DEL MODO Dl SCRIVERE STORIA IN MASSONERIA

DEL MODO Dl SCRIVERE STORIA IN MASSONERIA diCharlesPorset

Come osservava Arnaldo Momigliano qual siasi idiota è capace di scrivere la storia del suo tempo, giacché gli basta scrivere ciò che crede di sapere. Questo modo di scrivere storia, non molto mutato dai tempi di Tucidide. è all’origine. nel mondo massonico, di molteplici plaquettes commemorative che riferiscono con maggiore o minore felicità il passato di una loggia a cominciare dalla sequenza dei suoi membri e dei diversi avvenimenti che l’hanno riguardata. Questa cronaca documentaria, monografica, ha un suo interesse ma la sua portata è limitata poiché alla fin fine essa non fornisce alcuna spiegazione generale della realtà massonica che, si sa bene, non è semplice somma delle vicissitudini dei suoi componenti.

Ricostruire la storia del passato che non è più, di un passato che oltrepassa la capacità della nostra memoria. è tutt’altra cosa. In questo caso non si tratta più di far sorgere il profilo di un passato nel quale si mescolano leggenda e testimonianze, di operare una selezione più o meno intelligente degli avvenimenti vissuti o osservati, ma di far scaturire il profilo di un passato nel quale si mescolano leggende e testimonianze lavorando su fonti frammentarie, sempre difficili da interpretare e delle quali in primo luogo occorre stabilire l’autenticità. Partire da un manoscritto, da un testo a stampa, da una corrispondenza, da un rapporto di polizia, da un rituale ecc., per creare una memoria artificiale ove regnava I *oblio. Ecco il compito dello storico; e lo storico della massoneria non si differenzia in nulla dallo storico del mondo ellenistico o del Risorgimento. a questo proposito. Nondimeno. a differenza degli altri, egli è sottoposto a vincoli specifici che riguardano la natura stessa della libera muratoria che. dalle origini. è avvolta nel mistero, nel segreto; tanto che anche oggi è difficile distinguere fra mito e verità dei fatti. D’altronde, se la storia generale si è secolarizzata in Europa dal Seicento, la storia della Massoneria, per quanto paradossale. Vale a dire che la realtà della massoneria rimane un oggetto-caldo” anche se da una trentina d’ anni storici “profani” — penso ad Alain Lc Bihan. Pierre Chevallier: a José Antonio Ferrer Benimeli, a Carlo Francovich, Reinhart Koselleck, Ran Halévy, Gérard Gayot, Margaret Candec Jacob o a Giuseppe Giarrizzo (per non citarne che alcuni) — si sono avventurati su un terreno generalmente riserva di caccia dei massonologi. Tale situazione fa sì che la storiografia massonica sia lontana dalia purezza cristallina di cui la storia generale può (in diverse misure) avvalersi; ne deriva che molte scorie I ‘ingombrino e troppi partiti presi l’appesantiscano, quando non si tratti semplicemente di ignoranza-

Il primo di essi è la tesi faziosa che ancora contrappone i fautori della “regolarità’ ai “massoni liberali— Alec Mellor ha marciato molto su questa via ma, sull’altro versante, va detto che le opere di Louis Amiable o di Gaston Martin risultano non meno sospette — anche se io propendo a credere che v’è da ricavare più da questi storici del Grande Oriente di Francia che da Mellor: un cattolico di destra che finisce per approdare alla Gran Loggia Nazionale.

Un altro spartiacque significativo in materia di storiografia è quello che oppone gli “scozzesisti” ai “francesi”: per gli uni, aldilà dei suoi geroglifici. la massoneria rinvia a una saggezza primaria  trascendente il vecchio fondo ebraico-cristiano della nostra cultura; per gli altri essa è un ‘associazione secolare nella quale i riti e i simboli non sono che elementi posticci introdotti per cementare il gruppo. Questi spartiacque non contrappongono solo le Comunità rnassoniche fra loro ma si rinvengono a diversi livelli nelle Obbedienze stesse. Li si ritrova all’interno del Grande Oriente di Francia medesimo che. conne sapete, è una federazione di logge praticanti riti diversi anche se nell’insieme vi prevale il rito francese. quanto meno a livello delle logge simboliche, mentre il Gran Collegio dei Riti segue prevalentemente i gradi scozzesi.

Queste opzioni — non oserei dire filosofie orientano indubbiamente l’approccio storiografico: ed è precauzione necessaria sapere che lo storico massone, poiché è libero di scrivere la storia a proprio piacimento, raramente è neutro o imparziale. Io stesso non pretendo di trarmi dalla mischia. Vuol dunque dire che (o storico massone è incapace di scrivere una storia obiettiva e che sia costitutivamente condannato a sprofondare nell’apologetica? Per un’inversione paradossale bisognerebbe dunque fidarsi solo di storici profani o perfino antimassoni? Non credo affatto e resistenza di Commissioni di storia in seno alle varie Comunità. l’eccellente lavoro svolto dalla “Quatuor Coronatorunl Lodee”. l”IDERM,

‘ ‘Vi]lard de Honnecourt” o diversi gruppi di ricerca quali “Latomia” Renaissance Traditionnelle” e. in Italia, il Centro per la storia della Massoneria diretto da Mola e l’ IDISERM provano, semmai ve ne fosse bisogno, che la preoccupazione per la storiografia è una costante delle massonerie moderne: ma essi ne segnano anche i limiti, giacché, in ogni caso, sono espressione di una Obbedienza o di una sensibilità massonica.

Dal momento che la massoneria scaturisce dalla storia generale dell’Occidente. la creazione di una rivista internazionale di storia della Libera Muratoria. sul modello delle

grandi riviste di storia esistenti da almeno un secolo, potrebbe correggere le prospettive riduttivistiche facilmente riscontrabili nelle diverse pubblicazioni alle quali ho fatto riferimento. Ben inteso indipendente dall Potenze massoniche, una rivista di tal genere non avrebbe cura che per la scientificità delle ricerche intraprese.

La storia, diceva. Hegel. è sempre di parte. Scritta dai vincitori, essa è oggi com’era per Machiavelli strumento del Principe. L’unità nazionale ne è una conferma. La storia massonica è quella delle Obbedienze che sono prevalse. Essa è anzitutto quella del Grande Oriente, vale a dire dell’aristocrazia liberale che ha saputo imporsi sulle rovine della Gran Loggia. Ma la nostra storia è anche quella dell’antimassoneria che. dai primi anni del Settecento, in Francia come in Inghilterra. ha sempre associato massoneria e liberalismo. Quando nel 1797 pubblica i Mémoires pour servir à l’ histoire du Jacobinisme, Barruet istruisce a un sol tempo il processo contro la massoneria e contro la rivoluzione,  mentre più tardi Jeannet e Deschamps e. m tempi a noi più vicini. Fay e Cochin istruiscono il processo contro la repubblica, insieme a quello contro la massoneria. Vale a dire che la Libera Muratoria. si voglia o no politica (è questo il rimprovero più severo mosso al Grande Oriente di Francia) è essenzialmente un fatto politico che intende bene mescolarsi alla realtà del mondo” . Credo in Inghilterra come in Francia — ma soprattutto in Francia, poiché vi si viveva nel regime introdotto con la Revoca dell’Editto di Nantes — permettendo ai fratelli di associarsi per stare insieme (all’epoca la massoneria non ha alcuno scopo esoterico: basti, a conferma. riportarsi ai testi del tempo) la massoneria inventa e poi impone una nuova forma di associazionismo laico che per /a prima volta sfugge all’autorità della Chiesa e dello Stato. Si tratta di un fatto straordinario, di cui i massoni furono promotori, una realtà talmente rilevante che la libertà d’associazione (li verrà costituzionale solo nel 1901 per la Francia mentre in Italia si è ancora in attesa di una legge che conferisca certezza giuridica alla massoneria. Quest’invenzione di Lino spazio pubblico laico ha poco da spartire con l’idea che alcuni hanno di massoneria poiché secondo certuni noi saremmo i depositari di “segreti” che, trasmessi dai saggi dell’Antichità. sarebbero stati miracolosamente  ritrovati in Scozia e poi dai massoni della Gran loggia di Londra. Inutile dire che tutto ciò è assolutamente inventato di sana pianta e che, sc a nessuno è vietato di fantasticare. lo storico ha il dovere di non raccontare favole per favorire il sonno.

Se evoco questa storiografia mitologica ponendomi sulla scia di altri, del resto: e penso a Sadler, Mellor e Ligou — è perché la nostra visione del passato, se non prendiamo le debite precauzioni, è troppo spesso deformata dal presente o da certe tendenze di recente invenzione che spiriti pigri vorrebbero far risalire a epoche immemorabili. Così alcuni pensano che la massoneria è una “società iniziatica”, mentre questo termine, pochissimo diffuso nel secolo XVIII, affiora indirettamente nel sec. XIX nel Tuileur Vuillaume che peraltro non è neppur esso un testo ufficiale del Grande Oriente di Francia. D’altronde, si fa spesso riferimento all’andersonismo. Ora. basta prendere la Bibliografia di Ferrer Benimeli per constatare che le cosiddette Costituzioni sono state assai poco ripubblicate nel Settecento in Inghilterra, che se ne conoscevano due traduzioni-adattamenti nel Continente (quelle di La Tierce e di Kuencn) e che bisogna attendere gli anni Trenta del Novecento per vedere il testo ripubblicato da monsignor Jouin, il fuliginoso editore della “Revue internationale des Sociétés Secrètes” e dei Protocolli dei Savi di Sion. Orbene. che cosa voleva dimostrar monsignor Jouin? Semplicemente che, dall’origine. In Costituzioni sviluppavano un latiduninarismo. uno spirito di tolleranza ai quali s ‘inspirarono i rivoluzionari. ln breve, che la massoneria era intrinsecamente liberale. vale a dire sovversiva! Ora, quando si sa che nessuna delle Grandi Logge continentali assume per propria base il testo andersoniano si è in diritto di credere che
 l’influenza ideologica di queste cosiddette Costituzioni è del tutto inventata.

Se non vuol cadere in un usteron proteron, ln anacronismi macroscopici, lo storico deve dunque collocare i documenti nel loro contesto: operazione in mancanza della quale egli si fuorvia. Posso fornire decine di esempi dei controsensi che deturpano la storia della massoneria quando la si voglia strumentalizzare in funzione della politica delle Obbedienze. Prendiamo, il caso del «ricevimento massonico» di Voltaire alla “Neuf Smurs”, di cui si è molto parlato. Le massonerie liberali ne hanno tratto motivo di gioia, in generale (mentre Jacques Lemaire la minimizza); sull’altro versante si fa osservare che quel «ricevimento massonico» non fu regolare (poiché a Voltaire venne consegnato il grembiulino di maestro già appartenuto ad Helvétius) e che. a ogni modo. Voltaire non fu noassone che per soli quattro mesi prima di morire. Ma ciò che si dimentica di dire è che al di là (nell’uomo Voltaire la loggia registrava l’ingresso in massoneria del volterrianesimo, vale a dire della lotta da lui condotta: insieme con i “Philosophe.s”. per la tolleranza, la giustizia e contro l’”infame”, vale a dire contro ogni clericalismo, e che tutto ciò, all’epoca dei fatti. — come anche oggi. del resto — faceva impressione.

Potrei dilungarmi su altri esempi. in particolare sulle origini massoniche della divisa repubblicana Libertà, Uguaglianza e Fratellanza; o, ancora. sulla politica degli Alti Gradi svolta da’ Grande Oriente intorno al 1780 e che ha poco da spartire con l’esoterismo: tornare ancora sulla teoria del complotto come è urgente fare sulla base di recenti novità e specialmente sulla traccia di Giuseppe Giarrizzo e Gian Mario Cazzaniga e come abbiamo iniziato a fare con il convegno di Cussanio l’anno scorso organizzato da Aldo Mola. Ma il tempo incalza e come quei lavori sono stati pubblicati. ognuno potrà riferircisi.

Per concludere vorrei dire che le mie ricerche massonologiche mi hanno convinto che non vi è alcuna ortodossia massonica e che il ricercatore ha il dovere di lasciare i metalli alla porta del Tempio della Storia se vuole evitare l’apologetica o il ridicolo. La mia qualità di massone del Grande Oriente di Francia e di storico non scalfisce affatto questa regola, giacché una cosa è ‘Tare massoneria”, un ‘altra è “fare storia’.•.

(Traduzione di Aldo A. Mola)

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PASCOLI MASSONE

PASCOLI  MASSONE

Conservatore dei Beni Pascoliani di Casa Pascoli a Castelvecchio, Gian Luigi Ruggio, nato sessantun anni orsono nella Barga così cara al poeta di San Mauro di Romagna (ora San Mauro Pascoli), ha tutti i prerequisiti per darci, come fa, un eccellente lavoro di sintesi sulla “vita tormentata” del celebre umanista e poeta, costantemente colpito da terribili sventure: a cominciare, com’è noto, dall’assassinio del padre (un “caso insoluto”, per indolenza degl’inquirenti o peggio: ma sul cui mandante Giovanni Pascoli non ebbe dubbi), seguito dalla morte della madre, “per crepacuore” come un tempo si diceva. Fitto d ‘informazioni minute su ogni aspetto della vita quotidiana — dalla fanciullezza agli studi liceali, da quelli nell’Università di Bologna, ove si addottorò in lettere il 17 giugno 1882 con Giosue Carducci, Giovan Battista Gandino e Gaetano Pelliccioni (ma a pag. 51 si legge: Gambino e Pelliccioni), dagl’inizi dell’insegnamento nella remota Matera. anziché nella meno sgradita Teramo, alla tormentata carriera universitaria —, il cor

poso lavoro di Ruggio è arricchito da un ‘ampia antologia di quelli che all’Autore paiono i “versi migliori” della produzione pascoliana. In tal modo il lettore può “toccare con mano” la grandezza di Pascoli. Per una seconda edizione  che vivamente auspichiamo — suggeriamo anzi l’aggiunta di alcune prose, comprese le celebri pagine da Pascoli dedicate alla definizione del poeta quale “fanciullino”: forse scontate e note, ma non più di quanto lo siano, allora, le poesie opportunamente raccolte nel volume.

Tra i fili conduttori dell’interpretazione della figura e dell’opera dell’autore di Myricae v’è l’insistenza sulla sua fede: ‘ ‘Una fede — scrive Ruggio — che cot passare degli anni, e forse a causa dei continui lutti familiari e i grandi turbamenti della vita. sembrò perdere, anche se, per non dispiacere alla sorella Mariu, non lo confesso mai apertamente, fermandosi semplicemente davanti alla religione dei morti e al mistero descritto minutamente nel libro. Una porta chiusa di cui esitò sempre a girare la chiave”. L’ Autore molto trae, al riguardo, da Lungo la vita di Giovanni Pascoli, cioè dai ricordi della fedele quanto incombente sorella, Marra, che, cattolica praticante e devotissima, molto si adoprò per assicurare alle spoglie del fratello le litanie del frate francescano Paolino Dall’Olio e la benedizione impartita da don Benvenuto Barrè. Su quella traccia Gian Luigi Ruggio, si premura di minimizzare, sino a negarla, l’iniziazione massonica di Pascoli. Egli ricorda infatti che don Barrè, Pascoli morente, “era corso a Bologna per ottenere l’autorizazione per i funerali religiosi. Ciò — precisa Ruggio si rese necessario perché era ancora vivo il ricordo di Pascoli politico, del giovane anarchico che, in gioventù, fu intimo amico dell’attivista socialista Andrea Costa. Senza poi dimenticare che aveva avuto fugaci abboccamenti (sic!) con la Massoneria dalla quale si era ritratto quasi subito perché aveva capito che, così, avrebbe compromesso la sua libertà” (p. 341). Il tema viene sfiorato anche nella pagina dedicata alla laurea, conseguita da Pascoli il 17 giugno 1882: “Forse era fatale, Inagari per invidia, che qualcuno insinuasse che Pascoli fosse infiltrato (sic) nella Massoneria o che questo spiegasse i suoi trionfi. Mariù ritiene tranquillizzare Ruggio i suoi lettori —, nelle sue memorie, respinge con sdegno tale accusa. Il fratello, infatti, ripeteva spesso che era bene tenersi lontano da quella setta che proteggeva, si. i suoi affiliati e li aiutava a emergere ma, così facendo, li teneva ben stretti nel pugno, togliendo loro ogni volontà autonoma e la stessa libertà” (p. 52): ove l’Autore parrebbe far proprie le opinioni della massonofoba Maria Pascoli.

