VIVERE INIZIATICAMENTE

VIVERE  INIZIATICAMENTE di Gian Franco Santarelli

C’è un momento, io credo, nella vita di ogni uomo, ma soprattutto di ogni singolo Iniziato, in cui egli si chiede il senso della sua esistenza in generale e si confronta con le linee essenziali del suo progetto di vita.

Il mio, come quello di ciascuno di noi, è basato sulla appartenenza alla Società dei Liberi Muratori e, per tutto quello che da questa appartenenza ho tratto in quasi metà della mia vita, sento il dovere di interrogarmi sul senso dell’essere Massone oggi, qui, in Italia.

Il fatto che noi ci si definisca epigoni, cioè discendenti, dei pochi o tanti che hanno edificato le piramidi dell’Egitto o le cattedrali gotiche, dei saggi dell’antica Grecia o dei filosofi dell’Umanesimo, che ci si vanti, come in recenti annunci istituzionali di Palazzo Giustiniani, dei pensatori e dei geni dell’arte del Settecento, o dei combattenti per la liberazione dal potere assoluto dell’Ottocento, è certo gratificante, ma mi chiedo quanto possa essere costruttivo, quanto possa significare per chi massone non è, o della Massoneria possa avere una immagine distorta, se non volutamente negativa.

Il risultato che se ne ottiene è che in un secolo come questo in cui l’aspetto sociale domina sia su quello culturale che su quello politico, in cui sempre più si va verso sistemi complessi in cui il singolo genio è quasi inutile se non supportato da ampi gruppi di lavoro e da tecnologie sempre più innovative, la Libera Muratoria che ha in sé la possibilità di far lievitare il mondo in cui si vive, è ridotta, almeno in Italia, a un esiguo numero di persone, che debbono preoccuparsi più della loro sopravvivenza in un ambiente ostile che non di svolgere un ruolo di punta di diamante del pensiero dei secoli a vemre.

Se si pensa che, nella migliore delle ipotesi, la nostra Obbedienza rappresenta circa lo zero uno per mille della popolazione italiana e che Palazzo Giustiniani poco più dello zero due, ci si rende immediatamente conto di una esiguità numerica che, nella migliore delle ipotesi, vanifica in gran parte il nostro lavoro, soprattutto nella sua immagine esteriore.

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E poiché io ritengo noi si sia in potenza, oggi come e più di ieri, quanto affermiamo da secoli nella premessa agli “Statuti Generali della Società dei Liberi Muratori’ .

La Libera Muratoria ha il suo fondamento essenziale nella fede in una Potenza Suprema che onora sotto il nome di Grande Architetto dell’Universo. I suoi principi si compendiano in queste due massime: Conosci te stesso – Ama il prossimo tuo come te stesso. È una libera associazione di uomini indipendenti, i quali non sono soggetti che alla propria coscienza, e si impegnano a praticare un ideale di Pace, di Amore e di Fratellanza; ha per iscopo il perfezionamento morale della Umanità e per mezzo la propaganda di una vera Filantropia, con l’impiego di usi e forme simboliche…

Se questo siamo e ci sentiamo di volere ancora essere per i secoli a venire, due sono, io credo, le vie parallele che dovremmo imboccare:

quella di un attento, perseverante e tenace incremento numerico che ci porti nel prossimo decennio a decuplicare, almeno, il numero dei nostri adepti; quella di un attento, perseverante e tenace sviluppo delle coscienze degli adepti che avranno il compito,quando non si sarà passati ad altri Orienti più o meno eterni, di tracciare le vie dell’Umanità a venire. Pena la decadenza a gruppuscoli sempre più insignificanti; pena la decadenza a reduci noiosi di battaglie combattute da altri.

Il mondo cosiddetto profano che vive intorno a noi (ma anche noi stessi in quanto patte attiva di questo mondo) è caratterizzato da tutta una serie di esigenze che ne condiziona la vita.

L’esigenza è ciò che in generale crea la ricerca di risposte, il desiderio di tentare soluzioni, ardite o non, la forza per interventi faticosi di cambiamento. Oggi moltissimi sono coloro che avvertono l’esigenza di piacere, di avere un aspetto attraente, di avere un bel corPO. Molti coloro che investono energie enormi per raggiungere livelli sociali elevati, avere denaro, vivere nell’agiatezza e su questo investono tutto se stessi. Molti, ancora, sentôno il peso di una limitata erudizione che li mette in condizione di sudditanza dialettica e psicologica nei confronti di chi possieda un tipo di cultura più raffinato.

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Le esigenze che non trovano il modo di essere finalizzate producono malessere, frustrazioni, quando addirittura non sfociano in angosce irreversibili.

Così come molto si fa per la propria estetica, il proprio corpo fisico, la propria posizione sociale, poco o nulla si fa per costruire un corpo psichico ben equilibrato, forte di un sapere significativo, che possa rispondere armoniosamente alle continue sollecitazioni dell’esperienza del vivere quotidiano.

Tale malessere viene avvertito e sempre più numerosi sono gli autodidatti” che, in qualche modo, cercano di risolvere da sé soli questa situazione attraverso forme diverse di ricerca su se stessi.

A questi autodidatti, a coloro che tentano le esperienze esotericomistiche più diverse, noi dovremmo presentarci non tanto come i più bravi o preparati, cosa che in realtà spesso non siamo, ma come coloro che incarnano un metodo onnicomprensivo, tanto antico che moderno, per la crescita spirituale, il perfezionamento dell’uomo, così come è, così come vuole diventare.

Noi sappiamo che l’uomo non può esistere, né tanto meno resistere a lungo, avulso dall’ambiente che lo circonda. L’ambiente, il mondo circostante, l’universo intero sono una sorta di secondo grande corpo fisico di ognuno di noi. Curare l’uno senza preoccuparsi dell’altro è come essere in parte morti: se assolutamente inutili agli equilibri circostanti, cessiamo di farne parte a pieno titolo.

La ricerca di sé, la conoscenza non può prescindere da questo complesso di potenzialità e giunge, prima o poi, il momento in cui la nostra ricerca individuale si deve confrontare con una rete collettiva di possibilità.

E, come per sapere pilotare un aereo a reazione i piloti imparano ad allenarsi in simulatori di volo, così il ricercatore di sé deve potersi confrontare in luoghi di simulazione che altro non sono che centri di ricerca interiore collettivi. Il motivo di esistenza delle scuole iniziatiche in oriente e occidente è questo: creare, simulandole, situazioni le più diverse finalizzandole alla ricerca• oltre il confine di sc stessi, verso orizzonti sempre più ampi fuori di noi, la patria diremmo, l’umanità.

Ed io credo che in questo senso non sia possibile trovare oggi nel

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nostro cosiddetto mondo occidentale via iniziatica più attuale e completa della Libera Muratoria che, proprio nelle forme simboliche e mitiche e nella gradualità dell’approccio conoscitivo, condensa le possibili soluzioni alla variabilità dei problemi dell’esistenza, a quelle esigenze di cui parlavo.

Il secondo aspetto che so sollevare molte obiezioni in molti dei miei Fratelli e Sorelle è quello di un ritorno a una assoluta serietà iniziatica nello svolgimento rituale delle Tornate di qualsiasi grado, nella scelta non solo delle tematiche, ma soprattutto dei loro relativi sviluppi. Non si può costringere intere Logge ad ascoltare per interminabili Tornate argomenti futili che annoierebbero chiunque di noi anche in riu_nioni profane. Sento spesso dire che chi se ne va non ha capito nulla: spero vivamente che sia così.

E per ultimo, non certo per importanza, vorrei dire che la stessa serietà iniziatica, la stessa attenzione, dovrebbe essere posta negli aumenti di paga. Il buonismo di cui tanto oggi si parla, la tacita acquiescenza a non negare ad alcuno un grado per età massonica o per meriti profani verso la Massoneria porterà il risultato inevitabile che il cooptando, divenuto cooptatore, continuerà la catena allo stesso modo ed avremo Logge e Camere del Rito piene di brave persone soddisfatte dei loro piccoli raggiungimenti, in cui le piccole ambizioni prendono sempre più spazio sulle grandi affezioni, che promettiamo al recipiendario la sera inimitabile e irripetibile della sua iniziazione.

Spero che si vogliano accettare con benevolenza gli scarni e spesso confusi pensieri che ho voluto esporre all’unico scopo di spiegare il mio desiderio di vedere la Libera Muratoria tornare ai fasti che merita, per essere quello che è.

Io sono pronto a rivedere in toto o in parte tutto quello che ho pensato e spero che chiunque voglia educarmi a miglior comprensione lo faccia, perché di questo ho bisogno nella mia crescita quotidiana.

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APPUNTI SU UNA STORIA DELLA MAGIA

APPUNTI SU UNA STORIA DELLA MAGIA

Nella storia della intellettualità umana, e in particolare nella storia della intellettualità più elevata, che è quella che tende verso il trascendente, verso l’alto, la magia ha avuto sempre un posto importante “piaccia o non piaccia”, e ciò a prescindere da quella che può essere la nostra personale valutazione della magia stessa.

Se si scorre la storia delle religioni, questo aspetto salta all’occhio in modo chiaro e distinto. In particolare, si nota che praticamente in tutte le religioni che hanno preceduto il monoteismo giudaico, e il monismo vedantico, c’è sempre un dio che ha connotati di mago.

Altrettanto evidenti sono gli inquinamenti, se cosi si vuole considerarli, e comunque le interferenze di pratiche e di modi di natura magica nei confronti delle varie vie iniziatiche; e non potrebbe essere altrimenti, anche solo considerando quanto sia difficile distinguere l’esoterico dall’exoterico, man mano che si va indietro nel tempo. Senza riandare fino all’uomo delle caveme, è una difficoltà che io percepisco ancora, ad esempio, per l’età ellenistica, E oltre.

Ciò che mi propongo con questa tavola e, come primo obiettivo, di fornire ai fratelli una brevissima, stenografica storia della magia, vista in questa prospettiva, cioè essenzialmente nei SUOI rapporti con la storia del pensiero religioso. Sarò poi costretto a fare seguire alcune brevi considerazioni dedicate ad illustrare perché questa problematica può interessare un libero muratore in generale, e uno della Pedemontana in particolare.

La mia esposizione sarà cronologica, partendo dalla protostoria e arrivando fino alle grandi religioni monoteistiche, che preferisco lasciare fuori dal mio discorso. Mi scuso se, per fare questo, dovrò soffermarmi a ricordare molte cose che certo sono note a molti fratelli.

Partiamo dal III millennio prima di Cristo, e quindi quasi necessariamente dall’Egitto. Troviamo qui la prima figura di mago, o meglio, il primo dio con connotati di mago: Iside. È con arti magiche che Iside si fa fecondare da Osiride morto assassinato, e riesce poi a resuscitarlo per restituirlo al suo destino di dio solare. E qui che troviamo anche, a livello di preannuncio, la prima commistione tra magia, pratiche sessuali e riti di fertilità, commistione che ritroveremo frequente e, direi, tipica. Per intenderci, fino al Tantrismo ed oltre.

Saltiamo in Mesopotamia. Un paio di millenni prima di Cristo, è il tempo dell’Enuma Elish, una delle due grandi saghe epico religiose della civiltà Akkadica. L’altra, naturalmente, è quella della Gilgamesh la quale, per inciso, potrebbe essere considerata come la storia di una iniziazione fallita. Nell ‘Enuma Elish troviamo tecniche divinatoria, astrologia, oniromanzia, ovvero lettura dei sogni. Troviamo ancora il dio mago, che qui si chiama Ea: è con magiche che Ea uccide Apsu, il dio antagonista.

E arriviamo al II millennio. In India è tempo di fioritura della religione vedica. Il dio arcaico dei Veda è Varuna, del quale una caratteristica è quella di legare i nemici a distanza, operazione di trasparente tipo magico.

Egli è il Signore dei Legami. Caratteristica connessa al concetto di maya, che significa illusione, alterazione, cambiamento, e anche in particolare cambiamento magico. Nei Rg Veda questo cambiamento può essere in bene o in male: nel primo caso è privilegio di Varuna e anche di Indra. Maya, in altre parole, significa alterazione, ma anche alterazione dell’alterazione: due segni negativi che si annullano

Rudra, l’altro dio che ha come connotato la magia; è ambivalente, e cioè anche con caratteri demoniaci. Ma Varuna è chiaramente una divinità positiva.

Sempre ne Rg Veda troviamo esperienze estatiche basate sul soma, sostanza inebriante. E troviamo rituali di carattere orgiastico, quali quelli che accompagnavano il cosiddetto Asvameda, e cioè il sacrificio del cavallo. È necessario ricordare che rituali orgiastici e consumo di sostanze inebrianti sono due costanti delle pratiche magiche? “La scienza del serpente è il Veda” sta scritto nel Sathapata Brahmana, e chi ha orecchio per intendere intenda.

Ancora nel II millennio, fioriva la civiltà Hittita in Anatolia. Per quanto poco ne sappiamo, risulta dai documenti rimastici che la magia bianca era abbondantemente praticata alla luce del sole, e comprendeva formule di purificazione e di allontanamento del male, che ci sono conservate. Risulta altresì che la magia nera era praticata, ed era punita con la morte.

Permettetemi un altro dei miei balzi da canguro, con il quale ci spostiamo in Germania, sempre nel primo  prima di Cristo. Nell’Olimpo germanico troviamo Odino, che è l’omologo di Mercurio.

Odino ottiene le rune, ovvero i poteri, dopo essere passato nove notti sospeso  all’albero sacro, senza cibo e ferito dalla sua stessa lancia. Ha un cavallo a otto zampe; ha due corvi che lo informano ed ha un anello magico. Beve alla fonte della saggezza, per questo sacrificando un occhio. E per conoscere i segreti consulta la testa di Mimir, il gigante mago guardiano della fonte, ucciso e decapitato dagli dei. È necessario sottolineare il sapore magico di tutto questo? Magica, in particolare, e tipicamente sciamanica è la pratica di consultare un cranio. Non è Odino, comunque, il solo dio mago dell’Olimpo germanico. C’è anche Loki, figura ambivalente con tratti demoniaci, padre del Lupo Fenrir, che scatenerà la guerra degli dei e la distruzione del mondo.

Non mi soffermerò sul mondo celtico se non per ricordare il dio Lug, che rappresenta la sovranità del suoi aspetto magico, ed è il perfetto omologo di Mercurio e di Odino.

Spostiamoci, questa volta, solo nello spazio e ci troviamo nella Grecia classica. Ed ecco Efesto, il fabbro magico.

Efesto è il “Signore dei Legami”, con i quali imprigiona sua moglie Afrodite, insieme a Marte intenti a sollazzarsi (non so se qualcuno abbia letto il divertentissimo dialogo di Luciano di Samosta, un po’ dissacrante).

Efesto apprese l’arte magica in una grotta, pare al prezzo di mutilazioni, ciò che non manca di afflnità sciamanica.

Efesto, infine, è il padrone del fuoco, e questo carattere richiama la sua natura di fabbro. La connotazione magica della figura del fabbro è troppo nota perché valga la pena di soffermarcisi. Vorrei solo ricordare che è ben viva in molte delle nostre valli alpine. E che fabbri divini compaiono in tutte le mitologie, ove c’è sempre un dio al quale foggiò le armi un fabbro-mago. Così Baal a Canaan, cosi Ptah in Egitto, così Indra, il quale con arti magiche uccide il dragone Vetra. Così infine, Zeus con le folgori di Efesto.

Ma si trova altro nella Grecia classica. Ad esempio i sacerdoti di Apollo hanno caratteristiche sciamaniche, quali la magia della musica; quali la bilocazione, quali la capacità di viaggiare su una freccia. E non abbiamo ancora ricordato il dio Ermete, o

Mercurio, del quale in Massoneria è superfluo ricordare le omologie di età

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successiva, da ellenistica a rinascimentale. Mercurio ha un cappello che lo rende invisibile. Mercurio ha erbe magiche che fornisce ad Ulisse. Mercurio, infine, è psicopompo, cioè il pilota delle anime: altro carattere sciamanico, a ricorrente connotazione magica.

E non abbiamo ancora ricordato Dionisio il cui culto, tramandatoci dalla tragedia greca, è troppo noto perché ci si debba spendere molte parole. Ricordiamo il carattere sfrenato, statico, orgiastico del culto; le Menadi che squartano Penteo; la omofagia degli adepti; la loro invulnerabilità; i prodigi; le falloforie (ovvero processioni con il trasporto di un simbolico fallo); e infine la morte di Dionisio Zagreo smembrato dai Titani e cotto, ciò che ha un vago sapore di iniziazione arcaica a carattere demoniaco. Ricordiamo, infine, che dal culto di Dionisio discende l’Orfismo, nel quale pure non mancano elementi magici, quali il potere sugli animali e la discesa agli inferi.

Orfeo fu chiamato, un tempo, il “padre di tutte le iniziazioni”.

