VIRTUTE, CONOSCENZA E FRASI FATTE

VIRTUTE, CONOSCENZA E FRASI FATTE

Sono in Massoneria per cercare la Luce, e questo sta scritto nel Rituale, che tra i documenti massonici è forse il meno lontano dalle fonti antiche. I Rituali di cento o duecento anni fa sono diversi dai nostri per molti aspetti minori, ma non per questo simbolismo. A me sembra che la luce sia ovviamente un simbolo di conoscenza. Nella luce vedo, quindi so, conosco.

Nel ventiseiesimo canto dell’Inferno il Poeta rievoca il viaggio dell’eroe Ulisse oltre le colonne d’Ercole e in quelle terzine ci dice perché inseguire la conoscenza, con le parole che mette in bocca a Ulisse: “Considerate la vostra semenza. Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtude e conoscenza”. Poco più avanti, Dante ci dice altro: c’è tutto in quelle terzine. Ci dice in modo simbolico l’oggetto e il modo della ricerca. Ulisse vuole conoscere le stelle dell’altro emisfero. “Tutte le stelle già dell’altro polo vedea la notte”. Ecco il fascino che su tanti esercita la Croce del Sud. E per conoscerle si avventura nell’oceano con poveri strumenti: “Dei remi facemmo ali al folle volo”. Sono i logori arnesi di cui parla Kipling: poveri strumenti i remi per attraversare l’oceano, maneggiati da uomini già vecchi, ma non paghi, come Ulisse ci descrive i suoi compagni, che altrove significativamente chiama fratelli. “Io e’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi”.

Prima ho scritto “Dante ci dice perché inseguire la conoscenza”. Ma è proprio così? forse ci dice soltanto perché Ulisse perseguiva la conoscenza. Certo è che, per il supercattolico Dante, il folle volo poteva solo finire in un naufragio. Presa dal turbine la nave girò tre volte e poi affondò, “come altrui piacque, infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso”. Notare il rispetto e il ritegno di quell”‘altrui”: il Dio che non si nomina.

Per la ricerca di Ulisse, Dante ha rispetto, ma, a avviso di alcuni, nessuna simpatia. Comunque, la condanna come frutto di orgoglio satanico. E quel satana, io credo, che aveva in mente il Fratello Carducci quando scrisse il suo “Inno a Satana”, che scandalizzò i benpensanti e peggiorò i nostri rapporti col Vaticano. Ed è in quella condanna che sta, a mio avviso, la differenza di fondo tra la via iniziatica e quella devozionale.

Per me, comunque, quelle terzine sono sufficienti: c’è dentro il motivo per cui io cerco luce.

Tomiamo alle finalità del nostro lavoro. Nei testi massonici non trovo altro se non questo: la ricerca della luce. Poi trovo delle raccomandazioni di carattere morale e comportamentale e rituale e metodologico. Una soprattutto, quella di squadrare la propria pietra, simbolismo così chiaro che non mi ci soffermo anche perché, se il simbolismo è semplice, le implicazioni però sono complesse e prenderebbero molto tempo. Diciamo che per me squadrare la pietra significa avvicinarsi a quella “virtude” senza la quale la conoscenza diventa inaccessibile.

Cosa intendevo per “testi massonici”? Rituali, Landmarks, Antichi Doveri nonché il vasto corpus di scritti che Massoni hanno dedicato alla dottrina e che costituiscono il corrispondente massonico di quello che la Chiesa chiama consenso dei fedeli, o qualcosa del genere.

In tutto questo corpus non ho trovato altro e, in particolare, non ho trovato affatto che l’obiettivo proposto al Massone sia quello di “diventare dio”: di questo infatti si tratta quando nel nostro tempio usiamo il temine “realizzazione”. Non ho mai trovato questo, se si fa eccezione per l’opera di un uomo che nella Massoneria passò come una meteora.

