GARIBALDI E LA PACE NELLA PUBBLICISTICA PACIFISTA ITALIANA (1882-1915)
l . Premessa
Dando alle stampe La
nascita del moderno pacifismo democratico ed il Congrès International de la paix
di Ginevra nel 1867 1 ‘ Michele Sarfatti rilevò che la
“zona d’ombra che ancora oggi caratterizza i rapporti
dell’Eroe dei Due Mondi con il pacifismo ed i pacifisti” non doveva
“intendersi come buio o silenzio”, giacché se ne erano in precedenza
variamente occupati Giuseppe Fonterossi, Giuseppe Santonastaso, Anthony P.
Campanella, Letterio Briguglio e Aldo Alessandro Mola. Ma sottolineò che,
“forse perché lo stesso nizzardo, consapevole delle radici che aveva il
suo mito, dedicherà solo poche righe delle sue Memorie al congresso del 1867 e
alla LIPL; forse perché in genere i biografi che gli si sono avvicinati sono
stati attratti principalmente dalle sue imprese militari: forse perché il
movimento pacifista ha scarsamente goduto di storici e custodi della propria
memoria; molto vi è ancora da ricercare e molto vi è ancora da riflettere
sull’impegno pacifista di Garibaldi”i2’.
Tale considerazione vale tuttora. Tra le
ipotesi da Sarfatti formulate la più corposa ci pare quella relativa alla
scarsa attenzione dalla storiografia internazionale prestata ai movimenti e
alle iniziative di pace sviluppatisi nel mondo fra l’Ottocento ed il primo
conflitto mondiale (e oltre). Dal canto nostro desideriamo però mettere in
evidenza anche l ‘ arduità delle perlustrazioni archivistica e pubblicistica.
Non già che le pochissime indagini sinora condotte non siano in maggioranza
ottime, e talvolta eccellenti. Tuttavia l’imponente documentazione disponibile,
conservata non solamente in fondi pubblici, ma altresì presso privati, necessita
onerosi sistematici scavi pluriennali. Per di più il deterioramento del
materiale procede, quando non accade che biblioteche pubbliche decidano (almeno
in Italia) di eliminare pubblicazioni altrove introvabili.
Va notato poi che le preziose opere scientifiche fin
qui realizzate sembrano ignorate da taluni maîtres à pensar e addirittura da
storici di vaglia. Per limitarci ai casi più illuminanti citiamo Norberto
Bobbio, il quale sostenne che nel nostro Paese “una tradizione di pensiero
e di azione pacifistica non è mai esistita”, pur soggiungendo che, se
durante la Grande Guerra “qualche spiraglio di pacifismo vi fu”, si
trattò “di pacifismo umanitario, prolungamento politicamente inoffensivo
del mazzimanesimo, e di pacifismo giuridico, supremo ideale delle varie leghe o
società per la pace , e François Fejto”, secondo cui uno dei fenomeni
“più sorprendenti della fine del secolo XIX e dell’inizio del XX fu la
crescita apparentemente irresistibile, in Europa e negli Stati Uniti, del
movimento pacifista”, il pacifismo “dei progressisti liberali
borghesi” ricevette “il sostegno delle masse socialiste, democratiche
e anarchiche” e i congressi pacifisti attirarono “centinaia di
migliaia di zelatori entusiasti”.
