C’è un momento, io credo, nella vita di ogni uomo, ma
soprattutto di ogni singolo Iniziato, in cui egli si chiede il senso della sua
esistenza in generale e si confronta con le linee essenziali del suo progetto
di vita.
Il mio, come quello di ciascuno di noi, è basato
sulla appartenenza alla Società dei Liberi Muratori e, per tutto quello che da
questa appartenenza ho tratto in quasi metà della mia vita, sento il dovere di
interrogarmi sul senso dell’essere Massone oggi, qui, in Italia.
Il fatto che noi ci
si definisca epigoni, cioè discendenti, dei pochi o tanti che hanno edificato
le piramidi dell’Egitto o le cattedrali gotiche, dei saggi dell’antica Grecia o
dei filosofi dell’Umanesimo, che ci si vanti, come in recenti annunci
istituzionali di Palazzo Giustiniani, dei pensatori e dei geni dell’arte del
Settecento, o dei combattenti per la liberazione dal potere assoluto
dell’Ottocento, è certo gratificante, ma mi chiedo quanto possa essere
costruttivo, quanto possa significare per chi massone non è, o della Massoneria
possa avere una immagine distorta, se non volutamente negativa.
Il risultato che se ne ottiene è che in un secolo
come questo in cui l’aspetto sociale domina sia su quello culturale che su
quello politico, in cui sempre più si va verso sistemi complessi in cui il
singolo genio è quasi inutile se non supportato da ampi gruppi di lavoro e da
tecnologie sempre più innovative, la Libera Muratoria che ha in sé la
possibilità di far lievitare il mondo in cui si vive, è ridotta, almeno in
Italia, a un esiguo numero di persone, che debbono preoccuparsi più della loro
sopravvivenza in un ambiente ostile che non di svolgere un ruolo di punta di
diamante del pensiero dei secoli a vemre.
Se si pensa che, nella migliore delle ipotesi, la
nostra Obbedienza rappresenta circa lo zero uno per mille della popolazione
italiana e che Palazzo Giustiniani poco più dello zero due, ci si rende
immediatamente conto di una esiguità numerica che, nella migliore delle
ipotesi, vanifica in gran parte il nostro lavoro, soprattutto nella sua
immagine esteriore.
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E poiché io ritengo noi si sia in potenza, oggi come
e più di ieri, quanto affermiamo da secoli nella premessa agli “Statuti
Generali della Società dei Liberi Muratori’ .
La Libera Muratoria ha il suo fondamento essenziale
nella fede in una Potenza Suprema che onora sotto il nome di Grande Architetto
dell’Universo. I suoi principi si compendiano in queste due massime: Conosci te
stesso – Ama il prossimo tuo come te stesso. È una libera associazione di
uomini indipendenti, i quali non sono soggetti che alla propria coscienza, e si
impegnano a praticare un ideale di Pace, di Amore e di Fratellanza; ha per
iscopo il perfezionamento morale della Umanità e per mezzo la propaganda di una
vera Filantropia, con l’impiego di usi e forme simboliche…
Se questo siamo e ci sentiamo di volere ancora
essere per i secoli a venire, due sono, io credo, le vie parallele che dovremmo
imboccare:
quella di un attento, perseverante e tenace
incremento numerico che ci porti nel prossimo decennio a decuplicare, almeno,
il numero dei nostri adepti; quella di un attento, perseverante e tenace
sviluppo delle coscienze degli adepti che avranno il compito,quando non si sarà
passati ad altri Orienti più o meno eterni, di tracciare le vie dell’Umanità a
venire. Pena la decadenza a gruppuscoli sempre più insignificanti; pena la
decadenza a reduci noiosi di battaglie combattute da altri.
Il mondo cosiddetto profano che vive intorno a noi
(ma anche noi stessi in quanto patte attiva di questo mondo) è caratterizzato
da tutta una serie di esigenze che ne condiziona la vita.
L’esigenza è ciò che in generale crea la ricerca di
risposte, il desiderio di tentare soluzioni, ardite o non, la forza per
interventi faticosi di cambiamento. Oggi moltissimi sono coloro che avvertono
l’esigenza di piacere, di avere un aspetto attraente, di avere un bel corPO.
Molti coloro che investono energie enormi per raggiungere livelli sociali
elevati, avere denaro, vivere nell’agiatezza e su questo investono tutto se
stessi. Molti, ancora, sentôno il peso di una limitata erudizione che li mette
in condizione di sudditanza dialettica e psicologica nei confronti di chi
possieda un tipo di cultura più raffinato.
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Le esigenze che non trovano il modo di essere
finalizzate producono malessere, frustrazioni, quando addirittura non sfociano
in angosce irreversibili.
Così come molto si fa per la propria estetica, il
proprio corpo fisico, la propria posizione sociale, poco o nulla si fa per
costruire un corpo psichico ben equilibrato, forte di un sapere significativo,
che possa rispondere armoniosamente alle continue sollecitazioni
dell’esperienza del vivere quotidiano.
Tale
malessere viene avvertito e sempre più numerosi sono gli autodidatti” che, in qualche
modo, cercano di risolvere da sé soli questa situazione attraverso forme
diverse di ricerca su se stessi.
A questi
autodidatti, a coloro che tentano le esperienze esotericomistiche più diverse,
noi dovremmo presentarci non tanto come i più bravi o preparati, cosa che in
realtà spesso non siamo, ma come coloro che incarnano un metodo
onnicomprensivo, tanto antico che moderno, per la crescita spirituale, il
perfezionamento dell’uomo, così come è, così come vuole diventare.
Noi sappiamo che l’uomo non può esistere, né tanto
meno resistere a lungo, avulso dall’ambiente che lo circonda. L’ambiente, il
mondo circostante, l’universo intero sono una sorta di secondo grande corpo
fisico di ognuno di noi. Curare l’uno senza preoccuparsi dell’altro è come
essere in parte morti: se assolutamente inutili agli equilibri circostanti,
cessiamo di farne parte a pieno titolo.
La ricerca di sé, la conoscenza non può prescindere
da questo complesso di potenzialità e giunge, prima o poi, il momento in cui la
nostra ricerca individuale si deve confrontare con una rete collettiva di
possibilità.
E, come per sapere pilotare un aereo a reazione i
piloti imparano ad allenarsi in simulatori di volo, così il ricercatore di sé
deve potersi confrontare in luoghi di simulazione che altro non sono che centri
di ricerca interiore collettivi. Il motivo di esistenza delle scuole
iniziatiche in oriente e occidente è questo: creare, simulandole, situazioni le
più diverse finalizzandole alla ricerca• oltre il confine di sc stessi, verso
orizzonti sempre più ampi fuori di noi, la patria diremmo, l’umanità.
Ed io credo che in questo senso non sia possibile
trovare oggi nel
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nostro cosiddetto mondo occidentale via iniziatica più
attuale e completa della Libera Muratoria che, proprio nelle forme simboliche e
mitiche e nella gradualità dell’approccio conoscitivo, condensa le possibili
soluzioni alla variabilità dei problemi dell’esistenza, a quelle esigenze di
cui parlavo.
Il secondo aspetto che so sollevare molte obiezioni in
molti dei miei Fratelli e Sorelle è quello di un ritorno a una assoluta serietà
iniziatica nello svolgimento rituale delle Tornate di qualsiasi grado, nella
scelta non solo delle tematiche, ma soprattutto dei loro relativi sviluppi. Non
si può costringere intere Logge ad ascoltare per interminabili Tornate
argomenti futili che annoierebbero chiunque di noi anche in riu_nioni profane.
Sento spesso dire che chi se ne va non ha capito nulla: spero vivamente che sia
così.
E per ultimo, non certo per importanza, vorrei dire che la
stessa serietà iniziatica, la stessa attenzione, dovrebbe essere posta negli
aumenti di paga. Il buonismo di cui tanto oggi si parla, la tacita acquiescenza
a non negare ad alcuno un grado per età massonica o per meriti profani verso la
Massoneria porterà il risultato inevitabile che il cooptando, divenuto
cooptatore, continuerà la catena allo stesso modo ed avremo Logge e Camere del
Rito piene di brave persone soddisfatte dei loro piccoli raggiungimenti, in cui
le piccole ambizioni prendono sempre più spazio sulle grandi affezioni, che
promettiamo al recipiendario la sera inimitabile e irripetibile della sua
iniziazione.
Spero che si vogliano accettare con benevolenza gli scarni
e spesso confusi pensieri che ho voluto esporre all’unico scopo di spiegare il
mio desiderio di vedere la Libera Muratoria tornare ai fasti che merita, per
essere quello che è.
Io sono pronto a rivedere in
toto o in parte tutto quello che ho pensato e spero che chiunque voglia
educarmi a miglior comprensione lo faccia, perché di questo ho bisogno nella
mia crescita quotidiana.
Nella storia della
intellettualità umana, e in particolare nella storia della intellettualità più
elevata, che è quella che tende verso il trascendente, verso l’alto, la magia
ha avuto sempre un posto importante “piaccia o non piaccia”, e ciò a
prescindere da quella che può essere la nostra personale valutazione della
magia stessa.
Se si scorre la storia delle
religioni, questo aspetto salta all’occhio in modo chiaro e distinto. In
particolare, si nota che praticamente in tutte le religioni che hanno preceduto
il monoteismo giudaico, e il monismo vedantico, c’è sempre un dio che ha
connotati di mago.
Altrettanto evidenti sono gli inquinamenti, se cosi
si vuole considerarli, e comunque le interferenze di pratiche e di modi di
natura magica nei confronti delle varie vie iniziatiche; e non potrebbe essere
altrimenti, anche solo considerando quanto sia difficile distinguere
l’esoterico dall’exoterico, man mano che si va indietro nel tempo. Senza
riandare fino all’uomo delle caveme, è una difficoltà che io percepisco ancora,
ad esempio, per l’età ellenistica, E oltre.
Ciò che mi propongo con questa tavola e, come primo
obiettivo, di fornire ai fratelli una brevissima, stenografica storia della
magia, vista in questa prospettiva, cioè essenzialmente nei SUOI rapporti con
la storia del pensiero religioso. Sarò poi costretto a fare seguire alcune
brevi considerazioni dedicate ad illustrare perché questa problematica può
interessare un libero muratore in generale, e uno della Pedemontana in
particolare.
La mia esposizione sarà cronologica, partendo dalla
protostoria e arrivando fino alle grandi religioni monoteistiche, che
preferisco lasciare fuori dal mio discorso. Mi scuso se, per fare questo, dovrò
soffermarmi a ricordare molte cose che certo sono note a molti fratelli.
Partiamo dal III millennio prima di Cristo, e quindi
quasi necessariamente dall’Egitto. Troviamo qui la prima figura di mago, o
meglio, il primo dio con connotati di mago: Iside. È con arti magiche che Iside
si fa fecondare da Osiride morto assassinato, e riesce poi a resuscitarlo per
restituirlo al suo destino di dio solare. E qui che troviamo anche, a livello
di preannuncio, la prima commistione tra magia, pratiche sessuali e riti di
fertilità, commistione che ritroveremo frequente e, direi, tipica. Per
intenderci, fino al Tantrismo ed oltre.
Saltiamo in Mesopotamia. Un paio di millenni prima
di Cristo, è il tempo dell’Enuma Elish, una delle due grandi saghe epico
religiose della civiltà Akkadica. L’altra, naturalmente, è quella della
Gilgamesh la quale, per inciso, potrebbe essere considerata come la storia di
una iniziazione fallita. Nell ‘Enuma Elish troviamo tecniche divinatoria,
astrologia, oniromanzia, ovvero lettura dei sogni. Troviamo ancora il dio mago,
che qui si chiama Ea: è con magiche che Ea uccide Apsu, il dio antagonista.
E arriviamo al II millennio. In India è tempo di
fioritura della religione vedica. Il dio arcaico dei Veda è Varuna, del quale
una caratteristica è quella di legare i nemici a distanza, operazione di
trasparente tipo magico.
Egli è il Signore dei Legami.
Caratteristica connessa al concetto di maya, che significa illusione,
alterazione, cambiamento, e anche in particolare cambiamento magico. Nei Rg
Veda questo cambiamento può essere in bene o in male: nel primo caso è privilegio
di Varuna e anche di Indra. Maya, in altre parole, significa alterazione, ma
anche alterazione dell’alterazione: due segni negativi che si annullano
Rudra, l’altro dio che ha come connotato la magia; è
ambivalente, e cioè anche con caratteri demoniaci. Ma Varuna è chiaramente una
divinità positiva.
Sempre ne Rg Veda troviamo esperienze estatiche
basate sul soma, sostanza inebriante. E troviamo rituali di carattere
orgiastico, quali quelli che accompagnavano il cosiddetto Asvameda, e cioè il
sacrificio del cavallo. È necessario ricordare che rituali orgiastici e consumo
di sostanze inebrianti sono due costanti delle pratiche magiche? “La
scienza del serpente è il Veda” sta scritto nel Sathapata Brahmana, e chi
ha orecchio per intendere intenda.
Ancora nel II millennio, fioriva la civiltà Hittita
in Anatolia. Per quanto poco ne sappiamo, risulta dai documenti rimastici che
la magia bianca era abbondantemente praticata alla luce del sole, e comprendeva
formule di purificazione e di allontanamento del male, che ci sono conservate.
Risulta altresì che la magia nera era praticata, ed era punita con la morte.
Permettetemi un altro dei miei balzi da canguro, con
il quale ci spostiamo in Germania, sempre nel primo prima di Cristo. Nell’Olimpo germanico
troviamo Odino, che è l’omologo di Mercurio.
Odino ottiene le rune, ovvero i
poteri, dopo essere passato nove notti sospeso all’albero sacro, senza cibo e ferito dalla
sua stessa lancia. Ha un cavallo a otto zampe; ha due corvi che lo informano ed
ha un anello magico. Beve alla fonte della saggezza, per questo sacrificando un
occhio. E per conoscere i segreti consulta la testa di Mimir, il gigante mago
guardiano della fonte, ucciso e decapitato dagli dei. È necessario sottolineare
il sapore magico di tutto questo? Magica, in particolare, e tipicamente
sciamanica è la pratica di consultare un cranio. Non è Odino, comunque, il solo
dio mago dell’Olimpo germanico. C’è anche Loki, figura ambivalente con tratti
demoniaci, padre del Lupo Fenrir, che scatenerà la guerra degli dei e la
distruzione del mondo.
Non mi soffermerò sul mondo celtico se non per
ricordare il dio Lug, che rappresenta la sovranità del suoi aspetto magico, ed
è il perfetto omologo di Mercurio e di Odino.
Spostiamoci, questa volta, solo nello spazio e ci
troviamo nella Grecia classica. Ed ecco Efesto, il fabbro magico.
Efesto è il “Signore dei Legami”, con i
quali imprigiona sua moglie Afrodite, insieme a Marte intenti a sollazzarsi
(non so se qualcuno abbia letto il divertentissimo dialogo di Luciano di
Samosta, un po’ dissacrante).
Efesto apprese l’arte magica in una grotta, pare al
prezzo di mutilazioni, ciò che non manca di afflnità sciamanica.
Efesto, infine, è il padrone del fuoco, e questo
carattere richiama la sua natura di fabbro. La connotazione magica della figura
del fabbro è troppo nota perché valga la pena di soffermarcisi. Vorrei solo
ricordare che è ben viva in molte delle nostre valli alpine. E che fabbri
divini compaiono in tutte le mitologie, ove c’è sempre un dio al quale foggiò
le armi un fabbro-mago. Così Baal a Canaan, cosi Ptah in Egitto, così Indra, il
quale con arti magiche uccide il dragone Vetra. Così infine, Zeus con le
folgori di Efesto.
Ma si trova altro nella Grecia classica. Ad esempio
i sacerdoti di Apollo hanno caratteristiche sciamaniche, quali la magia della
musica; quali la bilocazione, quali la capacità di viaggiare su una freccia. E
non abbiamo ancora ricordato il dio Ermete, o
Mercurio, del quale in Massoneria è
superfluo ricordare le omologie di età
s
successiva, da ellenistica a
rinascimentale. Mercurio ha un cappello che lo rende invisibile. Mercurio ha
erbe magiche che fornisce ad Ulisse. Mercurio, infine, è psicopompo, cioè il
pilota delle anime: altro carattere sciamanico, a ricorrente connotazione
magica.
E non abbiamo ancora ricordato Dionisio il cui culto,
tramandatoci dalla tragedia greca, è troppo noto perché ci si debba spendere
molte parole. Ricordiamo il carattere sfrenato, statico, orgiastico del culto;
le Menadi che squartano Penteo; la omofagia degli adepti; la loro
invulnerabilità; i prodigi; le falloforie (ovvero processioni con il trasporto
di un simbolico fallo); e infine la morte di Dionisio Zagreo smembrato dai
Titani e cotto, ciò che ha un vago sapore di iniziazione arcaica a carattere
demoniaco. Ricordiamo, infine, che dal culto di Dionisio discende l’Orfismo, nel
quale pure non mancano elementi magici, quali il potere sugli animali e la
discesa agli inferi.
Orfeo fu chiamato, un tempo, il
“padre di tutte le iniziazioni”.
