Orientamento secondo le indicazioni implicite nella tavola
precedente
(n.d.r. : tavola della tornata precedente)
Ammesso che quanto è contenuto
nella Tavola citata in epigrafe forma la base universale del lavoro iniziatico,
è implicito che tutto il lavoro si debba esplicare come attuazione della
Ricerca Spirituale.
Ciò non porta all’esclusione di
attività apparentemente estranee, ma complementari al lavoro fondamentale. Se
il corpo fisico è lo strumento più grossolano, ma indispensabile per la ricerca
spirituale, occorre provvedere alle sue necessità proprio in funzione di quella
ricerca. L’errore incomincia quando si antepongono le necessità del corpo a
tutto il resto o addirittura, come generalmente accade, si dimentica lo scopo
del nostro corpo e lo si ritiene fine a se stesso, Se dal corpo fisico passiamo
all’ego, complesso formato dal senso del corpo + senso della mente, il discorso
rimane lo stesso. 11 complesso corpo fisico + corpo emozionale + mente è sempre
uno strumento da impiegare nella ricerca di quello che è fondamento e rotore di
tutto.
Analogamente le attività
collaterali al vero Lavoro di Loggia (elezioni, amministrazione, assistenza,
servizio, ecc.) sono da paragonarsi al lavoro di manutenzione degli impianti di
una fabbrica, il cui scopo ultimo è la produzione. Come codesta manutenzione si
svolge in ore diverse da quelle di produzione, sarebbe augurabile che nella
Loggia si svolgesse in riunione extra-tomata, o per il massimo possibile dai
Dignitari e Ufficiali di Loggia, senza incidere sul già scarso tempo
disponibile per il vero lavoro produttivo.
Tomando al programma che può essere enucleato dalla Tavola
citata, si potrebbe suggerire:
che in tesi generale, allo scopo di non dare a
tutta l’attività di Loggia un carattere scolare, non si articoli essa in serie
di lezioni, ma bensì che le varie contribuzioni dei Fratelli siano orientate
tutte nel senso generale indicato dalla Tavola vitata; nel quadro di una
libertà orientata nella scelta; che il lavoro in Primo Grado sia
essenzialmente quello di sensibilizzare tutti i Fratelli Apprendisti verso la
necessità unica e fondamentale della vita umana della Realizzazione di quel
Fine supremo e veramente remunerativo; che il lavoro in Secondo Grado approfondisca
quello dell’ Apprendista e lo provveda della cognizione dei metodi tradizionali
per il conseguimento della Verità e della Realizzazione della nostra vera
Realtà.
che il lavoro nella Camera di Mezzo sia la
messa in atto delle scelte personale e collettiva del metodo più congeniale ed
efficace per il Raggiungimento; e sia anche la Guida del Lavoro da svolgere e
svolgentesi ai due livelli inferiori.
In tutte le Logge del mondo si riscontra lo stesso
fenomeno: la grave sproporzione tra il numero dei Fratelli iscritti nel Pie’ di
Lista e di quelli che frequentano con buona assiduità le Tomate.
L’analisi delle presunte cause di questo fenomeno è
stata ripetutamente fatta e si è creduto di poter dividere gli assenteisti in
due grandi categorie: formata da coloro che speravano – nonostante gli
avvertimenti esplicitamente ripetuti durante l’iniziazione al Primo Grado – di
trovare dei benefici di ordine dualistico, poco importa se rozzamente materiali
o più sottili, ma sempre egoici; e quella di coloro che speravano di trovare,
in questo Ordine che si fregia del titolo di iniziatico, qualcosa che veramente
iniziatico fosse.
Ovviamente non vale la pena di occuparci della prima
categoria, palesemente simoniaca, mentre la seconda non solo è degna di tutto
il nostro rispetto, ma rappresenta un potentissimo atto d’accusa contro
l’Istituzione, e specificamente contro tutti noi adepti che, in grado crescente
con la nostra anzianità e la nostra immeritata qualifica, costituiamo l’Ordine.
Si noti che non ci sono alibi; la sovranità di ogni Loggia rende totalmente ed
unicamente responsabili tutti coloro che vi partecipano; tanto più quanto più
attivi sono e tanto più quanto meno il loro apporto nel lavoro di Loggia è
consono, sia alla Tradizione autentica, sia alla più efficace maniera di aprire
una vera Via Iniziatica.
Ci sia concesso un breve, ma pregnante, inciso: In
Via Iniziatica è quella che porta alla Realizzazione, cioè alla presa empirica
di coscienza della nostra Realtà, che è la nostra Identità con il Divino. Al di
fuori di questo, discorsi e letteratura sono pure chiacchiere, puro
divertimento culturalistico di effetto nefasto perché porta soltanto alla
gonfiatura della presunzione individuale, e quindi di quell’ego che deve invece
essere dissolto per prendere coscienza del Divino.
Ecco perché coloro che sono entrati nell’Istituzione
con la speranza di intraprendere una Via Iniziatica se ne vanno delusi perché
non hanno trovato quello che volevano. Molte volte le cause della delusione
sono inconsce perché il desiderio spirituale, sugli albori, è qualcosa di
timido e fragile, almeno in apparenza, e quindi il rigetto si può mascherare
sotto pretesti diversi. Si noti che esso nasce dalla più profonda delle nostre
esigenze vitali; anche se in modo non esplicito la mente, o meglio
l’intelletto, sa che il Vero, l’Unico Fine dell’esistenza umana sulla terra è la
presa di coscienza sperimentale della nostra Unità con l’Assoluto. Tutto il
resto è Illusione, Maya, come insegna la Filosofia Tradizionale.
Un certo numero di Fratelli, infine, continua a
seguire i Lavori di Loggia per una serie di motivazioni forse molto diverse,
che non è qui necessario analizzare perché ineffettive rispetto al presente
discorso, anche se tutte richiedono un riesame che è oggetto della pratica
personale sul cammino verso la Luce.
La questione che si pone è quindi la seguente: come
mettere in atto lafimzione iniziatica dell ‘Istituzione?
Cominciamo subito a scartare il lavoro puramente
mentale. L’insegnamento della dottrina fondamentale deve essere finalizzato
esclusivamente alla attività Iniziatica, così come è stata definita in
precedenza. Non si può, in nome della cosiddetta tolleranza, ammettere che si
dedichi alla lieschina soddisfazione di qualche ego tempo prezioso che è
destinato all’opera iniziatica; le eventuali tavole devono essere tutte
orientate e giudicate con il criterio dell’lniziaticità come è stato definito
più sopra. Gli apporti dei vari Fratelli sono necessari, ma devono essere tutti
orientati in quel senso.
Quindi la parte iniziale del lavoro deve essere
diretta alla comprensione di ciò che significa Via Iniziatica.
Viene allora la parte veramente operativa della vita
iniziatica della Loggia. Come ricavare, dai mezzi che la Tradizione Muratoria
offre, una pratica spirituale?
L’ossatura portante della Tradizione Muratoria è
formata dal suo Rituale, i cui supporti sono miti e simboli collegati con
l’arte muraria; a meno che si vogliano operare innesti innovatori, e pertanto
antitradizionali, occorre utilizzare quello che abbiamo.
Esistono strumenti di pratica spirituale molto
efficaci e impegnativi; tutti portano alla meditazione attraverso le
purificazioni, il distacco dei sensi, la concentrazione, la contemplazione; non
sono pratiche contrastanti con altri impegni anche di carattere spirituale e
ognuno le può seguire individualmente, anche perché si tratta di una ricerca interiore
che ognuno deve fare dentro di sé. Non sembra che siano attività da svolgersi
collettivamente, salvo che per qualche indicazione saltuaria e non legata
organicamente al lavoro di Loggia, e per quello che è esplicitamente detto nei
Rituali (metalli, ecc.).
Resta quindi come strumento di pratica spirituale il
Rituale Massonico. Conviene ricordare che l’antica Roma ci offre l’esempio di
una religione strettamente rituale. Tutto il culto delle Divinità è contenuto
in una serie di riti da seguire con la massima precisione – col rischio di
offendere le Forze evocate con errori o trascuratezza nell’adempimento del
Rito, prove perfino di disprezzo verso il Divino e punite financo con la morte
del sacerdote sciatto -.
Nella Tradizione Orientale il Rito ha pure il significato
di sacrificio; è un’offerta al Divino e quindi dev’essere perfetta e ricca. Uno
dei Veda tratta solo delle cerimonie rituali: l’Atharva Veda, anche se negli
altri tre la parte rituale è sempre molto importante.
Occorre quindi dare un valore veramente sacrale al
Rituale. Occorre che ogni momento, ogni atto della vita di Loggia abbia
importanza rituale; occorre che ogni cosa sia un’offerta al Grande Architetto;
ancora più su, all’Assoluto del quale il Grande Architetto è la Prima
Manifestazione, Keter, Brahma, Zeus, Ahura-Mazda.
Come si vede, si tratta di restare entro la
Tradizione Muratoria, ma di trame tutto quello che essa può dare.
Non è un’impresa facile, anche così. Noi tutti siamo
abituati a considerare il Rituale come qualcosa di ingombrante, come un
perditempo, perché scambiamo una tomata di Loggia per una riunione profana,
nella quale il lavoro concreto comincia dopo i convenevoli d’uso e finisce
prima dei saluti di commiato. Ci si deve convincere che il vero valore
muratorio sta nel Rituale e che tavole, balaustre, interventi sono solo
intromissioni accessorie, valide, tutt’al più, a confermare ed a sottolineare i
valori del Rituale.
Cominciare a credere che i riti sono un’offerta
all’Assoluto, che questo Assoluto è la nostra vera essenza e che, perciò,
l’offerta di rispetto e di devozione all ‘Assoluto non è altro che una prova di
rispetto verso noi stessi, perché l ‘ Assoluto è la nostra unica Realtà, siamo
NOI, e quindi ogni faciloneria è mancanza di riguardo, non ad una Entità
astratta e lontana, ma a ciò che ci è più vicino di tutto, al nostro vero
Essere, che si manifesta nella nostra consapevolezza e nel nostro stesso fatto
di esistere. Esistere è una manifestazione dell ‘Essere; I ‘Essere è la facoltà
di esistere che ci da, tra l’altro, vita come corpi fisici. Dato che non è
concepibile una}àcoltà senza chi ne è in possesso, la Realtà dell ‘Essere ne
viene di conseguenza. Perciò, tanto per cominciare, aderenza totale e minuziosa
al Rituale. Ogni obliterazione, ogni tagliar corto, ogni minima erosione è
un’offesa all’Essere cui il Rito viene offerto. La sera del 30 novembre u.s.
sulla cattedra del Maestro Venerabile non era acceso il Testimone ed il Maestro
delle Cerimonie ha dovuto ricorrere all’accendino. Piccola erosione del Rituale.
