vita, né la morte, poiché sa che la vita va vissuta come un evento del ciclo, conscio di essere un aspetto, una faccia, di quel diamante dalle infinite sfaccettature che è quell’Ente che noi definiamo Grande Architetto dell ‘Universo, e la morte non è che un ‘altra faccia dello stesso diamante.

Ciascuno di noi, insomma, concorre alla costruzione del Tempio che l ‘ Umanità deve costruire per poter effettivamente crescere spiritualmente, e ciascuno di noi deve impegnarsi al massimo perché occorre lavorare dapprima su noi stessi e poi, ma solo in un secondo momento, alla costruzione più generale. E qui dobbiamo lavorare per noi e, in un certo senso, anche per tutti coloro che, non sentendone la necessità, non collaborano.

In questa Loggia la Catena che ci unisce è sembrata per un attimo interrotta l’altro giorno quando un ‘inesorabile malattia ha vinto la forte tempra di un uomo giusto che per tanti anni ha lavorato con noi, per il suo e per il nostro perfezionamento: il Fratello Maestro Augusto CMSS, già Maestro Venerabile di questa Officina. Tuttavia egli continua, in spirito, ad essere presente qui con noi per cui dobbiamo ritenere non interrotta la nostra Catena, ma tuttora unita e salda.

La sua professione era insegnare, qui tra le Colonne come Maestro Massone, nel mondo profano come professore insegnando ed educando dei giovani che si preparano ad affrontare la vita. Noi che lo conosciamo bene sappiamo con quanto amore egli esercitasse questo suo ruolo, con quale e quanto impegno egli ci si dedicasse, dirci ben oltre il dovuto.

Coerentemente con questi suoi intendimenti, quindi, intendo onorarlo con un atto concreto che a me pare indirizzato per il bene dell ‘Umanità:

Prendendo lo spunto dalla rivista Hiram no I l e 12 del 1988, intendo devolvere il Tronco della Vedova, e quanto raccoglieremo in seguito, all’iniziativa Manana, e più specificatamente al Villaggio Mi Perù.

Si tratta dell ‘impegno assunto in prima persona dalla Massoneria Peruviana di allestire un villaggio intero per 25.000 persone, educarle ed istruirle!

Come appare evidente è un impegno molto oneroso, sotto tutti i punti; innanzi tutto le dimensioni: 25.000 persone sono molte, moltissime; poi per il grado di grande sottosviluppo in cui ci si appresta ad operare, ove mancano molte delle infrastrutture che qui noi siamo abituati a considerare normali, cd infine perché instillare nei giovanissimi (ai quali il nostro contributo intende specificatamente andare) l’idea di studiare oggi per poi avere un qualche cosa in più domani è impresa ardua. Insegnare a lavorare, con il rispetto di certe norme di elementare comportamento e di rispetto, non è cosi facile come superficialmente può apparire, ma sono certo che voi» carissimi Fratelli, già avete intuito la bellezza di questa iniziativa e ciascuno di noi l’ha già fatta sua. Vorrei chiudere con una poesia del Fratello Elio Pronzini:

TENUTA FUNEBRE

Non pianger Sorella!

Chi ieri

Fratello era nostro e tua guida

ln noi uve così come allora viveva.

Domani non più in questo Tempio

saremo a tessere amore al rimpianto.

Ricorda

che devi morir

 ma pure che il sole fiammante di luce

 ci chiama al lavoro.

Ricorda che vivere devi!

A. Bgg,

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SIMBOLOGIA DEL 2° GRADO

Simbologia del 20 grado

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

la Libera Muratoria ha per meta la fratellanza universale e quindi indirizza l’attività dei Fratelli verso la pratica della bontà e della virtù allo scopo di fare di ognuno di essi un uomo saggio e colto. Perciò essa pretende da lui soltanto la fede nell ‘esistenza del GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO, ma non intesa dogmaticamente.

Al materialista che dubita dell ‘esistenza di un Supremo Creatore o Coordinatore, le porte del Tempio non saranno precluse, ma certo difficile, se non impossibile, sarebbe per lui il procedere nell’ascesa spirituale. Si vuole cioè giungere alla fede per la strada della meditazione, della ragione, pur consapevoli che la mente umana, in materia sovrannaturale, non potrà mai pervcnire, con ogni probabilità, a conoscenza certa.

La Muratoria svolge tale suo proprio istituzionale  compito spirituale cercando di aprire ai propri adepti questa via elevata con insegnamenti nelle Logge, con l’esempio dei Maestri e con la pratica indefettibile del bene operare, della solidarietà e della riflessione. Questo insegnamento si esplica, immediatamente dopo l’iniziazione, nel corso dei tre Gradi.