Sempre nella Grecia classica troviamo la figura
dell’eroe, abbastanza vicina a quella dell’iniziato. Si pensi ad Ercole. Su
questa figura aprirei solo una brevissima parentesi per ricordarne il carattere
ambivalente: cioè, l’eroe, oltre che eroe, è spesso un gran bastardo, talvolta
deforme, gran fomificatore, sacrilego, tracotante, autore di stupri ed incesti.
Riceve sacrifici analoghi a quelli delle divinità infere. Ma su questa
ambivalenza chiudo, e la metto da parte come possibile argomento di
riflessione.
Lasciamo la Grecia per la Persia e ci imbattiamo nello
Zoroastrismo, più o meno della stessa epoca. Nello Zoroastrismo la magia, pur
se tutt’altro che sconosciuta, ebbe probabilmente un posto marginale.
Constatazione in un certo senso curiosa, se si considera che nel mondo
occidentale, e per oltre due millenni, Zoroastro fu considerato un mago. Forse
ciò fu per via dei Magi, dei quali, tuttavia, non è chiaro se furono discepoli
di Zoroastro, oppure discepoli degeneri. Oppure se furono, piuttosto, legati a
correnti religiose iraniche più tardive, quali lo Zurvanesimo e il quali il
Mitraismo, che l’apologetica cristiana considera demoniaco e che aveva una
marcatissima struttura iniziatica.
Se vogliamo restare verso la metà del primo millennio
avanti Cristo, possiamo addirittura dare una sbirciatina a quel che succede in
Cina. Nella Cina taoista troviamo le feste equinoziali con rituali orgiastici,
peraltro molto comuni e arcaici, in tutte le culture agricole e sedentarie. Ho
già accennato al profumo magico elle orge rituali. Lo stesso vale per le
tecniche di longevità della Cina taoista, basate su pratiche sessuali analoghe
a quelle del Tantrismo (in particolare, compiere l’atto sessuale senza
emissione di seme).
La mia cavalcata attraverso i millenni sta volgendo
verso la fine. Per quanto riguarda le religioni misteriche di età ellenistica,
dal culto di Cibele ai misteri egizi, alla varietà popolare dell ‘Ermetismo, I
‘elemento magico che le pervade è troppo noto perché mi ci soffermi. Basta
ricordare il romanzo di Apuleio, che ci da un quadro molto vivido. Direi che lo
stesso vale anche per lo Gnosticismo, se solo si pensa alla figura di Simon
Mago. E cambiando continente e latitudine, lo stesso vale per il Tantrismo. E
lo stesso vale certamente per lo sciamanesimo dell’Asia centrale e
dell’Antartide, che di elemento magico è completamente impregnato. E mi fermo
qui, come promesso.
Venerabile Maestro, Fratelli tutti di ogni
Dignità e Grado,
vogliate concedere un po’ di
attenzione a queste mie parole ed usare la Vostra tolleranza se Vi prego di
ascoltare cose che Vi sono già note, nell ‘ampiezza della Vostra Scienza
Massonica.
Ho notato una volta di più che, nel
Rituale Massonico, non v’è nulla che non sia un insegnamento esoterico, e
questo è l’unico vero principio che diversifica la Libera Muratoria da ogni
altro gruppo umano, elevato e benintenzionato che sia.
Nell’ascoltare il Rito d’Apertura dei
Lavori, mi ha colpito una riflessione che mi venne da fare sull’ordine che
viene dato dal Maestro Venerabile e viene ripetuto dal Primo e dal Secondo
Sorvegliante: “… non è più perrnesso di intrattenersi in questioni di
politica e di religione
Parrebbe una contraddizione. Se ci
riuniamo in Tempio a lavorare per il bene dell’Umanità ed a Gloria del Grande
Architetto dell’Universo, si direbbe che il fare il bene dell’Umanità è
un’azione politica; e l’esaltare la gloria di Dio è religione. Ciò a livello
profano …, ma noi riteniamo di non essere dei profani!
Alan W. Watts, nel suo libro “La
Suprema Identità”, chiarisce molto bene la differenza fra religione e
metafisica. Secondo Watts, la metafisica riguarda la Conoscenza che l’uomo
ottiene per mezzo della mente, ma con una facoltà a questa superiore, che egli
denomina intuizione. Anche il nostro Benedetto Croce parla di intuizione a
proposito dell’ispirazione artistica e la chiama intuizione lirica. Per essa
l’artista vede oltre l’apparenza delle cose, vede ciò che la mente, di per sé,
non può afferrare né elaborare.
La mente è un meccanismo che
immagazzina ed elabora i dati che i sensi le trasmettono – ivi compreso il
nostro stesso copro e la nostra psiche – e ritrasmette questi dati ad un
osservatore che sta al di là della mente. Essa ci serve per la sopravvivenza
nel mondo fisico ed è condizionata da quello. Esistono però dei messaggi che
non hanno nessuna origine nel mondo fisico, né diretta – dai dati immediati dei
sensi né indiretta dalla rielaborazione dei dati immagazzinati dalla memoria -.
Sono messaggi che provengono dal quella che il Watts chiamerebbe la sfera
metafisica – al di là del mondo naturale, fisico -. Essi sono sprazzi
inspiegabili di pensiero; ispirazioni di nuovi significati del mondo esterno;
ispirazioni d’arte; ed altre che rivelano qualcosa che è inconoscibile con i
sensi e con la mente.
Uomini che hanno avuto simili grandi rivelazioni, di durata
limitata o permanente nel tempo, hanno voluto dare ai loro simili qualcosa che
rassomigliasse il più possibile alle loro esperienze sostanzialmente
inesprimibili; ed hanno anche voluto dare gli insegnamenti necessari perché
altri potessero raggiungere quella sfera di esperienza e di Conoscenza. Il
mondo profano ha poi istituzionalizzato il loro insegnamento, che si traduce in
simboli, in pratiche ed in riti, diffuso e conservato da gruppi specializzati –
le caste sacerdotali – e ne vennero le religioni. La religione ha la funzione
di spiegare ai profani, per mezzo di ramgurazioni analogiche, le Verità che
furono sperimentate di rettamente da Coloro, che per primi, in quel determinqto
gruppo le esposero. La
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dell’insegnamento e dei proponimenti.
D’altronde, anche i Maestri Orientali, che paiono i più contemplativi, non
sconsigliano l’azione, ma anzi indicano il modo di compierla più perfettamente
ed iniziaticamente. Krishna, incarnazione di Dio, dice al guerriero Argiuna,
che voleva abbandonare la battaglia e rinunciare al regno per darsi alla vita
contemplativa: “Argiuna, combatti L’esoterismo del Massone non lo
distoglie dall’agire, ma gli insegna ad agire con perfezione, da un lato, e con
disinteresse, dall ‘altro.
Ecco che, a livello di
informazione, il tema di lavoro che la Pedemontana si è proposto può ben
svolgersi in un anno, ma, a livello di effettuazione, forse non bastano
dietro di noi i secoli. O i millenni. Perché noi siamo
esistiti sempre, anche quando non ci chiamavamo ancora Massoni. Siamo esistiti
da quando la scintilla del pensiero ha acceso la prima luce nella mente umana,
da quando l’uomo si è accorto che la sua esistenza non era puramente
vegetativa, fine a se stessa, che pensava, produceva cose nuove, sensazioni
nuove nell’intimo e nella pluralità corale umana che lo attomiava, che pensando
poteva percorrere una strada che man mano si illuminava di una luce: la Conoscenza
Davanti a noi l’eternità dell’istituzione, perché la
Massoneria non potrebbe morire neppure con l’ultimo uomo pensante e ragionante.
L’uomo è emanazione del Grande Architetto dell’Universo, si esprime e si
identifica nella volta celeste, muta e si trasfigura da un mondo di materia ad
un mondo di forza, ma rimane nell’Oriente etemo. Nei nostri Templi non siamo
mai soli. Siedono con noi, tra le colonne, tutti i Fratelli che ci attendono
nell’ineffabile.
Ma questi Fratelli ci chiedono la continuità della Famiglia
ed è per tale dovere che la costruzione del Tempio prosegue con i nuovi operai
che iniziamo e poi forniamo degli strumenti di lavoro. Guai a noi, Fratelli, se
fossimo incapaci di insegnare loro a dirozzare la pietra!
Da questa tomata due grembiuli in più nella nostra Loggia,
due motivi in più perché i nostri lavori siano giusti e perfetti.
Benvenuto a voi, Fratelli Bltt e Mnncc.
Ora siete Fratelli Massoni. Avete da compiere il lungo
viaggio verso la Luce. Lo compiremo insieme, perché anche noi la Luce
continuiamo a cercarla come voi la cercate, pur se ci differenzia una foggia
diversa di grembiule. Quando crediamo già di poter essere illuminati, ci
accorgiamo che in fondo alla strada la luce è più sfolgorante e che il carnmino
non è mai compiuto se non nei primi passi. Perché non vi è limite alla ricerca
del sapere, non vi è raggiungimento finale della conoscenza, non esiste diritto
di sosta nel levigare la pietra grezza e quando ogni asperità sarà livellata,
sempre occorrerà ancora intervenire con gli strumenti che la Massoneria ci
insegna ad usare, perché la squadratura totale, definitiva è del solo Grande
Architetto, mentre noi siano umili operai del Tempio, operai volenterosi, ma
operai, con tutti i difetti, con tutte le imperfezioni che l’uomo trascina nel
suo viaggio terreno.
Ma siamo insieme, uniti nella Catena della Fratemità ed
insieme lavoreremo alla costruzione del Tempio, anche se sappiamo che il Tempio
non potrà mai essere compiuto. L’importante è che si lavori da Massoni, e cioè
da uomini seri e consapevoli. Poter compiere questo lavoro nella nostra
Famiglia ci dà forza, coraggio, serenità, perché il segreto d’esser paghi di
aver ben prodotto per il bene della Massoneria e dell’Umanità non è nell’aver
raggiunto un traguardo, ma è come si tende a raggiungerlo, è nella convinzione,
nella fede, nell’operosità dei nostri atti, nella purezza delle nostre
21
E quindi abbastanza chiaro cosa si debba ora intendere per
“essere liberi”; cosi pure è chiaro che nessuno può mai essere
completamente libero, che lo si chiami Profano, oppure Iniziato, almeno nella
condizione umana che sola ci è dato di conoscere. Ma anche qui la richiesta di
“essere un uomo libero” non deve essere intesa come quella di un
risultato già raggiunto (che è idealistico ed impossibile), ma solo come la
espressione di una chiara intenzione, si potrebbe dire, di essere ogni giorno
un po’ più libero del giorno precedente, o perlomeno non meno libero. Fino al
punto da metterc in discussione questa “chiara intenzione”, chiedendosi
cosa essa sia in realtà.
E solo su queste basi che è possibile un incontro tra
Fratelli, capace di superare barriere sociali, religiose, politiche,
economiche, vale a dire che è su queste basi, e solo su queste, che ha senso il
trinomio, nato all’interno della Istituzione, di Libertà, Uguaglianza,
Fratellanza.
Ed è per rendere possibile questo incontro che la Massoneria
vive ed opera, come dice una formula rituale, “per il bene dell’Umanità ed
a maggior gloria del Grande Architetto dell ‘Universo”.
Con ciò, sono dette le cose essenziali che dovrebbero rendere
possibile per te, che noi forse un po’ orgogliosamente diciamo Profano,
prendere una decisione al riguardo della Istituzione Massonica. Questo non è
altro che l’inizio di un discorso, ma mira direttamente alla sostanza dei
fatti, senza conoscere la quale discussioni su terreni quali quello dei
rapporti con la Chiesa Cattolica, o altri analoghi, finiscono con l’essere
diatribe accademiche prive di senso.
Questa mia tavola vuole mantenersi nel tema dei
nostri lavori di quest’anno, cioè il “Conosci te stesso”, prendendo
però spunto da un ‘analisi, per cosi dire scientifica, per giungere poi
attraverso ad esperimenti vari a delle conclusioni di natura esoterica, vere o
ipotetiche che possano essere.
I Fratelli mi vogliano scusare fin d’ora sc l’argomento non
sarà di loro interesse, o li annoierà, se non sarà consono alle loro vedute, e
se le conclusioni potranno sembrare loro azzardate.
Io le espongo cosi, come ipotesi, dopo aver illustrato le
poche conoscenze scientifiche che ho in materia e gli esperimenti che ho avuto
occasione di leggere su una rivista medica, i quali, pur avendo degli scopi
totalmente diversi, tuttavia ben si adattano al nostro genere di lavoro, se
interpretati sotto un altro punto di vista.
Si è sentito parlare molto nelle nostre tornate di mente,
di pensiero, di intelligenza, di passioni, di condizionamenti, di ego, di Sé,
di Spirito, ecc., e ognuno ha dato di questi concetti le proprie interpretazioni,
magari anteponendo gli uni agli altri, soffocandone alcuni per sprigioname
altri, ecc., allo scopo di arrivare sulla via della Realizzazione e della
Conoscenza.
Ora mi sia concesso di esprimere la mia opinione di uomo
mezzo scientifico e mezzo esoterico, che può credere di aver trovato
un’ennesima strada, magari completamente diversa, e magari sbagliata, che però
presenta, se non altro, un certo carattere di curiosità, e perché no, di
suggestività.
Sono costretto però, prima di giungere agli argomenti che
vi possono interessare, ad introdurre dei concetti di ordine psicologico,
trattati sotto un profilo medico-scientifico, che, anche se sono un po’
complessi, spero siano tuttavia di facile comprensione anche per chi non è
addentro a queste cose.
La vita psichica non è un mondo astratto, che vive di vita
propria, bensì un insieme di attività strettamente legate alla vita organica,
che subiscono l’influenza di questa e influenzano a loro volta l’attività delle
funzioni organiche.
Le diverse attività psichiche sono legate tra di
loro sia per processi di associazione, nel senso che un’attività modifica il
funzionamento di un’altra, sia per processi di integrazione, nel senso che le
diverse attività costituiscono un tutto umco che è la psiche stessa.
Le attività psichiche possono suddividersi
in tre gruppi:
l. Quelle più strettamente intellettive, cioè
i processi del pensiero.
Quelle della vita affettiva, sentimentale ed istintiva.
La personalità, che è l’insieme delle tendenze
individuali e delle volontà.
Nella vita normale questi tre gruppi di attività funzionano
in un armonico equilibrio, pur prevalendo di volta in volta, secondo le
circostanze e secondo il temperamento individuale, I ‘una sull ‘altra, ma
conservando un certo reciproco controllo. Le attività psichiche da cui
dipendono i fenomeni del pensiero ed i comportamenti,
sono la risultante di un complesso
gioco di meccanismi, di processi i quali utilizzano le diverse sensazioni del
mondo estemo ed i prodotti del mondo interiore, elaborando questo materiale.
Come per le funzioni nervose, così per quelle
psichiche il materiale elaborato proviene in gran parete dal mondo estemo,
sotto forma di sensazioni, che ad ogni istante e in gran parte giungono ai
centri superiori. Di queste sensazioni, non tutte vengono utilizzate per la
vita psichica: moltissime, forse la maggior parte, non giungono neppure alla
soglia della coscienza, o, se vi giungono, si dileguano rapidamente, senza lasciare
traccia, almeno apparentemente, e non vengono utilizzate; altre volte vengono
utilizzate ed elaborate, e lasciano tracce più o meno persistenti.
Il primo processo psichico di utilizzazione delle
sensazioni, il processo psichico quindi più elementare, consiste nella
percezione, cioè nella facoltà di integrare fra di loro le varie sensazioni che
provengono dal mondo estemo, di completarle con le tracce di sensazioni
precedenti( cioè di ricordi), di dar loro un significato. Ma le percezioni
riuscirebbero inutili alla vita psichica se avessero tutte la medesima
intensità, se non intervenisse un processo di confronto e di selezione fra le
varie percezioni; e questo processo è, agevolato dall’attenzione.
L’attenzione è una particolare tensione psichica
diretta ad utilizzare le percezioni e a renderle vive. Quando noi guardiamo,
ascoltiamo, pensiamo, passano nella nostra coscienza percezioni, immagini, idee
diverse; queste però non hanno tutte la medesima intensità e chiarezza, né si
succedono con la medesima rapidità: alcune si presentano più intense e più
chiare di altre, e su alcune di esse la nostra coscienza si arresta, mentre le
altre impallidiscono e vengono come ignorate.
Questo dirigersi e arrestarsi della nostra coscienza
su qualcosa, facendola risaltare su tutto il resto, è dovuto all’attenzione.
Varie sono le forme e le modalità con cui l’attenzione si esplica, e varie le
condizioni che la determinano.
Faccio degli esempi: il corridore che attende il
segnale per spiccare la corsa, lo spettatore che assiste ad uno spettacolo, lo
studioso che cerca la soluzione di un problema, sono tre casi diversi in cui
l’attenzione è rivolta, rispettivamente alle attività motrici, alle attività
sensoriali, alle attività mentali. Inoltre le nostre capacità di riflettere non
hanno sempre lo stesso livello di intensità, e l’attenzione è appunto funzione
di questo livello: vi sono attenzioni brevi e intense come il caso del
corridore che attende il segnale di partenza e attenzioni meno intense ma più
prolungate come il caso dello spettatore.
Inoltre l’attenzione può essere spontanea o
volontaria, attiva o passiva. Spontanea o passiva è quando siamo attratti da
qualcosa che ci interessa e che devia il corso dei nostri pensieri, e questa
non richiede alcun sforzo. Volontaria o attiva invece è quando dipende dall
‘iniziativa del soggetto, come la risoluzione di un problema, e che richiede
uno sforzo più o meno intenso.
