Orientamento secondo le indicazioni implicite nella tavola
precedente
(n. d.r.: tavola della tornata precedente)
Ammesso che quanto è contenuto
nella Tavola citata in epigrafe forma la base universale del lavoro iniziatico,
è implicito che tutto il lavoro si debba esplicare come attuazione della
Ricerca Spirituale.
Ciò non porta all’esclusione di
attività apparentemente estranee, ma complementari al lavoro fondamentale. Se
il corpo fisico è lo strumento più grossolano, ma indispensabile per la ricerca
spirituale, occorre provvedere alle sue necessità proprio in funzione di quella
ricerca. L’errore incomincia quando si antepongono le necessità del corpo a
tutto il resto o addirittura, come generalmente accade, si dimentica lo scopo
del nostro corpo e lo si ritiene fine a se stesso. Se dal corpo fisico passiamo
all’ego, complesso formato dal senso del corpo + senso della mente, il discorso
rimane lo stesso. Il complesso corpo fisico + corpo emozionale + mente è sempre
uno strumento da impiegare nella ricerca di quello che è fondamento e rotore di
tutto.
Analogamente le attività
collaterali al vero Lavoro di Loggia (elezioni, amministrazione, assistenza,
servizio, ecc.) sono da paragonarsi al lavoro di manutenzione degli impianti di
una fabbrica, il cui scopo ultimo è la produzione. Come codesta manutenzione si
svolge in ore diverse da quelle di produzione, sarebbe augurabile che nella
Loggia si svolgesse in riunione extra-tomata, o per il massimo possibile dai
Dignitari e Ufficiali di Loggia, senza incidere sul già scarso tempo
disponibile per il vero lavoro produttivo.
Tomando al programma che può essere enucleato dalla Tavola
citata, si potrebbe suggerire:
che in tesi generale, alto scopo di non dare a
tutta l’attività di Loggia un carattere scolare, non si articoli essa in serie
di lezioni, ma bensì che le varie contribuzioni dei Fratelli siano orientate
tutte nel senso generale indicato dalla Tavola vitata; nel quadro di una
libertà orientata nella scelta; che il lavoro in Primo Grado sia
essenzialmente quello di sensibilizzare tutti i Fratelli Apprendisti verso la
necessità unica e fondamentale della vita umana della Realizzazione di quel
Fine supremo e veramente remunerativo; che il lavoro in Secondo Grado approfondisca
quello dell’Apprendista e lo provveda della cognizione dei metodi tradizionali
per il conseguimento della Verità e della Realizzazione della nostra vera
Realtà.
che il lavoro nella Camera di Mezzo sia la
messa in atto delle scelte personale e collettiva del metodo più congeniale ed
efficace per il Raggiungimento; e sia anche la Guida del Lavoro da svolgere e
svolgentesi ai due livelli inferiori.
Come dicevo in
occasione della prima tomata del 20 semestre di quest’anno, dopo il
momento di profanità estiva i lavori sono ripresi.
Mi sembra
giusto, dopo questa pausa, rinnovare il mio tentativo di un riavvicinamento
alla consapevolezza e ricominciare a guardarmi nel profondo.
Si è sovente
parlato di specchio. Questo è uno di quei momenti in cui ritengo giusto e
doveroso pormi, per una analisi critica, di fronte a questo per fare’il punto.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” sono
molto sovente sentito ripetere. L’unità nella differenza, l’unità nella
dualità.
Chi sono io e perché mi devo amare?
Chi è il mio prossimo e perché
io devo amare?
Qualche corrente religiosa mi dice: tu sei Dio ma te ne
manca la consapevolezza.
Tante altre
mi dicono: sei figlio di Dio.
Se cosi è,
anche il mio prossimo è figlio di Dio: di conseguenza io sono suo fratello,
unito a lui nella divinità.
Il mio corpo
e quello del mio fratello sono i contenitori del divino. Il corpo è il tempio
di Dio raccontano gli antichi testi, e come tale Io devo rispettare ed usare
nel modo giusto e perfetto.
Nel corpo è
racchiusa anche una parte non materiale che è altrettanto se non di più,
sensibile ai colpi che possono essere inferti.
Posso infliggere al mio fratello
delle ferite di carattere materiale che fisicamente, possono o meno lasciare un
segno, ma che, quando entrano dentro, possono anche lasciare delle tracce che
marcano e marchiano nel profondo.
Riemerge la dualità: io, la mia azione, il mio
fratello, la sua reazione.
Suggerisce un
saggio: è proibito offendere e offendersi perché, in tutti e due i casi. ad
esseme coinvolto è solo e sempre l’ego e non il sé.
E proibito offendere.
Devo ricordarmi di parlare: solo se ho qualcosa da dire, se non faccio male a chi mi ascolta, se ciò che devo dire è utile.
62
Allora ho l’obbligo di dirlo, ma
con dolcezza.
Devo ricordarmi che:
raramente è importante quello che dico.
Importante è I
‘intenzione.
Importante è il come lo dico.
Importante è prevedere come il mio prossimo
recepirà il mio modo di esprimermi. Mi permetterà di modulare la modalità del
mio linguaggio sulla lunghezza d ‘onda degli altri.
E proibito offendermi.
Quando il mio prossimo esprime
una sua opinione, specie se non gradevole, su di me o sul mio comportamento
dovrei ringraziarlo perché questo mi dovrebbe permettere di fare una verifica e
una eventuale autocritica.
Devo ricordarmi che io sono una trinità illusoria.
Ciò che credo di essere.
Ciò che gli altri credono che io sia. Ciò che sono
realmente.
L’ascoltare ciò che
gli altri pensano di me deve permettermi di verificare con serenità ciò che
credo di essere.
Ma ambedue sono
illusioni dell ‘ego Devo dimenticarle entrambe per cercare di avvicinarmi al
mio sé, quello che sono realmente, e ciò mi permetterà comportarmi di
conseguenza.
Sono sempre più convinto che
l’amore verso il prossimo consista nel anteporre i suoi bisogni ai miei. Ci
riesco poche volte; quando non ci riesco, come troppo frequentemente accade, ho
almeno la magra consolazione di incominciare ad accorgermene per cercare di
farne tesoro.
“Ama il prossimo tuo”.
L’amore verso il Prossimo si traduce in fase pratica come un servizio. Tutto
ciò che io faccio per il prossimo deve essere visto in questa ottica.
Se riesco a rendere operativo questa
voglia di fare, anche il mio più piccolo gesto verso il fratello può diventare
un servizio. E un tendere la mano con il palmo allargato anziché chiuso a pugno.
Il gesto della mano si trasformerà
sempre in una carezza anche quando sarà costretta a dare uno schiaffo.
Con un fraterno triplice
abbraccio, pace e bene a tutti.
in occasione della visita della R:. L:. Hermannus van
Tongeren NO 204
Fratelli carissimi di ogni ordine e grado,
E compito dell’Oratore trarre le conclusioni della tomata.
Più che trarre conclusioni vorrei fare alcune considerazioni che nascono dal
contesto geografico nel quale si è svolta la tomata.
Grazie per essere giunti, provenendo da orienti diversi della
comunità europea, qui all ‘Oriente di Torino nella Valle del Po.
Grazie per essere riusciti a conciliare i vostri molteplici
impegni, qualche volta profani e non sempre coincidenti, in modo da far
risaltare la potenza, la bellezza e la saggezza della fraternità massonica.
Ogni spostamento, anche se piccolo, è comunque un viaggio. La
nostra vita è un viaggio. Viaggiare significa cercare. Si cerca qualcosa di
profano, si cerca qualcosa di spirituale e sovente viaggiamo per trovare noi
stessi, dimenticando spesso che cerchiamo altrove quello che possiamo trovare
soltanto in noi stessi.
Viaggiamo per conoscere gli altri, per cercare il dialogo.
Dialogo molte volte inteso in modo inconscio come desiderio di convincere il
prossimo che la nostra idea è quella corretta.
Quando viaggiamo abbiamo con noi valigie piene di cose
nostre. Dovremmo prendere sempre l’abitudine di aggiungere al nostro bagaglio
una borsa di dimensioni indefinite e di materiale inesistente da riempire, al
nostro rientro, di ciò che ci fa veramente ricchi e cioè della ricchezza
spirituale del nostro prossimo che sarà stato certamente felice di esseme stato
“derubato”.
E una forma di amore. Iniziamo le nostre giornate, che sono
una specie di viaggio, con amore, viviamole con amore, terminiamole con amore.
Con l’augurio che questo bagaglio “che non c’è” ci
accompagni sempre nella nostra vita e poiché, malgrado ogni nostro sforzo
contrario, tutto è giusto e perfetto ti prego, Venerabile Maestro, di procedere
alla chiusura dei lavori in grado di Apprendista.
Un giovanotto bene, figlio di una di quelle famiglie
secolarizzate, laiche, progressiste, moderne, dopo la laurea in logica e
dialettica socratica, vuole darsi un’infarinatura di cose esoteriche entrando a
far parte dell ‘ Associazione Culturale Pedemontana. Si sa… fa così chic!
Si reca dunque dal presidente e gli dice: “Esimio
vorrei entrare a far parte dell’Associazione ed arrotondare così la mia cultura
con un po’ di esoterismo. Mi darebbe qualche lezioncina?”
“Capisco giovanotto”, risponde il presidente,
“ma tu lo hai letto qualcosa delle scuole iniziatiche? Anche il Guénon, ad
esempio?”
“Andiamo presidente! Io sono laureato
in Logica e Dialettica socratica! Non so se mi spiego!”
“D’accordo figliolo questa è un bella
cosa, ma hai mai sentito parlare dei muratori?”
“Presidente, lei mi sta facendo solo perdere
tempo. Mi faccia un test! Mi metta alla prova per vedere se sono all’
altezza!” “Come vuoi figliolo”.