Diventare dio sarà forse possibile, non ho elementi per negarlo. A me non è dato e se anche fosse lo sarebbe a un prezzo così alto, che non sono disposto a pagarlo. Ben più alto che non il prezzo ridicolo che adesso sto offrendo: venire qui una volta alla settimana a chiacchierare con voi piacevolmente, e a praticare, in modo molto imperfetto, dei rituali che non ho avuto nemmeno la buona volontà di imparare a memoria, cosa che sarei perfettamente in grado di fare, se solo avessi sufficiente buona volontà.

Se quella fosse la mia intenzione, non mi consolerei certo con formulette stereotipe come ne sento ogni tanto. Ricordo una sera che si parlava di egoismo. Il Fr. Scld era uscito con uno dei suoi paradossi. Anche fare’ del bene può essere una forma di egoismo, se nel fare del bene io trovo gratificazione, disse. Obbiettai che ovunque si può vedere dell’egoismo, anche nella ricerca della realizzazione iniziatica. Dopo di che un fratello apprendista mi spiegò che questo è impossibile, perché realizzazione significa dissoluzione dell ‘ego, e quindi dell’egoismo.

Personalmente, dispero di dissolvere il mio ego, convinto come sono che questa operazione comporta solventi di potenza straordinaria, attualmente non reperibili su questo mercato. La frase del Fratello apprendista era perfettamente illogica, in quanto se anche ammettiamo che “realizzazione” comporti “dissolvimento dell’ego”, fino a quando tale traguardo non ho raggiunto, le mie azioni sono determinate dal mio ego e quindi dai miei egoismi. Ma assai più dell’illogicità mi preoccupava l’accettazione acritica di una frase fatta: cosa dalla quale sopra ogni altra il Libero Muratore dovrebbe imparare a rifuggire.

Se con gli strumenti ridicolmente inadeguati dei quali dispongo, mi propongo di diventare dio, il risultato non può essere che fallimento e frustrazione. E questa frustrazione è stata certamente già sperimentata da fratelli anche di questa loggia, ed è causa di crisi passate e future.

Se non frustrazione, certamente confusione. Me ne sono accorto una sera quando, alla fine di una discussione sulle opere dei Massoni, un altro Fratello apprendista mi ha detto “in fin dei conti, Buddha mica costruiva ospedali ed asili notturni”. Il che è verissimo, e sarebbe pertinente se Buddha fosse un massone e se la Massoneria avesse qualcosa a che fare col Buddhismo.

In conclusione, essenzialmente, resto in Massoneria perché credo che nel nostro bagaglio simbolico e nel nostro metodo ci siano barlumi di una sapienza antica, che può portarmi avanti in un cammino di conoscenza. Ma ci sono ragioni sussidiarie e che ritengo niente affatto ignobili. Una è che qui incontro uomini di desiderio, il che significa uomini di qualità superiore, di buona semenza, per usare le parole di padre Dante. E penso che la mia qualità umana sia stata migliorata dal contatto con questi uomini. Un’altra ragione è che il modo e la disciplina del lavoro massonico sono un potente strumento di affinamento anche semplicemente a livello mentale. Un pre-requisito per squadrare la propria pietra.

Molti anni fa (certamente qualcuno se ne ricorda), un Fratello ci raccontò un famoso apologo di Ciuang Tzè intitolato “La Quaglia e l’Uccello Peng”. Eccolo, per chi non c’era.

Nel nudo e gelido settentrione è un uccello che si chiama Peng: Il suo dorso pare il monte Tai, le sue ali le nuvole che vengono dal cielo. In un turbine sale a gran ruote per centomila miglia fin dove terminano aria e nuvole e sul suo dorso è solo l’azzurro nero del cielo. Allora volge il suo volo al sud verso l’oceano. Sulla sponda di una palude una quaglia rise di lui e disse: “O dove vuole andare? Io frullo su per qualche metro e torno giù per i cespugli della macchia: questa è la perfezione del volo. Ma quella creatura dove vuole andare?”