La carica affettiva, cioè i sentimenti e le emozioni,
esercitano una grandissima influenza sull’attenzione, deviandone il corso e
incanalandola su binari ben stabiliti, come il melanconico su idee sempre
tristi, l’innamorato sull’oggetto del suo amore, ecc..
Ogni percezione lascia, nella nostra psiche, una
traccia che può dileguarsi più o meno rapidamente, o persistere più o meno
tenacemente. Queste tracce, integrandosi con quelle lasciate dalle percezioni
precedenti, costituiscono i ricordi e la memoria.
La memoria è appunto la facoltà di conservare le tracce di
impressioni ricevute, di rievocarle e di riconoscerle. Quando noi richiamiarno
alla nostra mente cose che abbiamo visto, avvenimenti cui abbiamo assistito,
discorsi che abbiamo ascoltato, idee che hanno attraversato la nostra mente,
possiamo rievocarli nella nostra memoria, riprodurli in noi con una fedeltà più
o meno grande, collocarli nel tempo associandoli con maggiore o minore
esattezza ad altri avvenimenti, oppure creare noi stessi delle immagini, delle
rappresentazioni utilizzando i ricordi delle percezioni passate e combinandoli
in vario modo fra di ‘loro.
Ma anche ci proponiamo di
rievocare un’immagine, un avvenimento nel modo più fedele possibile, la nostra
memoria ci inganna sempre, in maggiore o minore misura.
Il ricordo non è mai la riproduzione fedelissima di una
percezione passata: è sempre qualcosa di diverso, perché una parte, sia pure
piccolissima, delle tracce lasciate in noi dalle percezioni va quasi sempre
perduta, e perché al residuo delle percezioni passate si aggiunge spesso,
inconsciarnente, qualcosa di estraneo o qualcosa di nuovo dovuto a percezioni
avute in seguito. La diffcoltà nella formazione delle tracce mnemoniche è quasi
sempre legata, e spesso dovuta, ad un difetto di attenzione.
A questo punto dovremmo dire
qualche parola su due processi psichici assai importanti: l’ideazione e la
coscienza.
Per coscienza intendiamo quello stato psichico che ci
permette di utilizzare le impressioni che ci giungono dal mondo estemo ed i
prodotti della nostra attività interiore. Nell’incoscienza ogni contatto con il
mondo estemo è perduto ed ogni attività psichica è spenta; un tale stato di
incoscienza assoluta si riscontra solo nel coma.
Ma tra la coscienza e
l’incoscienza esiste tutta una serie di gradi, fra cui annoveriamo il
cosiddetto sub-cosciente.
Come già abbiarno detto, nella vita di ogni giomo
innumerevoli percezioni raggiungono la nostra coscienza; molte vengono
immediatamente elaborate ed utilizzate e lasciano delle tracce persistenti, ma
la maggior parte di esse si dilegua e non lascia, in apparenza, alcuna traccia.
Ma questo dileguarsi di percezioni, di idee, di sentimenti, che pure sono stati
vissuti, anche solo per breve tempo, non è che apparente: essi rimangono in
noi, al di sotto della soglia della coscienza, e possono, in particolari
circostanze, venire a galla. Non solo, ma anche quando non raggiungono la
soglia della coscienza, non rimangono inerti: lavorano nel mondo del
sub-conscio, formando pensieri, concetti, elaborazioni complicatissime che, per
particolari stati d’animo, forti cariche emotive, o determinati artifizi,
possono balzare a galla, lasciandoci perplessi o stupiti, perché siamo sicuri
di non avere mai percepito o pensato cose simili che spesso appaiono più grandi
delle nostre possibilità, e l’elaborazione è stata talmente complessa che sarebbe
impossibile risalire col ragionamento alle varie percezioni di base che l’hanno
determinata.
A questa improvvisa e sconcertante presa di coscienza diamo
impropriamente diversi nomi: intuizione, folgorazione, lampo di genio,
ispirazione, ecc., e bisogna stare attenti a non confondere queste situazioni
con il raggiungimento di qualcosa di trascendente, dandogli magari addirittura
il nome di Illuminazione o di Conoscenza.
Ancora due parole sull’ideazione. Il processo
dell’ideazione si compie in virtù di un doppio meccanismo: per un processo di
astrazione, con il quale gli elementi comuni a diverse rappresentazioni vengono
isolati, liberati dai caratteri specifici delle singole rappresentazioni. ed
acquistano il valore e l’autonomia di concetti; e4 per un processo di
associazione, per cui una rappresentazione, un ricordo, un’idea, richiama altœ
rappresentazioni o idee che hanno con quella alcunché di comune.
Dalle rappresentazioni di un lago, del mare, di un fiume,
della pioggia nasce, per astrazione, l’idea dell ‘acqua.
Il ricordo di un avvenimento, la vista di una
persona, una parola, un nome ci richiamano, per associazione, altri
avvenimenti, alcuni caratteri di quella persona, alcune proprietà dell ‘oggetto
espresso da quella parola, od altre parole che hanno con quella rassomiglianze
fonetiche.
1 processi di associazione di possono dunque
compiere diversamente, poiché diversi sono i rapporti fra le varie immagini ed
idee. Alcune immagini o idee ne richiarnano altre simili (associazione per
somiglianza), oppure altre che hanno significato o valore opposto (associazione
per contrasto), oppure richiamano altre immagini che sono ad esse legate da un
rapporto purarnente occasionale: l’evocazione di un avvenimento personale
richiama il ricordo degli avvenimenti che l’hanno preceduto o seguito, delle
persone che vi hanno preso parte, dell’ambiente e del tempo in cui è accaduto
(associazione per contiguità).
Questi processi di astrazione e associazione sono
enormemente facilitati dal linguaggio il quale sostituisce alle cose e ai
concetti i simboli che li rappresentano.
Un particolare processo di ordine superiore, il
ragionamento, mette a confronto diversi concetti, distingue il probabile
dall’improbabile, il possibile dalPassurdo, e ci conduce ad affermare dei giudizi.
Concludendo questo purtroppo lungo preambolo,
possiamo riassumere che: il mondo sensibile ci fornisce il primo materiale
della conoscenza; la memoria e le associazioni lo conservano e lo elaborano;
l’attenzione dirige questo lavoro secondo un fine prefisso; il ragionamento ci
conduce alla comprensione dei rapporti logici ed all’affermazione dei giudizi.
Questo gioco di utilizzazione delle percezioni, di
rievocazioni, di confronti e di scelta costituisce il pensiero, dal quale
dipende in gran parte il nostro comportamento.
Il pensiero è dunque la risultante di complicatissimi
processi che si integrano a vicenda.
Ora prima di giungere alte conclusioni che spiegano
come utilizzare queste nostre facoltà psichiche per poter giungere ad una
migliore conoscenza e ad un progresso su noi stessi, vi devo spiegare
brevemente alcuni esperimenti eseguiti da fisiologi americani su uno degli
organi di senso dell’uomo: la vista.
Questi ricercatori hanno scoperto che le circonvoluzioni
cerebrali nelle quali sono localizzati i sistemi visivi, sono plastiche e
vengono modificate dall ‘esperienza.
Da ciò deriva direttamente che, nel nostro mondo visibile,
ciò che oggi vediamo è probabilmente, almeno in parte, determinato da ciò che
abbiamo visto in passato.
Tale processo di adattamento delle proprietà dei
rivelatori visivi con l’ambiente visivo avrebbe luogo continuamente, dall
‘inizio alla fine della vita.
Questa importante scoperta è in grado di incidere
notevolmente nella dibattuta questione su quanto è da noi geneticamente ereditato
e quanto invece viene acquisito con l’esperienza, indicandoci che noi
acquistiamo dalla nascita solo la capacità potenziale di vedere, ma in realtà
non vediamo nulla, e solo dopo svariati stimoli acquistiamo tale facoltà.
Quando noi ci guardiamo attomo, i raggi di luce che cadono
sui nostri occhi sono esattamente gli stessi che colpiscono gli occhi di
qualsiasi altra creatura nella nostra stessa posizione, sia essa un coniglio,
una tana o una mosca.
Ma le cose del mondo estemo che interessano noi non sono
quasi certamente altrettanto interessanti per quegli animali e viceversa:
ciascuno vede in effetti ciò che lo interessa, e le caratteristiche del sistema
visivo di ogni specie sono probabilmente corrispondenti alle sue necessità
compoflamentali.
Alcune delle maggiore restrizioni di ciò che un animale è
in grado di vedere sono dettate dalle proprietà ottiche dei rispettivi sistemi
visivi. Cosi noi non possiarno percepire la luce ultravioletta giacché le
nostre lenti la filtrano prima che essa possa raggiungere la retina; ma
certamente alcuni animali la percepiscono.
E la retina stessa impone altre notevoli limitazioni
visive. Alcuni animali non percepiscono i colori perché tutti i loro coni hanno
la stessa contemporanea sensibilità spettrale; altri animali mancano di
bastoncelli e sono pertanto virtualmente ciechi dopo il crepuscolo; altri
ancora, come le mosche, pur avendo un vasto angolo visivo, hanno i rivelatori
così distanziati che la loro acutezza visiva è senz’altro molto ridotta (coni e
bastoncelli sono particolari elementi cellulari della retina che ricevono gli
stimoli luminosi e li trasmettono, attraverso i nervi ottici, trasformati in
stimoli bio-elettrici ai centri visivi cerebrali. 1 coni sono deputati alla
visione diuma, e alla sensibilità ai colori, mentre i bastoncelli svolgono 1a
loro funzione nella visione nottuma e in quella in bianco e nero).
Secondo alcuni recenti studi, le vie nervose e cerebrali
dettano ancora più severi limiti all ‘analisi visiva.
Ciascuna specie ha la sua collezione specifica di
rivelatori ai vari livelli del sistema visivo, e ogni neurone visivo ha
caratteristiche piuttosto precise che, una volta innescato, producono impulsi
specifici: solo una certa immagine, su un certo punto della retina, solleciterà
quella cellula nervosa.
Così le rane hanno particolari “rilevatori di
insetti” che corrispondono solo ad un piccolo oggetto che voli nel loro
campo visivo, ed hanno dei “rivelatori di novità” che scattano
soltanto allorché un oggetto in movimento nella loro visuale cambia direzione.
Uno studio interessante è stato condotto a Carnbridge,
allevando dei gatti completamente al buio fin dalla nascita, e introducendoli
soltanto per qualche ora al giomo in ambienti speciali le cui pareti erano
dipinte a strisce orizzontali oppure verticali. A cinque mesi e mezzo, gli
animali sono stati condotti in un ambiente qualsiasi per osservare il
comportamento. Per qualche ora, essi sembrarono totalmente ciechi, ma poi
cominciarono a seguirc con gli occhi oggetti che si muovevano e ad esplorare il
loro nuovo mondo.
Ma questo era un mondo un poco più vuoto del normale, giacché
essi erano ciechi rispetto agli orientamenti opposti a quelli cui erano stati
abituati. Il gatto assuefatto alle righe verticali, ad esempio, non mostrava
alcuna reazione di fronte ad un foglio dipinto a strisce orizzontali spinto
verso di lui, e viceversa.
La ragione di questo comportamento fu successivamente
rivelata dall ‘EEG; esso rese infatti evidente la mancanza di cellule visive
per quel particolare orientamento che il gatto non aveva mai avuto occasione di
sperimentare.
Solo dopo molto tempo questi animali tomarono normali,
cioè simili a quelli che non avevano subito questo trattamento.
La qualità plastica delle cellule visive che questi studi
hanno sottolineato, e cioè la
loro capacità di adattamento al mondo
visivo esterno, è senz’altro utile all’animale, in quanto il suo cervello viene
proporzionalmente reso più sensibile a quelle cose che l’animale vede più
spesso, perché rivestono per lui un maggiore interesse.
Queste esperienze portano a formulare l’ipotesi assai
probabile (poiché le altre funzioni cerebrali sono simili) che tale capacità di
adattamento non sia esclusiva del sistema visivo, ma sia presente in qualsiasi
altro campo della esperienza e della percezione.
Ciò comporterebbe, in caso di percezioni diverse dalle
solite, un totale rivolgimento anche delle funzioni psichiche superiori, dalla
conoscenza alle associazioni, alle ideazioni, al ragionamento, al pensiero
stesso.
Tutti questi esperimenti ci lusingano, nella nostra
presunzione umana, all’idea che esistano cose reali appartenenti al mondo
reale, che perè restano letteralmente al di là della nostra comprensione, non
possedendo noi l’apparato nervoso adatto a conoscerle.
Forse esistono dei suoni dolcissimi a milioni o miliardi
di Hz che il nostro misero orecchio non sente; cose od oggetti dai meravigliosi
colori sconosciuti che il nostro occhio non vede; profumi od essenze
delicatissimi che il nostro olfatto non percepisce; e magari impalpabili e
invisibili esseri viventi che il nostro tatto non riesce a toccare. Gli animali
privi di coni retinici, e quindi con visione solo in bianco e nero, non
immaginano neppure che esistano i colori che vediamo noi.
Non è forse quindi lecito pensare che anche noi non
abbiano le possibilità di percepire cose inimmaginabili?
Queste però sono ipotesi che, poiché esulano dalle nostre
possibilità fisiche e psichiche, non potremo mai, dico mai, controllare con i
nostri mezzi per asserirne la veridicità.
Facciamo ancora un passo avanti.
Quando parliamo di Trascendente con la T maiuscola, quando
parliano di Spirito Universale, di Conoscenza Integrale, di Vita Ultraterrena,
che cosa facciamo? IPOTESI.
Ipotesi meravigliose di cui nessuno potrà mai avere la
certezza, perché i mezzi a nostra disposizione hanno un limite massimo oltre il
quale non potremo mai andare.
E allora che cosa giova alla nostra
Realizzazione parlare di queste cose?
La nostra Realtà è quella imposta dai nostri limiti; che
ne esistano altre, ben superiori è un’ipotesi molto suggestiva, ma di nessuna
realtà pratica.
E allora, mi direte voi, che cosa si può fare per
progredire sulla via della Conoscenza e della Realizzazione?
Che cosa dobbiamo fare per conoscerci
meglio e per migliorarci?
C’è un mezzo, abbastanza semplice da capire, ma assai
difficile da mettere in pratica.
Quando ho detto che le nostre possibilità hanno dei limiti
insuperabili, non ho detto che questi limiti li abbiamo raggiunti, anzi ne
siamo ben lontani.
Quindi non ci resta che sforzarci a mettere in funzione
ogni nostra attività psico-sensoriale in modo da migliorare costantemente la
nostra conoscenza, che dovrà essere raggiunta nel nostro mondo, nella nostra
realtà, quella di tutti i giorni, che ci sfugge, perché il nostro pensiero è
cieco ad essa per non averla mai vista: come il gatto è cieco alle righe
orizzontali o verticali perché non le ha mai viste. In che modo dobbiarno
agire?
Qui entrano in gioco le facoltà psichiche
di cui ho parlato all’inizio.
In primo luogo modificare le percezioni sensoriali,
modificando l’attenzione. Noi siamo distratti dall ‘attenzione passiva che, non
richiedendo nessuno sforzo, è quella che ha il sopravvento su di noi e finisce
per darci sempre le stesse informazioni, incanalando il nostro pensiero su
schemi fissi.
Usiamo di più l’attenzione attiva ponendo attenzione alle
cose che ci sembrano più insignificanti, guardandoci intorno in modo diverso,
modificando i significati della vita.
Già cominceremo gradatamente a vedere e percepire
un’infinità di cose che non avremmo mai immaginato, e gradatamente anche noi
vedremo le strisce verticali od orizzontali come il gatto. Plasmiamo le nostre
cellule cerebrali a nuove sensazioni, modificando l’intensità delle percezioni.
Cerchiamo di catnbiare i processi ideativi nei loro due meccanismi di
astrazione e associazione: otterremo dei diversi modi di ragionare, e quindi
modificheremo anche il nostro pensiero e bon esso la nostra Essenza stessa.
La Realtà è qui attorno a noi, e la Luce che cerchiamo
ci sommerge fino al collo, ma dobbiamo entrambe vederle, sentirle, concepirle,
plasmando le nostre cellule cerebrali in modo diverso da quello che abbiamo
fatto finora.
Abbiamo la fortuna che con noi lavora, per conto suo,
il nostro sub-conscio, come un amico che ci è vicino, e che ogni tanto ci
rivela le sue scoperte.
Queste scoperte sono finite e reali e altro non devono
servire che ad intrecciarsi con le nostre per fonnare con esse dei nuovi
concetti, delle nuove informazioni da elaborare, per rendere il nostro Io,
unico ed indissolubile in tutte le sue manifestazioni, a delle conoscenze
sempre superiori che, se non raggiungemmo la Conoscenza Integrale, serviranno
sempre a conoscerci meglio e a darci la Serenità, la Pace, la Gioia, la Sicurezza
che tanto ci mancano e che, in fondo, costituiscono l’unica vera Realizzazione
che siamo in grado di ottenere, e che è più che sufficiente per dare uno scopo
alla nostra Esistenza.