Il presidente alza di scatto due dita
proprio davanti agli occhi del baldanzoso giovane
e…”Attento giovanotto. Due
uomini scendono dallo stesso camino: uno ha la faccia sporca e l’altro ha la
faccia pulita, chi si lava la faccia?”
“Hahaha! Ma presidente, questa è una domanda per
bambini deficienti! È evidente! Quello con la faccia sporca”.
“Sbagliato figliolo. Quando quello con la faccia
sporca vede che l’altro ha la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita e
non si lava la faccia. Quello con la faccia pulita vede che l’altro ha la
faccia sporca, pensa di avere la faccia sporca e quindi si lava la
faccia”.
“Ah! Certo presidente! Come ho potuto cadere in una
trappola cosi banale, La prego, mi sottoponga ad un altro test per favore
comincio a capire… molto, molto sottile!”
“Va bene figliolo, come tu vuoi, non
c’è problema! Attento!”
Di nuovo il presidente fa scattare le due dita in alto:
“Due uomini scendono dallo stesso camino: uno ha la faccia sporca e
l’altro ha la faccia pulita, chi si lava la faccia?”
“Presidente, non sono mica scemo, lo
abbiamo già detto. Quello con la faccia pulita”.
“Sbagliato figliolo. Quello con la faccia sporca,
vedendo che l’altro ha la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita e non
si lava. Quello con la faccia pulita vedendo l’altro con la faccia sporca,
pensa di avere la faccia sporca e si lava la faccia. Ma… quando quello con la
faccia sporca vede che quello con la faccia pulita si lava la faccia, pensa di
doversi anche lui lavare la faccia Quindi tutti e due… si lavano la
faccia”.
“Ah! mmm.,. certo… il ribaltamento dialettico…
molto arguto… Vede presidente, sono un po’ sconcertato… La prego, mi faccia
un’altra domanda”.
“Come tu vuoi figliolo, non c’è
problema”.
Ancora una volta il presidente alza te due
dita di scatto.
“Molto attento, ragazzo! Due uomini scendono dallo
stesso camino: uno ha la faccia sporca e l’altro ha la faccia pulita, chi si
lava la faccia?”
“Presidente, insomma non mi esasperi! Non lo abbiamo
appena detto? Sono totalmente d’accordo con lei. Tutti e due si lavano la
faccia!”
“Sbagliato figliolo. Vedi, quando quello con la
faccia sporca vede quello con la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita
e non si lava la faccia. Così, quando quello con la faccia pulita vede che
l’altro con la faccia sporca non si lava la faccia pensa che anche lui non
abbia nessun ragione per lavarsi la faccia. Quindi… nessuno dei due si lava
la faccia”.
II giovanotto è quasi a pezzi, ma per non essere
umiliato dice: “Adesso ho capito, presidente, ne sono sicuro. Riconosco di
essere stato presuntuoso, ma lei non deve negarmi un’ultima domanda, La
scongiuro! “
“Va bene, come vuoi figliolo, come vuoi. Allora
vediamo…” Il presidente immancabilmente fa scattare in su le due dita
e…: “Molto, molto attento mio caro giovanotto! Due uomini scendono dallo
stesso camino, uno ha la faccia sporca e l’altro ha la faccia pulita. Chi si
lava la faccia?”
“Pietà di me presidente! Me l’ha appena detto e io ne
convengo assolutamente, non insista! Nessuno dei due. Nessuno dei due si lava
la faccia. Non è cosi?”
“Sbagliato figliolo. Senti figliolo, ma come
puoi pensare che due uomini scendano dallo stesso camino, e uno abbia la faccia
sporca e l’altro l’abbia pulita! L’intera questione è un’idiozia! Passa la tua
vita a rispondere a stupide questioni della tua dialettica… e vedrai cosa
capirai di esoterismo!”
Una parabola di Multatuli Il
tagliapietre giapponese
C’era una volta un uomo che tagliava le pietre dalla roccia.
Il lavoro era pesante, lui lavorava duro, ma la paga era bassa. Non ne era
contento e languiva perché il lavoro era cosi pesante.
Diceva: ahimé, mi piacerebbe essere ricco, per potere
riposare sul sofà con una zanzariera di seta rossa.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui divenne il ricco. Riposava sul sofà,
e la zanzariera era di seta rossa.
E il re del paese passò con i cavalieri davanti alla propria
carrozza. Anche dietro alla carrozza c’erano dei cavalieri, e dei servitori
tenevano un ventaglio d’oro sopra la testa del re.
E quando l’uomo ricco vide questo, si rattristò perché
nessuno teneva il ventaglio d’oro sopra la sua testa. E non ne fu contento.
Languiva e diceva: “mi piacerebbe
essere il re”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui divenne il re. E davanti alla sua carrozza c’erano
molti cavalieri. Pure dietro alla carrozza c’erano dei cavalieri, e sopra alla
sua testa veniva tenuto il ventaglio d’oro.
E il sole era con i raggi caldissimi, e
ardeva la terra, tanto che l’erba diventava secca.
E il re si lamentava perché il sole gli bruciava il viso, e
perché aveva più potere di lui. E non era contento.
Languiva, e diceva: “mi piacerebbe
essere il sole”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui era il sole. E spandeva i suoi raggi sopra e sotto, a
destra e a sinistra, e dappertutto. E ardeva l’erba sulla terra e il viso dei
re che erano sulla terra.
E una nuvola si mise tra la terra e lui, e
i raggi del sole furono riflessi.
Si arrabbiava tanto perché il suo potere gli veniva tolto, e
si lamentava che la nuvola fosse più potente di lui. E non era contento.
Avrebbe volute essere la nuvola, che era tanto potente.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
Ed era una nuvola che si mise tra il sole e la terra
riflettendo i suoi raggi, in modo che l’erba divenne verde. E dalla nuvola
sulla terra cadevano grandi gocce di pioggia che faceva crescere i fiumi. Le
inondazioni portavano via i greggi, e i campi erano rovinati dalla troppa
acqua.
E cadeva giù sulla roccia, che non cedeva.
E scrosciava a fiotti, forte forte, ma la roccia non
cedeva.
Si arrabbiava perché la roccia non voleva cedere e perché
la violenza dei sui flussi era vana. E non era contento.
Diceva: “alla roccia è dato più potere
di me. Vorrei essere la roccia”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
Ed era la roccia, e non si muoveva ne
quando brillava il sole né quando pioveva.
E veniva un uomo con uno scalpello aguzzo e un mazzuolo
pesante che, dalla roccia, ricavava delle pietre.
E la roccia diceva: “che cosa è che quest’uomo ha più
potere di me, e taglia le pietre dal mio grembo?”
E non era contento. Diceva: “sono più
debole di quello, vorrei essere quest’uomo”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui era il tagliapietre. E tagliava le pietre dalla
roccia, con lavoro pesante, e lavorava duro per pochi soldi, ed era contento.
Un sogno
Sono comodamente seduto in una comoda
poltrona.
In un silenzio da apprendista chiudo gli
occhi.
Entro virtualmente in una stanza senza pareti. Mi appare un
tavolo da disegno sul quale, come in un fotomontaggio animato, si
materializzano, in ordine sparso, dei simboli.
Vedo il sale, il mercurio, lo zolfo, una
squadra un compasso e tanti altri.
All’improvviso la tavola da disegno si trasforma in una
tavola da pranzo. 1 simboli fanno adesso da corona ad una bellissima ceramica
di Faenza, grande, con colori accattivanti ed ad un piccolo flûte di cristallo
purissimo che riesce a vibrare anche solo quando lo guardo.
Nella ceramica c’è il mio ego, nel flûte il
mio sé.
Una parete con uno schermo si materializza di fronte al
desco. Vedo scorrere a ripetizione delle frasi che le mie orecchie avevano già
sentito :
chi sono, da dove vengo, dove vado? conosci
te stesso!
ama il prossimo tuo come te stesso!
Lo sguardo scende dalla parete al tavolo e
l’occhio scorre su quello che c’è sopra.
Sono belli i simboli, sono accattivanti, mi viene voglia
di perdermi dentro in una meravigliosa quanto, qualche volta, inutile ricerca
dialettica. Vuol dire questo, no quello. Io lo vedo così, un altro lo vede in
una maniera differente.
E il simbolo, perfettamente indifferente a me, rimane lì a
guardarmi con un’aria di commiserazione mista a tristezza perché sa che il
giorno in cui io lo capissi, lui, in quel momento, diverrebbe perfettamente
inutile.
Poi c’è la bellissima ceramica di Faenza. Il mio ego,
compresso e straboccante è lì, in bella vista, ed io mi ci affondo dentro, mi
ci sguazzo come se fosse una piscina di acqua stagnante, me lo spalmo addosso
come se fosse una vernice opaca assolutamente impermeabile alla luce.
Non ho voglia di vedere altro che lui. Quasi tutto quello
che faccio, lo faccio in nome e sotto gli auspici suoi, anche quando non me ne
accorgo.
E il regno dell
‘io, del mio, del mi.
Mi piace, mi da fastidio, sono orgoglioso di quello che
faccio, anche quello che sembra un bene, mi piaccio nel compiacimento di me
stesso, delle mie abitudini, del mio orgoglio e di ciò che è più subdolo, e
cioè dell ‘ attaccamento ai metalli.
Anche la carne, anche i desideri, anche gli affetti, sono
metalli, sono piombo e non oro. Poi guardo meglio e vedo che, sovente, anche
quello che credo oro è un metallo. Dice un saggio proverbio “non è tutto
oro quel che luccica”.
Mi sento offeso se sono ignorato, mi sento lusingato se
sono lodato. Vedo tutto in chiave personale, egoica, come se fossi il centro
dell’universo, senza sapere, solo perché non ne ho la consapevolezza, che in
realtà sono il centro dell’universo.
La soluzione
del problema sarebbe, molto semplicemente, una lettura in chiave del sé e non
dell ‘io.
