IL RITO

Il rito

M:. V .•.e carissimi Fratelli,

La Massoneria si basa, a mio parere, su tre cardini principali: lo studio dei simboli, l’ascolto dei fratelli e la partecipazione attiva al rito.

In questa tavola ho cercato di approfondire il significato del rito e del motivo per cui lo riteniamo cosi importante.

In situazioni di tipo conviviale udiamo sovente frasi come, “il brindisi di rito” , “i saluti di rito”, fanno parte del linguaggio ordinario. Il “di rito” indica un qualcosa di dovuto, un po’ noioso, che si deve fare possibilmente in fretta, per passare alle cose più importanti (spesso sedersi a tavola).

Per noi dovrebbe essere diverso.

Noi amiamo affermare che il lato fondamentale del nostro lavoro è la perfetta esecuzione del rito di apertura e chiusura dei lavori; il resto, le tavole, gli interventi, le proposte sono tutte cose in più che potrebbero anche non esserci. Non so se ciò sia vero, è comunque indicativo del valore attribuito.

Per il vocabolario italiano il termine Rito indica: “L’insieme di azioni, preghiere e formule che, disposte secondo una successione prestabilita, sono necessarie per stabilire il rapporto con la divinità”.

Nel glossario di vocaboli di significato speciale, a cura della R:.L:. Pedemontana, il Rito viene definito : “Cerimonia simbolica, conforme all’Ordine universale e perciò simbolo di questo. E un simbolo agito ed ha un’efficacia diretta sulla natura dell’essere che lo compie o comunque vi partecipa, anche se non ne ha coscienza attuale”.

Rito deriva dal latino ritum che originerebbe dalla parola sanscrita r-tà; oltre al significato di “cerimonia, consuetudine, modo, costume tradizionale”, le si deve attribuire un concetto ben più interessante e profondo ovvero di “armonia ordinata”5 Il rito è dunque legato al concetto di armonia.

Una sera un signore libero e di buoni costumi si reca in Piazza Vittorio, resta un certo periodo di tempo in una stanzetta cieca, in seguito, dopo l’esecuzione del rituale di Iniziazione, quel signore è diventato a tutti gli effetti e per sempre un Iniziato, un Massone.

E ancora, ogni giovedì sera entriamo in una stanza assolutamente normale, la “arrediamo”, eseguiamo un rituale d’apertura e da quel momento quella stanza, qualunque essa sia, diventa un Tempio. Al termine, essa ritorna ad essere una stanza qualsiasi.

Pubblicazioni ad interesse storico o antropologico trattano di riti magici, riti religiosi ed altri, così come nei vari Dizionari Massonici o nei libri sulla Massoneria vi sono lunghe disquisizioni sui vari possibili riti (Rito Scozzese Antico ed Accettato, Arco Reale, ecc.), ma su che cosa sia realmente un rito, come e perché agisca e a cosa serva, le notizie sono molto scarse.

  • A. Panaino: “Riflessioni inattuali intorno ai concetti di Rito e Ritualità”. Hiram 2/2000 pag. 51.
  • AI fondo di questa tavola ho raccolto alcune definizioni di Rito e Rituale tratte proprio da dizionari massonici. Vi prego di notare come, in qualche caso, siano copiate una dalle altre.

Il rito ed il rituale massonico presentano una serie di significati molto complessi.

Il primo e più evidente è rappresentato dall ‘ordine.

In questo ambito riconosco l’ingresso in tempio: i fratelli incedono lentamente secondo un criterio preciso, in silenzio, al suono di una musica.

Anche lo svolgimento degli interventi rientra nella medesima sfera d’azione: la parola viene data ad un fratello per volta, ci si rivolge sempre e solo al Maestro Venerabile e non si assiste a discussioni tra fratelli.

Lo sviluppo ordinato della tornata è fondamentale ai fini della concentrazione.

Nuovamente l’ingresso in tempio e la nostra posizione d’ordine sono molto evocativi di questo secondo significato. La capacità di lasciare fuori dalla porta i nostri pensieri, futili o gravi che siano, è essenziale al fine di una reale efficacia delle nostre riunioni.

Vi è ovviamente di più. Il mettersi all’ordine rappresenta un momento importante per realizzare chi siamo e dove siamo in ‘quel preciso istante. Alcune situazioni come l’accensione delle tre luci ed il tracciamento della tavola sono sicuramente dei momenti topici del nostro rito. Scagli la famosa prima pietra il fratello che riesce sempre a mantenersi concentrato in tali momenti.

E ciò è purtroppo grave.

Talora mi chiedo come sarà possibile avere la consapevolezza di essere un Massone in ogni momento della mia vita, se non riesco a restare concentrato neppure nei pochi minuti dello svolgimento del rituale di apertura.

“Tutta la forza della dottrina del Buddha consiste nel dominio della mente. Se domini la mente avrai il controllo sul corpo e la parola. La padronanza della mente si raggiunge essendo sempre consapevoli di tutti i propri pensieri e delle proprie azioni. Se resti sempre consapevole praticando la tranquillità e l’introspezione prima o poi sarai in grado di riconoscere la saggezza anche in mezzo alle attività ed alle distrazioni di tutti i giorni.

Poiché la consapevolezza è la soluzione e la cura di tutte le afflizioni del samsara”.

                DLGO w-1YENTSE RIMPOCE (Viaggio          l’illuminazione).

“La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati a pensare ad altro”.

JOHN LEÈ•OJON citata da Anthony De Mello.

Che cosa sto facendo e perché? Penso che questa sia una domanda che dovrei pormi più sovente. In tempio e fuori. Restando in ambito Buddhista potrebbe essere un buon Mantra.

Il rito ed il rituale, con la loro straordinaria ricchezza di simboli, rappresentano inoltre un fondamentale mezzo di comunicazione.

I rituali sono messaggi che ci giungono dal passato.

Noi usiamo sovente il termine Tradizione per indicare i mittenti di tali messaggi, sulla definizione di questo termine in Pedemontana si potrebbe parlare per ore.

Il nostro primo dovere è di trasmettere intatto questo insegnamento alle generazioni di fratelli che ci seguiranno, anche se non capiamo assolutamente nulla di ciò che significa.

Un altro aspetto della comunicazione è rappresentato dalla “curiosità” ed interesse che ci suscitano i contenuti di questo insegnamento.

Perché apriamo a mezzogiorno, e chiudiamo a mezzanotte?

Perché tutto il rituale d’apprendista è diviso per tre?

Perché si accende il testimone?

Perché in grazia dell’ora e dell ‘età? E così all’infinito.

Il terzo e più importante livello di comunicazione è legato all’azione che il rito dovrebbe avere direttamente sui partecipanti. È difficile definire in che termini; questo dipende dalle nostre personalissime convinzioni, tuttavia credo che tutti noi in qualche particolare momento “sentiamo” qualcosa di diverso, di più profondo rispetto a quello che semplicemente “udiamo” .

E suggestione? E l’azione del rito? Il rito ed i simboli ci comunicano qualcosa? E noi sentiamo? O ascoltiamo semplicemente delle formule lette su un libro.

Ammesso che l’azione del rito sia reale, noi siamo recettori inerti?

Gli attori del rito siamo noi; allora sarà probabile che l’azione sia più efficace se è presente una consapevolezza, una concentrazione, un ordine.

Mi sembra ovvio che la differenza tra un disegnino infantile su una lavagna ed “il Tracciamento della Tavola” non dipenda dal disegno in sé, ma, evidentemente, dalla situazione e dalla nostra personale capacità di intuizione.

Si parla infatti di partecipare al rito e non di assistere.

Nel rito massonico, ed in particolare nella Catena d’Unione, si riconosce anche un importante aspetto di legame, di coesione tra i fratelli.

L’azione della Catena d’Unione è definita dal fratello Adriano come: “La necessità, da un lato, di porre la massima cura a non consentire l’insorgere nel proprio animo di “resistenze” indebite onde non danneggiare se stessi o gli altri Fratelli con un ‘azione tecnicamente destabilizzante e, dall’altro, di mantenere costante un legame armonico con i Fratelli onde non ostacolare il flusso regolare delle energie e, conseguentemente, sminuire, se non annullare, I ‘efficacia del rito”?.

Ritroviamo dunque quel concetto d’armonia ordinata che corrisponde alla etimologia sanscrita della parola rito. Non solo nella Catena d’Unione ma in tutti i riti, come vedremo anche successivamente, la distrazione o deconcentrazione di qualche fratello, non rappresenta solo un problema per il medesimo massone, bensì rende meno efficace l’azione rituale.

In quest’ambito entra il discorso del ritualismo. Ovvero la degenerazione del contatto tra l’essere ed il fare. L’esecuzione di gesti verbali e non, senza un coinvolgimento interiore.

L’ossessione del rituale fine a se stesso, senza chiederci dove siamo, come e perché. È l’ipocrisia in senso etimologico. In Grecia l’attore che indossava una maschera veniva chiamato ipocrita. Che letteralmente significa “sotto la maschera” . Di qui il fastidio che tutti noi proviamo quando assistiamo, durante le riunioni formali, a tipiche scenette “profano/massoniche”, come baci e triplici abbracci, dichiarazioni di fratellanza ben sapendo che si tratta di forme “di rito” come dicevamo all’inizio.

E non basta, esiste anche l’esecuzione, magari concentrata, di forme “pseudorituali”, o di rituali fasulli. Un rituale per definizione deve essere semplice e puro; con un significato simbolico preciso per ogni atto eseguito. Quando i partecipanti, che ignorano del tutto o in parte tale significato, aggiungono forme

7 Tavola: “Alcune riflessioni sul Rito della Catena d’Unione”, 1999 Fratello A. O.

esteriori, anche belle, ma prive di un contenuto simbolico reale, si ottiene una “intossicazione” del rito, con il grave rischio di non sapere più riconoscere il reale dal formale.

Per contro, ogni volta che una tornata è particolarmente riuscita, o quando un’iniziazione eseguita in maniera corretta, permette, in qualche misura, di vivificare il ricordo della nostra, si crea davvero un forte legame che ci unisce, che non credo dipenda solo da una manifestazione di tipo emozionale.

In qualche particolare situazione ci rendiamo conto di non essere solo temporanei compagni di viaggio, ma di essere Fratelli, nel senso autentico. Di vivere insieme, di cercare insieme, che è poi una delle fondamentali funzioni della Loggia massonica.

Il rito è dunque un comportamento individuale e comune nello stesso tempo che coinvolge il Fratello e la Loggia cui appartiene. La Loggia, con l’azione del rito, permette di risvegliare in ogni massone la possibilità di una crescita interiore.

Resta l’ultimo e più profondo significato del rito. La capacità, eseguendo correttamente il rituale, con la giusta concentrazione e disponibilità, di metterci in contatto con il Sacro.

L’azione teurgica del rito. Così l’aveva definita il Fratello Lino in una tavola del 19948 .

Qui il parlare diviene difficile.

Se pensiamo che esista una realtà sovrarazionale, e che tale realtà sia in qualche modo avvicinabile dall ‘essere umano, allora questa azione è vagamente comprensibile.

Non so in che modo, ma è l’niziazione a rendere per noi accessibile questa sfera.

In Massoneria la presenza di un rito in tutte le riunioni esprime una certa concezione del mondo e dell’uomo. Noi non parliamo di religione, tuttavia attraverso il rito stabiliamo una relazione con quell’entità assolutamente misteriosa che definiamo Grande Architetto dell ‘Universo.

Il rito massonico, come abbiamo visto, è in grado di trasformare una stanza in tempio, un profano in iniziato, di cambiare lo spazio ed il tempo, permettendo l’ingresso in uno spazio e in un tempo radicalmente diverso da quello della nostra vita quotidiana.

La loggia va da occidente ad oriente, da settentrione a meridione, dallo zenit al nadir. Si apre a mezzogiorno e si chiude a mezzanotte. In punto.

Tutto questo grazie al rito.

Perché tutto ciò accada si richiede che tutti i presenti siano iniziati.

“LE Parole Sacre che la Tradizione orale ci tramanda non possono avere l’unico compito di riprodurre in suoni i contenuti di simboli o di segni grafici: quelle Parole devono essere Parole di Vita, cioè far si che la vita che in esse è contenuta si riproduca nelle nostre vite e le animi dall’interno”[1].

Questa frase tratta da una tavola del Fratello Fabrizio ci aiuta a capire meglio questo tipo di azione. La partecipazione al rito consente all’Iniziato di vivificare quella particella di Divino, in lui contenuta, non in modo automatico o passivo, ma fomendogli la “linfa vitale” che gli permetterà di far crescere ed elaborare il tutto nel suo intimo.

Tavola: “Rito”, 1994 Fratello R. S.

Come e in che misura avvenga tutto ciò mi è purtroppo ignoto e va molto al di là delle mie scarse capacità.

La trasformazione (trasmutazione?) del nostro Io disordinato e multiforme in un essere armonico ed ordinato rappresenta, per noi, un obiettivo primario.