E qui, al neofita, trovandosi di fronte ad un compito arduo, necessariamente si impongono doveri la cui osservanza si pone quale presupposto indispensabile  per poter proseguire sul cammino iniziatico intrapreso. Appena entrato, e quindi nel periodo di permanenza nel primo grado, quando lavorando ne lla colonna che gli è destinata, deve solo pensare a studiare c conoscere se stesso; compiere quindi un lavoro eminentemente riflessivo allo scopo di notare e confessare a se stesso, con severo realismo e senza reticenze, i vizi che lo disturbano nell ‘impegnativo cammino intrapreso.

Il segno dell’Apprendista sta appunto ad indicare il distacco fra la mente ed il corpo che consente alla prima di dedicarsi, nella serena atmosfera del Tempio, a questo compito introspettivo. Senza questo distacco totale egli non potrà avere la piena conoscenza e la volontà di non indulgere, di non scendere a compromessi. Conseguentemente, senza questa volontà, non potrà mai divenire un buon Muratore.

Ne deriva che il dovere dell’Apprendista è quello di applicarsi a questo lavoro interiore con tenace volontà e quindi con forza. Non è a caso, pertanto, che per il primo grado sia stata attribuita una parola sacra tratta dal Vecchio Testamento il cui significato suona colla forza, in forza, quella forza che appunto deve avere l’Apprendista nello scalpellare se stesso, simbolicamente paragonato alla pietra grezza. Quella forza necessaria all’Apprendista per provvedere alla sua formazione interiore liberandosi dalle scorie profane. Egli deve, in altre parole, porsi in condizione di formarsi una nuova

conoscenza che senta il bisogno di estrinsecarsi attraverso il male e che, aggiungerei, consenta di sentirsi libero da servitù, intolleranza, ipocrisia.

Il dovere dell’Apprendista si può così compendiare nel dovere di rieducarsi. E egualmente partendo dalla parola sacra attribuita al secondo grado che si può passare a considerare i doveri in senso etico del Compagno d’Arte.

Si legge che la parola significa stabilità, fermezza, perseveranza e, talvolta, passività. Stabilità, fermezza e perseveranza che, si intende, deve avere il Compagno nell ‘intraprendere, o meglio, nel proseguire il cammino nella via della perfezione.

Come detto la parola significa anche passività. E in tale accezione il termine, secondo la Dottrina Massonica, sta ad indicare quella condizione interiore, di particolare rinuncia, cui deve pervenire il Compagno per raggiungere il massimo grado di perfezione morale ed intellettuale, per rinnovarsi compiutamente e passare, attraverso l’iniziazione, ad un’altra vita; perché possa realizzarsi in lui la catarsi, la vera e propria palingenesi. La reale rinascita dcl Muratore alla nuova vita, che ha per meta la fratellanza universale, postula il possesso di superiori qualità morali, ossia di quelle qualità che gli consentono in ogni circostanza di indirizzare la propria ed altrui attività verso la pratica costante e proficua della bontà e della virtù.

ln questo grado il Libero Muratore deve dunque cominciare a svolgere quel compito concreto, proprio della Massoneria, mantenere la sua mente sulla via della costruzione di un Tempio che raccolga il vero, il bello ed il giusto. Perciò, avendo a disposizione i nuovi strumenti di cui è stato simbolicamente dotato e l’aiuto fraterno dei Fratelli Maestri, dovrà essere costantemente impegnato nel lavoro tenace di trasformare la pietra, che ha dimostrato di aver saputo dirozzare nel primo grado, in pietra cubica e confermare quindi la capacità del proprio apporto concreto alla erezione del Tempio.

Egli ha, in conclusione, il dovere di raffinare la propria perfezione intellettuale c morale. Solo con l’osservanza di questo specifico dovere egli potrà sentirsi pronto ad essere ricevuto nel grado superiore: divenire Maestro.

G. Bitt,

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L’APPRENDISTA FRA I SIMBOLI

L’apprendista fra i simboli

Maestro Venerabile, Fratelli Carissimi,

dalla prefazione di un testo di Zimmer, scritta dallo stesso autore, ho intuito un messaggio interessante per la strada iniziatica, tanto chc ho voluto “tradurlo sostituendo nel testo originale parole e frasi e trasformarlo così in una tavola per apprendisti.

L’apprendista fra i simboli

La maggior parte del retaggio di conoscenza ci è giunto da epoche remote e da lontani, sconosciuti, angoli del mondo attraverso la lettura di simboli disseminati sulla strada dell ‘uomo dai Maestri che ci hanno preceduti.