Ma un’ipotesi. da Sarfatti non avanzata, è a nostro
avviso altrettanto importante. Dopo la guerra franco-prussiana e il fallimento
delle tentate mediazioni libero-muratorie il Gran Maestro onorario del Grande
Oriente d’Italia, Giuseppe Garibaldi, “era venuto attribuendo un nuovo
compito alla Massoneria”, il perseguimento dell’unità mondiale. cui
“si sarebbe dovuti giungere non attraverso
il rovesciamento armato degli Stati esistenti, bensì con la loro lenta
aggregazione in plessi via via più ampi, entro i quali sarebbero stati risolti
i contrasti Poiché sino a un’età relativamente recente gli studi storici sulla
Massoneria sono stati ostacolati, salvo rare eccezioni, da pregiudizi faziosi
di segno opposto, ci sembra lecito ritenere che proprio il massonismo di
Garibaldi abbia variamente arrecato disturbo
a non pochi ricercatori. Del resto questo tema è tuttora controverso, sia per
antiche condanne, sia a causa di “scandali” freschi. A riprova va
considerata con estrema attenzione, per esempio. la dissociazione dello stesso
Sarfatti, dalla scelta di Mola di inserire, nell’antologia Garibaldi vivo,
“il Memorandum del 1860 ed il
discorso di Ginevra (assieme ad altre lettere direttamente connesse alla
proposta dell’arbitrato internazionale) all’interno del capitolo che riporta
gli scritti massonici del generale”, dacché in tal modo “il recupero
di un aspetto garibaldino molto spesso trascurato finisce per trasformarsi
nella creazione di un nuovo quadro di riferimento assoluto e limitante”181
.
Per quel che concerne la disattenzione storiografica nei
riguardi dei movimenti pacifisti, ai motivi di carattere generale sopra
sommariamente descritti occorre poi aggiungerne uno tipicamente italiano. Le
correnti pacifiste attive nella nostra penisola furono animate massimamente da
(pochi) radicali, repubblicani e liberali di varia scuola, ascendenza e osservanza.
Tuttavia la storiografia sui partiti, adottando un’impostazione che “è
certamente frutto anche di un forte bisogno intellettuale legittimamente
impostosi dopo il 1945, la necessità cioè di fare luce sulle origini di quei
partiti che si accingevano a giocare un ruolo predominante nella politica della
nuova Italia”, ha prodotto “una abbondanza di ricerche sul partito
comunista e socialista e sul movimento dei lavoratori ed anche sul
cattolicesimo politico”, mentre su repubblicani, democratici e liberali
“si rivela scarsa e legata alla trattazione frammentaria di momenti
isolati
Scopo del presente lavoro non è però l’approfondimento del
pacifismo di Garibaldi bensì la ricerca, sinora elusa dalla storiografia, delle
tracce da esso lasciate nella pubblicistica pacifista italiana tra il passaggio
all’Oriente Eterno del Nizzardo e il primo conflitto mondiale.
2. I movimenti pacifisti nel mondo
dall’età napoleonica alla Grande Guerra
Correva l’anno 1809. Taluni gruppi religiosi guidati da
quaccheri proposero in Gran Bretagna la costituzione di società pacifiste. Quei
pionieri credevano alla perfettibilità dell’uomo, assicurata dalla scintilla
divina presente in ogni essere. Per conseguenza si astenevano rigorosamente dal recare
offesa a qualunque aspetto della vita e della personalità umana. Si battevano
contro la schiavitù, la tratta dei negri, l’alcolismo, la pena di morte, le
guerre. Anche contro le guerre di difesa. (Giova ricordare, d’altronde, che,
dopo la vittoria riportata ad Hastings il 14 ottobre 1066 da Guglielmo di
Normandia sulle truppe di Aroldo II, il suolo inglese non aveva più subito
invasioni). Il 14 giugno 1816 un quacchero, William Allen, fondò la Society for
the promotion of Permanent and Universal Peace, da cui germinarono le Auxiliary
Peace societies che si diffusero rapidamente anche nel Galles, in Scozia e in
Irlanda.
Negli Stati Uniti d’ America, al contrario, la
vicinanza della guerra d’indipendenza e di quella scatenata, essendo presidente
James Madison, per azzerare l’influenza britannica sul continente e per
acquisire alla Confederazione il Canada (1812-1914), e l’impossibilità dei
quaccheri di pilotare a loro piacimento la corrente pacifista, fecero sì che
essa si scomponesse in due tendenze. L’una, rappresentata dalla New York Peace
Society, costituita il 14 agosto 1815 dal commerciante David Low Dodge, si
opponeva a tutte le guerre, esplicitamente richiamandosi al messaggio di
Cristo. L’altra, cui diede corpo la Massachussets Peace Society, eretta il 26
dicembre 1815 dal pastore Noah Worcester, rifiutava invece il pacifismo
assoluto. Nel 1828 le diverse società pacifiste americane si riunirono in un’
unica organizzazione nazionale. l’American Peace Society, senza per altro che i
dissidi fra radicali e moderati cessassero. Neanche il trionfo del pacifismo
integrale, avvenuto nel 1837, riuscì a comporre le discordie, cosicché l’ala
estremista si raggruppò nella New England Non-Resistance Society.