R. Sprt, 28 marzo 1974
dell’e:. v:. (1 0 grado
Maestro Venerabile, Fratelli tutti
di ogni Dignità e Grado,
siamo agli inizi del nuovo Anno Massonico 1973-74
dell’era volgare ed agli inizi di un nuovo ciclo dei nostri lavori.
E torniamo a domandarci: quale deve essere il vero
Lavoro di un’Offcina Massonica?
Credo che la miglior fonte, per trovare la risposta,
sia il nostro Rituale: Anche se sulle prime appare per lo meno strano, quanto
più ci si abitua e ci si medita si è indotti a ritenere che è stato scritto con
somma saggezza e con grande ricchezza di contenuti.
Ogni simbolo è un pentacolo, una figura che, anche
quando è estremamente semplice, prendiarno ad esempio la Squadra, ha
significati metafisici addirittura cosmogonici; ed ogni volta che lo si vede,
non si può far a meno di meditare sui due Principi della creazione, della
Materia, l’orizzontale, e della verticale che simboleggia lo Spirito.
E, quando si aprono i Lavori e si pongono Squadra e
Compasso sulla prima pagina del Vangelo di Giovanni, non possiarno far a meno
di ricordare che le prime parole di Giovanni sono: “In principio era il
Verbo, ed il Verbo era con Dio, ed il verbo era Dio
All’accensione delle Candele, ricordiamo che il Primo
Esperto, dopo aver fatto battere il recipiendario alla Porta del Tempio,
risponde alla domanda che gli è stata fatta dall’interno: “E un profano
che cerca la Luce ‘
Anche se siamo omati dalle insegne di Maestri o di
Compagni, siamo in realtà tutti Apprendisti, e la Massoneria è quell’istituzione
che, unica al mondo, ci affratella tutti perché ci aiutiamo scambievolmente
alla ricerca della Luce.
Noi proclamiamo inoltre di Lavorare per il bene dell
‘Umanità ed a Gloria del Grande Architetto dell ‘Universo.
Come si può lavorare per il bene dell
‘Umanità?
A parte che nelle nostre file non ci sono condottieri,
né profeti di nuove dottrine redentrici, osserviamo con Aldous Huxley che
simili supermen sono stati portatori di grandi mali, più che di benefici per l
‘ Umanità. Basta ricordare i massacri ed i genocidi fatti in nome di tanti
credi religiosi e politici; e quelli che si continuano a fare oggi.
I veri benefattori dell’Umanità lavorano marginalmente,
incominciando da se stessi, e poi spargono un seme che purificherà lentarnente,
ma deve fruttificare entro i cuori della gente; non gli può essere imposto con
la violenza, né fisica, né mentale. Noi tutti vogliano essere riformatori; ma,
se vogliamo che sia efficace, la riforma deve cominciare da noi stcssi, e
sarebbe già un grandissimo successo quello di aver riformato noi stessi per il
bene.
Ma, ovviamente, per mettere in atto una riforma, che può, nel
nostro caso, essere completamente radicale, occorre conoscere perfettamente ciò
che deve essere l’oggetto della riforma e poi, si potrebbe aggiungere,
occorrerebbe aver definito con chiarezza il modello al quale si tende con la
riforma. Si vedrà in seguito che questo modello esiste già, entro ciascuno di
noi, e che viene ad essere conosciuto, e direi anche attuato, già con la sola
operazione del conoscere la totalità del nostro essere.
Tanto per dare un primo abbozzo al
problema, che è quello di conoscere se stessi, e per distinguere due specie di
conoscenza, direi che bisogna fare un distacco netto tra conoscenza mentale e
conoscenza sperimentale ed un terzo tipo, che direi subito deteriore, che è di
una attuazione esistenziale, di cui diremo subito, per scartarla al primo
esame. Si tratta della cosiddetta realizzazione di se stessi da farsi con atti
arbitrari ed incondizionati, che possono raggiungere anche il delitto gratuito;
si tratta di modi di auto affermazione che dovrebbero servire a risolvere
l’angoscia esistenziale per mezzo di una violenta affermazione dell’Ego
rudimentale con atti di presunta potenza; non credo che valga la pena di
prcndere in considerazione questa modalità, che porterebbe, semmai,
all’accentuazione di una sola frazione dell’io, con la cancellazione di tutte
le altre frazioni, e specialmente quelle superiori.
Venendo alla conoscenza di tipo mentale, anche nell’uso comune
della frase “io mi conosco si intende dire “io so che, in quella
determinata circostanza, mi comporterò in questo certo modo, oppure, la penserò
in quel certo modo”. conosco, lo so come sei . e
così via. Portata ad un livello scientifico questa conoscenza diventa la
psicologia, ecc. ecc.. Si tratta cioè di osservazioni fatte ed organizzate
dalla mente, di fatti che avvengono a livello fisico o, al massimo, a livello
mentale.
Ma, al di là della mente, non esiste nulla? Anche senza
ricorrere a dottrine di metafisica pratica, possiamo dire che tutti noi abbiamo
sperimentato e visto fatti che fanno pensare a qualcosa che opera al di fuori,
se vogliamo al di sopra, della mente. Ispirazioni improvvise, intuizioni
artistiche, messaggi telepatici, premonizioni … sono tutte cose che esulano
dalla sfera mentale e che fanno pensare che nella composizione dell ‘uomo ci
sia qualche cosa di più delle componenti del corpo fisico, istinti, sentimenti,
passioni e ragionamento. Forse già certe manifestazioni della volontà sono
extra-mentali.
Ed allora, per esplorare questi campi poco accessibili
dell’io, la mente non è più suffciente. Ed è probabile che, in questi campi, si
possano trovare cose assai interessanti.
Possiamo andare a fiuto e cominciare a
sospettare qualcosa.
Nelle Tavole di Smeraldo, Ennete Trismegisto dice:
“Ciò che è in alto è come ciò che è in basso Che cosa potrebbe
significare? In basso, l ‘ Uomo; in alto, I ‘Universo (intero, visibile ed
invisibile). L’Uomo è fatto di materia, e via via di tante componenti che si
allontanano da essa; istinti, sentimenti, mente … e …? Dell’Universo
vediamo solo la parte materiale … ma nei laboratori di fisica nucleare si
lavora con le parti più sottili della materia … elettroni, protoni, fotoni,
ecc.; e queste particelle diventano tanto più esclusive quanto più sono
piccole. L’elettrone si comporta, a piacere, come carica elettrica, come treno
di onde, come luce, come massa materiale … e allora? Gli strumenti che, a suo
tempo, la Mente aveva forgiato per veder un certo ordine nel mondo fisico, le
matematiche classiche, non funzionano più, a quei livelli, e si devono adottare
matematiche nuove c quello che nelle nostre mani era materia solida, pesante,
da toccare, da masticare, da tirare in testa allo scocciatore è svanita in
nuvolette di onde, o luce, o cariche elettriche.
Ciò che è in alto è come ciò che è
in basso; è il fondamento dell’analogia; spiega perché l’uomo è detto il
microcosmo, strutturalmente analogo al grande Cosmo. Ed allora, conoscendo l’
Uomo, sarebbe possibile giungere a conoscere l’ Universo. Si tratta di trovare
i mezzi per conoscere I ‘Uomo.
I Santi indiani, coloro che scrissero i Veda e le
Uppanishad; i Profeti ed i Veggenti Ebrei, che ci diedero la Kabbalah; i
Filosofi della Gnosi e tutta una schiera appartenente a tutte le civiltà, ci
hanno lasciato e ci stanno dando ampia informazione sulla struttura dell’Uomo e
sul modo di averne pratica esperienza. Per conoscere proficuamente la nostra
struttura, non è sufficiente sapere che siamo costituiti da molti strati, ecc.
ecc., ma occorre che diamo la scalata a codesti strati che stanno al di fuori
della nostra normale esperienza e andiamo a vedere direttamente. Andare a
vedere direttamente vuol dire prendere coscienza di tutti questi strati che ci
compongono; questa presa di coscienza deve divenire cosa di tutte le ore,
questa presa di coscienza implicherà il riordinamento gerarchico nelle funzioni
di tutti questi strati.
Dice una bellissima Uppanishad (la Katha Uppanishad,
ii. vv. IO e segg.) che l’uomo è un complesso formato da un padrone che sta su
di un carro, guidato da un auriga e tirato da un cavallo. Il carro è il corpo;
il cavallo è i sentimenti, gli istinti e le passioni; il cocchiere è la mente;
ed il padrone, il vero Io, lo Spirito. La logica vorrebbe che il padrone desse
ordini al cocchiere, che questo guidasse il cavallo e che, infine, questo
tirasse il carro. Ma non è cosi quasi mai. Molto spesso, è il carro che prende
il comando e porta tutti dove vuole lui; spesso la fa da padrone il cavallo; e,
nelle persone cosiddette intelligenti, equilibrate, il cocchiere comanda tutto.
Ed il padrone? Sembra chiaro che l’uomo integrato sia quello nel quale è lo
Spirito a comandare e tutto il resto stia al posto giusto. Ma perché si possa
dare il comando al Padrone bisogna riconoscerlo, mettersi in comunicazione con
Lui.
Cerchiamo allora, per il bene della Loggia in particolare,
dell’Ordine e dell’Umanità in generale ed a Gloria del Grande Architetto
dell’Universo, di divenire noi stessi uomini integrati e poi, forse, potremo
anche dedicarci a riformare il mondo.
M. Bnc, 20 settembre 1973
dell’e v:. (1 0 grado
GIOVANNI
XXIII E LA MASSONERIA di Padre Rosario F.
Esposito
1. – Un cammino laborioso
L’argomento non riveste
un’importanza primaria in questo pontificato, 111a ha un certo rilievo; me ne
sono occupato in diverse circostanze, qui sosterò su alcuni momenti
particolarmente significativi ringraziando fin d’ora Mons. Loris F. Capovilla,
il quale. come ha fatto in passato per altre questioni giovannèe, anche in
questo caso mi è stato largo di consigli ed ha messo a mia disposizione la
documentazione in suo possesso. L’apertura di Papa Giovanni agli altri, estesa
a tutto campo, è un dato di fatto “antico c accettato”. Lo fu anche
nei confronti della Massoneria’? Sostanzialmente la risposta è positiva, ma
l’accoglimento di tale istanza non è stato privo di problematiche.
Le difficoltà nascevano dalla situazione polemica affermatasi
in Italia nella seconda metà del secolo XIX e nei primi due decenni del XX. Il
magistero di Pio IX e di Leone XIII, caldamente assimilato dalla popolazione
cattolica, impressionò fortemente il seminarista “romano” Roncalli.
Gli echi più espliciti si colgono nel Giornale dell ‘anima. Il 4 settembre 1900
scrive un’annotazione che molto probabilmente echeggia i rumorosi ed
intemperanti preparativi della prossima solennità civile del XX Settembre, nei
quali la Massoneria italiana, allora radicalmente e indebitamente
politicizzata, s’ impegnava in prima linea. Il seminarista esprime il suo
“entusiasmo per il grande Leone XIII, a cui in questi giorni si rinnovano
le ingiurie più incresciose. più maligne, più diaboliche. L’ora è triste,
Preghiamo. Oretnus pro Pontifice nostro Leone” (p. 82). Il riferimento al
satanismo, che all’epoca era vivo nella Chiesa di tutti i livelli, soggiace
all’esperienza roncalliana del principio del secolo. Alcuni anni dopo un
cammino identico verrà compiuto a Roma dal giovane francescano polacco
Massimiliano Kolbe, che nel 1917 fonderà la Milizia dell’Immacolata per rompere
questo cerchio antireligioso, e promuoverà la battaglia antirnassonica e
antiebraica, ovviamente in termini di recupero spirituale di questi erranti.
Il 20
febbraio 1902 Papa Leone compiva il venticinqucsimo anno di pontificato.
Partecipa entusiasticamente alla gioia della cattolicità ed esprime fervidi:
“Ah. Leone. Leone, salgano al cielo, fecondatrici di benedizione, di
prosperità. di vittoria per te e per l’opera tua, le mie povere preghiere… Il
Signore ti conservi, o Leone, al bene della Chiesa e della patria, alle glorie.
ai trionfi di Cristo nel suo popolo, non cessi dal trasfondere nella tua eterea
figura quel soffio potente di vita divina onde schiudi alle anime nostre,
sitibonde di felicità, orizzonti più chiari di giustizia e di carità
evangelica…’ (p. 1 19). Il 29 aprile 1903 fa un
chiaro riferimento implicitamente antimassonico a questa situazione dilacerata:
in tutta la vicenda questo riferimento non sarà mai esplicitato. ma il contesto
storico e l’espressione filologica non consentono dubbi di sorta. Edoardo VII
d’Inghilterra e poco dopo Guglielmo II di Germania sono in visita a Roma, e
saranno ricevuti anche dal Papa. Non gradisce il chiasso chc si fa nella città
ed esprime ammirazione perché il sovrano inglese contraddice l’impostazione
anticlericale dominante in Italia, un sentimento che Leone XIII aveva
manifestato più volte nei documenti e nelle allocuzioni. Egli scrive:
“Rendendosi superiore a certe voglie tendenziose dell’anticlericalismo
italiano e straniero, egli non si vergognò. anzi l’ebbe ad onore. di visitare e
di chinarsi davanti ad un altro uomo. ad un povero vecchio perseguitato, ma che
egli ha riconosciuto siccome più grande di sé, davanti al Papa, al Vicario di
Gesù Cristo” (p. 128). L’8 maggio, in occasione dell’udienza pontificia
dell’imperatore tedesco, esprime sentimenti analoghi (p. 130-131).
Tornato in diocesi, Don Roncalli toccò con mano le
contraddizioni che il clima post risorgimentale alimentava anche nella diocesi
bergamasca. A questo proposito sono eloquenti due lettere da lui rivolte a
Mons. Domenico Spolverini, rettore del Seminario Romano, di cui era stato
alunno. In quella del 13 aprile 1912 lo ragguagliava sulla battaglia che gli
anticlericali ed i laicisti promovevano contro le scuole cattoliche e
l’insegnamento religioso nelle scuole. Don Roncalli scriveva: “E
necessario star pronti alla battaglia per la libertà di insegnamento, poiché lo
spirito del male qui più che altrovc circuit quaerens quem devorez” (IPt
5, 9).
Nella lettera del 23 ottobre dello stesso anno il suo
radicalismo s’inasprisce ancora di più. Mons. Giacomo Radini Tedeschi gli
affida l’incarico di redigere la lettera collettiva dell’episcopato lombardo
contro questo movimento di laicizzazione. Al rettore romano confida: “E
tutta, alla lettera, modesta opera del sottoscritto” e mi si fece l’onore
di affidarmela perché si pensò che trattando di un argomento così scottante non
avrei perduto la calma. Bisogna fare un po’ di tutto per salvar l’anima, e
quindi fingere anche di aver in petto un cuore di vescovo, anzi di tutti i
vescovi”. Si trovò dalla parte dell’intransigentismo, ma ci fu qualcuno
che seminò in lui quello spirito di tolleranza e di cordialità che avrebbe poi
prodotto una mèsse lussureggiante nell’ Oriente, in Francia, e sulla Cattedra
di Pietro. Egli proseguiva: “Ebbene, Mons. Bonomelli si è protestato di
non voler firmare — noto che egli non sapeva, credo, chi fosse l’autore — e non
firmò: e fu fortuna che nessuno degli avversari se n’è accorto. Ella veda, a
testa posata, se l’impianto fu infelice, o se vi fu esagerazione e dove.
Confesso che questo incidente ha turbato
un poco la mia ingenuità, quantunque io sappia che la lettera a
Roma incontrò approvazioni’
a) L’abiura del Comm. XC***
In primo luogo ricostruisco due dialoghi diretti e
personali che hanno come piattaforma la realtà massonica, poi mi porterò su
documentazioni più vaste e in parte più indirette. Il Nunzio
Roncalli nel
1946 s’ imbatté esplicitamente nella realtà massonica, nel rapporto stabilito
con il Comm. XC*** un personaggio italiano che aveva relazioni di alto livello
a Roma e nella Parigi in cui il Nunzio operava. L’episodio viene reso noto per
la prima volta in queste pagine. L’abituale cordialità del prelato contrassegnò
anche quest’ amicizia, l’ appartenenza massonica dell’interlocutore non la
turbò, ma agli occhi del Nunzio essa appariva come un’ anomalia che era
doveroso eliminare, per cui compì passi decisivi ordinati a raggiungere questo
scopo. Il 21 marzo 1946 il Commendatore gli scriveva:
“Eccellenza Reverendissima, Come ho avuto
occasione di dirLe stamani, Sua Santità il Sommo Pontefice conosce quale sia il
mio spirito religioso, profondamentc cristiano e cattolico. Questo spirito, cui
ho costantemente informato la mia vita e le mie azioni, tengo a confermarlo
anche ora. nonostante io sia stato inscritto alla Massoneria molti anni fa, e
mi sia reinscritto nel 1944, poiché il Gran Maestro dell’ Ordine garantiva agli
inscritti piena e assoluta libertà religiosa. Grato per la Sua ambita visita,
di cui avrò il ricordo sempre, La prego, Eccellenza, di gradire gli atti del
mio profondo e devoto ossequio e di dirmi, dell’Ecc.za V. devotissimo e
obbligatissimo, XC***”
Il dialogo proseguì e si approfondì. Il prelato
bergamasco seguiva fedelmente la tradizione e la prassi ecclesiale dell’epoca,
stabilita nel Codice di diritto canonico del 1917, che nel can. 2335 comminava
la scomunica “simpliciter reservata” a coloro che davano il nome ad
una sètta massonica che macchina contro la Chiesa e le legittime autorità
civili. Un cattolico di vita esemplare, che frequentava la nunziatura ed i
ministeri, a suo modo di vedere avrebbe fatto bene ad eliminare quella macchia.
