questa mia tavola ha lo scopo di indicare una
traccia, un orientamento ai nostri lavori, nell’aspirazione di rendere più
salda la nostra catena in un autentico spirito di tolleranza e di fraternità e
nella volontà sempre più viva, in ogni Libero Muratore, di edificare le
fondamenta del Tempio.
A qucsto proposito è bene ricordarc che nel nostro
Rituale troviamo espressioni che, al fine di bene operare in Loggia, devono
essere sempre presenti nelle nostre menti.
Una di cssc dice: “tutto in questo Tempio deve essere
serietà, senno, benefizio e giubilo”.
Ogni Fratello dunque, meditando che in Massoneria
l’uomo è occupato alla ricerca di sé medesimo, deve dare agli altri la parte
migliore della propria personalità; ed in questo spirito dobbiamo sentirci
tutti uniti, sensibili, comprensivi, tolleranti, semprc pronti al dovere, ma
anche sempre disponibili alla letizia ed allo spirito umanamente festoso.
Ma ricordiamo che, al di sopra di tutti noi, deve
sovrastare la Massoneria intesa, sia come scienza ed arte, sia come Istituzione
libera ed universale.
Dobbiamo cercarc di intcnderla semprc più, praticarla
sempre più, viverla sempre più questa Libera Muratoria, nella quotidiana
ricerca della luce-verità che è in noi e va ritrovata.
La Massoneria ha fondamenta simbologiche e va intuita
come conoscenza della Verità attraverso questi segni che sono carichi di
mistero e che nella loro sacrale eloquenza possono dirci “cosa siarno,
donde veniamo, dove andiamo”.
Ecco perché può essere anche agevole fare il Massone,
ma è altrettanto arduo esserlo veramente.
Essere, non sembrare.
Dal sembrare all’esscrc vi è un immenso divario: è
tutto qui il nocciolo del problema.
Bisogna saper costruire; i gradi, i simboli, gli
emblemi possono diventare cosa inutile se a loro non corrisponde un vero,
intimo assenso che solo il senso della nostra divinità interiore può
conferirci.
Costruiamo, Fratelli carissimi, ma costruiamo il
Tempio senza subire, tra queste colonne, le passioni del mondo profano.
Dico questo per ricordarc che non dobbiamo neppure
tentare di portare dal di fuori il nostro patrimonio mondano, molte volte
frivolo e vacuo, poiché qui, tra i Simboli del Tempio Massonico, non ha senso.
La Massoneria, come Arte e Prassi di vita, e quindi
come Istituzione, è aristocratica ed eletta; affermando chc è aristocratica non
voglio assolutamente riferirmi a questo concetto nel significato profano della
parola; qui non vi sono nobili, né notabili.
La nostra aristocrazia va intesa nel senso che il
Libero Muratore persegue, nella tolleranza c nella fratellanza, la edificazione
dcl Tempio interiore che è conquista di altezze spirituali, ascesa non
comunicabile alla massa ed all ‘uomo comune.
Ecco perché tutto in questo Tempio deve essere a
misura e dimensione della Virtù, nel pensiero, nell’azione ed anche nell
‘espressione della parola.
Ed a questo proposito permettetemi di ricordare le
sei regolc di saggezza persiana, tramandateci nello Zend-Avesta, che esprimono
la misura della parola. Esse sono:
non
lasciare mai parlare il lato basso del tuo carattere;
non
parlare di un soggetto che non conosci a fondo;
non
parlare di ciò che personalmente non sai essere l’esatta verità;
non
parlare se l’oggetto della tua parola non è chiaro e definito nel tuo pensiero;
non
parlare se non con intonazione cordiale;
non
parlare se i tuoi uditori non ti ascoltano giacché una buona parola è inutile
ad un cattivo orecchio.
Meditate, Fratelli, come fra noi la base di ogni
ricerca, di ogni lavoro, di ogni discussione, non può essere il contrasto
vivace ed acrimonioso, ma deve essere il senso solidale di fratellanza per il
bene superiore di noi stessi e dcll ‘Istituzione.
Noi veniamo da lontano ed andiamo lontano: per noi la
tradizione non ha il senso conservatore della concezione corrente nella società
esterna, per noi la tradizione crea l’uomo e l’uomo crea la tradizione
nell’etemo divenire delle successioni storiche e dei cicli cosmici.
Se è vero che storicamente siamo riemersi in quel
gran crogiolo di ideali della grande Enciclopcdia e della grande Rivoluzione, è
altrettanto vero che siamo portatori e custodi di valori che traggono la loro
origine nelle antiche Scuolc dei Misteri.
Nei nostri lavori, nei nostri studi dobbiamo adottare
sempre un metodo che, se da un lato trova logico fondamento su basi razionali
ed illuministiche, non può e non deve peraltro tralasciare i valori immortali
del simbolismo esoterico delle grandi Scuole tradizionali dei Misteri.
Illuminismo ed esoterismo sono, non dimentichiamolo,
le due maggiori componenti dello spirito massonico, ma due componenti solo
apparentemente in contraddizione, c che devono essere sempre presenti, insieme,
nei nostri lavori.
Non si dirà allora che la nostra Istituzione è
vecchia e da rinnovarc perché si scoprirà che contiene una Idea eterna; non si
dirà che va adeguata ai tempi perché si scoprirà che sono i tempi che,
dall’alba del mondo, scoprono, secolo dopo secolo, giomo dopo giorno, i valori
massonici nel travaglio perenne del pensiero e dell’azione dell’uomo; non si
dirà che la Massoneria deve aprire le porte al pubblico profano perché si
scoprirà che essa è una società segreta in senso esoterico, ossia nel
significato più intimo che a questo terrnine può essere conferito,
L’iniziazione massonica comporta dunque, per l’Apprendista,
soprattutto l’assimilazione di questo metodo di ricerca e di conoscenza che
vede accumulare la costruzione razionale del pensiero settecentesco di Voltaire
al verbo esoterico di Buddha e di Cristo.
Non dimentichiamo, quindi, le nostre origini ed il
nostro traguardo: siamo una grande Istituzione iniziatica con i caratteri della
religione misterica che ha assimilato la grande lezione storica che ci perviene
dall ‘Illuminismo.
In questo contesto anche noi Liberi Muratori siamo
portatori di una Fede, ma non certo fede dogmatica, cieca e fuori da ogni
schema razionale, ma una fede che trova le sue salde basi nei valori
dell’esoterismo, valori che riconoscono il risveglio spirituale interiore.
Se volessimo dare una definizione della nostra fede, non potremmo
che ripetere la parola di Buddha. L’Illuminato diceva all’adepto: ”dobbiatno
credere quando gli scritti, la dottrina, le parole vengono confermati dalla
nostra coscienza e dalla nostra stessa ragione”.
“Per questo, Egli concludeva, io vi ho insegnato di
non credere unicamente perché qualcuno ve lo ha detto, ma quando la vostra
stessa coscienza vi dice di vedere, solamente allora agite in conseguenza e
senza indugio”.
Così, Egli diceva, e questo è certamente il migliore
spirito della Fede, quando questa costituisca anche Metodo dello sviluppo dell
‘anima.
Fratelli, sento il dovere di concludere richiamandovi
allo spirito di fratellanza e di amore attraverso lo studio e la meditazione,
nella ricerca di noi stessi e della Verità.
Dice il Corano: “l’inchiostro dell’Uomo che
studia è più prezioso del sangue del martire: chi brama sapere adora
Iddio”.
Perché il sapere giuridico, accumulato lungo i
secoli, è incapace, a me pare ogni giorno di più, di fronteggiare le novità
dell’innovazione tecnologica e del progresso scientifico?
Ed il silenzio è, mi parc, l’unica risposta che
questo tipo di Società-Stato sa offrire. Un silenzio che appare pericoloso e
foriero di conseguenze, oggi forse solo ipotizzabili, ma che forse proprio per
questo tanto più spaventano!
Bisogna temere ciò che ci può accadere, ciò
che possiamo diventare.
Questa insumciente regolamentazione è proporzionale
al progresso delle varie realizzazioni tecniche: l’uomo medio ha, insomma la
sensazione che le leggi seguano a troppa distanza di tempo il nascere e lo
svilupparsi delle varie problematiche.
Alcuni esempi
Cercherò di essere più chiaro con l’aiuto di esempi
che sono ora di attualità, ma che non vengono trattati a sufficienza né dalla
stampa, né dagli altri media. Eppure sono problemi enormi, laceranti!
Ricorrendo alle nuove tecniche della riproduzione una
ragazza vergine o una coppia di lesbiche “vogliono” un figlio; allo
scopo di curare e salvare un figlio ammalato, ed altrimenti non curabile, una
coppia decide di avere un altro figlio per usarlo come donatore di midollo; una
donna, pur conscia di star concependo un figlio anencefalo lo partorisce con il
solo scopo di fame un donatore di organi; l’ergastolano Cutolo vuole un figlio
con la moglie attraverso queste nuovissime tecniche di inseminazione; una vedova,
grazie al semc a suo tempo depositato in un’apposita banca, avrà un figlio dal
defunto marito… E poi ancora le madri sostitutive, e l’eutanasia…
Un problema, per cssere risolto, deve essere
affrontato nei modi e nelle prospettive giuste. Sovente esaminarlo troppo
appassionatamente o calandovisi troppo addentro non aiuta, ma rende più
difficile il venime a capo.
I problemi dianzi citati in particolare non vanno presi
singolarmente, ma nel loro insieme e affrontati senza pregiudizi e con
sufficiente distacco.
Prime considerazioni
Queste nuove tecniche riguardano il CORPO e fanno nascere
la possibilità di assumere decisioni in contrasto con ciò che finora ci ha
imposto la NATURA.
Quando invece si parla del “diritto a morire con
dignità” colgo il rifiuto al cosiddetto “accanimento
terapeutico”, e quindi a tutta la ricerca scientifica che sta alle spalle
di queste ricerche.