Sempre nella Grecia classica troviamo la figura dell’eroe, abbastanza vicina a quella dell’iniziato. Si pensi ad Ercole. Su questa figura aprirei solo una brevissima parentesi per ricordarne il carattere ambivalente: cioè, l’eroe, oltre che eroe, è spesso un gran bastardo, talvolta deforme, gran fomificatore, sacrilego, tracotante, autore di stupri ed incesti. Riceve sacrifici analoghi a quelli delle divinità infere. Ma su questa ambivalenza chiudo, e la metto da parte come possibile argomento di riflessione.

Lasciamo la Grecia per la Persia e ci imbattiamo nello Zoroastrismo, più o meno della stessa epoca. Nello Zoroastrismo la magia, pur se tutt’altro che sconosciuta, ebbe probabilmente un posto marginale. Constatazione in un certo senso curiosa, se si considera che nel mondo occidentale, e per oltre due millenni, Zoroastro fu considerato un mago. Forse ciò fu per via dei Magi, dei quali, tuttavia, non è chiaro se furono discepoli di Zoroastro, oppure discepoli degeneri. Oppure se furono, piuttosto, legati a correnti religiose iraniche più tardive, quali lo Zurvanesimo e il quali il Mitraismo, che l’apologetica cristiana considera demoniaco e che aveva una marcatissima struttura iniziatica.

Se vogliamo restare verso la metà del primo millennio avanti Cristo, possiamo addirittura dare una sbirciatina a quel che succede in Cina. Nella Cina taoista troviamo le feste equinoziali con rituali orgiastici, peraltro molto comuni e arcaici, in tutte le culture agricole e sedentarie. Ho già accennato al profumo magico elle orge rituali. Lo stesso vale per le tecniche di longevità della Cina taoista, basate su pratiche sessuali analoghe a quelle del Tantrismo (in particolare, compiere l’atto sessuale senza emissione di seme).

La mia cavalcata attraverso i millenni sta volgendo verso la fine. Per quanto riguarda le religioni misteriche di età ellenistica, dal culto di Cibele ai misteri egizi, alla varietà popolare dell ‘Ermetismo, I ‘elemento magico che le pervade è troppo noto perché mi ci soffermi. Basta ricordare il romanzo di Apuleio, che ci da un quadro molto vivido. Direi che lo stesso vale anche per lo Gnosticismo, se solo si pensa alla figura di Simon Mago. E cambiando continente e latitudine, lo stesso vale per il Tantrismo. E lo stesso vale certamente per lo sciamanesimo dell’Asia centrale e dell’Antartide, che di elemento magico è completamente impregnato. E mi fermo qui, come promesso.

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DI POLITICA E RELIGIONE

Di politica e di religione

Venerabile Maestro, Fratelli tutti di ogni Dignità e Grado,

vogliate concedere un po’ di attenzione a queste mie parole ed usare la Vostra tolleranza se Vi prego di ascoltare cose che Vi sono già note, nell ‘ampiezza della Vostra Scienza Massonica.

Ho notato una volta di più che, nel Rituale Massonico, non v’è nulla che non sia un insegnamento esoterico, e questo è l’unico vero principio che diversifica la Libera Muratoria da ogni altro gruppo umano, elevato e benintenzionato che sia.

Nell’ascoltare il Rito d’Apertura dei Lavori, mi ha colpito una riflessione che mi venne da fare sull’ordine che viene dato dal Maestro Venerabile e viene ripetuto dal Primo e dal Secondo Sorvegliante: “… non è più perrnesso di intrattenersi in questioni di politica e di religione

Parrebbe una contraddizione. Se ci riuniamo in Tempio a lavorare per il bene dell’Umanità ed a Gloria del Grande Architetto dell’Universo, si direbbe che il fare il bene dell’Umanità è un’azione politica; e l’esaltare la gloria di Dio è religione. Ciò a livello profano …, ma noi riteniamo di non essere dei profani!

Alan W. Watts, nel suo libro “La Suprema Identità”, chiarisce molto bene la differenza fra religione e metafisica. Secondo Watts, la metafisica riguarda la Conoscenza che l’uomo ottiene per mezzo della mente, ma con una facoltà a questa superiore, che egli denomina intuizione. Anche il nostro Benedetto Croce parla di intuizione a proposito dell’ispirazione artistica e la chiama intuizione lirica. Per essa l’artista vede oltre l’apparenza delle cose, vede ciò che la mente, di per sé, non può afferrare né elaborare.

La mente è un meccanismo che immagazzina ed elabora i dati che i sensi le trasmettono – ivi compreso il nostro stesso copro e la nostra psiche – e ritrasmette questi dati ad un osservatore che sta al di là della mente. Essa ci serve per la sopravvivenza nel mondo fisico ed è condizionata da quello. Esistono però dei messaggi che non hanno nessuna origine nel mondo fisico, né diretta – dai dati immediati dei sensi né indiretta dalla rielaborazione dei dati immagazzinati dalla memoria -. Sono messaggi che provengono dal quella che il Watts chiamerebbe la sfera metafisica – al di là del mondo naturale, fisico -. Essi sono sprazzi inspiegabili di pensiero; ispirazioni di nuovi significati del mondo esterno; ispirazioni d’arte; ed altre che rivelano qualcosa che è inconoscibile con i sensi e con la mente.

Uomini che hanno avuto simili grandi rivelazioni, di durata limitata o permanente nel tempo, hanno voluto dare ai loro simili qualcosa che rassomigliasse il più possibile alle loro esperienze sostanzialmente inesprimibili; ed hanno anche voluto dare gli insegnamenti necessari perché altri potessero raggiungere quella sfera di esperienza e di Conoscenza. Il mondo profano ha poi istituzionalizzato il loro insegnamento, che si traduce in simboli, in pratiche ed in riti, diffuso e conservato da gruppi specializzati – le caste sacerdotali – e ne vennero le religioni. La religione ha la funzione di spiegare ai profani, per mezzo di ramgurazioni analogiche, le Verità che furono sperimentate di rettamente da Coloro, che per primi, in quel determinqto gruppo le esposero. La

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dell’insegnamento e dei proponimenti. D’altronde, anche i Maestri Orientali, che paiono i più contemplativi, non sconsigliano l’azione, ma anzi indicano il modo di compierla più perfettamente ed iniziaticamente. Krishna, incarnazione di Dio, dice al guerriero Argiuna, che voleva abbandonare la battaglia e rinunciare al regno per darsi alla vita contemplativa: “Argiuna, combatti L’esoterismo del Massone non lo distoglie dall’agire, ma gli insegna ad agire con perfezione, da un lato, e con disinteresse, dall ‘altro. Ecco che, a livello di informazione, il tema di lavoro che la Pedemontana si è proposto può ben svolgersi in un anno, ma, a livello di effettuazione, forse non bastano

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IN RICEVIMENTO DEI FRATELLI

In ricevimento dei Fratelli G. Bitt e A. Mnncc

Maestro Venerabile, cari FrateHi,

dietro di noi i secoli. O i millenni. Perché noi siamo esistiti sempre, anche quando non ci chiamavamo ancora Massoni. Siamo esistiti da quando la scintilla del pensiero ha acceso la prima luce nella mente umana, da quando l’uomo si è accorto che la sua esistenza non era puramente vegetativa, fine a se stessa, che pensava, produceva cose nuove, sensazioni nuove nell’intimo e nella pluralità corale umana che lo attomiava, che pensando poteva percorrere una strada che man mano si illuminava di una luce: la Conoscenza

Davanti a noi l’eternità dell’istituzione, perché la Massoneria non potrebbe morire neppure con l’ultimo uomo pensante e ragionante. L’uomo è emanazione del Grande Architetto dell’Universo, si esprime e si identifica nella volta celeste, muta e si trasfigura da un mondo di materia ad un mondo di forza, ma rimane nell’Oriente etemo. Nei nostri Templi non siamo mai soli. Siedono con noi, tra le colonne, tutti i Fratelli che ci attendono nell’ineffabile.

Ma questi Fratelli ci chiedono la continuità della Famiglia ed è per tale dovere che la costruzione del Tempio prosegue con i nuovi operai che iniziamo e poi forniamo degli strumenti di lavoro. Guai a noi, Fratelli, se fossimo incapaci di insegnare loro a dirozzare la pietra!

Da questa tomata due grembiuli in più nella nostra Loggia, due motivi in più perché i nostri lavori siano giusti e perfetti.

Benvenuto a voi, Fratelli Bltt e Mnncc.

Ora siete Fratelli Massoni. Avete da compiere il lungo viaggio verso la Luce. Lo compiremo insieme, perché anche noi la Luce continuiamo a cercarla come voi la cercate, pur se ci differenzia una foggia diversa di grembiule. Quando crediamo già di poter essere illuminati, ci accorgiamo che in fondo alla strada la luce è più sfolgorante e che il carnmino non è mai compiuto se non nei primi passi. Perché non vi è limite alla ricerca del sapere, non vi è raggiungimento finale della conoscenza, non esiste diritto di sosta nel levigare la pietra grezza e quando ogni asperità sarà livellata, sempre occorrerà ancora intervenire con gli strumenti che la Massoneria ci insegna ad usare, perché la squadratura totale, definitiva è del solo Grande Architetto, mentre noi siano umili operai del Tempio, operai volenterosi, ma operai, con tutti i difetti, con tutte le imperfezioni che l’uomo trascina nel suo viaggio terreno.

Ma siamo insieme, uniti nella Catena della Fratemità ed insieme lavoreremo alla costruzione del Tempio, anche se sappiamo che il Tempio non potrà mai essere compiuto. L’importante è che si lavori da Massoni, e cioè da uomini seri e consapevoli. Poter compiere questo lavoro nella nostra Famiglia ci dà forza, coraggio, serenità, perché il segreto d’esser paghi di aver ben prodotto per il bene della Massoneria e dell’Umanità non è nell’aver raggiunto un traguardo, ma è come si tende a raggiungerlo, è nella convinzione, nella fede, nell’operosità dei nostri atti, nella purezza delle nostre

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E quindi abbastanza chiaro cosa si debba ora intendere per “essere liberi”; cosi pure è chiaro che nessuno può mai essere completamente libero, che lo si chiami Profano, oppure Iniziato, almeno nella condizione umana che sola ci è dato di conoscere. Ma anche qui la richiesta di “essere un uomo libero” non deve essere intesa come quella di un risultato già raggiunto (che è idealistico ed impossibile), ma solo come la espressione di una chiara intenzione, si potrebbe dire, di essere ogni giorno un po’ più libero del giorno precedente, o perlomeno non meno libero. Fino al punto da metterc in discussione questa “chiara intenzione”, chiedendosi cosa essa sia in realtà.

E solo su queste basi che è possibile un incontro tra Fratelli, capace di superare barriere sociali, religiose, politiche, economiche, vale a dire che è su queste basi, e solo su queste, che ha senso il trinomio, nato all’interno della Istituzione, di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza.

Ed è per rendere possibile questo incontro che la Massoneria vive ed opera, come dice una formula rituale, “per il bene dell’Umanità ed a maggior gloria del Grande Architetto dell ‘Universo”.

Con ciò, sono dette le cose essenziali che dovrebbero rendere possibile per te, che noi forse un po’ orgogliosamente diciamo Profano, prendere una decisione al riguardo della Istituzione Massonica. Questo non è altro che l’inizio di un discorso, ma mira direttamente alla sostanza dei fatti, senza conoscere la quale discussioni su terreni quali quello dei rapporti con la Chiesa Cattolica, o altri analoghi, finiscono con l’essere diatribe accademiche prive di senso.

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CORRELAZIONE TRA SCIENZA ED ESOTERISMO

Correlazione fra scienza ed esoterismo

Maestro Venerabile e Carissimi Fratelli,

Questa mia tavola vuole mantenersi nel tema dei nostri lavori di quest’anno, cioè il “Conosci te stesso”, prendendo però spunto da un ‘analisi, per cosi dire scientifica, per giungere poi attraverso ad esperimenti vari a delle conclusioni di natura esoterica, vere o ipotetiche che possano essere.

I Fratelli mi vogliano scusare fin d’ora sc l’argomento non sarà di loro interesse, o li annoierà, se non sarà consono alle loro vedute, e se le conclusioni potranno sembrare loro azzardate.

Io le espongo cosi, come ipotesi, dopo aver illustrato le poche conoscenze scientifiche che ho in materia e gli esperimenti che ho avuto occasione di leggere su una rivista medica, i quali, pur avendo degli scopi totalmente diversi, tuttavia ben si adattano al nostro genere di lavoro, se interpretati sotto un altro punto di vista.

Si è sentito parlare molto nelle nostre tornate di mente, di pensiero, di intelligenza, di passioni, di condizionamenti, di ego, di Sé, di Spirito, ecc., e ognuno ha dato di questi concetti le proprie interpretazioni, magari anteponendo gli uni agli altri, soffocandone alcuni per sprigioname altri, ecc., allo scopo di arrivare sulla via della Realizzazione e della Conoscenza.

Ora mi sia concesso di esprimere la mia opinione di uomo mezzo scientifico e mezzo esoterico, che può credere di aver trovato un’ennesima strada, magari completamente diversa, e magari sbagliata, che però presenta, se non altro, un certo carattere di curiosità, e perché no, di suggestività.

Sono costretto però, prima di giungere agli argomenti che vi possono interessare, ad introdurre dei concetti di ordine psicologico, trattati sotto un profilo medico-scientifico, che, anche se sono un po’ complessi, spero siano tuttavia di facile comprensione anche per chi non è addentro a queste cose.

La vita psichica non è un mondo astratto, che vive di vita propria, bensì un insieme di attività strettamente legate alla vita organica, che subiscono l’influenza di questa e influenzano a loro volta l’attività delle funzioni organiche.

Le diverse attività psichiche sono legate tra di loro sia per processi di associazione, nel senso che un’attività modifica il funzionamento di un’altra, sia per processi di integrazione, nel senso che le diverse attività costituiscono un tutto umco che è la psiche stessa.

Le attività psichiche possono suddividersi in tre gruppi:

l. Quelle più strettamente intellettive, cioè i processi del pensiero.

  • Quelle della vita affettiva, sentimentale ed istintiva.
  • La personalità, che è l’insieme delle tendenze individuali e delle volontà.

Nella vita normale questi tre gruppi di attività funzionano in un armonico equilibrio, pur prevalendo di volta in volta, secondo le circostanze e secondo il temperamento individuale, I ‘una sull ‘altra, ma conservando un certo reciproco controllo. Le attività psichiche da cui dipendono i fenomeni del pensiero ed i comportamenti,

sono la risultante di un complesso gioco di meccanismi, di processi i quali utilizzano le diverse sensazioni del mondo estemo ed i prodotti del mondo interiore, elaborando questo materiale.

Come per le funzioni nervose, così per quelle psichiche il materiale elaborato proviene in gran parete dal mondo estemo, sotto forma di sensazioni, che ad ogni istante e in gran parte giungono ai centri superiori. Di queste sensazioni, non tutte vengono utilizzate per la vita psichica: moltissime, forse la maggior parte, non giungono neppure alla soglia della coscienza, o, se vi giungono, si dileguano rapidamente, senza lasciare traccia, almeno apparentemente, e non vengono utilizzate; altre volte vengono utilizzate ed elaborate, e lasciano tracce più o meno persistenti.

Il primo processo psichico di utilizzazione delle sensazioni, il processo psichico quindi più elementare, consiste nella percezione, cioè nella facoltà di integrare fra di loro le varie sensazioni che provengono dal mondo estemo, di completarle con le tracce di sensazioni precedenti( cioè di ricordi), di dar loro un significato. Ma le percezioni riuscirebbero inutili alla vita psichica se avessero tutte la medesima intensità, se non intervenisse un processo di confronto e di selezione fra le varie percezioni; e questo processo è, agevolato dall’attenzione.

L’attenzione è una particolare tensione psichica diretta ad utilizzare le percezioni e a renderle vive. Quando noi guardiamo, ascoltiamo, pensiamo, passano nella nostra coscienza percezioni, immagini, idee diverse; queste però non hanno tutte la medesima intensità e chiarezza, né si succedono con la medesima rapidità: alcune si presentano più intense e più chiare di altre, e su alcune di esse la nostra coscienza si arresta, mentre le altre impallidiscono e vengono come ignorate.

Questo dirigersi e arrestarsi della nostra coscienza su qualcosa, facendola risaltare su tutto il resto, è dovuto all’attenzione. Varie sono le forme e le modalità con cui l’attenzione si esplica, e varie le condizioni che la determinano.

Faccio degli esempi: il corridore che attende il segnale per spiccare la corsa, lo spettatore che assiste ad uno spettacolo, lo studioso che cerca la soluzione di un problema, sono tre casi diversi in cui l’attenzione è rivolta, rispettivamente alle attività motrici, alle attività sensoriali, alle attività mentali. Inoltre le nostre capacità di riflettere non hanno sempre lo stesso livello di intensità, e l’attenzione è appunto funzione di questo livello: vi sono attenzioni brevi e intense come il caso del corridore che attende il segnale di partenza e attenzioni meno intense ma più prolungate come il caso dello spettatore.