Non ho mai provato, quando mi guardo allo specchio, di
andare al di la di quello che guardo, perché mi sono sempre compiaciuto o
dispiaciuto solo di quello che lo specchio rifletteva. Non ho mai avuto il
coraggio di guardare dentro, oltre.
Molti sono i chiamati, pochi gli eletti e quei pochi sono
quelli a cui non importa nulla di essere chiamati, perché avendo la
consapevolezza di arrivare, non hanno il bisogno di scegliere sul “dove
andare”. Il “da dove vengo” equivale al “dove andare”.
Andare, andare, andare. Cercare sempre altrove quello che
con estrema facilità potrei trovare dentro di me, nel mio sé, senza muovermi.
Cerco purtroppo sempre la strada più difficile nella convinzione che questi mi
porti, più facilmente, al punto di partenza.
Beati quelli che crederanno e non hanno visto. Non c’è
bisogno di andare. La Divinità è dentro di me Basta che io chiuda gli occhi al
mondo e il divino mi appare.
Il mondo è l’ego, la divinità il sé. Riuscire a capire questo vuol
dire fare sacrificio che, secondo l’accezione originale del termine, non vuol
dire rinuncia, sofferenza, ma molto più semplicemente fare qualcosa di sacro.
Sacrificare significa dare un significato sacro a tutte le
meravigliose, apparentemente inutili banalità della vita. Non è vivere il
giorno da leoni. ma fare sacri i 100 giorni da pecora.
Non posso amare me stesso se non ho visto il sé che è
dentro di me. Non posso non amare gli altri se non ho visto in loro il mio
stesso sé.
Quando privilegio il bisogno di un altro rispetto al mio,
ho fatto un sacrificio, ho fatto un gesto di amore verso quest’altro.
Smetto di pensare. Sulla parete dinanzi a me la virtuale
maschera informatica si è modificata e mi sono apparse alla vista delle parole
dette da Alessio un giovane brillante nel fiore degli armi che un incidente di
macchina ha costretto alla carrozzella:
Non sono un corpo che ha
un’anima. Sono un’anima che ha un corpo.
Apro gli occhi. Tutto si è dissolto. Intorno a me non ci
sono più pareti. Solo uno specchio di fronte.
Un giovanotto bene, figlio di una di quelle famiglie
secolarizzate, laiche, progressiste, moderne, dopo la laurea in logica e
dialettica socratica, vuole darsi un’infarinatura di cose esoteriche entrando a
far parte dell ‘ Associazione Culturale Pedemontana. Si sa… fa così chic!
Si reca dunque dal presidente e gli dice: “Esimio
vorrei entrare a far parte dell’Associazione ed arrotondare così la mia cultura
con un po’ di esoterismo. Mi darebbe qualche lezioncina?”
“Capisco giovanotto”, risponde il presidente,
“ma tu lo hai letto qualcosa delle scuole iniziatiche? Anche il Guénon, ad
esempio?”
“Andiamo presidente! Io sono laureato
in Logica e Dialettica socratica! Non so se mi spiego!”
“D’accordo figliolo questa è un bella
cosa, ma hai mai sentito parlare dei muratori?”
“Presidente, lei mi sta facendo solo perdere
tempo. Mi faccia un test! Mi metta alla prova per vedere se sono all’
altezza!” “Come vuoi figliolo”.
Il presidente alza di scatto due dita
proprio davanti agli occhi del baldanzoso giovane
e…”Attento giovanotto. Due
uomini scendono dallo stesso camino: uno ha la faccia sporca e l’altro ha la
faccia pulita, chi si lava la faccia?”
“Hahaha! Ma presidente, questa è una domanda per
bambini deficienti! È evidente! Quello con la faccia sporca”.
“Sbagliato figliolo. Quando quello con la faccia
sporca vede che l’altro ha la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita e
non si lava la faccia. Quello con la faccia pulita vede che l’altro ha la
faccia sporca, pensa di avere la faccia sporca e quindi si lava la
faccia”.
“Ah! Certo presidente! Come ho potuto cadere in una
trappola cosi banale, La prego, mi sottoponga ad un altro test per favore
comincio a capire… molto, molto sottile!”
“Va bene figliolo, come tu vuoi, non
c’è problema! Attento!”
Di nuovo il presidente fa scattare le due dita in alto:
“Due uomini scendono dallo stesso camino: uno ha la faccia sporca e
l’altro ha la faccia pulita, chi si lava la faccia?”
“Presidente, non sono mica scemo, lo
abbiamo già detto. Quello con la faccia pulita”.
“Sbagliato figliolo. Quello con la faccia sporca,
vedendo che l’altro ha la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita e non
si lava. Quello con la faccia pulita vedendo l’altro con la faccia sporca,
pensa di avere la faccia sporca e si lava la faccia. Ma… quando quello con la
faccia sporca vede che quello con la faccia pulita si lava la faccia, pensa di
doversi anche lui lavare la faccia Quindi tutti e due… si lavano la
faccia”.
“Ah! mmm.,. certo… il ribaltamento dialettico…
molto arguto… Vede presidente, sono un po’ sconcertato… La prego, mi faccia
un’altra domanda”.
“Come tu vuoi figliolo, non c’è
problema”.
Ancora una volta il presidente alza te due
dita di scatto.
“Molto attento, ragazzo! Due uomini scendono dallo
stesso camino: uno ha la faccia sporca e l’altro ha la faccia pulita, chi si
lava la faccia?”
“Presidente, insomma non mi esasperi! Non lo abbiamo
appena detto? Sono totalmente d’accordo con lei. Tutti e due si lavano la
faccia!”
“Sbagliato figliolo. Vedi, quando quello con la
faccia sporca vede quello con la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita
e non si lava la faccia. Così, quando quello con la faccia pulita vede che
l’altro con la faccia sporca non si lava la faccia pensa che anche lui non
abbia nessun ragione per lavarsi la faccia. Quindi… nessuno dei due si lava
la faccia”.
II giovanotto è quasi a pezzi, ma per non essere
umiliato dice: “Adesso ho capito, presidente, ne sono sicuro. Riconosco di
essere stato presuntuoso, ma lei non deve negarmi un’ultima domanda, La
scongiuro! “
“Va bene, come vuoi figliolo, come vuoi. Allora
vediamo…” Il presidente immancabilmente fa scattare in su le due dita
e…: “Molto, molto attento mio caro giovanotto! Due uomini scendono dallo
stesso camino, uno ha la faccia sporca e l’altro ha la faccia pulita. Chi si
lava la faccia?”
“Pietà di me presidente! Me l’ha appena detto e io ne
convengo assolutamente, non insista! Nessuno dei due. Nessuno dei due si lava
la faccia. Non è cosi?”
“Sbagliato figliolo. Senti figliolo, ma come
puoi pensare che due uomini scendano dallo stesso camino, e uno abbia la faccia
sporca e l’altro l’abbia pulita! L’intera questione è un’idiozia! Passa la tua
vita a rispondere a stupide questioni della tua dialettica… e vedrai cosa
capirai di esoterismo!”
Una parabola di Multatuli Il
tagliapietre giapponese
C’era una volta un uomo che tagliava le pietre dalla roccia.
Il lavoro era pesante, lui lavorava duro, ma la paga era bassa. Non ne era
contento e languiva perché il lavoro era cosi pesante.
Diceva: ahimé, mi piacerebbe essere ricco, per potere
riposare sul sofà con una zanzariera di seta rossa.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui divenne il ricco. Riposava sul sofà,
e la zanzariera era di seta rossa.
E il re del paese passò con i cavalieri davanti alla propria
carrozza. Anche dietro alla carrozza c’erano dei cavalieri, e dei servitori
tenevano un ventaglio d’oro sopra la testa del re.
E quando l’uomo ricco vide questo, si rattristò perché
nessuno teneva il ventaglio d’oro sopra la sua testa. E non ne fu contento.
Languiva e diceva: “mi piacerebbe
essere il re”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui divenne il re. E davanti alla sua carrozza c’erano
molti cavalieri. Pure dietro alla carrozza c’erano dei cavalieri, e sopra alla
sua testa veniva tenuto il ventaglio d’oro.
E il sole era con i raggi caldissimi, e
ardeva la terra, tanto che l’erba diventava secca.
E il re si lamentava perché il sole gli bruciava il viso, e
perché aveva più potere di lui. E non era contento.
Languiva, e diceva: “mi piacerebbe
essere il sole”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui era il sole. E spandeva i suoi raggi sopra e sotto, a
destra e a sinistra, e dappertutto. E ardeva l’erba sulla terra e il viso dei
re che erano sulla terra.
E una nuvola si mise tra la terra e lui, e
i raggi del sole furono riflessi.
Si arrabbiava tanto perché il suo potere gli veniva tolto, e
si lamentava che la nuvola fosse più potente di lui. E non era contento.
Avrebbe volute essere la nuvola, che era tanto potente.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
Ed era una nuvola che si mise tra il sole e la terra
riflettendo i suoi raggi, in modo che l’erba divenne verde. E dalla nuvola
sulla terra cadevano grandi gocce di pioggia che faceva crescere i fiumi. Le
inondazioni portavano via i greggi, e i campi erano rovinati dalla troppa
acqua.
E cadeva giù sulla roccia, che non cedeva.
E scrosciava a fiotti, forte forte, ma la roccia non
cedeva.
Si arrabbiava perché la roccia non voleva cedere e perché
la violenza dei sui flussi era vana. E non era contento.
Diceva: “alla roccia è dato più potere
di me. Vorrei essere la roccia”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
Ed era la roccia, e non si muoveva ne
quando brillava il sole né quando pioveva.
E veniva un uomo con uno scalpello aguzzo e un mazzuolo
pesante che, dalla roccia, ricavava delle pietre.
E la roccia diceva: “che cosa è che quest’uomo ha più
potere di me, e taglia le pietre dal mio grembo?”
E non era contento. Diceva: “sono più
debole di quello, vorrei essere quest’uomo”.
Venne un angelo dal cielo, che gli disse:
“sia fatto come tu ha detto”.