Durante il rito ci è offerta la possibilità sia singolarmente, sia come Loggia di “armonizzarsi”, di “sintonizzarsi” con i disegni del Grande Architetto dell ‘Universo.

Peccato che noi ce ne rendiamo conto solo per brevi attimi. Sovente ci capita di pensare ad altro.

                             S. Cinn,

RITO

Termine di incerta etimologia: secondo alcuni deriverebbe dal sanscrito “ria” che significa “ordine”, indica un insieme di norme e di azioni, in gran parte simboliche, che vanno applicate fedelmente sul piano religioso, per realizzare la comunicazione tra il singolo (o un gruppo) e la Divinità. Tra i riti più importanti sono: il Sacrificio (v.) e la Preghiera (v.).

“Riti e rituali nella storia dell’uomo”, osserva G. Capruzzi, “sono stati sempre innumerevoli e di varia natura e di varia origine. Ma nelle più svariate manifestazioni di ritualità, troveremo sempre un costante rapporto fra l’uomo e certe forme esteriori. Così possiamo incontrare, nello studio della materia, le più impensabili classificazioni di riti; classificazioni che, tra l’altro, possono essere anche oggetto di esame da vari punti di vista. . . . La Scuola Sociologa francese (E. Durkheim) divide ad esempio i riti in positivi e negativi, i primi sarebbero quelli che esaltano il principio unificato della vita sociale (riti sacrificali, riti mimetici, di espiazione); i secondi, invece, sarebbero quelli che impediscono il contatto (nocivo) dei profano con il sacro : questi sarebbe, per esempio, il calendario – ritualmente inteso – come espressione della discriminazione dei giorni festivi (sacri) da quelli comuni (profani); sarebbero anche le iniziazioni in genere – dal punto di vista sociologico – che si sostanzierebbero in riti di separazione di alcuni uomini da altri; le pratiche ascetiche che sarebbero separative (tra l’individuo singolo, di fronte al resto del gruppo ecc.)”. (da R. M. 1. 9, nov. 1974).

Scrive A. Corona (Hiram n. 6, giugno 1986): “Per quanto riguarda la Comunione Massonica Italiana essa considera i Riti come Corpi Massonici deputati ad accrescere la sapienza iniziatica dei Fratelli ed afferma, nella certezza di essere nel vero, che i primi tre gradi costituiscono la parte essenziale della Massoneria. Basterebbe osservare che, mentre in tutto il mondo esiste la Massoneria, la stessa cosa non può dirsi per i Riti. Comunque anche laddove i Riti esistono, essi si trovano in modo altemo: ora l’uno ora l’altro, mentre la Massoneria è la “conditio sine qua non” perché esistano i Riti. E, tuttavia, è doveroso riconoscere che se i Riti adempissero al propri compiti sarebbero utilissimi, perché è naturale che molti Fratelli Massoni, arrivati al Terzo Grado, maturino particolari vocazioni: vi sono quelli che vogliono approfondire i temi ritualistici, vi sono quelli che affrontano i temi filosofici, quelli che preferiscono i temi etici e, così via, per le vane inclinazioni di ogni Fratello. Dunque il compito dei Riti è tutt’altro che secondario e tutt’altro che inutile”.

Bisogna evitare però che i Riti si rivelino scatole vuote e cioè, che anziché arricchire la filosofia sapienziale dei Fratelli, si limitino a funzioni burocratiche quali la raccolta di ulteriori capitazioni o alla consegna di medaglie e medagliette, di sciarpe, feluche, cilindri e nastrini di decorazioni e di altre cose molto importanti nel mondo profano. Se nel mondo profano ad un simbolo non corrisponde un significato e un contenuto la cosa non è particolarmente grave.

In Massoneria, invece, ogni cosa, ogni simbolo deve avere il suo significato, deve avere la pienezza di un contenuto.

(Luigi Troisi: “Dizionario massonico”, Bastogi Editore)

RITUALE

In Massoneria è l’insieme delle dichiarazioni, degli atteggiamenti e dei movimenti simbolici risalenti alle origini di quello spiritualismo occidentale da cui nacquero la Misteriosofia, la tragedia greca ed alcune scuole filosofiche, tra cui quella di Pitagora scrive C. H. Claudy (Introduzione alla Massoneria, Edizioni Bastogi, Foggia 1983): “11 Rituale il filo che ci unisce ai nostri predecessori i quali, con i loro Rituali si collegavano a tradizioni anteriori. Allo stesso modo i rituali che affidiamo al nostri fratelli saranno il legame che li unirà a noi, e attraverso di noi, ai Massoni delle origini. Più noi ci allontaniamo nel tempo dalle nostre origini e più attenzione dobbiamo prestare nel trasmettere alla posterità i Rituali come li abbiamo ricevuti. Alterare questa catena di unione significa indurre in errore coloro che vengono dopo di noi e a nulla varrà invocare da parte nostra l’errore di chi ci ha preceduto o i nostri vuoti di memoria”.

“I Rituali detti iniziatici” scrive M. Eliade (La nascita mistica, Morcelliana, 1974) “denotano, spesso, una deplorevole povertà spirituale. Il fatto che gli adepti abbiano potuto vedervi dei mezzi infallibili per accedere alla gnosi suprema prova a che punto l’uomo moderno ha perso il senso dell’iniziazione tradizionale. Ma il successo di questi tentativi prova pure il bisogno profondo di essere “iniziato”, cioè di essere rigenerato, di partecipare alla vita dello spirito.

Da un certo punto di vista, le sette e i gruppi pseudo-iniziatici svolgono una funzione positiva, poiché aiutano l’uomo moderno a trovare un senso spirituale alla sua esistenza drasticamente desacralizzata”.

(Luigi Troisi: “Dizionario massonico”, Bastogi Editore)

RITO

Cerimonia simbolica, conforme all’Ordine universale (Sanscrito: rita) e perciò simbolo di questo. E un simbolo agito ed ha un’efficacia diretta sulla natura dell’essere che lo compie o comunque vi partecipa, anche se non ne ha coscienza attuale.

L’efficacia di un Rito e subordinata al ricevimento dell’autorizzazione a compierlo validamente ed al perfetto svolgimento di esso secondo le tecniche e le regole tradizionali previste. Non deve essere confuso con la semplice Cerimonia che, priva dei sopraddetti requisiti di simbolicità, di legittimità e di rigorosa esecuzione, rappresenta solo qualcosa di inessenziale. La semplice cerimonia agisce a livello psichico, mentre il Rito agisce a livello spirituale., Dicesi anche Rito quell ‘Istituzione Massonica che e susseguente ai primi tre Gradi, avente il fine di proseguire lo sviluppo spirituale dei Fratelli Maestri e di coordinare e seguire con amore e fratellanza i Lavori dei primi tre Gradi.

(Glossario di vocaboli di significato speciale, a cura della R:. L Pedemontana).

RITUALE

Aggettivo: ciò che avviene secondo il Rito.

Sostantivo: la codificazione tradizionale delle Cerimonie che si svolgono nelle diverse fasi e circostanze del Rito, ed il significato simbolico di ciascuna di esse. (Glossario di vocaboli di significato speciale, a cura della R:.L:. Pedemontana).

RITO

Complesso di norme che regolano le cerimonie, specie di un particolare culto religioso.

Tuttavia il termine ha assunto significati differenti, a seconda dei contesti nei quali è impiegato. Nel linguaggio corrente, designa ogni specie di comportamento stereotipato, che non sembra essere imposto da qualche necessità o dalla realizzazione di una finalità secondo dei mezzi razionali. Sono considerati Riti le istituzioni desuete come un cerimoniale sorpassato, e le manie sono spesso annoverate nella stessa categoria. In realtà tutti questi impieghi della nozione si riferiscono a quello che designa un comportamento sociale, collettivo, nel quale appare più nettamente al contempo il carattere ripetitivo del Rito e soprattutto quanto lo distingue dalle condotte razionalmente adattate ad un fine utilitario.

Quindi il rito si presenta come un’azione conforme ad un uso collettivo, la cui efficacia è almeno in parte d’ordine extraempirico. I Riti sono sempre in rapporto con miti religiosi o sociali, che simboleggiano e mantengono in vita, mentre questi sostengono, spiegano e giustificano il Rito stesso. Il mondo dei Riti è immenso, e penetra il campo della religione, delle diverse forme di magia (v.), della divinazione (v.) e di pratiche simili, della vita . civile, dei gruppi e delle società.

I Riti religiosi mirano, come fine primario, a rendere omaggio alla divinità, e ad attualizzare il sentimento di fascino esercitato dal sacro, ma comportano anche un ‘idea di efficacia talora puramente spirituale (l’unione alla divinità), talora anche più materiale (la fecondità femminile).

I Riti magici invertono il rapporto tra omaggio ed efficacia, a vantaggio di quest’ultima, che è allora sempre di carattere materiale. Una forma speciale di Rito è costituito dallo sciamanismo (v.), che consiste in un Rito di divinazione accompagnato da fenomeni di trance. Lo sciamano diagnostica una malattia e le sue cause, necessariamente spirituali, poi scaccia il demonio dal cuore del paziente per apportare la guarigione. Lo studio dello sciamanismo ha posto in rilievo una spetto interessante, in quanto in molti casi questa pratica conferisce un’occupazione ed uno statuto sociale a persone aberranti.

I Riti totemici sono destinati a far entrare il gruppo in rapporto con una o più specie di animali, di piante, e perfino di fenomeni naturali, considerati come antenati del gruppo con i quali si identifica in quel momento.

I Riti di passaggio riguardano a loro volta la totalità delle persone, e rivestono una notevole importanza nell’integrazione sociale. Tali Riti segnano il passaggio di una persona da uno stato ad un altro.

I principali sono quattro: i Riti riguardanti la nascita, l’iniziazione. Il matrimonio e la morte. Nelle società religiose ed esoteriche l’importanza maggiore è attribuita al Rito di iniziazione, attraverso il quale il neofita entra a far parte del gruppo. Altri Riti simboleggiano e sottolineano la distanza sociale, come quelli praticati nel corso della visita di un dignitario civile od ecclesiastico. La società civile, come quella religiosa, entra in contatto con il suo sacro mediante Riti compiuti, sia nel corso di feste (come la festa nazionale), sia durante diverse commemorazioni (fine di un conflitto, anniversari storici. Il Rito nell’ambito della Chiesa cattolica ricade nel campo della Liturgia (v.).

(Dizionario Esoterico-Massonico a cura di Riccardo Chissotti)

RITUALE Termine usato per indicare i libri contenenti l’insieme delle norme che regolano lo svolgimento dei riti (v). Nell’antica Roma erano chiamati Libri rituales un gruppo di opere tradotte dall’etrusco (I secolo a. C.) in cui venivano precisate le norme da seguire nelle varie circostanze della vita sociale, come fondazioni di città o di templi, proprietà privata e leggi militari. Nella Chiesa cattolica il Rituales romanum, promulgato da Paolo V (1614), stabilisce le cerimonie per l’amministrazione dei sacramenti, le formule per la benedizione e l’ordine per le esequie.

In Massoneria è l’insieme delle dichiarazioni, degli atteggiamenti e dei movimenti simbolici risalenti alle origini dello spiritualismo occidentale, da cui nacquero la misteriosofia, la tragedia greca ed alcune scuole filosofiche, tra cui quella di Pitagora (v.). Secondo il Claudy (Introduzione alla massoneria, Ed. Bastogi, 1983), “il Rito e il filo che ci unisce ai nostri predecessori, che coi loro Riti si collegavano a loro volta a tradizioni anteriori. Allo stesso modo i Riti che noi affidiamo ai nostri fratelli saranno il legame che li unirà a noi e, attraverso noi, ai Massoni delle origini. Più ci allontaniamo nel tempo dalle nostre origini, più attenzione dobbiamo prestare nel trasmettere ai posteri i Riti come li abbiamo ricevuti. Alterare questa catena di unione significa indurre in errore coloro che vengono dopo di noi, ed a nulla varrà invocare l’errore di chi ci ha preceduto od i nostri vuoti di memoria”. Secondo Eliade (La nascita mistica, Morcelliana, 1974), “I Riti iniziatici denotano spesso una deplorevole povertà spirituale. Il fatto che gli adepti abbiano potuto vedervi dei mezzi infallibili per accedere alla gnosi suprema prova a che punto I ‘uomo moderno abbia perso il senso dell ‘iniziazione tradizionale. Ma il successo di questi tentativi prova pure il bisogno profondo di essere iniziato, cioè di essere rigenerato, di partecipare alla vita dello spirito.

Da un certo punto di vista, le sette ed i gruppi pseudo-iniziatici svolgono una funzione positiva, poiché aiutano l’uomo moderno a ricercare e trovare un senso spirituale alla sua esistenza, oggi più dissacrata che mai”. (Dizionario Esoterico-Massonico a cura di Riccardo Chissotti).


[1] Tavola: “La buccia e il nocciolo”, 2000 Fratello F.C.

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LA BUCCIA E IL NOCCIOLO

La buccia e il nocciolo la tradizione del profondo

Caro maestro,

in quali testi trovo la nostra tradizione per poterla conoscere e approfondire?