Inoltre l’attenzione può essere spontanea o volontaria, attiva o passiva. Spontanea o passiva è quando siamo attratti da qualcosa che ci interessa e che devia il corso dei nostri pensieri, e questa non richiede alcun sforzo. Volontaria o attiva invece è quando dipende dall ‘iniziativa del soggetto, come la risoluzione di un problema, e che richiede uno sforzo più o meno intenso.

La carica affettiva, cioè i sentimenti e le emozioni, esercitano una grandissima influenza sull’attenzione, deviandone il corso e incanalandola su binari ben stabiliti, come il melanconico su idee sempre tristi, l’innamorato sull’oggetto del suo amore, ecc..

Ogni percezione lascia, nella nostra psiche, una traccia che può dileguarsi più o meno rapidamente, o persistere più o meno tenacemente. Queste tracce, integrandosi con quelle lasciate dalle percezioni precedenti, costituiscono i ricordi e la memoria.

La memoria è appunto la facoltà di conservare le tracce di impressioni ricevute, di rievocarle e di riconoscerle. Quando noi richiamiarno alla nostra mente cose che abbiamo visto, avvenimenti cui abbiamo assistito, discorsi che abbiamo ascoltato, idee che hanno attraversato la nostra mente, possiamo rievocarli nella nostra memoria, riprodurli in noi con una fedeltà più o meno grande, collocarli nel tempo associandoli con maggiore o minore esattezza ad altri avvenimenti, oppure creare noi stessi delle immagini, delle rappresentazioni utilizzando i ricordi delle percezioni passate e combinandoli in vario modo fra di ‘loro.

Ma anche ci proponiamo di rievocare un’immagine, un avvenimento nel modo più fedele possibile, la nostra memoria ci inganna sempre, in maggiore o minore misura.

Il ricordo non è mai la riproduzione fedelissima di una percezione passata: è sempre qualcosa di diverso, perché una parte, sia pure piccolissima, delle tracce lasciate in noi dalle percezioni va quasi sempre perduta, e perché al residuo delle percezioni passate si aggiunge spesso, inconsciarnente, qualcosa di estraneo o qualcosa di nuovo dovuto a percezioni avute in seguito. La diffcoltà nella formazione delle tracce mnemoniche è quasi sempre legata, e spesso dovuta, ad un difetto di attenzione.

A questo punto dovremmo dire qualche parola su due processi psichici assai importanti: l’ideazione e la coscienza.

Per coscienza intendiamo quello stato psichico che ci permette di utilizzare le impressioni che ci giungono dal mondo estemo ed i prodotti della nostra attività interiore. Nell’incoscienza ogni contatto con il mondo estemo è perduto ed ogni attività psichica è spenta; un tale stato di incoscienza assoluta si riscontra solo nel coma.

Ma tra la coscienza e l’incoscienza esiste tutta una serie di gradi, fra cui annoveriamo il cosiddetto sub-cosciente.

Come già abbiarno detto, nella vita di ogni giomo innumerevoli percezioni raggiungono la nostra coscienza; molte vengono immediatamente elaborate ed utilizzate e lasciano delle tracce persistenti, ma la maggior parte di esse si dilegua e non lascia, in apparenza, alcuna traccia. Ma questo dileguarsi di percezioni, di idee, di sentimenti, che pure sono stati vissuti, anche solo per breve tempo, non è che apparente: essi rimangono in noi, al di sotto della soglia della coscienza, e possono, in particolari circostanze, venire a galla. Non solo, ma anche quando non raggiungono la soglia della coscienza, non rimangono inerti: lavorano nel mondo del sub-conscio, formando pensieri, concetti, elaborazioni complicatissime che, per particolari stati d’animo, forti cariche emotive, o determinati artifizi, possono balzare a galla, lasciandoci perplessi o stupiti, perché siamo sicuri di non avere mai percepito o pensato cose simili che spesso appaiono più grandi delle nostre possibilità, e l’elaborazione è stata talmente complessa che sarebbe impossibile risalire col ragionamento alle varie percezioni di base che l’hanno determinata.

A questa improvvisa e sconcertante presa di coscienza diamo impropriamente diversi nomi: intuizione, folgorazione, lampo di genio, ispirazione, ecc., e bisogna stare attenti a non confondere queste situazioni con il raggiungimento di qualcosa di trascendente, dandogli magari addirittura il nome di Illuminazione o di Conoscenza.

Ancora due parole sull’ideazione. Il processo dell’ideazione si compie in virtù di un doppio meccanismo: per un processo di astrazione, con il quale gli elementi comuni a diverse rappresentazioni vengono isolati, liberati dai caratteri specifici delle singole rappresentazioni. ed acquistano il valore e l’autonomia di concetti; e4 per un processo di associazione, per cui una rappresentazione, un ricordo, un’idea, richiama altœ rappresentazioni o idee che hanno con quella alcunché di comune.

Dalle rappresentazioni di un lago, del mare, di un fiume, della pioggia nasce, per astrazione, l’idea dell ‘acqua.

Il ricordo di un avvenimento, la vista di una persona, una parola, un nome ci richiamano, per associazione, altri avvenimenti, alcuni caratteri di quella persona, alcune proprietà dell ‘oggetto espresso da quella parola, od altre parole che hanno con quella rassomiglianze fonetiche.

1 processi di associazione di possono dunque compiere diversamente, poiché diversi sono i rapporti fra le varie immagini ed idee. Alcune immagini o idee ne richiarnano altre simili (associazione per somiglianza), oppure altre che hanno significato o valore opposto (associazione per contrasto), oppure richiamano altre immagini che sono ad esse legate da un rapporto purarnente occasionale: l’evocazione di un avvenimento personale richiama il ricordo degli avvenimenti che l’hanno preceduto o seguito, delle persone che vi hanno preso parte, dell’ambiente e del tempo in cui è accaduto (associazione per contiguità).

Questi processi di astrazione e associazione sono enormemente facilitati dal linguaggio il quale sostituisce alle cose e ai concetti i simboli che li rappresentano.

Un particolare processo di ordine superiore, il ragionamento, mette a confronto diversi concetti, distingue il probabile dall’improbabile, il possibile dalPassurdo, e ci conduce ad affermare dei giudizi.

Concludendo questo purtroppo lungo preambolo, possiamo riassumere che: il mondo sensibile ci fornisce il primo materiale della conoscenza; la memoria e le associazioni lo conservano e lo elaborano; l’attenzione dirige questo lavoro secondo un fine prefisso; il ragionamento ci conduce alla comprensione dei rapporti logici ed all’affermazione dei giudizi.

Questo gioco di utilizzazione delle percezioni, di rievocazioni, di confronti e di scelta costituisce il pensiero, dal quale dipende in gran parte il nostro comportamento.

Il pensiero è dunque la risultante di complicatissimi processi che si integrano a vicenda.

Ora prima di giungere alte conclusioni che spiegano come utilizzare queste nostre facoltà psichiche per poter giungere ad una migliore conoscenza e ad un progresso su noi stessi, vi devo spiegare brevemente alcuni esperimenti eseguiti da fisiologi americani su uno degli organi di senso dell’uomo: la vista.

Questi ricercatori hanno scoperto che le circonvoluzioni cerebrali nelle quali sono localizzati i sistemi visivi, sono plastiche e vengono modificate dall ‘esperienza.

Da ciò deriva direttamente che, nel nostro mondo visibile, ciò che oggi vediamo è probabilmente, almeno in parte, determinato da ciò che abbiamo visto in passato.

Tale processo di adattamento delle proprietà dei rivelatori visivi con l’ambiente visivo avrebbe luogo continuamente, dall ‘inizio alla fine della vita.

Questa importante scoperta è in grado di incidere notevolmente nella dibattuta questione su quanto è da noi geneticamente ereditato e quanto invece viene acquisito con l’esperienza, indicandoci che noi acquistiamo dalla nascita solo la capacità potenziale di vedere, ma in realtà non vediamo nulla, e solo dopo svariati stimoli acquistiamo tale facoltà.

Quando noi ci guardiamo attomo, i raggi di luce che cadono sui nostri occhi sono esattamente gli stessi che colpiscono gli occhi di qualsiasi altra creatura nella nostra stessa posizione, sia essa un coniglio, una tana o una mosca.

Ma le cose del mondo estemo che interessano noi non sono quasi certamente altrettanto interessanti per quegli animali e viceversa: ciascuno vede in effetti ciò che lo interessa, e le caratteristiche del sistema visivo di ogni specie sono probabilmente corrispondenti alle sue necessità compoflamentali.

Alcune delle maggiore restrizioni di ciò che un animale è in grado di vedere sono dettate dalle proprietà ottiche dei rispettivi sistemi visivi. Cosi noi non possiarno percepire la luce ultravioletta giacché le nostre lenti la filtrano prima che essa possa raggiungere la retina; ma certamente alcuni animali la percepiscono.

E la retina stessa impone altre notevoli limitazioni visive. Alcuni animali non percepiscono i colori perché tutti i loro coni hanno la stessa contemporanea sensibilità spettrale; altri animali mancano di bastoncelli e sono pertanto virtualmente ciechi dopo il crepuscolo; altri ancora, come le mosche, pur avendo un vasto angolo visivo, hanno i rivelatori così distanziati che la loro acutezza visiva è senz’altro molto ridotta (coni e bastoncelli sono particolari elementi cellulari della retina che ricevono gli stimoli luminosi e li trasmettono, attraverso i nervi ottici, trasformati in stimoli bio-elettrici ai centri visivi cerebrali. 1 coni sono deputati alla visione diuma, e alla sensibilità ai colori, mentre i bastoncelli svolgono 1a loro funzione nella visione nottuma e in quella in bianco e nero).

Secondo alcuni recenti studi, le vie nervose e cerebrali dettano ancora più severi limiti all ‘analisi visiva.

Ciascuna specie ha la sua collezione specifica di rivelatori ai vari livelli del sistema visivo, e ogni neurone visivo ha caratteristiche piuttosto precise che, una volta innescato, producono impulsi specifici: solo una certa immagine, su un certo punto della retina, solleciterà quella cellula nervosa.

Così le rane hanno particolari “rilevatori di insetti” che corrispondono solo ad un piccolo oggetto che voli nel loro campo visivo, ed hanno dei “rivelatori di novità” che scattano soltanto allorché un oggetto in movimento nella loro visuale cambia direzione.

Uno studio interessante è stato condotto a Carnbridge, allevando dei gatti completamente al buio fin dalla nascita, e introducendoli soltanto per qualche ora al giomo in ambienti speciali le cui pareti erano dipinte a strisce orizzontali oppure verticali. A cinque mesi e mezzo, gli animali sono stati condotti in un ambiente qualsiasi per osservare il comportamento. Per qualche ora, essi sembrarono totalmente ciechi, ma poi cominciarono a seguirc con gli occhi oggetti che si muovevano e ad esplorare il loro nuovo mondo.

Ma questo era un mondo un poco più vuoto del normale, giacché essi erano ciechi rispetto agli orientamenti opposti a quelli cui erano stati abituati. Il gatto assuefatto alle righe verticali, ad esempio, non mostrava alcuna reazione di fronte ad un foglio dipinto a strisce orizzontali spinto verso di lui, e viceversa.

La ragione di questo comportamento fu successivamente rivelata dall ‘EEG; esso rese infatti evidente la mancanza di cellule visive per quel particolare orientamento che il gatto non aveva mai avuto occasione di sperimentare.

Solo dopo molto tempo questi animali tomarono normali, cioè simili a quelli che non avevano subito questo trattamento.

La qualità plastica delle cellule visive che questi studi hanno sottolineato, e cioè la

loro capacità di adattamento al mondo visivo esterno, è senz’altro utile all’animale, in quanto il suo cervello viene proporzionalmente reso più sensibile a quelle cose che l’animale vede più spesso, perché rivestono per lui un maggiore interesse.

Queste esperienze portano a formulare l’ipotesi assai probabile (poiché le altre funzioni cerebrali sono simili) che tale capacità di adattamento non sia esclusiva del sistema visivo, ma sia presente in qualsiasi altro campo della esperienza e della percezione.

Ciò comporterebbe, in caso di percezioni diverse dalle solite, un totale rivolgimento anche delle funzioni psichiche superiori, dalla conoscenza alle associazioni, alle ideazioni, al ragionamento, al pensiero stesso.

Tutti questi esperimenti ci lusingano, nella nostra presunzione umana, all’idea che esistano cose reali appartenenti al mondo reale, che perè restano letteralmente al di là della nostra comprensione, non possedendo noi l’apparato nervoso adatto a conoscerle.

Forse esistono dei suoni dolcissimi a milioni o miliardi di Hz che il nostro misero orecchio non sente; cose od oggetti dai meravigliosi colori sconosciuti che il nostro occhio non vede; profumi od essenze delicatissimi che il nostro olfatto non percepisce; e magari impalpabili e invisibili esseri viventi che il nostro tatto non riesce a toccare. Gli animali privi di coni retinici, e quindi con visione solo in bianco e nero, non immaginano neppure che esistano i colori che vediamo noi.

Non è forse quindi lecito pensare che anche noi non abbiano le possibilità di percepire cose inimmaginabili?

Queste però sono ipotesi che, poiché esulano dalle nostre possibilità fisiche e psichiche, non potremo mai, dico mai, controllare con i nostri mezzi per asserirne la veridicità.

Facciamo ancora un passo avanti.

Quando parliamo di Trascendente con la T maiuscola, quando parliano di Spirito Universale, di Conoscenza Integrale, di Vita Ultraterrena, che cosa facciamo? IPOTESI.

Ipotesi meravigliose di cui nessuno potrà mai avere la certezza, perché i mezzi a nostra disposizione hanno un limite massimo oltre il quale non potremo mai andare.

E allora che cosa giova alla nostra Realizzazione parlare di queste cose?

La nostra Realtà è quella imposta dai nostri limiti; che ne esistano altre, ben superiori è un’ipotesi molto suggestiva, ma di nessuna realtà pratica.

E allora, mi direte voi, che cosa si può fare per progredire sulla via della Conoscenza e della Realizzazione?

Che cosa dobbiamo fare per conoscerci meglio e per migliorarci?

C’è un mezzo, abbastanza semplice da capire, ma assai difficile da mettere in pratica.

Quando ho detto che le nostre possibilità hanno dei limiti insuperabili, non ho detto che questi limiti li abbiamo raggiunti, anzi ne siamo ben lontani.

Quindi non ci resta che sforzarci a mettere in funzione ogni nostra attività psico-sensoriale in modo da migliorare costantemente la nostra conoscenza, che dovrà essere raggiunta nel nostro mondo, nella nostra realtà, quella di tutti i giorni, che ci sfugge, perché il nostro pensiero è cieco ad essa per non averla mai vista: come il gatto è cieco alle righe orizzontali o verticali perché non le ha mai viste. In che modo dobbiarno agire?

Qui entrano in gioco le facoltà psichiche di cui ho parlato all’inizio.

In primo luogo modificare le percezioni sensoriali, modificando l’attenzione. Noi siamo distratti dall ‘attenzione passiva che, non richiedendo nessuno sforzo, è quella che ha il sopravvento su di noi e finisce per darci sempre le stesse informazioni, incanalando il nostro pensiero su schemi fissi.

Usiamo di più l’attenzione attiva ponendo attenzione alle cose che ci sembrano più insignificanti, guardandoci intorno in modo diverso, modificando i significati della vita.

Già cominceremo gradatamente a vedere e percepire un’infinità di cose che non avremmo mai immaginato, e gradatamente anche noi vedremo le strisce verticali od orizzontali come il gatto. Plasmiamo le nostre cellule cerebrali a nuove sensazioni, modificando l’intensità delle percezioni. Cerchiamo di catnbiare i processi ideativi nei loro due meccanismi di astrazione e associazione: otterremo dei diversi modi di ragionare, e quindi modificheremo anche il nostro pensiero e bon esso la nostra Essenza stessa.

La Realtà è qui attorno a noi, e la Luce che cerchiamo ci sommerge fino al collo, ma dobbiamo entrambe vederle, sentirle, concepirle, plasmando le nostre cellule cerebrali in modo diverso da quello che abbiamo fatto finora.

Abbiamo la fortuna che con noi lavora, per conto suo, il nostro sub-conscio, come un amico che ci è vicino, e che ogni tanto ci rivela le sue scoperte.