E’ stata proposta una semplificazione ai verbali; altra erosione. Nelle tomate
in Terzo non si aprono i lavori successivamente nei tre Gradi; ma per giungere
nella Camera di Mezzo non si devono ascendere tutti i gradini della Scala? La
sola minuziosità dell’aderenza al Rituale non è sufficiente; anzi, può
diventare anche stucchevole, se i Fratelli non sentono affettivamente che la
loro partecipazione (dico partecipazione e non assistenza) al Rito è un’offerta
al Divino, quel Divino che siamo noi stessi. Occorre quindi giungere ad amare
il Rituale come il vero cristiano ama il Vangelo ed ogni vero Indù ama i Veda.
Occorre amare il Grande Architetto dell’Universo più di ogni altra cosa al
mondo, perché Egli è noi e tutte le altre cose, e offrirgli quel poco che
possiamo, il nostro umile sacrificio di attenzione e di tempo nell ‘amore col
quale facciamo il sincero dono del nostro Rito.
E il minimo che possiamo fare, nell ‘ambito di un Lavoro veramente
Iniziatico, a
Sovente siamo come quei ragazzini
che mentre si rosicchiano le unghie, si stupiscono dei complessi degli altri.
A me dà fastidio qualcosa. A me piace
qualcosa.
In entrambi i casi si è stabilito uno scambio di parti:
l’oggetto è sopravvenuto oggetto ed il soggetto si è degradato ad oggetto.
Siamo tutti differenti. La nostra uguaglianza sta proprio
in questo: che non ci sono neppure due persone che abbiano la stessa
distribuzione tra spirito e materia. La diversità è anche uguaglianza.
Siamo sovente convinti di camminare sulle acque. Ci
rifiutiamo di vedere che appena sotto il pelo dell’acqua c’è una lastra di
pietra. Quando questa pietra finisce noi affoghiamo.
Prima di camminare sulle acque è opportuno
imparare a nuotare.
La tolleranza non deve mai essere attiva ma solo passiva.
Dobbiamo metterci in condizione tale per cui il nostro prossimo sia in grado di
sopportare, il meno peggio possibile, quegli stessi nostri difetti, che per
mancanza di amore, normalmente non tolleriamo negli altri.
Quando la tolleranza è attiva non è più
tolleranza, è amore.
Amore significa ricercare la componente spirituale che si
trova nel nostro prossimo e metterla in evidenza
Amore non può mai
essere passivo: deve essere attivo e senza ricompense.
Il mio compiacimento per una cosiddetta buona azione
svuota in parte il significato della stessa, e mi avvicina all’egoismo: mi
rende schiavo di un edonismo moralistico.
La libertà non è uno stato naturale: lo
stato naturale è la schiavitù.
La libertà è fondamentalmente un aggettivo, non un
sostantivo. Abbiamo due tipi di libertà aggettivata: libero “da” e
libero “di”.
La libertà consiste nell’essere liberi dalla
schiavitù della materia. Al limite, quando questa liberazione si è realizzata,
pur continuando ad esistere oggettivamente una alternativa, non deve esserci
più possibilità di scelta.
Entro i limiti suddetti, libertà può definirsi
possibilità di scegliere. Siamo poi certi che quello che noi giudichiamo
“possibilità di scegliere” non sia al contrario frutto di scelte
binarie ottimali “si/no” (come un elaboratore elettronico) frutto di
condizionamenti genetici legati alla tradizione, alle abitudini, alla paura,
ecc.?
Anche una scelta detta “cattiva” può in
valore assoluto essere ottimale. Ottimale perché è frutto di una scelta e,
quand’anche la scelta sia negativa (agli occhi di chi?), può essere
analogamente ottimale se vista in funzione dei parametri legati alle condizioni
ed agli obiettivi per cui è stata analizzata.
Quando si è veramente liberi “da”, non
siamo più interessati ad essere liberi “di”.
L’Essere supremo non è libero: non ha
bisogno di.
s
Forse questa è la ragione per cui si dice che il neofita è
un uomo libero: non ha neppure intravisto che l’ottimale è l’annullamento della
libertà.
Il Maestro Venerabile, avendo inserito nel programma dei
lavori del secondo semestre di quest’anno una tomata dedicata alla relazione
sulle giomate di lavoro di Maguzzano, ha voluto rendere in qualche modo
ufficiale una esperienza, ormai triennale, che un gruppo di fratelli ha voluto
e sta portando avanti nella convinzione profonda che lavorando sempre di più su
se stessi si possa contribuire ad edificare templi alla virtù, scavare oscure e
profonde prigioni al vizio e lavorare al bene ed al progresso dell’umanità.
Ora, probabilmente, io deluderò le aspettative del Maestro
Venerabile e di quei fratelli che da me si attendono una dettagliata relazione
sui lavori svolti in quei tre pesantissimi, oltreché bellissimi, giorni passati
a Maguzzano.
Dopo aver tentato, attraverso l’esercitazione della memoria e
la consultazione di appunti all’uopo predisposti, di ricostruire il senso di
quanto ci si era detto in quei giorni di lavoro ln comune nella stanza messaci
a disposizione all’interno dell’ Abbazia, o passeggiando a yuppetti nel parco,
o a tavola mentre consumavamo il frugale pasto, o a sera quando stanchi ci si
scambiava veloci pensieri nella quiete e nel silenzio; dopo aver tentato,
dicevo, di ricostruire tutto questo mi sono reso conto, oltre che delle
difficoltà intrinseche di mettere per iscritto una simile esperienza, anche
della inutilità pratica di tentare una operazione siffatta.
D’altra parte nella nostra Officina abbiamo da tempo
rinunciato a tracciare la tavola architettonica della precedente tomata in modo
analitico e completo, risultando tale lavoro praticamente impossibile.
Inoltre Maguzzano è importante non tanto e non solo per i
lavori che vi abbiamo svolto, ma, a mio modo di vedere, per il tentativo di
integrare tali lavori in una giornata vissuta insieme.
Una continuità operativa che passava da momenti
“importanti” alla semplicità di passeggiare insieme, del mangiare
insieme, del vivere insieme.
Nel mondo profano, nel mondo del lavoro questo tipo di
esperienza viene definita “full immersion” ed ha lo scopo di
stimolare, attraverso l’apporto attento, prolungato e privo di distrazioni di
tutti i partecipanti, la ricerca di soluzioni evincenti a problemi aziendali.
D’altra parte,
consentitemi la battuta, è noto a tutti come anche Gesù Cristo impose la
“full immersion” ai suoi apostoli ed il risultato è ben evidente a
tutti.
Ma questo è un argomento che riprenderò più avanti volendomi
soffermare un poco nella spiegazione di come trascorreva una nostra giornata.
Tutto ruotava intorno ai “lavori” che occupavano
gran parte della mattinata, del pomeriggio e, talvolta, anche della serata. Mi
riferisco ai lavori di “Gruppo”, molto simili ai lavori di Loggia,
per modalità di conduzione e svolgimento, ma più “liberi” in quanto
privi, naturalmente, della sacralità del Tempio. Questa maggiore libertà ha
fatto emergere, più d’una volta, tensioni ed incomprensioni che, lungi da
creare fratture tra i fratelli, hanno in definitiva contribuito a conoscerci ed
a capirci meglio. Ho la sensazione che se Maguzzano fosse nata 15 anni fa si
sarebbero potuti risparmiare
alla Pedemontana alcuni
dovuti probabilmente anche alla
mancanza di comprensione e conoscenza.
Collaterali ai lavori, anche se non meno intense,
erano le pause che venivano utilizzate o per riposarsi o per formare piccoli
yuppi che riprendevano, se possibile con più vigore, gli argomenti appena
trattati.
Il tutto, come ho già detto, nella quiete
e nel silenzio di un luogo bello, sobrio ed essenziale.
Orbene, cari fratelli, dopo questo sintetico flash sulla vita
di Maguzzano vorrei esaminare con voi alcuni punti che stanno a cuore.
Il primo è un’analisi sui partecipanti: dopo tre anni
di esperienza possiamo dire che intorno al nucleo iniziale di promotori sono
mancate completamente ulteriori aggregazioni. Come se una parte dell’Officina
rifiutasse aprioristicamente simile esperienza oppure la giudicasse non degna
di sostegno ed attenzione.
E quindi necessario parlare di motivazioni
ed obiettivi.
E naturale che io presenterò il mio punto di vista invitando
già sin d’ora tutti i fratelli ad esprimere il loro.
La prima motivazione, per il sottoscritto, è stata
quella di dedicare del tempo a se stesso, cosa sempre più difficile in questo
mondo, in un contesto il più possibile iniziatico e non profano. Ed essendo il
metodo massonico un metodo che unisce il lavoro del singolo al confronto col
gruppo,
quale migliore soluzione poteva esservi di quella di dedicarsi a se
stessi all’unisono con altri fratelli?
Questa sintesi, in realtà, si compie già il giovedì
sera, ma, a parte il fatto dell’estrema
‘importanza” dell’occasione che, tra l’altro, impedisce
un contatto più emotivo tra i fratelli, tale occasione è molto limitata
risolvendosi in tre ore al massimo di comunione.
Ecco quindi l’importanza di trovare altri spazi, in assonanza
con il nostro metodo, che aumentino le possibilità d’incontro e confronto tra i
fratelli.
Occasioni di incontro e confronto che raggiungono un secondo
importante obiettivo: CONOSCERCI MEGLIO.
Ora io sono perfettamente consapevole che la ricerca
della Luce è conquista strettamente individuale e che la tomata in Loggia ha,
tra gli altri, lo scopo di verificare, di mettere in discussioni convinzioni,
supposte conquiste fatte dal singolo fratello nel suo lavoro interiore. Quindi,
a rigore, non è affatto necessario che tra i fratelli debba esistere un
sentimento di potendosi limitare il rapporto alla semplice frequentazione
dell’Officina.
Non me la sento, però, di affermare che
questo sia giusto.
L’equilibrio, l’armonia, la forza di una Loggia
dipendono anche, a cagione soprattutto della nostra imperfezione, dal
raggiungimento di una conoscenza reciproca che possa fare da zoccolo alle molte
manchevolezze ed imperfezioni di cui tutti noi siamo purtroppo portatori.
L’amicizia aiuta a comprenderci.
Ma, noi lo sappiamo bene, questa è una nascita non
sufficiente: da sola non basta, necessita una ri-nascita. Solo così può
acquisire un vero valore ed un senso compiuto! Ciascuno di noi dev’essere antro
di se stesso per ri-generarsi esattamente come fecero Mitra e Gesù Cristo.