Invero. con buona pace di Maria Pascoli e dei biografi corrivi a negare l’iniziazione libero-muratoria del Poeta. possiamo agevolmente documentare come Pascoli abbia vissuto i pochi momenti sereni della sua tormentatissima vita proprio in compagnia di massoni: è il caso. per esempio, degl’incontri nell’orto della trattoria di Battista Milani alla periferia di Massa (di cui scrive anche Ruggio a pag. 69). Ciò che però più conta è rilevare come in un’opera così informata venga rimesso in dubbio quant’è ormai stato documentato da tempo: e cioè che, dopo la lunga e fraterna amicizia con il massone Andrea Costa ( la cui appartenenza alla loggia “Rienzi” di Roma Ruggio forse ignora ancorché sia stata incontrovertibilmente documentata dal bel saggio di Furio Bacchini). Pascoli venne iniziato alla loggia “Rizzoli” di Bologna il 23 settenbre  1882, con dispensa dalle formalità d’uso anche perché in partenza per Matera e. date le sue condizioni economiche. con consistente riduzione delle “capitazioni”. Il verbale dell’iniziazione. che avrebbe dovuto mettere a tacere ogni ulteriore disputa ma così purtroppo non è: come appunto confermano le pagine di Ruggio — venne pubblicato sin dal 1986 da Carlo Manelli in La Massoneria a Bologna dal XVIII al XX secolo, con prefazione di Manlio Cecovini (Bologna, Analisi.

pp. 1 1-12). Da parte nostra aggiungiamo che il  22 dicembre dello stesso 1882 e in quella stessa loggia “Rizzoli” Aurelio Saffi (che la frequentava. come del resto Carducci, Quirico Filopanti, Oreste Regnoli e molte altre personalità della cultura del tempo) dichiarò “urgente elevare moralmente le classi operaie e tentare con tutti i mezzi possibili di migliorare le condizioni economiche di queste classi”. Era l’anno, del resto, dell’elezione di Costa alla Camera dei deputati e nel quale venne posta allo studio l’istituzione di “logge  operaie .

Son cose note, così come da oltre un decennio, e non solo sulla scorta delle pagine di Carlo Gentile su Pascoli: saggi massonici di poesia (Livorno, Bastogi, 1976), Antonio Piromalli ha sviscerato appieno il tema Giovanni Pascoli e la Massoneria (v. Massoneria e letteratura, Foggia, Bastogi, 1986, pp. 190 e ss.). Né sarebbe il caso d’insistervi se non fosse che da un canto il massonismo pascoliano (come quello, anche più conclamato, di Giosue Carducci'”) continua a essere ignorato dalle storie della letteratura e poi perché cercar di minimizzare o denegare (come anche Ruggio fa) un dato biografico di tale rilevanza non concorre né alla comprensione della personalità del poeta né alla serenità del giudizio che. ormai lontani dalle lacerazioni artificiose del primo Novecento. occorre pur acquisire, quando si voglia orientare il lettore odierno sul possibile rapporto tra spiritualità massonica e creazione poetica. Solo un completo fraintendimento della massoneria potrebbe infatti continuare a indurre che un iniziato fosse precluso alla “fede”: e ciò vale per oggi. ma valeva anche per l’età del Fratello Pascoli. il cui massonismo confidiando possa ottenere più equilibrata attenzione da parte del Conservatore dei Beni Pascoliani di Castelvecchio.

Richiesta di alnn1issione del Prof. Giovanni Pascoli

Il Fratello Venerabile avvisa quindi i Fratelli che il profano Giovanni Pascoli. professore, desiderava «farsi iniziare Massone. Ina dovendo egli partire subito per il luogo del suo impiego, occorreva eccezionalmente ed in vista della bontà del/ • elemento che avrebbe arricchiti la ,grande Faniglia Massonica, che la Loggia soprassedesse alle formalità d’uso

“Il  Fratello venerabile ed altri Fratelli offrendosi garanti della moralità di detto profano,

Oratore conclude appoggiando la proposta che viene approvata ad unanimità’

“Si procede quindi all’ammissione di detto profano Giovanni Pascoli, professore di San Mauro di Romagna di anni 27″…

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I NUMERI

I NUMERI

Non vi è disciplina o attività umana che non sia condizionata dai numeri.

Vi sono rapporti numerici nell’architettura. nelle arti decorative, nella musica e nella metrica di ogni letteratura, per non parlare delle scienze e delle tecniche.

Il numero, ente astratto che esprime una successione ordinata, ha nella sua stessa ecceità quelle caratteristiche che lo rendono indispensabile. potendo divenire grandezza, misura, individuare o essere un sistema, trasformarsi in simbolo. Ed è quest’ultima caratteristica, unita all’estrema esprimibilità concettuale, che lo ha visto divenire il protagonista di molte correnti e scuole esoteriche.

Il Reghini, ad esempio, ha evidenziato come i Liberi Muratori lardo-medievali “identificassero l’arte architettonica con /a scienza della Geometria e dessero alla conoscenza dei numeri tale importanza da giustificare la pretesa di essere i soli ad avere conoscenza dei Numeri Sacri’

Ma la numerologia è legata soprattutto alla scuola Pitagorica, che fiorì nel VI O sec. A.C. come una sorta di associamone a carattere religioso della quale, a dire il vero, sappiamo poco. A dar fede alle testimonianze della tarda età ellenistica sembra certo che il saggio di Samo facesse ampio ricorso alla simbologia e pensasse al numero come all’essenza ultima di tutte le cose. L’universo era immaginato come ordine, armonia e simmetria e di questo sistema faceva parte l’uomo o meglio l’anima destinata ad incarnarsi nella materia attraverso il processo della metempsicosi. I tardi apologeti ed epigoni di Pitagora narrano, inoltre, che il Maestro aveva diviso i suoi discepoli in quattro livelli diversi per conoscenza. Si progrediva così in modo graduale passando da una dimensione exoterica ad una epifanica nella quale il recipiendario riceveva la rivelazione della verità.

Interessante. oltre alla divisione fra numeri amicabili e perfetti, è la considerazione del numero come rapporto che permette l’armonia universale e dunque, comprendendolo e astraendolo dalle valenze puramente quantitative, è possibile risalire al divino. In questo il pitagorismo ricorda da vicino forme di gnosticismo scientifico attuale che operano lo stesso processo partendo dal concetto di energia.

Anche per Platone il numero ha una grande importanza. L’Ateniese affronta questo argomento specie nel Timeo, la bellissima opera della maturità dove esamina il problema dell’origine e della formazione del mondo, organizzato sulle interazioni fra il 2 e il 7. L’agente, il demiurgo. può esplicare la sua opera creatrice solo avvalendosi di enti matematici. L’epifania delle idee in modelli terreni è possibile solo attraverso le infinite opportunità offerte dalla geometria che diviene l’essenza ultima del creare. superando la dottrina presocratica dei quattro clementi.

La Massoneria eredita questa antica tradizione tanto che ogni numero acquista un suo significato importante. Ma per non dilungarci eccessivamente, ci limiteremo solo ad accennare, brevemente, ai numeri 1 , 2 e 3.

UNO: per i Pitagorici non è un numero, ma “il principio di tutti i numeri”. in quanto genera una serie infinita attraverso il procedimento della replicazione di se stesso. In questo l’ 1 è visto come simbolo del divino, è il primo e solo numero, ma raddoppiandosi crea un ente diverso il due e aggiungendosi ancora a quest’ultimo da luogo al tre. L’identico, gemmandosi crea il differenziato. E un processo che ricorda molto l’ Uno filosofico per antonomasia, quello plotiniano che, appunto, genera per tracimazione, esondazione di se stesso, attraverso una dialettica che è articolazione geometrica e procedimento matematico.

Se poi consideriamo l’alter ego geometrico dell’uno, il punto, la simbologia del divino si rafforza. Euclide definisce il punto “ente geometrico privo di dimensioni“, postulato che implica una caratteristica tipica del divino: l’ineffabilità. l’irrapresentabilità. Pertanto l’1 diventa l’aleph cabalistica. l’alpha-logos, il Brahman. l’En Soph, il Tai ki. Va infine annotato come, sempre per i pitagorici, l’ I è il generante della serie dei dispari, numeri che la maggior parte delle tradizioni considera fausti, maschili e sublimanti.

DUE: La tradizione pitagorica considera il due l’origine dei numeri pari considerati femminili in quanto divisibili e quindi generanti. La femminilità del 2 è sottolineata dal fatto che esso corrisponde alla beth che graficamente, come tutti sanno, ricorda la pianta di una casa, l’utero fecondato, ciò che protegge e che genera e se poi ci spostiamo su un piano kabalistico, abbiamo la coniugatio delle sephiroth dette –‘le nozze sacre”.

Altro valore simbolico del due è quello degli opposti generanti lo Yang e lo Yin, l’attivo-il passivo, lo spirito-la materia.

In taluni casi gli opposti non danno luogo a sinergie ma si caricano di valenze radicali implicanti un ‘opposizione escludente. tesa all ‘eliminazione dell’antitetico. Siamo nella contrapposizione del dualismo teologico Zaratustriano, Mazdeo, Manicheo. pauliciano, bogomilico e infine cataro.

Il dramma del duale, del sè e del diverso da sè, è vissuto, in questo caso, come contrapposizione fra forze inconciliabili.

Tale posizione è riscontrabile anche nel Taoismo, nel Buddismo Tantrico e. soprattutto, in tanti atteggiamenti radicaleggianti della società occidentale dove è insita e costante la tentazione di demonizzare “il diverso” sentito come opposto che ha *’in fieri” apocalittiche capacità destabilizzanti.

In Massoneria il concetto di dualità è fondamentale ed è ben rappresentato nel “quadro di Loggia”.

Ci sembra superfluo soffermarci sugli accoppiamenti di diversi “tipici” dell’ Arte Latomistica: squadra-compasso, cielo-terra, sole-luna, orizzontale-verticale, mentre invece è doveroso fare un riferimento al pavimento del Tempio che trascende le sinergie delle coppie così comuni in Loggia.

Ci riferiamo al pavimento a scacchi contrapposto alla volta stellata. Se quest’ultima rappresenta una sorta di iperuranio il pavimento è la creazione demiurgica dove luci e tenebre si affrontano e si alternano.

Il dramma umano vi è mirabilmente raffigurato: l’uomo, scintilla di luce è circondato dalle tenebre, il suo isolamento dagli altri è totale e in questo stato di infelicità esistenziale attende la grande notte.

Par quasi di ascoltare, nel vedere questa simbologia del duale, le parole del massone Quasimodo “Ciascuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera“. Ma nel dramma della caduta e della prigionia il pavimento accenna, pure, alla via del superamento del duale in una ricomposizione catartica e salvificante dell’unità.

TRE: Dalla congiunzione fra la “monade” e la diade si ha la triade che i Pitagorici consideravano un numero perfetto in quanto conclusivo di un sistema ordinato e completo. Le caratteristiche  di questi tre numeri sono tali che la loro somma è uguale al prodotto:

   1+2+3=6        1.2.3=6

Teone da Smirne. riprendendo il Maestro di Samo, affermava che tale sistema era sublimante in quanto conteneva il Principio( l), il mezzo (2) ed il fine(3).

Il triangolo rettangolo dei Pitagorici con i lati in progressione di 3,4,5 è la base per la costruzione del rettangolo ed in particolare del “rettangolo aureo” che i Costruttori medievali utilizzarono per l’edificazione di molte Chiese.

Inoltre, se il 2 rappresenta gli opposti generanti, il tre è il generare e per traslato il generante-generato, cioè il trascendente. Non a caso il triangolo equilatero indica per i Cristiani la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo, per gli Egizi: Osiride (causa prirna), Iside (la ricettività) e Horus (il risultato), per gli Iduisti la grande Triade: Brama, Siva, Visnu o Trimurti: i tre aspetti fondamentali dello stesso principio divino.

Anche per il simbolismo massonico il Delta riveste un’estrema importanza e viene attentamente studiato in grado di apprendista perchè rappresenta il Grande Architetto dell ‘ Universo, il ternario dell’uomo (corpo, anima, spirito), il ternario animico (Anima celeste, anima vegetativa

 (anima istintiva), la perfezione costruttiva, la montagna sacra, l’illuminazione.

Tutti questi motivi fanno sì che la triade sia ricorrente nel Tempio: vi sono tre luminari: il Sole, la Luna ed il Delta luminoso; tre luci: il Maestro Venerabile ed i due Sorveglianti, tre pilastri, tre finestre, tre gioielli mobili: squadra, livella e perpendicolare: tre gioielli immobili: la pietra grezza, la pietra cubica a punta e la tavola da disegno.

Triplice è l’enigma al quale il recipiendario nel Gabinetto di Riflessione. deve rispondere e subito dopo triplice è il viaggio simbolico del profano per essere ammesso a ricevere la luce, triplice è la batteria, il bacio ed il toccamento e tre sono infine i passi per entrare nei Tempio a lavori cominciati.

11 ternario ricorrente nel Grado di Apprendista ci fa comprendere come questo numero sia strettamente legato alla base della piramide latomistica.

Il perché può trovare tante risposte, come deve essere per chi lavora sui simboli, ma a nostro avviso, la soluzione va cercata nel significato trascendente del 3.

L’ Apprendista è infatti colui che riceve la prima, fondamentale illuminazione, le altre saranno consequenziali.

Il viaggio inizia perchè vi è nella profanità una volontà eroica. un quid che comunque distingue e da, per forza propria, inizio al processo.

Nell’oscurità della caverna il recipiendario è riuscito a svellere i vincoli delle catene, ha compreso che le ombre non sono il vero, ha deciso di risalire per latebre ignote, vuol vedere. sapere, comprender e, implicitamente amare.

E tutto questo è scaturito da una percettività diversa che ha generato il processo dialettico: insoddisfazione, desiderio, ricerca; processo che si articola nel lento incedere verso il Delta Sublime della piena luce dell ‘Oriente.

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LETTERA APERTA AI MASSONI D’ITALIA

LETTERA APERTA Al MASSONI D’ITALIA

Mirko Crocoli

“Ben pensare, ben dire, ben fare”; questa la Vostra filosofia e questa la sintesi del Vostro pensiero morale. Se cosi è, allora aiutateci a riprenderci la nostra piccola grande Italia, quella che un tempo era il gioiello d’Europa e faro di civiltà e che oggi appare ai nostri occhi e al mondo come una cenerentola in lacrime.