Queste scoperte sono finite e reali e altro non devono servire che ad intrecciarsi con le nostre per fonnare con esse dei nuovi concetti, delle nuove informazioni da elaborare, per rendere il nostro Io, unico ed indissolubile in tutte le sue manifestazioni, a delle conoscenze sempre superiori che, se non raggiungemmo la Conoscenza Integrale, serviranno sempre a conoscerci meglio e a darci la Serenità, la Pace, la Gioia, la Sicurezza che tanto ci mancano e che, in fondo, costituiscono l’unica vera Realizzazione che siamo in grado di ottenere, e che è più che sufficiente per dare uno scopo alla nostra Esistenza. R. Sprt, 28 marzo 1974 dell’e:. v:. (1 0 grado

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CONOSCI TE STESSO

Conosci te stesso

Maestro Venerabile, Fratelli tutti di ogni Dignità e Grado,

siamo agli inizi del nuovo Anno Massonico 1973-74 dell’era volgare ed agli inizi di un nuovo ciclo dei nostri lavori.

E torniamo a domandarci: quale deve essere il vero Lavoro di un’Offcina Massonica?

Credo che la miglior fonte, per trovare la risposta, sia il nostro Rituale: Anche se sulle prime appare per lo meno strano, quanto più ci si abitua e ci si medita si è indotti a ritenere che è stato scritto con somma saggezza e con grande ricchezza di contenuti.

Ogni simbolo è un pentacolo, una figura che, anche quando è estremamente semplice, prendiarno ad esempio la Squadra, ha significati metafisici addirittura cosmogonici; ed ogni volta che lo si vede, non si può far a meno di meditare sui due Principi della creazione, della Materia, l’orizzontale, e della verticale che simboleggia lo Spirito.

E, quando si aprono i Lavori e si pongono Squadra e Compasso sulla prima pagina del Vangelo di Giovanni, non possiarno far a meno di ricordare che le prime parole di Giovanni sono: “In principio era il Verbo, ed il Verbo era con Dio, ed il verbo era Dio

All’accensione delle Candele, ricordiamo che il Primo Esperto, dopo aver fatto battere il recipiendario alla Porta del Tempio, risponde alla domanda che gli è stata fatta dall’interno: “E un profano che cerca la Luce ‘

Anche se siamo omati dalle insegne di Maestri o di Compagni, siamo in realtà tutti Apprendisti, e la Massoneria è quell’istituzione che, unica al mondo, ci affratella tutti perché ci aiutiamo scambievolmente alla ricerca della Luce.

Noi proclamiamo inoltre di Lavorare per il bene dell ‘Umanità ed a Gloria del Grande Architetto dell ‘Universo.

Come si può lavorare per il bene dell ‘Umanità?

A parte che nelle nostre file non ci sono condottieri, né profeti di nuove dottrine redentrici, osserviamo con Aldous Huxley che simili supermen sono stati portatori di grandi mali, più che di benefici per l ‘ Umanità. Basta ricordare i massacri ed i genocidi fatti in nome di tanti credi religiosi e politici; e quelli che si continuano a fare oggi.

I veri benefattori dell’Umanità lavorano marginalmente, incominciando da se stessi, e poi spargono un seme che purificherà lentarnente, ma deve fruttificare entro i cuori della gente; non gli può essere imposto con la violenza, né fisica, né mentale. Noi tutti vogliano essere riformatori; ma, se vogliamo che sia efficace, la riforma deve cominciare da noi stcssi, e sarebbe già un grandissimo successo quello di aver riformato noi stessi per il bene.

Ma, ovviamente, per mettere in atto una riforma, che può, nel nostro caso, essere completamente radicale, occorre conoscere perfettamente ciò che deve essere l’oggetto della riforma e poi, si potrebbe aggiungere, occorrerebbe aver definito con chiarezza il modello al quale si tende con la riforma. Si vedrà in seguito che questo modello esiste già, entro ciascuno di noi, e che viene ad essere conosciuto, e direi anche attuato, già con la sola operazione del conoscere la totalità del nostro essere.

Tanto per dare un primo abbozzo al problema, che è quello di conoscere se stessi, e per distinguere due specie di conoscenza, direi che bisogna fare un distacco netto tra conoscenza mentale e conoscenza sperimentale ed un terzo tipo, che direi subito deteriore, che è di una attuazione esistenziale, di cui diremo subito, per scartarla al primo esame. Si tratta della cosiddetta realizzazione di se stessi da farsi con atti arbitrari ed incondizionati, che possono raggiungere anche il delitto gratuito; si tratta di modi di auto affermazione che dovrebbero servire a risolvere l’angoscia esistenziale per mezzo di una violenta affermazione dell’Ego rudimentale con atti di presunta potenza; non credo che valga la pena di prcndere in considerazione questa modalità, che porterebbe, semmai, all’accentuazione di una sola frazione dell’io, con la cancellazione di tutte le altre frazioni, e specialmente quelle superiori.

Venendo alla conoscenza di tipo mentale, anche nell’uso comune della frase “io mi conosco si intende dire “io so che, in quella determinata circostanza, mi comporterò in questo certo modo, oppure, la penserò in quel certo modo”. conosco, lo so come sei . e così via. Portata ad un livello scientifico questa conoscenza diventa la psicologia, ecc. ecc.. Si tratta cioè di osservazioni fatte ed organizzate dalla mente, di fatti che avvengono a livello fisico o, al massimo, a livello mentale.

Ma, al di là della mente, non esiste nulla? Anche senza ricorrere a dottrine di metafisica pratica, possiamo dire che tutti noi abbiamo sperimentato e visto fatti che fanno pensare a qualcosa che opera al di fuori, se vogliamo al di sopra, della mente. Ispirazioni improvvise, intuizioni artistiche, messaggi telepatici, premonizioni … sono tutte cose che esulano dalla sfera mentale e che fanno pensare che nella composizione dell ‘uomo ci sia qualche cosa di più delle componenti del corpo fisico, istinti, sentimenti, passioni e ragionamento. Forse già certe manifestazioni della volontà sono extra-mentali.

Ed allora, per esplorare questi campi poco accessibili dell’io, la mente non è più suffciente. Ed è probabile che, in questi campi, si possano trovare cose assai interessanti.

Possiamo andare a fiuto e cominciare a sospettare qualcosa.

Nelle Tavole di Smeraldo, Ennete Trismegisto dice: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso Che cosa potrebbe significare? In basso, l ‘ Uomo; in alto, I ‘Universo (intero, visibile ed invisibile). L’Uomo è fatto di materia, e via via di tante componenti che si allontanano da essa; istinti, sentimenti, mente … e …? Dell’Universo vediamo solo la parte materiale … ma nei laboratori di fisica nucleare si lavora con le parti più sottili della materia … elettroni, protoni, fotoni, ecc.; e queste particelle diventano tanto più esclusive quanto più sono piccole. L’elettrone si comporta, a piacere, come carica elettrica, come treno di onde, come luce, come massa materiale … e allora? Gli strumenti che, a suo tempo, la Mente aveva forgiato per veder un certo ordine nel mondo fisico, le matematiche classiche, non funzionano più, a quei livelli, e si devono adottare matematiche nuove c quello che nelle nostre mani era materia solida, pesante, da toccare, da masticare, da tirare in testa allo scocciatore è svanita in nuvolette di onde, o luce, o cariche elettriche.

Ciò che è in alto è come ciò che è in basso; è il fondamento dell’analogia; spiega perché l’uomo è detto il microcosmo, strutturalmente analogo al grande Cosmo. Ed allora, conoscendo l’ Uomo, sarebbe possibile giungere a conoscere l’ Universo. Si tratta di trovare i mezzi per conoscere I ‘Uomo.

I Santi indiani, coloro che scrissero i Veda e le Uppanishad; i Profeti ed i Veggenti Ebrei, che ci diedero la Kabbalah; i Filosofi della Gnosi e tutta una schiera appartenente a tutte le civiltà, ci hanno lasciato e ci stanno dando ampia informazione sulla struttura dell’Uomo e sul modo di averne pratica esperienza. Per conoscere proficuamente la nostra struttura, non è sufficiente sapere che siamo costituiti da molti strati, ecc. ecc., ma occorre che diamo la scalata a codesti strati che stanno al di fuori della nostra normale esperienza e andiamo a vedere direttamente. Andare a vedere direttamente vuol dire prendere coscienza di tutti questi strati che ci compongono; questa presa di coscienza deve divenire cosa di tutte le ore, questa presa di coscienza implicherà il riordinamento gerarchico nelle funzioni di tutti questi strati.

Dice una bellissima Uppanishad (la Katha Uppanishad, ii. vv. IO e segg.) che l’uomo è un complesso formato da un padrone che sta su di un carro, guidato da un auriga e tirato da un cavallo. Il carro è il corpo; il cavallo è i sentimenti, gli istinti e le passioni; il cocchiere è la mente; ed il padrone, il vero Io, lo Spirito. La logica vorrebbe che il padrone desse ordini al cocchiere, che questo guidasse il cavallo e che, infine, questo tirasse il carro. Ma non è cosi quasi mai. Molto spesso, è il carro che prende il comando e porta tutti dove vuole lui; spesso la fa da padrone il cavallo; e, nelle persone cosiddette intelligenti, equilibrate, il cocchiere comanda tutto. Ed il padrone? Sembra chiaro che l’uomo integrato sia quello nel quale è lo Spirito a comandare e tutto il resto stia al posto giusto. Ma perché si possa dare il comando al Padrone bisogna riconoscerlo, mettersi in comunicazione con Lui.

Cerchiamo allora, per il bene della Loggia in particolare, dell’Ordine e dell’Umanità in generale ed a Gloria del Grande Architetto dell’Universo, di divenire noi stessi uomini integrati e poi, forse, potremo anche dedicarci a riformare il mondo. M. Bnc, 20 settembre 1973 dell’e v:. (1 0 grado

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GIOVANNI XXIII E LA MASSONERIA


GIOVANNI XXIII E LA MASSONERIA di Padre Rosario F. Esposito

1. – Un cammino laborioso

L’argomento non riveste un’importanza primaria in questo pontificato, 111a ha un certo rilievo; me ne sono occupato in diverse circostanze, qui sosterò su alcuni momenti particolarmente significativi ringraziando fin d’ora Mons. Loris F. Capovilla, il quale. come ha fatto in passato per altre questioni giovannèe, anche in questo caso mi è stato largo di consigli ed ha messo a mia disposizione la documentazione in suo possesso. L’apertura di Papa Giovanni agli altri, estesa a tutto campo, è un dato di fatto “antico c accettato”. Lo fu anche nei confronti della Massoneria’? Sostanzialmente la risposta è positiva, ma l’accoglimento di tale istanza non è stato privo di problematiche.

Le difficoltà nascevano dalla situazione polemica affermatasi in Italia nella seconda metà del secolo XIX e nei primi due decenni del XX. Il magistero di Pio IX e di Leone XIII, caldamente assimilato dalla popolazione cattolica, impressionò fortemente il seminarista “romano” Roncalli. Gli echi più espliciti si colgono nel Giornale dell ‘anima. Il 4 settembre 1900 scrive un’annotazione che molto probabilmente echeggia i rumorosi ed intemperanti preparativi della prossima solennità civile del XX Settembre, nei quali la Massoneria italiana, allora radicalmente e indebitamente politicizzata, s’ impegnava in prima linea. Il seminarista esprime il suo “entusiasmo per il grande Leone XIII, a cui in questi giorni si rinnovano le ingiurie più incresciose. più maligne, più diaboliche. L’ora è triste, Preghiamo. Oretnus pro Pontifice nostro Leone” (p. 82). Il riferimento al satanismo, che all’epoca era vivo nella Chiesa di tutti i livelli, soggiace all’esperienza roncalliana del principio del secolo. Alcuni anni dopo un cammino identico verrà compiuto a Roma dal giovane francescano polacco Massimiliano Kolbe, che nel 1917 fonderà la Milizia dell’Immacolata per rompere questo cerchio antireligioso, e promuoverà la battaglia antirnassonica e antiebraica, ovviamente in termini di recupero spirituale di questi erranti.

Il 20 febbraio 1902 Papa Leone compiva il venticinqucsimo anno di pontificato. Partecipa entusiasticamente alla gioia della cattolicità ed esprime fervidi: “Ah. Leone. Leone, salgano al cielo, fecondatrici di benedizione, di prosperità. di vittoria per te e per l’opera tua, le mie povere preghiere… Il Signore ti conservi, o Leone, al bene della Chiesa e della patria, alle glorie. ai trionfi di Cristo nel suo popolo, non cessi dal trasfondere nella tua eterea figura quel soffio potente di vita divina onde schiudi alle anime nostre, sitibonde di felicità, orizzonti più chiari di giustizia e di carità evangelica…’ (p. 1 19). Il 29 aprile 1903 fa un chiaro riferimento implicitamente antimassonico a questa situazione dilacerata: in tutta la vicenda questo riferimento non sarà mai esplicitato. ma il contesto storico e l’espressione filologica non consentono dubbi di sorta. Edoardo VII d’Inghilterra e poco dopo Guglielmo II di Germania sono in visita a Roma, e saranno ricevuti anche dal Papa. Non gradisce il chiasso chc si fa nella città ed esprime ammirazione perché il sovrano inglese contraddice l’impostazione anticlericale dominante in Italia, un sentimento che Leone XIII aveva manifestato più volte nei documenti e nelle allocuzioni. Egli scrive: “Rendendosi superiore a certe voglie tendenziose dell’anticlericalismo italiano e straniero, egli non si vergognò. anzi l’ebbe ad onore. di visitare e di chinarsi davanti ad un altro uomo. ad un povero vecchio perseguitato, ma che egli ha riconosciuto siccome più grande di sé, davanti al Papa, al Vicario di Gesù Cristo” (p. 128). L’8 maggio, in occasione dell’udienza pontificia dell’imperatore tedesco, esprime sentimenti analoghi (p. 130-131).

Tornato in diocesi, Don Roncalli toccò con mano le contraddizioni che il clima post risorgimentale alimentava anche nella diocesi bergamasca. A questo proposito sono eloquenti due lettere da lui rivolte a Mons. Domenico Spolverini, rettore del Seminario Romano, di cui era stato alunno. In quella del 13 aprile 1912 lo ragguagliava sulla battaglia che gli anticlericali ed i laicisti promovevano contro le scuole cattoliche e l’insegnamento religioso nelle scuole. Don Roncalli scriveva: “E necessario star pronti alla battaglia per la libertà di insegnamento, poiché lo spirito del male qui più che altrovc circuit quaerens quem devorez” (IPt 5, 9).

Nella lettera del 23 ottobre dello stesso anno il suo radicalismo s’inasprisce ancora di più. Mons. Giacomo Radini Tedeschi gli affida l’incarico di redigere la lettera collettiva dell’episcopato lombardo contro questo movimento di laicizzazione. Al rettore romano confida: “E tutta, alla lettera, modesta opera del sottoscritto” e mi si fece l’onore di affidarmela perché si pensò che trattando di un argomento così scottante non avrei perduto la calma. Bisogna fare un po’ di tutto per salvar l’anima, e quindi fingere anche di aver in petto un cuore di vescovo, anzi di tutti i vescovi”. Si trovò dalla parte dell’intransigentismo, ma ci fu qualcuno che seminò in lui quello spirito di tolleranza e di cordialità che avrebbe poi prodotto una mèsse lussureggiante nell’ Oriente, in Francia, e sulla Cattedra di Pietro. Egli proseguiva: “Ebbene, Mons. Bonomelli si è protestato di non voler firmare — noto che egli non sapeva, credo, chi fosse l’autore — e non firmò: e fu fortuna che nessuno degli avversari se n’è accorto. Ella veda, a testa posata, se l’impianto fu infelice, o se vi fu esagerazione e dove. Confesso che questo incidente ha turbato un poco la mia ingenuità, quantunque io sappia che la lettera a

Roma incontrò approvazioni’

a) L’abiura del Comm. XC***

In primo luogo ricostruisco due dialoghi diretti e personali che hanno come piattaforma la realtà massonica, poi mi porterò su documentazioni più vaste e in parte più indirette. Il Nunzio

Roncalli nel 1946 s’ imbatté esplicitamente nella realtà massonica, nel rapporto stabilito con il Comm. XC*** un personaggio italiano che aveva relazioni di alto livello a Roma e nella Parigi in cui il Nunzio operava. L’episodio viene reso noto per la prima volta in queste pagine. L’abituale cordialità del prelato contrassegnò anche quest’ amicizia, l’ appartenenza massonica dell’interlocutore non la turbò, ma agli occhi del Nunzio essa appariva come un’ anomalia che era doveroso eliminare, per cui compì passi decisivi ordinati a raggiungere questo scopo. Il 21 marzo 1946 il Commendatore gli scriveva:

“Eccellenza Reverendissima, Come ho avuto occasione di dirLe stamani, Sua Santità il Sommo Pontefice conosce quale sia il mio spirito religioso, profondamentc cristiano e cattolico. Questo spirito, cui ho costantemente informato la mia vita e le mie azioni, tengo a confermarlo anche ora. nonostante io sia stato inscritto alla Massoneria molti anni fa, e mi sia reinscritto nel 1944, poiché il Gran Maestro dell’ Ordine garantiva agli inscritti piena e assoluta libertà religiosa. Grato per la Sua ambita visita, di cui avrò il ricordo sempre, La prego, Eccellenza, di gradire gli atti del mio profondo e devoto ossequio e di dirmi, dell’Ecc.za V. devotissimo e obbligatissimo, XC***”