E lui era il tagliapietre. E tagliava le pietre dalla
roccia, con lavoro pesante, e lavorava duro per pochi soldi, ed era contento.
Un sogno
Sono comodamente seduto in una comoda
poltrona.
In un silenzio da apprendista chiudo gli
occhi.
Entro virtualmente in una stanza senza pareti. Mi appare un
tavolo da disegno sul quale, come in un fotomontaggio animato, si
materializzano, in ordine sparso, dei simboli.
Vedo il sale, il mercurio, lo zolfo, una
squadra un compasso e tanti altri.
All’improvviso la tavola da disegno si trasforma in una
tavola da pranzo. 1 simboli fanno adesso da corona ad una bellissima ceramica
di Faenza, grande, con colori accattivanti ed ad un piccolo flûte di cristallo
purissimo che riesce a vibrare anche solo quando lo guardo.
Nella ceramica c’è il mio ego, nel flûte il
mio sé.
Una parete con uno schermo si materializza di fronte al
desco. Vedo scorrere a ripetizione delle frasi che le mie orecchie avevano già
sentito :
chi sono, da dove vengo, dove vado? conosci
te stesso!
ama il prossimo tuo come te stesso!
Lo sguardo scende dalla parete al tavolo e
l’occhio scorre su quello che c’è sopra.
Sono belli i simboli, sono accattivanti, mi viene voglia
di perdermi dentro in una meravigliosa quanto, qualche volta, inutile ricerca
dialettica. Vuol dire questo, no quello. Io lo vedo così, un altro lo vede in
una maniera differente.
E il simbolo, perfettamente indifferente a me, rimane lì a
guardarmi con un’aria di commiserazione mista a tristezza perché sa che il
giorno in cui io lo capissi, lui, in quel momento, diverrebbe perfettamente
inutile.
Poi c’è la bellissima ceramica di Faenza. Il mio ego,
compresso e straboccante è lì, in bella vista, ed io mi ci affondo dentro, mi
ci sguazzo come se fosse una piscina di acqua stagnante, me lo spalmo addosso
come se fosse una vernice opaca assolutamente impermeabile alla luce.
Non ho voglia di vedere altro che lui. Quasi tutto quello
che faccio, lo faccio in nome e sotto gli auspici suoi, anche quando non me ne
accorgo.
E il regno dell
‘io, del mio, del mi.
Mi piace, mi da fastidio, sono orgoglioso di quello che
faccio, anche quello che sembra un bene, mi piaccio nel compiacimento di me
stesso, delle mie abitudini, del mio orgoglio e di ciò che è più subdolo, e
cioè dell ‘ attaccamento ai metalli.
Anche la carne, anche i desideri, anche gli affetti, sono
metalli, sono piombo e non oro. Poi guardo meglio e vedo che, sovente, anche
quello che credo oro è un metallo. Dice un saggio proverbio “non è tutto
oro quel che luccica”.
Mi sento offeso se sono ignorato, mi sento lusingato se
sono lodato. Vedo tutto in chiave personale, egoica, come se fossi il centro
dell’universo, senza sapere, solo perché non ne ho la consapevolezza, che in
realtà sono il centro dell’universo.
La soluzione
del problema sarebbe, molto semplicemente, una lettura in chiave del sé e non
dell ‘io.
Non ho mai provato, quando mi guardo allo specchio, di
andare al di la di quello che guardo, perché mi sono sempre compiaciuto o
dispiaciuto solo di quello che lo specchio rifletteva. Non ho mai avuto il
coraggio di guardare dentro, oltre.
Molti sono i chiamati, pochi gli eletti e quei pochi sono
quelli a cui non importa nulla di essere chiamati, perché avendo la
consapevolezza di arrivare, non hanno il bisogno di scegliere sul “dove
andare”. Il “da dove vengo” equivale al “dove andare”.
Andare, andare, andare. Cercare sempre altrove quello che
con estrema facilità potrei trovare dentro di me, nel mio sé, senza muovermi.
Cerco purtroppo sempre la strada più difficile nella convinzione che questi mi
porti, più facilmente, al punto di partenza.
Beati quelli che crederanno e non hanno visto. Non c’è
bisogno di andare. La Divinità è dentro di me Basta che io chiuda gli occhi al
mondo e il divino mi appare.
Il mondo è l’ego, la divinità il sé. Riuscire a capire questo vuol
dire fare sacrificio che, secondo l’accezione originale del termine, non vuol
dire rinuncia, sofferenza, ma molto più semplicemente fare qualcosa di sacro.
Sacrificare significa dare un significato sacro a tutte le
meravigliose, apparentemente inutili banalità della vita. Non è vivere il
giorno da leoni. ma fare sacri i 100 giorni da pecora.
Non posso amare me stesso se non ho visto il sé che è
dentro di me. Non posso non amare gli altri se non ho visto in loro il mio
stesso sé.
Quando privilegio il bisogno di un altro rispetto al mio,
ho fatto un sacrificio, ho fatto un gesto di amore verso quest’altro.
Smetto di pensare. Sulla parete dinanzi a me la virtuale
maschera informatica si è modificata e mi sono apparse alla vista delle parole
dette da Alessio un giovane brillante nel fiore degli armi che un incidente di
macchina ha costretto alla carrozzella:
Non sono un corpo che ha
un’anima. Sono un’anima che ha un corpo.
Apro gli occhi. Tutto si è dissolto. Intorno a me non ci
sono più pareti. Solo uno specchio di fronte.
Dopo la pausa e la ricreazione estiva,
il lavoro, pur con qualche nuvola passeggera riprende con forza e con vigore.
Nel primo periodo dell’ Anno Massonico
si è dato spazio sia a un filone conduttore che aveva per tema “11
gabinetto di riflessione”, che a delle tavole di istruzione dei Fratelli 1
0 e 20 Sorveglianti. Altri fratelli hanno contribuito,
con le loro tavole e con i loro interventi, a rendere vivo e costruttivo il
Lavoro di Loggia.
Vi sono stati momenti in cui la
serenità si è leggermente offuscata, ma la saggezza dei fratelli ha permesso a
tutti di mettere in pratica quei principi di buon comportamento che sono
ispirati dalla nostra Istituzione.
Questo ha permesso a tutti di recepire
con serena dialettica, anche se in qualche caso antinomica, differenti punti di
vista di altri fratelli
E stata una ottima
scuola di tolleranza attiva e una dimostrazione di saggia azione.
Costruttiva è stata pure la visita dei
nostri Fratelli olandesi in occasione del passaggio di grado del Fratello
Guido.
Il Fratello Carlo Alberto ci ha creato
qualche patema d’animo per la sua salute. Sembra che, grazie all’aiuto, oltre
che di se stesso, anche di Forze Superiori che ci governano, le cose vadano nel
senso che tutti noi speriamo. Auguri dal profondo dei nostri cuori.
Nel semi/semestre che ci attende, il
programma prevede ancora una tavola di istruzione. Per il resto i temi sono
liberi.
Siamo vicini alla fine dell’ultimo anno
Massonico che inizia con 1000 E:. V e ci sarà in novembre la scelta delle
Cariche per il 2000 E V
Tutte le cariche sono un servizio verso
tutta la Loggia e sono gli stessi Fratelli a scegliere coloro che, tra di essi,
devono svolgerli. La loro disponibilità al riguardo deve essere ed è sempre
stata piena e senza riserve.
All’inizio del
corrente anno massonico avevo scritto:
Parecchi fratelli
all ‘inizio del 1998 avevano suggerito che il corso normale degli eventi limitasse
a due anni il tennine massimo per un corretti svolgimento delle funzioni di ME
Condividevo e condivido questo modo di vedere le cose.
Confermo in pieno le mie parole che
volevano e vogliono essere fondamentalmente un adeguarsi sereno e rispettoso alla
volontà della Loggia.
Saranno soltanto i Fratelli Maestri,
lontano dai rumori del mondo profano, a scegliere in piena autonomia
istituzionale ed in saggezza il M. V. e le Cariche di Loggia.
Non ci sono dubbi
che le scelte saranno giuste e perfette.
(dedico questa parte della mia modesta
fatica alla Comunità ebraica fiorentina e alla Massoneria di cui
orgogliosamente faccio parte).
La non-violenza è la risposta ai cruciali problemi
politici e morali del nostro tempo; la necessità per I ‘uomo di avere la meglio
sull ‘oppressione e la violenza senza ricorrere all ‘oppressione e alla
violenza. L ‘uomo deve elaborare per ogni conflitto umano un metodo che rifiuti
la vendetta, l’aggressione, la rappresaglia. Il fondamento di un tale metodo è
l’amore. (Martin Luther King – discorso pronunciato l’Il dicembre 1964 in
occasione della consegna del Nobel).
I – Quando diciamo violenza, immediatamente
evochiamo immagini di violenza fisica, scenari di sopraffazione, soprusi che
vengono consumati da chi è armato contro chi è disarmato e inerme. Ma la
violenza indossa spesso abiti gioiosi ed innocenti, è subdola, ingannevole e,
quel che è peggio, difficilmente riconoscibile. Si presenta anche sotto le
spoglie della educazione al buon vivere civile: in questo caso è irresistibile.
Si impadronisce delle coscienze, conficca su di esse le pietre di confine a
delimitare un territorio di cui presto sarà padrona incontrastata. “Date a
me le loro giovani coscienze, e poi tenetevi per tutta la vita I ‘uomo che ne
uscirà “, diceva una antica massima gesuita pronunciata la prima volta da
chi la sapeva lunga sul “condizionamento”, al limite del plagio, che
l’educazione può produrre. Anche questa può essere violenza.
La violenza è costrizione. Obbligare in qualche
modo e con qualche mezzo, qualcuno a fare ciò che non vorrebbe fare o a non
fare ciò che vorrebbe fare è violenza. In questo senso non esistono soltanto uomini
violenti, ma anche società violente,
Non vi può essere legittimità per la violenza.