Intanto la londinese Peace Society cercava di far
conoscere le proprie idee anche nell’ Europa continentale. Uno dei suoi
dirigenti, Thomas Clarkson, ebbe un abboccamento con lo zar Alessandro I
Romanov. Il quacchero Joseph Tregelles Price consegnò al re di Spagna
Ferdinando VII le pubblicazioni della società, poi visitò a Parigi la neonata
(1821) Société de la Morale Chrétienne, che annoverava tra i suoi membri
Benjamin Constant. François Guizot, Alphonse Lamartine, Léonce-Victor de
Broglie, Hippolyte Carnot ed era presieduta da François-Alexandre-Frédéric de
la Rochefoucauld-Liancourt.
Aderendo, intorno alla fine degli anni quaranta, ai
principi liberoscambisti, le società inglesi ebbero un certo qual successo in
Europa e posero le basi delle prime riunioni internazionali della pace,
appellate Congressi degli Amici della Pace Universale, che furono celebrate a
Londra ( 1843), Bruxelles (1848), Parigi (1849) e Francoforte (1851 ).
Il Congrès international de la Paix di Ginevra (1867)
principiò la seconda serie di assise. Mentre Napoleone III chiedeva di portare
al Reno le frontiere del suo Impero per reagire al rafforzamento della Prussia
bismarckiana recente vincitrice dell’Austria, nella città svizzera fu decisa la
fondazione della prima associazione pacifista democratica europea, la Ligue
internazionale 18de la paix et de la
liberté, con cui Garibaldi fu in costante contatto dal 1872 al 1881
Una basilare evoluzione del pacifismo organizzato fu però
contraddistinta segnatamente dai venti Congressi universali della Pace svoltisi
a Parigi ( 1889), Londra (1890), Roma (1891), Berna (1892), Chicago (1 893),
Anversa (1 894), Budapest (1896), Amburgo (1897), Parigi (1900), Glasgow (1901
), Principato di Monaco ( 1 902), Rouen ( 1903), Boston (1904), Lucerna (1905),
Milano (1906), Monaco di Baviera (1907), Londra (1908), Stoccolma (1910),
Ginevra (1912) e L’Aia (1913). La costituzione del Bureau International de la
Paix (1891) significò l’istituzionalizzazione di un movimento estremamente
composito ma consapevole della necessità e dei vantaggi di un efficace e
assiduo coordinamento.
Parallelamente si riunì la Conferenza interparlamentare, la
quale nel 1899 prese il nome, che tuttora mantiene, di Unione interparlamentare: a
Parigi (1889), Londra (1890), Roma (1891), Berna (1892), L’Aia (1894),
Bruxelles (1895), Budapest (1896), Bruxelles (1897), Christiania (1899), Parigi
(1900), Vienna (1903), Saint-Louis (1904), Bruxelles (1905), Londra (1906),
Berlino (1908), Bruxelles (1910), Ginevra (1912), Aia (1913).