Quante volte ci siamo sentiti rivolgere questa domanda da chi, entrato dopo di noi nella Istituzione, sperava che avessimo delle risposte precise per districarsi in uno spaventoso labirinto, costituito da migliaia di testi, che si rifanno tutti, a maggiore o minore diritto, a qualche forma tradizionale, orientale o occidentale, alchemica, magica, yoga, taoista, guénoniana, cristiana, buddistica.

Mi pare quasi di sentirmi chiedere una informazione stradale “Scusi, non conosce, per caso, l’indirizzo della tradizione?”

Nella cultura del mondo moderno la domanda è più che giustificata. Se amo la letteratura andrò in libreria e nelle biblioteche, se sono appassionato di musica ci sono i teatri e i conservatori, se prediligo la pittura diventerò assiduo frequentatore di musei. Ha senso affermare che la Tradizione è completamente contenuta nei simboli presenti nei nostri templi, nei rituali che andiamo ripetendo, nei testi fondamentali della Istituzione?

Io penso che la Tradizione sia calpestata e offesa quando è segregata dalla vita quotidiana e ingabbiata in qualche ora alla settimana trascorsa in tempio, quasi il suo compito fosse quello di isolare e pietrificare il sacro e non quello di nobilitare quotidianamente la natura umana.

Troppo sovente si ha l’impressione che la Tradizione sia ridotta a gesti e parole ripetuti con cura maniacale, a simboli sclerotizzati dei quali non è ben chiaro quali siano gli elementi che dovrebbero riunire, secondo il significato etimologico di “simbolo”. Allora, alla domanda preoccupata di coloro che sono appena entrati, fa eco, talvolta, quella angosciata di personaggi di lunga militanza, che si chiedono quanto sono riusciti a progredire nella ricerca.

Forse, qualche volta, si è dimenticato che la ricerca della Tradizione implica la preesistenza di interrogativi ai quali la Tradizione costituisce risposta, e una motivazione ansiosa di trovare quella risposta.

Il vero problema, o meglio il primo problema, non è la verità della risposta, mala situazione dell’individuo e il suo atteggiamento di fronte alla vita e quindi I ‘ autenticità dell’interesse a riscoprire le domande alle quali la Tradizione dà risposta e la disponibilità ad una faticosa ricerca.

Rituale e insegnamento, azione e scrittura sono, senza dubbio, due componenti fondamentali della ricerca e dell’approfondimento della tradizione, ma ne esiste una terza, che ne è ingrediente vitale, anche se, per la sua natura personale e indescrivibile, sfugge talvolta alla attenzione di un possibile osservatore esterno. È quella componente che interiorizza insegnamento, mito, rituale, simboli, senza la quale essi rimangono esteriorità e parole, sottili ragionamenti chiusi in se stessi. E il momento personalissimo e delicatissimo della identificazione e della compenetrazione del ricercatore, dello studioso, con ciò che sente, con ciò che compie, con ciò che gli viene trasmesso verbalmente o per scritto; la nostra lingua non dispone di parole adeguate ad esprimere questi momenti di coscienza che non è dottrina, non è operatività, ma puro stato di sapere intimo e non razionale.

Aperta la buccia del rituale e dell’insegnamento, giungiamo al nocciolo dal quale dovrà spuntare e svilupparsi quella che siamo soliti chiamare “realizzazione della iniziazione ricevuta”.

Questa componente misteriosa quanto potente chiamiamo “tradizione del profondo”.

La Tradizione orale formula; la Tradizione del profondo evoca. La Tradizione orale tratta dati di fatto permanenti e al di fuori del tempo; la Tradizione del profondo crea momenti di vibrazione all’unisono con quei dati di fatto, in ciascuna persona. La Tradizione orale sussiste in modo indipendente da ciò che accade nel mondo e tende a perpetuare se stessa, ma essa vive negli uomini nella misura con la quale essi garantiscono il loro coinvolgimento interiore.

La Tradizione orale si rivolge a tutto un gruppo di iniziati; la Tradizione del profondo si rivolge al singolo individuo. La Tradizione orale si trova nelle parole dei maestri e talvolta nei libri; la Tradizione del profondo si trova nell ‘intimo dell ‘uomo.

Le Parole Sacre che la Tradizione orale ci tramanda non possono avere l’unico compito di riprodurre in suoni i contenuti di simboli o di segni grafici: quelle Parole devono essere Parole di Vita, cioè far sì che la vita che in esse è contenuta si riproduca nelle nostre vite e le animi dall’interno.

La Tradizione del profondo è questa linfa vitale, fatta scaturire da quella trasmessa, che compenetra e coinvolge l’uomo nei suoi momenti di confronto con le domande fondamentali e gli procura le intuizioni decisive, quelle per cui uno sa certe cose, all ‘improvviso, senza poterle razionalizzare.

La Tradizione del profondo rifugge dalle generalizzazioni, dallo spiegare realtà di per sé inspiegabili, dal forzare il non comune negli angusti limiti del nostro “senso comune”; essa ci mette in guardia dalle nostre sciocche sicurezze intellettuali e dalla nostra continua volontà di “comprensione”.

Per altro verso, la Tradizione del profondo ha necessità di comunicare l’incomunicabile, di fissare intuizioni in idee, per avere un veicolo di trasmissione attraverso il quale provocare nuove intuizioni in persone diverse, nel tempo. Ecco allora l’affidamento alla Tradizione orale di quello che noi chiamiamo insegnamento orale, dottrina, credo. Essa svolge l’importantissima funzione di cristallizzare (nel senso etimologico della parola greca “far diventare sale dell’unzione” o “sale dell’Unto”) le intuizioni della Tradizione del profondo affinché esse possano svolgere la loro funzione nel tempo.

Senza i contenuti proposti dalla Tradizione orale la pulsione interiore rischierebbe di trasformarsi in vane elucubrazioni o in narcisismo spirituale; d’altra parte, per contro l’uomo è sovente tentato di fare della Tradizione orale un dio da adorare senza contributi personali, perché è più facile e più comodo, apparentemente, senza rendersi conto di confondere la mappa con il territorio.

La possibilità di realizzazione passa attraverso la capacità di mantenere il delicatissimo equilibrio fra i poli opposti, tra insegnamento e intuizione, tra rituale e risposta personale, tra Istituzione e individuo, senza mai permettere che la dimostrazione prenda il sopravvento sulla capacità di umile ma felice compenetrazione, né I ‘ apparenza esteriore sui contenuti, né la buccia sul nocciolo.

Raggiungere quell’equilibrio vuol dire saper rispondere alla domanda su dove trovare la Tradizione, ma, soprattutto, significa poter acquietare l’ansia contenuta nel secondo, più drammatico interrogativo sul progresso effettivo nella ricerca interiore.

F. Clnn,  

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DALLA SERIETA’ AL GIUBILEO

Dalla Serietà al Giubilo

Maestro Venerabile, fratelli carissimi

Sono ormai diversi anni, se contiamo il mio periodo di assenza, che mio suocero, il fratello Beppe Ottella, ormai da tempo all ‘Oriente Eterno, ha dapprima sondato i miei interessi, poi ha valutato i miei principi profani, ha sondato sulle mie credenze religiose e, solo dopo una curiosa chiacchierata, mi ha aperto la possibilità di entrare a far parte di una grande famiglia.

Era così che la chiamava, una grande famiglia di fratelli, dove i principi di tolleranza, fratellanza libertà ed uguaglianza erano sempre presenti, diffusi e condivisi. Fu così che nell’ormai lontano 1994 fui iniziato ed entrai anch’io a far parte di quella, questa grande famiglia. Poi, per vicissitudini più o meno a me note, circa un anno dopo la “Toro”, Loggia alla quale appartenevo, venne chiusa ed io, inconsapevole delle motivazioni reali che portarono a tale decisione (mio suocero venne richiamato all’Oriente Etemo sei mesi prima), mi misi in sonno non conoscendo la possibilità di poter “migrare” verso altre logge e non volendo dirigermi verso altre realtà. Ma non smisi di “essere” un fratello: credo che una volta iniziato, se ha ben meditato nel Gabinetto di riflessione e se ha ben vissuto il periodo da apprendista, il “vero” fratello non può annullare il proprio status di massone; credo che dopo un anno “di silenzio” si impara ad ascoltare meglio se stessi ed a percepire piccoli bagliori di una luce ancora lontana, bagliori che, grazie ad un amico divenuto con il mio inserimento nella Loggia, un fratello, e, ora, grazie a tutti voi fratelli, hanno aumentato la loro luminosità. Tuttavia “Non tutta la chiarezza di cui hai bisogno ti verrà insegnata, ma molta dovrai cercarla” mi disse, ancora in vita, mio suocero: e cosi ho fatto, cercando di comprendere meglio le simbologie, le terminologie ed i rituali, di apprendista prima e, grazie a Te Maestro Venerabile ed a voi fratelli, di compagno ora.

Mi vorrei soffermare, a questo punto, su alcune parole che sono presenti nel rituale di apprendista quando il M:.V:. conclude l’apertura dei lavori: “tutto in questo Tempio deve essere serietà, senno, bencfizio e giubilo”.

Premetto che questa non vuole essere una tavola di istruzione, non ne sarei in grado, ma vorrei condividere con Voi fratelli, ora che posso, questa conoscenza di concetti a me ancora non sufficientemente chiari, affinché io possa vedere “con un’altra ottica” la realtà che tali concetti sono a rappresentare, scoprendo cosi un ulteriore bagliore, un ulteriore guida verso la Luce.

Riprendiamo quindi le quattro parole prima citate (serietà, senno, benefizio e giubilo). Da subito una riflessione: quattro sono le parole, così come quattro sono le “tappe” dei viaggio che l’iniziando deve effettuare per poter iniziare a “lavorare” sulla sua pietra Credo sia importante soffermarsi sulla sequenza con la quale queste vengono riportate nel rituale e citate: condivido infatti la convinzione degli autori che ho letto, i quali affermano la non casualità del fatto.

Serietà, prima delle parole, sembra, rappresenti lo stato che deriva dall’aver compiuto il primo “viaggio” dell’iniziando: il viaggio attraverso la Terra, verso le profondità interne dell ‘uomo, analizzando la parte intima di se, là dove sono nascoste le nostre reali debolezze, ma anche le nostre virtù e, non per ultime, le nostre paure. La serietà dovrebbe nascere dalla consapevolezza che i propri vizi, Iati deboli della propria personalità, non si possono eliminare, ma devono essere conosciuti e controllati, e che le virtù, caratteristiche in parte innate in parte acquisite, devono, al contrario, essere sviluppate. La serietà, mi è stato detto e ne condivido il pensiero, rappresenta Io stato d’animo con il quale dobbiamo prepararci ad affrontare il lungo cammino verso la ricerca della Luce.

Dopo la serietà il M.•.V.•. cita il “senno”. Il senno si sviluppa con la conclusione del secondo viaggio iniziatico, quello dell ‘aria. Durante questo viaggio il percorso è pieno di trappole ed ostacoli, e solo con la propria ragione, con l’aiuto di altri e con l’umiltà, la volontà e la capacità di apprendere, si riesce ad ultimare questa seconda tappa iniziatica. Il senno deve essere applicato in tutto il lavoro muratorio, trasformandolo , a seconda delle situazioni, in capacità di scelta, in volontà di apprendere, capire e oltrepassare il simbolo; è con l’uso della ragione, che si riesce ad intravedere la molteplicità delle possibili strade o interpretazioni della nostra ricerca, e ci si rende in tal modo consapevoli che la nostra può essere solo una delle possibili scelte, giusta solo in quanto inserita in un sistema strutturato ed organico, come un mattone in una parete.

La capacità di utilizzo del senno ci dovrebbe portare alla scoperta che la singola realtà, il singolo segno, il singolo simbolo, non hanno una, ma tante interpretazioni, che possono affiancarsi e sostituirsi l’una all’altra a seconda del punto di vista dell’osservatore, e un punto di vista non è migliore dell’altro.

Riporto, perché da me condivisa appieno, una frase che ho trovato in una delle fonti successivamente riportate, “…come in un disegno architettonico, che può essere osservato e utilizzato per ricavare diverse prospettive di uno stesso oggetto, angolazione significa punto di vista; e visioni apparentemente antitetiche possono essere riferite ad una medesima rappresentazione della stessa realtà osservata da diverse angolazioni. [ … ] E il Libero muratore comprende che la sua interpretazione, la sua visione, non è necessariamente l’unica o la migliore, e che confrontando punti di vista diversi si ha un reciproco arricchimento ed infine che è importante non solo l’oggetto della discussione, o del confronto, ma anche il metodo, l’adoperare il senno; allora tolleranza non è una dichiarazione di buoni propositi, ma la logica conseguenza della corretta percorrenza del primo tratto del percorso muratorio”. Attraverso il senno riusciamo a raggiungere una calma disposizione dell ‘animo che ci permette di esprimere giudizi prudenti, consapevoli della esistenza di angolazioni diverse della stessa realtà.