Cerchiamo, come deve sempre fare ogni Libero Muratore, di
esaminare alcuni casi senza condizionamenti e senza emozioni, senza pregiudizi
e senza incomprensioni linguistiche, con chiarezza e coerenza:
Alla domanda: una coppia di lesbiche ha diritto ad avere un
figlio? la risposta non dev’essere quella di stabilire se esse hanno o meno il
diritto di ricorrere alle tecniche della riproduzione, bensì sc sia ammissibile
eticamente l’inseminazione di una donna “sola”, qualsiasi siano i
suoi rapporti con il suo prossimo, ovvero che essa sia omo o etero-sessuale, o
anche che non abbia alcun tipo di legarne.
Sempre a questo proposito occorre ricordare che lo stesso
tipo di problema non potrà avere lo stesso tipo di soluzione in ogni parte del
mondo, essendoci delle differenti valutazioni della morale e del conseguente
retroterra culturale che da essa nasce.
Veniamo ora ad un altro esempio, ma è forse è più giusto
dire ad un altro problema: i concepiti al solo scopo di essere utilizzati
strumentalmente come donatori di organi.
Appare subito fuori discussione che “noi” società
non possiamo assolutamente sindacare le motivazioni della procreazione, e
neppure le scelte che possono intervenire durante la gestazione: questa cosa
riserviamola ai regimi autoritari di tragica memoria. Insomma, lo Stato non può
decidere chi può avere un figlio, o perché lo voglia!
Ulteriori considerazioni
Da tempo questa società sta abbandonando la visione sacra,
o se volete cristiana, della vita e della natura per andare incontro ad una
visionc “laica” basata non più su una morale indicata e prefissata, uguale
per tutti (o quasi), ma sulle scelte suggerite dalla Ragione.
Questo passo è difficile e molti non sono disponibili a
compierlo, percependo sempre più il bisogno di guide sicure che, con parole
ferme e chiare, forniscano indicazioni precise e di conscguenza molto più
agevoli da seguire.
La libertà è un bene che sovente, per pigrizia, si è
disposti a barattare con qualcos’altro, in questo caso con il “quieto
vivere’ .
Mi pongo allora la domanda: questo tipo di
scelte deve o meno essere per tutti uguale?
E la via da percorrere dev’essere una
sola?
Accanto ad una prescrizione sul comportamento, prevediamo
anche altri punti di vista? Oppure preferiamo pensare dei principi forti, con
precise regole da far rispettarc coercitivamente?
Per un Libcro Muratore probabilmcnte non vi sono dubbi: la
miglior soluzione, la più idonea a fornire tutte le garanzie di miglioramento
sarà la libera scelta dell’individuo.
E da questa premessa si potranno trarre indicazioni valide
sulla direzione da scguirc.
Dall’altra parte le Chiese, specie quella cattolica,
con le loro dichiarate certezze di una morale che accetta l’idea della
procreazione esclusivamente come atto d’amore, suggerendo l’accettazione del
nascituro comunque sia, tolgono all’individuo ogni possibilità di scelta. In
una recente intervista mons. Tonini ha dichiarato che la Chiesa considera il
distacco della sessualità dalla procreazione come in disordine oggettivo e che
una fecondazione senza “rapporto” altera le regole della Natura,
aggiungendo che “è grave che queste fecondazioni vengano compiute senza
che la legge ne sappia nulla”.
Un ‘ipotesi
Penso che un ‘ipotesi seria debba essere il principio
di impossibilità a trasfonnare il corpo umano in una merce escludendo ogni
forma di commercio di organi, anche sc ciò è in palese contrasto con la
suddetta libertà di scelta individuale.
Anche perché, obicttivamente, quale libertà di scelta
ha un derelitto del terzo mondo cui viene offerto di vendere un proprio organo
per una cifra che, rifiutando, non avrà MAI nella sua intera esistenza?
Questo allo stato attuale delle cose. Ma
quando potranno cambiare?
Nella mia personale opinione, la
tutela della dignità umana può e deve avere il predominio sulla libertà
soggettiva, almeno finché l’umanità tutta non abbia raggiunto un livello di
consapcvolczza tale da rendere quasi superflua una legge limitante, un divieto.
Il problema allora si sposta alla necessità di
stabilire un limite, una barriera su quale sia il punto massimo consentito di
scelta individuale e quello in cui la Società può intervenire con un divieto.
Cerchiamo ancora un esempio per rendere più esplicito il mio
pensiero: le madri per procura.
Ho letto che in Gran Bretagna già si sono dati delle
regole precise: divieto totale di commercio, di intemediari, pubblicità e
compensi. Per il resto, piena libertà di sostituzione di madre. Compiendo
questa scelta credo abbiano voluto valorizzare l’aspetto umano e
sentimental-femminile del problema.
Ma, come dicevo, possono esistere diversi modelli di
comportamento anche nella stessa realtà sociale in cui esistano dei principi di
ordine generale. Il mondo culturale laico deve impegnarsi nella ricerca di regole
di convivenza e di tolleranza, anziché nell’afferrnazione ad ogni costo di
propri presunti valori che appaiono per nulla chiari, sottoposti, come sono e
com ‘è giusto che sia, a continui aggiustamenti.
Un dubbio
Forse l’attuale difficoltà non è quella di fare nuove
leggi, rispondenti alle mutevoli necessità, quanto applicare (bene) le norme in
vigore, che sono rigide e schematiche, concepite su una realtà che scienza,
progresso e tecnica hanno superato e posto in discussionc.
Un discorso di questa ampiezza, e che
presumibilmente e che presumibilmente avrà tempi molto lunghi di discussione,
sarebbe bene inserirlo in una visione almeno europea, pur tenendo presente
quelle che possono essere le differenze culturali dei singoli popoli, e delle
differenze impostazioni legislative che, in fondo, rispecchiano.
La Germania sconta il suo passato nazista, con leggi
molto ferree e proibitive, mentre siamo all’opposto in Inghilterra, con leggi
di notevole permissività, così come nei Paesi Bassi.
Italia e Spagna basano sulla scarsa chiarezza delle norme
la loro legislazione, mentre in Francia esiste una fortissima polarità di
posizioni.
La Svezia poi sta rivedendo alcune sue norme eccessivamente
permissive, prima fra tutte l’anonimato del donatore.
La sensazione di ricadere nel solito e trito terreno della
scienza buona, o tutt’al più neutra, in contrasto con la sua applicazione, che
è sempre cattiva, è forte!
Secondo me, gli scienziati stessi chiedono per primi
chiarezza di norme, per poter condurre le loro ricerche entro certi limiti sì,
ma in modo libero.
Il falso mito dell’assoluta autonomia della ricerca
ormai è crollato, o almeno si è fortemente ridimcnsionato, ma esistono delle
responsabilità sociali chiare ed oggettive! Occorre insomma una legittimazione
per ccrtc ricerche, ed applicazioni . . spinte!
Riassumendo, possiamo dire che il problema
di fondo da risolvere è:
l) la tutela dei diritti individuali;
2) il rispetto del patrimonio
genetico dei singoli (sia genitori che dei concepiti); 3) la
“privacy” nelle scelte più intime dell’essere.
Si cominci almeno con leggi precise sulle banche degli
organi, sui centri dove si utilizzano le tecniche della riproduzione non
naturale ed infine sui diritti-doveri di un uomo e/o di una donna nell
‘inseminazione, oltreché quelli del concepito.
Perché ovviamente l’uomo avrà differenti diritti, oltreché
doveri, da quelli della donna, secondo quella logica data dalle leggi naturali.
Si porrà cosi almeno un primo punto fenno su questi
delicati problemi e si otterranno delle basi da cui partire per gli ovvi miglioramenti
che lo sviluppo stesso della scienza renderà necessari.
le parole sono, in un qualche modo, prcgnc di
significato solo quando vengono dette, quando l’enfasi del parlare, il modo,
danno il taglio giusto al senso che noi stessi intendiamo dare al discorso. Già
scrivendole esse assumono un valore diverso, quasi asettico, disponibili ad
esserc condivise, osteggiate o, semplicemente, lette.
Quando, in realtà, vengono veramente
ascoltate ed “assorbite”?
NCI mondo profano la costante è ormai il proliferare di
convegni, di “studi”, di conferenze: assistiamo allo scatenamento
della confusione più totale, dove le parole si dibattono ossessivamente nel
gioco del “parlare difficile”, nel labirinto della banalità.
Il guaio più grande è che tutti credono, tutti sono convinti
e si immedesimano . fatto salvo poi ricredersi, rendersi
conto che nessuna soluzione è stata presa, capire che non ci si è
“capiti”: politica, sociologia, psicologia, e chi più ne ha più ne
metta, tanto non sono che esempi lampanti.
Ognuno è abituato ad utilizzare i propri “radar”
captando solo le onde che sono in sintonia con i suoi programmi, con ciò che è
più consono alla sua mente.
Nel nostro quotidiano la mente vaga in un mare di idee
che disordinatamente, confusamente spaziando da nord a sud, da est a ovest;
idee che stancano il nostro cervello, che lo fanno lavorare quasi
esclusivamente in funzione di futili, abitudinarie e mediocri.
Come possiamo quindi arrivare alla sintesi
di concetti, valori, simboli?
Perché impediamo al nostro cervello di utilizzare alcunc suc
proprietà primarie come I’ASCOLTARE ed il PENSARE?
E un’arte difficile il sapere ascoltare …
sia se stessi, sia gli altri.
Noi carissimi Fratelli abbiamo una grande fortuna: la
Massoneria. In Tempio nessuno parla per parlare, le parole escono misurate,
pregne di valore intrinseco e cariche di influenze spirituali: esse sono pronte
ad essere ASCOLTATE.
Riflessione, concentrazione, attenzione, preghiera, sono i
modi con i quali possiamo aprire i nostri cuori alla spiritualità, sono i modi
con i quali possiamo calmare la mente. Con semplicità, senza presunzioni,
liberi da preconcetti.
Ecco quindi il valore del Tempio dove convivono punti
di vista apparentemente opposti, valori significanti delle parole diversi, ma
qui tutti i Fratelli sono armonicamente riuniti vicini al Rito, ai Simboli,
alle Luci; tutti i Fratelli sono impegnati, con attenzione, a percepire la
carica spirituale che si diffonde tra noi.