Ed infatti 1a nostra Iniziazione ci fa passare dalla prova
della TERRA, nel gabinetto delle riflessioni, immersi nel buio quasi totale, alla prova del FUOCO per ottenere la luce, motivo
unico e dichiarato della nostra Iniziazione.
FINE E LA FINE.
Mitra alleato del Sole garantisce la regolarità del ciclo.
Il Cristo annuncia un nuovo tempo, con nuovi cicli e nuove terre, dividendo di
fatto la storia in prima e dopo di Lui.
cicli non hanno
finalità, hanno solo un fine. Il finito è perfetto perché è compiuto, non
lascia nulla fuori di sé: con la sua fine raggiunge il suo fine.
È la morte insomma che consente la nascita del nuovo,
avendo’ distrutto la vecchia visione, ed appare qual giudice: un giudice che
non destina, bensì ribadisce come un ritorno, facendolo così durare in eterno.
In questo ciclo non c’è attesa né rimpianto, non c’è pentimento o
aspettativa, come ben possiamo immaginare. La regolarità del ciclo, dove niente
può accadere che non sia già accaduto e tutto avverrà nel modo già previsto, ci
dà la nozione del tempo: nozione per nostro uso, poiché il futuro è la
ripetizione del passato, mentre il presente è il punto di equilibrio, quasi
inesistente, che sottolinea e valorizza il passato ed il futuro. Si attende
solo ciò che DEVE tomare!
Tutto questo prima di Cristo.
D’improvviso lo scorrere del tempo ed il passaggio degli
esseri sulla terra acquista un senso diverso, nuovo. Con la nascita del Dio
fattosi uomo il tempo non può più essere un non-senso e si parla di eternità,
dando al termine il significato di fuori portata umana.
L’uomo cosi acquista una dimensione escatologica, delinea
il concetto che la fine non coincide con il fine; il tempo che scorre diventa
“la storia”.
Si può vedere il fluire del tempo come storia solo se, e in
quanto, abbiano una visione escatologica, cioè una prospettiva dove il fine
prevale sulla fine, e dando quindi al tempo, o meglio una direzione. Scrive
Milan Kundera che il tempo non va visto come un cerchio, ma come una linea
retta che ci porta in un punto ben preciso.
Alla fine si compie quello che all ‘inizio
era stato voluto! !
La fine del tempo è l’Apocalisse, che significa s-velare,
dis-occultare: l ‘ Apocalisse rivela quindi tutto il senso occulto del divenire
del tempo, facendo VEDERE la storia nella sua piena luce, mentre finora era
velata e senza un senso, per noi, comprensibile e compiuto.
RINASCITA.
Il futuro non dipende dall’uomo, ma al contrario è esso
che suggerisce ed irradia aspettative sull’Uomo. L’uomo allora vi proietta i
suoi sensi di colpa o comunque di negatività: forse per
questo motivo tutte le mitologie hanno il
bene all’inizio dei tempi e ci fanno vivere il presente come nostalgia e/o
attesa.
Nostalgia, che significa dolore (algos) del ritomo (nostos),
ma non del ritorno ciclico del tempo e della natura, bensì del ritorno “in
patria” che, solo, ci dà il senso del nostro vagabondare: viceversa c’è
solo il dolore dell’attesa.
Dicevo delle mitologie primitive che fanno iniziare il
tempo dal Paradiso Perduto, o Eden, o Età dell’oro e lo fanno terminare con il
ritorno alla salvezza, o alla felicità e al non-ritorno.
Nel tempo ciclico I ‘Uomo ottiene qualche briciola di senso,
ma con la visione escatologica pretende la TOTALITÀ DEL SENSO. Ma con esso
troviamo anche la sconfitta dell’Uomo, perché il tempo ed il suo senso sono
Dio. Ecco il significato di Apocalisse: fine del mondo, o meglio, fine del
tempo e dello spazio umano.
Da questa visione nascono utopie e rivoluzioni!
Il Cristianesimo suggerisce la Triade colpa, redenzione e
salvezza che nel “sogno” utopico vengono riformulati in passato
(malattia), presente (decisione) e futuro (salvezza e felicità).
L’utopia pensa di eliminare tutti i mali con il controllo razionale
degli effetti. La rivoluzione invece vuole semplicemente rovesciare e
distruggere il MALE, sostituendolo POI con il BENE in modo, di solito,
indefinito o molto approssimativo. Dopo ogni rivoluzione si fanno nuovi
calendari, nuovi sistemi di misurazione, e subito. A differenza dell’utopia che
ha davanti a sé tutto il tempo necessario, essendo un cambiamento PROGRESSIVO e
non ESPLOSIVO.
Entrambe, utopia e rivoluzione, sono tutto sommato figlie del
Cristianesimo e sono variazioni sul tema della salvezza. Esse sono concepibili
solo se la storia ha “un” senso, una direzione univoca di marcia e
non possono accettare un “tempo senza meta”.
L’occidente ha accettato questo modello e celebra, nel
Natale, non tanto il ri-tomo quanto la ri-nascita, ovvero quanto il futuro può
promettere.
[L NATALE CRISTIANO. DONI.
Al Cristo, nato nella grotta, i pastori portano in dono cose
materiali o, come diremmo oggi, generi di prima necessità. 1 Magi, viceversa,
portarono soprattutto beni “simbolici”.
Di tutto ciò non è rimasto ormai più nulla in quello scambio
di doni che ci facciamo ora: oggi i doni sono delle sfide all ‘apparire o delle
riparazioni o, ancora, un mercato degli affetti.
Ma, in fondo, che ciclicamente l’intera umanità, e non solo i
cristiani osservanti, non riesca a rinunciare a questo stereotipo e che si
senta ancora la necessità di questo simulacro di amore e di donare e che vi si
aggrappi come un naufrago alla zattera è positivo, vuol dire che l’esigenza di
DARE, anche senza contropartita, è ancora viva, anche se non eccessivamente
sentita. Di questo però intendo parlarvene in una prossima tavola.
LA FESTA.
Emanata dal sovrano o addirittura dagli dei, un tempo la
legge era sacra, escludendo dai propri effetti solo l’emanatore: motivo per cui
a re e dei era tutto lecito, essendo al di sopra delle leggi. Sudditi e fedeli
potevano partecipare a questa “liceità” durante la festa. Festa,
quindi, perché si permette di evitare le leggi date. Ciò valse in special modo
per la religione, che giunse persino ad introdurre il concetto di “festa
comandata”!
Come interruzione della regola, anche il Natale è festa,
intervallo, dove si celebra la *trasgressione e si infrange, in una prodigalità
senza misura, la riserva di quei beni che erano stati raccolti e prodotti nei
giomi di ciclo feriale. Oggi non è più così, a stretto rigore, ma è ancora
rintracciabile il senso di ciò così come è facile rintracciare il filo logico e
conduttore del DARE = RINUNCIA = GODIMENTO = ESPIAZIONE.
Potendo disporre di concedere la festa, l’autorità anticipa
in piccola misura il godimento ed al tempo stesso rafforza la garanzia del
futuro, possedendone i segreti e, volendo, ne spartisce i benefici: in sostanza
noi sudditi godiamo non tanto della trasgressione festiva, ma dei potere
dell’autorità; di chi, in particolari momenti, volendolo, sospende la legge e
concede trasgressioni.
La festa, col suo dispendio quasi senza limiti, dà inizio al
ciclo di produzione e sospende ed annulla il sacrificio. La festa allora non la
si paga se non nell’idea che ogni godimento si paga non solo con la fatica
necessaria ad ottenerlo, ma anche con il senso di Colpa inevitabile per
espiare. Questo concetto lo troviamo, a ben guardare, in TUTTI gli insegnamenti
(profani).
Il Tronco della Vedova è la possibilità che ci viene offerta,
ad ogni tomata, di compiere questo dare, questo sacrificio. Ricordiamocene
quando il fratello preposto passerà da noi a noi.
L’INNOCENZA.
Se vorremo distinguerci dai bambini che guardano al Natale con occhi
innocenti, togliamogli provvisorietà ed inganno, facciamolo diventare veramente
una fede universale e non solo un momento di semplicità ed innocenza!
Sappiamo bene delle difficoltà dell’uomo contemporaneo che
disperatamente tenta di uscire dalla propria solitudine, che cerca l’Amore e la
Fratellanza. Almeno per un giorno, Natale che non è certo nato per una
confezione regalo o per l’esibizione di buoni quanto effimeri sentimenti,
sforziamoci per vedere in questa festa l’Uomo, la sua storia e, perché no,
anche il chiaro simbolo delle sue possibilità iniziatiche! !
E noi che siamo già rinati trasmettiamo all ‘umanità quel
messaggio cui il singolo anela (e che smarrisce quando si trova tra i suoi
simili) e che ci viene insegnato dalla nostra tradizione.
Fratelli, stiamo celebrando il solstizio d’inverno, con il
Sole al suo momento apparentemente più negativo: con l’oscurità che predomina
sulla luce. Ma noi ben lo sappiamo, presto la luce riprenderà poco per volta il
sopravvento. E giustamente ne gioiamo! !
Diamo un senso concreto e pratico alla
nostra Iniziazione portando all’estero, come segno tangibile della nostra buona
volontà, il messaggio di cui è detentrice la nostra Istituzione e che abbiamo
la fortuna di condividere.
E per questo che dico che
“nascere non basta”. Ed il rinascere deve trovare applicazione.
Maestro Venerabile e Fratelli tutti, con questo il vostro
fratello maestro A. Bgg vi porge l’augurio di un BUON NATALE!!
Maestro
Venerabile e Fratelli tutti carissimi, nascere non è così certo come morire!
Infatti si può morire senza mai essere nati (intendo aver
preso parte attiva alla vita) o passando in modo superficiale ed incolore
attraverso la vita.
Ogni anno, a Natale, il Cristianesimo ripropone il suo
messaggio-richiarno a tutta I ‘Umanità, e lo fa con una festa, “la”
festa Una festa che sottolinea ed esalta i valori che Cristo ci indicò,
praticandoli:
AMORE PACE SERENITÀ LETIZIA.
Purtroppo, io credo, noi ci
sentiamo sempre meno permeati da questi valori, e quando tentiamo di applicarli
finiamo per farlo in modo impacciato o anche, talvolta, in modo patetico.
IL rvflTO.
Nascere in una grotta, nella notte del solstizio
d’inverno, è un mito che troviamo già, sia nel mondo orientale (India e
Persia), che, poi, in quello greco-romano, dove si festeggiava la nascita di
Mitra.
Mitra, il Dio indoeuropeo della Luce celeste,
garante dei giuramenti e della verità, nei bassorilievi è raffigurato come
iniziatore del Sole, suo grande mentre, in ginocchio, col braccio teso addita
al Sole stesso la regolarità del suo corso.