Ecco, se un giorno abbandonerò il tempio, sarà perché si sono affievoliti sia il mio desiderio di vedere le stelle dell’altro emisfero, sia la forza di remare e dei remi fare ali “al folle volo”. Chissà che non possa consolarmi come la quaglia dell’apologo.

TAVOLA  SCOLPITA  DAL  FR.’. R. Scch

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INVITO ALLO STUDIO DI DANTE

INVITO ALLO STUDIO  DI  DANTE

La Massoneria è una scuola iniziatica. Sarebbe assurdo ritenere che col fatto di entrare nell’Istituzione attraverso le formalità ed i procedimenti conosciuti da chi vi appartiene, ere si attui un momento miracoloso per cui un profano istantaneamente acquisisca tale de padronanza di sé da essere iniziato nel vero e completo significato del vocabolo. Sarà stato «iniziato» e per aver superato le prime prove, ma queste costituiscono solamente la rappresentazione simbolica della maturazione iniziatica che si perfezionerà durante tutta la sua carriera. Il neofita appena accolto dovrà impegnarsi ad apprendere, non dovrà parlare, ma dovrà imparare I ‘assai più difficile arte dell’ascoltare, del tacere e soprattutto di intendere. In forza di questa realtà il neofita deve raggiungere un certo sviluppo di comprensione, di conoscenza e di maturazione iniziatica che assolutamente non ha potuto percepire fin tanto che era profano.

Un raffronto molto materiale ma chiaro ed inconfutabile, potrebbe essere che nessuno affiderebbe un’importante costruzione di alta tecnica, né accetterebbe una conferenza d’ingegneria da parte di chi si sia appena iscritto alla Facoltà. Lo stesso principio vale per l’apprendista e per ogni successivo grado.

                         Parrà un paradosso, ma in realtà la Massoneria pur essendo una scuola, non «insegna» nulla. La Massoneria fornisce un metodo per cui tutti i suoi rituali, le sue prescrizioni, i suoi regolamenti devono essere meticolosamente seguiti e capiti. Essi non possono essere mutati, col rischio di intaccare e distruggere il fondamento reale e gli copi dell’istituzione. Sulla traccia di questo metodo, il massone si prepara per proprio conto perfezionandosi verso l’iniziazione personale.

Non dobbiamo dimenticare che la Massoneria è scuola Iniziatica quanto lo potevano essere in tempi remoti l’iniziazione Braminica di Krishna, i Misteri Dionisiaci di Orfeo, i Misteri d’Egitto di Ermete, i Misteri di Delfo con i Pitagorici, i Misteri Eleusini. Di questi la Ma soneria è in parte erede e seguace, perché nulla di nuovo in campo esoterico è stato finora scoperto. L’unica differenza che la può distinguere dalle scuole Iniziatiche e Misteriosofiche dell’antichità è che la Massoneria si è adeguata ai tempi moderni per le scoperte scientifiche, nonché per le mutate abitudini e condizioni di vita dell ‘uomo. I suoi fini sono ancora esoterici per il bene dell’umanità, essendo Speculativa per la preparazione dell’uomo ed Operativa per I ‘inserimento di un uomo particolare, l’ iniziato, nel consorzio umano.

La scuola è quella che insegna, ma per la Massoneria non si può parlare propriamente di scuola e di insegnamento nella comune accezione del termine. Non possiede libri di testo, grammatiche, dispense, professori e docenti. Essa opera attraverso I ‘iniziazione che si sviluppa per volere dell’individuo, attraverso un’azione esoterica, cioè intrinseca ed intima dell’uomo. Qui non trattasi esclusivamente di utilizzare l’intelligenza cerebrale, ma di sviluppare facoltà appartenenti a piani sottili, di carattere spirituale. Per dotti che si sia nel campo profano, l’iniziazione è cosa assolutamente diversa che si realizza per la prima volta entrando nell’Istituzione. Da quel momento si opera lentamente una trasformazione che richiederà anni di paziente lavoro e concentrazione per giungere grado dopo grado a formare l’uomo saggio.