Il dialogo proseguì e si approfondì. Il prelato bergamasco seguiva fedelmente la tradizione e la prassi ecclesiale dell’epoca, stabilita nel Codice di diritto canonico del 1917, che nel can. 2335 comminava la scomunica “simpliciter reservata” a coloro che davano il nome ad una sètta massonica che macchina contro la Chiesa e le legittime autorità civili. Un cattolico di vita esemplare, che frequentava la nunziatura ed i ministeri, a suo modo di vedere avrebbe fatto bene ad eliminare quella macchia. Il Commendatore si mostrò sensibile ai suggerimenti del rappresentante pontificio e maturò la decisione di abbandonare la Loggia. La dichiarazione che egli firmò e che il Nunzio controfirmò, porta la data del 7 giugno 1946. La terminologia usata è quella normale  dell’epoca: esprime una disapprovazione che risente della polemica antimassonica solidamente st abilizzatasi nella Chiesa. Questo tipo di contrapposizione da molto tempo è stata superata nel mondo anglosassone, mentre è persistita nell’ ambito concreto delle situazioni venutesi a creare nei paesi latino-cattolici. Il testo dcll ‘abiura ricalca gli atti omologhi effettuati in rapporto alle confessioni religiose acattoliche, mentre il personaggio non poteva ignorare che la Massoneria non può essere annoverata tra di esse, ma rcsta nell’ambito socioculturale e mantiene le caratteristiche dell’associazione umanitaria, filosofica e morale. Egli rigetta i contenuti dell’ appartenenza iniziatica. senza menzionarne nessuno, perché gli abusi riguardavano soltanto l’opera svolta all’esterno della Loggia, in relazione al Risorgimento e soprattutto al post-Risorgimento, e non intaccavano l’essenza dell’Ordine. Il personaggio infatti si riferisce alla pena canonica oggettiva, nella quale sa di essere incorso, come anche il Nunzio gli ha ricordato. Il testo dice:

“Parigi, 7 giugno 1946. Il sottoscritto Comm. XC*** ben conosciuto da Sua Ecc. Monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, Nunzio Apostolico in Francia, confessa di essere stato inscritto per parecchi anni alla sètta massonica e di avervi aderito più per circostanze locali di posizione personale che per avversione al sentimento religioso, che ha sempre coltivato nel cuore secondo la educazione cristiana riccvuta. Dopo maturo consiglio, toccato dalla grazia del Signore, dichiara di ritrattare — abiurando alla sètta — qualunque errore in essa professato in contraddizione alla dottrina cattolica apostolica, romana, in cui intende vivere e morire. Dichiara di separarsi da qualunque partecipazione alla sètta medesima. Chiede umilmente perdono al Signore ed alla S. Chiesa l’assoluzione da ogni censura incorsa, in tutto secondo le disposizioni ecclesiastiche rispettive”.

Nel diario del Nunzio ci sono due annotazioni: la prima è del 24 marzo 1946: “Così pure

vidi il Comm. che mi parlò della sua Massoneria”; la seconda è del 7 giugno dello stesso anno, e si riferisce all e atto dell’ abiura appena riportato, che viene indicata col termine più mite di rinunzia: “Visitai poi il Comm. XC*** recandogli e ottenendo la firma della sua rinunzia alla sètta massonica”. Questo episodio segna il punto di maggiore distanza tra Papa Giovanni e la Massoneria

b) La concordia con la scelta del barone Marsaudon

Il fatto è già noto. lo ha rivelato in diverse occasioni il suo stesso protagonista, il barone Yves Marsaudon, nella storia del suo itinerario iniziatico ( I l . Il nobil’uomo riproduce il testo di un’intervista da lui rilasciata l’anno precedente a Jean André Faucher per il Jouvénal. ln essa era detto:

“Ero Inolto legato a Mons. Roncalli. Mi ha ricevuto più volte alla Nunziatura, e in diverse occasioni è venuto nel mio domicilio di Bellevue, nella Scine-et-Oise. Quando sono stato nominato ministro dell’Ordine di Malta ho manifestato al Nunzio le mie perplessità a causa della mia appartenenza massonica. Mons. Roncalli mi ha consigliato formalmente di restare in Massoneria. (Dopo l’elevazione al pontificato) mi ha ricevuto a Castel Gandolfo nella mia qualità di ministro emerito dell’Ordine di Malta, e mi ha dato la sua benedizione, rinnovandomi il suo incoraggiamento per un’opera di riavvicinamento tra le Chiese, come pure tra la Chiesa e la Massoneria di Tradizione… Le confidenze che ho ricevuto dal buon Papa Giovanni non mi permettevano di dubitare della sua sincerità, difatti la seconda sessione del Concilio si è conclusa in uno spirito profondamente ecumenico. La speranza è stata immensa in tutto il mondo cattolico”.

L’importanza di questo passo non può sfuggire. Essendomene già occupato in altra sede, mi limito all’essenziale. Papa Giovanni prese coscienza della differenza esistente tra Massoneria regolare e Massoneria irregolare, che nella letteratura ecclesiastica è sempre stata rigettala sdegnosamente. Ho domandato informazioni più precise a Mons. Capovilla, il quale mi ha trascritto un brano della lettera inviatagli dall’arcivescovo Mons. Bruno Heim, già Nunzio apostolico e segretario del Nunzio Roncalli a Parigi, attualmente residente in Svizzera. Questo prelato scrive: “Il  barone Marsaudon era membro del Consiglio Supremo a vita di una loggia di Rito Scozzese; cra direttore di una compagnia di navigazione, andava a Messa tutte le domeniche. E stato messo a contatto con la Nunziatura dal P. Joseph Berteloot SJ, autore di vari libri sulla Massoneria, che ha riconciliato molti massoni con la Chiesa. Il Marsaudon ha reso molti servigi alla Nunziatura, senza mai chiedere nulla, ammetteva a metà prezzo tutti gli emigranti raccomandati da noi. Non so se il Nunzio sia stato più volte a casa sua. una volta comunque lo ha accompagnato. Marsaudon era ministro dell’Ordine di Malta e ne stava ottenendo il riconoscimento da parte del governo francese’ La S. Sede in quegli anni portò avanti un’indagine sull’Ordine per chiarire alcune questioni. Il barone “chiese al Nunzio se gli consigliava di dimettersi dalla sua carica massonica. Il Nunzio avrebbe risposto: Per il momento direi di no, perché era evidente che poteva esercitare un’influenza positiva. Penso che fosse la risposta giusta in quel momento””‘

Tra i due episodi c’è una netta diversificazione. Si sa bene quanto Papa Giovanni s’ impegnasse nella riflessione storiografica, anche se non abbiamo argomenti sufficientemente impegnativi per comprendere se ne abbia fatto in relazionc a questo tema specifico, cosa che, allo stato attuale delle ricerche, sembra da escludere, mentre è certo che lo fece nel 1962, come vedremo al paragrafo n. 4.

2. – I rapporti con l’Unesco

Negli anni della nuziatura parigina mi sembrano degne di nota alcune affermazioni espli-

cite e circostanziate presenti nei discorsi che Mons. Roncalli rivolse all’Unesco. Egli non era un Improvvisatore, e non poteva ignorare il collegamento esistente tra lo spirito del Palazzo di Vetro e delle sue branche installate in diverse località, tra cui Parigi, e quello della Società delle Nazioni ginevrina, alla quale è succeduto e dalla quale ha ricevuto l’eredità politica e carismatica. La SdN, lo si sa. fu fondata dal Congresso delle Massonerie Alleate, profondamente preoccupate per l’umanità della guerra ancora in corso e di tutte le guerre, che esse si proponevano di cancellare dalla storia dell’umanità, alla luce delle ideologie dalle quali la Massoneria prendeva ispirazione e che gradatamente si è imparato, anchc tra i cattolici, a giudicarle come discendenti dal Vangelo delle Beatitudini: Giovanni Paolo II l’ha affermato esplicitamente nel corso del viaggio in Francia del 1980 ed in quello del 1996, rispettivamente alla presenza del presidente Mitterrand c del capo del governo Juppé. Il Congresso ebbe due sessioni. nei mesi di gennaio e di giugno del 1 917; in concreto erano ordinate a festeggiare il secondo centenario della fondazione della Massoneria simbolica o moderna, ma a lungo termine si proponevano la promozione universale della pace. Ognuno converrà sul fatto che è molto improbabile che nelle conversazioni col Comm. XC*** e col Marsaudon, come pure in quelle scambiate coi governanti. i funzionari e gli intellettuali francesi molti dei quali professavano apertamente laicismo e massonismo (e su di essi bisognerebbe indagare monograficamente), non siano stati toccati gli argomenti relativi al messaggio iniziatico che sta nella filigrana di questi organismi supernazionali sempre più stimati dalla S. Sede, che stabilì con essi rapporti diplomatici: questo dà anche molta rilevanza alle riserve ed alla diffusa diffidenza che esprimerà in seguito. Un fatto è indiscutibile: in questi discorsi il Nunzio Roncalli accentua la tematica della tolleranza religiosa e della valutazione positiva delle confessioni non-cristiane, un argomento che nelle Logge era costituzionalmente stabilito fin dalla loro

fondazione, avvenuta nel giorno di S. Giovanni Battista del 1717. mentre nella Chiesa avrebbe avuto piena cittadinanza solo nel Concilio Vaticano II. Trovo difficile pensare che non se ne sentisse in qualche modo al corrente. Mi limito a riportare alcune schede toltc dal volume dei suoi ricordi parioini

Il 18 giugno 1951 nella chiesa di St. Pierre de Chaillot veniva celebrata una Messa per l’apertura del Congresso dell’Unesco. Nell’omelia il Nunzio disse:

“Ho constatato che tra i settanta rappresentanti diplomatici, di cui solo trenta sono cattolici. i più sensibili alle parole del Nunzio apostolico a proposito dell’ispirazione religiosa sono gli ambasciatori presso i quali prevale una tradizione religiosa buddista. confuciana e maomettana. Ci sono alcuni principi elementari di carattere morale e religioso che costituiscono il patrimonio primordiale di tutti i popoli e sui quali si presuppone un’intesa condivisa su una base inevitabile di vita comune, per riuscire a oiungcre alla costruzione di un vero ordine sociale c mondiale di giustizia e di pace… L’Unesco non si occupa direttamente (di temi religiosi)… Il cattolico che lavora con l’Uncsco e nell’Unesco. con questo minimo di prudenza e di discrezione suggeritogli dalla carità cristiana, col massimo rispetto della libertà e del pensiero altrui, ne attinge luce e vigore per dare il suo prezioso contributo al successo finale degli sforzi comuni” (pp. 102-103).

Nel prosieguo dell’omelia il Nunzio commentò il discorso di S. Paolo all’ Areopago, accentuando un’altra tematica prediletta dalla Massoneria. cioè il riferimcnto al magistero della creazione (Dio indicato con l’attributo di Grande Architetto dell’Universo) e della fede anonima ed inconscia espressa dalla dedica del tempio al Dio ignoto (il mistero inconoscibile, ma esplicitamente professato). L’undici luglio 1951 Mons. Roncalli pronunciò un intervento alla conferenza generale dell’Unesco. dell’istituzione  auspicò “la più larga cooperazione ai fini della giustizia, della libertà e della pace per tutti i popoli della terra. senza distinzione di razza, di lingua o di religione”. Ribadiva ulteriormente e con forza quest’ atTermanone:

“Sì. senza distinzionc di razza, di lingua. di religione. Se sottolineo questa posizione netta dell’Unesco. contenuta nell’ atto costitutivo firmato a Londra nel 1945…, non è per ignorare o sottovalutare i valori razziali. letterari o religiosi di ogni popolo. Al contrario, è per postulare che essi vengano sempre tenuti in grande considerazione. L’Uncsco vuol essere — diciamolo ben forte una grande scuola di rispetto: ma come tale non dev’essere né cieca né sorda nei confronti dei valori fondamentali della psicologia di ciascun popolo, e cioè del sentimento nazionale e dello spirito religioso” (pp. 05-106).

Collegò l’opera dell’istituzione parigina con quella del Palazzo di Vetro. insistendo sulla prolnozione della pace e dell’educazione di base. ed affrontò il tema dell’attività missionaria cattolica, che apparentemente contraddice le istanze che il prelato era venuto esponendo. Citò un brano dell’enciclia Evangelii praecones, che Pio XII aveva promulgalo pochi giorni prima, il 2 giugno 1951, e che era dedicato direttamente all’ argomento: “‘La Chiesa non si comporta come colui che, senza rispettare nulla. abbatte una forestra lussureggiante, la saccheggia e la manda in rovina. Ella imita piuttosto il giardiniere che innesta un Ùermoglio di qualità su una pianta viva affinché produca un giomo frutti più saporiti e più dolci”

Un terzo intervento fu pronunciato il 12 novembre 1952, nella stessa chiesa di Chaillot. per l’inaugurazione dei lavori annuali dell’istituzione. Il motivo dominante fu espresso nella parola d’ordine dobbiamo vivere nella corrente della storia! Postulava la piena accettazione del progresso tecnologico e scientifico, pronwsso fervidamente dalla Chiesa. “l cattolici. diceva. sono abituati fin dall’infanzia a considerare tutti gli uomini come creature di Dio redente dal Cristo e chiamate ad un destino eterno, quale che sia la loro religione, la loro nazione, il colore della loro pelle; pregano per essi, li amano; non esiste nessun gruppo umano che più della Chiesa abbia disposizioni tanto favorevoli, larghe e profonde in ordine ad un’ intesa internazionale” (p. I l l).

La vocazione dei cattolici si collega intimamente con quella dei laici: tutti gli uomini di buona volontà condividono la vocazione che Gesù ha espresso nel discorso della montagna: “Voi siete la luce del mondo, il sale della terra. Al di là di tutti i trionfi della scienza umana splende il Vangelo di Cristo, che contiene gli elementi della civilizzazione…”. Nella ricerca delle vie pratiche e dei metodi più svariatl, realizzata dall’Unesco, “il cattolico porterà col concorso dei suoi consigli e della sua attività pratica, questa saggezza, questo vigore, questa stagionatura, in una parola, il sale della terra che mantiene la vivacità, il sapore, che preserva dalla corruzione, ed assicura la perpetuità e la squisita bontà del successo” (pp. 112, 113).

3. – Le presunte iniziazioni massoniche di Papa Giovanni

Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. L’ accusa di iscrizione massonica da molto tempo è stata lanciata contro dignitari ecclesiastici, con l’intento di infangarli, nell’epoca in cui tale iscrizionc veniva considerata un bollo d’infamia. Il caso più clamoroso è quello di Pio IX: si voleva scoraggiare la stagione liberale che egli aveva inaugurato liberando i prigionieri politici dello Stato Pontificio ed annunciando un pontificato aperto alla cultura, ai valori ed alle aspirazioni delle masse. L’iniziazione fu localizzata in tempi e luoghi diversi, ed ovviamente l’una elideva l’altra, perché in Massoneria non può essercene che una sola, come accade per l’iniziazione cristiana del battesimo. Tutto era chiaramente inventato La cosa è stata presto dimenticata, come è accaduto anche per le presunte iniziazioni massoniche di Giovanni XXIII.

a) “Le profezie di Papa Giovanni

Nel 1976 Pier Carpi, uno scrittore parmense di storia e di fumetti neri, regista di un film su Cagliostro e di uno ‘tratto dal suo stesso romanzo Un povero Cristo, pubblicò un libro intitolato Le profezie di Papa Giovanni che sta tra il saggio e la fiction. Mi sono meravigliato di quest’ultima pubblicazione, perché per esperienza diretta lo ritengo persona retta e coscienziosa. Egli è stato iscritto alla Massoneria, e l’area che ha scelto per implicare Papa Giovanni, ignoro se “motu propno’ oppure fondandosi su fonti altrui. è senza dubbio la più affine alla tematica del caso. Infatti questa associazione, della quale la Massoneria moderna ha assimilato il messaggio condensandolo nel XVIII grado del Rito Scozzese Antico e Accettato, presenta l’aspetto più “cattolico” di tutte le tradizioni iniziatiche. Senonché l’implicazione di Mons. Roncalli non ha alcun fondamento. L’autore a diverse affermazioni molto gravi, puntualmente smentite dai fatti e dai testimoni. Scrive che all’epoca della permanenza nei Balcani Mons. Roncalli nel 1935, in una loggia di Istanbul accedette all’iniziazione della socictà segreta dei Rosa+Croce. Il XVIII grado della Massoneria moderna si riallaccia ad essa: è interamente fondato sul concetto che la passione e la morte del Cristo (la croce) sono inseparabili dalla sua risurrezione (la rosa piantata all’intersecazione dei due bracci), l’agape del Giovedì Santo e l’Ultima Cena fanno parte dell’iniziazione, le virtù teologali ne costituiscono la piattaforma e sono intimamente connesse col trinomio libertà, uguaglianza, fraternità, gli ornamenti, le catechesi. le insegne. i gesti compiuti sono inquadrati in questo iter che si propone di coniugare la mistica con la sociologia. il saluto-auspicio finale è mutuato dalla liturgia cattolica: l:’ax vobiscum.