Voi, che entrate nei “Gabinetti” di riflessione per uscirne “puliti”, “schiariti” e pronti alla purezza; non lasciateci inermi ai soprusi che ci hanno affamato. “Ben pensare” ci piace, “ben dire” ci aiuta ma è giunto anche il momento del “ben fare”, soprattutto con il Vostro aiuto.

Ormai la politica non ascolta più il cittadino e corre verso una strada a senso unico che ci sta portando diretti alla “morte” sociale, civile, economica ed imprenditoriale. La nave è alla deriva e ci rivolgiamo a Voi perché siete ancora la vera forza che può salvare

questa nostra amata nazione.

La massoneria, che ha una gloriosa storia alle spalle, è stata•troppe volte calunniata nel secolo scorso, perché in alcuni casi considerata deviata e macchiata da accuse spesso assurde e troppo generalizzanti.

Erano i magnifici anni ’80, quando la vicenda “P2” del Venerabile Gelli inondava tv e carta stampata, ma da non dimenticare che la magistratura giudicante, in realtà, non ha mai ritenuto quella “loggia” inadatta, illegittima e soprattutto punibile penalmente. La commissione Anselmi forse ha un po’ esagerato ed ha cavalcato l’onda emotiva incontrollabile dello scandalo.

riconducibili al solo fatto di appartenere a quella loggia. Il Generale Dalla Chiesa è una vittima illustre che ha pagato a caro prezzo il “solo fatto di apparire” su quelle liste, fatte uscire in forma pubblica e date in pasto ai mass media. L’appartenenza dunque non era reato, così come non vi comparivano reati di tipo “golpista” o “affarista”.

Chi doveva pagare ha poi pagato, personalmente, con singole sentenze e condanne, ma tutte non

Gelli, Calvi, Sindona, e tanti altri, chi con la vita e chi con la giustizia hanno saldato ognuno il proprio conto, ma singolarmente e, cosa ben più importante, per tutt’altre faccende non legate alla “loggia”. I crack finanziari, le stragi d’Italia, i depistaggi e le oscure manovre sono state tutte indagate, perseguite e giudicate.

I più sono convinti che essere massoni non è una nota di demerito; lo stesso Presidente Cossiga, uomo di elevato spessore e personaggio unico nel suo genere, sostenne pubblicamente che: “Rispetto molto di più gli uomini, le persone, il principio della certezza del diritto, la presunzione d’innocenza e sono in attesa di conoscere i giudizi definitivi della magistratura su questo problema. Io non so se alcune persone che sono state messe nelle liste ci fossero o no, io ho detto semplicemente che alcune di quelle persone le conosco, sono dei grandi galantuomini e per i servizi che hanno reso, essendo io al governo

del paese, sono dei patrioti”.

Voi avete radici lontane, risorgimentali, apprezzate ed apprezzabili, nobili e sacre, con motti e massime che fanno sperare e una ritualiià ricca di belle allegorie. Ci sono mele marce in tutti gli apparati; giustizia, politica, amministrazione, forze dell’ordine e probabilmente qualcuna anche tra Voi, ma la “fratellanza” nel suo insieme è formata da gente perbene e altruista, assorta come noi, nei problemi quotidiani socio economici dell ‘intero paese.

Gran parte degli iscritti alle vostre logge sono imprenditori, grossi industriali, militari devoti e sinceri, persone che, con le loro grandi aziende danno lavoro e assistenza a molte famiglie italiane. Solo Voi ormai, giunti a questo punto, avete l’ultima opportunità e la forza per dare una scossa al sistema politico; la capacità manageriale di invertire la rotta e di ricondurci nuovamente a sognare, poiché un popolo senza lavoro, senza principi morali e senza speranza nel futuro perde anche la dignità.

Pertanto, vi si chiede di tornare a contare, a contare molto! L’impresa è ardua e ambiziosa ma se Voi sostenete che nel “silenzio e nella speranza con vigilanza e perseveranza”, si può solo cosi “sapere, osare, volare e tacere”, allora tentate almeno un ultimo piccolo grande sussulto di orgoglio nazionale. Ridateci l’Italia!

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LA BELLEZZA

LA BELLEZZA

Andrea Macchioni

Partiamo anzitutto dalla definizione del vocabolario che alla voce bellezza recita:

“La bellezza è l’insieme delle caratteristiche percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell ‘universo osservato, che si sente istantaneamente durante l’esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi ad un contenuto emozionale positivo, in seguito ad un rapido paragone effettuato consciamente od inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per   o per consuetudine sociale. Nel suo senso più profondo, la bellezza genera un senso di riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale”.

Considerando l’etimologia della parola, scopriamo che bello deriva dal terTnine latino bonus, da cui benelus e quindi bellus, aggraziato, confacente, grazioso.

Ed ecco che immediatamente emerge quell’archetipo tanto caro alla cultura classica che evidenzia come il Bello ed il Buono finiscano per costituire qualcosa di unitario, una sorta di quid che appare ai confini della Coscienza quando l’uomo cerca il Vero con animo puro e qui stiamo parlando dell’attività tout court del massone.

Ponendoci con semplicità di fronte a questo concetto scopriamo ben presto quanto sia difficile definire concretamente la Bellezza. La nostra osservazione spazia dalla Natura all ‘ Arte, dal Misticismo all ‘ Amore: ovunque la Bellezza affiora e finisce per entrare prepotentemente perfino in noi stessi.

A tutti è capitato di esclamare sinceramente: “Com’è bello!” o di pensare di aver fatto una “cosa bella” o anche di vedersi – sì, almeno una volta! – “belli”. Pare quasi che il concetto di Bellezza sia un po’ come quegli aspetti universali che tutti conoscono ma nessuno sa definire. Una sorta di benefico enigma.

Tutti, in un modo nell ‘altro, cerchiamo la Bellezza, perché conosciamo la felicità e il benessere che ci può offrire.

Pensando alla Bellezza, ci viene in mente subito un corpo femminile o maschile attraente – questa è la reazione più comune ed elementare.

Pensiamo anche alla Bellezza frivola e appariscente che ci viene imposta dalla civiltà dei consumi: abiti, automobili, arredamenti, viaggi esotici, la chirurgia estetica.

A molti viene in mente la Bellezza della natura: la grandezza del mare, la maestosità delle montagne, la gioia di un prato fiorito o delle foglie rosse e gialle in autunno, l’incanto del cielo stellato.

Per altri ancora è l’arte in tutte le sue forme che conta più di tutto: una statua o un dipinto, un film o una musica, una poesia o una rappresentazione teatrale.

Certuni riescono a vedere la Bellezza interiore delle persone: la bellezza della generosità, dell’intelligenza, dell’onestà. Una bellezza molto meno evidente, ma più profonda e più duratura.

Altri ancora trovano la Bellezza nelle idee, oppure nell ‘eleganza di un concetto.

Ma c’è anche chi la scopre nell ‘apparente banalità della vita quotidiana, una canzone sentita con gli amici tanti anni fa’, delle vecchie panchine in mezzo a giardini anonimi, una vecchia maglietta consumata dagli anni.

La Bellezza può aiutarci a ritrovare la voglia di vivere, ridarci il contatto perduto con le nostre emozioni, farci pensare in maniera nuova, guarire le nostre ferite più antiche, avvicinarci a un’altra persona, farci dimenticare i nostri problemi e i nostri affanni. Almeno per un po’.

Può capitare di aver paura della Bellezza, una paura non dichiarata, spesso non cosciente. Perché la bellezza a volte è troppo intensa; proviamo a pensare di assistere ad uno spettacolo grandioso nei confronti del quale si riesce ad intuire anche solo per un istante la presenza di Dio, come non sentirsi spaventati ed inadeguati?? Accadimenti come questi non possono che mettere a nudo la nostra pochezza e quindi sentiamo di non meritarla.

Parimenti la repressione o la dimenticanza della bellezza ci fanno star male: depressione, ansia, aggressività. Sono convinto che un po’ più di bellezza nelle nostre vite curerebbe molti dei nostri mali.

Si può considerare la bellezza come un valore assoluto ed oggettivo? Certamente no. o forse sì.

Nonostante per secoli con alterna fortuna si sia tentato di definire la bellezza entro canoni fissi ed immutabili cercando addirittura di teorizzarla e di insegnare, di indirizzare l’apprendimento al bello, questo concetto resta arroccato nella sensibilità personale di ognuno di noi, sia che siamo acculturati o no.

Per godere del bello non occorre essere colti e preparati, anche se ciò a volte può aiutare. Perché l’esperienza del bello sia forte, vera, profonda, bisogna invece essere liberi nel proprio giudizio ed è un esercizio particolarmente difficile anche per noi che dovremmo essere avvezzi alla libertà, quantomeno quella concettuale. E approfondendo la nostra familiarità con la Bellezza, non facciamo altro che venire più in contatto con noi stessi. Diventiamo più autentici, più forti, più sicuri. Avere fiducia nel proprio giudizio estetico non significa volerlo imporre  agli altri, significa avere autostima: star bene con se stessi, essere in contatto con le proprie emozioni e sensazioni, avere il coraggio di dire ciò che si prova e ciò che si pensa

Ricordo mio nonno materno, operaio, uomo semplice dalla cultura incerta, al quale nessun maestro aveva insegnato musica, che si commuoveva lacrime ascoltando Verdi: un ‘ autentica, sincera attestazione del la percezione del bello che lui mostrava senza vergogna e senza trovare le parole adatte per esprimerla ad altri.

La percezione della Bellezza cambia quindi dalla differente sensazione dell’individuo, ma ancora dall’epoca nella quale vive o ha vissuto o dall ‘ angolo del pianeta nel quale è nato e vive, perché in questo caso vale anche l’influenza che la società esercita in modo più o meno percepibile su ognuno di noi.

Risulta così difficile discutere obbiettivamente su di questo argomento, senza essere influenzati dal proprio senso e gusto.

Sebbene nella vita comune spesso si indichi con la Bellezza anche il gusto estetico, si tratta di un abuso di linguaggio. Si può però definire bellezza soggettiva quella dipendente dal proprio senso estetico. Possiamo definire bellezza oggettiva la bellezza definita come un insieme di qualità rispondenti a dei canoni prestabiliti e condivisi, per esempio da un gruppo di persone o da un’intera società?

La bellezza oggettiva è funzione del tempo ed alla propria cultura, poiché tali canoni cambiano col passare degli anni e restano validi per il periodo indicato. La bellezza comporta la cognizione degli oggetti come aventi una certa armonia intrinseca oppure estrinseca, con la natura, che suscita nell ‘ osservatore un senso ed esperienza di attrazione, affezione, piacere, salute.

Il processo emozionale attraverso il quale riconoscere quell’armonia che ci permette di discernere e godere del bello deve quindi essere personale e genuino, quasi sorpreso ogni volta e quindi sarebbe importante non avere idee precostituite di che cosa è bello e che cosa non lo è. La spontaneità del bello ci insegna proprio questo. Il bello non può essere racchiuso nelle nostre categorie mentali preconcette.

Il bello, per essere bello, è sempre nuovo, anche quando è vecchio o vecchissimo – quando è una musica che abbiamo sentito già mille volte, un paesaggio visto e rivisto. Ma in quel momento la musica, il paesaggio, ci rivelano qualcosa di nuovo. E’ per questo che il bello ci aiuta a essere veri. Perché se lo cerchiamo seguxndo le nostre idee di ciò che dev’essere bello, non lo troveremo mai. Così la bellezza ci insegna a cogliere l’attimo.

Spesso si afferma che un “oggetto di bellezza” è qualsiasi cosa nel mondo percepito che riveli un aspetto significativo per la persona riguardo alla “bellezza naturale”. La

presenza del sé in qualsiasi contesto umano, indicherebbe che la bellezza è naturalmente basata sul sentimento che suscita negli umani, anche se la bellezza umana è soltanto I ‘aspetto dominante di una più grande ed incalcolabile bellezza naturale.

Secondo il testo “Attaccamento e amore” (Grazia Attili, Il Mulino ed., pag. 59-61) la bellezza umana (e animale – perché non considerarla? – è noto come in tutte le specie le femmine rifiutino determinati maschi), univoca e non opinabile, corrisponde alla cosiddetta “sezione aurea” (presente anche in opere architettoniche, tra cui il Partenone), questa, unitamente ad altri segnali che indichino comunque salute fisica ed assenza di difetti genetici (esperimenti su animali indicano chiaramente che i maschi rifiutati risultano tendenzialmente portatori di svariati difetti nel DNA).

D’ altra parte anche la Natura – e qui ognuno può immaginare chi vuole – ha predisposto che la continuazione delle specie – tutte – passi attraverso una sorta di fascinazione, di attrazione irresistibile, e non parlo dell’attrazione tra sessi diversi, ma delle forme particolare di cui sono dotati i piccoli, cioè i cuccioli, ossia quell’arrotondamento delle forme, quell’impaccio irresistibile dei movimenti, quelle espressioni particolari che suscitano nei genitori un particolare senso di tenerezza e protezione che aiuta i piccoli stessi ad essere sopportati ed amati. Tutto questo corrisponde evidentemente a canoni predisposti e condivisi, basti pensare che la stessa tecnica è utilizzata con successo da chi produce peluche e cose del genere.

Bellezza e gusto dell’osservatore sembrano termini inscindibili, in quanto concepire una bellezza indipendente da un qualche osservatore che stia lì per goderla, equivale a pensare ad un dipinto bellissimo dimenticato in una cassaforte da decenni. Oppure ad un fiore che cresce in mezzo ad una foresta invalicabile da umani ed animali (mancando un osservatore, esiste allora la bellezza?). Tali oggetti possono essere senz’altro concepiti, ma mancano del tutto di quel carattere di interazione pratica (di azione e reazione) con un’intelligenza percettiva, che tendenzialmente riconosciamo al “bello”

“Mentre era seduto un giorno nella sua stanza, i suoi occhi caddero su un piatto di peltro lucidato, il quale rifletteva la luce del sole con un tale meraviglioso   splendore che egli cadde in un ‘estasi interiore, e gli sembrò di  poter scorgere i principi e il  fondamento più profondo di tutte le cose. Dapprima credette trattarsi di un ‘illusione, e per bandirla dalla sua mente uscì nel verde. Ma qui si accorse che poteva vedere il cuore delle cose, i fili d’erba e il prato, e che la natura si armonizzava con ciò che egli aveva visto dentro di sé. Non disse nulla a nessuno, ma lodò e ringraziò Dio in silenzio. ” (Martensen, H.L. Jacob Boehme: his life and Teaching).

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GIANO

GIANO

Una divinità italica compendio della Libera Muratoria di Franco Guzzo

Figlio di Apollo e della ninfa Creusa, Giano, l’enigmatica figura dalle due facce, chi è, e quali significazioni racchiude?

Divinità eminentemente italica, senza corrispondenze nel Pantheon greco, in alcune prerogative egli richiama l’egizia Iside, mentre, per l’ intermediazione rapportata alla condotta degli uomini nel rispetto della morale ed in conformità alle leggi, ricorda la dea Maat, anch’essa egizia. Invero Giano, o Ianus, è molte altre cose. Con la faccia rivolta verso l’aurora, testimonia la forza creatrice e vivificatrice della parola, mentre con l’altra, rivolta verso il crepuscolo, evoca la forza muta della Natura ed i frutti da essa tratti con il lavoro. Egli è il guardiano della soglia, e tutte le porte (janua) gli erano sacre perché si credeva che l’inizio di qualsivoglia azione fosse raffigurabile come attraversamento di una porta. E il simbolo dell’entrata e dell’uscita, nonché il guardiano del principio e della fine. In questa veste, e come detentore delle conoscenze riguardanti l’agricoltura, sorvegliava la semma ed il raccolto. Presiedeva inoltre ad ogni “passaggio”, sia concreto che figurato, ed a lui erano dedicati il primo giorno dell’anno (kalendae ianuarie), il primo giorno di ogni mese e l’inizio di ogni singolo giorno. Giano chiudeva l’anno vecchio ed apriva il nuovo, e da lui ha preso nome gennaio (ianuarius), il primo mese dell’anno.