Ai movimenti pacifisti
aderivano in effetti persone spinte da moventi anche molto diversi tra loro:
non violenti intransigenti che sulla base di ragioni religiose o morali
condannavano tutte le guerre; filantropi che per umanitarismo avversavano le
guerre di aggressione e più raramente quelle di difesa; economisti
liberoscambisti a giudizio dei quali la libera circolazione delle merci avrebbe
unito le nazioni così strettamente da impedire i conflitti armati; industriali
e commercianti interessati insieme al mantenimento della pace e alla
soppressione delle barriere doganali e perciò sostenitori degli economisti
liberoscambisti; repubblicani convinti che la principale causa di guerra
consistesse nella sovranità di cui erano titolari le monarchie e che in
risposta preconizzavano la repubblicanizzazione degli Stati: radicali e
liberali progressisti che si sforzavano di organizzare politicamente la società
nelle nazioni. di ridurre le spese militari attraverso un miglioramento delle
relazioni internazionali e di recuperare in tal modo le risorse necessarie alle
riforme sociali da essi auspicate; giuri
sti che, constatate le colossali lacune del diritto internazionale,
individuavano nel progressivo sviluppo di quest’ultimo la strada maestra per la
riduzione delle controversie internazionali; socialisti che accusavano la
società capitalistica di essere il motore delle guerre, salvo poi dividersi
(molto aspramente) tra riformisti e rivoluzionari. Ma anche uomini politici
internazionalisti decisi a costruire una cooperazione interstatuale.
Ci fu collaborazione fra Unione interparlamentare e il Bureau
International de la Paix? Talvolta sì. soprattutto nel senso Bureau-Unione.
Nondimeno già nel 1892 l’Unione si staccò dalle società pacifiste allestendo un
proprio ufficio interparlamentare e, dopo aver tenuto
sue conferenze nelle stesse città prescelte
dai Congressi universali, abbandonò spesso questa consuetudine. Pur lavorando
entrambi per un ordine internazionale basato sul diritto, pacifisti e
interparlamentari erano invero separati da pesanti differenze.
3. Le
correnti pacifiste in Italia
Non è nostro compito offrire in questa
sede un’ articolata sintesi delle intricate vicende delle correnti pacifiste
italiane, su cui contiamo di tornare molto presto e diffusamente dando alle
stampe i primi risultati di alcuni anni di scavi archivistici c spogli
pubblicistici. Ci limitiamo dunque a osservare che il torinese Bertinatti,
intervenuto il 21 settembre 1848 al secondo Congresso degli Amici della Pace
Universale dimostrò che una rondine non fa primavera. La rivoluzione nazionale
non era ancora compiuta. Sicché non sorprende la risolza con cui Marco
Minghetti qualificò il “voto della pace universale (nato) prima nella gran
mente dell’ Alighieri” donde passò ad altri “filosofi” che,
“dopo di lui, idearono un anfizionico mondiale, o almeno europeo,
destinato ad esser l’arbitro delle questioni che nascessero fra gli
Stati”, e, da ultimo. rinnovellato e caldeggiato “da una società
filantropica d’ America, che trasrerì sua sede in alcune regioni di
Europa”, un “[n]obile intento, che sarebbe per ogni parte laudevole,
se non fosse di esagerazione, e inefficace nei mezzi che si
propongo. no”. Imperroché, argomentò Minghetti, “la speranza di
comporre i litigi dei potentati mercé un tribunale di arbitri, è veramente
utopia: mentre, se il tribunale fosse disarmato, non sarebbe ubbidito; se
armato a ragguaglio del suo incarico, sarebbe un potentato più forte degli
altri. e imporrebbe la propria volontà, anziché farsi conciliare delle altrui.
Otto anni dopo “il più ascoltato divulgatore di cultura
storica dell’Ottocento italiano”, Cesare Cantù” figurò tra i primi iscritti alla Ligue
internationale et permanente de la paix promossa dal francese Frédéric Passy.