Siamo così pronti a comprendere meglio il significato della terza delle parole che stiamo analizzando cioè “benefizio” . A tale parola, pur non trovando nelle mie letture la diretta corrispondenza, per logica conseguenza dovrebbe essere legato il terzo “viaggio” dell ‘iniziando, quello attraverso l’acqua. In tale viaggio, mi hanno insegnato, l’iniziando si purifica da ogni impurità, e durante tale purificazione deve saper resistere al trascinamento delle correnti alle quali, nella vita profana, si abbandonano gli spiriti volgari. E durante tale viaggio che si dovrebbe apprendere la capacità di non farsi male influenzare delle opinioni altrui, riuscendo a discriminare le proprie scelte. Ho letto che è durante questo terzo viaggio che si prendono le distanze dalla sfera della ragione e ci avvicina a quella del cuore.

Tornando al nostro “benefizio”, la sua etimologia indica non tanto un vantaggio ricevuto, quanto piuttosto il vero e proprio atto del “far bene”; rivolto, credo, non tanto verso se stessi, ma soprattutto verso gli altri, traendone in tal modo una propria soddisfazione interiore.

Con tale “punto di vista”, “benefizio” definisce non solamente una tappa fondamentale nella nostra ricerca interiore, nel nostro percorso verso la Luce, ma rappresenta un vero e proprio salto nel nostro cammino muratorio.

Infatti, mentre le prime due parole dovrebbero rappresentare fasi nelle quali si impara a conoscere meglio se stessi, attraverso un percorso di perfezionamento che riguarda prevalentemente il singolo, la propria persona, questa terza introduce per la prima volta un esplicito rapporto con le altre persone, siano essi fratelli o profani, rapporto costituito da attività che non rappresentano più una semplice passiva osservazione, ma che comportano uno stato d’animo di disponibilità verso gli altri, con tolleranza e fratellanza.

L’ultima delle nostre 4 parole che troviamo nel rituale di apertura, è “giubilo”.

Poco, per ora, sono in grado di dire relativamente a questo termine ed al significato che vi si nasconde dietro. Posso solo dire che a tale termine è legata la prova del Fuoco, la quarta prova cui è sottoposto l’iniziando. Durante tale prova quest’ultimo avanza con andatura sicura, consapevole di aver raggiunto una parziale conoscenza dei propri limiti, di saper resistere alle tentazioni che possono presentarsi e di essere in grado di decidere con saggezza. Durante tale prova si raggiunge la consapevolezza di poter resistere alle passioni (le fiamme) che ci circondano: il calore delle passioni, ben controllato, ci fornisce l’energia per fare cose nobili e generose. È giubilo, quindi, il raggiungimento della consapevolezza di avere “superato” le singole tappe rappresentate dai termini che lo precedono, di avere preso coscienza dei propri limiti, di essere una parte di un insieme, i componenti dei quale vanno rispettati; ed è ancora giubilo la consapevolezza di saper opporre la propria calma e serenità alla foga delle passioni, che ci porta ad uno stato di felicità e di gioia, quello stato di felicità e gioia che veniva preannunciato dal “Jobel” ebraico, il corno – tromba con il quale si annunciava una festa solenne (il giubileo).

Tutto in questo Tempio deve essere serietà, senno, beneficio e giubilo

D. Grst, I l maggio 2000 dell’e:.v.•. (1 0 grado)

Fonti consultate: Iniziazione e segreto massonico, Manlio Maradei; Simbologia massonica, Umberto Gorel Porciatti; Massoneria Oggi, anno V, no l; Serietà Senno Benefizio e Giubilo, Alberto Biggi.

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CIUANG-TZE

Ciuang-Tze

25

Un allevatore di scimmie distribuiva ghiande alla scimmie, dicendo loro: «vi darò tre ghiande al mattino e quattro alla sera. Che ne pensate?». Le scimmie si mostrarono innervosite. «Ve ne darò quattro al mattino e tre alla sera. Che ne dite?». Le scimmie ne restarono incantate.

In realtà non c’era nulla di cambiato, ma la prima proposta aveva provocato la collera e la seconda la gioia. L’allevatore aveva saputo adattarsi alla natura delle scimmie. Così il Santo dosa affermazione e negazione affidandosi al corso del cielo.

27

Di tutto ciò che è al di là dell ‘universo, il Santo ammette l’esistenza, ma non ne tratta. Tutto ciò che è all’interno dell’universo, il Santo ne tratta, ma non lo commenta.

28

Sapere che vi sono cose che non si possono conoscere, ecco il sommo sapere. Colui che sa che il discorso è senza parole e il Tao senza nome, questi possiede il tesoro del cielo. Versare senza mai riempire; attingere senza mai esaurire e questo senza saperne il perché, ecco ciò che si chiama «nascondere la luce».

32

L’ombra dell ‘ombra interroga l’ombra. «Poco fa tu camminavi e ora ti fermi. Poco fa tu eri seduta e ora sei in piedi. Perché tu non hai una condotta indipendente?».

L’ombra rispose: «Non dipendo forse da qualcosa, per essere così? Questo qualcosa non dipende a su volta da un , altra cosa? Io dipendo da qualcosa proprio come il serpente dipende dalle sue scaglie e la cicala dalle sue ali. Come potrei io conoscere ciò che fa sì che io ora sia così, ora altrimenti?»

33

La vita umana è limitata; il sapere è illimitato. Colui che consuma la propria vita limitata per inseguire l’illimitato sapere giunge all’esaurimento; esauritosi, vuol sapere ancora e muore così di esaurimento».

46

Zi-qi (…) scorse un albero straordinariamente grande. La sua chioma avrebbe potuto coprire mille carri tirati da quattro cavalli.

«Che albero è questo?» si chiese Zi-qi. «A che cosa potrebbe servire? Guardandolo dal basso i suoi piccoli rami curvi e contorti non possono venire usati per i tetti o le travi. Guardandolo dall’alto. il suo tronco nodoso e pieno di crepe non può servire a costruire bare. Chiunque assaggi le sue foglie ne ha la bocca ulcerata e piena di ascessi. Basta l’odore a fare diventare pazzi e ubriachi per tre giorni consecutivi». Zi-qi concluse: «Quest’albero è davvero inutilizzabile! Per questo ha potuto raggiungere tale altezza. Già! L’uomo divino è anche lui null ‘altro che legno inutilizzabile».

97

L’uomo comune ama chi gli somiglia e detesta chi è diverso da lui

1 19

Una volta il ministro Shun interrogò il sovrano Yao: «Celeste re, come usate il vostro spirito?» Yao rispose: «Non disprezzo coloro che non sanno difendersi, non abbandono la povera gente. soffro con coloro che hanno dei morti; mi rallegro con coloro che hanno dei figli; ho compassione per le donne. E’ così che uso il mio spirito».

«Tutto ciò è bello – disse Shun – ma non è grande».

«Allora – chiese Yao – che cosa dovrei fare?» «Colui che possiede la virtù del cielo – rispose Shun – agisce senza turbare la propria pace.

La sua influenza cade da lui, come la luna e il sole spandono la loro luce, come le quattro stagioni si succedono. come il giorno e la notte tornano con regolarità, come la nube porta la pioggia».

120

(…) Dopo averlo sentito e approvato, Lao Dan gli disse: «È troppo prolisso. vorrei conoscere l’essenziale della vostra esposizione».

«Si riassume – disse Kong-zi – nella bontà e nella giustizia».

«Sono davvero la natura dell ‘uomo?» chiese Lao Dan.

«Sì rispose Kong-zi – perché il saggio giunge alla perfezione soltanto attraverso la bontà e non può vivere senza la giustizia. Senza la bontà e la giustizia, che sono veramente la natura dell ‘uomo. che cosa farebbe l’uomo in questo mondo?».

«Che cosa sono la bontà e la giustizia?» chiese Lao Dan.

«Avere a cuore la felicità degli uomini e amarli tutti in egual modo senza distinguere egoisticamente tra loro, questa è la sostanza della bontà e della giustizia».

«Ah! – disse Lao Dan – una dottrina come questa mi sembra costruita a cose fatte. L’amore universale è un assurdo, perché l’altruismo è una forma di egoismo. Volete che il mondo non sia senza autorità? Guardate dunque il cielo e la terra, le loro leggi sono costanti; il sole c la luna hanno luce propria; le stelle e le costellazioni posseggono un ordinamento proprio; gli uccelli e gli animali si riuniscono in branchi; gli alberi e le erbe hanno proprie conformazioni. Si deve lasciare agire la virtù di ciascuno e conformarsi al Tao, così si giunge alla perfezione. Perché esaltare sempre la bontà e la giustizia. come uno che per cercare il figlio in fuga facesse battere ilo tamburo? A questo modo, non fate altro che perturbare la natura dell ‘uomo».

140

(…) La decadenza si accentuò ancora di più. I sovrani Yao e Shun vollero agire sugli uomini. Inaugurarono un’amministrazione e vollero educare il popolo. La purezza e la semplicità sparirono. Gli uomini abbandonarono il Tao per praticare il bene».

154

Una volta che Ciuang-Tze pescava nel fiume Pu, il re di Chu mandò due suoi dignitari a fargli queste profferte. «Il nostro principe – dissero – vorrebbe affidawi il suo territorio».

Senza rialzare la canna da pesca, senza nemmeno girare la testa, Ciuang-Tze disse loro : «Ho sentito dire che a Chu si trova una tartaruga sacra, morta da tremila anni. Il vostro re ne conserva il guscio in un cesto, avvolto in un panno, in cima al testo dei suoi antenati. Ditemi, questa tartaruga non avrebbe preferito vivere trascinando la sua coda nel fango?».

«Avrebbe preferito vivere trascinando la sua coda nel fango» dissero i due dignitari.

«Andatevene allora! – disse Ciuang-Tze – Anch’io preferisco trascinare la mia coda nel fango».

213

«Quello che avete appena detto rappresenta dunque la perfezione suprema?» chiese Nan-Rong Chu.

«Non ancora» proseguì Lao-zi . «Ho detto :riuscite a’ tornare bambino? Egli si muove senza sapere quello che fa e cammina senza sapere dove va. Che il vostro corpo sia simile a un ramo di albero secco! Che il vostro spirito sia simile alla cenere spenta! Così non sarete visitato né dall ‘infelicità né dalla felicità».

233

Benché i piedi dell’uomo non occupino che un piccolo spazio della terra, è grazie a tutto lo spazio che non occupa che l’uomo può camminare sulla terra immensa. Benché l’intelligenza dell’uomo non penetri che una particella della verità totale, è grazie a ciò che non penetra che I ‘uomo può comprendere il cielo.

245

Poca Intelligenza pose questo problema: «La tesi di Ji Zhen è che nulla agisce all ‘origine del mondo. La tesi di Jie-zi è che qualcosa guida il tutto. Quale delle due tesi è conforme alla realtà?» Grande e Imparziale Armonia gli rispose: «Il gallo canta e il cane abbaia, ecco ciò che tutti sanno. Ma neppure una grande intelligenza conosce quale sia stata l’evoluzione di questi atti, ne prevede il loro futuro. Le analisi delle cause e delle fini inducono a pensare che la piccolezza suprema sfugga a qualsiasi paragone e che la grandezza suprema non possa essere circoscritta».

«Qualcosa guida il tutto» e «mulla agisce all’origine del mondo» sono due tesi che riguardano le modalità delle cose e in fin dei conti sono false. (….)

La comparsa della vita non può essere evitata; la venuta della morte non può essere respinta; vita e morte sono ciò che ci tocca più da vicino, ma noi non ne vediamo la ragione. In verità, queste due tesi opposte sono soltanto ipotesi che esprimono il dubbio. Giacche, risalendo all ‘origine del mondo, io incontro l’infinito; cercandone la fine incontro ugualmente l’infinito; questi due infiniti che oltrepassano l’ambito della parola riposano sullo stesso principio che governa gli esseri. La tesi che vi sia un autore del mondo e la tesi contraria non sono che parole la cui portata si limita all ‘ambito degli esseri».

(passi scelti da «Zhuang-zi», IV ed., Adelphi 1990.).

R. Scch, 6 aprile 2000 dell’e:.v:. (1 0 grado)

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DELL’INGRESSO DI NUOVI FRATELLI

Dell’ingresso di nuovi Fratelli

Responsabilità dei votanti

I Fratelli di Loggia (e per essi tutti i fratelli del mondo) con l’atto di ammettere un nuovo anello nella “catena” si assumono una grande responsabilità. Il candidato non idoneo, se ammesso, sarà sicuramente, prima o poi, uno scontento e provocherà dei turbamenti più o meno evidenti che la nostra saggezza vorrebbe fossero evitati. Viceversa, non ammettere il candidato fornito delle qualificazioni, per eccessive pretese, sarebbe parimenti un grave errore: chi di noi può assumersi di negare all ‘idoneo l’iniziazione, cioè la possibilità di percorrere una via di perfezionamento?

La valutazione che ogni fratello dà, deve essere quindi, come e più di ogni nostro atto in Tempio, adoma di tutte le virtù di cui sovente parliamo; ma, in sovrappiù, deve essere la più consapevole possibile.