Tuttavia viene da domandarsi: ma è sempre vero che costringere qualcuno a fare
qualcosa che non vuol fare è violenza? E gli obblighi che abbiamo contratto con
noi stessi e con gli altri, non sono anch ‘essi costrizioni, magari non molto
gradite, ma certamente sacrosante? E perché non dovremmo essere obbligati a
rispettare patti liberamente sottoscritti? E il rispetto della Legge? Se è vero
che non vi può essere legittimità per la violenza, nondimeno va sottolineato
che una costrizione legittimamente esercitata al fine di far compiere un dovere
dimenticato, non può essere considerata violenza.
Ma chi può giudicare sulla legittimità o meno di
una obbligazione’? La legge morale in primo luogo, perché è proprio la stessa
legge morale a conferire legittimità alle azioni degli uomini.
2 – Non violenza, segna il prevalere della ragione sulle
forze, il netto rifiuto della violenza. E questo un termine dal significato
molto esteso, che richiama una intera cultura legata alla libertà ed alla
tolleranza. Una libertà ed una tolleranza interpretate secondo il punto di
vista massonico. Libertà di fare tutto ciò che è nel nostro potere di fare, ma
non senza limiti, bensì fino a quando non viene lesa la libertà degli altri.
Tolleranza, non un trascurato e irresponsabile lasciar fare, ma comprensione e
rispetto per le opinioni degli altri: un rispetto spinto fino a compiere ogni
tentativo di comprenderle e, nondimeno, senza mai, in nessun caso, deporre la
dignità delle proprie.
Il rifiuto della violenza nasce da qui ed impone il non
uso della violenza non solo per imporre il nostro volerc, ma anche nel caso in
cui si voglia impedire ad altri di imporlo a noi. Gli esempi non mancano: valga
la citazione dell’indiano Gandhi che, nell’allocuzione di difesa contro
l’accusa di sedizione il 23 marzo 1922 ebbe a dire: “La non-violenza è il
primo articolo della mia fede. E’ anche l’ultimo articolo del mio credo.
Sostituire alla violenza la non-violenza, sostituire Fuso
della ragione all’uso della forza, questo è il grande merito di chi sa
intendere il richiamo della ragione, giacché con I ‘uso della ragione si
costruisce, con l’uso della forza si distrugge.
Pure in questi ultimi tempi vi è un ritorno quasi
nostalgico alla violenza: sessuale, violenza contro i minori, violenza negli
stadi, violenza politica, scorribande contro gli ebrei, profanazione di tombe
in Germania ad opera dei nazi„skin, scritte e simboli della persecuzione
antisemitica anche a Roma, Come se gli orrori recenti di una guerra che ha
sconvolto il mondo ed ha lasciato ferite ancora non rimarginate, fossero stati
dimenticati: cinquant’anni, appena due generazioni. Ed è come se ce ne fossero
trascorsi mille, tanta è labile la memoria umana, tanto sono forti i
pregiudizi, tanta è la voglia di violenza che cova nell’animo umano,
soprattutto nelle giovani generazioni, tanto i fatti attuali si ripropongono
simili a quelli già accaduti, quasi una ripetizione di un film fin troppo
tristemente noto. Ma con una differenza: questa volta non vi è la
giustificazione di un nazismo e di un fascismo che premono con una massiccia
propaganda di regime su folle di uomini ormai completamente plagiate, questa
volta vi è una Europa orgogliosamente libera che non spinge nessuno a
comportamenti in contrasto con le regole democratiche e, nonostante ciò, i naziskin
operano senza alcuna regola né ragione che siano diverse dalla più pura e
perversa logica della “violenza per la violenza”.
Segno che non si è fatto abbastanza affinché il rispetto
dell’uomo, di ogni uomo, diventasse convincimento, costume. Segno che non è mai
troppo il parlare, troppo il cercare di convincere che una convivenza civile
non può non basarsi sul rispetto reciproco, sulla tolleranza, sulla eleminazione
di ogni forma di violenza,
3 – Che fare? Stare immobili a guardare e sedersi sul
morbido cuscino del lasciar fare? Non immischiarsi in queste faccende perché
tanto non ci riguardano? E questo il miglior modo di esistere, oppure ciò
equivale a tapparci occhi e orecchi e isolarci dal mondo come se il mondo fosse
cosa che non ci riguarda? Personalmente non sono di questo avviso. Ritengo
invece non si possa più consentire che giovani scalmanati in preda al più cieco
fanatismo facciano uso del linguaggio della violenza in ogni occasione, partite
di calcio comprese. Soprattutto non si può consentire che essi si abbandonino
ad atti di teppismo nci cimiteri ebraici, nei quartieri ebraici, che ricorrano
ai simboli di un passato ancora troppo vicino perché chi li scorge non sia
percorso da brividi di sdegno e di paura, che si rivedano le scritte, le croci
uncinate, le stelle gialle di David. C’è un passato di abiezione che, sia pure
rievocato da sporadiche bande di irresponsabili, non può riaffacciarsi senza
che ciascuno di noi non debba provare vergogna.
Qualcosa si deve fare.
Lo dobbiamo fare noi gridando con tutta l’energia che
abbiamo in corpo, da uomini liberi che amano la libertà e la vogliono per loro
e per gli altri. Lo dobbiamo fare noi dissociandoci da queste turpi
manifestazioni ovunque esse si producano. Lo deve fare lo Stato con le proprie
forze dell ‘ordine intervenendo per rimuovere ogni barlume di rivolta, perché
di questo si tratta, di sfida alla pubblica e civile moralità e di sedizione
nei confronti dello Stato democratico.
Ne va del nostro onore di
cittadini, ne va della nostra credibilità di giovane, ma salda democrazia
europea.
Che la violenza sia per sempre bandita
dalla nostra vita civile.
Ma se tutto questo riguarda i comportamenti da
tenere in questo frangente in cui si manifesta una crisi virulenta di fanatismo,
occorrerà domandarci il perché dei fatti cui stiamo assistendo. II problema ci
deve far riflettere per farci domandare se abbiamo fatto tutto quanto era
possibile fare per evitare che il fanatismo tornasse cosi prepotentemente alla
ribalta. Dobbiamo domandarci se, ad esempio, sono stati ricordati ai nostri
giovani quali sono gli orrendi frutti della violenza ancora tanto vicini da
potersi toccare con mano. Dobbiamo domandarci se abbiamo fatto tutto quanto era
possibile per offrire ai nostri giovani un mondo nel quale i “valori
morali” della convivenza civile, che significa rispetto dei diritti di
ognuno, non fossero soltanto mere enunciazioni teoriche, ma concrete realtà. Ci
dobbiamo domandare quale è il terreno sociale nel quale li abbiamo costretti a
vivere i loro giovani anni e dobbiamo verificare se, per loro, sia stato
prospettato un avvenire di giustizia, di pace, di concordia sociale, di lavoro.
E se non l’abbiamo fatto fin ora, lo
dobbiamo fare d’ora ln avanti.
– Televisione italiana: lezione di violenza.
Non passa giorno che ciascuna della tre reti
nazionali non somministri senza alcun riguardo programmi nei quali la violenza,
se non viene esaltata, di certo viene presentata come qualcosa di familiare, di
consueto con cui si deve convivere. In tal modo, con questa dosa massiccia,
ritmicamente ripetuta, oserei dire sapientemente ripetuta, si fa credere che la
violenza altro non sia che un modo usuale di essere, un ingrediente non
occasionale, ma abituale della nostra vita, affatto evitabile e tutto sommato
tollerabile e accettabile e, perché no? , quasi desiderabile, forse necessario.
Ed è una violenza non di rado spietata, efferata, cinica, rivoltante: solo la
realtà propone, talvolta, esempi peggiori.
Si contribuisce in modo forse decisivo al consolidamento
di un mito: il mito della violenza. Si accredita la tesi che in questo mondo
conti solo la forza, E si fa intendere che la forza può essere proficuamente
usata per imporre le proprie idee: con la violenza il mondo può essere tuo,
sembra dire la tivù e, intanto, offre a chi la guarda un modello di uomo
violento da assumere pcr se stessi, un modello di uomo che ha in dispregio l’amore,
la pietà, la solidarietà per il prossimo e non li riconosce più come sentimenti
su cui si deve basare il sodalizio umano. Perché questo accade: la
rappresentazione della violenza ha un effetto devastante nelle menti deboli e
nelle coscienze in formazione; scaccia la pietà, distrugge la solidarietà,
alimenta il cinismo. Come una mala pianta occupa i territori dell’anima e si
sostituisce all’amore e alla solidarietà. Su questi territori la pianta della
benevolenza non attecchisce più.
Vuole essere solo una riflessione. Anche i
sentimenti umani, per nascere e per crescere, hanno bisogno di un clima
favorevole. Occorrerà stare più attenti al clima morale che noi
“costruiamo” per i giovani e non solo per loro. Facciamolo con
rigore, se vogliamo che questa mala pianta venga estirpata.
– Ancora, osserviamo con tristezza alla ripresa su
vasta scala di atti persecutori nei confronti di libere e benemerite
associazioni come la massoneria. Da diverso tempo, dopo l’episodio P2, si
poteva constatare il persistere di una relativa calma interrotta da qualche
invettiva proveniente dalle postazioni che le sono state tradizionalmente ostili:
Ic solite accuse gratuite c mai provate, eppure divenute abietta consuetudine
nei secoli; ci siamo purtroppo abituati, anche se alle calunnie ed alle accuse
non ci si abitua se non con pena e fatica. Qualche mese fa si è scatenata una
nuova tempesta.
Il Paese è stordito da due episodi incredibili. Due
giudici di prima linea nella lotta alla mafia, Falcone e Borsellino, vengono
uccisi insieme alle scorte. Due attentati diversi, ma identici per la ferocia
con cui sono stati eseguiti e per la peculiarità di vere e proprie azioni di
guerra contro lo Stato. Lo Stato sembra accusare il colpo, ma reagisce sospinto
dall’onda di sdegno e di protesta levatasi da ogni parte d’Italia, Sicilia
compresa.