Non dimentichiamoci quindi mai della grande importanza
del lavoro collettivo in Tempio, pcrché solo il Tempio ci può dare la serenità,
grazie ai suoi grandi spazi simbolici che alimentano e sono la linfa ai nostri
difficili silenzi corporali (metalli): esso ci aiuta a combattere le nostre
paure, le nostre incertezze.
Riuscire a vivere sempre con questa carica è lo sprone
necessario per continuare questo difficile cammino personale, eppur collettivo,
che abbiamo iniziato. Un cammino cosparso di insidie, di tranelli, di tensioni
e di opposti che vengono a contatto.
Lo Ying e lo yang, dove tutto ciò che è Ying è femminile,
lunare, passivo e tutto ciò che è yang è maschile, solare ed attivo, è
collegabile all’uomo, al mondo, all’universo: l’Unità comprende la dualità,
luce ed ombra, bene e male, chiaro e scuro sono complementari e necessari.
D’altro canto credo che il pavimento a scacchi ci ricordi
la stessa cosa, ed allora . se il mondo è pervaso da questi
apparenti opposti, comunque in armonia con le leggi divine, perché io non
riesco ad essere sempre in armonia con me stesso? Forse che scavarc profonde e
oscure prigioni al vizio provochi realmente uno scatenamento degli opposti che
abbiamo in noi, sino a scalfire definitivamente i metalli? È per questo motivo
che ci si sente a volte scoraggiati, impotenti e contraddittori nelle nostre
debolezze? Più volte mi sono chiesto il valore simbolico dell’acrostico
V.I.T,R.I.O.L. trovato per la prima volta nel gabinetto delle riflessioni: ora,
perlomeno, sono sicuro che lo sforzo maggiore lo dobbiamo compiere imparando a
conoscere noi stessi, evitando l’orgoglio dcll ‘io ed i tranelli delle
passioni, partendo dal valore fondamentale del silenzio nel cammino massonico;
impercettibilmente, ascoltando, senza fretta “interiore” si può
arrivare al primo punto importante: sapersi accettare. Il primo traguardo è
proprio questo, è la consapevolezza serena dei propri limiti, dei propri pregi
e difetti, senza paura, timidezza gelosia o, peggio ancora, invidia degli
altri, ma ben coscienti del duro lavoro da compiere.
Da questo punto in avanti, con la mente fissata al primo
obiettivo che ci siamo posti (ognuno credo abbia il suo), incominciare a
purificare c combattere quanto è di blocco alla nostra crescita spirituale,
quanto è di impedimento al viaggio interiore.
E mia opinione che solo partendo dal basso, solo dandoci
piccoli traguardi, solo con umiltà e pazienza, spogliandoci delle nostre
vanità, potremo proseguire.
Non c’è quindi, a mio parere, necessariamente un ‘azione
esteriore, ma piuttosto un grande lavoro di discernimento, di levigatura, di
mone a certi valori profani.
Un lavoro che, gradino dopo gradino, sconforto dopo
sconforto, contraddizione dopo contraddizione, potrà farci pervcnire a ciò cui
tutti aspiriamo: la Luce, il reintegro nell ‘Unità con il superamento della
dualità e delle contingenze.
Abituando la mente a non essere dispersiva, ma lucida e
consapevole, potremo passare con tranquillità e con il giusto grado di distacco
attraverso il “fare” quotidiano, potremo con cognizione di causa
agire e contemporaneamente, armonicamente, “essere”.
Noi siamo, carissimi Fratelli, il legamento pur fine e
sottile con lo spirito divino; nostro dovere è cercare, perseguire e mantenere
viva quest’unione, perché grazie a tutti noi essa crea ARMONIA, perché da
contentezza e crea le condizioni affinché tutto sia giusto e perfetto.
Quest’ARMONIA può, a mio parere, riflettersi sul creato,
forse per noi inconsciamente, creando correnti positive che possono, in parte,
combattere alcuni aspetti di questo particolare momento storico già carico di
mille problemi, ma più in particolare, l ‘ Armonia si riflette sulla nostra
AZIONE che senza enfasi, senza forzature, dovrebbe naturalmente, quasi
fisicamente, irradiarsi e porsi all’esterno, nel mondo profano, con quella
serie di buoni propositi massonici che non sono altro che l’intendimento di
vivere proiettati verso il bene, nell’essere disponibili verso gli altri, non
in modo effimero ed una taltum, ma costantemente e qualitativamente
continuativo.
Una collaborazione agli altri, sottile, delicata, ma forte,
fraterna, senza prese di posizione rigide ed intolleranti che sarà tanto più
giusta e perfetta quanto più noi riusciremo a far convivere in noi ARMONIA ed
AZIONE.
L’ Azione implica la conoscenza di noi stessi, la
conoscenza della strada intrapresa e, se noi crediamo di essere veramente il
punto centrale, “l’Invariabile Mczzo” fra Terra e Cielo, quale
miglior sintesi della Squadra (quadrato/terra) e del Compasso (cerchio/cielo)
per rappresentare la noStra funzione quaggiù: piccoli uomini brancolanti nel
buio dei loro limiti che cercano di uscire e partecipare così al Grande
Architetto dell ‘Universo nella realizzazione dci suoi disegni.
Da tutti all ‘UNO secondo le proprie
personali possibilità.
Quello sull’utopia non è un discorso massonico in senso
stretto. Però ha delle connessioni massoniche: altrimenti non mi sarei permesso
di portarlo alla vostra attenzione. Il mio scopo, questa sera, è di contribuire
a inquadrare storicamente la visione massonica del mondo e la collocazione del
Massone nel mondo.
Diamo per scontato che la Massoneria non è una via
contemplativa, e che quindi il Massone dcvc immergersi nel mondo. Anche se
qualche volta può essere tentato di pensare che “chi si immerge nella folla
ne torna crivellato di ferite”, come insegnava un Santo paleocristiano che
cito spesso. A questo punto mi è parso interessante cercare di inserire la
Massoneria ai suoi albori nel contesto sociale e intellettuale maturato nei due
secoli precedenti, quale si manifesta attraverso l’utopia.
Perché proprio l’utopia? Nell’utopia, anche meglio che
nella realtà economica e sociale, si manifestano le aspirazioni ed i modelli
della società. Nelle strutture sociali, queste aspirazioni e questi modelli
possono trovarsi inespressi.
Il periodo preso in considerazione va dalla
“Utopia” di Tommaso Moro (1517) alla ‘Nuova Antartide” di
Francesco Bacone (1622): cento anni tormentatissimi nei quali la intolleranza
religiosa raggiunse il suo massimo, che poi durò per il resto del XVII secolo.
Il quale, per contrasto, è anche il secolo nel quale in Inghilterra operarono
dei protomassoni quali Elias Ashmole e fu fondata la Royal Society, indiziata
di legami con la nascente Massoneria. E gli albori del 600 sono anche il tempo nel
quale venne a giomo il misterioso movimento dei Rosa+Croce.
L’intolleranza la troviamo riflessa nelle utopie
dell’epoca, e certamente contribuì a caratterizzare in senso opposto la
Massoneria con la sua vocazione e quasi ossessione della Tolleranza.
Riforma e Controriforma sono i due grandi eventi storici dei
quali recano impronta queste utopie, impregnate, come sono a volte, di papismo
o di anti-papismo.
In alcuni casi, la discendenza dalla
“Repubblica” di Platone è evidente.
Gli autori sono quasi tutti dei Religiosi, e questo non
deve stupire: erano pressoché gli unici a sapere scrivere. Ciò non toglie che
si trovino spazi importanti di libertà intellettuale, a volte pagati a caro
prezzo, come nel caso del Campanella. Nel clero di trova di tutto: prevalentemente
forcaioli, ma anche idealisti contestatori, come Campanella; forse perfino dei
Massoni.
Le opere delle quali vi parlerò, invariabilmente ci
appaiono bigotte, con una unica eccezione, il Gargantua di Rabelais, che per
questa ragione lascerò per ultimo. Vediamo brevemente questi utopisti, in
ordine cronologico, cominciando dal primo e più importante: TOMMASO MORO.
Solo poche parole per ricordare la biografia di Tommaso
Moro, che è notissima. Non fu mai sacerdote, malgrado una sua giovanile
esperienza conventuale. Umanista e giurista, amico di Erasmo da Rotterdam, fece
quasi suo malgrado una rapida carriera politica, arrivando al cancellierato. Si
dimise quando Enrico VIII pretese di essere riconosciuto dal clero come capo
della Chiesa inglese. Per questa sua mai abiurata fedeltà alla chiesa di Roma
fu accusato di tradimento e giustiziato nel 1535.
La sua vita fu importante quanto il suo pensiero,
testimoniando il grande carattere, la grande coerenza, la dimensione
straordinaria di un uomo che si può considerare antesignano di certe sceltc
ideali che sono proprie della nostra Istituzione.
“Utopia”, ovvero il celebre libro che ci ha
lasciato, tratteggia una società che, se pure conserva aspetti inaccettabili
per un uomo del nostro tempo, certo è in grande anticipo sul suo tempo c sulla
sua società, della quale condanna le aberrazioni. La società che Moro
“utopizza” è perfettamente comunistica, ben strutturata e felice,
esplicitamente contrapposta ad una Inghilterra sede delle più grandi ingiustizie
sociali, nelle quali la nascente industria tessile spopolava ed affamava le
campagne. L’ideale di “Utopia” è quello di una società fraterna,
pacifica, austera.
Interessante il confronto con l’utopia platonica. La
‘Repubblica” di Platone è aristocratica, verticistica, militannente forte
e militarista. Platone esalta la funzione dei guerrieri-custodi, e traccia un
disegno di educazione dei filosofi ai quali è destinato il govemo della città,
governo chc si esercita sugli altri cittadini con il loro consenso, ma senza la
loro partecipazione.
Ak contrario, Moro disegna una comunità su base
elettiva, in cui non manca una partecipazione popolare, come diremmo noi, anche
se le funzioni supreme sono riservate ai sapienti.