Mons. Capovilla intervenne ripetutamente per smentire quest’ affermazione. Nell’Osservatore romano del 15-16 novembre 1976, p. 2, veniva pubblicata la dichiarazione che il prelato aveva reso all’ agenzia Asca, denunciando i criteri interni ed il lessico dell’opera, e documentando che “sulla scorta dell’ Agenda, per fortuna conservata del Registro delle Messe del Delegato apostolico in Bulgaria, e poi in Turchia ed in Grecia, posso facilinente ricostruire, giorno dopo giorno, l’intero calendario del 1 935, anno da cui prende Ic mosse il racconto del Carpi. Da questo Registro si desumono i nomi di tutte le persone avvicinate, dei luoghi visitati, degli incontri religiosi e pastorali, culturali e protocollari presieduti o presenziati”. Il Carpi indica poi come luogo dell’iniziazione, o forse dell’aumento di grado, la città di Mesembria, che è invece quella, da secoli scomparsa. il cui titolo era stato attribuito a Mons. Roncalli all’ atto della sua consacrazione episcopale.

Mons Capovilla, allora prelato del Santuario di Loreto, ricorda che il 6 dicembre 1961 Papa Giovanni “rinvenendo tra i moltissimi messaggi di augurio giuntigli a seguito della grave crisi che aveva messo in pericolo la sua vita a fine novembre, il telegramma di una Loggia Massonica. segnalò di sua mano questo criterio alla Segreteria di Stato: Complimenti cortesi, si ringrazino. Ma niente compromissioni con Massoneria e simili. Appare qui evidente quanto egli fosse tutt’altro che incline a facili accostamenti, persistendo pur sempre le gravi riserve circa la natura, i metodi e i fini delle società segrete”.

Il 23 dicembre del medesimo 1976 Mons. Capovilla pubblicava nell ‘ Osservatore romano (p. 2) un bilancio globale della questione diviso nove punti, che riassumo schematicamente:

l : L’insistenza su questa iniziazione offende la memoria del Pontefice. – 2: L’intervento pre cedente. pubblicato nell’Ossenatore romano, costituiva da parte mia uno stretto dovere, anche come esecutore testamentario del Pontefice. – 3: Ribadendo i dettagli non rispondenti al vero, si effettua una calunnia nel confronti dell’augusto defunto. – 4: Si afferma che Papa Giovanni prese come nome Johannes e si dànno circostanze inventate. Un rappresentante pontificio non sarebbc mai caduto in una incongruenza così madornale rispetto al dispositivo del Codice di diritto canonico. – 5: Si chiariscono ulteriormente i contenuti del can. 2335 del Codice di diritto canonico. – 6: I testi addotti come ‘”profezie” non trovano nessun riscontro nelle opere di Papa Giovanni, cioè: Giornale dell’anima, Lettere ai familiari, e Discorsi, messaggi colloqui. pubblicati in più volumi. 7: I registri e i diari della Delegazione apostolica consentono di ricostruire tutto il calendario del 1935; testimoni giunti dalla Turchia sono in grado di documentare l’infondatezza di tutta la vicenda. – 8: La dizione precisa del titolo di Mons. Roncalli, dopo il ministero svolto in Bulgaria è: Delegato apostolico in Turchia e Grecia, arcivescovo titolare di Mesembria, amministratore apostolico dei cattolici di rito latino residenti a Istanbul. – 9: Lo stile profetico di Papa Giovanni è questo: “Terra e cielo saranno rinnovati, ciò è ben sicuro, ma occorrerà anzitutto il trionfo della giustizia, ottenuto con la nostra vita immacolata e intatta, e con l’educazione di un grande spirito di pace tra noi. Oh, che grazia, lo spirito di pace tra noi

L’8 luglio dell’ anno scorso il Gran Segretario della Gran Loggia d’Argentina, Alberto M. Pelàez. inviava al suo pari grado di Pal. Giustiniani. Giuseppe Malignano Stuart, il testo di una Preghiera dei massoni (nell’ originale: Oraçâo aos Maçons rezada pelo Papa Joao XXIII) attribuita a Papa Giovanni, pubblicata nel Journal de Génève il 6 9-1966 e riportata dal Jornal do Brazil il 31-3-1981. Il G. M., avv. Virgilio Gaito, mi domandava un parere che mi affrettai a dare in senso assolutamente negativo, domandando nel contempo ulteriori lumi a Mons. Capovilla. La falsità del documento salta immediatamente agli occhi: l’orante non dimostra alcuna dimestichezza non dico con la teologia cattolica, ma nemmeno coi primi elementi della dottrina cristiana. Dal punto di vista massonico la falsità è altrettanto evidente: non si dà nessun riferimento di cancelleria vaticana (c questo lo si comprende) o di Loggia (e questo è inammissibile), non c’è nessuna data. firma, od altra identificazione, si fanno affermazioni inimmaginabili, come è il caso della sqL1adra e del compasso sostituiti al crocifisso, si manifesta il grossolano anacronismo del Concilio, che all’epoca in cui Papa Giovanni moriva non si era occupato dell’ argomento chiamato in causa, ricordato comunque in termini assurdi. Il nome della Loggia d’origine è addirittura sgrammaticato, con singolare e plurale equivocati e scritti a grandi lettere gotiche: As Grande Lojas de Santa Catarina. L’attribuzione di “Grande Loggia” compete solo al territorio nazionale e non ad uno Stato federale o ad una regione. ln ogni nazione non può essercene che una sola. e generalmente è nella capitale: i massonologi sanno bene tutto questo. Tutto è artificioso e grossolanamente inventato: sembra di essere tornati ai tempi della mistificazione ottocentesca di Taxil, Margiotta, Rosen, Bataille ed infausta coinpagnia. Il testo della preghiera recita:

“Signore e Grande Architetto dell’Universo, noi ci umiliamo ai tuoi piedi e invochiamo il tuo perdono, per l’eresia che nel corso dei secoli c’ impedì di riconoscere nei nostri fratelli massoni i tuoi seguaci prediletti. Abbiamo sempre lottato contro il libero pensiero perché ancora non avevamo capito che il primo dovere di una religione, come ha atTermato il Concilio, consistc nel riconoscere persino il diritto di non credere in Dio. Stoltamente abbiamo accreditato l’idea che un simbolo della Croce potesse essere superiore ai tre punti che figurano una piramide. Di tutto questo ci pentiamo, Signore, e con il tuo perdono ti chiediamo che ci faccia sentire che un compasso sopra un nuovo altare può significare tanto quanto i vecchi croci-

4. – L ‘appunto sulla “condanna della Massoneria ” (1962)

Tra le carte inedite di Papa Giovanni c’è un appunto autografo intitolalo Condanna della

Massoneria, pubblicato nell’appendice n, 115 (pp. 564-565) delle Lettere 1958-1963, edite a cura di Mons. Capovilla presso le Edizioni di Storia e Letteratura (Roma. 1978, pp. 609). Il testo dallo stesso Pontefice è datato 1962 c segue di poco la pubblicazione degli Atti del Sinodo Romano celebrato per suo ordine e che nell’art. 247 rinnovava le condanne espresse dalla S. Sede contro la Massoneria . I commentatori sono concordi nell’affermare che si trattava di un Pronunciamento emesso come spinta d’inerzia rispetto alla letteratura ecclesiastica antecedente. Il P. Caprile in un’opera largamente accolta dall’ecclesialità italiana scrive: “Strettmnente parlando non si tratta di un atto universale, essendo un documento relativo alla sola diocesi di Roma c sancito dal Papa in quanto vescovo dell’Urbe. Indubbiamente però esso ha notevole valore perché rispecchia,meglio di qualsiasi altra cosa, l’orientamento de] Vaticano e del Papa stesso a quell ‘epoca”

Il documento del 1962 presenta un•elencazione dei documenti pontifici avversi alla Massoneria tratta dal IV volume del Dicrionnaire Apologétique de la foi chrétienne di Aléxandre D’Alès (Parigi, 4 voli., 191 1-1928, colonne 1129-1928). Il sottotitolo, scritto anche nel retro del foglio per due volte, in nero ed in rosso, dice: Condanne papali della Massoneria. Il testo integrale è il seguente:

“In meno di due secoli nove papi hanno pronunciato condanne solenni.

Clernente XII, 4 maggio (sic: 28 aprile) 1738. Encic(lica) In eminenti. Sotto parvenze di probità naturali. legami sospetti. Segno di perversione l’appartenervi. Nemici della sicurezza pubblica, già proscritti dai principi. Infatti fu proscritta dai magistrati protestanti di Olanda. 1 735; di Amburgo, di Svezia e di Ginevra nel 1738, di Zurigo 1740, di Berna 1743. Purc proibita in Spagna. Portogallo, Italia dopo la parola di Clemente XII.

Benedetto XIV, 18 maggio 1751. Lettera (enciclica) Providas. Confermato il documento di

Clemente XII. Riprovato il naturalismo. il segreto, le tendenze rivoluzionarie della M. Clemente XIII e Pio VI. Bolla Inscrutabili divinae sapientiae, 1775, contro il filosofismo, le distruzioni rivoluzionarie, però senza parlare della M.

Pio VII. 13 settembre 1821. Bolla Ecclesiam a Jesu Christo.• sèlte segrete causa dei rovesci dell’Europa: ipocrisia dei carbonari che fingevano grande zelo per la Chiesa di Cristo.

Leone XII, 13 marzo 1826. Bolla Quo graviora: riproduce le tre bolle antecedenti, segnala le rovine nel campo degli studi con maestri di perdizione. Esorta i principi contro i cospiratori non meno nemici del trono e dell’altare. Prega tutti di fuggirc uomini che sono tenebre della luce, luce delle tenebre.

Pio VIII. 24 maggio 1829. Encicl. Traditi humiliati nostrae. Richiama le parole degli antecessori. La formazione di giovani, di cui secondo san Leone Magno, la menzogna è la loro regola, Satana il loro Dio, la turpitudine il loro sacrificio.

Gregorio XVI, 15 agosto 1832. Enciclica Mirari vos: compara le società segrete ad una cloaca dove tutto si confonde quanto vi ebbe di sacrilego, di infame. di bestemmiatore nelle varie sètte ed eresie.

Pio IX. Cinque volte. Fra l’ altro (allocuzione ai vescovi del 9 dicembre 1854): “Essi immaginano un diritto, che non ha alcun limite e che si attribuisce allo stato, che sarebbe la fonte e l’origine di ogni altro diritto”- Altrove (lettera Ex epistola, in occasione dei funerali dcl maresciallo Magnon; sic Magnan): “Queste sette coalizzate formano la Sinagoga di Satana”. E altrove: “Possedendo in loro mani la forza e l’autorità. le volgono audacemente (contro) la Chiesa di Dio al più duro servaggio. Vorrebbero. se fosse possibile, farla sparire dall’universo.

Leone XIII. In tutti i suoi atti, ma specialmente nella enciclica Humanum genus, 20 aprile 1884: soprattutto qui e altrove, Leone XIII batte il segreto per cui la M. diviene indip(endente) dalla Chiesa e dallo Stato (cfr.

Dizionario Apologetico di D’ Alès, 95-131 )”

Non è il caso di ilnpo.stare un discorso di aggiornamento e rettifica, che comunque riguarderebbe unicamente il D’ Alès. già allora largamente invecchiato. Sarà sufficiente ricordare che la statistica dei documenti pontifici contro la Massoneria si aggira sulle tremila unità, per Pio IX nell’opera più volte citata, ho elencato 150 documenti di condanna, senza tener conto dello sciame di corrispondenze che li accolnpagnarono, e che presurnibilrnente faranno moltiplicare per IO questa cifra. Per Leone XIII sono giunto al repertorio di 2046 documenti, ma vedo che più ne cerco più ne trovo. Andrebbe ristabilita la distinzione tra Massoneria e Carboneria e, per quanto riguarda la prima, il termine rivoluzione dev’essere sostituito con quello di riforme, aggiornamento delle legislazioni, cioè promozione del trapasso dagli Stati assoluti a quelli democratici. Tanto la Carboneria che la Giovane Italia furono istituite proprio perché la Massoneria costituzionalmente rifugge dall’attività politica, ma postula solo quella di animazione culturale c non-violenta. ln questo senso s’ impone l’obbligo di segnare nella letteratura pontificia il punto di displuvio tra quello che i Sommi Pontefici affermano in quanto pastori della Chiesa e ciò che insegnano e legiferano in quanto sovrani temporali. Gli studi recenti hanno documentato sufficientemente questo cammino. Il punto è questo: Papa Giovanni si proponeva di aggiungere una nuova condanna a quelle pronunciate dai suoi predecessori? Se la prospettiva viene individualizzata al tema specifico, sembrerebbe di sì. se invece il discorso viene allargato all’impostazione generale del pensiero giovanneo, la risposta e decisamente negativa. Molti sono infatti i punti d’orientamento espressi nell’autografo che contraddicono lo spirito dialogico di Papa Giovanni.

Uno dei problemi più scottanti è nell’accusa di lotta contro il Potere Temporale, che Pio IX e Leone XIII attribuiscono alla Massoneria, quando ormai è accertato documentariamente

che risponde certamente al vero il fatto che il massone Garibaldi tentò più volte la conquista di Roma, ma non poté contare su una Massoneria che praticamente in Italia non esisteva ancora, essendo stato il Grande Oriente ristabilito appena nel 1859 dopo l’eclissi risalente al 1814 e dilaniato da gravi dispute, con tre Gr. O. (Torino, Napoli, Palermo) tra loro discordi. Altrettanto cetto è che la Massoneria che veramente contava, cioè quella francese, di conserto con la Chiesa di quella nazione, impostò il corpo di spedizione che combatté contro la Repubblica Romana e lo stesso Garibaldi, e restituì Roma e gli Stati Pontifici al Papa e poi li presidiò fino al momento in cui Napoleone III, avendo dichiarato guerra alla Prussia, sentì il bisogno di disporre di questo manipolo perfettamente equipaggiato ed addestrato, e lo richiamò in Francia. Quando questi militari, il 4 agosto 1870, s’ imbarcarono a Civitavecchia, il governo italiano sentì di avere via libera, non tenne nessun conto della Convenzione stipulata con Napoleone III nel 1864, ed organizzò la spedizione culminata nella Breccia di Porta Pia. L’estremo ed insormontabile baluardo del Papa era stata la Massoneria collegata più o meno esplicitamente con la Chiesa di Francia (12,

Restiamo nella concretezza specifica. Giovanni XXIII non ha proceduto ad un atto di condanna; francamente il suo spirito non rendeva proponibile un fatto del genere. In questa prospettiva si colloca la testimonianza esplicita di Mons. Capovilla, che nella corrispondenza scambiata con me ha confermato ciò che nel 1979 aveva detto al P. Caprile per la prima edizione del lavoro edito in collaborazione col confratello Josè Antonio Ferrer Benimeli: ‘Non credo che intendesse procedere a una nuova condanna; ma desiderava conoscere a fondo la questione. Pensava certo al caute da ribadire nei contatti e in eventuali ‘negoziati’ ‘ (Op. cit., v. bibl., p. 61).

Credo che tutto il discorso qui fatto trovi una sintesi per il passato ed una valida prospettiva per il futuro nel magistero universale di Papa Giovanni e nella formulazione inequivocabile dell’enciclica Pacem in terris. A questo proposito bisogna tener conto della cronologia. Questa enciclica porta la data dell’I l aprile 1963, il Pontefice spirerà nella serata del 3 giugno dello stesso anno. Come si fa a non considerare uno dei più incantevoli documenti del Pontificato Romano di tutti i tempi, come un atto testamentario? Nell’enciclica si legge, o meglio. si stabilisce:

“Le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse, mentre i movimenti suddetti, agendo nelle situazioni storiche, incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi, e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti, anche profondi… Pertanto può verificarsi che un avvicinamento o un incontro, ieri ritenuto inopportuno o infecondo, oggi invece lo sia, lo possa divenire domani” (n. 55).

Quand’è che questo “oggi” s’è verificato per effettuare la svolta cattolico-massonica, passando dalle ostilità al dialogo? A chi compete una decisione di questo genere? Il Pontefice dà la risposta in questa stessa pagina:

“Da parte dei cattolici tale decisione spetta in primo luogo a coloro che vivono ed operano nei settori specifici in cui quei problemi si pongono, sempre tuttavia d’accordo con i principi del diritto naturale, con la dottrina della Chiesa, e con le direttive dell’autorità ecclesiastica’ (Ivi).