L’istituzione intesa come Scuola Iniziatica implica l’impegno del Massone di apprendere, non imparare, ma toccare, palpare, raggiungere – con poteri suoi propri qualche cosa che la scienza profana non ha la possibilità di fornire. La Costituzione dell’Ordine precisa che la Massoneria è scuola di esoterismo, che è l’espressione attiva di cui il rito dell ‘iniziazione d’ingresso è stato il primo simbolo di separazione dalla scienza profana per l’utilizzo dei mezzi esoterici, operanti attraverso l’intuizione per preparare l’iniziato con un lavoro che si compie in lui se opera con persistente perseveranza e modestia verso il suo fine che è quello del proprio perfezionamento e di conseguenza anche dell’umanità.

Il termine forse più idoneo ad esprimere ciò che con difficoltà dicono le parole può essere quello usato di «intuizione». La ragione non è, insieme ai sensi, l’unica fonte di conoscenza. Al di là di essa esiste l’intuizione che è una facoltà difficile da definire e che si esercita in particolari casi e condizioni, in modo sporadico e discontinuo, con carattere di «illuminazione» subitanea ed incontrollata. A differenza della ragione, il suo esercizio sfugge alla volontà, e mentre si può essere consapevoli ed autocoscienti dello svolgersi del processo mentale di ragionamento discorsivo, non lo si può essere del processo intuitivo. Mentre un’idea dedotta razionalmente appare come l’ultimo anello di una catena di pensieri coscienti, le idee o i concetti intuiti irrompono spontaneamente uno dopo l’altro, almeno in apparenza, nel campo del pensiero cosciente. La facoltà di intuire è posseduta in gradi assai diversi dall’individuo. La facoltà di ragionare è posseduta in misura notevole da tutti gli uomini normali. L’intuizione sembra una dote piuttosto rara, tuttavia può anch’essa essere oggetto di viluppo individuale ed a questo mirano le scuole iniziatiche. Il ragionamento dipende dalla legge generale dell’evoluzione; l’intuizione può essere favorita in certa misura da opportuni esercizi, cosi com’è per la facoltà di ragionare che può essere affinata con lo studio, se ve ne è la predisposizione.

La facoltà di Intuire si affina col progredire dell’acquisizione del potere iniziatico e si rivela con sensazioni ed idee che i termini del discorso ordinario razionale non riescono ad esprimere. I concetti del linguaggio razionale in questo campo sono sempre soggetti alle limitazioni della parola per cui l’esposizione delle verità intuite riescono più o meno deformate e risentono della particolare struttura mentale di chi le fa o di chi le riceve o di chi le ripete. Analogamente gli sviluppi della propria iniziazione destinati a restare per la loro natura inesprimibili coi mezzi del linguaggio, ossia sono intrinsecamente «esoterici», per cui non è la scienza profana che possa essere di soccorso e di per sé esprimere l’essenza esoterica dell’iniziazione, raccolta invece per intuizione dall’individuo.

Questa estesa premessa indispensabile per afferrare lo spirito con cui siano da affrontare problemi che costituiscono non solo il valore intimo contenuto nella Massoneria, ma anche di opere altamente e profondamente esoteriche di cui il nostro paese e ha il vanto. Tutta l’opera Dantesca, ad esempio, dovrebbe essere esaminata sotto un aspetto ben diverso da quello superficiale a cui in genere si è usi. Questo lavoro dovrebbe essere compiuto dal Massone che si è immedesimato nella realtà delle premesse qui esposte, per giungere ad un rivolgimento spirituale di inestimabile valore iniziatico. Il contenuto delle opere di Dante lascia talvolta insoddisfatti allorché ci si limita a considerarle esclusivamente da un punto di vista linguistico e lessicale, storico o religioso. ln esse è presente una base misteriosofica che costituisce probabilmente il vero scopo per cui quelle opere  furono scritte. Naturalmente, una analisi del genere non è nuova, ma presenta non poche difficoltà d’interpretazione poiché trattasi di opere quasi certamente indirizzate ad iniziati e costituiscono materiale per l’addestramento alla intuizione esoterica dei pochi eletti pronti e capaci di una simile indagine.