Evidentemente gli antichi vivevano come evento
fondamentale il ciclo solare, ed era molto sentita la necessità che esso fosse
puntuale alle varie scadenze: alba, dì, tramonto e notte; non solo, ma anche la
successione delle stagioni aveva la stessa importanza.
Mitra viaggia su un cocchio e con il Sole percorre
tutto l’orizzonte, fino a sera, quando giunge l’ora di riposare e di mangiare.
Molto interessante, dal nostro
punto di vista, il fatto che il culto a Mitra venisse esclusivamente praticato
all ‘intemo di grotte! I
Al Dio solare per
eccellenza! Dentro ad una grotta!
Ed in mancanza
di grotte naturali, se ne scavavano di artificiali, magari nel sottosuolo.
DALLE TENEBRE ALLA
LUCE.
Troviamo così sia nel Sole-Mitra che nel Cristo lo
stesso simbolismo: dalle caveme (tenebre) al Cielo (luce). E, guarda caso,
anche l’uomo per nascere deve percorrere lo stesso itinerario: dall ‘oscurità
del grembo matemo, “viene alla luce”.
Ma, noi lo sappiamo bene, questa è una nascita non
sufficiente: da sola non basta, necessita una ri-nascita. Solo così può
acquisire un vero valore ed un senso compiuto! Ciascuno di noi
dev’essere antro di se stesso per
ri-generarsi esattamente come fecero Mitra e Gesù Cristo.
Ed infatti la nostra Iniziazione ci fa passare dalla
prova della TERRA, nel gabinetto delle riflessioni, immersi nel buio quasi totale, alla prova del FUOCO per
ottenere la luce, motivo unico e dichiarato della nostra Iniziazione.
FINE E LA FINE.
Mitra alleato del Sole garantisce la regolarità del
ciclo. Il Cristo annuncia un nuovo tempo, con nuovi cicli e nuove terre,
dividendo di fatto la storia in prima e dopo di Lui.
I cicli non hanno finalità, hanno solo un fine. Il
finito è perfetto perché è compiuto, non lascia nulla fuori di sé: con la sua
fine raggiunge il suo fine.
È la morte insomma che consente la nascita del nuovo,
avendo distrutto la vecchia visione, ed appare qual giudice: un giudice che non
destina, bensì ribadisce come un ritorno, facendolo così durare in eterno.
In questo ciclo non c’è attesa né rimpianto, non c’è pentimento o aspettativa,
come ben possiamo immaginare. La regolarità del ciclo, dove niente può accadere
che non sia già accaduto e tutto avverrà nel modo già previsto, ci dà la
nozione del tempo: nozione per nostro uso, poiché il futuro è la ripetizione
del passato, mentre il presente è il punto di equilibrio, quasi inesistente,
che sottolinea e valorizza il passato ed il futuro.
Si attende solo ciò che DEVE tornare!
Tutto questo prima di Cristo.
D’improvviso lo scorrere del tempo ed il passaggio
degli esseri sulla terra acquista un senso diverso, nuovo. Con la nascita del
Dio fattosi uomo il tempo non può più essere un non-senso e si parla di
etemità, dando al termine il significato di fuori portata umana.
L’uomo così acquista una dimensione
escatologica, delinea il concetto che la fine non coincide con il fine; il
tempo che scorre diventa “la storia”.
Si può vedere il fluire del tempo come storia solo se,
e in quanto, abbiamo una visione escatologica, cioè una prospettiva dove il
fine prevale sulla fine, e dando quindi al tempo, o meglio una direzione.
Scrive Milan Kundera che il tempo non va visto come un cerchio, ma come una
linea retta che ci porta in un punto ben preciso.
Alla fine si
compie quello che all’inizio era stato voluto! !
La fine del tempo è l’ Apocalisse, che significa
s-velare, dis-occultare: l’Apocalisse rivela quindi tutto il senso occulto del
divenire del tempo, facendo VEDERE la storia nella sua prena luce, mentre
finora era velata e senza un senso, per noi, comprensibile e compiuto.
RNASCITA.
Il futuro non dipende dall’uomo, ma
al contrario è esso che suggerisce ed irradia aspettative sull’Uomo. L’uomo
allora vi proietta i suoi sensi di colpa o comunque di negatività: forse per
questo motivo tutte le mitologie hanno il bene all’inizio dei tempi e ci fanno
vivere il presente come nostalgia e/o attesa.
Nostalgia, che significa dolore (algos) del ritomo
(nostos), ma non del ritomo ciclico del tempo e della natura, bensì del ritomo
“in patria” che, solo, ci dà il senso del nostro vagabondare:
viceversa c’è solo il dolore dell’ attesa.
Dicevo delle mitologie primitive
che fanno iniziare il tempo dal Paradiso Perduto, o Eden, o Età dell ‘oro e lo
fanno terminare con il ritorno alla salvezza, o alla felicità e al non-ritomo.
Nel tempo ciclico l’Uomo ottiene qualche briciola di
senso, ma con la visione escatologica pretende la TOTALITÀ DEL SENSO. Ma con
esso troviamo anche la sconfitta dell’Uomo, perché il tempo ed il suo senso
sono Dio. Ecco il significato di Apocalisse: fine del mondo, o meglio, fine del
tempo e dello spazio umano.
Da questa
visione nascono utopie e rivoluzioni!
Il Cristianesimo suggerisce la
Triade colpa, redenzione e salvezza che nel “sogno” utopico vengono
riformulati in passato (malattia), presente (decisione) e futuro (salvezza e
felicità).
L’utopia pensa di eliminare tutti i mali con il
controllo razionale degli effetti. La rivoluzione invece vuole semplicemente
rovesciare e distruggere il MALE, sostituendolo POI con il BENE in modo, di
solito, indefinito o molto approssimativo. Dopo ogni rivoluzione si fanno nuovi
calendari, nuovi sistemi di misura.zione, e subito. A differenza dell’utopia
che ha davanti a sé tutto il tempo necessario, essendo un cambiamento
PROGRESSIVO e non ESPLOSIVO.
Entrambe, utopia e rivoluzione, sono tutto sommato
figlie del Cristianesimo e sono varia.zioni sul tema della salvezza. Esse sono
concepibili solo se la storia ha “un” senso, una direzione univoca di
marcia e non possono accettare un “tempo senza meta”.
L’occidente ha accettato questo
modello e celebra, nel Natale, non tanto il ri-tomo quanto la ri-nascita,
ovvero quanto il futuro può promettere.
IL NATALE CRISTIANO. 1 DOM.
Al Cristo, nato nella grotta, i
pastori portano in dono cose materiali o, come diremmo oggi, generi di prima
necessità. I Magi, viceversa, portarono soprattutto beni “simbolici”.
Di tutto ciò non è rimasto ormai più nulla in quello
scambio di doni che ci facciamo ora: oggi i doni sono delle sfide all’apparire
o delle riparazioni o, ancora, un mercato degli affetti.
Ma, in fondo, che ciclicamente l’intera
umanità, e non solo i cristiani osservanti, non riesca a rinunciare a questo
stereotipo e che si senta ancora la necessità di questo simulacro di amore e di
donare e che vi si aggrappi come un naufrago alla zattera è positivo, vuol dire
che l’esigenza di DARE, anche senza contropartita, è ancora
viva, anche se non eccessivamente sentita Di questo però intendo parlarvene in
una prossima tavola.
LA FESTA.
Emanata dal sovrano o addirittura dagli dei, un
tempo la legge era sacra, escludendo dai propri effetti solo l’emanatore:
motivo per cui a re e dei era tutto lecito, essendo al di sopra delle leggi.
Sudditi e fedeli potevano partecipare a questa “liceità” durante la
festa. Festa, quindi, perché si permette di evitare le leggi date. Ciò valse in
special modo per la religione, che giunse persino ad introdurre il concetto di
“festa comandata”!
Come interruzione della regola,
anche il Natale è festa, intervallo, dove si celebra la *trasgressione e si
infrange, in una prodigalità senza misura, la riserva di quei beni che erano
stati raccolti e prodotti nei giomi di ciclo feriale. Oggi non è più così, a
stretto rigore, ma è ancora rintracciabile il senso di ciò così come è facile
rintracciare il filo logico e conduttore del DARE = Rr•.1UNCIA = GODIMENTO –
ESPIAZIONE.
Potendo disporre di concedere la
festa, l’autorità anticipa in piccola misura il godimento ed al tempo stesso
rafforza la garanzia del futuro, possedendone i segreti e, volendo, ne spartisce
i benefici: in sostanza noi sudditi godiarno non tanto della trasgressione
festiva, ma del potere dell’autorità; di chi, in particolari momenti,
volendolo, sospende la legge e concede trasgressioni.
La festa, col suo dispendio quasi
senza limiti, dà inizio al ciclo di produzione e sospende ed annulla il
sacrificio. La festa allora non la si paga se non nell’idea che ogni godimento
si paga non solo con la fatica necessaria ad ottenerlo, ma anche con il senso
di colpa inevitabile per espiare. Questo concetto lo troviarno, a ben guardare,
in TUTTI gli insegnamenti (profani).
Il Tronco della Vedova è la possibilità che ci viene
offerta, ad ogni tomata, di compiere questo dare, questo sacrificio.
Ricordiamocene quando il fratello preposto passerà dinanzi a noi.
L’INNOCENZA.
Se vorremo distinguerci dai
bambini che guardano al Natale con occhi innocenti, togliamogli provvisorietà
ed inganno, facciamolo diventare veramente una fede universale e non solo un
momento di semplicità ed innocenza!
Sappiamo bene delle difficoltà
dell’uomo contemporaneo che disperatamente tenta di uscire dalla propria
solitudine, che cerca I ‘ Amore e la Fratellanza. Almeno per un giomo, Natale
che non è certo nato per una confezione regalo o per l’esibizione di buoni
quanto effimeri sentimenti, sforziamoci per vedere in questa festa l’Uomo, la
sua storia e, perché no, anche il chiaro simbolo delle sue possibilità
iniziatiche! !
E noi che siamo già rinati
trasmettiamo all’umanità quel messaggio cui il singolo anela (e che smarrisce
quando si trova tra i suoi sinfli) e che ci viene insegnato dalla nostra
tradizione.
Fratelli, stiamo celebrando il
solstizio d’invemo, con il Sole al suo momento apparentemente più negativo: con
l’oscurità che predomina sulla luce. Ma noi ben lo sappiamo, presto la luce
riprenderà poco per volta il sopravvento. E giustamente ne gioiamo! !
Diamo un senso concreto e pratico
alla nostra Iniziazione portando all’estemo, come segno tangibile della nostra
buona volontà, il messaggio di cui è detentrice la nostra Istituzione e che
abbiamo la fortuna di condividere.