Ma Giano è anche l’unione dei due poteri sacerdotale e regale, e ne rappresenta l’origine comune. La sua immagine si adatta alla distinzione tra interiore ed esteriore, e, principalmente tra passato e futuro. Il passato che non è più e il futuro che non è ancora. Nessuno dei due volti guarda il presente. In senso filosofico il presente non esiste e quindi non può avere volto. Collegando il passato al futuro, Giano personifica anche il concetto di eternità. Difatti in più occasioni è stato raffigurato come “Signore dell’Eternità”. Talvolta con due chiavi. Le chiavi delle porte solstiziali, ossia dei due punti estremi della corsa del Sole nel ciclo annuale. A Giano è quindi riservata la facoltà di aprire e chiudere questo ciclo cosmico.

Secondo un ‘altra interpretazione Giano è il Signore delle due vie, ossia la “Via degli Antenati” o “degli Uomini” e la “Via degli Dèi”, ascendente l’una e discendente l’altra, le quali conducono alle due porte solstiziali. Visibile, luminosa, tale da permettere l’uscita dal non manifestato e l’ingresso nel manifestato, quella del solstizio

d’estate; immersa nell’oscurità, invisibile e senza possibilità di ritorno, quella del solstizio d’inverno, riservata agli dèi. Inoltre, essendo Giano il dio delle iniziazioni, le sue due chiavi, una d’oro e l’altra d’argento, erano quelle dell’accesso ai Piccoli ed ai Grandi Misteri, ossia a ciò che si riferisce alle possibilità di sviluppo dello stato umano ed a ciò che propriamente concerne la realizzazione degli stati sovrumani.

Con la diffusione del Cristianesimo, al culto di Giano nei suoi due aspetti vengono sovrapposte le ricorrenze ed i festeggiamenti dei due San Giovanni, il Battista e l’Evangelista, trasponendone le concezioni essenziali. La derivazione, per quanto già chiarissima, traspare anche dall’assonanza fonetica e dal significato dei nomi. Se Giovanni proviene dall’ebraico leho-h’annon, che in latino diventa Johannes, come abbiamo già visto, il nome latino di Giano è Ianus. leho è inoltre riferito al Sole e leho-h’annon significa “favorito da leho”. Per estensione il nome Giovanni assume perciò il valore di “Uomo illuminato”. A sua volta la radice semantica di Ianus è Dia-, ossia “splendore” (da cui deriverebbe anche Diana) e rivela anch’essa la sua antichissima origine solare. In relazione all’illuminazione abbiamo appena detto che Giano era il dio delle iniziazioni.

L’assimilazione di Giano nelle significazioni connesse ai due San Giovanni è confermata anche da un’ altra coincidenza. Il Battista, pur profeta, con l’indicazione di Gesù quale Messia, pone termine alla propria missione e stabilisce un punto fermo. Del resto egli stesso, come riportato nel Vangelo, riferendosi al Cristo afferma: “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca”. Prima di quel punto c’è dunque il passato. Un passato senza origini. Dal suo canto l’ Evangelista, testimone del dramma terreno di Gesù, segna l’avvento della grande Verità e ne postula la proiezione nel futuro. Un futuro senza limiti, d’impronta marcatamente spirituale. L’unione di queste due concezioni conduce però ancora una volta all’evocazione dell’Eternità. La stessa Eternità di cui Giano era il Signore.

Alla figura di Giano viene addirittura simbolicamente assimilata quella del Cristo quale principio supremo dei due poteri. Ed in tale ambito c’è chi, come René Guénon, vi ravvisa una certa continuità tradizionale tra l’ antica Roma e la Roma cristiana, troppo spesso negata o ignorata per partito preso (del resto anche l’emblema di Giano costituito della navicella è diventato immagine della Chiesa).

In senso strettamente massonico possiamo rammentare che San Giovanni Battista è in seguito assurto a patrono delle confraternite di tagliapietre e poi dei Masons inglesi, dai quali pare sia derivata la Libera Muratoria; mentre San Giovanni Evangelista, col suo Vangelo “difficile”, ricco di significazioni chiaramente esoteriche, indirizzate quindi ad iniziati, sarebbe stato il primo massone a tenere una loggia di perfezione. Operativo il primo, allora, e speculativo il secondo. Al di là dell’assimilazione col ciclo solstiziale, sono forse queste le vere ragioni della loro scelta a protettori della Massoneria.

Scandire la ciclicità solare attraverso la celebrazione dei solstizi, di cui, come abbiamo visto, Giano era il detentore delle chiavi, oltre che stimolare riflessioni e meditazioni, è per la Massoneria un modo di offrire all’Uomo punti di riferimento atti ad impedirne lo smarrimento lungo il cammino della vita. Compito della Massoneria è difatti l’operare per il bene dell’Umanità. Ma la Massoneria è essa stessa Umanità. E l’Umanità ha avuto perennemente legami molto stretti col Sole. Quel Sole che è Vita e sinonimo di vita, che è Luce e sinonimo di luce, da sempre simbolo visibile dello Spirito creatore, dell’origine delle cose, della ragione e pertanto della coscienza. Ora chi meglio di Giano, portatore del Sole e della Luce nel suo stesso nome, può altrettanto felicemente sintetizzare tali legami? Ma non basta! Se tra le tante attribuzioni e prerogative, peraltro tutte fortemente significative, Giano è il nume tutelare di ogni “passaggio”, è il messaggero della Speranza correlata al solstizio d’inverno ed è il testimone, col solstizio d’estate, della Riconoscenza derivante dalla trasformazione di quella speranza in certezza, egli è l’incontestabile simbolo di quel sincretismo culturale delle tradizioni che costituisce la vera forza della Massoneria. Difatti chi altri meglio dell’italico Giano può compendiare in sé tante percezioni, tante intuizioni e tanti valori da sempre connaturati alla Libera Muratoria.

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GARIBALDI E LA PACE NELLA REPUBBLICA PACIFISTA 1TALIANA (1882-1915)

GARIBALDI E LA PACE NELLA PUBBLICISTICA PACIFISTA ITALIANA (1882-1915)

l . Premessa

Dando alle stampe La nascita del moderno pacifismo democratico ed il Congrès International de la paix di Ginevra nel 1867 1 ‘ Michele Sarfatti rilevò che la “zona d’ombra che ancora oggi caratterizza i rapporti dell’Eroe dei Due Mondi con il pacifismo ed i pacifisti” non doveva “intendersi come buio o silenzio”, giacché se ne erano in precedenza variamente occupati Giuseppe Fonterossi, Giuseppe Santonastaso, Anthony P. Campanella, Letterio Briguglio e Aldo Alessandro Mola. Ma sottolineò che, “forse perché lo stesso nizzardo, consapevole delle radici che aveva il suo mito, dedicherà solo poche righe delle sue Memorie al congresso del 1867 e alla LIPL; forse perché in genere i biografi che gli si sono avvicinati sono stati attratti principalmente dalle sue imprese militari: forse perché il movimento pacifista ha scarsamente goduto di storici e custodi della propria memoria; molto vi è ancora da ricercare e molto vi è ancora da riflettere sull’impegno pacifista di Garibaldi”i2’.

Tale considerazione vale tuttora. Tra le ipotesi da Sarfatti formulate la più corposa ci pare quella relativa alla scarsa attenzione dalla storiografia internazionale prestata ai movimenti e alle iniziative di pace sviluppatisi nel mondo fra l’Ottocento ed il primo conflitto mondiale (e oltre). Dal canto nostro desideriamo però mettere in evidenza anche l ‘ arduità delle perlustrazioni archivistica e pubblicistica. Non già che le pochissime indagini sinora condotte non siano in maggioranza ottime, e talvolta eccellenti. Tuttavia l’imponente documentazione disponibile, conservata non solamente in fondi  pubblici, ma altresì presso privati, necessita onerosi sistematici scavi pluriennali. Per di più il deterioramento del materiale procede, quando non accade che biblioteche pubbliche decidano (almeno in Italia) di eliminare pubblicazioni altrove introvabili.

Va notato poi che le preziose opere scientifiche fin qui realizzate sembrano ignorate da taluni maîtres à pensar e addirittura da storici di vaglia. Per limitarci ai casi più illuminanti citiamo Norberto Bobbio, il quale sostenne che nel nostro Paese “una tradizione di pensiero e di azione pacifistica non è mai esistita”, pur soggiungendo che, se durante la Grande Guerra “qualche spiraglio di pacifismo vi fu”, si trattò “di pacifismo umanitario, prolungamento politicamente inoffensivo del mazzimanesimo, e di pacifismo giuridico, supremo ideale delle varie leghe o società per la pace , e François Fejto”, secondo cui uno dei fenomeni “più sorprendenti della fine del secolo XIX e dell’inizio del XX fu la crescita apparentemente irresistibile, in Europa e negli Stati Uniti, del movimento pacifista”, il pacifismo “dei progressisti liberali borghesi” ricevette “il sostegno delle masse socialiste, democratiche e anarchiche” e i congressi pacifisti attirarono “centinaia di migliaia di zelatori entusiasti”.

Ma un’ipotesi. da Sarfatti non avanzata, è a nostro avviso altrettanto importante. Dopo la guerra franco-prussiana e il fallimento delle tentate mediazioni libero-muratorie il Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia, Giuseppe Garibaldi, “era venuto attribuendo un nuovo compito alla Massoneria”, il perseguimento dell’unità mondiale. cui “si sarebbe dovuti giungere non attraverso il rovesciamento armato degli Stati esistenti, bensì con la loro lenta aggregazione in plessi via via più ampi, entro i quali sarebbero stati risolti i contrasti Poiché sino a un’età relativamente recente gli studi storici sulla Massoneria sono stati ostacolati, salvo rare eccezioni, da pregiudizi faziosi di segno opposto, ci sembra lecito ritenere che proprio il massonismo di Garibaldi abbia variamente arrecato  disturbo a non pochi ricercatori. Del resto questo tema è tuttora controverso, sia per antiche condanne, sia a causa di “scandali” freschi. A riprova va considerata con estrema attenzione, per esempio. la dissociazione dello stesso Sarfatti, dalla scelta di Mola di inserire, nell’antologia Garibaldi vivo, “il Memorandum del 1860 ed il discorso di Ginevra (assieme ad altre lettere direttamente connesse alla proposta dell’arbitrato internazionale) all’interno del capitolo che riporta gli scritti massonici del generale”, dacché in tal modo “il recupero di un aspetto garibaldino molto spesso trascurato finisce per trasformarsi nella creazione di un nuovo quadro di riferimento assoluto e limitante”181 .

Per quel che concerne la disattenzione storiografica nei riguardi dei movimenti pacifisti, ai motivi di carattere generale sopra sommariamente descritti occorre poi aggiungerne uno tipicamente italiano. Le correnti pacifiste attive nella nostra penisola furono animate massimamente da (pochi) radicali, repubblicani e liberali di varia scuola, ascendenza e osservanza. Tuttavia la storiografia sui partiti, adottando un’impostazione che “è certamente frutto anche di un forte bisogno intellettuale legittimamente impostosi dopo il 1945, la necessità cioè di fare luce sulle origini di quei partiti che si accingevano a giocare un ruolo predominante nella politica della nuova Italia”, ha prodotto “una abbondanza di ricerche sul partito comunista e socialista e sul movimento dei lavoratori ed anche sul cattolicesimo politico”, mentre su repubblicani, democratici e liberali “si rivela scarsa e legata alla trattazione frammentaria di momenti isolati

Scopo del presente lavoro non è però l’approfondimento del pacifismo di Garibaldi bensì la ricerca, sinora elusa dalla storiografia, delle tracce da esso lasciate nella pubblicistica pacifista italiana tra il passaggio all’Oriente Eterno del Nizzardo e il primo conflitto mondiale.

2. I movimenti pacifisti nel mondo dall’età napoleonica alla Grande Guerra

Correva l’anno 1809. Taluni gruppi religiosi guidati da quaccheri proposero in Gran Bretagna la costituzione di società pacifiste. Quei pionieri credevano alla perfettibilità dell’uomo, assicurata dalla scintilla divina presente in ogni essere. Per conseguenza si astenevano rigorosamente dal recare offesa a qualunque aspetto della vita e della personalità umana. Si battevano contro la schiavitù, la tratta dei negri, l’alcolismo, la pena di morte, le guerre. Anche contro le guerre di difesa. (Giova ricordare, d’altronde, che, dopo la vittoria riportata ad Hastings il 14 ottobre 1066 da Guglielmo di Normandia sulle truppe di Aroldo II, il suolo inglese non aveva più subito invasioni). Il 14 giugno 1816 un quacchero, William Allen, fondò la Society for the promotion of Permanent and Universal Peace, da cui germinarono le Auxiliary Peace societies che si diffusero rapidamente anche nel Galles, in Scozia e in Irlanda.

Negli Stati Uniti d’ America, al contrario, la vicinanza della guerra d’indipendenza e di quella scatenata, essendo presidente James Madison, per azzerare l’influenza britannica sul continente e per acquisire alla Confederazione il Canada (1812-1914), e l’impossibilità dei quaccheri di pilotare a loro piacimento la corrente pacifista, fecero sì che essa si scomponesse in due tendenze. L’una, rappresentata dalla New York Peace Society, costituita il 14 agosto 1815 dal commerciante David Low Dodge, si opponeva a tutte le guerre, esplicitamente richiamandosi al messaggio di Cristo. L’altra, cui diede corpo la Massachussets Peace Society, eretta il 26 dicembre 1815 dal pastore Noah Worcester, rifiutava invece il pacifismo assoluto. Nel 1828 le diverse società pacifiste americane si riunirono in un’ unica organizzazione nazionale. l’American Peace Society, senza per altro che i dissidi fra radicali e moderati cessassero. Neanche il trionfo del pacifismo integrale, avvenuto nel 1837, riuscì a comporre le discordie, cosicché l’ala estremista si raggruppò nella New England Non-Resistance Society.

Intanto la londinese Peace Society cercava di far conoscere le proprie idee anche nell’ Europa continentale. Uno dei suoi dirigenti, Thomas Clarkson, ebbe un abboccamento con lo zar Alessandro I Romanov. Il quacchero Joseph Tregelles Price consegnò al re di Spagna Ferdinando VII le pubblicazioni della società, poi visitò a Parigi la neonata (1821) Société de la Morale Chrétienne, che annoverava tra i suoi membri Benjamin Constant. François Guizot, Alphonse Lamartine, Léonce-Victor de Broglie, Hippolyte Carnot ed era presieduta da François-Alexandre-Frédéric de la Rochefoucauld-Liancourt.

Aderendo, intorno alla fine degli anni quaranta, ai principi liberoscambisti, le società inglesi ebbero un certo qual successo in Europa e posero le basi delle prime riunioni internazionali della pace, appellate Congressi degli Amici della Pace Universale, che furono celebrate a Londra ( 1843), Bruxelles (1848), Parigi (1849) e Francoforte (1851 ).