Il presentatore

Ma la valutazione che ogni fratello fa, al momento della votazione, su che cosa è basata? Non, di solito, sulla conoscenza personale, né su capacità specifica riconosciuta al Maestro presentatore (che , lo ricordo, deve essere sconosciuto a tutti, tranne che al M:. V:. ), a parte il non trascurabile fatto che si deve dare fiducia la grado (maestro, appunto) del presentatore. Egli è colui che, unico di solito, ‘conosce” il candidato e può (serenamente) testimoniare quegli aspetti del candidato di ordine morale e storico che sono previsti nei primi 4 punti del questionario oggi in essere e che per comodità qui riporto:

  1. moralità, costume e reputazione;
  2. probità costante nel corso della vita;
  3. esattezza nel disimpegno dei doveri del proprio stato;
  4. fermezza di carattere nei principi professati

Solo in presentatore, dicevo, può assumersi la responsabilità di questi aspetti in quanto è abbastanza trasparente che i Tegolatori non possono scoprirli (o perlomeno ciò è molto difficile e dispendioso).

La tegolatura: dove, come, quando, chi

Su quali dati quindi i fratelli di Loggia possono basare la loro votazione? Su due soli: il curriculum vitae e le tre tavole di tegolatura.

Il primo è di solito pressoché irrilevante ai termini di una valutazione, non rimangono quindi che le seconde!

I Tegolatori devono quindi investirsi della responsabilità del loro lavoro proprio perché su questo i fratelli decideranno se annettere o respingere il candidato che, se respinto; non potrà più essere ammesso nella Libera Muratoria.

Occorre quindi che le tre tavole (e, raccomando, mai meni di tre) siano le più chiare e circostanziate possibili. A questo scopo non reputo un solo incontro, per lungo che possa essere, sufficiente a chiarire in modo fimpido e inequivocabile la o le motivazioni che spingono il candidato a bussare alla porte del Tempio.

Vorrei, a questo proposito, capovolgere un’opinione purtroppo molto diffusa: non dobbiamo essere noi a cercare accoliti, bensì deve essere il profano a bussare alla porta. Niente proselitismo, quindi, ma orecchie aperte per “sentire” i colpi. Questo non vuole assolutamente significare preclusione, ma richiede solo consapevolezza da parte di chi bussa!

Molte persone, specie in questo momento storico, sono annoiate dalla loro vita e ricercano continuamente cose nuove, studi nuovi, ecc. (si spiega così certi continui cambi di abiti, mogli, amanti, lavoro, ecc.). Penso che nessuno tra noi voglia degradare la nostra Istituzione al rango di oggetto di consumo! Ecco da cosa deve derivare questa posizione passiva, di difesa.

Venendo ora alla tegolatura vera e propria, direi che, per prima cosa, va chiarito “dove” farla.

Forse, come faceva osserva un fratello pochi giorni fa, il luogo migliore è nell ‘habitat naturale del candidato, cioè a casa sua o, in sub ordine, nel suo luogo di lavoro. Ciò allo scopo di poterlo vedere anche nei suoi comportamenti con chi abitualmente lo circonda e lo conosce. Egli sarà a suo agio, mentre i Tegolatori non dovrebbero avere problemi grazie al compito che in quel momento svolgono. In ogni caso è d’obbligo un luogo tranquillo e privo di orecchie indiscrete.

[n “quanti”, infine essere presenti a tegolare il candidato?

A parte la considerazione personale che non vedrei ostacoli al fatto che anche altri fratelli maestri contattino il candidato (cosa d’altronde inevitabile nel caso che ci si conosca), penso che almeno uno dei contatti avvenga a “quattr’occhi”, eliminando qualsiasi filtro o ingerenza nel discorso che il tegolatore ritiene di dover fare con quel candidato.

Ma, tutto sommato, che cosa deve “scoprire” il tegolatore?

In poche parole, direi che deve accertare le “qualificazioni”, parola che forse non ha per tutti noi il medesimo significato e che forse non abbiamo mai chiarito sufficientemente, in questa Loggia.

La formula “libero e di buoni costumi” non da, di per sé, la esatta misura del candidato ideale, ma deve essere integrata da altri requisiti.

Il significato di “libero e di buoni costumi” è una verità diversa per ciascuno di noi: essa è sempre giusta, anche la migliore se vogliamo, ma incompleta sicuramente. Non mi addentrerò nei vari siglificati, limitandomi a ricordare le varie tavole già tracciate sull’argomento negli scorsi anni.

Una qualificazione per me essenziale è l’essere “uomo di desiderio”. Ma che significa ciò?

Innanzitutto, desiderio di ricerca. Ricerca da intendersi esclusivamente spirituale (allo scopo di divenire sempre più uomo libero).

Questo desiderio deve essere autentico, sentito, direi “vissuto”; non vago, saltuario, velleitario: solo così saranno superabili ostacoli e difficoltà che il mondo profano frappone alla via iniziatica.

Le competenze da indagare in questo senso sono tre:  desiderio di ricerca;

— attitudine alla ricerca;  valore dato alla ricerca.

Per quanto possibile, si dovrà verificare, inoltre, il desiderio di concretizzare, vivendole, le verità che via via il neofita farà sue: ben diverso è, infatti, voler conoscere (sul piano culturale, mentale) dal voler divenire.

Visto così, e potendo, in linea di massima, prescindere dal dover approfondire questioni morali, in quanto di ciò ne è garante il fratello presentatore, il lavoro del tegolatore risulta arduo, lungo e faticoso ma tutt’altro che impossibile! Esso sarà però ben ricompensato se, saggiando giustamente il candidato, farà introdurre nell’athanor solo quel materiale che si amalgamerà perfettamente con quello già in cottura.

La tavola di tegolatura

Essa sarà tanto più limpida e completa, quanto più il colloquio sarà stato ampio, sereno e … sedimentato. Allo scopo di intervenire sull ‘unico aspetto aperto ad interventi di terzi (non si può far nulla per la serenità né per la sedimentazione, oltreché consigliarli) ho preparato e distribuito una “bozza di tegolatura” che comprende i punti da toccare nel corso dei colloqui. Mi è ben chiaro che ogni candidato è, e deve essere, una storia a sé, non riconoscibile a nessuno schema prefissato, tuttavia ritengo che una traccia utile ad approntare in modo simile tra loro i vari colloqui sia auspicabile, allo scopo di rendere un po’ più impersonale la figura del presentatore (e della tavola di tegolatura).

Diciamo quindi che si tratta di promemoria che vi chiedo di voler considerare con benevolenza per le sue manchevolezze, che confido vorrete aiutarmi ad eliminare.

Ma qui, piuttosto, sorge un grave problema: siamo certi che abbiamo, noi, le stesse idee su coloro che dovrebbero entrare? A questa domanda, volutamente, non do alcuna risposta e lascio aperto l’argomento.

A. Bgg, 22 marzo 1979 dell’e:. v (3 0 grado)

allegato

Carissimo M:. V :. ,

succede sovente in questo Tempio di sentire delle tavole che sono, più che altro, delle enunciazioni di propositi, encomiabili sotto ogni punto di vista, e che riscuotono il più incondizionato appoggio (a parole, o anche per il silenzio che va interpretato senz’ altro come accordo).

Ma, domando, se siamo tutti d’accordo con questi propositi, perché non li mettiamo in pratica?

Riconosco che molti sono allo stato di pura formulazione di desiderio, che sono poi quasi impossibili da rendere efficaci sul piano pratico, concreto, di tutti i giorni: ma molti altri sarebbero, a mio giudizio, realizzabili. E certo che richiedono uno sforzo, ma non siamo forse qui per “sforzarci a diventare migliori”? Non dobbiamo forse “elevare Templi alla virtù? E pensiamo che ciò possa avvenire senza rinunce, senza sacrifici, per il solo fatto che passiamo due ore alla settimana, e neppure sempre, a parlare di cose edificanti?

Non credete invece che ci corra l’obbligo, morale verso noi stessi, innanzitutto, di “operare” (ecco una vera operatività) una trasformazione quella trasmutazione iniziata nel gabinetto di riflessione allorché, semplici candidati a Liberi Muratori, dichiarammo dl voler morire alla profanità e voler divenire “iniziati”?

Siamo solo velleitari? Se si, dichiariamocelo apertamente.

Se invece vogliamo passare dal dire all’azione, bene, allora chiariamoci quali sono i nostri obiettivi (ciascuno per sé o anche tutti insieme, coralmente) e perseguiamoli.

Quando viene detto di voler improntare i nostri rapporti col prossimo all’amore, ad esempio, è sicuramente cosa possibile, non facile ma possibile. Ma quanti di noi lo fanno? E quanti semplicemente si sforzano di farlo?

Vedere il lato buono di ogni individuo che viene a contatto con noi non è affatto difficile, e comportarsi con costoro con amore può essere più facile di quel che si possa immaginare.

Riuscire a dedicare qualche minuto del giorno, di ogni giorno, al silenzio, e successivamente alla meditazione, anche questo non è difficilissimo, a condizione che si voglia veramente fare qualche passo innanzi sul cammino che ci siamo prefissi.

Per queste cose, si noti bene, non occorre assolutamente nessun’altra cosa che la Volontà (meglio se coadiuvata dalla discriminazione) per cui non ci sono alibi: o si ammette il proprio fallimento come Imiatl, traendone poi le conclusioni che ognuno vorrà, o ci si incammina!

Evitiamo che i nostri lavori siano una palestra di buoni oratori con un numero enorme di tavole che finiscono inevitabilmente per sovrapporti ed annullarsi l’un l’altra ma cerchiamo, prendendo lo spunto da una tavola (cioè da esperienze interiori di uno di noi raccontate e spiegate a tutti noi) di “comprendere” e di aiutare chi espone; sfruttiamo il tempo del rituale come un sacrificio che possa avvicinarci all’Unità, alla Verità non fosse altro che perché dichiariamo di lavorare

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STRUTTURAZIONE DEL LAVORO DI LOGGIA

Strutturazione del Lavoro di Loggia

Orientamento secondo le indicazioni implicite nella tavola precedente

(n.d.r. : tavola della tornata precedente)

Ammesso che quanto è contenuto nella Tavola citata in epigrafe forma la base universale del lavoro iniziatico, è implicito che tutto il lavoro si debba esplicare come attuazione della Ricerca Spirituale.

Ciò non porta all’esclusione di attività apparentemente estranee, ma complementari al lavoro fondamentale. Se il corpo fisico è lo strumento più grossolano, ma indispensabile per la ricerca spirituale, occorre provvedere alle sue necessità proprio in funzione di quella ricerca. L’errore incomincia quando si antepongono le necessità del corpo a tutto il resto o addirittura, come generalmente accade, si dimentica lo scopo del nostro corpo e lo si ritiene fine a se stesso, Se dal corpo fisico passiamo all’ego, complesso formato dal senso del corpo + senso della mente, il discorso rimane lo stesso. 11 complesso corpo fisico + corpo emozionale + mente è sempre uno strumento da impiegare nella ricerca di quello che è fondamento e rotore di tutto.

Analogamente le attività collaterali al vero Lavoro di Loggia (elezioni, amministrazione, assistenza, servizio, ecc.) sono da paragonarsi al lavoro di manutenzione degli impianti di una fabbrica, il cui scopo ultimo è la produzione. Come codesta manutenzione si svolge in ore diverse da quelle di produzione, sarebbe augurabile che nella Loggia si svolgesse in riunione extra-tomata, o per il massimo possibile dai Dignitari e Ufficiali di Loggia, senza incidere sul già scarso tempo disponibile per il vero lavoro produttivo.

Tomando al programma che può essere enucleato dalla Tavola citata, si potrebbe suggerire:

 che in tesi generale, allo scopo di non dare a tutta l’attività di Loggia un carattere scolare, non si articoli essa in serie di lezioni, ma bensì che le varie contribuzioni dei Fratelli siano orientate tutte nel senso generale indicato dalla Tavola vitata; nel quadro di una libertà orientata nella scelta;  che il lavoro in Primo Grado sia essenzialmente quello di sensibilizzare tutti i Fratelli Apprendisti verso la necessità unica e fondamentale della vita umana della Realizzazione di quel Fine supremo e veramente remunerativo;  che il lavoro in Secondo Grado approfondisca quello dell’ Apprendista e lo provveda della cognizione dei metodi tradizionali per il conseguimento della Verità e della Realizzazione della nostra vera Realtà.

 che il lavoro nella Camera di Mezzo sia la messa in atto delle scelte personale e collettiva del metodo più congeniale ed efficace per il Raggiungimento; e sia anche la Guida del Lavoro da svolgere e svolgentesi ai due livelli inferiori.

M. Bnc, 26 ottobre 1978 dell’e:. v:. (1 0 grado)

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FUNZIONE INIZIATICA

Funzione iniziatica

In tutte le Logge del mondo si riscontra lo stesso fenomeno: la grave sproporzione tra il numero dei Fratelli iscritti nel Pie’ di Lista e di quelli che frequentano con buona assiduità le Tomate.