E per questo che dico che
“nascere non basta”. Ed il ri-nascere deve trovare applicazione.
Maestro Venerabile e Fratelli tutti, con questo il vostro
fratello maestro A. Bgg vi porge l’augurio di un BUON NATALE!!
Trattare cosa ci aspetta nell’altra
vita è quanto di più difficile e complesso, per il semplice motivo che nulla in
merito si può dimostrare, né scientificamente, né con altri metodi. Non voglio
quindi neanche tentare minimamente di dimostrare qualche cosa – me ne guardo
dal farlo – in quanto probabilmente rischierei di dire delle cose inesatte;
però se ognuno di noi riesce e si sforza di affrontare l’argomento nella giusta
maniera, penso che si potrebbe cambiare il senso della nostra vita.
Avendo solo delle confuse idee su
ciò che ci aspetta dopo la nostra vita terrena, viviamo quella attuale in
maniera probabilmente errata, per una serie infinita di motivi.
Non sappiamo, o forse non siamo in
grado, di darci una spiegazione del perché siamo nati, del perché viviamo, ma
soprattutto siamo terrorizzati al pensiero di lasciare la realtà della vita
terrena.
Per la maggior parte degli uomini è
reale tutto ciò che si materializza, e questa forse errata interpretazione
condiziona la nostra esistenza facendoci cadere in crisi, depressioni, momenti
di quasi terrore.
La parola “morte” viene
evitata perché, solo al parlarne, si prova disagio, quasi un brivido: si è
portati a credere che, se si evita l’argomento, la nostra “ora”
arriverà il più tardi possibile.
Tutto ciò a causa dell’incertezza
dovuta al dogma e a ciò che educatori, genitori o altre persone ci hanno
inculcato fin dai primi anni della nostra esistenza.
L’umanità è stata ipnotizzata
dall’idea della morte. Spesso ricorrono, anche presso chi dovrebbe sapeme di
più, le frasi: “mietuto dalla falce crudele”, “rapito nel fiore
degli anni”,
‘un ‘operosa vita finita”,
frasi che esprimono l’idea che l’individuo abbia cessato di esistere e sia
ridotto nel nulla.
Ciò si osserva particolarmente nel
mondo occidentale, sebbene la religione dominante insegni le gioie dell’aldilà
in così vividi termini, che logicamente ogni credente dovrebbe salutare con
piacere il transito, e parenti ed amici indossare vistosi abiti ed adornarsi di
fiori sgargianti per celebrare il passaggio della persona amata ad una sfera
più felice e più brillante dell ‘esistenza.
Noi vediamo esattamente il contrario.
L’uomo comune, nonostante la sua
fede e le sue credenze, sempre teme l’avvicinarsi della “crudele
mietitrice”. In contrasto con il suo credo, con l’espressione della sua
fede, la morte incute un terrore che l’uomo non riesce in apparenza a vincere.
Da queste spaventose emozioni si
sono liberati coloro che hanno acquistato la coscienza della fallacia dell
‘idea della morte.
Da un punto di vista del pensiero
orientale la “morte” non esiste. Il nome è una menzogna ed una
fallace credenza, nata dall ‘ignoranza: non vi è “morte”, vi è solo
“vita”.
Nulla muore in realtà, ancorché
tutto subisca un cambiamento di forma e di attività. La “morte” è
solo un aspetto della vita e la distruzione di una forma materiale, è solo il
preludio alla creazione di un’ altra.
Siamo talmente immersi nel materialismo che
parliamo del mondo celeste come di un mero sogno, quasi di un fantasma. Forse
siamo dei poveri mortali che non comprendono che alla fine nulla può essere
meno reale, più vicino al sogno, più transitorio e fantomatico di questo mondo
di sostanza materiale.
Dovremmo sforzarci di credere che
il mondo della mente e, ancor più, il mondo dello spirito sono molto più reali
del mondo materiale.
Le esperienze, quindi, della nostra
anima sul più elevato Piano Astrale non solo non sono irreali, ma al paragone
sono molto più reali delle esperienze di vita sui piani materiali.
Oltre al dogma ci sono altri elementi che provocano
confusione ed incertezza nella mente dell’uomo, come la convinzione che un giorno
cessino lo sforzo e l’impulso creativo e tutto abbia
fine, nulla ci sia più da fare o da creare e
che non ci rimanga altro che incrociare le braccia e godere le beatitudini dell
‘ozio etemo.
Il pensiero, invece, di un mondo celeste in cui si
svilupperanno i di questa vita ed in cui l’impulso creativo avrà piena
possibilità di esprimersi ed affermarsi, affinché in una futura vita, più nuova
e più completa, produca come fiori e frutti l’esaudimento dei propri voti e la
realizzazione degli ideali, è fonte di immensa felicità per lo spirito.
Personalmente ritengo che il nostro più grande errore sia
quello di considerare la vita terrena come la più importante dell ‘ordine
cosmico.
È errato pensare che il problema della vita oltre la morte
debba restare nell ‘ambito della fede e non venir messo in discussione.
L’uomo dovrebbe sempre aprire nuove porte e vagliare nuovi
campi di ricerca, conoscere, ma soprattutto, avere il coraggio di indagare in
questo campo, nella speranza di aiutare quanti hanno bisogno di sapere, più che
di credere.
” Voi li giudicherete da quello che hanno
prodotto” ha detto il grande iniziato Gesù. Questo si applica alle
dottrine come agli uomini. Essa forma il fondo di tutte le grandi religioni o
dei libri sacri di tutti i popoli, occorre solo, soltanto trovarle e trarle in
luce.
Se ci avviciniamo alle storie delle religioni alla luce di
questa verità centrale, che l’iniziazione interiore solamente può svelare,
resteremo sorpresi. Tutte le grandi religioni hanno una storia esteriore e
un’altra intima; per storia esteriore intendo i dogmi e i miti insegnati,
pubblicamente riconosciuti dal culto e dalla superstizione popolare e per
storia intima intendo la scienza profonda, la dottrina segreta, l’azione
occulta di iniziati con la “I” maiuscola che hanno percepito la luce
cercando, sostenendo e propagandando la verità dell ‘esoterismo.
La prima è la storia che si legge ovunque, si svolge
pubblicamente, ma è tuttavia oscura, imbrogliata e contraddittoria. La seconda
è la dottrina dei misteri, la tradizione esoterica difficile da interpretare e
percepire, perché si svolge in seno agli iniziati che non lasciano mai scritte
le loro crisi supreme e le loro estasi divine. Bisogna intuirla, ma una volta
che questa storia si svela, la vediamo apparire luminosa, organica e sempre armoniosa
che vorrei chiamarla la storia della religione eterna e universale.
In essa scorgiamo il lato nascosto delle cose, il lato
diritto della coscienza umana, la cui storia non ce ne mostra che il rovescio
penoso. Qui intravediamo il punto creatore del tutto, questo punto corrisponde
alle verità trascendenti, troviamo la causa, l’origine e la fine del
meraviglioso lavoro degli uomini (corpo, anima, spirito) nei secoli.
Di ciò troviamo il
germe ed il nucleo nei Veda e la sua prima cristallizzazione storica si rivela
nella dottrina trinitaria di Krishna, che dà al bramanesimo la sua potenza e
alla religione dell ‘India la sua caratteristica indelebile. Buddha, che
secondo la cronologia dei bramini sarebbe posteriore a Krishna di
duemilaquattrocento anni, non fa che palesare un altro lato della dottrina
occulta, quello della metempsicosi e della serie delle esistenze concatenate
dalla legge del Karma. Benché il buddhismo sia sorto come rivoluzione
democratica, sociale e morale contro il bramanesimo aristocratico e
sacerdotale, il suo fondo metafisico è il medesimo, ma meno completo.
Ermete risulta dai geroglifici decifrati e non
soltanto dalla iscrizioni delle stele di Tebe e di Menfi, conferma tutta la
cronologia di Manetone, ma dimostra altresì che i sacerdoti di Ammon•Ra
professavano quell’altra metafisica che, sotto altre forme, s’insegnava sulle
rive del Gange. Possiamo in questo caso ripetere con il profeta che “la
pietra grezza e le mura gettano il loro grido”. Simile al “sole di
mezzanotte”, che dicesi risplendesse durante i misteri d’Iside e
d’Osiride, il pensiero di Ermete (l’antica dottrina del Verbo Solare) s’è
riacceso nelle tombe dei Re e risplende fin nei papiri del Libro dei Morti.
In Grecia il pensiero esoterico è ad un tempo più visibile
e più nascosto che altrove: più visibile, perché si svolge in una mitologia
umana ed incantevole. Ma i principi della teosofia dorica e della saggezza
delfica sono scritti nei frammenti orfici e nella sintesi pitagorica, non meno
che nella dialettica di Platone.
La tradizione occulta d’Israele, che trae le sue
origini complesse dall’Egitto, dalla Caldea e dalla Persia, ci è stata
conservata sotto una forma oscura, ma in tutta la sua profondità ed integrità
nella Kabbala o tradizione orale e tende a ricostituire la vera cosmogonia di
Mosè secondo il
Ancora più massonicamente
rilevato è il mito di Ulisse, espresso dallo stesso Fratello Pascoli nel
poemetto intitolato L ‘Ultimo viaggio.
Ulisse, risalpando da Itaca la
primavera del nono anno dopo il ritmo, rivede i luoghi che già furono meta del
suo tempestoso peregrinare.
Rivede l’isola di Circe, ma la
maga e la sua casa non ci sono più, perché si è spento in lui l’ anore che le
aveva create.
Rivede la terra dei Ciclopi, ma
il Ciclope e il dolce sogno di gloria che già avevano illuso il suo cuore sono
svaniti, come sono svanite in lui le ultime illusioni.
Alla fine arriva malinconico al
lido delle Sirene. Forse almeno esse sapranno dirgli quello che solo occorre
ricercare: il vero. Sull ‘immobile ed arcana quiete del mare innalza la voce
alta e sicura verso le Sirene, alle quali, secondo quanto ha narrato Omero,
prima era sfuggito:
“Son io! Son io, che tomo per sapere!
Ché molto io vidi, come voi vedete
me , .. E il vecchio vide un grande mucchio d’ossa d ‘uomini, e pelli
raggrinzite intorno, presso le due Sirene, immobilmente stese sul lido, simili
a due scogli. Vedo. Sia pure. Questo duro ossame …
… ma, voi due,
parlate!
Ma dite un vero, un solo a me, tra
il tutto, prima ch ‘io muoia …
Solo mi resta un
attimo. Vi prego.
Ditemi almeno
chi son io …
E tra i due
scogli si spezzo la nave ‘ .