Ma ben più numerose furono le adesioni italiane al congresso convocato da
Charles Lemonnier a Ginevra nel medesimo 1867: il Grande Oriente d’Italia, la
milanese Società d’istruzione popolare, le napoletane Libertà e Giustizia e
Falange Redenta, La Libertà di Ancona, le Società di Liberi Pensatori di Milano
e Varese, le società operaie di Ostuni e Arpino, la Società di Mutuo Soccorso
di Tunisi, la Loggia Dante Alighieri di Ravenna, la Società patriottica
femminile di Milano, il Comitato napoletano per l’emancipazione delle donne
italiane… A Ginevra confluì, in aggiunta a Garibaldi, uno scelto manipolo del
variegato magma democratico, libero-muratorio e libero-pensatore composto, tra
gli altri, da Benedetto Cairoli, Mauro Macchi, Timoteo Riboli, Giuseppe Ceneri,
Vincenzo Caldesi, Alberto e Jessie White Mario, Giovanni Pantaleo, Quirico Filopanti,
Carlo Gambuzzi. Giuseppe Missori, Giulio Adamoli. Nel comitato centrale della
Ligue internationale de la paix et de la liberté entrarono Cesare Stefani,
Tullio Martello, Alberto Mario, Ceneri, Gambuzzi e Riboli. II quale Riboli, in
veste di consigliere della sezione di Torino — presieduta dall’ebreo David
Levi, “l’intellettuale più prestigioso del primo gruppo dirigente
nazionale” massonico’ ma anche l’antico mazziniano divenuto monarchico
costituzionale — del comitato della Ligue, firmò con Levi, Giovanni Antonio
Rossi, Angelo Bosio. Pietro Maguenonti, Enrico Coppia, G.B. Triberti, Marco
Brava, Federico Pareto e Francesco Giraudi, all’inizio del sessennio
rivoluzionario (1868-1874), un infocato indirizzo alla “Democrazia Spagnuola”US)
Con
Garibaldi, Victor Hugo, Aurelio Saffi, Charles Lemonnier, il Grande Oriente
della Massoneria italiana (pilotato da Giuseppe Mazzoni), Giuseppe Mussi,
Agostino Bertani, Giuseppe Marcora, Mauro Macchi, Pietro Ellero c Alberto
Mario, Riboli si associò poi al Comizio promosso l’11maggio 1878 dalle Socielà
Operaie milanesi, mentre sembrava potesse scoppiare una guerra tra la Gran
Bretagna e la Russia che, sconfitta la Turchia, aspirava all’egemonia sui
Balcani. Di lì nacque in Milano
la Lega di Libertà, Fratellanza e
Pace (5 settembre 1878), con sezioni a Torino, Reggio Emilia e Crema, che, col
Consolato Operaio e con una misteriosa Società Umanitaria (da non confondere
con quella fondata nel 1893 in virtù del lascito di Prospero Moisè Loria’, fu
la radice dell’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale,
istituita nel capoluogo lombardo il 3 aprile 1887.
Assunto, il 9 marzo 1890, con l’approvazione del
nuovo Statuto, il titolo di Società internazionale per la pace — Unione
Lombarda, e costituita in ente morale con R.D. 15 febbraio 1891, l’associazione
insubre fu di gran lunga la più solida fra le società pacifiste italiane. Dei
37 Circoli, Società, Unioni e Comitati aderenti e rappresentati al Congresso di
Roma per la Pace e per l’Arbitrato Internazionale (12-16 maggio e dei 79
Comitati, Associazioni e Leghe aderenti al Congresso universale della Pace
allestito nell’Urbe nel 1891, pochissimi sopravvivevano invero tra lo scorcio
dell’Ottocentot21 e l’alba del Novecent Le correnti pacifiste non si
irrobustirono un gran che neanche nell’età giolittiana. La fioritura di Società
operaie e militari di S.M., Camere del Lavoro, Leghe professionali, Università
popolari, “Istituzioni diverse” e Istituti educativi intervenuti o
rappresentati o aderenti al primo Congresso Nazionale delle Società per la Pace
(Torino, 29, 30, 31 maggio e 2 giugno 1904)/ non deve trarre in inganno.