Il Commendatore si mostrò sensibile ai suggerimenti del rappresentante
pontificio e maturò la decisione di abbandonare la Loggia. La dichiarazione che
egli firmò e che il Nunzio controfirmò, porta la data del 7 giugno 1946. La
terminologia usata è quella normale dell’epoca:
esprime una disapprovazione che risente della polemica antimassonica
solidamente st abilizzatasi nella Chiesa. Questo tipo di contrapposizione da
molto tempo è stata superata nel mondo anglosassone, mentre è persistita nell’
ambito concreto delle situazioni venutesi a creare nei paesi latino-cattolici.
Il testo dcll ‘abiura ricalca gli atti omologhi effettuati in rapporto alle
confessioni religiose acattoliche, mentre il personaggio non poteva ignorare
che la Massoneria non può essere annoverata tra di esse, ma rcsta nell’ambito
socioculturale e mantiene le caratteristiche dell’associazione umanitaria,
filosofica e morale. Egli rigetta i contenuti dell’ appartenenza iniziatica.
senza menzionarne nessuno, perché gli abusi riguardavano soltanto l’opera
svolta all’esterno della Loggia, in relazione al Risorgimento e soprattutto al
post-Risorgimento, e non intaccavano l’essenza dell’Ordine. Il personaggio
infatti si riferisce alla pena canonica oggettiva, nella quale sa di essere
incorso, come anche il Nunzio gli ha ricordato. Il testo dice:
“Parigi, 7 giugno 1946. Il
sottoscritto Comm. XC*** ben conosciuto da Sua Ecc. Monsignor Angelo Giuseppe
Roncalli, Nunzio Apostolico in Francia, confessa di essere stato inscritto per
parecchi anni alla sètta massonica e di avervi aderito più per circostanze
locali di posizione personale che per avversione al sentimento religioso, che
ha sempre coltivato nel cuore secondo la educazione cristiana riccvuta. Dopo
maturo consiglio, toccato dalla grazia del Signore, dichiara di ritrattare —
abiurando alla sètta — qualunque errore in essa professato in contraddizione
alla dottrina cattolica apostolica, romana, in cui intende vivere e morire. Dichiara
di separarsi da qualunque partecipazione alla sètta medesima. Chiede umilmente
perdono al Signore ed alla S. Chiesa l’assoluzione da ogni censura incorsa, in
tutto secondo le disposizioni ecclesiastiche rispettive”.
Nel diario del
Nunzio ci sono due annotazioni: la prima è del 24 marzo 1946: “Così pure
vidi il
Comm. che mi parlò della sua Massoneria”; la seconda è del 7 giugno dello
stesso anno, e si riferisce all e atto dell’ abiura appena
riportato, che viene indicata col termine più mite di rinunzia: “Visitai
poi il Comm. XC*** recandogli e ottenendo la firma della sua rinunzia alla
sètta massonica”. Questo episodio segna il punto di maggiore distanza tra
Papa Giovanni e la Massoneria
b) La concordia con la scelta del barone Marsaudon
Il fatto è già noto. lo ha rivelato in diverse
occasioni il suo stesso protagonista, il barone Yves Marsaudon, nella storia
del suo itinerario iniziatico ( I l . Il nobil’uomo riproduce il
testo di un’intervista da lui rilasciata l’anno precedente a Jean André Faucher
per il Jouvénal. ln essa era detto:
“Ero Inolto legato a Mons.
Roncalli. Mi ha ricevuto più volte alla Nunziatura, e in diverse occasioni è
venuto nel mio domicilio di Bellevue, nella Scine-et-Oise. Quando sono stato
nominato ministro dell’Ordine di Malta ho manifestato al Nunzio le mie
perplessità a causa della mia appartenenza massonica. Mons. Roncalli mi ha
consigliato formalmente di restare in Massoneria. (Dopo l’elevazione al
pontificato) mi ha ricevuto a Castel Gandolfo nella mia qualità di ministro
emerito dell’Ordine di Malta, e mi ha dato la sua benedizione, rinnovandomi il
suo incoraggiamento per un’opera di riavvicinamento tra le Chiese, come pure
tra la Chiesa e la Massoneria di Tradizione… Le confidenze che ho ricevuto
dal buon Papa Giovanni non mi permettevano di dubitare della sua sincerità,
difatti la seconda sessione del Concilio si è conclusa in uno spirito
profondamente ecumenico. La speranza è stata immensa in tutto il mondo
cattolico”.
L’importanza di questo passo non può sfuggire.
Essendomene già occupato in altra sede, mi limito all’essenziale. Papa Giovanni
prese coscienza della differenza esistente tra Massoneria regolare e Massoneria
irregolare, che nella letteratura ecclesiastica è sempre stata rigettala
sdegnosamente. Ho domandato informazioni più precise a Mons. Capovilla, il
quale mi ha trascritto un brano della lettera inviatagli dall’arcivescovo Mons.
Bruno Heim, già Nunzio apostolico e segretario del Nunzio Roncalli a Parigi,
attualmente residente in Svizzera. Questo prelato scrive: “Il barone Marsaudon era membro del Consiglio
Supremo a vita di una loggia di Rito Scozzese; cra direttore di una compagnia
di navigazione, andava a Messa tutte le domeniche. E stato messo a contatto con
la Nunziatura dal P. Joseph Berteloot SJ, autore di vari libri sulla
Massoneria, che ha riconciliato molti massoni con la Chiesa. Il Marsaudon ha
reso molti servigi alla Nunziatura, senza mai chiedere nulla, ammetteva a metà
prezzo tutti gli emigranti raccomandati da noi. Non so se il Nunzio sia stato
più volte a casa sua. una volta comunque lo ha accompagnato. Marsaudon era
ministro dell’Ordine di Malta e ne stava ottenendo il riconoscimento da parte
del governo francese’ La S. Sede in quegli anni portò
avanti un’indagine sull’Ordine per chiarire alcune questioni. Il barone
“chiese al Nunzio se gli consigliava di dimettersi dalla sua carica
massonica. Il Nunzio avrebbe risposto: Per il momento direi di no, perché era
evidente che poteva esercitare un’influenza positiva. Penso che fosse la
risposta giusta in quel momento””‘
Tra i due episodi c’è una netta diversificazione. Si
sa bene quanto Papa Giovanni s’ impegnasse nella riflessione storiografica,
anche se non abbiamo argomenti sufficientemente impegnativi per comprendere se
ne abbia fatto in relazionc a questo tema specifico, cosa che, allo stato
attuale delle ricerche, sembra da escludere, mentre è certo che lo fece nel
1962, come vedremo al paragrafo n. 4.
2. – I rapporti con l’Unesco
Negli anni della nuziatura parigina mi sembrano degne di
nota alcune affermazioni espli-
cite e circostanziate
presenti nei discorsi che Mons. Roncalli rivolse all’Unesco. Egli non era un
Improvvisatore, e non poteva ignorare il collegamento esistente tra lo spirito
del Palazzo di Vetro e delle sue branche installate in diverse località, tra
cui Parigi, e quello della Società delle Nazioni ginevrina, alla quale è
succeduto e dalla quale ha ricevuto l’eredità politica e carismatica. La SdN,
lo si sa. fu fondata dal Congresso delle Massonerie Alleate, profondamente
preoccupate per l’umanità della guerra ancora in corso e di tutte le guerre,
che esse si proponevano di cancellare dalla storia dell’umanità, alla luce
delle ideologie dalle quali la Massoneria prendeva ispirazione e che
gradatamente si è imparato, anchc tra i cattolici, a giudicarle come
discendenti dal Vangelo delle Beatitudini: Giovanni Paolo II l’ha affermato
esplicitamente nel corso del viaggio in Francia del 1980 ed in quello del 1996,
rispettivamente alla presenza del presidente Mitterrand c del capo del governo
Juppé. Il Congresso ebbe due sessioni. nei mesi di gennaio e di giugno del 1
917; in concreto erano ordinate a festeggiare il secondo centenario della fondazione
della Massoneria simbolica o moderna, ma a lungo termine si proponevano la
promozione universale della pace. Ognuno converrà sul fatto che è molto
improbabile che nelle conversazioni col Comm. XC*** e col Marsaudon, come pure
in quelle scambiate coi governanti. i funzionari e gli intellettuali francesi
molti dei quali professavano apertamente laicismo e massonismo (e su di essi
bisognerebbe indagare monograficamente), non siano stati toccati gli argomenti
relativi al messaggio iniziatico che sta nella filigrana di questi organismi
supernazionali sempre più stimati dalla S. Sede, che stabilì con essi rapporti
diplomatici: questo dà anche molta rilevanza alle riserve ed alla diffusa
diffidenza che esprimerà in seguito. Un fatto è indiscutibile: in questi
discorsi il Nunzio Roncalli accentua la tematica della tolleranza religiosa e
della valutazione positiva delle confessioni non-cristiane, un argomento che
nelle Logge era costituzionalmente stabilito fin dalla loro
fondazione, avvenuta nel giorno di S.
Giovanni Battista del 1717. mentre nella Chiesa avrebbe avuto piena
cittadinanza solo nel Concilio Vaticano II. Trovo difficile pensare che non se
ne sentisse in qualche modo al corrente. Mi limito a riportare alcune schede
toltc dal volume dei suoi ricordi parioini
Il 18 giugno 1951 nella chiesa di St. Pierre de Chaillot
veniva celebrata una Messa per l’apertura del Congresso dell’Unesco.
Nell’omelia il Nunzio disse:
“Ho constatato che tra i settanta rappresentanti
diplomatici, di cui solo trenta sono cattolici. i più sensibili alle parole del
Nunzio apostolico a proposito dell’ispirazione religiosa sono gli ambasciatori
presso i quali prevale una tradizione religiosa buddista. confuciana e
maomettana. Ci sono alcuni principi elementari di carattere morale e religioso
che costituiscono il patrimonio primordiale di tutti i popoli e sui quali si
presuppone un’intesa condivisa su una base inevitabile di vita comune, per
riuscire a oiungcre alla costruzione di un vero ordine sociale c mondiale di
giustizia e di pace… L’Unesco non si occupa direttamente (di temi
religiosi)… Il cattolico che lavora con l’Uncsco e nell’Unesco. con questo
minimo di prudenza e di discrezione suggeritogli dalla carità cristiana, col
massimo rispetto della libertà e del pensiero altrui, ne attinge luce e vigore
per dare il suo prezioso contributo al successo finale degli sforzi
comuni” (pp. 102-103).
Nel prosieguo dell’omelia il Nunzio commentò il discorso di
S. Paolo all’ Areopago, accentuando un’altra tematica prediletta dalla
Massoneria. cioè il riferimcnto al magistero della creazione (Dio indicato con
l’attributo di Grande Architetto dell’Universo) e della fede anonima ed
inconscia espressa dalla dedica del tempio al Dio ignoto (il mistero
inconoscibile, ma esplicitamente professato). L’undici luglio 1951 Mons.
Roncalli pronunciò un intervento alla conferenza generale dell’Unesco. dell’istituzione auspicò “la più larga cooperazione ai
fini della giustizia, della libertà e della pace per tutti i popoli della
terra. senza distinzione di razza, di lingua o di religione”. Ribadiva
ulteriormente e con forza quest’ atTermanone:
“Sì.
senza distinzionc di razza, di lingua. di religione. Se sottolineo questa
posizione netta dell’Unesco. contenuta nell’ atto costitutivo firmato a Londra
nel 1945…, non è per ignorare o sottovalutare i valori razziali. letterari o
religiosi di ogni popolo. Al contrario, è per postulare che essi vengano sempre
tenuti in grande considerazione. L’Uncsco vuol essere — diciamolo ben forte una
grande scuola di rispetto: ma come tale non dev’essere né cieca né sorda nei
confronti dei valori fondamentali della psicologia di ciascun popolo, e cioè
del sentimento nazionale e dello spirito religioso” (pp. 05-106).
Collegò
l’opera dell’istituzione parigina con quella del Palazzo di Vetro. insistendo
sulla prolnozione della pace e dell’educazione di base. ed affrontò il tema
dell’attività missionaria cattolica, che apparentemente contraddice le istanze
che il prelato era venuto esponendo. Citò un brano dell’enciclia Evangelii
praecones, che Pio XII aveva promulgalo pochi giorni prima, il 2 giugno 1951, e
che era dedicato direttamente all’ argomento: “‘La Chiesa non si comporta
come colui che, senza rispettare nulla. abbatte una forestra lussureggiante, la
saccheggia e la manda in rovina. Ella imita piuttosto il giardiniere che
innesta un Ùermoglio di qualità su una pianta viva affinché produca un giomo
frutti più saporiti e più dolci”
Un terzo intervento fu pronunciato il 12 novembre 1952,
nella stessa chiesa di Chaillot. per l’inaugurazione dei lavori annuali
dell’istituzione. Il motivo dominante fu espresso nella parola d’ordine
dobbiamo vivere nella corrente della storia! Postulava la piena accettazione
del progresso tecnologico e scientifico, pronwsso fervidamente dalla Chiesa.
“l cattolici. diceva. sono abituati fin dall’infanzia a considerare tutti
gli uomini come creature di Dio redente dal Cristo e chiamate ad un destino
eterno, quale che sia la loro religione, la loro nazione, il colore della loro
pelle; pregano per essi, li amano; non esiste nessun gruppo umano che più della
Chiesa abbia disposizioni tanto favorevoli, larghe e profonde in ordine ad un’
intesa internazionale” (p. I l l).
La vocazione dei cattolici si collega intimamente con
quella dei laici: tutti gli uomini di buona volontà condividono la vocazione
che Gesù ha espresso nel discorso della montagna: “Voi siete la luce del
mondo, il sale della terra. Al di là di tutti i trionfi della scienza umana
splende il Vangelo di Cristo, che contiene gli elementi della
civilizzazione…”. Nella ricerca delle vie pratiche e dei metodi più
svariatl, realizzata dall’Unesco, “il cattolico porterà col concorso dei
suoi consigli e della sua attività pratica, questa saggezza, questo vigore,
questa stagionatura, in una parola, il sale della terra che mantiene la
vivacità, il sapore, che preserva dalla corruzione, ed assicura la perpetuità e
la squisita bontà del successo” (pp. 112, 113).
3. – Le presunte iniziazioni massoniche di Papa Giovanni
Non c’è
nulla di nuovo sotto il sole. L’ accusa di iscrizione massonica da molto tempo
è stata lanciata contro dignitari ecclesiastici, con l’intento di infangarli,
nell’epoca in cui tale iscrizionc veniva considerata un bollo d’infamia. Il
caso più clamoroso è quello di Pio IX: si voleva scoraggiare la stagione
liberale che egli aveva inaugurato liberando i prigionieri politici dello Stato
Pontificio ed annunciando un pontificato aperto alla cultura, ai valori ed alle
aspirazioni delle masse. L’iniziazione fu localizzata in tempi e luoghi
diversi, ed ovviamente l’una elideva l’altra, perché in Massoneria non può
essercene che una sola, come accade per l’iniziazione cristiana del battesimo.
Tutto era chiaramente inventato La cosa è stata presto dimenticata, come è
accaduto anche per le presunte iniziazioni massoniche di Giovanni XXIII.
a) “Le profezie di Papa Giovanni
Nel 1976 Pier Carpi, uno scrittore parmense di storia e
di fumetti neri, regista di un film su Cagliostro e di uno ‘tratto dal suo
stesso romanzo Un povero Cristo, pubblicò un libro intitolato Le profezie di
Papa Giovanni che sta tra il saggio e la fiction. Mi sono meravigliato di
quest’ultima pubblicazione, perché per esperienza diretta lo ritengo persona
retta e coscienziosa. Egli è stato iscritto alla Massoneria, e l’area che ha
scelto per implicare Papa Giovanni, ignoro se “motu propno’ oppure
fondandosi su fonti altrui. è senza dubbio la più affine alla tematica del
caso. Infatti questa associazione, della quale la Massoneria moderna ha
assimilato il messaggio condensandolo nel XVIII grado del Rito Scozzese Antico
e Accettato, presenta l’aspetto più “cattolico” di tutte le tradizioni
iniziatiche. Senonché l’implicazione di Mons. Roncalli non ha alcun fondamento.
L’autore a diverse affermazioni molto gravi, puntualmente smentite dai fatti e
dai testimoni. Scrive che all’epoca della permanenza nei Balcani Mons. Roncalli
nel 1935, in una loggia di Istanbul accedette all’iniziazione della socictà
segreta dei Rosa+Croce. Il XVIII grado della Massoneria moderna si riallaccia
ad essa: è interamente fondato sul concetto che la passione e la morte del
Cristo (la croce) sono inseparabili dalla sua risurrezione (la rosa piantata
all’intersecazione dei due bracci), l’agape del Giovedì Santo e l’Ultima Cena
fanno parte dell’iniziazione, le virtù teologali ne costituiscono la
piattaforma e sono intimamente connesse col trinomio libertà, uguaglianza, fraternità,
gli ornamenti, le catechesi. le insegne. i gesti compiuti sono inquadrati in
questo iter che si propone di coniugare la mistica con la sociologia. il
saluto-auspicio finale è mutuato dalla liturgia cattolica: l:’ax vobiscum.