Le Sirene sono il simbolo tragico
delle più alte aspirazioni che da sempre hanno affascinato l’uomo. Egli cerca
angosciosamente nel mondo la ragione della propria vita e muore spesso senza averla trovata.
Ma per quanto sconsolata e
stremante sia questa diuturna ricerca, egli non deve rinunciare ad esplorare,
non deve fermarsi alla soglia del mistero.
Un Ulisse ancora più legato ai
problemi del vivere quotidiano è quello presentatoci da James Joyce.
Lo scrittore irlandese ha
scoperto che ogni umana esperienza, per quanto povera, semplice e squallida,
può essere ricondotta a quel grande insuperabile modello che è Ulisse.
La vicenda del suo romanzo si
riduce infatti ad un sol giorno, dalle otto del mattino alle due di notte del
16 giugno 1904.
Ne è protagonista un ebreo,
agente di pubblicità per un giornale di Dublino, tale Leopold Bloom. Le sue
avventure, i suoi incontri, le sue viltà, i tradimenti, le gioie, le passioni
sono l’espressione della nostra quotidiana odissea, senza splendori e senza
miti. Perché il fine che si propone Joyce è proprio questo: offrire agli uomini
un punto di riferimento nel cercare di venire a capo del proprio destino.
L’Ulisse dantesco aveva dovuto scendere fino al regno dei
morti perché gli fosse chiara la via della salvezza. Joyce si cala nel buio
della coscienza, anzi nell’inconscio dell’uomo, per scoprire i drammi,
reconditi e misteriosi, del vivere quotidiano.
Ho avuto tre volte nella mia vita la chiara sensazione di
trovarmi al cospetto di forze malefiche realmente definite. Vi voglio
raccontare brevemente queste esperienze.
Una notte d’estate, durante una rassegna di canti corali,
molti ragazzi erano accolti in un convento della catnpagna vicino ad Arezzo.
Tutto tranquillo e niente ragazzate.
Nelle prime ore della notte un ragazzo si sveglia con urla
terrificanti. Tutto il convento viene svegliato. Tutti i cani dei dintorni si
mettono ad ululare.
Il ragazzo mostra degli ematomi alle mani che non
riusciamo a collegare né con la forma delle mani, né alla forma di alcun
oggetto a portata di mano, nel caso in cui potessero essere dovute a
convulsioni involontarie.
Significativo è il terrore di centinaia di persone e degli
animali, senso di terrore che ancora oggi mi prende nel raccontare I ‘episodio.
Il fatto non fu mai spiegato razionalmente e nessuno dei
presenti mette ancora oggi in dubbio che esso fu causato da una particolare
sensibilità del ragazzo a qualcosa a lui “estema”.
Quasi tutti voi siete a conoscenza che la mia
famiglia è stata oggetto di telefonate nottume in un certo periodo.
Fortunatamente siamo riusciti ad individuarne la provenienza ed una semplice
telefonata di richiamo, senza nemmeno parlare, dopo una ennesima sveglia ha,
per ora, posto fine alla serie.
Lo sforzo di immagina.zione per identificare la persona mi
ha obbligato a cercare di entrare nel suo stato d’animo. Immaginate quali
terribili tensioni devono pervadere una persona che cova, per decine di anni, invidie e
rancori tali da portarla a varcare i confini del comportamento sociale per
scendere ai più bassi livelli di abiezione, così da tentare l’omicidio, se pur
attraverso un mezzo a distanza.
Il linguaggio udito era così ripugnante che nessuno
della famiglia è riuscito non solo a ripeterlo, ma lo ha istantaneamente
cancellato dalla memoria. Non conosco né persona, né ambiente dal quale possa
essere stato udito.
Il fatto è avvenuto; la persona in oggetto è di media
cultura ed all’apparenza assolutamente normale. Eppure c’è qualcosa nella sua
personalità che ha creato questo mostro.
Il terzo esempio che vi propongo è, a parer mio, il più
spaventoso perché non coinvolge sfere psichiche od emotive, ma deriva dalla
pura razionalità.
Vi voglio descrivere cosa è in grado di
fare un cosiddetto virus del computer.
Questo germe è in realtà un programma che ha
la caratteristica di poter migrare, attraverso l’uso dei dischetti magnetici,
da una macchina all’altra Quando si è introdotto va ad inserirsi in qualche
programma di uso generale e da questo infetta tutti gli altri programmi
inseriti.
L’infezione può manifestarsi in diversi modi, a volte
concomitanti. Per esempio può gonfiare con propri elementi anomali i programmi
tutte le volte che lavorano, finché la memoria viene completamente occupata ed
il computer diventa sempre più lento fino ad arrestarsi: muore. Non basta, ogni
programma infetto, se copiato in una altra macchina, riproduce gli stessi
sintomi.
Un altro effetto è dirompente: in occasione di
una certa data esplode in tutta la memoria e cancella tutto quello che in essa
è scritto.
L’unico vero rimedio è quello di cancellare tutto quello
che vi è inserito e sostituirlo con programmi non infetti.
Credo di avervi descritto qualcosa che contemporaneamente è
una malattia infettiva, il cancro e lo schok cardiaco.
Questo è lì presente e visibile. Creato
dall’uomo, non si sa nemmeno bene perché!
s
Vi ho descritto tre modi di manifestarsi del demonio:
attraverso la manifestazione del pericolo e del terrore, come sentimenti
malefici e come pura razionalità.
Tutte tre queste modalità di espressione diabolica
passano attraverso la presenza fisica, la mediazione dell’uomo. Non siamo
infatti in grado di collegare azioni malefiche a nessun altro essere esistente
nel mondo sensibile: minerale, vegetale ed animale.
Quando due essenze si presentano in modo indissolubile, non
possiamo fare a meno di collegarle con una delle seguenti affermazioni:
se si tratta di due cose separate, esiste un
interesse di una verso l’altra, cioè del
Diavolo verso l’uomo;
se
lo spirito del male non esiste in sé, allora è generato dall’uomo.
Da sempre l’uomo, posto di fronte alle manifestazioni
del Male, cerca una spiegazione destreggiandosi tra queste due possibilità.
Proviamo a valutare le conseguenze delle due affermazioni.
Nel primo caso si dice che la Cosa è separata.
Poiché riconosco che in ogni modo essa mi danneggia (altrimenti non mi porrei
il problema), devo cercare di eliminarla ovunque si annidi, fuori o dentro gli
esseri umani.
Poiché il male è dannoso a tutti, chiunque è
autorizzato a ritenersi dalla “parte del bene”, stabilire, secondo un
proprio modo di giudicare, che cosa sia diabolico o al servizio del diavolo ed
agire di conseguenza.
Se il male è un fatto a sé stante non può essere cambiato
in bene per definizione. Qualsiasi modo per liberarsene è buono.
sistemi usati vanno dall’allontanamento mediante
pratiche esorcistiche, nel caso in cui le manifestazione sia costituita da
invadenti forze oscure, alla eliminazione fisica se, per la seconda parte del
principio, il Diavolo si presenta sotto forma di uomo o penetra un individuo ai
suoi servigi. Specie se donna.
Da meditare il fatto che il migliore
sistema per sia il fuoco.
La strada più corretta e coerente del nemico del Diavolo è
quella di scacciarlo da sé e dagli altri oggetti umani che egli consideri suoi
protetti in pericolo di diventarne preda.
Il modo più semplice è quello di eliminare tutti quelli che
non sono dichiaratamente dalla sua parte e quindi automaticamente alleati del
Male, così come egli lo intende.
punto di arrivo di questo modo di ragionare lo
abbiamo tutti i giorni davanti ai nostri occhi: la guerra santa,
l’emarginazione e la persecuzione dei diversi, l’inquisizione, i mass media per
eliminare le correnti diverse di pensiero, nei termini dei grandi fenomeni
sociali.
Nei termini delle scelte personali troviamo, guidata
sempre da questa modalità d’essere, tutta una gamma di modi di agire che, per
abitudine, diamo per buoni e accettati, ma che se osservati a fondo potrebbero
non essere completamente giustificati. Mi riferisco alle azioni cruenti
sull’organismo malato; la lobotomia, gli interventi chirurgici fatti “alla
leggera”, vedi tonsilliti e adenoidi. Il farmaco come proiettile contro il
sintomo della malattia. L’emarginazione dell ‘anziano, l’aborto, l’eliminazione
dei rifiuti, la castrazione dei polli da allevamento, per non parlare degli
interventi genetici su animali e piante, e la vivisezione.
Tutti questi sono modi di presentarsi di
fronte al male, fisico o sociale, ed anche verso il semplice malessere con le armi, con
l’intenzione di dominarlo come un nemico da combattere.
Se il Diavolo può usare qualsiasi arma, l’uomo può usare
qualsiasi mezzo per difendersi e diffondere il bene … anche identificato con
il benessere.
Le radici di tale modo di concepire il mondo sono lontane;
molto deriva dalle varie impostazioni di origine cristiana.
Se la teoria Gnostica pessimistica porta al rifiuto della
procreazione ed al suicidio, quella ottimistica della teoria della
ricongiunzione della luce, con un processo continuo che dal seme alla pianta,
alla verdura, al cibo rientra nell’essere pensante che dispone della
autocoscienza delle fiarnmelle divine, si ricongiunge alla luce; ha conseguenze
non meno nefaste ed attuali.
Infatti essa contiene la convinzione che l’uomo deve
prolificare al massimo per aumentare il numero di strumenti e di occasioni della
riunificazione della luce. Tutto il creato manifesto ha come unico scopo di
alimentare e beneficare l’uomo.
Chiunque è autorizzato ad usare tutto ciò che trova a
disposizione per attuare questo disegno. 11 mondo sensibile non ha altro scopo che questo.
Distruggere montagne per fare autostrade, come distruggere
le foreste per fare pascoli e campi agricoli, distruggere altre culture e
linguaggi: tutto per il proprio è Santo.
La trasposizione pratica di questa forma di pensiero è
impersonata dalla struttura degli stati moderrf nei quali, con o senza delega
diretta dei cittadini, una piccola parte di persone, il govemo, è autorizzata a
prendere decisioni per tutti e su tutto. Mentre non è affatto chiaro quale sia
il bene che debba essere perseguito. Tanto è vero che quanto più sono
concentrati i mezzi di prevenzione sociale, di informazione e di controllo,
tanto più ci si sente male: oppressi, abbandonati e meno informati.
Quei pochi che detengono il potere riproducono esattamente
la logica dello sfruttarnento del creato descritta prima. Usano le popolazioni
per ottenere ciò che essi èonsiderano il Bene, il “loro” Bene.
Nella seconda ipotesi la Cosa, il Male, non è costituita
da qualcosa a sé stante, bensì è generata “in” ed espressa dall ‘uomo
stesso.