Eloquente, a questo riguardo, la lista dei delegati e aderenti al quindicesimo
Congresso Universale della Pace che ebbe luogo a Milano nel 1906 . Le uniche attivamente durevoli società
pacifiste italiane furono, oltre l’Unione Lombarda, la Società per l’ Arbitrato
Internazionale e per la Pace di Torino e quel Comitato di Torre Pellice della
Società Internazionale per la Pace che nel 1899 annoverava fra i suoi sodali,
con pastori valdesi e ministri evangelici, Enrichetta Giolitti, figlia di
Giovanni e moglie di Mario Chiaraviglio, futuro alto dignitario del Rito
Simbolico Italiano. Ad un livello più o meno inferiore vanno collocati altri
gruppi quali, per esempio, la Società
22
per la Pace e l ‘ Arbitrato Internazionale di
Perugia e la Lega Italiana per la Pace di Beniamino Pandolfi-Guttadauro, già
segretario generale della Conferenza interparlamentare, Presidente della Società
della Pace di Venezia, Presidente Onorario della torinese Società Escursionisti
“I Pionieri della e. sotto la Gran Maestranza di Ernesto Nathan, membro
della Giunta del Grande Oriente d’Italia.
4.
Garibaldi e la pace nella pubblicistica pacifista italiana
Sino dai Congressi degli Amici della Pace Universale le
società anglosassoni misero l’accento sul grande valore della più ampia
possibile circolazione delle proprie idee. Non diversamente si comportarono i
Congressi universali della Pace di Londra (1890), Roma, Anversa, Amburgo,
Principato di Monaco, Lucerna e l’ Assemblea generale di Torino (1898). Quegli
sforzi produssero una fitta (ma molto eterogenea) pubblicistica: opuscoli,
volumi, almanacchi, annuari c soprattutto fogli e periodiciC9‘. È
vero che i pacifisti segnarono al loro attivo l’acquisto dell’Independance
Belge, il grande quotidiano liberale di Bruxelles, effettuato verso i] 1896 da
Gaston Moch, Charles Richet, Premio Nobel della Medicina nel 1913, ed Emile
Arnaud, succeduto all’ex saint-simoniano Charles Lemonnier nella presidenza
della Ligue internationale de la paix et de la liberté. Ma si pensi alla
tormentata esistenza della pugnace rivista della Ligue internationale de la
paix et de la liberté, “Les Etats-Unis d’ Europe — Die Vereinigten Staten
von Europa” (titolo a intervalli irregolari completato da “Gli Stati
Uniti dell’Europa”, “The United States of Europe” e “Los
Estados Unidos de Europa e della Carnegie
Endowment for International Peace definì le più rilevanti testate pacifiste
europee: “Die Friedenswarte”, il periodico redatto dal massone
austriaco Alfred Hermann Fried, collaboratore di Bertha von Suttner e Premio
Nobel della Pace nel 1911 (circa 2.000 copie); “La Paix par le
Droit”, in cui scrivevano i “fratelli” Charles Richet e Lucien
Le Foyer, celebre libero-pensatore, insieme col venerato Frédéric Passy, Premio
Nobel della Pace nel 1901, e col protestante Théodore Ruyssen, futuro
segretario generale dell’Union internationale des Associations pour la Société
des Nations (circa 4.500); “Concord”, la rivista dell’International
Arbitration and Peace Association eretta nel 1880 dall’inglese Hodgson Pratt
(circa 1 .800)’31). Né si dimentichi che l’organo del Bureau
International de la Paix, intitolato dapprima “Cotrespondance autographiée”
(1892-1895), quindi ”Corespondance bi-mensuelle” (1895 – Nr. 5, X VIC
Année, Berne, IO mars 1911; dal Nr. 6. XVIe Année, Beme, 25
mars 1911 , “Correspondance bimensuelle”), acquistò nuova linfa
soltanto per mezzo del sussidio concesso al BIP dalla dotaLione Carnegie, che
rese possibile la stampa di 20.000 copie del “Mouvement Pacifiste” I et 2, 15 Janvier 1912).
Fortuna molto minore arrise pcr altro all’organo della Conferenza
interparlamentare, la “Conférence Interparlementaire”, uscita appena
dal 1893 al 1897.