Mons. Capovilla intervenne ripetutamente per smentire
quest’ affermazione. Nell’Osservatore romano del 15-16 novembre 1976, p. 2,
veniva pubblicata la dichiarazione che il prelato aveva reso all’ agenzia Asca,
denunciando i criteri interni ed il lessico dell’opera, e documentando che
“sulla scorta dell’ Agenda, per fortuna conservata del Registro delle
Messe del Delegato apostolico in Bulgaria, e poi in Turchia ed in Grecia, posso
facilinente ricostruire, giorno dopo giorno, l’intero calendario del 1 935,
anno da cui prende Ic mosse il racconto del Carpi. Da questo Registro si
desumono i nomi di tutte le persone avvicinate, dei luoghi visitati, degli
incontri religiosi e pastorali, culturali e protocollari presieduti o
presenziati”. Il Carpi indica poi come luogo dell’iniziazione, o forse
dell’aumento di grado, la città di Mesembria, che è invece quella, da secoli
scomparsa. il cui titolo era stato attribuito a Mons. Roncalli all’ atto della
sua consacrazione episcopale.
Mons Capovilla, allora prelato del Santuario di Loreto,
ricorda che il 6 dicembre 1961 Papa Giovanni “rinvenendo tra i moltissimi
messaggi di augurio giuntigli a seguito della grave crisi che aveva messo in
pericolo la sua vita a fine novembre, il telegramma di una Loggia Massonica.
segnalò di sua mano questo criterio alla Segreteria di Stato: Complimenti
cortesi, si ringrazino. Ma niente compromissioni con Massoneria e simili.
Appare qui evidente quanto egli fosse tutt’altro che incline a facili
accostamenti, persistendo pur sempre le gravi riserve circa la natura, i metodi
e i fini delle società segrete”.
Il 23 dicembre del medesimo 1976 Mons. Capovilla pubblicava
nell ‘ Osservatore romano (p. 2) un bilancio globale della questione diviso
nove punti, che riassumo schematicamente:
l : L’insistenza su questa iniziazione
offende la memoria del Pontefice. – 2: L’intervento pre cedente. pubblicato
nell’Ossenatore romano, costituiva da parte mia uno stretto dovere, anche come
esecutore testamentario del Pontefice. – 3: Ribadendo i dettagli non
rispondenti al vero, si effettua una calunnia nel confronti dell’augusto
defunto. – 4: Si afferma che Papa Giovanni prese come nome Johannes e si dànno
circostanze inventate. Un rappresentante pontificio non sarebbc mai caduto in
una incongruenza così madornale rispetto al dispositivo del Codice di diritto
canonico. – 5: Si chiariscono ulteriormente i contenuti del can. 2335 del
Codice di diritto canonico. – 6: I testi addotti come ‘”profezie” non
trovano nessun riscontro nelle opere di Papa Giovanni, cioè: Giornale
dell’anima, Lettere ai familiari, e Discorsi, messaggi colloqui. pubblicati in
più volumi. 7: I registri e i diari della Delegazione apostolica consentono di
ricostruire tutto il calendario del 1935; testimoni giunti dalla Turchia sono
in grado di documentare l’infondatezza di tutta la vicenda. – 8: La dizione
precisa del titolo di Mons. Roncalli, dopo il ministero svolto in Bulgaria è:
Delegato apostolico in Turchia e Grecia, arcivescovo titolare di Mesembria,
amministratore apostolico dei cattolici di rito latino residenti a Istanbul. –
9: Lo stile profetico di Papa Giovanni è questo: “Terra e cielo saranno
rinnovati, ciò è ben sicuro, ma occorrerà anzitutto il trionfo della giustizia,
ottenuto con la nostra vita immacolata e intatta, e con l’educazione di un
grande spirito di pace tra noi. Oh, che grazia, lo spirito di pace tra noi
L’8 luglio dell’ anno scorso il Gran Segretario della
Gran Loggia d’Argentina, Alberto M. Pelàez. inviava al suo pari grado di Pal.
Giustiniani. Giuseppe Malignano Stuart, il testo di una Preghiera dei massoni
(nell’ originale: Oraçâo aos Maçons rezada pelo Papa Joao XXIII) attribuita a
Papa Giovanni, pubblicata nel Journal de Génève il 6 9-1966 e riportata dal
Jornal do Brazil il 31-3-1981. Il G. M., avv. Virgilio Gaito, mi domandava un
parere che mi affrettai a dare in senso assolutamente negativo, domandando nel
contempo ulteriori lumi a Mons. Capovilla. La falsità del documento salta
immediatamente agli occhi: l’orante non dimostra alcuna dimestichezza non dico
con la teologia cattolica, ma nemmeno coi primi elementi della dottrina
cristiana. Dal punto di vista massonico la falsità è altrettanto evidente: non
si dà nessun riferimento di cancelleria vaticana (c questo lo si comprende) o
di Loggia (e questo è inammissibile), non c’è nessuna data. firma, od altra
identificazione, si fanno affermazioni inimmaginabili, come è il caso della
sqL1adra e del compasso sostituiti al crocifisso, si manifesta il grossolano
anacronismo del Concilio, che all’epoca in cui Papa Giovanni moriva non si era
occupato dell’ argomento chiamato in causa, ricordato comunque in termini
assurdi. Il nome della Loggia d’origine è addirittura sgrammaticato, con
singolare e plurale equivocati e scritti a grandi lettere gotiche: As Grande
Lojas de Santa Catarina. L’attribuzione di “Grande Loggia” compete
solo al territorio nazionale e non ad uno Stato federale o ad una regione. ln
ogni nazione non può essercene che una sola. e generalmente è nella capitale: i
massonologi sanno bene tutto questo. Tutto è artificioso e grossolanamente
inventato: sembra di essere tornati ai tempi della mistificazione ottocentesca
di Taxil, Margiotta, Rosen, Bataille ed infausta coinpagnia. Il testo della
preghiera recita:
“Signore e Grande Architetto dell’Universo, noi ci
umiliamo ai tuoi piedi e invochiamo il tuo perdono, per l’eresia che nel corso
dei secoli c’ impedì di riconoscere nei nostri fratelli massoni i tuoi seguaci
prediletti. Abbiamo sempre lottato contro il libero pensiero perché ancora non
avevamo capito che il primo dovere di una religione, come ha atTermato il
Concilio, consistc nel riconoscere persino il diritto di non credere in Dio.
Stoltamente abbiamo accreditato l’idea che un simbolo della Croce potesse
essere superiore ai tre punti che figurano una piramide. Di tutto questo ci
pentiamo, Signore, e con il tuo perdono ti chiediamo che ci faccia sentire che
un compasso sopra un nuovo altare può significare tanto quanto i vecchi croci-
4. – L ‘appunto sulla “condanna della Massoneria
” (1962)
Tra le carte inedite di Papa Giovanni c’è un appunto
autografo intitolalo Condanna della
Massoneria, pubblicato
nell’appendice n, 115 (pp. 564-565) delle Lettere 1958-1963, edite a cura di
Mons. Capovilla presso le Edizioni di Storia e Letteratura (Roma. 1978, pp.
609). Il testo dallo stesso Pontefice è datato 1962 c segue di poco la
pubblicazione degli Atti del Sinodo Romano celebrato per suo ordine e che
nell’art. 247 rinnovava le condanne espresse dalla S. Sede contro la Massoneria
. I commentatori sono concordi nell’affermare che si trattava di un
Pronunciamento emesso come spinta d’inerzia rispetto alla letteratura
ecclesiastica antecedente. Il P. Caprile in un’opera largamente accolta
dall’ecclesialità italiana scrive: “Strettmnente parlando non si tratta di
un atto universale, essendo un documento relativo alla sola diocesi di Roma c
sancito dal Papa in quanto vescovo dell’Urbe. Indubbiamente però esso ha
notevole valore perché rispecchia,meglio di qualsiasi altra cosa, l’orientamento
de] Vaticano e del Papa stesso a quell ‘epoca”
Il documento del 1962
presenta un•elencazione dei documenti pontifici avversi alla Massoneria tratta
dal IV volume del Dicrionnaire Apologétique de la foi chrétienne di Aléxandre
D’Alès (Parigi, 4 voli., 191 1-1928, colonne 1129-1928). Il sottotitolo,
scritto anche nel retro del foglio per due volte, in nero ed in rosso, dice:
Condanne papali della Massoneria. Il testo integrale è il seguente:
“In meno di due secoli
nove papi hanno pronunciato condanne solenni.
Clernente XII, 4 maggio (sic:
28 aprile) 1738. Encic(lica) In eminenti. Sotto parvenze di probità naturali.
legami sospetti. Segno di perversione l’appartenervi. Nemici della sicurezza
pubblica, già proscritti dai principi. Infatti fu proscritta dai magistrati
protestanti di Olanda. 1 735; di Amburgo, di Svezia e di Ginevra nel 1738, di
Zurigo 1740, di Berna 1743. Purc proibita in Spagna. Portogallo, Italia dopo la
parola di Clemente XII.
Benedetto XIV, 18 maggio 1751. Lettera (enciclica) Providas. Confermato
il documento di
Clemente XII. Riprovato il naturalismo. il
segreto, le tendenze rivoluzionarie della M. Clemente XIII e Pio VI. Bolla
Inscrutabili divinae sapientiae, 1775, contro il filosofismo, le distruzioni
rivoluzionarie, però senza parlare della M.
Pio VII. 13 settembre 1821. Bolla Ecclesiam a Jesu
Christo.• sèlte segrete causa dei rovesci dell’Europa: ipocrisia dei carbonari
che fingevano grande zelo per la Chiesa di Cristo.
Leone XII, 13 marzo 1826. Bolla Quo graviora: riproduce le
tre bolle antecedenti, segnala le rovine nel campo degli studi con maestri di
perdizione. Esorta i principi contro i cospiratori non meno nemici del trono e
dell’altare. Prega tutti di fuggirc uomini che sono tenebre della luce, luce
delle tenebre.
Pio VIII. 24 maggio 1829. Encicl. Traditi humiliati
nostrae. Richiama le parole degli antecessori. La formazione di giovani, di cui
secondo san Leone Magno, la menzogna è la loro regola, Satana il loro Dio, la
turpitudine il loro sacrificio.
Gregorio XVI, 15 agosto 1832. Enciclica Mirari vos: compara
le società segrete ad una cloaca dove tutto si confonde quanto vi ebbe di
sacrilego, di infame. di bestemmiatore nelle varie sètte ed eresie.
Pio IX. Cinque volte. Fra l’ altro (allocuzione ai vescovi
del 9 dicembre 1854): “Essi immaginano un diritto, che non ha alcun limite
e che si attribuisce allo stato, che sarebbe la fonte e l’origine di ogni altro
diritto”- Altrove (lettera Ex epistola, in occasione dei funerali dcl
maresciallo Magnon; sic Magnan): “Queste sette coalizzate formano la
Sinagoga di Satana”. E altrove: “Possedendo in loro mani la forza e
l’autorità. le volgono audacemente (contro) la Chiesa di Dio al più duro
servaggio. Vorrebbero. se fosse possibile, farla sparire dall’universo.
Leone XIII. In
tutti i suoi atti, ma specialmente nella enciclica Humanum genus, 20 aprile
1884: soprattutto qui e altrove, Leone XIII batte il segreto per cui la M.
diviene indip(endente) dalla Chiesa e dallo Stato (cfr.
Dizionario Apologetico di D’ Alès, 95-131
)”
Non è il caso
di ilnpo.stare un discorso di aggiornamento e rettifica, che comunque
riguarderebbe unicamente il D’ Alès. già allora largamente invecchiato. Sarà
sufficiente ricordare che la statistica dei documenti
pontifici contro la Massoneria si aggira sulle tremila unità, per Pio IX
nell’opera più volte citata, ho elencato 150 documenti di condanna, senza tener
conto dello sciame di corrispondenze che li accolnpagnarono, e che
presurnibilrnente faranno moltiplicare per IO questa cifra. Per Leone XIII sono
giunto al repertorio di 2046 documenti, ma vedo che più ne cerco più ne trovo.
Andrebbe ristabilita la distinzione tra Massoneria e Carboneria e, per quanto
riguarda la prima, il termine rivoluzione dev’essere sostituito con quello di
riforme, aggiornamento delle legislazioni, cioè promozione del trapasso dagli
Stati assoluti a quelli democratici. Tanto la Carboneria che la Giovane Italia
furono istituite proprio perché la Massoneria costituzionalmente rifugge
dall’attività politica, ma postula solo quella di animazione culturale c
non-violenta. ln questo senso s’ impone l’obbligo di segnare nella letteratura
pontificia il punto di displuvio tra quello che i Sommi Pontefici affermano in
quanto pastori della Chiesa e ciò che insegnano e legiferano in quanto sovrani temporali.
Gli studi recenti hanno documentato sufficientemente questo cammino. Il punto è
questo: Papa Giovanni si proponeva di aggiungere una nuova condanna a quelle
pronunciate dai suoi predecessori? Se la prospettiva viene individualizzata al
tema specifico, sembrerebbe di sì. se invece il discorso viene allargato
all’impostazione generale del pensiero giovanneo, la risposta e decisamente
negativa. Molti sono infatti i punti d’orientamento espressi nell’autografo che
contraddicono lo spirito dialogico di Papa Giovanni.
Uno dei
problemi più scottanti è nell’accusa di lotta contro il Potere Temporale, che
Pio IX e Leone XIII attribuiscono alla Massoneria, quando ormai è accertato
documentariamente
che risponde certamente al vero il fatto
che il massone Garibaldi tentò più volte la conquista di Roma, ma non poté
contare su una Massoneria che praticamente in Italia non esisteva ancora,
essendo stato il Grande Oriente ristabilito appena nel 1859 dopo l’eclissi
risalente al 1814 e dilaniato da gravi dispute, con tre Gr. O. (Torino, Napoli,
Palermo) tra loro discordi. Altrettanto cetto è che la Massoneria che veramente
contava, cioè quella francese, di conserto con la Chiesa di quella nazione,
impostò il corpo di spedizione che combatté contro la Repubblica Romana e lo
stesso Garibaldi, e restituì Roma e gli Stati Pontifici al Papa e poi li
presidiò fino al momento in cui Napoleone III, avendo dichiarato guerra alla
Prussia, sentì il bisogno di disporre di questo manipolo perfettamente
equipaggiato ed addestrato, e lo richiamò in Francia. Quando questi militari,
il 4 agosto 1870, s’ imbarcarono a Civitavecchia, il governo italiano sentì di
avere via libera, non tenne nessun conto della Convenzione stipulata con
Napoleone III nel 1864, ed organizzò la spedizione culminata nella Breccia di
Porta Pia. L’estremo ed insormontabile baluardo del Papa era stata la
Massoneria collegata più o meno esplicitamente con la Chiesa di Francia (12,
Restiamo nella concretezza specifica. Giovanni XXIII non
ha proceduto ad un atto di condanna; francamente il suo spirito non rendeva
proponibile un fatto del genere. In questa prospettiva si colloca la
testimonianza esplicita di Mons. Capovilla, che nella corrispondenza scambiata
con me ha confermato ciò che nel 1979 aveva detto al P. Caprile per la prima
edizione del lavoro edito in collaborazione col confratello Josè Antonio Ferrer
Benimeli: ‘Non credo che intendesse
procedere a una nuova condanna; ma desiderava conoscere a fondo la questione.
Pensava certo al caute da ribadire nei contatti e in eventuali ‘negoziati’ ‘ (Op. cit., v. bibl., p. 61).
Credo che tutto il discorso qui fatto trovi una sintesi
per il passato ed una valida prospettiva per il futuro nel magistero universale
di Papa Giovanni e nella formulazione inequivocabile dell’enciclica Pacem in
terris. A questo proposito bisogna tener conto della cronologia. Questa
enciclica porta la data dell’I l aprile 1963, il Pontefice spirerà nella serata
del 3 giugno dello stesso anno. Come si fa a non considerare uno dei più
incantevoli documenti del Pontificato Romano di tutti i tempi, come un atto
testamentario? Nell’enciclica si legge, o meglio. si stabilisce:
“Le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono
sempre le stesse, mentre i movimenti suddetti, agendo nelle situazioni
storiche, incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi, e
quindi non possono non andare soggetti a mutamenti, anche profondi… Pertanto
può verificarsi che un avvicinamento o un incontro, ieri ritenuto inopportuno o
infecondo, oggi invece lo sia, lo possa divenire domani” (n. 55).
Quand’è che questo “oggi” s’è verificato per
effettuare la svolta cattolico-massonica, passando dalle ostilità al dialogo? A
chi compete una decisione di questo genere? Il Pontefice dà la risposta in
questa stessa pagina:
“Da parte dei cattolici tale decisione spetta in primo
luogo a coloro che vivono ed operano nei settori specifici in cui quei problemi
si pongono, sempre tuttavia d’accordo con i principi del diritto naturale, con
la dottrina della Chiesa, e con le direttive dell’autorità ecclesiastica’ (Ivi).