Il Congrès international de la Paix di Ginevra (1867) principiò la seconda serie di assise. Mentre Napoleone III chiedeva di portare al Reno le frontiere del suo Impero per reagire al rafforzamento della Prussia bismarckiana recente vincitrice dell’Austria, nella città svizzera fu decisa la fondazione della prima associazione pacifista democratica europea, la Ligue internazionale  18de la paix et de la liberté, con cui Garibaldi fu in costante contatto dal 1872 al 1881

Una basilare evoluzione del pacifismo organizzato fu però contraddistinta segnatamente dai venti Congressi universali della Pace svoltisi a Parigi ( 1889), Londra (1890), Roma (1891), Berna (1892), Chicago (1 893), Anversa (1 894), Budapest (1896), Amburgo (1897), Parigi (1900), Glasgow (1901 ), Principato di Monaco ( 1 902), Rouen ( 1903), Boston (1904), Lucerna (1905), Milano (1906), Monaco di Baviera (1907), Londra (1908), Stoccolma (1910), Ginevra (1912) e L’Aia (1913). La costituzione del Bureau International de la Paix (1891) significò l’istituzionalizzazione di un movimento estremamente composito ma consapevole della necessità e dei vantaggi di un efficace e assiduo coordinamento.

Parallelamente si riunì la Conferenza interparlamentare, la quale nel 1899 prese il nome, che tuttora mantiene, di Unione interparlamentare: a Parigi (1889), Londra (1890), Roma (1891), Berna (1892), L’Aia (1894), Bruxelles (1895), Budapest (1896), Bruxelles (1897), Christiania (1899), Parigi (1900), Vienna (1903), Saint-Louis (1904), Bruxelles (1905), Londra (1906), Berlino (1908), Bruxelles (1910), Ginevra (1912), Aia (1913).

Ai movimenti pacifisti aderivano in effetti persone spinte da moventi anche molto diversi tra loro: non violenti intransigenti che sulla base di ragioni religiose o morali condannavano tutte le guerre; filantropi che per umanitarismo avversavano le guerre di aggressione e più raramente quelle di difesa; economisti liberoscambisti a giudizio dei quali la libera circolazione delle merci avrebbe unito le nazioni così strettamente da impedire i conflitti armati; industriali e commercianti interessati insieme al mantenimento della pace e alla soppressione delle barriere doganali e perciò sostenitori degli economisti liberoscambisti; repubblicani convinti che la principale causa di guerra consistesse nella sovranità di cui erano titolari le monarchie e che in risposta preconizzavano la repubblicanizzazione degli Stati: radicali e liberali progressisti che si sforzavano di organizzare politicamente la società nelle nazioni. di ridurre le spese militari attraverso un miglioramento delle relazioni internazionali e di recuperare in tal modo le risorse necessarie alle  riforme sociali da essi auspicate; giuri sti che, constatate le colossali lacune del diritto internazionale, individuavano nel progressivo sviluppo di quest’ultimo la strada maestra per la riduzione delle controversie internazionali; socialisti che accusavano la società capitalistica di essere il motore delle guerre, salvo poi dividersi (molto aspramente) tra riformisti e rivoluzionari. Ma anche uomini politici internazionalisti decisi a costruire una cooperazione interstatuale.

Ci fu collaborazione fra  Unione interparlamentare e il Bureau International de la Paix? Talvolta sì. soprattutto nel senso Bureau-Unione. Nondimeno già nel 1892 l’Unione si staccò dalle società pacifiste allestendo un proprio ufficio interparlamentare e, dopo aver tenuto

sue conferenze nelle stesse città prescelte dai Congressi universali, abbandonò spesso questa consuetudine. Pur lavorando entrambi per un ordine internazionale basato sul diritto, pacifisti e interparlamentari erano invero separati da pesanti differenze.

3. Le correnti pacifiste in Italia

Non è nostro compito offrire in questa sede un’ articolata sintesi delle intricate vicende delle correnti pacifiste italiane, su cui contiamo di tornare molto presto e diffusamente dando alle stampe i primi risultati di alcuni anni di scavi archivistici c spogli pubblicistici. Ci limitiamo dunque a osservare che il torinese Bertinatti, intervenuto il 21 settembre 1848 al secondo Congresso degli Amici della Pace Universale dimostrò che una rondine non fa primavera. La rivoluzione nazionale non era ancora compiuta. Sicché non sorprende la risolza con cui Marco Minghetti qualificò il “voto della pace universale (nato) prima nella gran mente dell’ Alighieri” donde passò ad altri “filosofi” che, “dopo di lui, idearono un anfizionico mondiale, o almeno europeo, destinato ad esser l’arbitro delle questioni che nascessero fra gli Stati”, e, da ultimo. rinnovellato e caldeggiato “da una società filantropica d’ America, che trasrerì sua sede in alcune regioni di Europa”, un “[n]obile intento, che sarebbe per ogni parte laudevole, se non fosse  di esagerazione, e inefficace nei mezzi che si propongo. no”. Imperroché, argomentò Minghetti, “la speranza di comporre i litigi dei potentati mercé un tribunale di arbitri, è veramente utopia: mentre, se il tribunale fosse disarmato, non sarebbe ubbidito; se armato a ragguaglio del suo incarico, sarebbe un potentato più forte degli altri. e imporrebbe la propria volontà, anziché farsi conciliare delle altrui.

Otto anni dopo “il più ascoltato divulgatore di cultura storica dell’Ottocento italiano”, Cesare Cantù”  figurò tra i primi iscritti alla Ligue internationale et permanente de la paix promossa dal francese Frédéric Passy. Ma ben più numerose furono le adesioni italiane al congresso convocato da Charles Lemonnier a Ginevra nel medesimo 1867: il Grande Oriente d’Italia, la milanese Società d’istruzione popolare, le napoletane Libertà e Giustizia e Falange Redenta, La Libertà di Ancona, le Società di Liberi Pensatori di Milano e Varese, le società operaie di Ostuni e Arpino, la Società di Mutuo Soccorso di Tunisi, la Loggia Dante Alighieri di Ravenna, la Società patriottica femminile di Milano, il Comitato napoletano per l’emancipazione delle donne italiane… A Ginevra confluì, in aggiunta a Garibaldi, uno scelto manipolo del variegato magma democratico, libero-muratorio e libero-pensatore composto, tra gli altri, da Benedetto Cairoli, Mauro Macchi, Timoteo Riboli, Giuseppe Ceneri, Vincenzo Caldesi, Alberto e Jessie White Mario, Giovanni Pantaleo, Quirico Filopanti, Carlo Gambuzzi. Giuseppe Missori, Giulio Adamoli. Nel comitato centrale della Ligue internationale de la paix et de la liberté entrarono Cesare Stefani, Tullio Martello, Alberto Mario, Ceneri, Gambuzzi e Riboli. II quale Riboli, in veste di consigliere della sezione di Torino — presieduta dall’ebreo David Levi, “l’intellettuale più prestigioso del primo gruppo dirigente nazionale” massonico’ ma anche l’antico mazziniano divenuto monarchico costituzionale — del comitato della Ligue, firmò con Levi, Giovanni Antonio Rossi, Angelo Bosio. Pietro Maguenonti, Enrico Coppia, G.B. Triberti, Marco Brava, Federico Pareto e Francesco Giraudi, all’inizio del sessennio rivoluzionario (1868-1874), un infocato indirizzo alla “Democrazia Spagnuola”US)

Con Garibaldi, Victor Hugo, Aurelio Saffi, Charles Lemonnier, il Grande Oriente della Massoneria italiana (pilotato da Giuseppe Mazzoni), Giuseppe Mussi, Agostino Bertani, Giuseppe Marcora, Mauro Macchi, Pietro Ellero c Alberto Mario, Riboli si associò poi al Comizio promosso l’11maggio 1878 dalle Socielà Operaie milanesi, mentre sembrava potesse scoppiare una guerra tra la Gran Bretagna e la Russia che, sconfitta la Turchia, aspirava all’egemonia sui Balcani. Di lì nacque in Milano

la Lega di Libertà, Fratellanza e Pace (5 settembre 1878), con sezioni a Torino, Reggio Emilia e Crema, che, col Consolato Operaio e con una misteriosa Società Umanitaria (da non confondere con quella fondata nel 1893 in virtù del lascito di Prospero Moisè Loria’, fu la radice dell’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale, istituita nel capoluogo lombardo il 3 aprile 1887.

Assunto, il 9 marzo 1890, con l’approvazione del nuovo Statuto, il titolo di Società internazionale per la pace — Unione Lombarda, e costituita in ente morale con R.D. 15 febbraio 1891, l’associazione insubre fu di gran lunga la più solida fra le società pacifiste italiane. Dei 37 Circoli, Società, Unioni e Comitati aderenti e rappresentati al Congresso di Roma per la Pace e per l’Arbitrato Internazionale (12-16 maggio e dei 79 Comitati, Associazioni e Leghe aderenti al Congresso universale della Pace allestito nell’Urbe nel 1891, pochissimi sopravvivevano invero tra lo scorcio dell’Ottocentot21 e l’alba del Novecent Le correnti pacifiste non si irrobustirono un gran che neanche nell’età giolittiana. La fioritura di Società operaie e militari di S.M., Camere del Lavoro, Leghe professionali, Università popolari, “Istituzioni diverse” e Istituti educativi intervenuti o rappresentati o aderenti al primo Congresso Nazionale delle Società per la Pace (Torino, 29, 30, 31 maggio e 2 giugno 1904)/ non deve trarre in inganno. Eloquente, a questo riguardo, la lista dei delegati e aderenti al quindicesimo Congresso Universale della Pace che ebbe luogo a Milano nel 1906  . Le uniche attivamente durevoli società pacifiste italiane furono, oltre l’Unione Lombarda, la Società per l’ Arbitrato Internazionale e per la Pace di Torino e quel Comitato di Torre Pellice della Società Internazionale per la Pace che nel 1899 annoverava fra i suoi sodali, con pastori valdesi e ministri evangelici, Enrichetta Giolitti, figlia di Giovanni e moglie di Mario Chiaraviglio, futuro alto dignitario del Rito Simbolico Italiano. Ad un livello più o meno inferiore vanno collocati altri gruppi quali, per esempio, la Società

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per la Pace e l ‘ Arbitrato Internazionale di Perugia e la Lega Italiana per la Pace di Beniamino Pandolfi-Guttadauro, già segretario generale della Conferenza interparlamentare, Presidente della Società della Pace di Venezia, Presidente Onorario della torinese Società Escursionisti “I Pionieri della e. sotto la Gran Maestranza di Ernesto Nathan, membro della Giunta del Grande Oriente d’Italia.

4. Garibaldi e la pace nella pubblicistica pacifista italiana

Sino dai Congressi degli Amici della Pace Universale le società anglosassoni misero l’accento sul grande valore della più ampia possibile circolazione delle proprie idee. Non diversamente si comportarono i Congressi universali della Pace di Londra (1890), Roma, Anversa, Amburgo, Principato di Monaco, Lucerna e l’ Assemblea generale di Torino (1898). Quegli sforzi produssero una fitta (ma molto eterogenea) pubblicistica: opuscoli, volumi, almanacchi, annuari c soprattutto fogli e periodiciC9‘. È vero che i pacifisti segnarono al loro attivo l’acquisto dell’Independance Belge, il grande quotidiano liberale di Bruxelles, effettuato verso i] 1896 da Gaston Moch, Charles Richet, Premio Nobel della Medicina nel 1913, ed Emile Arnaud, succeduto all’ex saint-simoniano Charles Lemonnier nella presidenza della Ligue internationale de la paix et de la liberté. Ma si pensi alla tormentata esistenza della pugnace rivista della Ligue internationale de la paix et de la liberté, “Les Etats-Unis d’ Europe — Die Vereinigten Staten von Europa” (titolo a intervalli irregolari completato da “Gli Stati Uniti dell’Europa”, “The United States of Europe” e “Los Estados Unidos de Europa e della Carnegie Endowment for International Peace definì le più rilevanti testate pacifiste europee: “Die Friedenswarte”, il periodico redatto dal massone austriaco Alfred Hermann Fried, collaboratore di Bertha von Suttner e Premio Nobel della Pace nel 1911 (circa 2.000 copie); “La Paix par le Droit”, in cui scrivevano i “fratelli” Charles Richet e Lucien Le Foyer, celebre libero-pensatore, insieme col venerato Frédéric Passy, Premio Nobel della Pace nel 1901, e col protestante Théodore Ruyssen, futuro segretario generale dell’Union internationale des Associations pour la Société des Nations (circa 4.500); “Concord”, la rivista dell’International Arbitration and Peace Association eretta nel 1880 dall’inglese Hodgson Pratt (circa 1 .800)’31). Né si dimentichi che l’organo del Bureau International de la Paix, intitolato dapprima “Cotrespondance autographiée” (1892-1895), quindi ”Corespondance bi-mensuelle” (1895 – Nr. 5, X VIC Année, Berne, IO mars 1911; dal Nr. 6. XVIe Année, Beme, 25 mars 1911 , “Correspondance bimensuelle”), acquistò nuova linfa soltanto per mezzo del sussidio concesso al BIP dalla dotaLione Carnegie, che rese possibile la stampa di 20.000 copie del “Mouvement Pacifiste” I et 2, 15 Janvier 1912). Fortuna molto minore arrise pcr altro all’organo della Conferenza interparlamentare, la “Conférence Interparlementaire”, uscita appena dal 1893 al 1897.

Fra “[tlhe most important European periodicals devoted to the movement for peace and arbitration” la Carnegie Endowment non segnalò però la ‘ ‘Vita Internazionale” apparsa a Milano dal 5 gennaio 1898 e profondamente imbevuta dei valori etici e degli ideali di progresso espressi dal positivismo votato alle riforme sociali. Eppure fino allo sbarco a Tripoli la testata guidata dall’antico direttore del “Secolo”, Ernesto Teodoro Moneta, fu l’indiscussa vessillifera delle società pacifiste italiane, che con essa largamente si identificarono. Alla “Vita Internazionale” che, stando a Moneta, costò sempre “molto più del suo reddito -l’Unionene Lombarda affiancò inoltre un popolare almanacco la cui tiratura (costantemente celata invece riguardo alla rivista) oscillò tra le 30.000 e le 50 000 copie e fu fonte di non del tutto trascurabili introiti.

Meno consistenti e tenaci “La Libertà e la Pace”, portavoce della Società per la Pace e l’ Arbitrato internazionale di Palermo, uscita dal 1891 al 1898 per impulso precipuo di Giuseppe

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D’Aguanno, uno studioso schiettamente darwinista, e il mensile della Società Escursionisti “l Pionieri della Pace”, mentre fogli variamente esili o effimeri furono la taurinense “Pace” ( 1891 ), diretta dal chimico c filantropo cosmopolita Gian Giacomo Arnaudon; il “Bollettino dell’ Associazione Romana per la pace e l’ arbitrato” (1893) pilotata da Ruggero Bonghi, dal moderato filocattolico Cesare Facelli e del ‘fratello” Antonio Teso; l’ “Opera Pacifista Italiana” (1909), notiziario trimestrale della Società per l’ Arbitrato Internazionale e per la Pace di Torino in cui militava Achille Loria; la “Cronaca del Movimento Pacifista” (1912) dell’orientalista Angelo De Gubernatis, in acerrima lotta, a proposito dell’ impresa di Libia, con la napoletana “Luce del Pensiero” di Domenico Maggiore e con “Guerra alla Guerra!” (1913), il bollettino della Federazione Italiana per la Pace e l’ Arbitrato promossa da Maggiore, Enrico Bignami, Edoardo Giretti, Arcangelo Ghisleri, Mario Falchi, Luisa Mussa, Anna Perti Casnati, Arturo Dolara, Ernesto Ghezzi, Alma Dolens, Paolo Baccari, Elvira Cimino e Vittore Prestini.