Il Paese reagisce dolorosamente. ma duramente
cercando di svincolarsi dalla morsa della malavita che alza protervamente il
tiro e sfida lo Stato reo di ostacolare il suo criminale disegno che ha i suoi
momenti salienti nello spaccio della droga e nel raket delle estorsioni.
Intanto da pane dei giudici milanesi si dà inizio ad
una azione di scoperchiamento di attività illegittime compiute prevalentemente
da politici o da uomini che i partiti avevano indicato a capo di
amministrazioni pubbliche. Da Milano dilaga in tutta Italia per divenire una
vera e propria parata del malaffare, oggi meglio nota col nome colorito di Tangentopoli.
ln tutta questa triste situazione, fatta di prove
provate e non di insinuazioni ed accuse generiche ed infondate, sono coinvolti,
chi più chi meno, tutti i partiti che hanno avuto in qualche modo, anche
occasionalmente, rapporti più o meno diretti col potere. Lo sapevamo e lo
sapevano: la massoneria ne è fuori. E questo non solo era vero, ma,
miracolosamente, appariva anche all’opinione pubblica. Ci siamo guardati
intorno con malcelata soddisfazione, anche se successivamente abbiamo appreso
che alcuni di noi, che pure avevano operato non certo per conto della
massoneria, ma dei partiti, avevano partecipato a quelle tutt’altro che commendevoli
imprese. Ma una cosa era assolutamente certa: la massoneria era estranea alle
tangenti e al malaffare.
Ma una massoneria estranea a certe situazioni
contrastava coi pregiudizi di alcune categorie di “ben pensanti” e,
soprattutto, contrastava con gli interessi di una gran parte di gruppi, mafiosi
e politici compresi. Si studia un diversivo. Per chi detiene il potere
politico, economico e giudiziario è uno scherzo da ragazzi. Così si da inizio
alla tradizionale persecuzione. Si parte da quello che è stato definito il
teorema Pintacuda-Orlando “politica, affari, mafia, massoneria” e si
avanza l’ipotesi di un patto sciagurato tra mafia e massoneria. Il teorema,
ovviamente non provato, piace. A tutti. Ai politici, che finalmente vedono
allentata la presa dell ‘opinione pubblica. Alla mafia, che vede di buon occhio
la distrazione delle forze dello stato impegnate su altri fronti. Alla stampa,
sempre alla ricerca di nuovi scandali, che vede con piacere giungere finalmente
uno scandalo nuovo nel momento in cui quello di tangentopoli, ormai in atto da
tempo, si sta logorando. Alle gerarchie ecclesiastiche che, quiete cd animate
da sentimenti che invano ricercheremmo nel Vangelo, vedono finalmente
combattuto un secolare nemico senza il rischio di un impegno diretto. Alla
opinione pubblica che, in fondo, vede soddisfatto il desiderio di mettere
finalmente le mani su qualcosa di solido e di inafferrabile .
Come se non bastasse, il Consiglio Superiore della
Magistratura, richiede al reggitore
dell’importante procura di Palmi, i nomi dei giudici che si trovano compresi
negli elenchi requisiti alla massoneria, Grandc Oriente d’Italia compreso.
Questo è certamente l’episodio più grave, perché si configura come un vero e
proprio attentato alla integrità dello Stato democratico, colpendolo nei suoi
istituti più significativi conquistati dopo la caduta del fascismo, il diritto
alla libertà individuale e il diritto di associazione. E ciò per almeno due
ragioni: la prima, perché si infrange in tal modo il segreto istruttorio; la
seconda, perché da tale segnalazione si vuole conoscere i nomi di quei
magistrati nei confronti dei quali si ha in animo di adottare provvedimenti non
certo orientati verso un avanzamento di carriera; e, si badi bene, non certo
per un reato commesso, ma per il semplice motivo che essi hanno utilizzato il
diritto garantito dalla Costituzione Repubblicana di associarsi partecipando ad
una associazione legittima c come tale riconosciuta dalla Stato, quale è
appunto la massoneria del Grande Oriente d ‘Italia.
Tutto ciò è grave per i riflessi, ma lo è ancor più per i
presupposti. Si possono suddividere i cittadini tra buoni e cattivi solo in
presenza di atti che consentano la formulazione di un tale giudizio. E una
regola generale che certamente vale anche tra i selvaggi dell ‘Uganda. Non
sembra valere invece in questa Italia
che, non comprendo per quali motivi, viene indicata come culla del diritto, ma
che adesso sembra avviata a divenire piuttosto la bara del diritto. Prima di
discriminare i giudici massoni da quelli non massoni e di discriminarli come è
stato fatto a suo tempo con il giudice Vella, occorre accertarsi se
l’associazione di cui essi fanno parte pretenda dai propri affiliati una
fedeltà che va contro le leggi dello Stato e che tale fedeltà si contrapponga
alla fedeltà che la funzione pubblica loro affidata esige nei confronti dello
Stato. Ma questo certamente non è avvenuto. Potrei aggiungere che è stato
sistematicamente evitato. Ciò sta a significare che si opera non in base a
fatti accertati, ma a pregiudizi duri a morire oggi più che mai utili per
attuare disegni eversivi, questi sì, occulti. E se questo accade nella
magistratura è la morte di questa Italia repubblicana e democratica, è la morte
dello stato di diritto, è il trionfo di una mentalità discriminatoria mai
definitivamente scomparsa e che per tanti secoli ha guidato la mano pesante
dell’inquisitore e gli ha consentito di “liberare” il mondo dal
demonio con l’uso della tortura e del rogo.
eccoci qua di nuovo riuniti dopo la pausa estiva.
Come la maggioranza di voi ha voluto, sono per la terza volta seduto qua, a
dirigere i nostri lavori; questa sera sarà una tomata particolare, in quanto,
diversamente dal solito, la parola la terrò io e non la concederò se non alla
chiusura del nostro lavoro.
Questo perché vorrei, questa sera, tracciare in modo
ben chiaro e preciso quella base di cui già avete letto sulla mia lettera di
convocazione e parlato la scorsa settimana con il carissimo fratello Bld. Cioè
dei lavori per l’anno massonico che ci attende.
Innanzi tutto veniamo ad un aspetto, forse il più
importante di tutti: la frequenza!!
Tralasciando casi particolari ed eccezionali, penso che
siate tutti concordi con me che chi frequenta solo saltuariamente i lavori non
solo trae scarsi benefici dagli stessi, ma può rallentare il ritmo del lavoro
degli altri fratelli, e perché io si deve ragguagliare su ciò che è stato, e
talvolta addirittura con i suoi interventi fuori tono. Quanto meno quindi, coloro
che sono impediti a venire, d’ora innanzi si premurino, durante la settimana,
di sapere cosa è stato fatto e detto. Mi raccomando che lo si faccia con chi
può dire senza infrangere il segreto giurato alla chiusura del lavori (una
delle luci di Loggia).
Ma più ampiamente guardando la cosa, occorre cioè
stabilire se si è interessati o no a frequentare questa istituzione, ed in
particolar modo la Loggia Pedemontana.
Seguendo questa considerazione, vi comunico che ho
intenzione di far avvicinare quei fratelli che, senza valide ragioni, disertano
i lavori..
Con voi che siete ora presenti, è inutile che mi dilunghi
però sull’argomento. E agli altri che devo parlarne ampiamente, passo quindi a
parlarvi dei lavori verr e propri.
Essi si svilupperanno nei tre gradi tradizionali, sia
separatamente che tutti insieme, così come deve essere. Ora mi ovviamente a
parlare del lavoro comune, in camera di apprendista.
Per punti principali si articolerà in: conoscerci
maggiormente, perché è impensabile che ci si chiami fratelli e si vogliano
raggiungere alte mene in comune e poi non si conosca neppure il nome di
battesimo o la professione o quegli altri dati del genere che non sono di per
sé importanti, ma che tuttavia contribuiscono in maniera decisiva a formare di
ciascuno di noi un ben preciso individuo.
Occorre cioè che ci si conosca reciprocamente, che ci
diciamo perché siamo entrati in questa istituzione, che cosa speravamo di avere
e di trovare, che cosa speriamo ancora e perché vi restiamo. Tutto questo senza
alcuna ipocrisia e senza illusioni, con semplicità. Molto meglio dire di essere
delusi ma ancora fiduciosi che la situazione possa cambiare, che ingannare
soprattutto se stessi.
Pur avendo tutti dato prova, al tempo della tegolatura, di
sentire lo stesso desiderio per la stessa Ricerca, non è affatto detto che
tutti si cerchi nello stesso modo, né ciò è necessario. E invece necessario
appurare se e come abbiamo cercato e cerchiamo di mettere in atto quella
potenzialità, che all ‘inizio ci è stata riconosciuta.
Allo scopo di risolvere questo problema, ho pensato che, a
turno, ognuno di noi, cominciando dai maestri, si ponga a disposizione per
rispondere alle domande dei fratelli. Una specie di gioco della verità,
insomma, più serio però perché vorremo farlo sul serio.
Poiché su questo argomento vi penso sostanzialmente
d’accordo e riservandomi di tomare su questo argomento presto anche
praticamente, passo ad un altro punto base del programma, che sarà la parte su
cui farà pemo tutto il nostro lavoro di quest’anno, quindi sarà il lavoro più
importante: il glossario.
Assegnerò inizialmente una parola, o un simbolo, o un
concetto a delle commissioni di tre fratelli ciascuna che dovranno studiare ed
analizzare tale parola in riunioni informali e di solito extra giovedì; quindi
scolpire una tavola o comunque relazionare la Loggia sulle conclusioni cui
saranno pervenute. In ogni commissione dovrà esserci almeno un maestro e un
compagno. 11 maestro sarà il relatore ed il responsabile della propria
commissione.