Questi concetti sono espressi nei più antichi testi
conosciuti, i Veda e gli Uppanishad, poemi indiani scritti più di quindicimila
anni fa. Furono ripresi dalle religioni monoteistiche, per passare poi alle
correnti panteistiche illuministe ed alle attuali filosofie idealistiche.
Tutte queste correnti di pensiero concepiscono il creato
come unitario, se pur costruito in modo estremarnente differenziato.
Esso è sia espressione delle diverse identità, nel senso
orizzontale della varietà di sostanze: oggetti, individui, che come espressione
verticale, rappresentata dalla appartenenza della stessa unità a differenti
livelli di manifestazione.
Questi livelli essenziali partono dalla concretezza
sensibile del materiale, per passare a modalità via via più complesse, come le
geometrie e le forze. Si elevano poi in molteplici piani sempre più sottili,
fino ad arrivare all ‘ultimo che comprende la pura idea creativa del tutto: la
parola perduta, ma sempre pervadente il creato, quindi, se mai, dimenticata.
Per quanto riguarda I ‘uomo, mi riferisco ai sensi, le
emozioni, la mente, il complesso karmico (che registra sensazioni ed
esperienze), il subconscio, il complesso animico, l’inconscio, il livello
spirituale, l’Io, il Sé.
Questa impostazione è confermata dall’esperienza, almeno
per i livelli inferiori, ma contemporaneamente all ‘esistenza di queste
manifesta.zioni risulta dimostrata l’assenza di limiti ben definiti tra le
diverse identità.
In una visione così varia il male trova una prima
giustificazione come contrasto e conflittualità fra essenze dello stesso
livello. Una creatura ne divora un’altra per sopravvivere. Un diverso modo di
sentire il mondo genera incomprensione, odio tra individui differenziati. A
livello emozionale una separazione genera tristezza.
Per altro
verso il male può essere il risultato di discrepanze o disarmonie tra i diversi
livelli esistenziali dello stesso individuo. Per esempio un dolore non
controllabile può provocare desiderio di annullamento. Attraverso canali conosciuti,
ma invisibili, una cellula recepisce questo desiderio, si rifiuta di
appartenere all’organismo di nascita, modifica il suo stato genetico ed inizia
il cancro o qualche altra malattia o disturbo.
In modo più complesso, ma altrettanto possibile, sono
interpretabili la pazzia, le ossessioni e tutti gli altri “mali”
umani.
Va ribadito che in questa visione il male è una conseguenza
per nulla malefica del sistema. Compito della Saggezza di interpretarlo,
capirlo e saperlo fronteggiare o prevenire.
s
Questa visione onnicomprensiva contiene pure essa il
mito del ritorno finale alla unità primordiale sotto forma di un continuo
rinascere degli esseri in forme sempre più elevate fino ad identificarsi con il
Sé universale.
E possibile influire positivamente sul proprio
processo di crescita spirituale ed accelerare il ciclo di elevaione prendendo
coscienza di esso e comportandosi poi volontariamente in modo adatto a
favorirlo.
Mezzi e pratiche sono essenzialmente individuali. Solo
personalità eccezionali possono indirettamente influire su altre creature.
In questa visione è male e producono male tutti gli
avvenimenti che non sono coerenti, non sono indirizzati nello stesso senso del
processo generale.
Nella nostra visione, per molti versi ispirata a questi
principi, possiamo indicare il Male come disarmonia rispetto al disegno del
Grande Architetto dell ‘Universo.
In entrambe le concezioni, quella orientale e quella
massonica, è possibile trovare la chiave di lettura del Disegno. In un caso agendo
sulle armonie, le leggi naturali, le manifesta.zioni di ciò che percepiamo per
agire su noi stessi. Nell ‘altro leggendo nel linguaggio difficile dei simboli,
che ne rappresentano la sintesi della Mente.
Esistono pratiche tantriche e atteggiamenti e comportamenti
massonici che permettono di avvicinarsi in vita allo stato della maggiore
conoscenza.
Diavolo diventa così chi, avendone i mezzi, non
conosce, non vuole conoscere o, conoscendo una parte, utilizza la sua
conoscenza per il proprio esclusivo beneficio materiale e spirituale, senza con
ciò evitare di recare danno ad altre creature.
Diavolo è chi comunque, anche inconsapevolmente a
proprio svantaggio, va in senso inverso al disegno universale.
Agiamo diabolicamente contro noi stessi quando ci abbandoniamo
alla non conoscenza, non utilizziamo i meravigliosi mezzi di cui siamo forniti
per capire e per sentire.
La vita,
considerata come immersione nella esperienza del sensibile, intemo ed estemo,
assume il preciso significato di essere l’occasione per utilizzare
positivamente i nostri strumenti di comunicazione per mettere in rapporto le
impressioni, il karma, con lo spirito.
Se non ce ne accorgiamo, o lo ignoriamo e ci lasciamo
trascinare solo dalla realtà apparente, essa diventa invece I ‘immersione in un
brodo rovente di terrori, di urti materiali e spirituali.
Gli altri diventano Avversari, le paure angosce, le azioni
sforzi inutili. Non si intravede né risultato, né speranza mentre in realtà la
vita è il Paradiso terrestre…
L’iniziato sa. Gli è stata aperta la porta delle
conoscenza. Sicuramente il primo significato della Luce è questa consapevolezza
Egli può percorrere il suo cammino conoscendo la direzione in cui sta andando.
Il significato del primo dei tre gradini è quello di
allontanare i metalli, sgombrare la mente per poter sentire i messaggi più
sottili. Il silenzio è la prima delle pratiche di purifica.zione.
Gli altri gradini permetteranno di utilizzare questa acuita
sensibilità in modo sempre più delicato. La Maestranza anche per riprodurre la
tradizione orale.
Quale debba essere il nostro rapporto con il Creato,
positivo e negativo, è rappresentato dalla nostra entrata in tempio: noi
camminiamo con un passo nel bianco ed uno nel nero. Entrambi questi
. stati fanno parte del nostro
essere. Viverli e, se possibile, utilizzarli entrambi mettendoli in rapporto fa
parte del nostro destino.
E gli altri? Sono tutti Diavoli?
Una parabola terribile ed illuminante è descritta dallo
scrittore americano Bernard Malamud nel suo libro “Dio mio, grazie”.
s
Calvin Cohn, ex rabbino e speleologo, è l’unico uomo
scampato all’olocausto nucleare. Sente la voce di Dio che gli annuncia che egli
è scampato per una svista, ma non gli sarà fatta altra violenza. Il destino non
sarà comunque forzato,
Cohn approda in una isola incontaminata abitata solo da
animali. Egli incontra un branco di scimpanzé. Nella solitudine insegna loro a
parlare. Si convince che il volere di Dio sia che egli tramandi il sapere dell
‘uomo alle scimmie.
In un attimo di illusione si accoppia con le loro femmine
che partoriscono alcuni piccoli di una nuova razza. La civiltà può essere
ricostituita!
Il destino si compie. Gli scimpanzé ritomano alla loro
natura selvaggia. Uccidono i piccoli e riprendono la via della foresta.
Volontariamente dimenticano la parola.
Catturano Cohn e lo uccideranno. Nella foresta un gorilla
isolato intona un lungo Kaddisch, la preghiera ebraica dei morti, per Calvin
Cohn.
Il personaggio
impersona bene, a parer mio, l’iniziato. Egli assiste impotente alla
distruzione ed al suicidio dell ‘umanità perché questo è nel disegno della
Natura.
Anche se conosce e vuole diffondere la sua consapevolezza,
egli è impotente di fronte alla natura degli esseri che non possiedono questa
capacità.
Malgrado i suoi tentativi di volgerlo al quello che Egli
considera il Meglio, il Disegno si compirà semplicemente, senza possibilità di
ritomo, senza vinti né vincitori, senza colpe né peccati, né intervento di
alcuna potenza cattiva. Semplicemente si compirà.
penso che la Massoneria o, se preferite,
il nostro modo contemporaneo di essere Massoni sia “ammalato” di
democrazia. Perché?
Perché nel mondo profano la
maggior parte delle persone identifica sostanzialmente la cosiddetta vita
democratica nella possibilità di poter fare tutto e il contrario di tutto,
ovvero ciò che più gli aggrada, nonostante esistano regole comportamentali comunemente
definite e accettate, ma soprattutto quanto esiste la certezza dell’impunità e
quindi i comportamenti risultano esclusivamente regolati dall’onestà dci
singoli; se questo è vero, com’è vero, qualcosa di analogo sta accadendo in
Massoneria, stante la difficoltà ad abbandonare i metalli che comunque pernea i
Fratelli, seppur con diversa intensità.
La Massoneria non è e non può
essere “democratica” nell’accezione profana del termine. Questo, si
badi bene, non significa che sia “autoritaria”, anche qui nell’accezione
profana del termine, ma vuol dire soltanto che è essenzialmente iniziatica ed
esoterica; in tal senso non può essere democratica.
A conforto di chi, tra noi, si
sente più “democratico”, va detto che diversi articoli delle nostre
Costituzioni traggono in inganno concorrendo a formare la convinzione che si
tratti di una organizzazione cosiddetta democratica in senso profano.
Uno dei maggiori ostacoli con
cui il profano si scontra è appunto l’obbedienza, la cui interpretazione (?) ed
applicazione è diversissima a seconda che il termine ed il concetto valgano nel
mondo essoterico, ovvero in quello fideistico, o per e tra iniziati.
Il profano sente e vive
l’obbedienza come imposizione; il credente come “rivelazione
indiscutibile”.
E l’iniziato? L’iniziato
dovrebbe sentire l’obbedienza come armonia, non tanto accettabile quanto
auspicata, una scelta consapevole. Ecco, una scelta consapevole! Di questo
vorrei discutere con voi.
Ogni società iniziatica annovera
tra i propri valori e principi “l ‘obbedienza” e nella tradizione
massonica, in particolare, costituisce un punto di riferimento costante della
filosofia e della storia libero-muratoria.
Promemoria ricordo: il giuramento (o promessa solenne) di
fedeltà all’ordine; la promessa del Maestro Venerabile e dei Dignitari di
osservare le deliberazioni dei rispettivi Grandi Orienti di cui sono
all’obbedienza; l’intera Loggia promette obbedienza
al Maestro Venerabile; i Grandi
Dignitari promettono obbedienza al Gran Maestro; dal rituale d’iniziazione al
primo grado: “il terzo dovere (dopo il silenzio e la pratica della virtù)
è quello di conformarsi (ubbidire) alle leggi dell’Ordine ed ai regolamenti
della Loggia di appartenenza. “
Dunque dal concetto stesso della gerarchia, molto
importante per la nostra via, dal simbolo del maglietto (l’utensile con il
quale il Maestro Venerabile e gli altri Dignitari chiamano all’ordine i
disobbedienti), dalla leggenda di Hiram (la tragedia della disobbedienza e
della presunzione arrogante) discende I’INSEGNAMENTO INIZIATICO alla necessaria
obbedienza.