L’analisi delle presunte cause di questo fenomeno è stata ripetutamente fatta e si è creduto di poter dividere gli assenteisti in due grandi categorie: formata da coloro che speravano – nonostante gli avvertimenti esplicitamente ripetuti durante l’iniziazione al Primo Grado – di trovare dei benefici di ordine dualistico, poco importa se rozzamente materiali o più sottili, ma sempre egoici; e quella di coloro che speravano di trovare, in questo Ordine che si fregia del titolo di iniziatico, qualcosa che veramente iniziatico fosse.

Ovviamente non vale la pena di occuparci della prima categoria, palesemente simoniaca, mentre la seconda non solo è degna di tutto il nostro rispetto, ma rappresenta un potentissimo atto d’accusa contro l’Istituzione, e specificamente contro tutti noi adepti che, in grado crescente con la nostra anzianità e la nostra immeritata qualifica, costituiamo l’Ordine. Si noti che non ci sono alibi; la sovranità di ogni Loggia rende totalmente ed unicamente responsabili tutti coloro che vi partecipano; tanto più quanto più attivi sono e tanto più quanto meno il loro apporto nel lavoro di Loggia è consono, sia alla Tradizione autentica, sia alla più efficace maniera di aprire una vera Via Iniziatica.

Ci sia concesso un breve, ma pregnante, inciso: In Via Iniziatica è quella che porta alla Realizzazione, cioè alla presa empirica di coscienza della nostra Realtà, che è la nostra Identità con il Divino. Al di fuori di questo, discorsi e letteratura sono pure chiacchiere, puro divertimento culturalistico di effetto nefasto perché porta soltanto alla gonfiatura della presunzione individuale, e quindi di quell’ego che deve invece essere dissolto per prendere coscienza del Divino.

Ecco perché coloro che sono entrati nell’Istituzione con la speranza di intraprendere una Via Iniziatica se ne vanno delusi perché non hanno trovato quello che volevano. Molte volte le cause della delusione sono inconsce perché il desiderio spirituale, sugli albori, è qualcosa di timido e fragile, almeno in apparenza, e quindi il rigetto si può mascherare sotto pretesti diversi. Si noti che esso nasce dalla più profonda delle nostre esigenze vitali; anche se in modo non esplicito la mente, o meglio l’intelletto, sa che il Vero, l’Unico Fine dell’esistenza umana sulla terra è la presa di coscienza sperimentale della nostra Unità con l’Assoluto. Tutto il resto è Illusione, Maya, come insegna la Filosofia Tradizionale.

Un certo numero di Fratelli, infine, continua a seguire i Lavori di Loggia per una serie di motivazioni forse molto diverse, che non è qui necessario analizzare perché ineffettive rispetto al presente discorso, anche se tutte richiedono un riesame che è oggetto della pratica personale sul cammino verso la Luce.

La questione che si pone è quindi la seguente: come mettere in atto lafimzione iniziatica dell ‘Istituzione?

Cominciamo subito a scartare il lavoro puramente mentale. L’insegnamento della dottrina fondamentale deve essere finalizzato esclusivamente alla attività Iniziatica, così come è stata definita in precedenza. Non si può, in nome della cosiddetta tolleranza, ammettere che si dedichi alla lieschina soddisfazione di qualche ego tempo prezioso che è destinato all’opera iniziatica; le eventuali tavole devono essere tutte orientate e giudicate con il criterio dell’lniziaticità come è stato definito più sopra. Gli apporti dei vari Fratelli sono necessari, ma devono essere tutti orientati in quel senso.

Quindi la parte iniziale del lavoro deve essere diretta alla comprensione di ciò che significa Via Iniziatica.

Viene allora la parte veramente operativa della vita iniziatica della Loggia. Come ricavare, dai mezzi che la Tradizione Muratoria offre, una pratica spirituale?

L’ossatura portante della Tradizione Muratoria è formata dal suo Rituale, i cui supporti sono miti e simboli collegati con l’arte muraria; a meno che si vogliano operare innesti innovatori, e pertanto antitradizionali, occorre utilizzare quello che abbiamo.

Esistono strumenti di pratica spirituale molto efficaci e impegnativi; tutti portano alla meditazione attraverso le purificazioni, il distacco dei sensi, la concentrazione, la contemplazione; non sono pratiche contrastanti con altri impegni anche di carattere spirituale e ognuno le può seguire individualmente, anche perché si tratta di una ricerca interiore che ognuno deve fare dentro di sé. Non sembra che siano attività da svolgersi collettivamente, salvo che per qualche indicazione saltuaria e non legata organicamente al lavoro di Loggia, e per quello che è esplicitamente detto nei Rituali (metalli, ecc.).

Resta quindi come strumento di pratica spirituale il Rituale Massonico. Conviene ricordare che l’antica Roma ci offre l’esempio di una religione strettamente rituale. Tutto il culto delle Divinità è contenuto in una serie di riti da seguire con la massima precisione – col rischio di offendere le Forze evocate con errori o trascuratezza nell’adempimento del Rito, prove perfino di disprezzo verso il Divino e punite financo con la morte del sacerdote sciatto -.

Nella Tradizione Orientale il Rito ha pure il significato di sacrificio; è un’offerta al Divino e quindi dev’essere perfetta e ricca. Uno dei Veda tratta solo delle cerimonie rituali: l’Atharva Veda, anche se negli altri tre la parte rituale è sempre molto importante.

Occorre quindi dare un valore veramente sacrale al Rituale. Occorre che ogni momento, ogni atto della vita di Loggia abbia importanza rituale; occorre che ogni cosa sia un’offerta al Grande Architetto; ancora più su, all’Assoluto del quale il Grande Architetto è la Prima Manifestazione, Keter, Brahma, Zeus, Ahura-Mazda.

Come si vede, si tratta di restare entro la Tradizione Muratoria, ma di trame tutto quello che essa può dare.

Non è un’impresa facile, anche così. Noi tutti siamo abituati a considerare il Rituale come qualcosa di ingombrante, come un perditempo, perché scambiamo una tomata di Loggia per una riunione profana, nella quale il lavoro concreto comincia dopo i convenevoli d’uso e finisce prima dei saluti di commiato. Ci si deve convincere che il vero valore muratorio sta nel Rituale e che tavole, balaustre, interventi sono solo intromissioni accessorie, valide, tutt’al più, a confermare ed a sottolineare i valori del Rituale.

Cominciare a credere che i riti sono un’offerta all’Assoluto, che questo Assoluto è la nostra vera essenza e che, perciò, l’offerta di rispetto e di devozione all ‘Assoluto non è altro che una prova di rispetto verso noi stessi, perché l ‘ Assoluto è la nostra unica Realtà, siamo NOI, e quindi ogni faciloneria è mancanza di riguardo, non ad una Entità astratta e lontana, ma a ciò che ci è più vicino di tutto, al nostro vero Essere, che si manifesta nella nostra consapevolezza e nel nostro stesso fatto di esistere. Esistere è una manifestazione dell ‘Essere; I ‘Essere è la facoltà di esistere che ci da, tra l’altro, vita come corpi fisici. Dato che non è concepibile una}àcoltà senza chi ne è in possesso, la Realtà dell ‘Essere ne viene di conseguenza. Perciò, tanto per cominciare, aderenza totale e minuziosa al Rituale. Ogni obliterazione, ogni tagliar corto, ogni minima erosione è un’offesa all’Essere cui il Rito viene offerto. La sera del 30 novembre u.s. sulla cattedra del Maestro Venerabile non era acceso il Testimone ed il Maestro delle Cerimonie ha dovuto ricorrere all’accendino. Piccola erosione del Rituale. E’ stata proposta una semplificazione ai verbali; altra erosione. Nelle tomate in Terzo non si aprono i lavori successivamente nei tre Gradi; ma per giungere nella Camera di Mezzo non si devono ascendere tutti i gradini della Scala? La sola minuziosità dell’aderenza al Rituale non è sufficiente; anzi, può diventare anche stucchevole, se i Fratelli non sentono affettivamente che la loro partecipazione (dico partecipazione e non assistenza) al Rito è un’offerta al Divino, quel Divino che siamo noi stessi. Occorre quindi giungere ad amare il Rituale come il vero cristiano ama il Vangelo ed ogni vero Indù ama i Veda. Occorre amare il Grande Architetto dell’Universo più di ogni altra cosa al mondo, perché Egli è noi e tutte le altre cose, e offrirgli quel poco che possiamo, il nostro umile sacrificio di attenzione e di tempo nell ‘amore col quale facciamo il sincero dono del nostro Rito.

E il minimo che possiamo fare, nell ‘ambito di un Lavoro veramente Iniziatico, a

M. Bnc, 7 dicembre 1978 dell’e:. v (1 0 grado)

IO

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CAMMINARE SULLE ACQUE

Camminare sulle acque

Sovente siamo come quei ragazzini che mentre si rosicchiano le unghie, si stupiscono dei complessi degli altri.

A me dà fastidio qualcosa. A me piace qualcosa.

In entrambi i casi si è stabilito uno scambio di parti: l’oggetto è sopravvenuto oggetto ed il soggetto si è degradato ad oggetto.

Siamo tutti differenti. La nostra uguaglianza sta proprio in questo: che non ci sono neppure due persone che abbiano la stessa distribuzione tra spirito e materia. La diversità è anche uguaglianza.

Siamo sovente convinti di camminare sulle acque. Ci rifiutiamo di vedere che appena sotto il pelo dell’acqua c’è una lastra di pietra. Quando questa pietra finisce noi affoghiamo.

Prima di camminare sulle acque è opportuno imparare a nuotare.

La tolleranza non deve mai essere attiva ma solo passiva. Dobbiamo metterci in condizione tale per cui il nostro prossimo sia in grado di sopportare, il meno peggio possibile, quegli stessi nostri difetti, che per mancanza di amore, normalmente non tolleriamo negli altri.

Quando la tolleranza è attiva non è più tolleranza, è amore.

Amore significa ricercare la componente spirituale che si trova nel nostro prossimo e metterla in evidenza

Amore non può mai essere passivo: deve essere attivo e senza ricompense.

Il mio compiacimento per una cosiddetta buona azione svuota in parte il significato della stessa, e mi avvicina all’egoismo: mi rende schiavo di un edonismo moralistico.

La libertà non è uno stato naturale: lo stato naturale è la schiavitù.

La libertà è fondamentalmente un aggettivo, non un sostantivo. Abbiamo due tipi di libertà aggettivata: libero “da” e libero “di”.

La libertà consiste nell’essere liberi dalla schiavitù della materia. Al limite, quando questa liberazione si è realizzata, pur continuando ad esistere oggettivamente una alternativa, non deve esserci più possibilità di scelta.

Entro i limiti suddetti, libertà può definirsi possibilità di scegliere. Siamo poi certi che quello che noi giudichiamo “possibilità di scegliere” non sia al contrario frutto di scelte binarie ottimali “si/no” (come un elaboratore elettronico) frutto di condizionamenti genetici legati alla tradizione, alle abitudini, alla paura, ecc.?

Anche una scelta detta “cattiva” può in valore assoluto essere ottimale. Ottimale perché è frutto di una scelta e, quand’anche la scelta sia negativa (agli occhi di chi?), può essere analogamente ottimale se vista in funzione dei parametri legati alle condizioni ed agli obiettivi per cui è stata analizzata.

Quando si è veramente liberi “da”, non siamo più interessati ad essere liberi “di”.

L’Essere supremo non è libero: non ha bisogno di.

s

Forse questa è la ragione per cui si dice che il neofita è un uomo libero: non ha neppure intravisto che l’ottimale è l’annullamento della libertà.

E. Scld,

s

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MAGUZZANO

Maguzzano

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

Il Maestro Venerabile, avendo inserito nel programma dei lavori del secondo semestre di quest’anno una tomata dedicata alla relazione sulle giomate di lavoro di Maguzzano, ha voluto rendere in qualche modo ufficiale una esperienza, ormai triennale, che un gruppo di fratelli ha voluto e sta portando avanti nella convinzione profonda che lavorando sempre di più su se stessi si possa contribuire ad edificare templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio e lavorare al bene ed al progresso dell’umanità.

Ora, probabilmente, io deluderò le aspettative del Maestro Venerabile e di quei fratelli che da me si attendono una dettagliata relazione sui lavori svolti in quei tre pesantissimi, oltreché bellissimi, giorni passati a Maguzzano.

Dopo aver tentato, attraverso l’esercitazione della memoria e la consultazione di appunti all’uopo predisposti, di ricostruire il senso di quanto ci si era detto in quei giorni di lavoro ln comune nella stanza messaci a disposizione all’interno dell’ Abbazia, o passeggiando a yuppetti nel parco, o a tavola mentre consumavamo il frugale pasto, o a sera quando stanchi ci si scambiava veloci pensieri nella quiete e nel silenzio; dopo aver tentato, dicevo, di ricostruire tutto questo mi sono reso conto, oltre che delle difficoltà intrinseche di mettere per iscritto una simile esperienza, anche della inutilità pratica di tentare una operazione siffatta.