Queste parole e questi simboli costituiranno l’ossatura
della prossima tornata di due giomi, che certamente organizzeremo, ma in data
da definire (marzo/aprile?). Circa l’organizzazione di questa tomata
straordinaria auguro di ricevere, da parte vostra, degli utili suggerimenti.
Ma, tomando al lavoro del glossario, vorrei che mi
segnalaste quelle parole o simboli che vorreste chiariti, ed anche in qual modo
dovrebbe essere chiarito l’aspetto letterale, storico, filosofico, quello
“celato sotto velame”, eccetera.
In ogni caso, anche qui risulta chiaro fin dall’inizio che
questo lavoro sarà utile a chi vi darà la propria piena partecipazione. Nessuno
può pensare od imparare per nessun altro. Quindi questo anno più che mai
frequenza ed impegno saranno necessari.
Ecco perché, come ho già detto, sarò severo con gli
assenti, e severo anche nel valutare le giustificazioni.
Ma ora, per contribuire ad abbattere la pigrizia e
titubanza insite in ognuno di noi, vi segnalo un’altra iniziativa! Organizzerò
delle riunioni non obbligatorie, ma che mi auguro saranno piacevoli e
frequentate, oltreché utili.
Come sapete, traiamo le nostre origini dall ‘antica
corporazione dei muratori, da coloro cioè che erano addetti a costruire
soprattutto cattedrali e che raggiunsero vette di perfezione veramente
stupefacenti. Come anche saprete, il periodo più fulgido viene da tutti inteso
come quello del “gotico”
Orbene, vorrei che noi si cominciasse ad andare a
vedere queste opere meravigliose, anche in considerazione che ne abbiamo di relativamente
vicine (Vezzolano, Staffarda, Ranverso, Sagra di San Michele).
Se la cosa, come spero, avrà un buon esito, si può
pensare di allargare il raggio delle visite, e si potrebbe allora pensare anche
ad un allargamento alle nostre famiglie. Affinché non vada sciupata una
occasione così splendida, prima della visita, alcuni fratelli, costituiti anche
qui in apposita commissione, studieranno per quanto possibile l’opera in modo
da farci gustare anche quei particolari che normalmente non si gusterebbero.
Saranno anche questi momenti che ci potranno
aiutare a conoscerci meglio. Questa è un’iniziativa che si potrebbe attuare
unitamente ad altre Logge o gruppi di fratelli.
E ora passiamo ad un aspetto nuovo della nostra
Loggia e che può essere anche questo molto interessante. Come sapete, alla fine
dell’anno scorso, abbiamo dato il via alla biblioteca Pedemontana, con una
formula particolare: i libri infatti restano di proprietà del fratello che li
apporta e vengono dati in prestito a chi li desideri per un periodo di tempo
determinato, sotto l’attenzione del fratello Scch, e in sua assenza del
fratello Orlnd, e sotto la cura e la responsabilità di chi li riceve.
Perché possa assolvere validamente il suo compito è
necessario tuttavia che ognuno di noi apporti quanti più volumi può! I suddetti
due fratelli hanno anche l’incarico della ricerca dei volumi che possono
interessarci, sia stabilendo contatti con altre officine ed associazioni, sia
girovagando tra negozi e bancarelle. Ovviamente tutti possono e devono collaborare
per coprire le lacune.
Qualora tutto questo fitto programma a qualcuno no
sembrasse sufficiente, ricordo l’esistenza di tutte le varie istituzioni para
massoniche che attendono nuova linfa, sia personale che finanziaria.
A proposito di finanze due cose: la prima è di
sollecito per chi non è ancora in regola per il ’75 nei versamenti al tesoro di
Loggia. Dobbiamo saldare al più presto i nostri debiti. La cifra non è elevata,
ed è auspicabile che invalga d’ora in poi l’abitudine di pagare per semestri
anticipati, se no addirittura l’intera annualità eliminando così molto ingrato
lavoro al fratello Angln’ e permettendo alla Loggia di far fronte a tempo
debito ai suoi impegni..
L’altro aspetto riguarda il tronco della Vedova. Se
ci impegniamo tutti, potremmo studiare l’istituzione di una borsa di studio da
assegnare magari ad una tesi sulla Massoneria o ad un argomento da noi scelto.
Un breve calcolo dimostra che è possibile. Nove mesi di riunioni, quattro volte
il mese meno le festività, con 20 fratelli presenti, a mille lire
l’uno dà la rispettabile cifra di 600.000 lire. Se lo ritenete fattibile, lo
faremo. tenete inoltre presente che anche gli assenti sono tenuti a coprire il
tronco della Vedova. Potrebbe essere un gesto di aiuto verso un giovane.
L’anno scorso ho introdotto una piccola pausa di
silenzio all’inizio dei lavori affinché ci si potesse rasserenare, si potessero
dimenticare i problemi che ci accompagnano purtroppo costantemente tutta la
vita. Ciò in ossequio all’insegnamento muratorio di lasciare fuori tutti i
metalli, così come ci è stato imposto all’atto della nostra iniziazione. Solo
così si può trovare il giusto spirito per lavorare insieme, con tolleranza.
Bene! Quest’anno vorrei andare oltre! Oltre a tale
pausa, che verrà mantenuta avendo dato dei buoni risultati, ne introdurrò
un’altra ancora più importante e difficile: essa sarà a metà serata circa e
sarà dedicata alla meditazione.
Che cos’è questa meditazione? Mi auguro che sia una
domanda superflua e retorica, comunque vediamo di porre una base comune.
È meditazione l’atto di cercare il vagabondaggio
della nostra mente per fissarlo su qualche cosa: il vuoto, una parola, un
simbolo. E, come ho detto, difficile. Ma si può almeno tentare di farlo, e
quale luogo e quale momento migliore delle nostre tornate? Come riuscirci poi,
c’è in Loggia chi potrà insegnarvelo meglio di me.
E poi stato detto che “se mediti bene, la
corrente che viene introdotta nella tua mente continuerà a scorrere anche nel
bel mezzo del lavoro quotidiano”. E come se un’unica idea venisse espressa
in due modi allo stesso tempo: quello della tua meditazione e quello della tua
azione.
E con questo ho terminato, finalmente la parte
propriamente programmatica. Ora vorrei, prima di chiudere i lavori, ricordare
ancora con due parole gli impegni specifici delle varie cariche di Loggia.
Al primo sorvegliante spetta di controllare in genere
il lavoro svolto nel tempio, ed in modo speciale quello dei compagni e dei
maestri. Egli rappresenta la serietà del lavoro e la severità del giudizio.
Il secondo sorvegliante invece sovrintende la colonna
degli apprendisti e sovrintende il riposo. I suoi interventi saranno sempre
improntati alla fratellanza e alla tolleranza. Cura anche la parte ricreativa.
L’oratore è il garante che tutto si svolga secondo i
dettami di Costituzioni e regolamenti. Sarà egli che mi domanderà di togliere
la parola ad un fratello che travalichi la tolleranza. E ancora a lui che
compete rivolgere le parole di benvenuto ai neofiti e nelle ricorrenze
ufficiali.
II segretario prende nota delle presenze e delle
assenze, dei lavori che si svolgono e risolve le difficoltà amministrative.
Quindi le giustificazioni per assenze vanno fatte a lui o a me. Se non fosse
possibile, ad uno dei due sorveglianti.
Tali giustificazioni, lo ricordo ancora una volta, se
superano una tornata, devono essere fatte per iscritto. Esse possono essere
accettate per: lavoro profano e presso altre Logge; motivi di famiglia, salute;
motivi particolari e delicati da segnalare a me stesso. Requisito minimo per
essere comunque accettate è essere in regola con i pagamenti al tesoro di
Loggia per l’intero periodo di cui si chiede la giustificazione.
L’ospedaliere dovrà visitare, o comunque contattare,
tutti i fratelli assenti per malattia, e quindi riferirne i n Loggia
Per le cariche di tesoriere e di archivista
bibliotecario ho già ampiamente detto.
Al Copritore interno compete di esaminare tutti gli
eventuali visitatori (richiedendo tessera, parola di passo e semestrale, ecc.)
a meno che ne abbia avuta esplicita dispensa da me stesso.
Il Maestro di casa si occuperà dell’organizzazione di
tutte le nostre manifestazioni con l’esterno, d’accordo con il 20 sorvegliante.
Quest’anno poi mi piacerebbe riuscire a selezionare
della musica che, opportunamente registrata, possa essere impiegata durante le
cerimonie d’iniziazione, d’apertura e di chiusura dei nostri lavori, ma di ciò
avrò ancora occasione di parlarne.
un argomento che, iniziato dal Fratello Vttr ed aveva
suscitato il mio interesse, ma non era più stato ripreso, era sul dove, quando
e come nascano le idee.
Questo può essere un tema da approfondire poiché mi
apre possa condurci molto lontano. Dove, si diceva? Nella mente, o meglio, nel
cervello. E cioè un qualche cosa che seppure astratto, e riconducibile al
concreto, al fisico. O forse . no! Vediamo.
Provo a partire non dalla normalità, ma dall
‘anormalità. Dai pazzi, cioè. Essi vengono “curati” da chi e come? Da
psichiatri che, come sappiamo, sono sovente per necessità, ai confini tra
medico e missionario. Perché questa differenza con i comuni malati? Forse
perché la pazzia, nelle sue varie manifestazioni, non colpisce un osso, un
muscolo o un nervo bensì un qualche cosa di impreciso e di indefinito, che solo
semplicisticamente si chiama cervello, o mente.
Direi, allora, che il ragionamento è un concatenamento di
“forze”, anche misteriose, che nel pazzo sono slegate. o meglio,
deviate dalla “retta via”.
A questo punto comincio a rendermi conto che l’idea
non è una “cosa” fisica come avevo supposto! È allora un qualche cosa
di spirituale? O è forse qualche cosa d’altro ancora?