Che cosa, allora, ci riesce ostico o inaccettabile in
questa costruzione ideale? Direi, essenzialmente il moralismo. Nella città di
Utopia non ci sono “né taveme, né birrerie, né bordelli, né nascondigli,
né incontri segreti”. Praticamente tutto si svolge sotto gli occhi di
tutti. E possibile realizzare una simile società senza un apparato repressivo?
Il suicidio è raccomandato, anche sc non imposto, a chi è diventato un peso per
sé stesso e per gli altri. La fornicazione fuori del matrimonio è punita severamente.
Per l’adulterio si arriva ai [avori forzati e alla pena di morte. Stravagante,
dal nostro punto di vista, anche la teorizzazione della guerra condotta con
l’uso dei mercenari stranieri: una feccia che si manda a combattere con
l’auspicio che pochissimi tomino vivi a incassare il salario. Eppurc la
giustificazione è perfettamente ragionevole: quel mercenari selvaggi sono
uomini cattivi, quindi, meglio muoiano loro piuttosto che i buoni (e ricchi)
utopiani.
E tuttavia l’opera di Tommaso Moro esprime alcuni
ideali che sono fondamentali nella nostra Istituzione. Per esempio, la Libertà.
Gli utopiani vivono una vita rigorosamente comunitaria, ma per libera scelta,
anche se il problema di far convivere questi due aspetti resta irrisolto. Poi
il Rifiuto del Dogmatismo: gli utopiani hanno una religiosità basata sulla
ragione. Infine la Tolleranza in fatto di professione rcligiosa. Solo all’ateo
si mettono dei vincoli: egli può esporre le sue convinzioni ai dotti, ma non al
popolo, perché ciò potrebbe esserc dannoso. Tommaso Moro è un personaggio
affascinante. Si apprezza di più la sua grandezza quando ci si avvicina agli
altri utopisti del suo tempo.
Il primo che troviamo, in ordine cronologico, è
GASPARE STIBLINO, tcdcsco del Baden, il quale visse durante il Concilio di
Trento che, come si sa, durò parecchi decenni. La sua città ideale, Eudemone,
nel paese di Macaria, assomiglia a una idealizzazione dello Stato Pontificio,
come già rilevò qualcuno. In cima a tutto sta la “schietta religione”
(ovviamente cristiana). La giustizia è dura. Al patibolo i ladri, al
patibolo i congiurati, supplizi orrendi
per i delitti commessi contro la Cosa Pubblica; ai bestemmiatori si strappa la
lingua.
Proibito viaggiare e introdurre novità. Tutti sono tenuti
a una vita sana, operosa, spartana. I ricchi sono considerati come usurai. Il
Senato è eletto dagli Ottimati, in quanto il popolo “non ha
discernimento”.
Del 1553, quasi contemporanea di quella di Stiblino, è
l’utopia dell’istriano FRANCESCO PATRIZI. Altrettanto bigotta, è caratterizzata
da un forte classicismo. Nella Città Felice ci sono tre categorie che decidono
e contano (sacerdoti, magistrati e mercanti). I contadini sono disprezzati alla
stregua di schiavi, cosa inconsueta per una visione cristiana. E opportuno che
essi siano robusti, timidi e di vile animo e senza vincoli di parentela tra
loro: così infatti è meno probabile che si accordino per ribellarsi. Si è
felici se si è virtuosi: quindi non bisogna guastare i bambini mostrando loro
pitture lascive e commedie. Vi segnalo questa perla: “Comandi per legge il
legislatore alle gravide che spesso visitino le chiese; che è un esercizio nel
quale non cadono troppi piegamenti di corpo che nuocere possono al concetto
fanciullo, e il quale fa accrescere la religione e la divozione verso
Dio”.
La “Repubblica Immaginaria” del pesarese LUDOVICO
AGOSTINI è ancora più scialba di Eudemone. L’assolutismo monarchico è
condannato, ma da un punto di vista neoguelfo, nel senso che ci deve essere il
Vescovo accanto al Principe. Nella Repubblica di Agostini non ci sono osterie,
non banchetti, non danze. A letto si va solo la notte. Divieto di vagarc pcr la
città nelle ore del cibo o del riposo. Tutti a messa, e digiuno settimanale. Vi
è una annonaria e un regime di prezzi controllati. No al cosmopolitismo, e
invece una giusta dose di antisemitismo. Non si deve sentire “puzza di
giudeo di scismatico di infedele”. Curiosamente, c’è anche una specie di
anticipazione del cooperativismo cattolico, ma questo mi porterebbe troppo
lontano.
Sempre verso la metà del 500, un’opera bizzarra “11
mondo savio e pazzo”, è dovuta al fiorentino ANTON FRANCESCO DONI, monaco
vagabondo, editore fallito, amico di un altro bizzarro, quale Pietro Aretino.
L’utopia del Doni denuncia la lettura di Platone e di Tommaso Moro. Ci presenta
un regime comunistico, nel quale assoluta è I ‘uguaglianza, assoluta la
comunanza dei beni e delle donne. Questa comunanza assicura grandi vantaggi:
sparisce il furto (perché non si saprebbe cosa rubare) e anche il lutto (perché
non si conoscono né figli, né moglie, l’accoppiamento essendo casuale e
libero). Spariscono litigi, testamenti, sofferenze amorose e delitti di onore.
Gli anormali e gli incurabili vengono soppressi(come nella Repubblica di
Platone). Il morto si butta sottoterra “come un pezzo di carnaccia”.
L’utopia del Doni è sempre stata presa sul serio, ma
personalmente sospetto che sia tutta in chiave ironica, il che ne farebbe un
qualcosa di unico nel suo tempo. L’opera è in forma di dialogo tra un presunto
savio e un presunto pazzo, e a un certo punto si ha uno scambio di battute che
a me pare un indizio e un messaggio lasciato dall’autore, del tipo “caso
mai non ve ne foste accorti, guardate che vi sto prendendo in giro”.
Infatti, dice il pazzo: “quell’aver le donne in comune non mi piace”.
E il savio: “Anzi, per esser cosa da pazzi, ti arebbe a piacere”,
Arriviamo ai primi anni del 600 e alla
“Cristianopoli” di VALENTINO ANDREAE, un enigmatico personaggio che
forse fu uno dei padri del movimento rosacruciano. La città di Cristianopoli è
piccola e ubicata in un’isola dell’Antartide. Gli abitanti sono morigerati e
puliti. Nessuna tecnica agricolë: vicini a Dio come ai tempi dei Patriarchi.
Anchc qui, perfetta comunanza dei beni. Tre volte al giorno, per tutti
preghiera e Vangelo. Lavorano tutti; non esistono denaro né schiavi. Proibito
peccare: temono la nudità, e la lussuria è condannata anche nel matrimonio. Non
mancano aspetti moderni, soprattutto per quel che riguarda l’istruzione e, noi
diremmo, la sanità pubblica, aspctti che non devono stupire se veramente
Andreae era un rosacruciano. Il libro, lungo e noioso, contiene qualche raro
spunto iniziatico, sul quale non mi soffermo.
Col che arriviamo al domenicàno calabrese TOMMASO
CAMPANELLA, spirito ribelle, uomo del quale voglio ricordare le spaventose
persecuzioni inflittegli dal Santo Uffizio. La “Città del Sole” in
effetti fu scritto in prigione, tra un supplizio e l’altro, ed opera nella
quale le affinità iniziatiche certo non mancano. I “Solari” seguono
una religione naturalc, ancora ignara della rivelazione. La concezione politica
è fondata su una visione etico-religiosa e cosmico-magica, con singolare
intreccio di nuovo e di antico. La città è governata da un Principe Sacerdote
detto il Sole o il Metafisico, assistito da altri tre principi che simbolizzano
la Potenza, la Sapienza e I ‘Amore.
Chiaramente, nella Città del Sole si incontrano molti
elementi di derivazione platonica, in particolare la codificazione delle classi
sociali, con artigiani e commercianti che provvedono alle necessità materiali,
e i guerrieri che provvedono alla sicurezza e alle conquiste territoriali,
quando necessario. Campanella era tutto tranne che pacifista, come dimostrano
anche alcune vicende della sua vita. Tra i Solari, anche le donne “ben san
sparar l’archibugio”. E forse proprio di derivazione platonica sono quegli
aspetti che ci riescono più ostici. In particolare la comunanza di tutti i beni
e delle donne, e soprattutto l’eugenetica. E ancora da una estrema
preoccupazione eugenetica discende chiaramente quell ‘esasperato moralismo che
gli fa decretare la pena di morte per l’uso di belletti e per il peccato di
sodomia. La procreazione è rigidamente gestita dai governanti, i quali, su basc
eugcnctica e astrologica, decidono chi si accoppia e con chi, e a che età, e
quando, e a che ora, e dove, e dopo quale nutrimento. Del resto, l’autore è lo
stesso al quale dobbiamo uno scritto intitolato “Magia della
Generazione”.
Campanella è l’ultimo utopista del ‘500, anche se la sua
opera è apparsa agli albori del ‘600. La “Nuova Atlantide” di
FRANCESCO BACONE è di pochi anni successiva alla “Città del Sole”, ma
tra le due opere il tempo psicologico è lunghissimo. Campanella è Domenicano e
uomo del rinascimento; Bacone è un moderno filosofo della scienza. Va detto a
questo proposito che, per gli scienziati della generazione di Newton e di
Bacone, la scienza non aveva affatto quei connotati materialistici che assunse
in seguito. Bacone amava usare un’immagine biblica secondo la quale “la
conoscenza dell’uomo è come l’acqua che ci arriva sia di sopra, sia di
sotto”, sia dal cielo che dalle sorgenti. Il suo personaggio prediletto è
il sapientissimo Salomone, secondo il quale “è gloria di Dio nascondere le
cose, ed è gloria del Re scoprirle”. E lo scienziato è colui che accetta
questo gioco.