Quanto spazio il pacifismo di Garibaldi ebbe nella multiforme pubblicistica prodotta dalle società italiane? Il Gran Maestro aggiunto Onorario ad vitam, Pirro Aporti, mise l’accento sulla “permanente causa di guerre politiche (risiedente nel bisogno di avere e di completare la patria” che Garibaldi. “guerriero sommo e convinto fautore di pace volle espressamente riservata al Congresso di  Angelo Mazzoleni, nel marzo 1879 fondatore con Ghisleri, Gabriele Rosa, Ernesto Pozzi e Costantino Mantovani della Consociazione Repubblicana Lombarda, diligentemente inventariò le principali iniziative pacifiste del generale* Ernesto Teodoro Moneta, che si qualificò per “un oscuro gregario di Garibaldi”, elogiò il Nizzardo in antitesi con la “generalità dei Isuoij concittadini” nei “tempi ordinari”, e principalmente con la “generazione di patrioti, i quali, sognando l’impossibile ritorno della grandezza romana, avrebbero voluto fare dell’Italia moderna, anziché una delle nazioni più libere e più civili, una potenza militare di prim’ordine Arcangelo Ghisleri individuò nell’uomo delle guerre sante, delle sole guerre giuste e legittime, guerre di liberazione non di aggressione e di conquista”, il “simbolo dell’ autentico nazionalismo italiano

Potremmo continuare: ma l’ elenco delle citazioni sarebbe brevissimo e le successive sarebbero ancora più fuggevoli di quelle sopra riportate: sicché ce ne asteniamo.

Che il pacifismo di Garibaldi sia stato evocato con assoluta parsimonia ci pare fuor di dubbio. L’individuazione dei perché richiede nondimeno la massima cautela. Si è tentati di arguire che l’ internazionalismo massonico garibaldino non fosse del tutto gradito a chi, come Moneta, talora aveva lanciato i suoi strali contro l’Ordine ed a chi, come Ghisleri, affiliatosi alla Comunione liberomuratoria “per inviti di Aporti”, presto se ne era allontanato chiarendo che “pei buoni e bravi, non c’e[ra] bisogno di quell’istituzione, perché già lavora[va]no del pari a muso scoperto nel campo profano e vi [avrebbero lavorato] anche se non massoni — per chi non [era] né buono né bravo cittadino, l’istituzione non

[avrebbe giovato]

né all’intelligenza né al carattere” . Ma ad Aporti ?

Svincolato da qualsiasi “scuola” o “partito” Garibaldi era tuttavia il campione più universalmente celebre della “democrazia italiana”. Ma da un lato questa non era affatto compatta (neanche nel campo garibaldiino dall’ altro le società pacifiste dovettero molto faticare, nonostante le assicurazioni date da Moneta  e dalle redazioni della “Libertà e la Pace  e della Pace  per scrollarsi di dosso l’accusa di essere “a base repubblicana”, dal momento che in Milano, “donde partì il movimento più attivo per la propaganda”, esso era capeggiato da “egregi democratici, noti per avere qualche globulo rosso nelle Non ci sembra perciò errato, né in fondo azzardato, supporre che il desiderio di cooperare con moderati quali, per esempio, De Gubernatiso Ruggero Bonghi, Carlo Alfieri di Sostegno, Cesare Facelli ed altri esponenti della “Federazione  Cavour  suggerisse ai democratici di tutte le sfumature di sfiorare appena il pacifismo garibaldino.

E certo comunque che i più prestigiosi e autorevoli “amici della pace” di ascrizione democratica sempre fervorosamente condivisero il più discutibile i capisaldi del pacifismo di Garibaldi, ovvero la controversa teoria della guerra giusta diversa ma non opposta rispetto a quella messa in onore da Sant’Agostino. Di siffatta teoria, che al tempo dell’impresa di Libia aveva provocato nelle loro schiere acerbe lacerazioni, essi fecero l’apoteosi durante fa Grande Guerra. Al Comitato Promotore del Congresso Internazionale per lo studio delle basi di un Trattato di Pace durevole Edoardo Giretti garantì il 10 novembre 1915 che, “pur avendo voluto, come cittadino italiano e rappresentante al Parlamento, l’intervento dell’Italia nell’attuale conflitto europeo”, egli “nulla [aveva] da ripudiare del [suo] ideale e dei [suoi I principii pacifisti”, perocché non era “mai stato fautore della pace ad ogni costo e senza onore”, e si era “risoluto ad assumere la [sua] parte di responsabilità nella dichiarazione di guerra fatta dal Governo italiano soltanto quando [si era] convinto che l’Italia non poteva, senza venir meno alle sue tradizioni più gloriose, assistere passivamente al trionfo della violenza sul diritto ed allo schiacciamento forse definitivo della libertà dei popoli e della giustizia internazionale.

Ovvio che Moneta plaudisse. Ma altri aveva deciso l’intervento e si accingeva a dirigere con ferrea disciplina quattro anni di mobilitazione nazionale. Con intuito di fine politico Vittorio Emanuele III, consapevole dell’insistenza con la quale il pacifista Garibaldi aveva proclamato la necessità di marciare col re solo fino a quando questi fosse stato al passo con la “nuova Italia”, aveva però saputo attrarre al suo fianco anche garibaldini, mazziniani e radicaldemocratici che per decenni avevano animato società, leghe, comizi e congressi per la pace.

TAVOLA DEL FR.’. Cl.  Spir.

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TOLLERANZA E LIBERTA’ RELIGIOSA

TOLLERANZA E LIBERTÀ RELIGIOSA

L’obbedienza alla religione è il punto più alto della costruzione prescrittiva, l’apice della Verità cui la libertà deve salire per estinguersi, il luogo dove l’ Assoluto pronuncia la sua sentenza contro il relativismo. Lo stesso Locke, che dedicò gli ultimi vent’anni di vita a scrivere in favore  della tolleranza e a proteggersi contro lo scandalo che ne seguiva, escludeva tuttavia la tolleranza verso gli atei, ritenendo che la mancanza di fede avrebbe svuotato di sanzione i “giuramenti e i contratti necessari all’organizzazione della convivenza civile.

All’origine il concetto di imperium aveva sottoposto l’individuo a un’ autorità a un tempo politica e religiosa; poi l’imperium si era spartito fra potere spirituale e potere temporale, secondo la teoria delle “due spade” che non potevano essere impugnate da una mano sola; e si era aperta la controversia fra i due poteri. Ma per entrambi  l’individuo restava sempre suddito, e la tolleranza poteva al massimo essere concessa alle minoranze religiose per ragioni di convenienza, e a condizioni onerose. Pontefici e sovrani potevano contendersi la precedenza nella titolarità del potere ma per il suddito dissenziente il trattamento abituale erano il bando, la confisca, la prigionia e (pare, dalla fine del XII secolo) le fascine del rogo. Ogni tanto nella duplice sudditanza si apriva un interstizio, una voce solitaria richiamava la separazione fra l’autorità della forza e    l’autorità della fede. Fino dai primi secoli Tertulliano distanziava la religione dalla politica (“nulla res magis aliena quam res publica”) e respingeva l’imposizione coercitiva della fede  “quae sponte suscipi debet, non vi”: e il re barbaro Teodorico scriveva per la penna di Cassiodoro agli ebrei genovesi “religionem imperare non possumus, quia nemo cogitur ut credat invitus”.

Ma ci sarebbe voluto un altro migliaio di anni perché la tolleranza fosse ammessa, per gradi e sempre con l’attitudine  forzata dell’accomodamento al male minore. Negli animi dogmatici restava (forse rimane ancora oggi) I ‘idea che tollerare ciò che si giudica il male equivalga a offendere ciò che si giudica il bene. Sul versante opposto, nel Settecento illuminista (c già prima all’inizio del secolo, nel parlamento inglese), i liberi pensatori consideravano la tolleranza, dapprima invocata come una grazia, ormai come un insulto alla libertà.

Proprio perché tocca il culmine del dissidio fra assoluto e relativo, la tolleranza in materia di religione ha aperto i] varco non solo alla libertà religiosa come diritto soggettivo ma al sistema complessivo dei diritti individuali. Se ne trova l’esempio e quasi il simbolo nel libro sui Diritti di libertà scritto nel 1926 da Ruffini pcr le edizioni di Gobetti. I Diritti di libertà di Ruffini seguono di soli due anni il suo corso di diritto ecclesiastico tenuto nel 1924 su  La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo. Il sodalizio fra il diritto soggettivo alla libertà religiosa e il sistema complessivo dei diritti individuali risalta nell’introduzione  di Piero Calamandrei alla seconda edizione del libro. pubblicata dopo la Liberazione:

“Se il Ruffini avesse potuto seguire dal 1926 fino ad oggi  l’immane dramma di questo ventennio, avrebbe visto la scienza giuridica tedesca non solo tornare, dopo l’avvento di Hitler, alla concezione autoritaria assertrice dell’onnipotenza dello Stato e negatrice delle libertà politiche individuali, ma arrivare addirittura a teorizzare l’abolizione della nozione di diritto soggettivo, di qualsiasi diritto soggettivo, cioè, in sostanza, della stessa rilevanza giuridica della persona: Kampf wider das subiektive Recht, che poi voleva dire. nel campo morale, guerra contro la personalità umana”.

I guasti prodotti dal fascismo in Italia erano stati di poco inferiori. Il regime abbinava all’obbligo dell’obbedienza politica l’ obbligo della religiosità esteriore, e al duplice obbligo corrispondeva una duplice irrisione della libertà di coscienza. L’infatuazione nazionalista costrinse la cultura italiana a un isolamento pernicioso dalle correnti più vive della spiritualità europea, e la repressione di ogni critica fece mancare gli anticorpi al  del contagio razzista che sfociò nella vile persecuzione  dei concittadini ebrei.

 TAVOLA DL FR.’.  Valerio Zanonc

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EMILIO SALGARI E LA MASSONERIA

EMILIO SALGARI

E LA MASSONERIA

Curando un’edizione annotata dell’unico romanzo autobiografico di Salgari, In Bohème Italiana (1909) un romanzo particolarissimo, privo d’avventure esotiche, nel quale non pochi personaggi reali, in particolare quelli della cerchia d’amici dello scrittore, sono nascosti con nomi fasulli, anagrammi e con altre maschere (lo stesso Salgari vi si sdoppia nei personaggi d’un pittore e del “letterato Roberto”), mi colpì la seguente  frase:

Tipo alla buona del resto. buon compagnone, e soprattutto vero bohèmien di istinti

Frase innocua, riferita a sé stesso, però avevo da poco appreso che:

…non poco del simbolismo che si riscontra nelle due maggiori società segrete di questi ultimi tempi, quali la Massoneria e la Carboneria. rimonta all’antico Compagnonaggio del dovere e che la voce italiana “compagnone”, riferita a gente allegra e burlona, può nascondere appunto il significato di appartenente al Compagnonnage, società di  compagnoni.

In più quel termine, “compagnone”, non mi risulta usato altrove dal Salgari. Nulla di più, comunque, d’una pulce nell’orecchio, dovuta allo sforzo che stavo compiendo di togliere il velo ai numerosi messaggi, alle allusioni ed agli ammiccamenti che Salgari ha disseminato nel libro.

Non feci cenno alla circostanza nella Postfazione al volume, nemmeno dopo aver notato che quasi tutti i personaggi citati correttamente nel romanzo, furono massoni: Guido Baccelli, Oreste Baratieri, Augusto Franzoj, Giuseppe Giacosa, Tommaso Villa…

Scrissi invece, sulla scorta di altri riscontri, di come Salgari si muovesse “con discrezione o addirittura senza consapevolezza”, nell’ambito politico dei repubblicani; di come fosse agevole rintracciare nei suoi romanzi inni al Risorgimento e di come il discusso anticolonialismo salgariano potesse derivare dalle teorie di Carlo Cattaneo Che “propugnò idee di amichevole collaborazione in contrasto con i comportamenti espansionistici

Dopo qualche tempo, occupandomi di un altro romanzo salgariano, I Drammi della schiavitù (1896), dove, ovviamente, Salgari ha tracciato pagine degne di Sir Samuel White Baker. autore d’una famosa spedizione nell’ Africa Centrale per l’abolizione della tratta dei negri, notai come nella prima edizione di quell’opera egli si fosse dichiarato apertamente “seguace convinto” del naturalista francese Jean Baptiste Pierre Antoine de Monet de Lamarck, il quale divulgò per primo la teoria dell’evoluzione, o meglio seguace di Darwin  Avrei presto appurato, a questo proposito, che:

La vulgata dell’evoluzionismo divenne presto uno dei punti d’incontro di certi massoni che, anche senza                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         averc una precisa cognizione dei contenuti scientifici del darwinismo e delle sue possibili implicanze socio-politiche. dalla strenua lotta sostenuta dalla Chiesa di Roma contro la sua diffusione e per la sua stessa provenienza dalla terra di Desaguliers e Anderson deducevano ch’esso fosse comunque un buon compagno di strada, se non verso la Vera Luce almeno per dissipare le tenebre più fitte…

Nelle stesse pagine di Aldo A. Mola, appresi che anche l’affare Dreyfuss, se non coralmente, aveva annoverato i massoni tra gli innocenti. ricordavo perfettamente come Salgari, nel racconto L’Isola del diavolo, avesse espresso analogo atteggiamento,  discostandosi clamorosamente, ad esempio, da uno dei suoi “maestri”: Jules Verne. Una presa di posizione ben precisa, dunque, se si pensa alla quantità di nozioni e di idee che sono pacificamente rifluite dalle pagine dell’autore francese a quelle salgariane.

La pulce nell’orecchio si stava annidando con maggior risolutezza. D’altro canto, poiché le tematiche di Salgari riflettono valori universali che, proprio in quanto tali, valgono per tutte le bandiere, anche d’opposto colore, non poteva essere rivelatore il fatto che riflettessero puntualmente i massonici ideali di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza.

Per puro spirito ermeneutico, per così dire, notai poi come Salgari si sia schierato contro la superstizione”; e come abbia idealizzato i Cavalieri di ancora in ottemperanza allo spirito massonico.

Troppo poco, comunque, per trarre conclusioni. Occorreva qualche segnale più forte, pur nella consapevolezza che ogni segnale, alla stregua del termine “compagnone”, potesse prestarsi ad una doppia lettura, lasciando perciò inalterata la situazione. D’ altra parte gl’indizi sono spesso, se in gran numero, sintomi di prova non facilmente oppugnabile.

Salgari nacque a Verona nel 1862 e vi rimase sino al 1893; si trasferì poi in Piemonte e a Torino visse gran parte del resto della sua vita, terminata tragicamente nel 1911.

Quando, eventualmente, avvenne la sua affiliazione alla Massoneria? E c’è, nella sua vita, qualche segnale che indichi uno di quei salti di qualità che si sogliono pensare caratteristici dei “fratelli”?