D’altra parte nella nostra Officina abbiamo da tempo rinunciato a tracciare la tavola architettonica della precedente tomata in modo analitico e completo, risultando tale lavoro praticamente impossibile.

Inoltre Maguzzano è importante non tanto e non solo per i lavori che vi abbiamo svolto, ma, a mio modo di vedere, per il tentativo di integrare tali lavori in una giornata vissuta insieme.

Una continuità operativa che passava da momenti “importanti” alla semplicità di passeggiare insieme, del mangiare insieme, del vivere insieme.

Nel mondo profano, nel mondo del lavoro questo tipo di esperienza viene definita “full immersion” ed ha lo scopo di stimolare, attraverso l’apporto attento, prolungato e privo di distrazioni di tutti i partecipanti, la ricerca di soluzioni evincenti a problemi aziendali.

 D’altra parte, consentitemi la battuta, è noto a tutti come anche Gesù Cristo impose la “full immersion” ai suoi apostoli ed il risultato è ben evidente a tutti.

Ma questo è un argomento che riprenderò più avanti volendomi soffermare un poco nella spiegazione di come trascorreva una nostra giornata.

Tutto ruotava intorno ai “lavori” che occupavano gran parte della mattinata, del pomeriggio e, talvolta, anche della serata. Mi riferisco ai lavori di “Gruppo”, molto simili ai lavori di Loggia, per modalità di conduzione e svolgimento, ma più “liberi” in quanto privi, naturalmente, della sacralità del Tempio. Questa maggiore libertà ha fatto emergere, più d’una volta, tensioni ed incomprensioni che, lungi da creare fratture tra i fratelli, hanno in definitiva contribuito a conoscerci ed a capirci meglio. Ho la sensazione che se Maguzzano fosse nata 15 anni fa si sarebbero potuti risparmiare

alla Pedemontana alcuni        dovuti probabilmente anche alla mancanza di comprensione e conoscenza.

Collaterali ai lavori, anche se non meno intense, erano le pause che venivano utilizzate o per riposarsi o per formare piccoli yuppi che riprendevano, se possibile con più vigore, gli argomenti appena trattati.

Il tutto, come ho già detto, nella quiete e nel silenzio di un luogo bello, sobrio ed essenziale.

Orbene, cari fratelli, dopo questo sintetico flash sulla vita di Maguzzano vorrei esaminare con voi alcuni punti che         stanno a cuore.

Il primo è un’analisi sui partecipanti: dopo tre anni di esperienza possiamo dire che intorno al nucleo iniziale di promotori sono mancate completamente ulteriori aggregazioni. Come se una parte dell’Officina rifiutasse aprioristicamente simile esperienza oppure la giudicasse non degna di sostegno ed attenzione.

E quindi necessario parlare di motivazioni ed obiettivi.

E naturale che io presenterò il mio punto di vista invitando già sin d’ora tutti i fratelli ad esprimere il loro.

La prima motivazione, per il sottoscritto, è stata quella di dedicare del tempo a se stesso, cosa sempre più difficile in questo mondo, in un contesto il più possibile iniziatico e non profano. Ed essendo il metodo massonico un metodo che unisce il lavoro del singolo al confronto col gruppo,

quale migliore soluzione poteva esservi di quella di dedicarsi a se stessi all’unisono con altri fratelli?

Questa sintesi, in realtà, si compie già il giovedì sera, ma, a parte il fatto dell’estrema ‘importanza” dell’occasione che, tra l’altro, impedisce un contatto più emotivo tra i fratelli, tale occasione è molto limitata risolvendosi in tre ore al massimo di comunione.

Ecco quindi l’importanza di trovare altri spazi, in assonanza con il nostro metodo, che aumentino le possibilità d’incontro e confronto tra i fratelli.

Occasioni di incontro e confronto che raggiungono un secondo importante obiettivo: CONOSCERCI MEGLIO.

Ora io sono perfettamente consapevole che la ricerca della Luce è conquista strettamente individuale e che la tomata in Loggia ha, tra gli altri, lo scopo di verificare, di mettere in discussioni convinzioni, supposte conquiste fatte dal singolo fratello nel suo lavoro interiore. Quindi, a rigore, non è affatto necessario che tra i fratelli debba esistere un sentimento di potendosi limitare il rapporto alla semplice frequentazione dell’Officina.

Non me la sento, però, di affermare che questo sia giusto.

L’equilibrio, l’armonia, la forza di una Loggia dipendono anche, a cagione soprattutto della nostra imperfezione, dal raggiungimento di una conoscenza reciproca che possa fare da zoccolo alle molte manchevolezze ed imperfezioni di cui tutti noi siamo purtroppo portatori.

L’amicizia aiuta a comprenderci.

Ma, noi lo sappiamo bene, questa è una nascita non sufficiente: da sola non basta, necessita una ri-nascita. Solo così può acquisire un vero valore ed un senso compiuto! Ciascuno di noi dev’essere antro di se stesso per ri-generarsi esattamente come fecero Mitra e Gesù Cristo.

Ed infatti 1a nostra Iniziazione ci fa passare dalla prova della TERRA, nel gabinetto delle riflessioni, immersi nel buio quasi totale, alla prova del FUOCO per ottenere la luce, motivo unico e dichiarato della nostra Iniziazione.

FINE E LA FINE.

Mitra alleato del Sole garantisce la regolarità del ciclo. Il Cristo annuncia un nuovo tempo, con nuovi cicli e nuove terre, dividendo di fatto la storia in prima e dopo di Lui.

 cicli non hanno finalità, hanno solo un fine. Il finito è perfetto perché è compiuto, non lascia nulla fuori di sé: con la sua fine raggiunge il suo fine.

È la morte insomma che consente la nascita del nuovo, avendo’ distrutto la vecchia visione, ed appare qual giudice: un giudice che non destina, bensì ribadisce come un ritorno, facendolo così durare in eterno.

In questo ciclo non c’è attesa né rimpianto, non c’è pentimento o aspettativa, come ben possiamo immaginare. La regolarità del ciclo, dove niente può accadere che non sia già accaduto e tutto avverrà nel modo già previsto, ci dà la nozione del tempo: nozione per nostro uso, poiché il futuro è la ripetizione del passato, mentre il presente è il punto di equilibrio, quasi inesistente, che sottolinea e valorizza il passato ed il futuro. Si attende solo ciò che DEVE tomare!

Tutto questo prima di Cristo.

D’improvviso lo scorrere del tempo ed il passaggio degli esseri sulla terra acquista un senso diverso, nuovo. Con la nascita del Dio fattosi uomo il tempo non può più essere un non-senso e si parla di eternità, dando al termine il significato di fuori portata umana.

L’uomo cosi acquista una dimensione escatologica, delinea il concetto che la fine non coincide con il fine; il tempo che scorre diventa “la storia”.

Si può vedere il fluire del tempo come storia solo se, e in quanto, abbiano una visione escatologica, cioè una prospettiva dove il fine prevale sulla fine, e dando quindi al tempo, o meglio una direzione. Scrive Milan Kundera che il tempo non va visto come un cerchio, ma come una linea retta che ci porta in un punto ben preciso.

Alla fine si compie quello che all ‘inizio era stato voluto! !

La fine del tempo è l’Apocalisse, che significa s-velare, dis-occultare: l ‘ Apocalisse rivela quindi tutto il senso occulto del divenire del tempo, facendo VEDERE la storia nella sua piena luce, mentre finora era velata e senza un senso, per noi, comprensibile e compiuto.

RINASCITA.

Il futuro non dipende dall’uomo, ma al contrario è esso che suggerisce ed irradia aspettative sull’Uomo. L’uomo allora vi proietta i suoi sensi di colpa o comunque di negatività: forse per

questo motivo tutte le mitologie hanno il bene all’inizio dei tempi e ci fanno vivere il presente come nostalgia e/o attesa.

Nostalgia, che significa dolore (algos) del ritomo (nostos), ma non del ritorno ciclico del tempo e della natura, bensì del ritorno “in patria” che, solo, ci dà il senso del nostro vagabondare: viceversa c’è solo il dolore dell’attesa.

Dicevo delle mitologie primitive che fanno iniziare il tempo dal Paradiso Perduto, o Eden, o Età dell’oro e lo fanno terminare con il ritorno alla salvezza, o alla felicità e al non-ritorno.

Nel tempo ciclico I ‘Uomo ottiene qualche briciola di senso, ma con la visione escatologica pretende la TOTALITÀ DEL SENSO. Ma con esso troviamo anche la sconfitta dell’Uomo, perché il tempo ed il suo senso sono Dio. Ecco il significato di Apocalisse: fine del mondo, o meglio, fine del tempo e dello spazio umano.

Da questa visione nascono utopie e rivoluzioni!

Il Cristianesimo suggerisce la Triade colpa, redenzione e salvezza che nel “sogno” utopico vengono riformulati in passato (malattia), presente (decisione) e futuro (salvezza e felicità).

L’utopia pensa di eliminare tutti i mali con il controllo razionale degli effetti. La rivoluzione invece vuole semplicemente rovesciare e distruggere il MALE, sostituendolo POI con il BENE in modo, di solito, indefinito o molto approssimativo. Dopo ogni rivoluzione si fanno nuovi calendari, nuovi sistemi di misurazione, e subito. A differenza dell’utopia che ha davanti a sé tutto il tempo necessario, essendo un cambiamento PROGRESSIVO e non ESPLOSIVO.

Entrambe, utopia e rivoluzione, sono tutto sommato figlie del Cristianesimo e sono variazioni sul tema della salvezza. Esse sono concepibili solo se la storia ha “un” senso, una direzione univoca di marcia e non possono accettare un “tempo senza meta”.

L’occidente ha accettato questo modello e celebra, nel Natale, non tanto il ri-tomo quanto la ri-nascita, ovvero quanto il futuro può promettere.

[L NATALE CRISTIANO. DONI.

Al Cristo, nato nella grotta, i pastori portano in dono cose materiali o, come diremmo oggi, generi di prima necessità. 1 Magi, viceversa, portarono soprattutto beni “simbolici”.

Di tutto ciò non è rimasto ormai più nulla in quello scambio di doni che ci facciamo ora: oggi i doni sono delle sfide all ‘apparire o delle riparazioni o, ancora, un mercato degli affetti.

Ma, in fondo, che ciclicamente l’intera umanità, e non solo i cristiani osservanti, non riesca a rinunciare a questo stereotipo e che si senta ancora la necessità di questo simulacro di amore e di donare e che vi si aggrappi come un naufrago alla zattera è positivo, vuol dire che l’esigenza di DARE, anche senza contropartita, è ancora viva, anche se non eccessivamente sentita. Di questo però intendo parlarvene in una prossima tavola.

LA FESTA.

Emanata dal sovrano o addirittura dagli dei, un tempo la legge era sacra, escludendo dai propri effetti solo l’emanatore: motivo per cui a re e dei era tutto lecito, essendo al di sopra delle leggi. Sudditi e fedeli potevano partecipare a questa “liceità” durante la festa. Festa, quindi, perché si permette di evitare le leggi date. Ciò valse in special modo per la religione, che giunse persino ad introdurre il concetto di “festa comandata”!

Come interruzione della regola, anche il Natale è festa, intervallo, dove si celebra la *trasgressione e si infrange, in una prodigalità senza misura, la riserva di quei beni che erano stati raccolti e prodotti nei giomi di ciclo feriale. Oggi non è più così, a stretto rigore, ma è ancora rintracciabile il senso di ciò così come è facile rintracciare il filo logico e conduttore del DARE = RINUNCIA = GODIMENTO = ESPIAZIONE.

Potendo disporre di concedere la festa, l’autorità anticipa in piccola misura il godimento ed al tempo stesso rafforza la garanzia del futuro, possedendone i segreti e, volendo, ne spartisce i benefici: in sostanza noi sudditi godiamo non tanto della trasgressione festiva, ma dei potere dell’autorità; di chi, in particolari momenti, volendolo, sospende la legge e concede trasgressioni.

La festa, col suo dispendio quasi senza limiti, dà inizio al ciclo di produzione e sospende ed annulla il sacrificio. La festa allora non la si paga se non nell’idea che ogni godimento si paga non solo con la fatica necessaria ad ottenerlo, ma anche con il senso di Colpa inevitabile per espiare. Questo concetto lo troviamo, a ben guardare, in TUTTI gli insegnamenti (profani).

Il Tronco della Vedova è la possibilità che ci viene offerta, ad ogni tomata, di compiere questo dare, questo sacrificio. Ricordiamocene quando il fratello preposto passerà da noi a noi.

L’INNOCENZA.

Se vorremo distinguerci dai bambini che guardano al Natale con occhi innocenti, togliamogli provvisorietà ed inganno, facciamolo diventare veramente una fede universale e non solo un momento di semplicità ed innocenza!

Sappiamo bene delle difficoltà dell’uomo contemporaneo che disperatamente tenta di uscire dalla propria solitudine, che cerca l’Amore e la Fratellanza. Almeno per un giorno, Natale che non è certo nato per una confezione regalo o per l’esibizione di buoni quanto effimeri sentimenti, sforziamoci per vedere in questa festa l’Uomo, la sua storia e, perché no, anche il chiaro simbolo delle sue possibilità iniziatiche! !