A Parigi il Nunzio Roncalli applicò questa dottrina coi
massoni diretti e quelli indiretti, profondamente legati alla fede in Dio e
nell’immortalità dell’anima; in seguito accolse paternamente anche gli atei
militanti — come il genero di Krusciov, il giornalista Agiubei — che proveniva
dal mondo slavo in cui egli aveva operato nella sua prima missione diplomatica.
5. – Conclusione
Il rapporto tra Papa Giovanni e la Massoneria può essere
delineato in tre momenti non cronologici, ma tematici, definiti in termini
abbastanza chiari:
l) Rifiuto. Ha la sua espressione di maggiore rilievo nel
rapporto stabilito col Comm. XC***, ricostruito nel paragrafo n. 1-a). Una
certa diffidenza credo non sia mai scomparsa dall’orizzonte giovanneo. La
cautela postulata nell ‘ appunto sulle “Condanne papali della
Massoneria”, autorevolmente commentata da Mons Capovilla (cfr. nota 10)
ritengo di poterla riportare a questa categoria
Tolleranza. È evidente nel rapporto col barone
Marsaudon. Il richiamo alla benevolenza nutrita nei confronti di tutte le
componenti della società rientra in questo settore; se si tiene nel dovuto
conto l’accoglienza riservata ai rappresentanti dell’ ateismo comunista, questa
benevolenza raggiunge un coefficiente estremamente elevato, perché la
Massoneria costituzionalmente professa fede in Dio e nell’immortalità
dell’anima, perciò è composta esclusivamente e tassativamente di credenti. Per
quanto è possibile ragionare sulla documentazione finora disponibile, mi sembra
lecito dubitare che questa constatazione nella Chiesa sia stata effettuata
durante il pontificato giovanneo.
Concordia implicita. In attesa di studi che rilevino in
molti documenti pontifici una ipotizzabile colleganza tra Chiesa e Massoneria.
mi sembra legittimo additarla nei discorsi che il Nunzio Roncalli rivolse ai
membri dell’Unesco a Parigi. Alla luce di questo patrimonio si potrà
“leggere” tutto il messaggio giovanneo.
Il connubio ebraico-massonico. Un’adeguata attenzione
dev’essere rivolta ad un argo mento di primaria importanza,
cioè la svolta che Papa Giovanni nel 1959 realizzò nella vaIutazione
dell’ebraismo, facendo eliminare
dalla liturgia I espressione
“perfidi giudei”. E ben noto che nella polemica cattolica giudaismo e
Massoneria sono stati considerati inscindibili e perciò accomunati nel giudizio
e nell’esecrazione: questa parentela è innegabile, ma non nei termini iperbolici
e scomposti voluti dalla polemica cattolica del passato. Essa dovrà essere
sempre più esplicitata, e questo connubio renderà più praticabile il
superamento dei tanti e gravi pregiudizi che ancora impediscono la
riconciliazione esplicita della Chiesa con la Massoneria. E altrettanto noto
che su questa linea il Concilio e la riflessione cattolica dopo Papa Giovanni
hanno compiuto ulteriori passi molto impegnativi. Il magistero di Giovanni
Paolo II in questo senso presenta una pregnanza straordinaria. Egli infatti
collegò il proprio accostamento all ebraismo direttamente col mes saggio di Papa Giovanni: sarà
sufficiente ricordare la visita che Papa Wojtyla compì nella Sinagoga di Roma
il 13 aprile 1986, nel corso della quale, com’è sua abitudine, non nascose la
complessità della situazione:
“L’eredità che vorrei adesso raccogliere è
quella di Papa Giovanni, il quale una volta, passando qui — come ha ricordato
il Rabbino Capo (Elio Toaff) — fece fermare la macchina per benedire la folla
di ebrei che uscivano da questo tempio. E vorrei raccogliere l’eredità in
questo momento, trovandomi non più all ‘esterno, bensì grazie alla vostra
generosa ospitalità, all’interno della Sinagoga. Questo incontro conclude in
certo modo, dopo il pontificato di Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II, un
lungo periodo sul quale occorre non stancarsi di riflettere per trarne gli
opportuni insegnamentl
Fra le
discipline scientifiche, la medicina occupa un posto particolare, poiché in
essa rivestono eguale importanza l’aspetto puramente speculativo, comune alle
altre branche della scienza, e l’impatto sull’uomo, inteso come persona
sofferente o comunque bisognosa. Tutti coloro che, nella vita profana, svolgono
la professione medica, hanno certamente più dimestichezza o comunque hanno più
occasionc di occuparsi di questo secondo aspetto che non del primo. Questo lato
umano della medicina è, di fatto, quello che pone quotidianamente di fronte a
problemi etici talvolta sofferti e difficili da risolvere: il concetto di
bioetica, pur possedendo connotati che vanno anche al di là della medicina, è
nato da questo bisogno di rendere i due aspetti della medicina il più possibile
compatibili fra loro. Dal momento che la Massoneria ha, fra i suoi obbiettivi
irrinunciabili, il miglioramento dell’Umanità in generale, e di noi singoli in
particolare, un confronto critico fra etica massonica ed etica medica appare
particolarmente interessante. Non solo, ma il più antico documento di etica
medica a noi pervenuto, il giuramento di Ippocrate, ha in sé un significato
imziauco che per alcuni aspetti può ricordare l’iniziazione del profano alla
vita massonica (vedi la tavola del F:. R. Navone “11 giuramento di
Ippocrate”, pag. 47 del numero 39 di Delta, febbraio 1995).
Ma quali sono i fondamenti dell’etica massonica? Essi
sono, in definitiva, sintetizzati nelle affermazioni rituali dei nostri lavori:
lavorare al bene e al progresso della Patria e dell’Umanita; inoltre, nel
rituale di iniziazione, compare anche il concetto di “dovere”.
Trasferendo questi primi elementi sul piano della medicina, identifichiamo
subito un caposaldo etico di primo ordine: il dovere non è ovviamente un concetto
sostanzialmente diverso nella pratica medica rispetto a tante altre attività e
professioni umane; è pacifico che chi è impegnato in un’attività abbia il
dovere morale di svolgerla nel migliore dei modi. Tuttavia in medicina porsi un
problema etico significa molto spesso prendere delle decisioni gravi e
inappellabili.
75
Ecco quindi che il problema diventa
più articolato, e forse proprio l’analisi da un punto di vista massonico ci
consente di metterlo a fuoco in maniera più soddisfacente. Affianchiamo,
allora, alla parola chiave “dovere” quella di razionalità, poiché,
come apprendemmo nel rituale di iniziazione, la morale “è una scienza che
riposa sulla ragionc umana”. In questo modo sgombriamo il campo da
impostazioni di pensiero dogmatiche, o più semplicemente sentimentalistiche che
identifichino l’opera del medico regolata in gran parte da un impeto di
altruismo. L’attività del medico, quindi, in senso massonico, dovrebbe seguire
le leggi morali del dovere verso il prossimo, regolate dalla razionalità e dall
‘intelligenza.
Altro fondamento dell’etica massonica che può essere trasferito sul piano
dell’attività medica è quello della solidarietà: anche la solidarietà deve
essere regolata dalla razionalità e dall’intelligenza ma, a nostro avviso, va soprattutto
intesa nel senso più lato di disponibilità. E giusto che questa sia rivolta ai
malati ed ai loro familiari, ma non solo ad essi; occasioni di dimostrare la
propria disponibilità si verificano anche nei confronti degli altri medici,
degli operatori sanitari non medici, degli studenti. La disponibilità è quello
spirito di servizio che ci spinge moralmente a operare, anche in momenti
difficili, per il bene degli altri, oltre che per il miglioramento di noi
stessi, c non può essere disgiunta dal senso di tolleranza che ci deve animare
in tutti quei frangenti, e per i] medico sono tanti a tutti i livclli, in cui
persone o situazioni pongono degli ostacoli.
Ci siamo attenuti sinora a dei
concetti di base, dai quali si può evincere che la medicina, osservata dal
punto di vista dell’etica massonica, non è altro che uno dei tanti strumenti
con cui l’uomo si adopera per esercitare il bene. Tuttavia, nessuno dei
concetti espressi è applicabile esclusivamente alla medicina. Addentrandoci in
situazioni specifiche, è proprio la nostra esperienza massonica che ci deve
indicare, volta per volta, i giusti comportamenti da adottare, così come in
tutti gli accadimenti della vita profana. E qui che possiamo riscontrare le
maggiori difficoltà: è sempre possibile conciliare la nostra aspirazione al
bene e al progresso dell’Umanità con le varie sfacccttature della professione
medica? In altre parole, dobbiamo considerare in ogni caso il progresso
scientifico come un pro76
gresso dell’Uomo, così da
impegnarci in talune forme di sperimentazione clinica o di manovre altamente
tecnologiche, o non corriamo piuttosto il rischio di perdere di vista gli
obiettivi primari di tale progresso? Vi sono anche altre possibili
contraddizioni: basti pensare che uno dei momenti più alti della solidarietà
esercitata in campo medico è quello di alleviare la sofferenza fisica, e questo
aspetto è talvolta incompatibile con il proseguimento della vita stessa. La
risposta a queste domande è anche in questo caso articolata: il progresso della
scienza medica corrisponde al progresso dell’Uomo quando in ogni caso ne
salvaguardi la dignità c quando rispetta le leggi dell’Umanità.
Potremmo concludere che etica massonica ed etica
medica siano pienamcnte sovrapponibili. Certo, non abbiamo la presunzione di
affermare che l’esperienza massonica sia indispensabile per comprcndere
pienamente Ic linee guida della bioetica e per osservarne i contenuti;
tuttavia, se davvero in tutti gli uomini liberi e intelligenti vi è una
massonicità latente, ci sia consentito sperare che questa, magari
inconsciamente, venga espressa in tutte le occasioni possibili.
In un testo taoista racconta Ciuang-Ze: “Sognai una
notte di essere unafarfalla che volava contenta della sua sorte; poi mi
svegliai ed ero Ciuang-Ze. Chi sono in realtà? Una farfalla che sogna di essere
Ciuang-Ze, o CiuangZe che sogna di essere stato una farfalla? Ci sono nel mio
caso due individui reali? O vi è stata trasformazione reale da un essere ad un
altro? Né l’ una, né l’altra cosa: vi sono state due modificazioni irreali
dell’ essere unico, della forma universale, nella quale tutti gli es seri, in tutti i loro stati sono
Uno”.
Il sogno è quello
stato che permette all ‘uomo di identificarsi con altri esseri ed essere
contemporaneamente se stesso. Esso è in questo senso indicativo di un rapporto
relazionale tra unità e molteplicità, attestando della presenza di queste due
modalità all ‘interno dello stesso essere umano. I testi vedici (Mandujya
Upanishad), nella considerazione degli stati molteplici caratterizzanti tale
essere: veglia, sogno, sonno, descrivono quello di sogno come la condizione
Taijasa (sscr.), letteralmente “luminosa”, in quanto definita
dall’elemento igneo (sscr. Tejas), costituito dalla luce e dal calore. Queste
componenti ignee hanno relativamente all ‘uomo il [oro corrispettivo
rispettivamente nel sistema nervoso e nel sangue, in quanto canali conduttori
delle energie vitali (sscr. Nadi) a livello sottile, psichico, dominio
dell’anima. Essi costituiscono il collegamento tra l’anima e lo stato corporeo.
E nel sogno che l’anima produce un mondo che procede da sé, secondo combinazioni
simboliche, che riguardo allo stato vigile di veglia, costituiscono possibilità
più estese, essendo mescolati i tempi ed interpenetrati gli spazi, in un
procedere pluridirezionale, “stellato”. Ecco come il simbolo della
stella si può collegare simbolicamente alla sfera psichica.
La stella presente nella simbologia massonica sia nella
volta del Tempio che singolarmente, come strumento del Compagno, indica I
‘orientamento in virtù del suo fiammeggiare. Ciò che conduce alla ricerca
dell’iniziato è il principio cognitivo non correlabile ad un metodo sistematico
in cui sia implicito il compimento metafisico, ma piuttosto al movimento del
pensiero che non si compie, restando fedele a se stesso, in itinere.
Osservandone la geometria, la stella appare disegnata da alcune linee
intersecantesi a formare una struttura ultimamente non lineare, che ne permette
l’inquadramento nel cerchio. Prendendo tali linee a rappresentare la direzione
lineare del metodo logico di causa-effetto, riferibile ad un pensiero che coincide
con ta realtà secondo l’antico adagio dell ‘adaequatio rei et intellectus, si
può notare come tale direzione contribuisca a costituirne la forma, ma non ad
esaurirla. Concorrono infatti alla sua formazione altre linee che esplodono da
un centro incoglibile, in senso irradiante, pluridirezionale e descrivono un
movimento a raggiera, circoscrivibile in una forma circolare dinamica (il
movimento è infatti indicato dal fiammeggiare della stella stessa). Il senso
pluridirezionale viene così a corrispondere all’approccio cognitivo polisemico,
secondo le differenti letture che possono essere fatte di una stessa realtà e
dunque secondo diverse modalità comunicative tra i molteplici stati
dell’essere. L’uso della logica unidirezionale nel metodo stellato appare in
questo modo ridotto o comunque non assoluto o privilegiato, di fronte ad un
processo dinamico asistematico, che si sviluppa secondo il principio dell
‘affermazione multipla o della regioni coesistenti (la pluralità dei sensi del
Senso inafferrabile), oltre il metodo di confutazione, fondato sul principio di
non contraddizione e di ragion sufficiente. L’approccio cognitivo è cioè, in
ultima analisi, definito secondo la probabilità e I ‘orizzonte congiuntivo. In
particolare il principio dell’ affermazione multipla, all’ insegna della
comunicazione e dell ‘ interdisciplinarietà, celebra più che una ragione
totalitaria, una ragione creatrice, dubbiosa ed al contempo continuamente
motivata ad esplorare la vita, se- condo l’apertura a 3600 del
compasso, in quanto coadiuvata dalle altre facoltà dell ‘anima.
Il procedere a raggiera in senso pluridirezionale dice di
una rete significativa che sollecita la ricerca in avanti rimanendo allo stesso
tempo cosciente della memoria di una genesi. Si tratta di una sollecitazione
permanente che permette di stabilire livelli interpretativi differenziati, che
si sovrappongono e si combinano, senza reciprocamcnte escludersi, il cui
continuo urto spinge a sempre nuove intuizioni. È il ragionar sognando o il
sognare ragionando. La ricerca dei sensi avviene attraverso la struttura
associativa, fatta di corrispondenze significative e rigorose ove ogni elemento
è logicamente associato al contesto e dove lo sbocco si iscrive ogni volta nell
‘innovazione, nella nuova prospettiva che conserva il ricordo della
retrospettiva, secondo la consequenzialità, l’analogia o la contraddizione ed
il paradosso. La tendenza logica si avvale così della tendenza intuitiva, di
quel ‘supplemento d’anima” che
ha segnato la dinamica massonica nel suo procedere innovativo nei secoli,
rispetto al pensiero e alla vita, alla teoria ed alla prassi, considerati a
campi unificati.
Si ritorna così al fiammeggiare della stella, simbolo
dello stato animico, il cui principio igneo veniva già da Eraclito definito in
termini divini (è nota peraltro la cotTispondenza etimologica greca di theiov e
theios, tra gli aggettivi sulfureo e divino):
“11 dio è giorno notte, inverno
estate, guerra pace, sazietà fame: differisce come “il fuoco” che,
quand’è unito agli aromi, prende il nome dal piacere proprio a ciascuno di essi’ (Fr.A91).
La stella è dunque rappresentativa del logos stesso,
parola della mente, analoga alla Parola dell ‘Origine, alla Parola della Genesi
che nel movimento creativo divide e riunisce. Parola originaria impronunciabile
eppure evocatrice, indicativa nella sua risonanza di un quid inafferrabile, di
un’origine continuamente sottratta, di un vuoto incolmabile, ma in quanto tale
produttivo della polisemia analogica, dell’interpretazione infinita, del
movimento di fuga dello stesso pensiero. Logos ana-logos, parola e
trasgressione. Parola dunque essenzialmente poetica. il cui dire è
contemporaneamente impossibilità del dire stesso, nella fuga verso I ‘oltre, in
quanto il suo limite risiede nel nascondimento della sua origine: che in quanto
tale permane irraggiungibile, pur costituendone l’essenzialità. Parola che è al
contempo suono e silenzio essendone la relazione.
Razionalità e irrazionalità (sovrarazionalità), logica della
misura e logica della dismisura risultano molto più interconnesse di quanto non
appaia a prima vista. E infatti il linguaggio l’ambito strutturato della logica,
della geometria, delle scienze, le quali sviluppandosi in equilibrio e misura
giungono a toccare la soglia della sovrarazionalità. Il modello
logico-matematico dell’adaequatio rei et intellectus è infatti indicativo della
trasparenza e coerenza e dunque nella conoscenza analitica chiara e distinta,
propria del sistema dualistico oppositivo, con le antinomie del vero e del
falso, del bene e del male. Ma il numero matematico stesso nel suo aspetto
trascendente con le connessioni infinite che esso indica, oltrepassa la
connotazione logica di tipo dualistico, comprendendo in se stesso l’eco dell
‘oltre. Le due modalità razionale e irrazionale dunque si compensano e si
compenetrano a livello d’impossibilità cognitiva di tipo unitario la prima e
d’impossibilità cognitiva di tipo definitivo la seconda. Un’aporia del pensiero
che, da qualsiasi lato la si osservi, definisce un’impotenza appropriativa
riguardo l’origine ed il fine. Ma è tale impotenza, tale incompiuto del
pensiero a conferirgli ricchezza e fecondità.