Nel 1883, giovanissimo e per di più dopo studi scolastici che possiamo definire catastrofici (ma era bravissimo in lingua italiana!), quasi improvvisamente, diventò redattore del giornale “La Nuova Arena”. Ne era direttore (e fondatore) Ruggero Giannelli, di simpatie monarchiche, futuro segretario di gabinetto del Ministro dei Lavori Pubblici on. Dari, nonché proveniente dalla direzione de “L’Arena”, facente capo a una società controllata dall’ala  conservatrice del partito liberale veronese Nel febbraio 1885, il massone Augusto Franzoj, reduce dal suo glorioso viaggio africano, si recò a Verona per tenervi una conferenza, dopo quelle già tenute a Vercelli, Milano e Bologna e come primo atto ufficiale si recò a visitare la redazione de “La Nuova Arena”, incontrandovi Salgari: il fatto è piuttosto strano se si considerano i movimentati trascorsi repubblicani di Franzoj, tanto più che a Verona, in contrapposizione al foglio monarchico di Giannelli, militava il giornale “L’ Adige”, di gran lunga più vicino alle simpatie politiche dell ‘esploratore

Altro avvenimento importante per Salgari: nel 1897. forse in seguito all’abitudine d’inviare copia dei suoi romanzi al componenti la Casa Reale, fu nominato Cavaliere per iniziativa del re Umberto I, che, come scrive Aldo A. Mola, fu “punto d’approdo e garante per i Fratelli ininterrottamente alternatisi nelle alte cariche dello stato…”. Nello stesso anno il giornale “La Gazzetta del Popolo della Domenica” gli riservava autorevoli e lusinghiere prefazioni, ad onta del fatto che l’opera salgariana, com’è noto, sia stata caratterizzata. finché visse lo scrittore, dalla più assoluta indifferenza da parte della critica letteraria e del mondo accademico.

A questo punto delle mie considerazioni potevo presumere d’aver evidenziato, ai fini che mi proponevo, una circostanza rilevante. Tanto più che l’ambito giornalistico torinese suddetto fu notoriamente abitato da personaggi quali Felice Govean e Luigi Pietracqua che furono tra i primi affiliati alla Loggia massonica “Ausonia”, fondata a Torino l’ 8 ottobre 1859. Loggia massonica che partecipò pubblicamente dopo la morte di Salgari, alla sottoscrizione a favore dei suoi figli con la donazione della somma di 50 lire.

Ancor più rilevante mi sembrò dopo aver rintracciato sulle pagine dello stesso giornale la precisa e inconfutabile fonte da cui Salgari trasse le notizie e le particolarità riferite a quel “Fiore di Risurrezione” che, gabellato per vegetale reale, è descritto nei romanzi Le Figlie dei Faraoni (1906) e Le Meraviglie del Duemi1a (1907).

La fonte è un articolo firmato con lo pseudonimo  ”Ramfis” apparso appunto su “La Gazzetta del Popolo della Domenica” con data 26 aprile 1891, e riguarda chiaramente il simbolismo della scienza sacra e quello massonico, con accenni ai Cavalieri di Malta-Crociati-Santo Graal-Risorgimento-anno 1848.Fu appunto scrivendo di questa scoperta che azzardai per la prima volta l’ipotesi dell’appartenenza di Salgari alla Massoneria, citando altri indizi di cui ero intanto venuto a conoscenza nel rileggere il citato Le Meraviglie del Duemila: una certa visione antisocialista, un probabile omaggio al massone F. A. Meslner. un eloquente omaggio a Guglielmo Marconi e a Garibaldi, il sia pur mal riuscito tentativo d’esaltare il principio dell’evoluzione sociale generale. E scrissi anche:

Il protagonista del romanzo Cartagine in fiamme. che si chiama Hiram come il sacerdote di Tebc dei riti massonici nel tragico finale riceve da Fulvia l’estremo saluto: “Addio fratello”. Altro caso, così impensabile perché sotto gli occhi di tutti, come la lettera rubata di Poe . riguarda l’appellativo con cui si apostrofano continuamente Sandokan e Yanez. (“fratellino” Ina anche “fratello”). personaggi che si è voluto accostare a    Garibaldi e Bixio, entrambi massoni,

Circostanza altrettanto interessante ho poi rilevato nel sunnominato romanzo Le Pantere d’Algeri, il cui protagonista è un giovane Cavaliere di Malta impegnato contro i pirati algerini nell’anno 1630.

Nel capitolo XI, in suolo nemico, un Normanno fregatario, da anni impegnato nella liberazione degli schiavi cristiani, accompagna il Cavaliere a stabilire un contatto con un anziano maltese, ex templare, inserito nella società alaerina nelle vesti di “mirab”, specie di santone:

Quando il mirab, che guardava a destra ed a sinistra, giunse a pochi passi dal fregatario, fissò su questi. per un momento, i suoi occhietti grigi cd un rapido trasalimento contrasse  il suo viso rugoso ed incartapecorito.

Il Normanno, con una mossa che pareva naturalissima, si era portata una [nano sulla fronte. tenendo tese tre dita e piegando le altre due. Il mirab aveva subito risposto a quel segno convenzionale accarezzandosi due volte la lunga e candida barba. poi aveva continuato ad inoltrarsi fra la folla, scomparendo per una porticina che s’ apriva nell’estremità  della moschea’ Da me interpellato in proposito, il Prof. Aldo A. Mola ha riconosciuto nel “segno convenzionale” salgariano il “signe de detresse” previsto dai massoni in caso di pericolo, che peraltro il romanziere potrebbe agevolmente aver appreso da una delle tante traduzioni delle opere di Léo Taxil che all’epoca circolavano in

Resta il fatto, mi pare, che la scelta d’un segnale del genere, in un romanzo d’avventure, possa considerarsi eloquente, tanto più se aggiunta agli indizi sinora elencati.

Nel medesimo romanzo, d’ altra parte, è possibile — a chi conosce il contorto modo di Salgari di veicolare messaggi particolari — rintracciare un ulteriore. possibile ammiccamento.

Il barone Carlo di Sant’Elmo. protagonista del romanzo, non può certo considerarsi un autoritratto del romanziere, il quale peraltro ha ceduto in moltissime occasioni alla tentazione di mettere un po’ di se stesso nei propri personaggi. E anzi. nella descrizione fisica, esattamente l’opposto di Salgari né più diverso potrebbe essere. Però un particolare recondito, sintomo d’immedesimazione, volendo c’è ed è nascosto . nella fidanzata del barone, che si chiama Ida di Santafiora, indubbiamente un romantico omaggio di Salgari alla moglie Ida Peruzzi.

A questo punto, se ci fosse qualcos’altro? Notiamo allora che Salgari, del barone, precisa:

creato cavaliere di Malta appena ventenne Supponendo che si tratti — ma non possiamo assolutamente  esserne certi — di un riferimento autobiografico, ovvero dell’indicazione della propria affiliazione alla massoneria. potremmo dedurne che essa avvenne nel 1882, a Verona: l’anno prima dell’ingresì0 nella redazione de “La Nuova Arena”.

Ma sono soltanto supposizioni, s’ intende, non prive di forzature e fantasticherie dettate dal desiderio di sapere.        Felice Pozzo

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PIETRE LEVIGATE seconda parte

PIETRE LEVIGATE

(seconda parte)

Un uomo si imbatte in una tigre. Fugge. La tigre Io insegue. Giunto ad un dirupo l’uomo scende affannato lungo la parete del precipizio, poi si afferra ad un rampicante e resta sospeso nel vuoto. La tigre lo fiuta dall’alto. Terrorizzato, guarda in basso: sotto di lui è comparsa un ‘altra tigre pronta a divorarlo.

L’uomo vede accanto a sé un bella pianta di fragole. Tenendosi al rampicante con una mano, con l’altra coglie le fragole. Le guarda intensamente, e poi le assapora. Come sono buone!

Parabola Zen.

E’ reale tutto ciò che produce effetti reali. tutto ciò che 1110difica la realtà preesistente. Dunque anche un’idea, un pensiero, persino un’illusione se muteranno il mio comportamento possono essere [considerati] reali.

Roberto Assagioli

La mappa non è il territorio                 

                                                                          A. Korzybski

Uno dei principali obbiettivi massonici è quello di “conoscere se stessi”. Ma cosa significa più precisamente per noi “conoscere”, in questo caso? Cosa dobbiamo “conoscere” di noi stessi’? Cosa dobbiamo cercare? E. a seconda di quel che cerchiamo, quali tecniche usare per raggiungere il risultato?

Accanto al conoscere è ricordare di Platone, al conoscere è giudicare di Kant, al conoscene è sognare di Bion, io posi tempo fa, in una sede che ho ricordato nella prima parte di questo articolo, volendo rispondere a questa domanda, un mio teorema che dice: conoscere è costruire. In quella prima parte (pubblicata sul numero 49 di Nuova Delta) feci però un altro piccolo passo, passando dal teorema generale conoscere è costruire” al suo corollatio massonico “conoscere è levigare”. Quelli che avevo cercato in quella sede di esporre, sul piano teorico, erano alcuni Ineccanismi che sovrintendono, anche se probabilmente non da soli, alla trasformazione degli stati di coscienza. A questi meccanismi io sto dedicando

di Luciano Rossi

da tempo molto spazio iniziatico (ossia del tutto esperienziale) e, accanto ad esso, un consistente investimento intellettuale: lo faccio perché i miei studi teorici e Ic mie esperienze meditative mi fanno ritenere, ogni giorni di più che levigare la pietra consista soprattutto nel trasformare il nostro stato abituale, profano, di coscienza.

Ora, in questa seconda parte, vorrei riprendere l’argomento e, con esso, dare più spazio alla pratica vera e propria, senza giungere tuttavia a quei dettagli immediatamente operativi della levigatura che potrebbero interessare solo coloro che sono pronti a intraprendere sin da ora un percorso meditativo vero e proprio. I massoni infatti possono, in via elettiva. modificare, proprio attraverso la meditazione, i loro stati ordinari, o grezzi, di coscienza.

Nella prima parte dicevo, lo ripeto brevemente, che levigare la pietra consiste principalmente nel togliere da sé alcune introiezioni (pregiudizi e condizionamenti) e ri-mcttere dentro di sé tutte le proiezioni in atto (metalli), ossia tutte le caratteristiche nostre che abbiamo finora erroneamente attribuito ad altri e terminavo dicendo presso a poco che . “come è per la statua, così è anche per noi; anche noi abbiamo scorie e pregiudizi da togliere, così comc abbiamo metalli da riconoscere ed accettare, metalli o difetti che non sono altrui, ma solo nostri”.

E se non tutti i metalli sono proiezioni è però vero che tutte le proiezioni sono metalli. metalli chc vanno ritirati, recuperati e riconvertiti, … non buttati. Il ritiro delle proiezioni, ossia dei metalli, è importante perché anche un metallo (quadrato nero del pavimento), come ogni altro nostro elemento, è una ricchezza e quindi non dobbiamo lasciarlo fuori di noi: una ricchezza che diventa disponibile se sappiamo consapevolmente vederla, accettarla e riconvertirla.

Ma per essere chiaro,. faccio un esempio. Supponiamo che durante la mia meditazione io incontri uno di quelli che la meditazione buddista chiama “i cinque grandi impedimenti”: ad esempio la rabbia. Suppongo di provare rabbia, che so, verso il mio maestro di meditazione. ln tal caso che cosa accade? Accade precisamente che, quando sono assalito dalla rabbia, la mia mente non è più sgombra e attenta all’oggetto di meditazione; smetto per esempio di esscre consapevole del mio respiro (se questo era l’oggetto di meditazione prescelto) e la mia mente, anziché essere abitata da un respiro silenzioso, è completamente invasa da sentimenti di rabbia: anzi sono già alcuni minuti che io sono attraversato da questa emozione e nemmeno me ne sono accorto. Poi, finalmente, mi avvedo che c’è stata una mancanza di continuità, un’interruzione dell’attenzione. Sono stupito di essere passato, già da tempo, da un pensiero all’altro senza essermene minimamente accorto. Da quanti minuti mi sono distratto? Da quanti minuti la mia mente è invasa da questa rabbia imprevista verso il mio istruttore? Da quanti minuti ho cominciato a pcnsare che è un maestro incapace e senza comunicativa, un uomo freddo e distante che semina le sue istruzioni di sciocchezze pseudoscientifiche? L’ira ha interrotto la mia tranquilla attenzione al respiro, che avevo programmato (ahi me illuso!) di mantenere per un certo tempo, e sono stato travolto dall ‘irritazione; anzi, sono diventato l’irritazione stessa, mi sono identificaro con l’irritazione, perdendo con ciò ogni consapevolezza, ogni distanza, ogni capacità di osservazione serena. Ma il passato è passato; devo pensare solo a cosa posso fare ora e chiedermi: “Ora che sono di nuovo consapevole, cosa posso fare’? “. Posso fare questo: ritenermi fortunato che la meditazione si sia impigliata proprio in quel sentimento, finora silenzioso, di irritazione che covava a mia insaputa sotto le ceneri e che in tal modo si è fatto spazio verso la superficie ed è diventato virulento e così ben leggibile. Posso ritenermi fortunato perché ora posso semplicemente approfittarne di ciò che è emerso per svolgere un compito imprevisto, ma liberatorio: quello di osservare tranquillamente questo “metallo”, di accettarlo come mio e poi prenderne le distanze. Devo comprendere che io non sono l’irritazione, bensì ho ora quella specifica irritazione. L’irritazione non è la mia mente, bensì un contenuto attuale, o magari anche abituale, della mia mente. L’irritazione è un mio compagno di viaggio, non è “me stesso”. E un contenuto impennanente, che entra ed esce, che sorgee si dissolve. Inoltre mi devo chiedere un ‘altra cosa, non è forse probabile che io stia ora proiettando la mia incapacità su un altra persona c che svaluti lui per non svaIutare me, per difendermi dall ‘angoscia di riconoscermi inadeguato?

Se così è. sono irato in verità solo contro me stesso. Dunque, a questo punto, onestà, salute mentale e status massonico vogliono che io ritiri dal maestro la mia incapacità e me la riprenda. E con essa mi riprenda anche tutta la rabbia che vi era connessa, legata; operazione conveniente, questa, dal momento che si tratta di riprendermi un’energia potente che, essendo appunto “legata”, non era più disponibile e utilizzabile per la creatività. Se divento consapevole di questo metallo “vile”, smetto di identificarmi con lui e di agirlo con fatica inutile e inconsapevole. E posso anche trasformare alchemicamente questo metallo in oro. Se accetto di essere incapace e rabbioso (c mi perdono per questi due difetti). allora la mia energia libera cresce e io posso riprendere il mio cammino con rinnovato vigore, anziché rimanere legato ad un risentimento che mi tiene fermo ad un evento del passato.

Dunque il processo da compiere è: vedere. accettare (o integrare) e convertire.

Cominciamo dal vedere. Come si fa a vedere?

I frammenti grezzi, i metalli. i pregiudizi, i condizionamenti sono pensieri o emozioni che vengono sentiti o visti facilmente solo quando si crea in noi un particolare silenzio mentale. Provare per credere. Certo, occorre essere istruiti su come creare questo silenzio. Ma per fortuna esistono tecniche precise per farlo, alcune segrete che si apprendono solo per via iniziatica, altre che raccontano maggiormente e più liberamente di sé. Quando creiamo in noi questo silenzio il limite della coscienza si abbassa e allora possiamo “vedere” (o diventare coscienti di) cosa c’è più giù, negli strati sottostanti della nostra psiche. Alcune parti, prima inconsce, diventano in tal modo coscienti e non perchè sono salite alla coscienza, conie si dice in psicoanalisi, ma perché la soglia della coscienza è discesa (ubbidendo al comando [Scendi e] Visita l’interno della terra) e abbiamo potute vedere quelle parti grezze in basso là dove esse stanno. Questa prima fase è quella della consapevolezza o della presenza a sé stessi.