E noi che siamo già rinati trasmettiamo all ‘umanità quel messaggio cui il singolo anela (e che smarrisce quando si trova tra i suoi simili) e che ci viene insegnato dalla nostra tradizione.

Fratelli, stiamo celebrando il solstizio d’inverno, con il Sole al suo momento apparentemente più negativo: con l’oscurità che predomina sulla luce. Ma noi ben lo sappiamo, presto la luce riprenderà poco per volta il sopravvento. E giustamente ne gioiamo! !

Diamo un senso concreto e pratico alla nostra Iniziazione portando all’estero, come segno tangibile della nostra buona volontà, il messaggio di cui è detentrice la nostra Istituzione e che abbiamo la fortuna di condividere.

E per questo che dico che “nascere non basta”. Ed il rinascere deve trovare applicazione.

Maestro Venerabile e Fratelli tutti, con questo il vostro fratello maestro A. Bgg vi porge l’augurio di un BUON NATALE!!

A. Bgg,

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NASCITA

Nascere

Maestro Venerabile e Fratelli tutti carissimi, nascere non è così certo come morire!

Infatti si può morire senza mai essere nati (intendo aver preso parte attiva alla vita) o passando in modo superficiale ed incolore attraverso la vita.

Ogni anno, a Natale, il Cristianesimo ripropone il suo messaggio-richiarno a tutta I ‘Umanità, e lo fa con una festa, “la” festa Una festa che sottolinea ed esalta i valori che Cristo ci indicò, praticandoli:

AMORE PACE SERENITÀ LETIZIA.

Purtroppo, io credo, noi ci sentiamo sempre meno permeati da questi valori, e quando tentiamo di applicarli finiamo per farlo in modo impacciato o anche, talvolta, in modo patetico.

IL rvflTO.

Nascere in una grotta, nella notte del solstizio d’inverno, è un mito che troviamo già, sia nel mondo orientale (India e Persia), che, poi, in quello greco-romano, dove si festeggiava la nascita di Mitra.

Mitra, il Dio indoeuropeo della Luce celeste, garante dei giuramenti e della verità, nei bassorilievi è raffigurato come iniziatore del Sole, suo grande mentre, in ginocchio, col braccio teso addita al Sole stesso la regolarità del suo corso.

Evidentemente gli antichi vivevano come evento fondamentale il ciclo solare, ed era molto sentita la necessità che esso fosse puntuale alle varie scadenze: alba, dì, tramonto e notte; non solo, ma anche la successione delle stagioni aveva la stessa importanza.

Mitra viaggia su un cocchio e con il Sole percorre tutto l’orizzonte, fino a sera, quando giunge l’ora di riposare e di mangiare.

Molto interessante, dal nostro punto di vista, il fatto che il culto a Mitra venisse esclusivamente praticato all ‘intemo di grotte! I

Al Dio solare per eccellenza! Dentro ad una grotta!

Ed in mancanza di grotte naturali, se ne scavavano di artificiali, magari nel sottosuolo.

DALLE TENEBRE ALLA LUCE.

Troviamo così sia nel Sole-Mitra che nel Cristo lo stesso simbolismo: dalle caveme (tenebre) al Cielo (luce). E, guarda caso, anche l’uomo per nascere deve percorrere lo stesso itinerario: dall ‘oscurità del grembo matemo, “viene alla luce”.

Ma, noi lo sappiamo bene, questa è una nascita non sufficiente: da sola non basta, necessita una ri-nascita. Solo così può acquisire un vero valore ed un senso compiuto! Ciascuno di noi

dev’essere antro di se stesso per ri-generarsi esattamente come fecero Mitra e Gesù Cristo.

Ed infatti la nostra Iniziazione ci fa passare dalla prova della TERRA, nel gabinetto delle riflessioni, immersi nel buio quasi totale, alla prova del FUOCO per ottenere la luce, motivo unico e dichiarato della nostra Iniziazione.

FINE E LA FINE.

Mitra alleato del Sole garantisce la regolarità del ciclo. Il Cristo annuncia un nuovo tempo, con nuovi cicli e nuove terre, dividendo di fatto la storia in prima e dopo di Lui.

I cicli non hanno finalità, hanno solo un fine. Il finito è perfetto perché è compiuto, non lascia nulla fuori di sé: con la sua fine raggiunge il suo fine.

È la morte insomma che consente la nascita del nuovo, avendo distrutto la vecchia visione, ed appare qual giudice: un giudice che non destina, bensì ribadisce come un ritorno, facendolo così durare in eterno.

In questo ciclo non c’è attesa né rimpianto, non c’è pentimento o aspettativa, come ben possiamo immaginare. La regolarità del ciclo, dove niente può accadere che non sia già accaduto e tutto avverrà nel modo già previsto, ci dà la nozione del tempo: nozione per nostro uso, poiché il futuro è la ripetizione del passato, mentre il presente è il punto di equilibrio, quasi inesistente, che sottolinea e valorizza il passato ed il futuro.

Si attende solo ciò che DEVE tornare!

Tutto questo prima di Cristo.

D’improvviso lo scorrere del tempo ed il passaggio degli esseri sulla terra acquista un senso diverso, nuovo. Con la nascita del Dio fattosi uomo il tempo non può più essere un non-senso e si parla di etemità, dando al termine il significato di fuori portata umana.

 L’uomo così acquista una dimensione escatologica, delinea il concetto che la fine non coincide con il fine; il tempo che scorre diventa “la storia”.

Si può vedere il fluire del tempo come storia solo se, e in quanto, abbiamo una visione escatologica, cioè una prospettiva dove il fine prevale sulla fine, e dando quindi al tempo, o meglio una direzione. Scrive Milan Kundera che il tempo non va visto come un cerchio, ma come una linea retta che ci porta in un punto ben preciso.

Alla fine si compie quello che all’inizio era stato voluto! !

La fine del tempo è l’ Apocalisse, che significa s-velare, dis-occultare: l’Apocalisse rivela quindi tutto il senso occulto del divenire del tempo, facendo VEDERE la storia nella sua prena luce, mentre finora era velata e senza un senso, per noi, comprensibile e compiuto.

RNASCITA.

Il futuro non dipende dall’uomo, ma al contrario è esso che suggerisce ed irradia aspettative sull’Uomo. L’uomo allora vi proietta i suoi sensi di colpa o comunque di negatività: forse per questo motivo tutte le mitologie hanno il bene all’inizio dei tempi e ci fanno vivere il presente come nostalgia e/o attesa.

Nostalgia, che significa dolore (algos) del ritomo (nostos), ma non del ritomo ciclico del tempo e della natura, bensì del ritomo “in patria” che, solo, ci dà il senso del nostro vagabondare: viceversa c’è solo il dolore dell’ attesa.

Dicevo delle mitologie primitive che fanno iniziare il tempo dal Paradiso Perduto, o Eden, o Età dell ‘oro e lo fanno terminare con il ritorno alla salvezza, o alla felicità e al non-ritomo.

Nel tempo ciclico l’Uomo ottiene qualche briciola di senso, ma con la visione escatologica pretende la TOTALITÀ DEL SENSO. Ma con esso troviamo anche la sconfitta dell’Uomo, perché il tempo ed il suo senso sono Dio. Ecco il significato di Apocalisse: fine del mondo, o meglio, fine del tempo e dello spazio umano.

Da questa visione nascono utopie e rivoluzioni!

Il Cristianesimo suggerisce la Triade colpa, redenzione e salvezza che nel “sogno” utopico vengono riformulati in passato (malattia), presente (decisione) e futuro (salvezza e felicità).

L’utopia pensa di eliminare tutti i mali con il controllo razionale degli effetti. La rivoluzione invece vuole semplicemente rovesciare e distruggere il MALE, sostituendolo POI con il BENE in modo, di solito, indefinito o molto approssimativo. Dopo ogni rivoluzione si fanno nuovi calendari, nuovi sistemi di misura.zione, e subito. A differenza dell’utopia che ha davanti a sé tutto il tempo necessario, essendo un cambiamento PROGRESSIVO e non ESPLOSIVO.

Entrambe, utopia e rivoluzione, sono tutto sommato figlie del Cristianesimo e sono varia.zioni sul tema della salvezza. Esse sono concepibili solo se la storia ha “un” senso, una direzione univoca di marcia e non possono accettare un “tempo senza meta”.

L’occidente ha accettato questo modello e celebra, nel Natale, non tanto il ri-tomo quanto la ri-nascita, ovvero quanto il futuro può promettere.

IL NATALE CRISTIANO. 1 DOM.

Al Cristo, nato nella grotta, i pastori portano in dono cose materiali o, come diremmo oggi, generi di prima necessità. I Magi, viceversa, portarono soprattutto beni “simbolici”.

Di tutto ciò non è rimasto ormai più nulla in quello scambio di doni che ci facciamo ora: oggi i doni sono delle sfide all’apparire o delle riparazioni o, ancora, un mercato degli affetti.

Ma, in fondo, che ciclicamente l’intera umanità, e non solo i cristiani osservanti, non riesca a rinunciare a questo stereotipo e che si senta ancora la necessità di questo simulacro di amore e di donare e che vi si aggrappi come un naufrago alla zattera è positivo, vuol dire che l’esigenza di  DARE, anche senza contropartita, è ancora viva, anche se non eccessivamente sentita Di questo però intendo parlarvene in una prossima tavola.

LA FESTA.

Emanata dal sovrano o addirittura dagli dei, un tempo la legge era sacra, escludendo dai propri effetti solo l’emanatore: motivo per cui a re e dei era tutto lecito, essendo al di sopra delle leggi. Sudditi e fedeli potevano partecipare a questa “liceità” durante la festa. Festa, quindi, perché si permette di evitare le leggi date. Ciò valse in special modo per la religione, che giunse persino ad introdurre il concetto di “festa comandata”!

Come interruzione della regola, anche il Natale è festa, intervallo, dove si celebra la *trasgressione e si infrange, in una prodigalità senza misura, la riserva di quei beni che erano stati raccolti e prodotti nei giomi di ciclo feriale. Oggi non è più così, a stretto rigore, ma è ancora rintracciabile il senso di ciò così come è facile rintracciare il filo logico e conduttore del DARE = Rr•.1UNCIA = GODIMENTO – ESPIAZIONE.

Potendo disporre di concedere la festa, l’autorità anticipa in piccola misura il godimento ed al tempo stesso rafforza la garanzia del futuro, possedendone i segreti e, volendo, ne spartisce i benefici: in sostanza noi sudditi godiarno non tanto della trasgressione festiva, ma del potere dell’autorità; di chi, in particolari momenti, volendolo, sospende la legge e concede trasgressioni.

La festa, col suo dispendio quasi senza limiti, dà inizio al ciclo di produzione e sospende ed annulla il sacrificio. La festa allora non la si paga se non nell’idea che ogni godimento si paga non solo con la fatica necessaria ad ottenerlo, ma anche con il senso di colpa inevitabile per espiare. Questo concetto lo troviarno, a ben guardare, in TUTTI gli insegnamenti (profani).

Il Tronco della Vedova è la possibilità che ci viene offerta, ad ogni tomata, di compiere questo dare, questo sacrificio. Ricordiamocene quando il fratello preposto passerà dinanzi a noi.

L’INNOCENZA.

Se vorremo distinguerci dai bambini che guardano al Natale con occhi innocenti, togliamogli provvisorietà ed inganno, facciamolo diventare veramente una fede universale e non solo un momento di semplicità ed innocenza!

Sappiamo bene delle difficoltà dell’uomo contemporaneo che disperatamente tenta di uscire dalla propria solitudine, che cerca I ‘ Amore e la Fratellanza. Almeno per un giomo, Natale che non è certo nato per una confezione regalo o per l’esibizione di buoni quanto effimeri sentimenti, sforziamoci per vedere in questa festa l’Uomo, la sua storia e, perché no, anche il chiaro simbolo delle sue possibilità iniziatiche! !

E noi che siamo già rinati trasmettiamo all’umanità quel messaggio cui il singolo anela (e che smarrisce quando si trova tra i suoi sinfli) e che ci viene insegnato dalla nostra tradizione.

Fratelli, stiamo celebrando il solstizio d’invemo, con il Sole al suo momento apparentemente più negativo: con l’oscurità che predomina sulla luce. Ma noi ben lo sappiamo, presto la luce riprenderà poco per volta il sopravvento. E giustamente ne gioiamo! !

Diamo un senso concreto e pratico alla nostra Iniziazione portando all’estemo, come segno tangibile della nostra buona volontà, il messaggio di cui è detentrice la nostra Istituzione e che abbiamo la fortuna di condividere.

E per questo che dico che “nascere non basta”. Ed il ri-nascere deve trovare applicazione.

Maestro Venerabile e Fratelli tutti, con questo il vostro fratello maestro A. Bgg vi porge l’augurio di un BUON NATALE!!

A. Bgg, 6 dicembre 1990 e:.v:. (1 0 Grado)

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