Pertanto oltre il postulato filosofico dell ‘identità di
essere e pensare, della simultaneità assoluta negatrice del tempo e della
storia, che ha segnato profondamente il pensiero e la vita dell’Occidente, ecco
riemergere ancora oggi l’attualità del metodo simbolico massonico (inteso •
come processo e non come sistema), coniugante mito e ragione, sogno e realtà,
quali dimensioni irriducibili. Ne emerge l’ uomo nella sua dimensione
autentica, relativa non solo al presente, ma anche
al passato, inteso comc memoria storica ed al futuro, inteso come sogni,
utopia. E propria del simbolo infatti la trasposizione analogica che permette
una lettura della realtà a più livelli (da quello letterale a quello profondo)
nella considerazione di una “verità” che eccede la ragione,
richiedendo l’utilizzo delle altre facoltà dell’anima, quali la memoria,
l’immaginazione, la fantasia, l’intuizione, secondo l’adesione ad un progetto
creativo in continuo divenire e dunque secondo una libertà creatrice. Un tipo
di conoscenza che definisce un ‘indefinibile processo inarrestabile,
illimitato, connotato dal limite di ogni traguardo, affermabile solo
contestualmente e non assolutamente, in quanto relativo.
Arte interpretativa, ascolto del silenzio, invenzione
analogica, sono resi possibili dal linguaggio simbolico, che traduce il mistero
in parole propriamente non tali, trattandosi più di interfercnze associative
che oltrepassano la definizione stessa di parola. Questa “irreale
realtà” sempre in fieri, sempre da ricostruire, mai compiuta, questo
continuo ritorno a compiti sempre ripresi e sempre da riprendere, suggerisce
all ‘uomo la necessità di rompere continuamente il Senso per far emergere
significazioni nuove, scorrevoli tra differenti registri defla realtà, secondo
risonanze infinite. Questa irreale realtà costituisce l’erranza essenziale
secondo un appello venuto dall’ombra, l’itinerario incompiuto del massone alle
soglie della poetica dell ‘essere che, alla stregua della stella, si situa
sempre altrove e altrimenti, semplicemente indicando e in tale indicare
trasformando I ‘errante in un Testimone dell ‘infinito.
NOTE
R. Guénon, L’ homme er son
de venir selon le Vedanta,
Editions Traditionnelles, Paris, 1991.
R. Guénon, Les états multiples de l’ étre, Editions
Traditionnenes. Paris, 1991.
E.A. Lévy, Valensi. Penser ou et rever, Ed. Institut
Synthélabo, Les Plessis-Robinson, 1997.
G. Colli. La sapienza greca, Adelphi, Milano, 1988.
Upanishad, Utet, Torino, 1983.
Il Piemonte, da sempre, è il laboratorio nel quale prendono vita
iniziativc culturali, sociali, politiche, economiche, che aprono la strada, e
le menti, a veri e propri terremoti ideologici e di costume.
Non sto a ricordare che da noi è nato il cinema, che dal
profondo delle barriere torinesi mossero le prime giuste rivendicazioni operaie
alla fine del secolo scorso; che i primi scioperi, dopo vent’anni di
oppressione fascista, presero avvio dalle officine della FIAT
“Lingotto” nel 1943; che è dalla “Regal Torino” che due
giovani intellettuali, uno piemontese di nome Gobetti, l’altro sardo, chiamato
Gramsci, all’alba degli anni ’20 di questo secolo, idealizzavano una loro
“Città del sole” in un “Ordine nuovo” liberal-socialista.
E potrei continuare!
Non c’è, quindi, da stupirsi che anche la Libera Muratoria
abbia seguito il medesimo destino.
Già verso la metà del ‘700 alcune
logge, tra le prime nella penisola, erano presenti in Torino, ma è soprattutto
nel corso del successivo XIX secolo che l’attività latomistica ebbe rigoroso
sviluppo nelle terre del Re di Sardegna, cosicché non era certo strano
ritrovare tra le colonne i più bei nomi della politica, della scienza e della
cultura subalpine.
Molti furono i letterati che indossarono guanti e grembiulino e, tra essi,
un posto particolare lo riveste Luigi Pietracqua. Nato a Voghera nel 1832, e
morto a Torino nel 1901, fu collaboratore di alcuni tra i più prestigiosi
quotidiani dell’epoca, dalla “Gazzetta del Popolo” alla ‘Gazzetta Piemontese” (l’odierna “La Stampa”),
al “Fischietto” di cui fu anche direttore.
Fecondo autore di testi teatrali (“Le sponde del Po”, 1862 /
“El pover paruc” / “Nona Lucia”, 1872 / “Le fije
povre”, 1881), rivestì un ruolo singolare nella letteratura regionale per
i suoi numerosi romanzi in “lingua” piemontese tra cui citerò
“La coca del gamber” “Don Pipeta l’asilè’ “1j misteri ed Vanchija”,
“L’ultim dij Castelvert’ , “La bomba ed via Arsenal” ecc.
Convintissimo massone, non fece mai mistero della sua appartenen-
za alla libera muratoria e, specialmente in “Don
Pipeta” e ne “1j misteri ed Vanchija”, la sua profonda vocazione
alla libertà, il suo innato istinto di libero pensatore eternamente in lotta
contro la prepotenza ed il sopruso liberticida (assai spesso rappresentato
dall’inquisizione ecclesiastica che, a Torino, aveva la sua tristemente nota
sede presso la Chiesa di San Domenico in via Milano) vengono prepotentemente a
galla.
L’iniziazione massonica
Un intero capitolo viene dedicato, in “Don Pipeta l’asilè”, alla
descrizione accurata della cerimonia di iniziazione come veniva condotta verso
la metà del ‘700, epoca in cui l’autore situa la trama del romanzo.
La vicenda pone in rilievo il ruolo storico della Massoneria
come opposizione “liberale e libertaria” all’assolutismo politico e
religioso. Su tutto, l’inquietante ombra dell’lnquisizione sempre pronta a
colpire come eretico chiunque palesasse quelle idee di libertà, uguaglianza e
fratellanza che tanto disturbavano il potere costituito (politico e religioso).
Il protagonista,
appunto Don Pipeta l’asilè, ha avuto l’intera famiglia sterminata dai birri
dell’lnquisizione ed ha trovato nella Libera Muratoria non solo l’approdo
ideale, ma anche l’appoggio, la solidarietà, la forza che lo ha aiutato a
superare le tristi avversità. Chiaro che il nostro faccia, come diremmo oggi,
del “proselitismo’ e cerchi di avvicinare alla Massoneria persone che, per
ideali, stile di vita e comportamento diano a vedere di esserne degni.
Oltretutto, vista l’epoca ed i rischi che correva chiunque indossasse
grembiule e guanti bianchi, i “profani” dovevano anche essere dotati
di notevole coraggio e di sprezzo del pericolo e, quindi, a maggior ragione
individui “sicuri’ .
Nel racconto tutto ciò è ben evidenziato dalla narrazione della cerimonia
iniziatica che, aldilà dell’aspetto rituale, sottoponeva il candidato a vere e
proprie prove che richiedevano sangue freddo e nervi saldi e ciò proprio,
ripeto, per la necessità di non avere, tra le proprie fila, persone pronte a
cedere al minimo spirar di vento. La narrazione inizia col
“prelevamento” del neofita, dal piemon-
tesissimo nome di Stefano Borello, al proprio domicilio da
parte di due “Fratelli” (uno dei quali è il già citato Don Pipeta)
che, dopo aver brindato col profano, iniziano con il farsi consegnare gli
“ori”. I tre si avviano nel buio della notte, ben attenti a non farsi
scoprire dalle ronde dei birri, e, dopo una ” …buona mezz’ora di marcia,
si sono trovati sui bastioni della cittadella”.
A questo punto Don Pipeta, tratto un fazzoletto dal
taschino, benda gli occhi del sempre più spaurito Borello e ricomincia il
“viaggio’
” …che viaggio lungo e complicato, che non finiva
più. Per un po’ han camminato sulla strada, poi sembrava che entrassero sotto
un ponte… perché i piedi avevano cessato di camminare sull’umido e adesso
camminavano sull’asciutto e sembrava che la volta rimbombasse sotto i passi di
tutti e tre…
Stefano, atterrito, ha la tentazione di interrogare i suoi compagni d’avventura,
ma, accorgendosi che tutto il tragitto è stato compiuto senza che una parola
gli sia giunta, decide di resistere anche se la paura dell’ignoto lo attanaglia
vieppiù.
Dopo un altro quarto d’ora di marcia ecco il terzetto
giungere ad un primo “blocco”: il nostro impaurito profano sente come
un brusio di fondo, un altro rumore come di armi, e poi una voce tonante
intimare il “Chi va là!’
“Figli della vedova” è la risposta… e si va avanti.
Si, ma dove?? Stefano, sempre bendato, deve totalmente
affidarsi alle sue guide, anche se, ad un tratto un terribile rumore di cascata
sembra assordarlo sempre più.
Il rumore si fa via via più forte, via via più vicino, sempre più insopportabile
e l’angoscia sale a tal punto che il nostro povero Borello sviene.
Rinviene… ed ora lo scenario è mutato. Ogni rumore è cessato ed il
profano, sbendato, si trova in una stanzetta debolmente illuminata, senza porte
né finestre, unicamente arredata da due sedie ed un tavolino con l’occorrente
per scrivere.
…ma, vicino al calamaio, cosa che non aveva niente di
rassicurante, c’erano un teschio ed una spada…
Il profano fa appena tempo a chiedersi, ad alta voce, dove si tro-
vi che ottiene immediata risposta da una “lunga figura
nera ed incappucciata” che gli dice “sul limitare del tempio della
luce! “
Costui, con tono imponente, gli chiede se veramente sia
deciso ad “entrare nel tempio” ed avendone avuta timida conferma,
ordina al timoroso Borello di scrivere il suo testamento, dicendogli:
“l’uomo, al nascere, acquista tre debiti forti e sacrosanti… il primo
verso Dio, il secondo verso se stesso, il terzo verso i propri fratelli…
ebbene bisogna che tu scriva in che maniera intendi soddisfare a questi tre
debiti! “.
Datagli mezz’ora di tempo, la “figura in nero”
torna a prendere il testamento e sparisce, di nuovo, alla vista.
Dopo un paio di minuti un’altra figura incappucciata gli si
presenta innanzi, torna a bendargli gli occhi e, qui, ricomincia un tortuoso e
lungo peregrinare accompagnato da rumori sordi, da grida d’aiuto, da clamori di
spade che s’incrociano, da ostacoli tali che, a volte, è quasi costretto a
strisciare per terra, a camminare a quattro gambe e così via.
Infine una voce tuonante ingiunge un fortissimo “basta! “
“Dove va questa carovana?”
“In pellegrinaggio per trovare la luce! “
“Chi la compone?”
“Due veri seguaci d’Hiram ed un profano! “
“E cosa vuole questo profano? “
“Entrare sotto gli auspici della vedova! “
“E si è preparato?”
“Ora non ha più ori con sé ed i suoi sentimenti li ha
scritti su una
“Però la sua gamba sinistra è ancora calzata! “
“Aspetta solo un ordine del fratello terribile per
scalzarla! “
“Avanti! “
Dopo questo dialogo, “svestita” , diciamo così, la gamba
sinistra fino al ginocchio, il profano viene fatto sedere su una poltrona, che
improvvisamente, sembra precipitare nel vuoto.
Poi la poltrona si ferma, il nostro eroe risente, sotto i
piedi, la terra, ma la sua tranquillità dura assai poco.
Di nuovo la voce imperiosa di prima, quella del Venerabile, gli chiede
cosa desideri più ardentemente ora.
Il neofita chiede, quasi con disperazione, di essere liberato dalla benda
che gli impedisce di vedere la luce. “E sei persuaso che, anche se ti
liberassimo delle bende, potresti qui vedere la luce?’
Il Borello non risponde, ed ecco che gli viene tolta la
benda! Ma, quale terribile sorpresa! , L’oscurità più fitta lo circonda! Solo
un piccolo punto luminoso resta e lì, guardando attentamente, il profano vede
una lunga fila di persone vestite con candidi mantelli che gli sorridono.
Non fa in tempo a rasserenarsi che, subito, lo spettacolo cambia
totalmente: stavolta si tratta di una terribile processione di scheletri e
cadaveri mutilati e straziati.
Pronta arriva la spiegazione del Venerabile che gli ricorda ciò che ha
visto ammonendolo sulla triste fine che aspetta chiunque iniziato, tradisca
l’organizzazione.
Dopo un terzo
viaggio, anche stavolta accompagnato da un forte rumore di cascata che via via
va attenuandosi, finalmente il profano riceve la “mezza luce”.
Ma l’iniziazione non è ancora terminata.
“Ora, o profano — aggiunge il venerabile — dovrai con noi assistere
al funerale d’Hiram!
Infatti ecco apparire, in mezzo alla sala, una specie di apparato funebre
con tanto di catafalco e torce nere, sul quale il povero Borello vede a
malapena una serie di strumenti tipici dell’arte regale: squadra, compasso,
maglietto e, tra loro, un ramo d’acacia.
Due fratelli conducono il postulante vicino alla bara e lo
fanno inginocchiare verso il trono del Venerabile: a questo punto, dal feretro,
s’alza una specie di “spettro” (che vorrebbe rappresentare il maestro
Hiram Abi) che, a palma distesa, batte tre colpi sulla schiena dell’iniziando.
Questo era veramente troppo!
Stefano Borello si volta e, con un grido soffocato, cade mezzo svenuto a
terra.
Ma è l’ultimo ostacolo: fatto rinvenire, il profano viene, finalmente,
condotto nel tempio ove riceve la “luce”.
E lo spettacolo, ora, è completamente mutato! Più nessun
apparato funebre… “La sala sembrava, come per incantesimo, totalmente
cambiata per quanto brillava tutt’intorno di ogni ornamento simbolico! Tutto
aveva un’aria splendida, imponente maestosa… A cominciare dal trono del
Venerabile che sembrava un altare rilucente d’oro e porpora… Tutti i fratelli
avevano deposto i cappucci e si presentavano solo più con le loro rispettive
decorazioni ed insegne che formavano un bellissimo e variopinto quadro
d’insieme… “
Il resto è cronaca, direbbe qualcuno… il profano, fatto
avvicinare all’ara, viene consacrato ufficialmente “framassone” dal
Venerabile che lo inizia a “fil di spada” e gli fa indossare
grembiule e guanti. Una triplice batteria dei fratelli chiude la cerimonia.
Commento finale
Indubbiamente la narrazione, di cui ho volutamente fatto un
riassunto condensato, tralasciando particolari sui vari viaggi, che comunque
chiunque può comodamente leggersi acquistando il libro, seppure per forza di
cose “romanzata” è comunque un Interessante documento su come
venivano iniziati i nostri fratelli duecento anni orsono.
Oggi una cerimonia di tal fatta, che senza dubbio, doveva
durare, presumo, tutta una nottata non avrebbe più senso, però credo che,
ugualmente, qualcosa ci possa insegnare.
Fortunatamente i tempi oscuri dell’lnquisizione sono finiti
ed i massoni non rischiano più di abbrustolire a fuoco lento su di una pira in
piazza Castello additati al pubblico ludibrio come “servi del
demonio” e, quindi, non è più necessario che il profano giuri segretezza a
scapito della propria gola, tuttavia anche ai giorni nostri la cerimonia
Iniziatica deve essere intesa in senso esatto.
E ciò non tanto dall’iniziando, che chiaramente non può capire nulla di
quel che sta accadendo, ma da chi l’iniziazione stessa conferisce,
principalmente da chi si fregia della maestria.
Perché, purtroppo, m’è capitato di sentire alcuni profani
sbuffare di noia durante la cerimonia, come se tutto fosse scontato ed inutile.
Chiarisco: ritengo sia naturale e logico che chi entra tra
di noi voglia informarsi sull’iniziazione (e le librerie abbondano di testi che
ne descrivono ampiamente tutti i particolari!), ma in tutti i casi
l’esperienza, il vissuto deve travalicare ogni lettura: perciò credo sia
compito di chi “inizia” far vivere al profano sensazioni, esperienze
ed emozioni tali che non possa più
scordarsi il primo passo.
Per questo è indispensabile che noi per primi si sia
convinti di stare facendo qualcosa di grande, di stare effettivamente dando la
luce ad un nuovo fratello, di contribuire a diffondere sempre più i nostri alti
ideali.
Questo e non altro deve essere, a mio avviso, il senso
dell’iniziazione: l’apposizione di un nuovo mattone nell’edificazione continua
del tempio.
Ecco perché anche un racconto letterario, se colto nel suo
profondo aspetto ideologico-simbolico, se vissuto quasi con totale
identificazione, può e deve essere uno sprone, un aiuto, un invito a diventare,
ogni giorno di più, dei veri liberi muratori.
Nota bibliografica
LUIGI PIETRACQUA, Don Pipeta l’asilé, Romans storich popolar,
Viglongo & C. S.r.l., Torino, 1976 (ln lingua piemontese).