Dopo aver visto la scaglia grezza, sia che essa rappresenti una proiezione o una introiezione, non dobbiamo però, per rimuoverla, usare in modo inesperto uno scalpello qualsiasi, bensì lasciare che un particolare scalpello mentale osservi il frammento, lo consideri e ne decida il destino. Per far questo, tale scalpello deve dapprima “annotare” la scaglia grezza e accettarla; poi riconvertirla o lasciarla svanire e decidere per il perdono di sé o dell ‘altro, a seconda di che frammento si tratti.

La pietra levigata allora è per noi in questo contesto la mente tersa, e non i suoi contenuti non permanenti; è la rnente tersa che viene trovata (invenies) col lavoro meditativo, dopo che i contenuti della mente individuati, sia pregiudizi che metalli, sono stati riconosciuti come ospiti non permanenti e non più come il nostro sé. Abbiamo così completamente ottemperato al comandamento VITRIOL. Non solo abbiamo visitato l’interno, ma, dopo averla pulita dai contenuti che la offuscavano, abbiamo anche trovato e visto la nostra mente nascosta.  La nostra mente nascosta è la pietra occulta. Per trovarla si doveva andare oltre i pensieri mmorosi e le emozioni tumultuose della coscienza grezza.

Dobbiamo dunque creare il silenzio in noi stessi con la esperienza della meditazione, anzi con la pratica di una opportuna meditazione; dobbiamo farlo per ascoltare i pensieri sottili. i

messaggi appena sussurrati, per osservare i frammenti grezzi così come si manifesteranno e lasciarli svanire nel perdono. Nella pratica massonica più comune la meditazione sulla pietra grezza e sui metalli è quasi sempre, esclusivamente, una riflessione intellettuale e non anche esperienziale come dovrebbe essere; del resto. quando ci accingiamo a fare questa esperienza, spesso non sappiamo come fare.

Meditare dunque … qui non significa riflettere, ma sentire nella carne. La riflessione intellettuale non può, da sola, raggiungere una parola che si è fatta carne ed abita nel nostro corpo. Per raggiungere la carne occorre una meditazione di carne. Tutti noi, per esempio, ricordiamo come nel Gabinetto di riflessione, quella prima indimenticabile sera, non abbiamo riflettuto in modo speculativo, ma abbiamo provato una forte emozione. Giustamente questo luogo viene talora chiamato anche Gabinetto di Meditazione ed è con grande sapienza che la tradizione iniziatica ne ha perpetuato I ‘uso. Occorre tuttavia precisare che, per essere veramente tale, la meditazione deve accompagnarsi ad una consapevolezza che immagino possa spesso mancare nel Gabinetto di meditazione. Non siamo, purtroppo, molto abituati alla consapevolezza, abitudine che può nascere solo da una severa ed allenata disciplina interiore.

E poiché non ci siamo abituati, la consapevolezza può apparirci una sorta di magia capace di creare in noi un ‘insolita esperienza, di produrre in noi, in modo apparentemente prodigioso, uno stato, una condizione, un prodotto improbabili, e che può farlo senza che i suoi artifici siano particolarmente visibili e perciò comprensibili. Rendendoci del tutto presenti alle fragole, la consapevolezza può farci dimenticare le tigri. Si tratta dunque di uno strumento magico e potente.

La nostra curiosità sta crescendo e si chiede con sempre maggiore insistenza: “Quale è questa magia che può far dimenticare due tigri affamate? E quale magia dello stesso tipo potrebbe possedere la Massoneria? Quale magia, capace di trasformare gli uomini nel Gabinetto di meditazione con il suo metodo, se davvero applicato? Inoltre, tale magia trasformativa ha un metodo preciso? E, se sì, tale metodo può essere appreso’?”

Credo che la risposta a tutte queste domande sia in ogni caso affermativa e che il metodo di questa magia possa essere rivelato dalla frase di Leonardo da Vinci messa in epigrafe alla prima parte di questo lavoro: L’architettura lavora per via di porre; la scultura per via di torre. Togliere e mettere: ossia, in altre parole, proicttare e introiettare, cancellare e generalizzare

Per operare questo cambiamento di stato di coscienza, e dunque anche per levigare la pietra, dobbiamo compiere sempre due operazioni fondamentali: da un lato togliamo allo stato profano di partenza le caratteristiche grezze, che non devono essere presenti nel modello ideale levigato, e dall’altro enfatizziamo quelle caratteristiche levigate già presenti che ci interessa mantenere.

L’operazione di mettere consiste in una sottolineatura, in un potenziamento degli elementi richiesti, o in una loro generalizzazione, come preferisce dire la PNL (Programmazione Neuro-Linguistica). L’operazione di togliere consiste nella eliminazione di caratteristiche non utili al nostro progetto o disturbanti.

Nel caso in cui un uomo decida “da grande” (specificamente da massone) di levigare la sua pietra, deve avvenire in lui, ora, per la seconda volta, tutta una serie di operazioni. Una serie di operazioni uguali e contrarie ad altre già avvenute in passato. La prima fase. quella già avvenuta in passato, talvolta ripetutamente, consiste in un condizionamento naturale alla intolleranza e al pregiudizio che hanno formato le in crostazioni che rendono grezza la pietra. La seconda consiste in un decondizionamento e un ricondizionamento “terapeutici”, voluti dalla coscienza dell’adulto e, questa volta, per scopi consapevoli e buoni. Entrambi i condizionamenti sono delle magie ed è merito del secondo mago aver saputo intuire, scoprire, le arti del primo e imparare a riprodurle … identiche e invertite. Nella prima fase il mago è la vita stessa. la storia personale dell’individuo, che ha agito sul soggetto, ipnotizzandolo, condizionandolo. Nella seconda fase, ad operare la magia è la saPienza cosciente dello stesso soggetto che era stato vittima del primo malaugurato condizionamentoll ). Come avviene in pratica tutto ciò?

Cercherò di descrivere come avvenga tale seconda condizionamento, di descrivere come si trasformi una configurazione psichica indesiderata in una favorevole, una configurazione grezza in una levigata.

Noi viviamo il nostro presente con la mente purtroppo piena di riflessioni in cessanti rivolte a organizzare le difese contro l’angoscia, sentimento che nasce per lo più o dalla paura del futuro o dalla rabbia e dal dolore del passato (sappiamo che anche l’intolleranza e il pregiudizio nascono dalla paura). Noi possiamo oggi imparare ad uscire da tali stati di coscienza ordinari rendendoli inattuali, distraendoci, e attualizzando altri stati di coscienza ora inattuali. Come nella parabola zen dell’uomo appeso all’ arbusto, impariamo a distrarci dallo stato di pensiero angoscioso (paura delle tigri) notando e gustando le fragole, concentrandoci sulle fragole e rendendo inattuali le tigri. Vivere la bellezza della pianta di fragole, quando questa ci si presenta. dovrebbe essere il normale, ordinario stato di coscienza. Invece non lo è. In molte occasioni esso viene totalmente relegato nelle zone inattuali della mente. La paura del dispiacere attrae tutta la nostra attenzione e la distoglie dalle piacevoli sensazioni che, attualizzate, potrebbero accompagnare più spesso, per non dire sempre, la nostra vita

Dovrebbe esser naturale percepire le sensazioni attuali e probabilmente per gli animali lo è; ma per le nostre menti evolute e specializzate è diventata invece abituale l’elaborazione continua dei piani di difesa contro il nemico. Questo nemico è rappresentato dall ‘insieme dei sentimenti spiacevoli che provengono dal pas sato e dal futuro (paura, rabbia, dolore, vergogna, delusione, ecc.); è diventato quindi naturale per noi vivere nel passato (tigre che sta die tro) o nel futuro (tigre che sta davanti). Così che percepire le sensazioni del presente (sapore delle fragole) diventa meta di un progetto non facile e di un processo lungo e paziente che, per realizzarsi. deve mutare il naturale flusso dei pensieri. Percepire le sensazioni dunque, anziché essere un evento del tutto naturale, è un’operazione forzata. inusuale, che dobbiamo ottenere con artifici, destrutturando la coscienza attuale che ha contenuti di solo pensiero o sentimento e strutturando un nuovo stato di coscienza fatto di sensazioni piacevoli e focalizzate.

Per fortuna tutto questo universo di attenzione e consapevolezza, pur essendo “soltanto” un mondo psichico, ha eiTetti del tutto reati e può costruire un uomo altrettanto reale, un massone, un levigato. Dunque, anche se levigare è costruire un uomo reale. questo processo costruttivo. come afferma Assagioli in epigrafe, può essere fatto di pensieri. sensazioni. allucinazioni positive. Cause spirituali queste che producono tuttavia effetti materiali. Per avere una mente tersa da frammenti grezzi, libera da avversioni e attaccamenti possiamo semplicemente coltivare la presenza, la attenzione-consapevolezza al momento presente.

Tale pratica, così diffusa in ambito orientale, non è estranea nemmeno a certi ambienti massonici. Nel rito di Menphis Misraim, per esempio, mi risulta che sia prevista la meditazione di gruppo, fatta in Tornata. Noi, che questo rito non abbiamo, possiamo però meditare da soli, con una pratica simile a quella che i Fratelli del Menphis fanno in gruppo, traendone sicuramente effetti simili (di levigatura). Io apprendo questa loro pratica da un testo di Francesco Brunelli, ex Sovrano Gran Maestro dell’ Antico e Primitivo Rito di Menphis e Misraim, allievo di•Roberto Assagioli e debitore verso di lui del metodo psicosintetico. Il testo da cui traggo spunto è Principi e metodi di Massoneria operativa, una guida ai lavori di Loggia, Ed. Bastogi, Foggia, 1981. Dice in quell’opera il Brunelli (P.1 13): “Non una sterile esercitazione mentale proporremo come lavoro di Loggia ed

individuale, ma la meditazione [ossia una esperienza corporea. un modo di vivere)”

In quel testo il Brunelli si dilunga nella descrizione della meditazione di gruppo e delle tecniche assagioliane: parla anche di visualizzazioni guidate e di meditazioni creative. Non scende però nel dettaglio dei vissuti interiori che si provano alla vista dei metalli, né parla a sufficienza del loro trattamento, che rimane comunque una operazione molto delicata, che ci può dare molto, ma anche togliere molto se siamo incauti nell’effettuarla. Credo dunque che siano proprio le tecniche per affrontare questi vissuti grezzi quelle che risultano le più necessarie da conoscere operativamente per un progresso spirituale. Queste tecniche (di tratta mento dei cinque impedimenti) dovrebbero costituire la prima fase della meditazione sulla pietra grezza. Può certamente essere messo a punto un sistema organizzato di meditazioni che sia specifico per il raggiungimento degli obbiettivi massonici. Nella fattispecie, per la seconda fase di visualizzazioni creative, quelle che anche il Brunelli descrive, si può metterc a punto una serie di meditazioni che possono vertere su argomenti spirituali caratteristici: dalla scalata della montagna alla discesa nell ‘abisso, dalla conquista del Graal all’ottenimento della pietra filosofale, ecc. Tali meditazioni massoniche potrebbero essere trattate in una sede successiva o in una sede diversa. Una sede che abbia comunque una caratterizzazione fortemente pratica.

Per ora ci basti l’aver indicato almeno una traccia di un modo per levigare. Se levigare è lasciar perdere gli attaccamenti profani (restituire le introiezioni o togliere) e riconoscere i propri difetti (riprendersi le proiezioni o mettere) occorre creare una condizione di silenzio meditativo per vedere attaccamenti e difetti; cosa ben diversa sarebbe l’attività (che temo ahimè sia prevalente nella prassi) di individuare solo i difetti del Fratello•anziché i propri: questo sarebbe ancora proiettare o far sì che l’anima investa in nuovi attaccamenti. In definitiva sarebbe ancora introiettare materiale grezzo e ci allontanerebbe ulteriormente dall ‘obbiettivo di conoscerci ed emendarci.

Riassumendo diciamo che conoscere è levigare e levigare è “mettere e togliere”, lo stesso mettere e togliere che ha prodotto un giorno la pietra grezza, attraverso il proiettare e introiettare, il cancellare e generalizzare.

Oggi, in sede di levigatura, mettere e togliere diventano “integrare e lasciar andare”, attraverso l’osservazione meditativa e la disidentificazione, le vecchie proiezioni e le introiezioni, i metalli e i pregiudizi.

Sto semplificando, è evidente; ma non più di quel che serva, credo, per comunicare con [e sole parole di carta un ‘esperienza emotiva. L’esperienza umana è troppo ricca, per poterla cogliere e raccontare senza semplificarla. Non si sostiene qui che meditare sia necessario e sufficiente per levigare; si sostiene che attraverso la meditazione si può svolgere una notevole mole di lavoro in tal senso. Non conosco una strada altrettanto efficace per lavorare da soli all’ardua impresa di conoscere se stessi e trasformarsi.

Così, anche se semplificando, mi sento di riaffermare che levigare è meditare e che, reciprocamente, meditare è levigare.

Ma come meditare? Beh, credo di aver fatto intuire al Lettore che quest’ultimo è un intero pianeta a sé stante. In estrema sintesi la meditazione può esser definita come un orientamento consapevole e tranquillo ad un oggetto specifico. Tale oggetto può essere il respiro, un pensiero (spesso un mantra) o una sensazione (visiva, auditiva o tattile). Fare questo produce in noi etTetti reali, leviga la nostra realtà preesistente; ma lo fa solo attraverso il superamento di prove, di impedimenti, talvolta dolorosi e durevoli. La meditazione è un complesso di esperienze molto grande e molto ricco. Ed è ovvio che non se ne possa parlare qui. Tuttavia se si vorrà, alla meditazione in generale e alla sua modalità massonica, si potrà accennare in un momento successivo.

BIBLIOGRAFIA

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BANDLER, R., Grindcr, J. , La struttura della magia, 1981. Roma, Astrolabio.

BRUNELLI, F.. Principi e metodi di massoneria operativa. Una guida ai lavori in Loggia, 1981, Foggia, Bastogi

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FERRUCCI, P.. Esperienze delle verte, 1989, Roma, Astrolabio.

GOLDSTEIN, J.. Kornfield, J.. Il cuore della saggezza, 1988, Roma, Ubaldini.

GOLDS(EIN, J., La pratica della libertà, 1995. Roma,

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KORZYBSKI, A. , Science and Sanity, 1933, Lakevillc

MAHARiSH(, M., Y. , La scienza dell’essere e l’arte di vivere, 1970, Roma. Astrola.

NOTE

(l) Entrambe le trasformazioni avvengono per via di togliere c di mettere. Possiamo immaginare la prima come una incrostazione difensiva. la seconda come una levigatura. una pulizia. Nella prima fase, guardando fuori di noi e imparando, togliamo qualcosa al mondo intorno a noi, al territorio (introiezione del pregiudizio) e mettiamo qualcosa di nostro nel territorio (proiezione del difetto): la rappresentazione davanti a noi ovviamente finisce, ad operazione fatta. per risultare diversa dal reale, ossia ne risulta una mappa che non è uguale al territorio. Noi vediamo davanti a noi uno scenario che è un territorio ricoperto dalla nostra mano di venice. Nella seconda fase si va poi a cambiare consapevolmcnte la mappa risultante dalla prima fase per creame una seconda scelta dall ‘individuo. vuoi perché è più sana. vuoi perché è più massonica. Si restituiscono al territorio le introiezioni precedenti c si ritirano le proiezioni.

In estrema sintesi l’operazione terapeutica di levigatura mette ciò che è stato tolto dalla malattia profana c toglie ciò che è stato messo dalla malattia stessa. Ma questa seconda volta il mettere non incrosta più, perché le proiezioni ritirate vengono in parte lasciate andare, in partc riconvertite in energia pulita.

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