Fra “[tlhe most important European periodicals
devoted to the movement for peace and arbitration” la Carnegie Endowment
non segnalò però la ‘ ‘Vita Internazionale” apparsa a Milano dal 5 gennaio
1898 e profondamente imbevuta dei valori etici e degli ideali di progresso
espressi dal positivismo votato alle riforme sociali. Eppure fino allo sbarco a
Tripoli la testata guidata dall’antico direttore del “Secolo”,
Ernesto Teodoro Moneta, fu l’indiscussa vessillifera delle società pacifiste
italiane, che con essa largamente si identificarono. Alla “Vita
Internazionale” che, stando a Moneta, costò sempre “molto più del suo
reddito -l’Unionene Lombarda affiancò
inoltre un popolare almanacco la cui tiratura (costantemente celata invece
riguardo alla rivista) oscillò tra le 30.000 e le 50 000 copie e fu fonte di
non del tutto trascurabili introiti.
Meno consistenti e tenaci “La Libertà e la
Pace”, portavoce della Società per la Pace e l’ Arbitrato internazionale
di Palermo, uscita dal 1891 al 1898 per impulso precipuo di Giuseppe
24
D’Aguanno, uno studioso schiettamente
darwinista, e il mensile della Società Escursionisti “l Pionieri della
Pace”, mentre fogli variamente esili o effimeri furono la taurinense
“Pace” ( 1891 ), diretta dal chimico c filantropo cosmopolita Gian
Giacomo Arnaudon; il “Bollettino dell’ Associazione Romana per la pace e
l’ arbitrato” (1893) pilotata da Ruggero Bonghi, dal moderato
filocattolico Cesare Facelli e del ‘fratello” Antonio Teso; l’ “Opera
Pacifista Italiana” (1909), notiziario trimestrale della Società per l’
Arbitrato Internazionale e per la Pace di Torino in cui militava Achille Loria;
la “Cronaca del Movimento Pacifista” (1912) dell’orientalista Angelo
De Gubernatis, in acerrima lotta, a proposito dell’ impresa di Libia, con la
napoletana “Luce del Pensiero” di Domenico Maggiore e con
“Guerra alla Guerra!” (1913), il bollettino della Federazione
Italiana per la Pace e l’ Arbitrato promossa da Maggiore, Enrico Bignami,
Edoardo Giretti, Arcangelo Ghisleri, Mario Falchi, Luisa Mussa, Anna Perti
Casnati, Arturo Dolara, Ernesto Ghezzi, Alma Dolens, Paolo Baccari, Elvira
Cimino e Vittore Prestini.
Quanto spazio il pacifismo di Garibaldi ebbe nella multiforme
pubblicistica prodotta dalle società italiane? Il Gran Maestro aggiunto
Onorario ad vitam, Pirro Aporti, mise l’accento sulla “permanente causa di
guerre politiche (risiedente nel bisogno di avere e di completare la
patria” che Garibaldi. “guerriero sommo e convinto fautore di pace
volle espressamente riservata al Congresso di Angelo Mazzoleni, nel marzo 1879 fondatore con
Ghisleri, Gabriele Rosa, Ernesto Pozzi e Costantino Mantovani della
Consociazione Repubblicana Lombarda, diligentemente inventariò le principali
iniziative pacifiste del generale* Ernesto Teodoro Moneta, che si
qualificò per “un oscuro gregario di Garibaldi”, elogiò il Nizzardo
in antitesi con la “generalità dei Isuoij concittadini” nei
“tempi ordinari”, e principalmente con la “generazione di
patrioti, i quali, sognando l’impossibile ritorno della grandezza romana,
avrebbero voluto fare dell’Italia moderna, anziché una delle nazioni più libere
e più civili, una potenza militare di prim’ordine
Arcangelo Ghisleri individuò nell’uomo delle guerre sante, delle sole
guerre giuste e legittime, guerre di liberazione non di aggressione e di
conquista”, il “simbolo dell’ autentico nazionalismo italiano
Potremmo continuare: ma l’ elenco delle citazioni
sarebbe brevissimo e le successive sarebbero ancora più fuggevoli di quelle
sopra riportate: sicché ce ne asteniamo.