Ogni iniziato vi aggiunge qualcosa della sostanza, delle proprie intuizioni, ed i semi dei simboli cosi nutriti riprendono a vivere ed a produrre nuova conoscenza.

La facoltà di germinare dei simboli è perenne, attende solo di essere stimolata dalla nostra ricerca. La progressiva conoscenza proietta un raggio indagatore sulle immagini simboliche portando alla luce fondamentali elementi strutturali che prima erano immersi nelle tenebre.

L’unica difficoltà di lettura del messaggio sta nel fatto che l’interpretazione delle forme scoperte non può essere mai ridotta ad un sistema sicuro; perché nei veri simboli vi è qualcosa che non si può circoscrivere, essi sono inesauribili nel loro potere di evocare e di istruire,

  1. contenuti scopribili delle immagini simboliche, ampiamente disseminate nel Tempio, continuano a subire, davanti ai nostri occhi, mutazioni incessanti ed i significati devono essere costantemente riletti c ricompresi per evitare interpretazioni aride risultanti da un lavoro di metodo.

Se si abbandona l’atteggiamento di ricerca nei confronti dei simboli c si diventa certi della loro corretta interpretazione ci si priverà del contatto vivificante, dell ‘assalto stimolante e ispiratore che è effetto della virtù intrinseca del simbolo. Perdendo l’umiltà e la disponibilità dovuta a ciò che deve essere oggetto di continua ricerca, l’Apprendista rischierà di rifiutare l’interpretazione di ciò che non verrà mai detto a chiare lettere né a lui né a nessun altro,

Il tentativo di classificare il contenuto dcl messaggio simbolico in categorie e capitoli già noti impedirebbe l’emergere di qualsiasi nuovo significato e rallenterebbe il cammino sulla strada iniziatica fatta di ricerca e di conoscenza.

  1. potere “fertilizzante ” del simbolo si attiva proprio mediante l’interpretazione dell’innocenza e dell’umiltà interiore e la ricerca esteriore, evitando di ridurre ciò che non ci è famigliare in cose note attraverso uno sterilizzante dogmatismo avviluppato nell’autocompiacimento mentale.

Solo un atteggiamento “umilmente ” ricettivo e la disponibilità a lasciarsi momentaneamente sbilanciare da una nuova concezione rivelatrice rimbalzata dall ‘urto con i simboli, consente di conversare con l’intimo, con l ‘ Essere Supremo che è in noi ed essere fecondati, come la terra d’Egitto dalle acque del Nilo, dalla conoscenza delle immagini dei simboli che resistono, perché vive, rinnovate, imprevedibili eppure coerenti, a tutti i tentativi di sistematizzazione.

Se l’intelligenza indagatrice rifiuta di accettare la possibilità di imparare qualcosa dall ‘aspetto vivente dell ‘oggetto sottoposto alla sua attenzione, l’approccio mentale all ‘enigma del simbolo, il progetto di sottrargli il sc

Egreto della sua profondità non può che fallire.

I simboli sono gli estremi oracoli della vita. Devono essere interrogati e consultati daccapo ad ogni epoca ed in ogni Tempio, ed in ogni epoca e Tempio saranno avvicinati dagli iniziati con il loro tipo di ignoranza e di incomprensione, diverse da quelle delle epoche e degli iniziati precedenti.

Le trame della vita, iniziatica e profana, che noi, nel nostro tempo, dobbiamo tessere non sono quelle di nessun ‘altra epoca; i fili da intrecciare ed i nodi da sciogliere sono sempre diversi da quelli del passato e le risposte già date                                                           ci possono servire solo se interpretate e adattate al percorso della nostra vita.

I simboli devono essere riconsultati direttamente, I ‘Apprendista ha il compito di apprendere, oltre quel che si dice abbiano già detto, il modo di avvicinarsi a loro, il modo di evocare da loro nuove parole e poi capirle. L’apprendere deve liberare l’intuizione creativa, permettendole di vivificarsi al contatto dell’affascinante scrittura delle figure simboliche.

La conoscenza che si acquisisce nel rileggere i simboli permette di misurare fino a che punto la vita, a contatto con loro, abbia condotto lo spirito verso la ricerca costante e produttiva.

E solo alimentando qucsta ricerca l’ Apprendista sarà sempre pronto a ricominciare daccapo e sarà in lui che i semi prodigiosi dei simboli metteranno radici e cresceranno meravigliosamente.

G. Frsn

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