A Parigi il Nunzio Roncalli applicò questa dottrina coi massoni diretti e quelli indiretti, profondamente legati alla fede in Dio e nell’immortalità dell’anima; in seguito accolse paternamente anche gli atei militanti — come il genero di Krusciov, il giornalista Agiubei — che proveniva dal mondo slavo in cui egli aveva operato nella sua prima missione diplomatica.

5. – Conclusione

Il rapporto tra Papa Giovanni e la Massoneria può essere delineato in tre momenti non cronologici, ma tematici, definiti in termini abbastanza chiari:

l) Rifiuto. Ha la sua espressione di maggiore rilievo nel rapporto stabilito col Comm. XC***, ricostruito nel paragrafo n. 1-a). Una certa diffidenza credo non sia mai scomparsa dall’orizzonte giovanneo. La cautela postulata nell ‘ appunto sulle “Condanne papali della Massoneria”, autorevolmente commentata da Mons Capovilla (cfr. nota 10) ritengo di poterla riportare a questa categoria

  • Tolleranza. È evidente nel rapporto col barone Marsaudon. Il richiamo alla benevolenza nutrita nei confronti di tutte le componenti della società rientra in questo settore; se si tiene nel dovuto conto l’accoglienza riservata ai rappresentanti dell’ ateismo comunista, questa benevolenza raggiunge un coefficiente estremamente elevato, perché la Massoneria costituzionalmente professa fede in Dio e nell’immortalità dell’anima, perciò è composta esclusivamente e tassativamente di credenti. Per quanto è possibile ragionare sulla documentazione finora disponibile, mi sembra lecito dubitare che questa constatazione nella Chiesa sia stata effettuata durante il pontificato giovanneo.
  • Concordia implicita. In attesa di studi che rilevino in molti documenti pontifici una ipotizzabile colleganza tra Chiesa e Massoneria. mi sembra legittimo additarla nei discorsi che il Nunzio Roncalli rivolse ai membri dell’Unesco a Parigi. Alla luce di questo patrimonio si potrà “leggere” tutto il messaggio giovanneo.
  • Il connubio ebraico-massonico. Un’adeguata attenzione dev’essere rivolta ad un argo mento di primaria importanza, cioè la svolta che Papa Giovanni nel 1959 realizzò nella vaIutazione dell’ebraismo, facendo eliminare

dalla liturgia I espressione “perfidi giudei”. E ben noto che nella polemica cattolica giudaismo e Massoneria sono stati considerati inscindibili e perciò accomunati nel giudizio e nell’esecrazione: questa parentela è innegabile, ma non nei termini iperbolici e scomposti voluti dalla polemica cattolica del passato. Essa dovrà essere sempre più esplicitata, e questo connubio renderà più praticabile il superamento dei tanti e gravi pregiudizi che ancora impediscono la riconciliazione esplicita della Chiesa con la Massoneria. E altrettanto noto che su questa linea il Concilio e la riflessione cattolica dopo Papa Giovanni hanno compiuto ulteriori passi molto impegnativi. Il magistero di Giovanni Paolo II in questo senso presenta una pregnanza straordinaria. Egli infatti collegò il proprio accostamento all ebraismo direttamente col mes saggio di Papa Giovanni: sarà sufficiente ricordare la visita che Papa Wojtyla compì nella Sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, nel corso della quale, com’è sua abitudine, non nascose la complessità della situazione:

“L’eredità che vorrei adesso raccogliere è quella di Papa Giovanni, il quale una volta, passando qui — come ha ricordato il Rabbino Capo (Elio Toaff) — fece fermare la macchina per benedire la folla di ebrei che uscivano da questo tempio. E vorrei raccogliere l’eredità in questo momento, trovandomi non più all ‘esterno, bensì grazie alla vostra generosa ospitalità, all’interno della Sinagoga. Questo incontro conclude in certo modo, dopo il pontificato di Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II, un lungo periodo sul quale occorre non stancarsi di riflettere per trarne gli opportuni insegnamentl

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ETICA MASSONICA E MEDICINA

Etica Massonica e Medicina

di Guido Valente, Enrtco Galletto, Roberto Navone

Fra le discipline scientifiche, la medicina occupa un posto particolare, poiché in essa rivestono eguale importanza l’aspetto puramente speculativo, comune alle altre branche della scienza, e l’impatto sull’uomo, inteso come persona sofferente o comunque bisognosa. Tutti coloro che, nella vita profana, svolgono la professione medica, hanno certamente più dimestichezza o comunque hanno più occasionc di occuparsi di questo secondo aspetto che non del primo. Questo lato umano della medicina è, di fatto, quello che pone quotidianamente di fronte a problemi etici talvolta sofferti e difficili da risolvere: il concetto di bioetica, pur possedendo connotati che vanno anche al di là della medicina, è nato da questo bisogno di rendere i due aspetti della medicina il più possibile compatibili fra loro. Dal momento che la Massoneria ha, fra i suoi obbiettivi irrinunciabili, il miglioramento dell’Umanità in generale, e di noi singoli in particolare, un confronto critico fra etica massonica ed etica medica appare particolarmente interessante. Non solo, ma il più antico documento di etica medica a noi pervenuto, il giuramento di Ippocrate, ha in sé un significato imziauco che per alcuni aspetti può ricordare l’iniziazione del profano alla vita massonica (vedi la tavola del F:. R. Navone “11 giuramento di Ippocrate”, pag. 47 del numero 39 di Delta, febbraio 1995).

Ma quali sono i fondamenti dell’etica massonica? Essi sono, in definitiva, sintetizzati nelle affermazioni rituali dei nostri lavori: lavorare al bene e al progresso della Patria e dell’Umanita; inoltre, nel rituale di iniziazione, compare anche il concetto di “dovere”. Trasferendo questi primi elementi sul piano della medicina, identifichiamo subito un caposaldo etico di primo ordine: il dovere non è ovviamente un concetto sostanzialmente diverso nella pratica medica rispetto a tante altre attività e professioni umane; è pacifico che chi è impegnato in un’attività abbia il dovere morale di svolgerla nel migliore dei modi. Tuttavia in medicina porsi un problema etico significa molto spesso prendere delle decisioni gravi e inappellabili.

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Ecco quindi che il problema diventa più articolato, e forse proprio l’analisi da un punto di vista massonico ci consente di metterlo a fuoco in maniera più soddisfacente. Affianchiamo, allora, alla parola chiave “dovere” quella di razionalità, poiché, come apprendemmo nel rituale di iniziazione, la morale “è una scienza che riposa sulla ragionc umana”. In questo modo sgombriamo il campo da impostazioni di pensiero dogmatiche, o più semplicemente sentimentalistiche che identifichino l’opera del medico regolata in gran parte da un impeto di altruismo. L’attività del medico, quindi, in senso massonico, dovrebbe seguire le leggi morali del dovere verso il prossimo, regolate dalla razionalità e dall ‘intelligenza.

Altro fondamento dell’etica massonica che può essere trasferito sul piano dell’attività medica è quello della solidarietà: anche la solidarietà deve essere regolata dalla razionalità e dall’intelligenza ma, a nostro avviso, va soprattutto intesa nel senso più lato di disponibilità. E giusto che questa sia rivolta ai malati ed ai loro familiari, ma non solo ad essi; occasioni di dimostrare la propria disponibilità si verificano anche nei confronti degli altri medici, degli operatori sanitari non medici, degli studenti. La disponibilità è quello spirito di servizio che ci spinge moralmente a operare, anche in momenti difficili, per il bene degli altri, oltre che per il miglioramento di noi stessi, c non può essere disgiunta dal senso di tolleranza che ci deve animare in tutti quei frangenti, e per i] medico sono tanti a tutti i livclli, in cui persone o situazioni pongono degli ostacoli.

Ci siamo attenuti sinora a dei concetti di base, dai quali si può evincere che la medicina, osservata dal punto di vista dell’etica massonica, non è altro che uno dei tanti strumenti con cui l’uomo si adopera per esercitare il bene. Tuttavia, nessuno dei concetti espressi è applicabile esclusivamente alla medicina. Addentrandoci in situazioni specifiche, è proprio la nostra esperienza massonica che ci deve indicare, volta per volta, i giusti comportamenti da adottare, così come in tutti gli accadimenti della vita profana. E qui che possiamo riscontrare le maggiori difficoltà: è sempre possibile conciliare la nostra aspirazione al bene e al progresso dell’Umanità con le varie sfacccttature della professione medica? In altre parole, dobbiamo considerare in ogni caso il progresso scientifico come un pro76

gresso dell’Uomo, così da impegnarci in talune forme di sperimentazione clinica o di manovre altamente tecnologiche, o non corriamo piuttosto il rischio di perdere di vista gli obiettivi primari di tale progresso? Vi sono anche altre possibili contraddizioni: basti pensare che uno dei momenti più alti della solidarietà esercitata in campo medico è quello di alleviare la sofferenza fisica, e questo aspetto è talvolta incompatibile con il proseguimento della vita stessa. La risposta a queste domande è anche in questo caso articolata: il progresso della scienza medica corrisponde al progresso dell’Uomo quando in ogni caso ne salvaguardi la dignità c quando rispetta le leggi dell’Umanità.

Potremmo concludere che etica massonica ed etica medica siano pienamcnte sovrapponibili. Certo, non abbiamo la presunzione di affermare che l’esperienza massonica sia indispensabile per comprcndere pienamente Ic linee guida della bioetica e per osservarne i contenuti; tuttavia, se davvero in tutti gli uomini liberi e intelligenti vi è una massonicità latente, ci sia consentito sperare che questa, magari inconsciamente, venga espressa in tutte le occasioni possibili.

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LA STELLLA DEL MASSONE

LA STELLA DEL MASSONE ERRANTE             di Roberta Belluati

In un testo taoista racconta Ciuang-Ze: “Sognai una notte di essere unafarfalla che volava contenta della sua sorte; poi mi svegliai ed ero Ciuang-Ze. Chi sono in realtà? Una farfalla che sogna di essere Ciuang-Ze, o CiuangZe che sogna di essere stato una farfalla? Ci sono nel mio caso due individui reali? O vi è stata trasformazione reale da un essere ad un altro? Né l’ una, né l’altra cosa: vi sono state due modificazioni irreali dell’ essere unico, della forma universale, nella quale tutti gli es seri, in tutti i loro stati sono Uno”.

Il sogno è quello stato che permette all ‘uomo di identificarsi con altri esseri ed essere contemporaneamente se stesso. Esso è in questo senso indicativo di un rapporto relazionale tra unità e molteplicità, attestando della presenza di queste due modalità all ‘interno dello stesso essere umano. I testi vedici (Mandujya Upanishad), nella considerazione degli stati molteplici caratterizzanti tale essere: veglia, sogno, sonno, descrivono quello di sogno come la condizione Taijasa (sscr.), letteralmente “luminosa”, in quanto definita dall’elemento igneo (sscr. Tejas), costituito dalla luce e dal calore. Queste componenti ignee hanno relativamente all ‘uomo il [oro corrispettivo rispettivamente nel sistema nervoso e nel sangue, in quanto canali conduttori delle energie vitali (sscr. Nadi) a livello sottile, psichico, dominio dell’anima. Essi costituiscono il collegamento tra l’anima e lo stato corporeo. E nel sogno che l’anima produce un mondo che procede da sé, secondo combinazioni simboliche, che riguardo allo stato vigile di veglia, costituiscono possibilità più estese, essendo mescolati i tempi ed interpenetrati gli spazi, in un procedere pluridirezionale, “stellato”. Ecco come il simbolo della stella si può collegare simbolicamente alla sfera psichica.

La stella presente nella simbologia massonica sia nella volta del Tempio che singolarmente, come strumento del Compagno, indica I ‘orientamento in virtù del suo fiammeggiare. Ciò che conduce alla ricerca dell’iniziato è il principio cognitivo non correlabile ad un metodo sistematico in cui sia implicito il compimento metafisico, ma piuttosto al movimento del pensiero che non si compie, restando fedele a se stesso, in itinere. Osservandone la geometria, la stella appare disegnata da alcune linee intersecantesi a formare una struttura ultimamente non lineare, che ne permette l’inquadramento nel cerchio. Prendendo tali linee a rappresentare la direzione lineare del metodo logico di causa-effetto, riferibile ad un pensiero che coincide con ta realtà secondo l’antico adagio dell ‘adaequatio rei et intellectus, si può notare come tale direzione contribuisca a costituirne la forma, ma non ad esaurirla. Concorrono infatti alla sua formazione altre linee che esplodono da un centro incoglibile, in senso irradiante, pluridirezionale e descrivono un movimento a raggiera, circoscrivibile in una forma circolare dinamica (il movimento è infatti indicato dal fiammeggiare della stella stessa). Il senso pluridirezionale viene così a corrispondere all’approccio cognitivo polisemico, secondo le differenti letture che possono essere fatte di una stessa realtà e dunque secondo diverse modalità comunicative tra i molteplici stati dell’essere. L’uso della logica unidirezionale nel metodo stellato appare in questo modo ridotto o comunque non assoluto o privilegiato, di fronte ad un processo dinamico asistematico, che si sviluppa secondo il principio dell ‘affermazione multipla o della regioni coesistenti (la pluralità dei sensi del Senso inafferrabile), oltre il metodo di confutazione, fondato sul principio di non contraddizione e di ragion sufficiente. L’approccio cognitivo è cioè, in ultima analisi, definito secondo la probabilità e I ‘orizzonte congiuntivo. In particolare il principio dell’ affermazione multipla, all’ insegna della comunicazione e dell ‘ interdisciplinarietà, celebra più che una ragione totalitaria, una ragione creatrice, dubbiosa ed al contempo continuamente motivata ad esplorare la vita, se- condo l’apertura a 3600 del compasso, in quanto coadiuvata dalle altre facoltà dell ‘anima.

Il procedere a raggiera in senso pluridirezionale dice di una rete significativa che sollecita la ricerca in avanti rimanendo allo stesso tempo cosciente della memoria di una genesi. Si tratta di una sollecitazione permanente che permette di stabilire livelli interpretativi differenziati, che si sovrappongono e si combinano, senza reciprocamcnte escludersi, il cui continuo urto spinge a sempre nuove intuizioni. È il ragionar sognando o il sognare ragionando. La ricerca dei sensi avviene attraverso la struttura associativa, fatta di corrispondenze significative e rigorose ove ogni elemento è logicamente associato al contesto e dove lo sbocco si iscrive ogni volta nell ‘innovazione, nella nuova prospettiva che conserva il ricordo della retrospettiva, secondo la consequenzialità, l’analogia o la contraddizione ed il paradosso. La tendenza logica si avvale così della tendenza intuitiva, di quel ‘supplemento d’anima” che ha segnato la dinamica massonica nel suo procedere innovativo nei secoli, rispetto al pensiero e alla vita, alla teoria ed alla prassi, considerati a campi unificati.

Si ritorna così al fiammeggiare della stella, simbolo dello stato animico, il cui principio igneo veniva già da Eraclito definito in termini divini (è nota peraltro la cotTispondenza etimologica greca di theiov e theios, tra gli aggettivi sulfureo e divino):

“11 dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame: differisce come “il fuoco” che, quand’è unito agli aromi, prende il nome  dal piacere proprio a ciascuno di essi’ (Fr.A91).

La stella è dunque rappresentativa del logos stesso, parola della mente, analoga alla Parola dell ‘Origine, alla Parola della Genesi che nel movimento creativo divide e riunisce. Parola originaria impronunciabile eppure evocatrice, indicativa nella sua risonanza di un quid inafferrabile, di un’origine continuamente sottratta, di un vuoto incolmabile, ma in quanto tale produttivo della polisemia analogica, dell’interpretazione infinita, del movimento di fuga dello stesso pensiero. Logos ana-logos, parola e trasgressione. Parola dunque essenzialmente poetica. il cui dire è contemporaneamente impossibilità del dire stesso, nella fuga verso I ‘oltre, in quanto il suo limite risiede nel nascondimento della sua origine: che in quanto tale permane irraggiungibile, pur costituendone l’essenzialità. Parola che è al contempo suono e silenzio essendone la relazione.

Razionalità e irrazionalità (sovrarazionalità), logica della misura e logica della dismisura risultano molto più interconnesse di quanto non appaia a prima vista. E infatti il linguaggio l’ambito strutturato della logica, della geometria, delle scienze, le quali sviluppandosi in equilibrio e misura giungono a toccare la soglia della sovrarazionalità. Il modello logico-matematico dell’adaequatio rei et intellectus è infatti indicativo della trasparenza e coerenza e dunque nella conoscenza analitica chiara e distinta, propria del sistema dualistico oppositivo, con le antinomie del vero e del falso, del bene e del male. Ma il numero matematico stesso nel suo aspetto trascendente con le connessioni infinite che esso indica, oltrepassa la connotazione logica di tipo dualistico, comprendendo in se stesso l’eco dell ‘oltre. Le due modalità razionale e irrazionale dunque si compensano e si compenetrano a livello d’impossibilità cognitiva di tipo unitario la prima e d’impossibilità cognitiva di tipo definitivo la seconda. Un’aporia del pensiero che, da qualsiasi lato la si osservi, definisce un’impotenza appropriativa riguardo l’origine ed il fine. Ma è tale impotenza, tale incompiuto del pensiero a conferirgli ricchezza e fecondità.