Con queste premesse, è naturale che la Città Ideale di
Bacone, ovvero l’isola di Bensalem, sia una specie di paradiso della scienza
incentrato su un collegio ideale, la Casa di Salomone. L’isola è come un grande
laboratorio nella quale gli abitanti, a seconda delle loro attitudini ed in
base alle direttive che ricevono, cercano di studiare tutte le forze nascoste
della natura “per estendere i confini dell’impero umano a ogni cosa
possibile”. I numi tutelari sono i grandi inventori e scopritori, ai quali
si dedicano statue; le reliquie, raccolte in un museo, sono gli esemplari di
tutte le più rare invenzioni. Di moralismo, nella Nuova Atlantide non c’è
traccia, a parte una blanda censura del libertinaggio, contrapposta alla
apologia del matrimonio e della famiglia.
Per chiudere questa succintissima rassegna di utopisti, è
necessario tornare indietro di qualche decennio, fin verso la metà del ‘500,
per dedicare due parole a un’altra città ideale, l’Abbazia di %elème, creata
dalla fantasia di François Rabelais nel primo libro del “Gargantua”.
Nell’insieme, la lettura delle opere sulle quali ci siano soffermati è, in
diversa misura, angosciante, Di quelle città ideali, non ce ne è una nella
quale accetterei di vivere.
Ciò non vale per la Abbazia di Thelème, perché quello di
Rabelais è un altro mondo. A Thelème “la regola consiste in questo solo
articolo – Fa quello che vuoi perché persone libere, bennate, ben instruite,
che frequentano oneste compagnie, sentono per natura un istinto c inclinazione
che sempre le spinge a atti virtuosi e le tiene lontane dal vizio”. E per
dire il clima della utopia rabelaisiana serve riportare la prima strofa della
iscrizione situata sulla porta maggiore della Abbazia:
Qui non entrate, ipocriti bigotti,
ginocchia fruste, sepolcri imbiancati, barbari c bruti, peggio che Ostrogoti
capaci di giocar di bussolotti con l’anime, cialtroni scoglionati!
Colli torti, sarete qui scomati.
Cenere e fumo altrove andate a
vendere, qui non avete nulla da pretendere.
Eccetera eccetera. Tradizionalmente si ritiene che Rabelais
fosse un iniziato, e del resto ce ne sono molti indizi nel quinto libro del
Gargantua. Il Gargantua si presta a una doppia lettura, come l’autore stesso
lascia intendere. Bisogna solo superare la sorpresa indotta dalla straordinaria
scurrilità del linguaggio, volutamente inaccettabile per le convinzioni
profane. La libertà proclamata da Rabelais è la libertà dell ‘iniziato, e la
sete insaziabile di Gargantua può essere vista come sete di conoscenza. Quello
di Rabelais è un paradossale messaggio di tolleranza e di laicità (non
irreligiosa!), lanciato da un Massone ante littcram.
E tempo di trarre delle conclusioni. Scopo di questo
lavoro era quello di fare un confronto tra due visioni della società: da una
parte quella della Massoneria, dall’altra quella che l’Europa esprimeva,
tramite le varie utopie che abbiamo ricordato, nei due secoli che precedettero
la nascita della Massoneria storica. Per mezzo di questo confronto, riconoscere
quanto la Massoneria portò di originale e di innovativo.
Un opera che si possa definire la “Utopia
massonica” non esiste. Al tempo degli operativi non avrebbe avuto nessuna
ragione di esistere: una corporazione di mestiere doveva solo inserirsi
armoniosamente nel contesto sociale, senza pensare a carnbiarlo. Furono gli
Speculativi che, disancorati dal mestiere, spostarono il loro interesse sul
Sociale. Frutto di questo interesse fu, verso la metà del ‘700, il fiorire di
una certa letteratura, poco nota, con utopie di ispirazione massonica,
segnalatemi da un dotto e appassionato cultore di cosc massoniche, il Fr:. M.
Z. della R:. L:. Risorgimento. Ma c’è un altro modo per capire quale tipo di
società i Massoni vagheggiavano, ed è guardarc come operavano, e quale società
cercarono di edificare, e quali principi propugnarono.
Prima però è opportuno dare ancora un breve sguardo a quelli
che erano i fermenti intellettuali in Europa nel tardo seicento. L’interesse
dei massimi pensatori, da Cartesio in poi, era soprattutto gnoseologico. Tra
l’altro, era la scelta più tranquilla e sicura, per non finire come Bruno o
Campanella.
E tuttavia alcune voci cominciavano a esprimerc posizioni
che noi Massoni sentiamo vicine. Penso soprattutto a Spinoza c a Locke. Nel
pensiero di Spinoza troviamo l’idea della natura divina dell’uomo, che era
stata già di Meister Eckart (all’indice tutti e due). Idea che è implicita nel
concetto iniziatico di realizzazione. Locke scrisse una Epistola sulla
Tolleranza che ne fa uno dei padri dell’Illuminismo, e precorre Voltaire.
Cartcsio stesso, il suo pensiero partiva dal dubbio, e quindi da una posizione
antidogmatica.
Se torniamo ai Massoni, alla fine del ‘700 troviamo
in Fichte uno dei pochi che cercarono di teorizzare l’azionc della Massoneria
nel mondo. E la sua teorizzazione effettivamente conticnc molti spunti
ispiratori della modema Massoneria. Esempio, la LAICITÀ: il potere deve essere
ai Massoni e non ai Preti, perché questi ultimi non possono superare la loro
“unilateralità”, ovvero ristrcttczza intellettuale e dogmatismo. Poi
l’idea di ISTRUZIONE, contrapposta all’oscurantismo cattolico: uno dei pilastri
della azione massonica. Poi la educazione alla ETICITÀ, ovvero al perseguimcnto
del dovere per se stesso, senza attesa di premio. Infine l’aspetto più
utopistico: l’idea dell’Umanità che supera le divisioni per formare un’unica,
grande comunità. Non fu casuale che la sfortunata “Società delle
Nazioni” nascesse, nel 1919, per opera soprattutto di Massoni.
Un ‘altra costante dell’azione massonica è sempre stata
l’umanitarismo, e qui è giusto aprire una parentesi per chiedersi l’origine di
tale costante: carità o dovere di immagine? Struttura o sovrastruttura? Un
problema che porterebbc lontano. Vi sono Massoni per i quali l’umanitarismo è
l’essenza della dottrina. Vi sono altri per i quali è semplicemente una parte,
e non essenziale, del modello; un caratterc del personaggio assegnatogli dal
teatrino della vita. I Fratelli che hanno tale visione, sono molto più numerosi
di quelli disposti ad ammetterlo. Messi alle strette, si richiamano all’apologo
di Marta e Maria,
I principi
ispiratori della azione massonica, nel mondo, comunque, trovano dei precursori:
ad esempio, Giovanni Locke e, per certi versi, addirittura Tommaso Moro. E tali
principi non mancano di aspetti utopistici. Cosa c’è di più utopistico che
voler coniugare la Libertà con l’Uguaglianza? Quando nessuno c’è mai riuscito!
C’è da chiedersi se questa utopia massonica, quando si
tenta di realizzarla nel sistema sociale, sia meglio delle altre. Certamente,
la visione massonica è in grande contrasto con il bigottismo e la tolleranza
che trasudano da quasi tutte le utopie che abbiamo ricordato.
Ma arriviamo sempre a concludere che la originalità della
visione massonica non è nel suo aspetto “sociale”, bensì in quello
iniziatico, e quindi aristocratico. Infatti, ogni modello di città ideale ha il
limite di essere figlio del suo tempo. Un dato contratto sociale, così comc il
sistema che ne deriva, non possono essere idealizzati: hanno bisogno di
continui aggiustamenti in relazione alla realtà storica. La madre stessa di
tutte le utopie, quella platonica, oggi ha aspetti ripugnanti, c configura una
società dove quasi nessuno di noi vorrebbe vivere. E il nostro sistema attuale,
che oggi ci pare “il migliore dei modi possibile”, tra vent’anni
potrebbe rivelarsi inadeguato a fronteggiare la violenza che nasce dal suo
interno. Chissà che non si finisca per approdare alla repubblica di Agostini:
ladri sul patibolo, digiuno settimanale, e la sera tutti a letto.
uomini liberi e di buoni costumi, prima di essere Massoni,
ognuno di noi ha in qualche modo cercato la sua Via alla perfettibilità e
operato pcr rendersi utile ai suoi cari e al suo prossimo.
Ognuno di noi ha trovato un amaro sconforto, nel
constatare l’indifferenza dell’uomo verso i suoi simili, ben più propenso ad
accumulare potere e beni, che a tendere la mano a chi è in difficoltà. Credo
che in tutti noi si sia avvertito quell’accorato desiderio di sentirsi chiamare
fratello.
Parola meravigliosa che adesso ricorre con frequenza nei
nostri incontri, ovunque e soprattutto nel Tempio.
Uomini liberi, differenti per condizione sociale, fede
religiosa, convinzione politica, cultura, eppure uniti da una comune vocazione:
ricercare in noi stessi motivi di pace e di amore, promuovere e coltivare la
nostra ascesa spirituale.
Ancora profani, abbiamo tutti nutrito la speranza di
conoscere un mondo di veri fratelli, sinceri, leali e comprensivi, ai quali confidare
una pena o prestare un servigio, con la soddisfazione di fare bene per il bene.
Ebbcne il nostro mondo di Fratelli noi lo abbiamo trovato.
È un piccolo mondo, ma è una Istituzione. Una Istituzione organizzata che
lavora con metodo per diffondere ed afferrnare quei Principi che noi custodiamo
tra Squadra e Compasso.
Il Lavoro istituzionale è la paziente, metodica e
fiduciosa ricerca della verità, nella pratica del bene e della tollcranza.
Al di sopra dei nostri personali convincimenti non
troviamo il nostro sicuro punto d’incontro in quei principi che sono la
Libertà, l’ Uguaglianza e la Fratellanza.
Diamo alla Libertà il suo significato più umano e più
vasto, nel rispetto della legge, all’Uguaglianza sacrifichiamo orgoglio e
privilegi, alla Fratellanza concediamo il nostro amore e le nostre azioni.
L’atto che ha preceduto la nostra Iniziazione è stato un
testamento spirituale. L ‘Istituzione ci ha chiesto che cosa dobbiamo all
‘Umanità, alla Patria ed a noi stessi.