Che il pacifismo di Garibaldi sia stato evocato con
assoluta parsimonia ci pare fuor di dubbio. L’individuazione dei perché
richiede nondimeno la massima cautela. Si è tentati di arguire che l’
internazionalismo massonico garibaldino non fosse del tutto gradito a chi, come
Moneta, talora aveva lanciato i suoi strali contro l’Ordine ed a chi, come
Ghisleri, affiliatosi alla Comunione liberomuratoria “per inviti di
Aporti”, presto se ne era allontanato chiarendo che “pei buoni e
bravi, non c’e[ra] bisogno di quell’istituzione, perché già lavora[va]no del
pari a muso scoperto nel campo profano e vi [avrebbero lavorato] anche se non
massoni — per chi non [era] né buono né bravo cittadino, l’istituzione non
[avrebbe giovato]
né all’intelligenza né al carattere” . Ma ad Aporti ?
Svincolato da
qualsiasi “scuola” o “partito” Garibaldi era tuttavia il
campione più universalmente celebre della “democrazia italiana”. Ma
da un lato questa non era affatto compatta (neanche nel campo garibaldiino dall’ altro le società pacifiste
dovettero molto faticare, nonostante le assicurazioni date da Moneta e dalle redazioni della “Libertà e la
Pace e della Pace per scrollarsi di dosso l’accusa di essere
“a base repubblicana”, dal momento che in Milano, “donde partì
il movimento più attivo per la propaganda”, esso era capeggiato da
“egregi democratici, noti per avere qualche globulo rosso nelle Non ci
sembra perciò errato, né in fondo azzardato, supporre che il desiderio di
cooperare con moderati quali, per esempio, De Gubernatiso Ruggero Bonghi, Carlo
Alfieri di Sostegno, Cesare Facelli ed altri esponenti della “Federazione Cavour suggerisse ai democratici di tutte le sfumature di
sfiorare appena il pacifismo garibaldino.
E certo comunque che i più prestigiosi e autorevoli
“amici della pace” di ascrizione democratica sempre fervorosamente
condivisero il più discutibile i capisaldi del pacifismo di Garibaldi, ovvero
la controversa teoria della guerra giusta diversa ma non opposta rispetto a
quella messa in onore da Sant’Agostino. Di siffatta teoria, che al tempo
dell’impresa di Libia aveva provocato nelle loro schiere acerbe lacerazioni,
essi fecero l’apoteosi durante fa Grande Guerra. Al Comitato Promotore del
Congresso Internazionale per lo studio delle basi di un Trattato di Pace
durevole Edoardo Giretti garantì il 10 novembre 1915 che, “pur avendo
voluto, come cittadino italiano e rappresentante al Parlamento, l’intervento
dell’Italia nell’attuale conflitto europeo”, egli “nulla [aveva] da
ripudiare del [suo] ideale e dei [suoi I principii pacifisti”, perocché
non era “mai stato fautore della pace ad ogni costo e senza onore”, e
si era “risoluto ad assumere la [sua] parte di responsabilità nella
dichiarazione di guerra fatta dal Governo italiano soltanto quando [si era] convinto
che l’Italia non poteva, senza venir meno alle sue tradizioni più gloriose,
assistere passivamente al trionfo della violenza sul diritto ed allo
schiacciamento forse definitivo della libertà dei popoli e della giustizia
internazionale.
Ovvio che Moneta plaudisse. Ma altri aveva deciso
l’intervento e si accingeva a dirigere con ferrea disciplina quattro anni di
mobilitazione nazionale. Con intuito di fine politico Vittorio Emanuele III,
consapevole dell’insistenza con la quale il pacifista Garibaldi aveva
proclamato la necessità di marciare col re solo fino a quando questi fosse
stato al passo con la “nuova Italia”, aveva però saputo attrarre al
suo fianco anche garibaldini, mazziniani e radicaldemocratici che per decenni
avevano animato società, leghe, comizi e congressi per la pace.
TAVOLA DEL FR.’. Cl. Spir.