Pertanto oltre il postulato filosofico dell ‘identità di essere e pensare, della simultaneità assoluta negatrice del tempo e della storia, che ha segnato profondamente il pensiero e la vita dell’Occidente, ecco riemergere ancora oggi l’attualità del metodo simbolico massonico (inteso • come processo e non come sistema), coniugante mito e ragione, sogno e realtà, quali dimensioni irriducibili. Ne emerge l’ uomo nella sua dimensione autentica, relativa non solo al presente, ma anche al passato, inteso comc memoria storica ed al futuro, inteso come sogni, utopia. E propria del simbolo infatti la trasposizione analogica che permette una lettura della realtà a più livelli (da quello letterale a quello profondo) nella considerazione di una “verità” che eccede la ragione, richiedendo l’utilizzo delle altre facoltà dell’anima, quali la memoria, l’immaginazione, la fantasia, l’intuizione, secondo l’adesione ad un progetto creativo in continuo divenire e dunque secondo una libertà creatrice. Un tipo di conoscenza che definisce un ‘indefinibile processo inarrestabile, illimitato, connotato dal limite di ogni traguardo, affermabile solo contestualmente e non assolutamente, in quanto relativo.

Arte interpretativa, ascolto del silenzio, invenzione analogica, sono resi possibili dal linguaggio simbolico, che traduce il mistero in parole propriamente non tali, trattandosi più di interfercnze associative che oltrepassano la definizione stessa di parola. Questa “irreale realtà” sempre in fieri, sempre da ricostruire, mai compiuta, questo continuo ritorno a compiti sempre ripresi e sempre da riprendere, suggerisce all ‘uomo la necessità di rompere continuamente il Senso per far emergere significazioni nuove, scorrevoli tra differenti registri defla realtà, secondo risonanze infinite. Questa irreale realtà costituisce l’erranza essenziale secondo un appello venuto dall’ombra, l’itinerario incompiuto del massone alle soglie della poetica dell ‘essere che, alla stregua della stella, si situa sempre altrove e altrimenti, semplicemente indicando e in tale indicare trasformando I ‘errante in un Testimone dell ‘infinito.

NOTE

R. Guénon, L’ homme er       son de venir             selon le Vedanta, Editions Traditionnelles, Paris, 1991.

R. Guénon, Les états multiples de l’ étre, Editions Traditionnenes. Paris, 1991.

E.A. Lévy, Valensi. Penser ou et rever, Ed. Institut Synthélabo, Les Plessis-Robinson, 1997.

G. Colli. La sapienza greca, Adelphi, Milano, 1988. Upanishad, Utet, Torino, 1983.

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I FIGLI DELLLA VEDOVA

I figli della vedova di Giuseppe Scaglia

Il Piemonte, da sempre, è il laboratorio nel quale prendono vita iniziativc culturali, sociali, politiche, economiche, che aprono la strada, e le menti, a veri e propri terremoti ideologici e di costume.

Non sto a ricordare che da noi è nato il cinema, che dal profondo delle barriere torinesi mossero le prime giuste rivendicazioni operaie alla fine del secolo scorso; che i primi scioperi, dopo vent’anni di oppressione fascista, presero avvio dalle officine della FIAT “Lingotto” nel 1943; che è dalla “Regal Torino” che due giovani intellettuali, uno piemontese di nome Gobetti, l’altro sardo, chiamato Gramsci, all’alba degli anni ’20 di questo secolo, idealizzavano una loro “Città del sole” in un “Ordine nuovo” liberal-socialista.

E potrei continuare!

Non c’è, quindi, da stupirsi che anche la Libera Muratoria abbia seguito il medesimo destino.

Già verso la metà del ‘700 alcune logge, tra le prime nella penisola, erano presenti in Torino, ma è soprattutto nel corso del successivo XIX secolo che l’attività latomistica ebbe rigoroso sviluppo nelle terre del Re di Sardegna, cosicché non era certo strano ritrovare tra le colonne i più bei nomi della politica, della scienza e della cultura subalpine.

Molti furono i letterati che indossarono guanti e grembiulino e, tra essi, un posto particolare lo riveste Luigi Pietracqua. Nato a Voghera nel 1832, e morto a Torino nel 1901, fu collaboratore di alcuni tra i più prestigiosi quotidiani dell’epoca, dalla “Gazzetta del Popolo” alla ‘Gazzetta Piemontese” (l’odierna “La Stampa”), al “Fischietto” di cui fu anche direttore.

Fecondo autore di testi teatrali (“Le sponde del Po”, 1862 / “El pover paruc” / “Nona Lucia”, 1872 / “Le fije povre”, 1881), rivestì un ruolo singolare nella letteratura regionale per i suoi numerosi romanzi in “lingua” piemontese tra cui citerò “La coca del gamber” “Don Pipeta l’asilè’ “1j misteri ed Vanchija”, “L’ultim dij Castelvert’ , “La bomba ed via Arsenal” ecc.

Convintissimo massone, non fece mai mistero della sua appartenen-

za alla libera muratoria e, specialmente in “Don Pipeta” e ne “1j misteri ed Vanchija”, la sua profonda vocazione alla libertà, il suo innato istinto di libero pensatore eternamente in lotta contro la prepotenza ed il sopruso liberticida (assai spesso rappresentato dall’inquisizione ecclesiastica che, a Torino, aveva la sua tristemente nota sede presso la Chiesa di San Domenico in via Milano) vengono prepotentemente a galla.

L’iniziazione massonica

Un intero capitolo viene dedicato, in “Don Pipeta l’asilè”, alla descrizione accurata della cerimonia di iniziazione come veniva condotta verso la metà del ‘700, epoca in cui l’autore situa la trama del romanzo.

La vicenda pone in rilievo il ruolo storico della Massoneria come opposizione “liberale e libertaria” all’assolutismo politico e religioso. Su tutto, l’inquietante ombra dell’lnquisizione sempre pronta a colpire come eretico chiunque palesasse quelle idee di libertà, uguaglianza e fratellanza che tanto disturbavano il potere costituito (politico e religioso).

Il protagonista, appunto Don Pipeta l’asilè, ha avuto l’intera famiglia sterminata dai birri dell’lnquisizione ed ha trovato nella Libera Muratoria non solo l’approdo ideale, ma anche l’appoggio, la solidarietà, la forza che lo ha aiutato a superare le tristi avversità. Chiaro che il nostro faccia, come diremmo oggi, del “proselitismo’ e cerchi di avvicinare alla Massoneria persone che, per ideali, stile di vita e comportamento diano a vedere di esserne degni.

Oltretutto, vista l’epoca ed i rischi che correva chiunque indossasse grembiule e guanti bianchi, i “profani” dovevano anche essere dotati di notevole coraggio e di sprezzo del pericolo e, quindi, a maggior ragione individui “sicuri’ .

Nel racconto tutto ciò è ben evidenziato dalla narrazione della cerimonia iniziatica che, aldilà dell’aspetto rituale, sottoponeva il candidato a vere e proprie prove che richiedevano sangue freddo e nervi saldi e ciò proprio, ripeto, per la necessità di non avere, tra le proprie fila, persone pronte a cedere al minimo spirar di vento. La narrazione inizia col “prelevamento” del neofita, dal piemon-

tesissimo nome di Stefano Borello, al proprio domicilio da parte di due “Fratelli” (uno dei quali è il già citato Don Pipeta) che, dopo aver brindato col profano, iniziano con il farsi consegnare gli “ori”. I tre si avviano nel buio della notte, ben attenti a non farsi scoprire dalle ronde dei birri, e, dopo una ” …buona mezz’ora di marcia, si sono trovati sui bastioni della cittadella”.

A questo punto Don Pipeta, tratto un fazzoletto dal taschino, benda gli occhi del sempre più spaurito Borello e ricomincia il “viaggio’

” …che viaggio lungo e complicato, che non finiva più. Per un po’ han camminato sulla strada, poi sembrava che entrassero sotto un ponte… perché i piedi avevano cessato di camminare sull’umido e adesso camminavano sull’asciutto e sembrava che la volta rimbombasse sotto i passi di tutti e tre…

Stefano, atterrito, ha la tentazione di interrogare i suoi compagni d’avventura, ma, accorgendosi che tutto il tragitto è stato compiuto senza che una parola gli sia giunta, decide di resistere anche se la paura dell’ignoto lo attanaglia vieppiù.

Dopo un altro quarto d’ora di marcia ecco il terzetto giungere ad un primo “blocco”: il nostro impaurito profano sente come un brusio di fondo, un altro rumore come di armi, e poi una voce tonante intimare il “Chi va là!’

“Figli della vedova” è la risposta… e si va avanti.

Si, ma dove?? Stefano, sempre bendato, deve totalmente affidarsi alle sue guide, anche se, ad un tratto un terribile rumore di cascata sembra assordarlo sempre più.

Il rumore si fa via via più forte, via via più vicino, sempre più insopportabile e l’angoscia sale a tal punto che il nostro povero Borello sviene.

Rinviene… ed ora lo scenario è mutato. Ogni rumore è cessato ed il profano, sbendato, si trova in una stanzetta debolmente illuminata, senza porte né finestre, unicamente arredata da due sedie ed un tavolino con l’occorrente per scrivere.

…ma, vicino al calamaio, cosa che non aveva niente di rassicurante, c’erano un teschio ed una spada…

Il profano fa appena tempo a chiedersi, ad alta voce, dove si tro-

vi che ottiene immediata risposta da una “lunga figura nera ed incappucciata” che gli dice “sul limitare del tempio della luce! “

Costui, con tono imponente, gli chiede se veramente sia deciso ad “entrare nel tempio” ed avendone avuta timida conferma, ordina al timoroso Borello di scrivere il suo testamento, dicendogli: “l’uomo, al nascere, acquista tre debiti forti e sacrosanti… il primo verso Dio, il secondo verso se stesso, il terzo verso i propri fratelli… ebbene bisogna che tu scriva in che maniera intendi soddisfare a questi tre debiti! “.

Datagli mezz’ora di tempo, la “figura in nero” torna a prendere il testamento e sparisce, di nuovo, alla vista.

Dopo un paio di minuti un’altra figura incappucciata gli si presenta innanzi, torna a bendargli gli occhi e, qui, ricomincia un tortuoso e lungo peregrinare accompagnato da rumori sordi, da grida d’aiuto, da clamori di spade che s’incrociano, da ostacoli tali che, a volte, è quasi costretto a strisciare per terra, a camminare a quattro gambe e così via.

Infine una voce tuonante ingiunge un fortissimo “basta! “

“Dove va questa carovana?”

“In pellegrinaggio per trovare la luce! “

“Chi la compone?”

“Due veri seguaci d’Hiram ed un profano! “

“E cosa vuole questo profano? “

“Entrare sotto gli auspici della vedova! “

“E si è preparato?”

“Ora non ha più ori con sé ed i suoi sentimenti li ha scritti su una

“Però la sua gamba sinistra è ancora calzata! “

“Aspetta solo un ordine del fratello terribile per scalzarla! “

“Avanti! “

Dopo questo dialogo, “svestita” , diciamo così, la gamba sinistra fino al ginocchio, il profano viene fatto sedere su una poltrona, che improvvisamente, sembra precipitare nel vuoto.

Poi la poltrona si ferma, il nostro eroe risente, sotto i piedi, la terra, ma la sua tranquillità dura assai poco.

Di nuovo la voce imperiosa di prima, quella del Venerabile, gli chiede cosa desideri più ardentemente ora.

Il neofita chiede, quasi con disperazione, di essere liberato dalla benda che gli impedisce di vedere la luce. “E sei persuaso che, anche se ti liberassimo delle bende, potresti qui vedere la luce?’

Il Borello non risponde, ed ecco che gli viene tolta la benda! Ma, quale terribile sorpresa! , L’oscurità più fitta lo circonda! Solo un piccolo punto luminoso resta e lì, guardando attentamente, il profano vede una lunga fila di persone vestite con candidi mantelli che gli sorridono.

Non fa in tempo a rasserenarsi che, subito, lo spettacolo cambia totalmente: stavolta si tratta di una terribile processione di scheletri e cadaveri mutilati e straziati.

Pronta arriva la spiegazione del Venerabile che gli ricorda ciò che ha visto ammonendolo sulla triste fine che aspetta chiunque iniziato, tradisca l’organizzazione.

Dopo un terzo viaggio, anche stavolta accompagnato da un forte rumore di cascata che via via va attenuandosi, finalmente il profano riceve la “mezza luce”.

Ma l’iniziazione non è ancora terminata.

“Ora, o profano — aggiunge il venerabile — dovrai con noi assistere al funerale d’Hiram!

Infatti ecco apparire, in mezzo alla sala, una specie di apparato funebre con tanto di catafalco e torce nere, sul quale il povero Borello vede a malapena una serie di strumenti tipici dell’arte regale: squadra, compasso, maglietto e, tra loro, un ramo d’acacia.

Due fratelli conducono il postulante vicino alla bara e lo fanno inginocchiare verso il trono del Venerabile: a questo punto, dal feretro, s’alza una specie di “spettro” (che vorrebbe rappresentare il maestro Hiram Abi) che, a palma distesa, batte tre colpi sulla schiena dell’iniziando.

Questo era veramente troppo!

Stefano Borello si volta e, con un grido soffocato, cade mezzo svenuto a terra.

Ma è l’ultimo ostacolo: fatto rinvenire, il profano viene, finalmente, condotto nel tempio ove riceve la “luce”.

E lo spettacolo, ora, è completamente mutato! Più nessun apparato funebre… “La sala sembrava, come per incantesimo, totalmente cambiata per quanto brillava tutt’intorno di ogni ornamento simbolico! Tutto aveva un’aria splendida, imponente maestosa… A cominciare dal trono del Venerabile che sembrava un altare rilucente d’oro e porpora… Tutti i fratelli avevano deposto i cappucci e si presentavano solo più con le loro rispettive decorazioni ed insegne che formavano un bellissimo e variopinto quadro d’insieme… “

Il resto è cronaca, direbbe qualcuno… il profano, fatto avvicinare all’ara, viene consacrato ufficialmente “framassone” dal Venerabile che lo inizia a “fil di spada” e gli fa indossare grembiule e guanti. Una triplice batteria dei fratelli chiude la cerimonia.

Commento finale

Indubbiamente la narrazione, di cui ho volutamente fatto un riassunto condensato, tralasciando particolari sui vari viaggi, che comunque chiunque può comodamente leggersi acquistando il libro, seppure per forza di cose “romanzata” è comunque un Interessante documento su come venivano iniziati i nostri fratelli duecento anni orsono.

Oggi una cerimonia di tal fatta, che senza dubbio, doveva durare, presumo, tutta una nottata non avrebbe più senso, però credo che, ugualmente, qualcosa ci possa insegnare.

Fortunatamente i tempi oscuri dell’lnquisizione sono finiti ed i massoni non rischiano più di abbrustolire a fuoco lento su di una pira in piazza Castello additati al pubblico ludibrio come “servi del demonio” e, quindi, non è più necessario che il profano giuri segretezza a scapito della propria gola, tuttavia anche ai giorni nostri la cerimonia Iniziatica deve essere intesa in senso esatto.

E ciò non tanto dall’iniziando, che chiaramente non può capire nulla di quel che sta accadendo, ma da chi l’iniziazione stessa conferisce, principalmente da chi si fregia della maestria.

Perché, purtroppo, m’è capitato di sentire alcuni profani sbuffare di noia durante la cerimonia, come se tutto fosse scontato ed inutile.

Chiarisco: ritengo sia naturale e logico che chi entra tra di noi voglia informarsi sull’iniziazione (e le librerie abbondano di testi che ne descrivono ampiamente tutti i particolari!), ma in tutti i casi l’esperienza, il vissuto deve travalicare ogni lettura: perciò credo sia compito di chi “inizia” far vivere al profano sensazioni, esperienze ed emozioni tali che non possa più scordarsi il primo passo.

Per questo è indispensabile che noi per primi si sia convinti di stare facendo qualcosa di grande, di stare effettivamente dando la luce ad un nuovo fratello, di contribuire a diffondere sempre più i nostri alti ideali.

Questo e non altro deve essere, a mio avviso, il senso dell’iniziazione: l’apposizione di un nuovo mattone nell’edificazione continua del tempio.

Ecco perché anche un racconto letterario, se colto nel suo profondo aspetto ideologico-simbolico, se vissuto quasi con totale identificazione, può e deve essere uno sprone, un aiuto, un invito a diventare, ogni giorno di più, dei veri liberi muratori.

Nota bibliografica

LUIGI PIETRACQUA, Don Pipeta l’asilé, Romans storich popolar, Viglongo & C. S.r.l., Torino, 1976 (ln lingua piemontese).

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