L’uomo, a mio giudizio, è sempre molto lontano dalla
“luce”. Non sono neppure tanto sicuro che vi si stia avvicinando, nel
cammino che ha intrapreso. Solo con la costante verifica di tutti i suoi atti,
i suoi gesti, i sui pensieri egli può, procedendo appunto a tentoni, pensare di
avvicinarsene, e di non procedere invece per tortuosi sentieri, verso una falsa
luce, magari addirittura un riflesso!
Ma è uno spunto come questo che ci fa intravedere
quanto sia ancora lungo e complesso il nostro cammino. Innanzitutto non
sappiamo quale sia la meta, infine non sappiamo che strada percorrere, né con
quali mezzi e quanto tempo durerà. Non abbiamo neppure la certezza di arrivare
eppure io sono convinto che sia doveroso accingersi a compiere questo viaggio
verso la Luce.
La Massoneria ci da un’idea, uno stimolo,
un modo di agire! Usiamoli! !
Sappiamo di poter contare sul
fraterno aiuto e sulla fraterna comprensione, quindi si parte già
avvantaggiati. C’è, nel Tempio, una atmosfera psichica adatta ad aumentare
sempre più la buona volontà di cui abbiamo dichiarato essere armati. Riconosco
che, paragonata ai dubbi di prima, ciò non è molto, ma non è neppure poco.
Trattandosi di introspezione è chiaro che si tratta
tuttavia di un lavoro che solo l’individuo può compiere in se stesso. Nessuno
quindi si illuda di poter pigramente parteciparvi, sperando di raccogliere i
riflessi della “Luce” di qualcuno che ha lavorato.
Questa è una scuola, ma senza esami finali se non con noi
stessi, e non ci si può ingannare, almeno su queste cose! !
Ciò che dirò ora altro non vuole che essere
un invito.
Ben vengano le tavole, meglio se ricche di citazioni e di
dati, ma meglio ancora vengano coloro che, senza tavola precedentemente
scolpita, prendono la parola per dire le loro idee, i loro pensieri. Facendolo
semplicemente con il cuore in mano, forse anche con le imperfezioni
linguistiche che vengono dall’improvvisazione, ma con convinzione e con
l’intento di “aprirsi” agli altri Fratelli. Ecco ciò che vi si
chiede! La profonda convinzione di ciò che si afferma, risultato di una lunga e
laboriosa verifica; oppure il dubbio, la speranza che i Fratelli ci aiutino a
dissolverlo.
Per tutto questo, noi sappiamo di poter contare sulle doti
peculiari di ogni singolo Fratello, in quanto tale: Tolleranza, soprattutto, e
poi Libertà.
Qui infatti ci si trova non tanto ad approfondire una
cultura, magari di tipo nozionistico, o, peggio ancora, per far sfoggio di
sapere, bensì per aiutarci, per chiarirci i dubbi o per comunicare le proprie
emozioni e le proprie esperienze, che i Fratelli ascolteranno e, qualora lo
reputino utile, apporteranno il loro contributo.
Per giungere a ciò in modo realmente costruttivo
evidentemente occorre avere già iniziato la sgrossatura della pietra grezza.
Ecco un altro motivo di silenzio per I ‘ apprendista.
Vorrei che tutti voi vi convinceste che solo così si potrà
sperare di costruire il nostro tempio, quello interiore e, quindi, di riflesso,
esterno (per il bene dell’Umanità).
Contate quindi con certezza sulla fratellanza e sulla
tolleranza dei vostri fratelli, e quando sarete chiamati a dimostrarla, non a
parole, ma con i fatti, fatelo appieno e fino in fondo!
Intervenite sulle tavole altrui, per portare il vostro
pensiero di uomo libero, ma con tolleranza: chi ha scolpito la tavola, o
comunque comunica qualche cosa al fratello, deve sapere che altri possono
pensare diversamente da lui. Egli, quindi, con la massima tolleranza e rispetto
ascolterà ciò che tu dici, e ne mediterà. Chiaro che anche il tuo intervento
deve essere non in polemica, ma per costruire, per chiarire.
Meditate su ciò che il fratello dice e, se ne ravvisate il
caso, intervenite subito o anche nelle settimane successive, specie se pensate
che la vostra parola possa essergli di aiuto o di chiarimento.
Sforziamoci tutti insieme affinché la parola FRATELLO
abbia un pieno significato, non solo tre ore la settimana, ma anche per tutto
il tempo in cui le nostre occupazioni ci tengono lontani. Qualche minuto per
conversare, anche soltanto telefonicamente, con il nostro Fratello cerchiamo di
trovarlo. Non solo, ma io ancora propongo: non fossilizziamoci con uno o due
Fratelli con cui già esistono rapporti, magari addirittura da prima delle
vostre iniziazioni!
Siamo in 36 in questa Loggia, e tutti Fratelli, e tutti
eguali! Forse non tutti voi sapete addirittura il nome di battesimo o la
professione degli altri.
E come volete costruire su queste basi? Come potete
pretendere di sviscerare insieme un problema , se non sapete chi egli sia, come
la pensa, e perché pensa in un determinato modo.
Ho fatto fare una rubrichetta telefonica con nostri nomi e
indirizzi, non perché la seppelliate in una tasca, ma affinché la usiate.
Non abbiate paura di offendere un fratello, se con ciò che
dite o fate c’è qualche cosa che nel mondo profano non verrebbe accettato.
Siamo qui per migliorarci l’un l’altro!
Se egli anziché affrontare la vostra frase, il vostro
pensiero se ne discosterà o lo rifiuterà, ebbene voi siete ne giusto e lui
nell’errore!
vorrei, alla ripresa di questo Anno Massonico, fare alcune
riflessioni che mi vengono dettate dall’attaccarnento che provo verso
l’Istituzione in generale e verso le idee che essa propugna, cd anche verso
questa particolare Loggia che, molti certo sanno, il considero “la”
Massoneria.
E qui, tra queste colonne, che io da quando sono
stato iniziato tento, con altema capacità e fortuna, di squadrare la mia
pietra, in vostra compagnia e con il vostro aiuto, che non può essere altro che
un confronto. Naturale quindi che mi identifichi in essa.
Facendo queste considerazioni, vado con la memoria alla
sera dell’iniziazione, ed in particolare ad una domanda:
“Che
cosa chiedete alla Libera Muratoria?” la risposta suggerita, ma che deve
essere vera, è: “la Luce”.
Mi fu poi spiegato, e comunque lo dovevo poi
comprendere da solo, che tale ricerca è quanto mai ardua e impegnativa. Ricerca
alla quale è quanto mai facile decidere di rinunciare, abbandonando il cammino.
Invece occorre ricordare che abbiamo preso un solenne impegno con noi stessi,
di fronte all’Offcina tutta ed al Grande Architetto dell’Universo, di
percorrere un VIA INIZIATICA.
Tale via è certamente dura, ma quanto mai proficua di
soddisfazioni e di risultati, basta perseverare con il giusto impegno, senza troppi
sviamenti e tentennamenti.
Dubbi su dove ci porti questa via, se essa avrà mai fine, a
che punto si è del percorso, se si è scelta la via migliore, sono dubbi più che
legittimi, ma è con i Fratelli, chiaramente, c con la Loggia che ci si deve
confrontare e, lo spero, risolvere tali dubbi. Serenamente, dando tempo al
tempo di far sedimentare le cose più marcate.
Ma che cosa significa esattamente per ciascuno di noi la
parola IMPEGNO? Probabilmente esistono tante risposte quanti noi siamo, non
credo ci sia una risposta unica. Posso dirvi quel che significa per me.
IMPEGNO è essere consapevoli del
trascorrere del tempo e, per quanto possibile, evitare di sprecarlo, ma usarlo
nella ricerca di quella Luce che abbiamo dichiarato di voler perseguire e che
deve essere l’unico scopo che ci conduce qui.
IMPEGNO è avere un
atteggiamento pregiudizialmente “positivo” verso quanto riguarda la
Libera Muratoria, sia nel suo lato esteriore, cioè quello rivolto verso chi ci
osserva dal di fuori, quanto mai difficile in questo momento, ed anche verso
tutte le infrastrutture (quegli organismi che sono stati creati per permettere
alla Loggia di lavorare meglio), sia verso il lato interno, rappresentato dal
lavoro da svolgere personalmente nella quiete e nell ‘armonia del Tempio.
IMPEGNO è presentare dei lavori allo
scopo di confrontare le proprie idee ed esperienze con i Fratelli e, di
conseguenza, di esporsi ascoltando ed accettando le parole con la giusta
umiltà.
IMPEGNO è anche, di conseguenza,
prendere la parola sull’argomento trattato usando parole utili e calibrate, con
spirito fraterno e senza alcun timore reverenziale. Insomma occorre partecipare
alle tomate sia fisicamente che spiritualmente, ricordandoci costantemente che
il nostro lavoro consiste nel costruire.
IMPEGNO consiste anche nella disponibilità
verso tutti i Fratelli.
IMPEGNO è ricordare che il nostro
lavoro consiste nello squadrare , sia in Tempio che fuori, la nostra pietra e
non nel giudicare l’altrui operato.
IMPEGNO è sforzarsi di ottenere dentro
di noi il silenzio. A questo deve servire la pausa prima dell’apertura dei
Lavori. E questo silenzio interiore, sono convinto, che porterà la quiete anche
all ‘interno della Loggia, ove deve regnare l’armonia. Talr armonia si
manifesterà anche nell’atteggiamento, interiore ed esteriore, di compostezza ed
attenzione.
Ora, fatte queste considerazioni risapute da tutti noi, ma
che ho ritenuto opportuno ricordarvi, voglio elencarvi una scaletta di virtù in
genere che dovrebbero essere vissute da ciascuno di noi.
Il Libero Muratore è:
libero senza
licenza, grande senza orgoglio, umile senza bassezza, fermo senza ostinazione,
severo senza inflessibilità, sottomesso senza servilismo, giusto e coraggioso
difende l’oppresso, protegge l’innocente, non calcola né i benefici, né i
servigi che rende.