Prescindendo dalle prime due domande vorrei sottolineare
la terza: che cosa dobbiamo a noi stessi?
Io credo che il tributo più apprezzabile, che noi possiamo
dare a noi stessi, sia il rispetto per la nostra dignità di uomini che hanno la
capacità di vedere chiaramente dcntro la propria coscienza, rifuggendo tutti i
tentativi di compromesso suggeriti dalle nostre ambizioni, dalle nostre
passioni e dai nostri più svariati interessi materiali.
La Massoneria ci ha posto questa domanda perché esigc la
nostra più autentica autocritica; ci richiama alla ricerca di noi stessi nella
Verità, con ordine, con metodo, con severità.
La Tolleranza dobbiamo praticarla nei
confronti degli altri, non verso noi stessi.
Solamente un giudizio rigoroso e severo sulle nostre
azioni può squadrare la nostra Pietra e fare di noi dei Massoni degni di questo
nome.
16
Insieme a quell’intelligenza che gli permette di
indagare lo scibile, l’uomo possiede una base spirituale che lo rende
consapevole dei suoi limiti e delle sue aspirazioni.
Egli si avvicina alla perfezione ogni volta che un
istinto di bontà, sorgendo dalla sua mente, giunge puro alla coscienza, anche
se, e soprattutto se, questo gli costa una rinuncia o un sacrificio.
Quando parliarno di lavoro istituzionale intendiarno
considerare l’attività massonica nei suoi fini etici e spirituali. Essere
Massoni è un impegno che prendiamo, innanzi tutto, con la nostra coscienza.
L’Offcina è il luogo ideale per squadrare la nostra Pietra,
in essa diamo la nostra opera serena e lavorando riceviamo insegnamento.
Se ciascuno darà generosamente tutto il meglio di sé, ben
consapevole dei suoi doveri verso sé stesso e verso l’Umanità, potremo ben
sperare nel futuro.
Poiché l’effcacia della nostra testimonianza dipende
dalla nostra concreta partecipazione alla vita della Loggia, insieme alla
Saggezza non manchi l’entusiasmo di adempiere ai compiti che ci attendono.
L’uomo cosiddetto civile, sollecitato dal progresso,
trascorre la sua vita inseguendo il suo vitello d’oro; poco c male si rende
conto che i maggiori progressi scientifici sono insignificanti di fronte ai
Misteri dell’Infinito e dell ‘Eterno, ai quali ci si avvicina solamente col
Viatico dello Spirito; nessuna astronave lo potrà avvicinare ai Misteri, perché
le cose materiali non potranno mai costituire un mezzo per traslare lo spirito
dell’uomo.
Noi sappiamo che la Massoneria lavora per il bene dell
‘Umanità, nel rispetto della Libertà, intesa come mezzo per raggiungere un più
alto progresso civile.
Mentre dall’Istituzione riceviamo Luce e Saggezza, diamo
ad Essa il doveroso apporto dclla nostra viva e concreta partecipazione,
ciascuno nella misura delle proprie possibilità intellettuali e materiali.
L’Offcina è il nostro Tempio di meditazione e di lavoro
spirituale, dove ciascuno di noi ha qualcosa da dare e da imparare.
La cultura, la buona volontà e la tolleranza ci aiuteranno a
salire la lunga e faticosa scala della Saggezza.
per curiosità ho cercato nel vocabolario della lingua
italiana la parola “massone” e due sono state le definizioni che ho
trovato:
“Affiliato
alla Massoneria” – ovviamente la prima;
“Puntello,
usato nelle costruzioni navali, a sostegno del baglio” – la seconda.
Non
essendo esperto in costruzioni navali, ho cercato “baglio” e qui mi è
venuto in aiuto un disegno che mette in evidenza, oltre al baglio, anche altri
componenti della costruzione navale, tra i quali appunto il “massone”
O “puntello”.
Nel disegno è possibile vedere come il
massone sia un elemento molto semplice poco appariscente
nell’insieme della
costruzione, ma come
sia importante nel dare stabilità alla
BAGLIO – Sezione maestra di una nave in legno:
l. baglio,
2. dormiente, 3. bracciolo, 4. puntello,
costruzione stessa.
5.
fasciame di coperta, 6. madiere della costola o
Infatti
il massone ha, nella costruzione navale, il compito di reggere il baglio il
quale, a sua volta, ha il compito di reggere il ponte ed a collegare le
murate fra loro, quasi una croce.
ordinata, 7. anguilla.
Ad un osservatore, in un primo momento, non sarà
possibile vedere il massone, in quanto osservando lo scafo probabilmente
rimarrà colpito e si soffermerà ad osservare i ponti, il fasciame, le murate;
in definitiva la sua attenzione sarà, ovviamente, attirata da quegli elementi
che sono più in vista.
Per vedere il massone bisogna scendere sottocoperta, ma
anche qui probabilmente saranno gli altri elementi della costruzione ad essere,
in un primo momento, in evidenza.
Infatti la funzione del massone mi sembra così naturalc
nella architettura della costruzione, che probabilmente al visitatore verrà
spontaneo, spostandosi all’interno dello scafo, di usarlo con naturalezza come
sostegno, prima di vederne e capime I ‘ importanza.
Come si può vedere il massone occupa una posizione centrale, è
infatti posto a metà ed unisce il basso con l’alto.
Questa posizione mediana, e al contempo di unione del basso e
dell’alto, mi sembra alquanto significativa e degna di riflessione: se il
Massone avesse una simile
3 1
capacità di comportamento in Loggia e nel
mondo profano, non sarebbe egli un buon Massone?
Pcnso infatti che, durante i Lavori in Loggia, il rimanere
equidistanti dalle passioni, dai convincimenti personali, il non sposare una
causa, e quindi mantenere una capacità di valutazione serena ed una pari
severità di giudizio, nei confronti di interventi graditi o meno graditi, sia
condizione importantissima per una buona riuscita dei lavori stessi.
Ho provato ad immaginare un massone che non abbia la
necessaria elasticità per assorbire i colpi di marc durante la navigazione, che
non sia sufficientemente robusto per tenere uniti il basso con l’alto, a non
svolgere in definitiva il compito per il quale è stato destinato: sarebbe
certamente una grave conseguenza per tutta 1a costruzione.
Similmente il Massone in Loggia, che non abbia l’elasticità
necessaria ad assorbire eventuali colpi, chiamiamoli di mare, che non sia li
per costruire, ma per evidenziare eventuali errori non costruttivamente, può
provocare danni.
Ma può un Iniziato provocare danni
scientemente?
Penso di no, per esemplificare mi rifarò ad un esperimento
condotto alcuni anni fa e di cui lessi a suo tempo.
ln alcune università, credo fu fatto vedere un bellissimo foglio bianco,
fatto a mano con tecniche artigianali molto sofisticate, sul quale era stato
fatto ad arte un piccolissimo punto nero.
Quasi tutti coloro i quali furono invitati ad osservare il
foglio e a dire le loro impressioni indicarono il punto nero, pochissimi videro
la bellezza del foglio, la particolarità della trama.
Questo esperimento tende a dimostrare come, molto spesso,
si rimanga colpiti da quello che non va, piuttosto che dai fatti positivi.
Non vorrei dare l’impressione che mi stia tutto bene e che
il mio pensiero sia un semplicistico e banale “vogliamoci bene”.
Assolutamente.
Il mio pensiero, che desidero dividere con voi, carissimi
Fratelli, è che proprio perché cerchiamo di costruire il “bene” per
noi ed ovviarnente per gli altri, sia necessaria una notevole attenzionc in
questo senso, per cui i punti neri vanno sicuramente individuati, ma non per
questo devono impedirci di vedere quanto di positivo vi è attorno ad essi.
Costruire è il nostro compito.
Costruire per noi e per gli altri, lavorare bene in Loggia
e portarne il frutto in noi anche nel mondo profano, per arrivare possibilmente
a quel giorno in cui scegliere il giusto, indipendentemente che ci sia
conveniente o meno, sarà un atteggiamento naturale.
Sono qui per rendervi partecipi delle
reazioni che hanno suscitato in me quanto da voi detto, Maestro Venerabile, e
quanto espresso dal Fratello Piero Spnll nella sua ultima tavola.
Lasciatemi premettere che, nel mondo
profano, io porto il distintivo della nostra Istituzione, non perché mi senta o
mi giudichi migliore di voi tutti, che peraltro non lo portate, ma per una
scelta che mi è stata suggerita dal Rituale di Iniziazione.
Rammento che, quando ancora profano,
fui introdotto nel Tempio, alla domanda del Maestro Venerabile: “che cosa
volete da noi?” Io risposi “La Luce” consapevole di richiedere
quella Luce la cui ricerca racchiude in sé tutte le prerogative di una vita
iniziatica e che noi Liberi Muratori simboleggiamo nella costruzione del
Tempio. Ma la porta del Tempio ha due facce: quella intema che guarda ad
Oriente e quella estema che guarda ad Occidente, ma per questa non meno sacra.
La saggezza dell’Assemblea che mi
iniziò, deliberò di dirmi quali sarebbero stati i miei doveri di Libero
Muratore indicandomeli non come rara virtù, ma come compimento di un dovere
gradito e, per bocca del Maestro Venerabile, mi si disse che dovevo soccorrere
i miei Fratelli, prevenire le loro necessità, alleviare le loro disgrazie ed
assisterli con i mie consigli ed il mio affetto.
Chi sono questi Fratelli che devo
soccorrere? Sono coloro che siedono tra queste Colonne? Non credo! Io voglio e
debbo considerare miei Fratelli tutti coloro che omano le colonne del Tempio
lungo da Oriente ad Occidente, largo da Settentrione a Meridione, alto dalla
Terra al Cielo e profondo dalla Terra all’Abisso: il Tempio di quella
Massoneria Universale nel nome della quale compiamo ogni nostro Lavoro.