L’umanità tende dolorosamente a perdere la sua spiritualità per lasciarsi fagocitare dalla civiltà dei consumi. L’uomo non ha più individualità, carattere e coscienza del proprio essere. La vita si riduce ad un fatto materiale, a quella di un robot di calcoli antagonistici che cozza in continuazione – per invidia, prepotenza, egoismo e ferocia – contro altri robot calcolatori. L’uomo dovrebbe valorizzare di più la sua piena essenza per costituire un consorzio vivente nella pace, nella serenità, nella giustizia, unito da vincoli di bene, fraternità, libertà, convogliando tutte le proprie migliori attitudini verso un progresso mirante realmente al bene morale e materiale comune.

Questo appare il fine a cui mira Dante con le sue opere dirette all’umanità. Il richiamo di Dante merita di essere ascoltato e fornisce fonti inesauribili di insegnamento. L’interpretazione delle verità nascoste sotto il velo è di un simbolismo magistrale, merita il tentativo di approfondirne il contenuto esoterico. Il risultato fornirà sempre spunto allo viluppo di meditazioni personali, poiché i simboli parlano individualmente a ciascuno. Per l’assimilazione dei concetti esposti da Dante non è indispensabile la conoscenza del mondo storico a cui si riferisce oppure una particolare cultura di base, non solo perché la sua opera si presenta generalmente aneddotica, ma perché il vero fine trovasi nell’insegnamento profondo che occorre trarne per coprire la luce del proprio essere, la verità della propria natura, il perché della vita. L’impegno di Dante di insegnare cose che solo le menti che aspirino a ciò possono intendere è evidente in tutte le sue opere.

Il contenuto esoterico dell’ideologia dantesca non è esclusivo della Commedia; le altre opere, meno note, contengono l’insegnamento di Dante in maniera altrettanto evidente.

La Vita Nova per la sua costruzione e per l’uso dei numeri che Dante fa, rivela in modo chiaro che non si tratta della vicenda di un amore, per quanto elevato e spirituale, per una donna. Non occorre andare lontano nella ricerca dei fini esoterici di Dante con questo lavoro, poiché il titolo stesso vale come indicazione chiara che qui si mira al raggiungimento di una vita nuova. La vita verso cui Dante indica il cammino è la nuova vita a cui si rinasce dopo la morte del neofita per ciò che fu un passato oscuro ed inutile, e questa morte per risuscitare alla nuova vita luminosa è simboleggiata dalla morte di Beatrice. Beatrice è sempre lo stesso simbolo con cui Dante si esprime, è colei che si ritrova dopo la rinascita alla vita nuova, beata, rifulgente di una luce che diffonde intorno a sé e si rivela col bene che fa l’opera dell ‘uomo iniziato all ‘umanità quando è diventato un saggio.

Anche il Convivio è altrettanto apprezzabile per un significato celato sotto forma di opera dottrinale scritta apparentemente per commentare delle canzoni, in cui senza equivoci Dante dichiara che vanno interpretate secondo quattro significati: letterale, allegorico, morale ed anagogico, indicando con quest’ultimo termine la necessità dell’elevazione dell’anima a cose più spirituali delle terrene. Egli ha apparecchiato questo Convivio, secondo la sua stessa affermazione, agli «innumerabili» che o per «cura familiare e civile o per pigrizia» sono digiuni del cibo della sapienza; mentre egli sa, e Io afferma nell’introduzione, che «li uomini naturalmente desiderano di sapere» …, perché «ciascuna cosa», e quindi a maggior ragione l’uomo, . «è inclinabile a la sua propria perfezione» e questa perfezione, anche se non è raggiungibile in assoluto, è in qualche modo avvicinabile con la Ragione e l’Intuizione. Nella canzone «Tre donne intorno al cor mi son venute» Dante esalta la virtù della «drittura», che altro non rappresenta se non i <<buoni costumi». Trattasi del comportamento a cui l’uomo volto al proprio perfezionamento morale e spirituale deve attenersi per il raggiungimento dello stato superiore a cui deve mirare. Alla «drittura» si aggiungono due figlie, egli afferma:    la Giustizia umana e la Legge   positiva; quasi una personificazione una e trina della Giustizia nella sua essenza e nei suoi effetti. Dante spiega che per giungere alla pratica attuazione fra gli uomini degli insegnamenti che man mano illustra, lo occorre giungere prima ad una giusta comprensione dell’armonia universale che regna nella Natura. Per approfondire il significato dell’opera Dantesca occorre rammentare che si l’esoterismo non è spiegabile a chiare parole, ma richiede un simbolismo giustificato dal la segreto inesprimibile che contiene.