Si può affermare che stando “semplicemente”
all’ordine si compie quanto richiesto per sperare di raggiungere la Luce? E
ancora. Frequentando regolarmente i lavori di Loggia, giustificando le assenze
nel modo richiesto, indossando l’abito appropriato, osservando il silenzio a
tempo debito, svolgendo adeguatamente i compiti assegnati, rispettando le
gerarchie di funzione, e così via si può sperare di abbandonare i metalli?
Arturo Reghini affermava: “Oggi si crede che la Verità
si possa raggiungere con la discussione, esercitando il diritto cosiddetto
democratico alla stessa, dimenticando che la Tradizione è una, che non conosce
le questioni democratiche perché è Tradizione, e che per affrontare problemi
tradizionali è necessario prima formarsi l’indispensabile mentalità
tradizionale”. Ecco uno dei nodi del problema: la mentalità tradizionale.
Si può pensare di acquisire mentalità tradizionale
rispettando “semplicemente” alcune regole comportamentali del tipo
precedentemente elencato? Ritengo di no, così come ritengo non si acquisisca
alcunché di tradizionale soltanto scrivendo o discutendo, ancorché in maniera
piacevole ed appropriata, di cose tradizionali.
Unendo ordinatamente le due cose è
possibile che si raggiunga qualche risultato.
Ricordo da un vecchio rituale
pressappoco così: “perché vi recate in Loggia? Per sottomettere la mia
volontà e compiere nuovi progressi in Massoneria”.
Sottoscrivo questa frase convinto come sono che per
recuperare I ‘ORDINE interiore necessariamente si deve incominciare dall
‘ordine esteriore rispettando, se volete, anche ordini “sbagliati”,
ma essenziali al levigare la propria pietra.
al fine di chiarire almeno uno degli aspetti simbolici
collegati a quel momento del ciclo solare che segna l’inizio della primavera, è
indispensabile premettere qualche considerazione di carattere generale.
Com’è noto i punti significativi
del cammino annuo del SOLE sono quattro e precisamente:
I ‘Equinozio di Primavera (giorno e notte di
eguale durata);
il Solstizio d’ Estate (il giorno più lungo dell
‘annd); – I ‘Equinozio d’ Autunno (giorno e notte di eguale durata); – il
Solstizio d’Invemo (il giorno più corto dell ‘anno).
Tale serie, come accade per tutti i quatemari, per essere
intelleggibile deve riferirsi a significati connessi con il simbolismo della
croce nel quale si configurano due punti di vista fondamentali: il punto di
vista dell’opposizione ed il punto di vista del complementarismo.
Le rispettive rappresentazioni
grafiche possono essere le seguenti:
Opposizione Complementarismo
Il primo, corrispondente ad un punto di vista più esteriore
e legato alla contingenza, implica una tensione reciproca fra i punti che si
trovano in questo rapporto; il secondo invece esprime una relazione che tende a
ricomporre in una logica di armonia unitiva quello che illusoriamente appare
come opposto.
Nel ciclo annuo quest’ultimo punto di vista è rappresentato
dall ‘asse dei Solstizi intersecante l’asse degli Equinozi con le seguenti
relazioni spazio-temporali:
POLO NORD
SOLSTIZEIO D’I NVERNO
EST
EQUINOZIO D’AUTUNNO EQUINOZIO DI PRIMEVERA
POLO SUD
SOLSTIZIO DESTATE
Le due assialità in argomento, cui sono
strettamente collegati i simboli massonici del filo a piombo e della livella,
implicano nel caso dell’asse che, unendo nord e sud, possiamo definire polare,
un significato di tensione verso l’unità, mentre nel caso dell’asse che, unendo
est ed ovest, possiamo definire equatoriale, una tendenza alla espansione nel
molteplice.
Da tutto questo emerge già una prima
indicazione e cioè che il simbolismo solstiziale (cui sono collegate le feste
dei due San Giovanni, il Precursore e l ‘ Evangelista) si riferisce a tutto ciò
che tende alla concentrazione e, traslando, alla visione dell’uno nel
molteplice oppure al ritorno dal molteplice verso l’unità; mentre il simbolismo
equinoziale, che è quello che più propriamente ci interessa qui, implica il
contrario ovvero la tendenza alla espansione e, traslando, la percezione della
molteplicità derivante dall’unità.
Si può dire a questo punto che le forme
tradizionali aventi un carattere più contemplativo tenderanno a privilegiare
nei loro simbolismi il punto di vista solstiziale-polare (druidi, sacerdoti),
mentre quelle, come la Massoneria, che privilegiano il punto di vista
equinoziale-equatoriale avranno per converso una Più marcata tendenza verso
l’azione (guerrieri, artigiani).
A conferma del legame particolare che ha la
Massoneria con il punto di vista equinoziale vorrei citare alcuni dei simboli
che lo evidenziano:
il
primo Dignitario di Loggia, Il Maestro Venerabile, siede ad est del il secondo
Dignitario, il Primo Sorvegliante, specularmente ad ovest, generando cosi
l’asse primario del Tempio che è appunto un asse equinoziale;
tale asse equinoziale è di lunghezza doppia
rispetto all’asse nord-sud essendo il
Tempio un doppio quadrato
(almeno di principio);
il
pavimento a scacchi esprime anch’esso, attraverso l’equa compenetrazione di
luce (bianco) e di tenebra (nero), una visione marcatamente equinoziale
laddove, nel caso dei solstizi, i due poli si considerano come l’uno
prevalentemente luminoso (polo essenziale) e l’altro prevalentemente oscuro
(polo sostanziale).
Ciò premesso, anche se in modo alquanto sintetico,
vorrei ora esaminare più specificatamente i significati particolari connessi
con il fenomeno degli equinozi di primavera e d’autunno. Anche qui ci troviamo
a doverci dibattere fra due visioni complementari: l’equinozio di primavera,
essendo legato all’idea della luce che deve tomare a prevalere sulle tenebre,
ha un carattere in qualche modo dirompente e rivoluzionario (astrologicamente
rappresentato dal segno dell’ariete, casa diurna di Marte e luogo di
esaltazione del Sole) mentre quello di autunno ha un carattere di forte
conservatorismo, in quanto rappresenta la luce già assestata che non vuole
consentire alle tenebre di tornare a prevalere (astrologicamente la bilancia,
casa diurna di Venere ed esaltazione di Saturno).
Nel mondo classico queste due visioni erano
rappresentate da due divinità: Dionisio e Apollo. Alla visione dionisiaca
corrisponde la grezza primordialità della natura vergine, la pulsione delle energie
vitali e generative che si devono esplicare ed esteriorizzare per dare vita
alle molteplici possibilità di manifestazione previste per quel particolare
ciclo; mentre la visione apollinea, razionalizzante e geometrica, implica la
preservazione e l’incanalamento ordinato delle energie. La prima è più simile
alla scattante immediatezza delle azioni di guerra e si esplica in una logica
di amore e di morte; la seconda esprime una attitudine di prudente metodicità
alquanto più prossima alla natura dell’artigiano che non a quella del guerriero
e la sua logica è quella della legge e dell ‘ordine.
Da ciò derivano anche i caratteri rispettivi dei tipi
“psicologici” più particolarmente legati all’una o all’altra delle
due visioni sopra descritte. II tipo “dionisiaco” sarà tendenzialmente
portato ad essere “legge a se stesso” e sarà certamente poco incline
a subire eccessivi condizionamenti al proprio anelito di liberazione, mentre
quello “apollineo”, per sviluppare le proprie potenzialità, avrà
costantemente bisogno di guida e di punti di riferimento precisi.
Nelle devianze, il primo tipo incorre nel pericolo
dell ‘individualismo ad oltranza e della ribellione sterile, mentre il secondo
potrà facilmente indulgere in convenzionalismi fanatici.
Per non divulgarmi troppo in questo genere di
considerazioni, suscettibili di molteplici sviluppi, vorrei solamente ancora
annotare che l’approccio alla via iniziatica, in analogia con gli equinozi,
sarà metodologicamente più teso alla solitudine ed all’erranza nomadica nel
caso della visione dionisiaca (equinozio di primavera), mentre sarà più
orientato verso il collettivo e la sostanzialità nel caso della visione apollinea
(equinozio d’autunno).
Questi due aspetti, come molti noteranno, si ritrovano
entrambi in Massoneria; si può dire però che, almeno per quanto riguarda i
primi due gradi, il secondo tende giustamente a prevalere sul primo giacché la
via verso la libertà passa necessariamente attraverso una fase di costrizione.
C’è da chiedersi come mai, visto quanto sopra, la
Massoneria, che è una organizzazione iniziatica di derivazione artigianale, dia
la predominanza all ‘est piuttosto
che all’ovest.
In effetti non è sempre stato così; pare infatti che nelle logge operative,
legate all’esercizio effettivo del mestiere, il trono di Salomone
(corrispondente al seggio del Maestro Venerabile) fosse sito in occidente e
quello di Hiram re di Tiro (cui corrisponde il Primo Sorvegliante) fosse quindi
posto ad est.
A mio avviso è alquanto probabile
che, nell’ambito del riadattamento tradizionale che circa tre secoli or sono
diede origine alla Massoneria attuale, siano intervenute in modo significativo
delle influenze provenienti da organizzazioni iniziatiche di tipo cavalleresco
(in particolare i Templari) e che, proprio a causa di questo fatto, si sia data
preminenza all ‘est.
Bisogna inoltre considerare che, a
causa del disordine generalizzato che caratterizza i tempi moderni, una
simbologia che ritualizzi la propensione alla autonomia intellettuale, cosa
alquanto tipica della Massoneria, possa essere più utile per gli iniziati di
oggi di quanto non lo fosse per i Fratelli operativi di un tempo e inoltre,
essendo oggi la Muratoria non più vincolata al mestiere e dovendo pertanto
accettare uomini, purché qualificati, alquanto diversi fra loro, risulta
inevitabile la necessità di massima apertura alla possibilità di comporre
armonicamente modi di pensare o di essere talora abbastanza lontani, cosa
quest’ultima certamente più consona ad una mentalità di tipo
“cavalleresco” che non ad una moralità “artigiana”.
Spero con queste mie brevi considerazioni di essere
riuscito a trasferire, in particolare ai Fratelli Apprendisti, il senso
profondo di questo importante momento simbolico e rituale ed anche la
percezione di come la natura cd il cosmo, avendo acquisite le corrette chiavi
di lettura, siano per quanti dotati di buona volontà e di amore