Quale modo più semplice, Fratelli di
compiere questo gradito dovere che continuare a squadrare la Pietra dando un
segno che mi renda riconoscibile a quei Fratelli che dovessero, per loro
sventura, avere bisogno del mio aiuto? Anche perché non credo che, portando io
un distintivo, le mie imperfezioni possano nuocere al buon nome della Libera
Muratoria in modo maggiore di quanto già non nuoccia la mia appartenenza
all’Ordine.
Tenendo presente che la Massoneria
attribuisce al simbolo un valore assoluto, permettetemi ora di toccare un
argomento più confacente a questo luogo, argomento che pur trattando di cose
esteriori vorrebbe indicarci quale simbolismo racchiude parte del Rituale che
bene o male noi attualmente seguiamo.
Se per assurdo in una Officina non si
parlasse affatto ed il Rituale si svolgesse consegni, o altro, credo che il
Rituale stesso sarebbe ugualmente vivo nell ‘individuo partecipante e nel
complesso dei presenti. Questo perché? Perché in ogni segno, in ogni oggetto,
in ogni frase ed in ogni ornamento noi riconosciamo una “sintesi di
concetti” (simbolo).
Chi di noi entrerebbe in questo luogo senza indossare il
grembiule? Nessuno credo, perché questo indumento, o ornamento, quale simbolo
del lavoro ci ricorda che siamo qui a lavorare alla costruzione del Tempio. I
guanti stessi che indossiamo ci ricordano che un Libero Muratore deve sempre
avere le mani pure, e ce lo
29
dovrebbero ricordare anche se talvolta il
loro stato non è veramente il simbolo della purezza.
Credo sia cosa inutile elencarvi e
rammentarvi tutti i vari simboli che ci circondano, vorrei però, prima di
concludere, ancora soffermanni sull’importanza dell’abito scuro che il Rituale
ci prescrive, a prescindere dall’abito quale segno di rispetto che si vuole
offrire ai Fratelli. Poiché per poche ore la settimana ci troviamo in questo
luogo che noi tutti diciamo sacro penso sia utile vestire diversamente
dall’usuale, sia perché così facendo dal momento della “vestizione”
abbiamo la possibilità di cominciare la preparazione mentale che si completerà
con i minuti di raccoglimento, che sono abituale prologo alla apertura dei
lavori, sia perché anche gli organi visivi possono percepire una condizione
diversa dall’ordinario, dal profano.
Perciò l’abito sia un abito che non
indossiamo comunemente nel mondo profano e perché questo “abito
simbolo” ci possa ricordare la nostra condiione di Figli della Vedova deve
avere il colore del lutto, il colore scuro.
Ed il tutto per fare di noi non solo un gruppo di amici, ma
una Loggia Massonica che come tale opera per il bene dell’Umanità ed
questa mia tavola non vuole
essere altro che una breve relazione dell ‘itinerario da me percorso sino ad
oggi, nella mia qualità di Apprendista, a partire dal giorno non molto lontano
in cui ho bussato a questa porta chiedendo la luce.
Non presumo che questo mio lavoro
possa essere illuminante per la Loggia; penso piuttosto che possa servire
essenzialmente a me, e forse a qualche altro Fratello Apprendista, per
verificare quanto ho capito in tutto questo tempo, ammesso che abbia capito
qualcosa
Venendo ora alla relazione su
quello che potrei definire “il viaggio spirituale di un Apprendista”,
vorrei ricordare che, come ebbi occasione di dire in un mio breve intervento,
la prima sensazione che ho avvertito dopo la mia ammissione in questa Loggia è
stata quella di un caldo spirito di fratellanza, e la sensazione è tanto bella
ed inconsueta – se paragonata a quella che è la nostra vita nel mondo profano –
da indurre quasi a “lasciarsi andare”, a vivere felici e contenti e a
non cercare niente di più. Si ha quasi l’impressione (parlo sempre a titolo
personale) di essere finalmente riusciti ad approdare all’ultimo lido sereno,
dove il tempo si è fermato, e ci sarà dato di vivere in pace i nostri
“giomi dell ‘alcione”.
Ma questo non può durare a lungo.
I Fratelli Maestri, con il loro lavoro più impegnato; la cultura massonica che
gradatamente andiamo acquisendo; il nostro stesso senso critico, ci fanno
comprendere che questo stato di cose non può essere fine a se stesso. Non basta
scaldarsi al sole della fratellanza, bisogna alzarsi e riprendere il cammino.
Così, ad un certo punto mi sono
fatto questo discorso: Bene, la fratellanza è acquisita (anche se dovrà ancora
e sempre essere coltivata). Adesso devo fare qualcosa. Ma prima di
intraprendere qualsiasi iniziativa, devo fermarmi un momento e pormi alcune
domande: quale è la mia posizione in questa Loggia? Che cosa le ho dato? Che
cosa la Loggia ha dato a me?
La mia risposta globale a questi
interrogativi è stata la seguente: la Loggia (o, se vogliamo, la Massoneria, poiché
la Loggia non è altro se non la forma in cui la Massoneria si è manifestata a
me) ci riconduce tutti ad una DWIENSIONE UMANA.
Chiarirò meglio il mio pensiero.
Nella Loggia noi ci chiamiamo fra noi con l’appellativo di
“Fratello”, ci diamo del tu, indossiamo un grembiule che simboleggia
in pari tempo la dignità del lavoro e l’umiltà dell ‘operaio.
Detto così, sembra niente, eppure
è molto. Perché, comportandoci in questo modo, noi torniamo finalmente ad
essere noi stessi. Non siamo più delle etichette, dei titoli accademici, non ci
identifichiamo più con la nostra professione, con il nostro rango, con il giro
delle nostre conoscenze. Noi deponiamo gli ori, o gli orpelli, di cui volenti o
nolenti ci adomiamo nella vita profana. Noi torniamo finalmente allo stato di
esseri umani.
“Torniamo” oppure “arriviamo” a questo
stato? Si tratta di un regresso ad una condizione elementare, oppure al
conseguimento di’ un livello più elevato?
S
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Da un punto di vista profano ciò potrebbe apparire
come una diminuzione, proprio perché accantoniamo tutte quelle cose con le
quali ci siamo a lungo identificati, e che hanno costituito il simbolo del
nostro stato.
Nella nostra ottica particolare è senz’altro un
conseguimento. L’uomo nella sua dimensione umana, nella sua dignità umana, è
certamente qualcosa di più del “dottore”, del “cavaliere”,
dell ‘industriale, e cosi via.
Quanto meno la realizzazione della dimensione umana
costituisce disponibilità per altre realizzazioni interiori, sempre in chiave
umana, che ci avvicineranno gradatamente, o per improvvisa folgorazione, al
sovrumano.
Io personalmente non credo molto nella folgorazioni.
Sono più propenso a riporre la mia fede nell ‘opera quotidiana di coltivazione
e potatura di noi stessi, se mi è concesso di usare questi termini modesti che
sanno di campagna. Sono propenso a credere, con un certo filosofo americano di
cui non ricordo il nome, che la genialità la vivacità dello spirito, la potenza
della mente costituiscono i montati di una scala, ma non si può salire una
scala se mancano i pioli, e questi sono rappresentati dalla costanza, dalla
tenacia, dalla pazienza del modesto, grigio sforzo quotidiano.
Per concludere, direi che, per quanto mi conceme, la
conquista, o la riscoperta, di questa dimensione umana costituisce una
realizzazione, anch’essa non fine a se stessa, ma propedeutica ad altre
realizzazioni.
Penso che ritrovare la propria dimensione umana sia un
po’ come chinarci un attimo su noi stessi per riascoltare la voce più vera
della nostra coscienza; raccoglierci come atleti sui blocchi di partenza per
poi distenderci nello scatto; toccare la terra, come il gigante della favola,
per attingerne la forza vitale.
Fase apparentemente statica, quindi, ma intrinsecamente viva
nella dinamica generale di un’azione tesa al conseguimento di nuove più elevate
realizzazioni, e
nei miei
pochi mesi di vita massonica ho accumulato una serie di riflessioni, dubbi,
problemi, constatazioni che ho pensato di sottoporre alla vostra attenzione.
Questa decisione non è nata senza travaglio, ora a causa del carattere troppo
personale e soggettivo, ora troppo ortodosso (o eretico!) di queste
riflessioni, per le quali posso solo confidare in fratema e massonica
tolleranza. La mia speranza è che l’aiuto dei Fratelli porti qualche luce nella
bruna attuale delle mie idee.
Siccome
qualcuno potrebbe ravvisare della seconda parte di questa tavola una intenzione
polemica che assolutamente non è mia, vorrei iniziare con un chiarimento. Di
essere in Massoneria sono perfettamente felice, e alla Massoneria devo già
molte cose, e voglio ricordarne almeno due. L’aver risvegliato in me quella
aspirazione verso il Trascendente che era latente e grazie alla quale mi sento
adesso diverso da quello che ero un anno fa; l’avermi assicurato un
“Tempio sereno”, per dire col Poeta, nel quale trovo rifugio e nel
quale provo ogni volta più viva la sensazione di sollievo e la gioia di
lasciarmi alle spalle la rissa quotidiana. Ai Fratelli non ho dato nulla e me
ne rincresce. Confido di essere, tra qualche mese, più libero dalle
preoccupazioni mondane che ora mi assillano, e di poter allora dare ai Fratelli
ciò che devo soprattutto: un più assiduo e impegnato lavoro massonico.
Dato che il Maestro Venerabile ha
sollecitato commenti sulle ultime tre tavole presentate, vorrei anzitutto
esprimere qui, non avendolo fatto a voce, l’ammirazione e la riconoscenza che
le tre tavole hanno suscitato in me. Voglio quindi ringraziare il Fratello
Spnll sia per il piacere estetico che mi ha dato la sua tavola, sia per la
genuina emozione che la anima, e che egli è stato capace di trasmetterci. Alla
tavola del Maestro Venerabile (in particolare la seconda parte) devo qualcosa
di diverso e, in un certo senso, ancora più importante: avermi prospettato
lucidamente la mia inadeguatezza di Massone e di Fratello, la lunghezza del
cammino che mi attende, la difficoltà di quello che su questo cammino è il
primo passo: ciò che simbolicamente chiamiamo “morire” in coincidenza
con la rinascita iniziatica. Morire significa uno sforzo enorme di pulizia
mentale che non è ora alla mia portata, anche se spero lo diventerà; significa
rinunciare alla calda pelliccia della persuasione, della pigrizia mentale, dei
privilegi di casta, delle idee preconcette, della pudicizia intellettuale per
denudarsi spiritualmente affidandosi al calore della fratellanza: so di non
avere superato la paura del freddo. Alla tavola del Fratello Bltt devo qualcosa
di diverso ancora: avermi fornito materiale di riflessione e approfondimento
per problemi che da tempo andavo agitando in me.
II parte
Il silenzio
dell’Apprendista
E questa una
regola che capisco e approvo, ma che viene applicata in maniera così incerta ed
aleatoria da suscitare perplessità. Sembra che ci sia una divergenza tra il
discorso rigido del 1 0 Sorvegliante e la prassi (e parola)
accomodanti del Maestro Venerabile , per cui non so se scusarmi per aver preso
qualche volta la parola in
Tempio, oppure per averla presa così raramente. La
soluzione che mi verrebbe
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spontaneo suggerire è di mantenere rigidamente la
regola del Tempio, aumentando insieme il tempo dedicato a discussioni più
informali nella sala dei passi perduti; ma resta il dubbio che, fuori
dall’atmosfera austera del Tempio, decadano il tono della discussione ed anche
quella massonica tolleranza che ne costituisce l’omamento principale.
Che
cosa significa libero?
È libero un uomo che è legato a
una fede religiosa, e quindi a un dogma? Istintivamente risponderei di no, e mi
sembra che questa sia anche la posizione ostentata con calore dal Fratello
Passantino in una recente tornata. Il giorno dell’iniziazione ho giurato
“di non professare principi che osteggino quelli propugnati dalla Libera
Muratoria” e confesso che non vedo, ad esempio come questo possa
attualmente conciliarsi con la professione della fede cattolica. So d’altra
parte che nei tempi antichi un Massone aveva non solo il diritto, ma il dovere
di “praticare la religione del proprio paese”, e non mi è chiaro come
possono conciliarsi le due posizioni.
D’ altra parte il Massone si
considera, e si vanta di essere, “uomo libero”, ma lo è poi in
effetti? Io direi che lo era fino al giorno dell’iniziazione, con la quale ha
posto alla sua libertà di pensiero e di azione un vincolo (quello di giuramento
di fedeltà ai principi della Massoneria) altrettanto rigido di quello del dogma
religioso. Questo problema della libertà è legato al quello del punto seguente
Atteggiamento
verso la religione
Si potrebbe sostenere che la
Massoneria differisce da una religione unicamente per la mancanza di
quell’elemento “devozionale” che normalmente i Massoni considerano
come di ordine inferiore: è scritto nella Costituzione che la Comunione
Italiana “osserva il monoteismo”. Si può sostenere altrettanto
validamente che la Massoneria differisce sostanzialmente da una religione in
quanto non prevede l’esistenza di un Dio. Non ha tali caratteri, infatti,
quell’entità che noi chiamiamo G:. A:. D:. e che assimilabile essenzialmente ad
un concetto, o al simbolo di una certa visione escatologica, o a un’Idea (forse
I ‘Idea di Dio), o infine al Dio dei teisti, Ma allora è il momento di
chiedersi: che cosa vuol dire Dio e che cosa vuol dire ateo?
Che
cosa significhi Dio per i Pagani o per il Vecchio testamento
È suffcientemente chiaro: un
qualcosa capace, per esempio, di dispensare fulmini e pestilenze. Quando a Dio
si toglie la capacità di manifestarsi e di incidere sulla nostra vita, si
ottiene il Dio dei teisti (e quello dei Massoni) e cioè un non-Dio, come
validamente argomentò Ludovico Feuerbach. Cosa significa quindi dire che il
Massone non può essere un “ateo stupido”? Penso che si possano
distinguere due principali tipi di ateismo: quello secondo il quale Dio non
esiste, e quello secondo il quale, se esiste, non possiamo conoscerlo. Può
sembrare che l’una e l’altra di queste concezioni debbano necessariamente condurre
ad una visione materialistica, ma a mio avviso ciò non è vero, soprattutto per
la seconda, la quale mi sembra conciliabile con quella istanza di ricerca della
luce che è alla base del lavoro massonico. In altre parole, noi fratelli tutti
cerchiamo la Luce, e forse qualcuno la troverà al termine del cammino
iniziatico. Ma siamo sicuri che, arrivati alla Visione, ciò che vedremo non
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quella politica è un’attività di dignità inferiore e
soprattutto perché ostacola la fratellanza. Deve allora la Massoneria rinnegare
il suo passato impegno politico?
8) Arrivo con questo a un punto che viene frequentemente
sollevato
Ed è oggetto di discussione in
Loggia: in Tempio è proibito “intrattenersi in questioni di politica e di
religione”. Si tratta di due proibizioni che, se pur così conglobate nel
Rituale in un’unica proposizione, mi sembrano in realtà di natura diversa.
Politica.
Il Fratello Bltt ha dato una certa interpretazione, in chiave storica e, direi,
contingente di questa posizione, e ha espresso un sostanziale dissenso sulla
sua attuale necessità ed opportunità. A me sembra che questa regola sia da
considerare savia nella misura in cui valgono le considerazioni espresse in
precedenza (punto 6) e almeno fino a quando durerà la scelta attuale della
Massoneria, che sembra quella di astenersi dall’azione politica diretta.
Religione.
A differenza dell’altra, questa proibizione mi sembra inapplicabile e in
effetti non viene applicata in questa Loggia se è vero, come ho creduto di
intendere, che durante il passato Anno Massonico si è esattamente trattato di
Buddismo. Pure accettando che sia questa considerata una religione “non
dogmatica” a differenza di altre, restano due punti da valutare:
l) questa ultima distinzione è
sottile e incerta (era “dogmatico” il paganesimo dei romani?)
2) ognuna delle grandi
religioni è portatrice di patrimonio esoterico che, se pure lasciato decadere
come è avvenuto per la religione cristiana, è pur sempre un argomenti di
interesse massonico rilevante. E proibito in Tempio parlare dei Templari perché
coinvolge la Chiesa di Roma? È lecito fare riferimento all’ascesi buddista, ma
non alle esperienze dei mistici cristiani?
quanto detto in questo Tempio nelle tomate
precedenti ha molto colpito i miei pensieri invogliandomi ad approfondire
l’argomento risalendo a ritroso il cammino della Massoneria.
Quando voi, Maestro Venerabile, in apertura dei
lavori, ritualmente dite: “Fratelli 1 0 e 20 Sorvegliante,
giacché in graia dell’ora e dell’età è ormai tempo di aprire i nostri
Architettonici Lavori, avvertite i Fratelli delle vostre Colonne che, nel corso
dei medesimi, non è più permesso ad alcuno di passare dell’una all’altra
Colonna e di intrattenersi i questioni di politica e di religione …”,
credo si presti giustamente all libera massonica interpretazione, e dico libera
poiché essendo la nostra Famiglia una unione di liberi pensatori sarebbe
contrario al logico se ognuno di noi non potesse manifestare in questa Sede le
proprie idee, anche se nei modi voluti dal Rituale.
Risalendo negli anni troviamo in Inghilterra, ai
tempi della fondazione della Gran Loggia, segni storici che fanno delle Logge
Massoniche i primi punti di incontro di uomini di fedi diverse. Uomini uniti
dal vincolo della Fratellanza nella medesima disciplina; poiché, quali che
fossero le opinioni politiche e religiose, i Liberi Muratori dovevano
considerarsi Fratelli in seno alle Logge, e se, scontrandosi nel mondo profano,
non potevano applicare appieno i principi del mutuo soccorso, erano tenuti
almeno a non nuocersi sul piano personale.
primi Fratelli che si incontrarono, dopo la trasformazione
della Massoneria da operativa a speculativa, praticando il principio della
uguaglianza mettevano in atto un nuovo importantissimo fatto politico, poiché
nelle Logge convergevano non solo cattolici e protestanti, deisti ed ateisti, ma
anche e soprattutto esponenti della nobiltà, della borghesia e del clero; per
la prima volta, forse, nella storia dell’uomo un borghese si sentiva chiamare
Fratello da un nobile e, se consideriamo la cosa alla luce del XVIII secolo,
possiamo dire che un grande passo verso la fratellanza universale veniva
attuato dalla Massoneria con questo fatto politico.
Puntando sulla caratterizzazione liberale
dell’Istituzione, che si vuole aperta ad entrambe i partiti politici ed ad
entrambe le fedi religiose, in nome dello spirito di tolleranza, la Loggia si
presenta quindi come terreno di incontro franco ed aperto tra i protestanti
hannoveriani ed i cattolici stuardisti, ma anche come facile terreno di
spionaggio.
È possibile, pertanto, pensare che questo lato negativo
della liberalità abbia suggerito alla saggezza dei Fratelli che ci hanno
preceduti la frase che voi, Maestro Venerabile, pronunciate, ciò per evitare
che le logge .si trasformassero in luoghi di soli incontri o scontri politici e
religiosi che tendessero al proselitismo in nome della fratellanza, ma mi è
difficile pensare e credere che la Massoneria voglia ora, rinnegando le origini
speculative, non permetterci di raffrontare le nostre idee, anche
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politiche e religiose, in questo
luogo che noi tutti consideriamo sacro, anche perché l’importanza sempre
attuale di questi argomenti potrebbe trovare, tra la sacralità delle Colonne,
una attenzione più distaccata dalle nostre stesse convinzioni profane.
Resta, per contro, da considerare che i lavori a
cui partecipo sono svolti in primo Grado, che tra le Colonne siedono, oltre a
me, parecchi altri Apprendisti non ancora, forse, sufficientemente spogli dei
metalli e che tale Grado richiede, di norma, un solo anno di attesa per dedurre
che tali argomenti possono trovare la loro giusta collocazione ne Lavori dei
Gradi superiori.