La Commedia costituisce un’opera allegorica e ciò è condiviso da molti, ma interessantissima ed utilissima è la ricerca del suo simbolismo esoterico. In ogni passo si cela una verità diversa da quella che apparirebbe ad una prima lettura superficiale. Alcune volte le spiegazioni di una rappresentazione si presentano molteplici e possono portare ad interpretazioni anche materiali oltre che fornire un impulso a meditazioni sui motivi che possono aver sospinto l’autore ad usare alcune immagini invece di altre.

Virgilio, come rappresentazione della ragione, può essere stato scelto da Dante per n il fatto che il poeta latino del Medio Evo era considerato un «mago», cioè un saggio, al un sapiente, un iniziato. Virgilio costituisce un personaggio importantissimo per Dante, a infatti, è nell’Eneide che si trovano dei simbolismi esoterici molto validi a giustificare la  sua reputazione. Enea è per Virgilio l’uomo che raggiunge il dominio di se stesso, umile,  ma sempre consapevole della propria responsabilità. Analogamente per Dante è Virgilio si che costituisce la forza della ragione che giunge a salvare l’uomo nel momento in cui si smarrisce ed è aggredito dalle forze del male.

Una interpretazione del primo verso della Commedia che parrebbe consona allo spirito di cui tutta l’opera dantesca è permeata attraverso i suoi simboli, si nota nell’indirizzo rivolto al lettore con quel «nostra vita» generico che potrebbe apparire come un riferimento rivolto a quell’uomo, non solo lui stesso Dante, che avendo raggiunto una e, certa maturità con le conoscenze della vita vissuta fino a quel momento o con gli studi compiuti, non possiede in fondo che la metà delle conoscenze a cui dovrebbe aspirare mancandogli la seconda metà, quella costituita dalla sapienza o saggezza superiore a cui a si riferiva nel Convivio. L’uomo comune vive praticamente in una selva  oscura, dalla quale con l’ausilio della ragione può trarsi passando attraverso ai tre cicli dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, in cui l’illuminazione crescerà gradualmente dall’oscurità a alla luce solare e infine alla luce spirituale. La ragione sarà l’unica guida che lo potrà e condurre attraverso i primi due stadi della sua evoluzione.

L’uomo, con l’uso della ragione o del proprio raziocinio pensante, volgerà la sua visuale verso i peccati e ad uno ad uno li considererà. Potranno o non potranno averlo personalmente coinvolto, ma la ragione gli permetterà di visualizzarli ad uno ad uno secondo la gravità e le circostanze. La ragione costituisce l’elemento di guida unico in questa ricerca individuale, non esterno, poiché l’uomo esclusivamente per proprio conto deve lavorare e maturare verso l’iniziazione. Un personaggio dantesco molto interessante per il valore simbolico che rappresenta, in un raffronto con l’uomo comune, è Ulisse. L’Ulisse dantesco è colui che mira sempre a maggiore conoscenza, che sa che quando chiunque potrebbe ritenersi soddisfatto essendo tornato alla quiete della vita domestica, cioè alla insufficienza egoistica delle comuni conoscenze materiali, invece si rende conto di non essere giunto che nel mezzo del cammino di sua vita, poiché gli mancano le conoscenze superiori che potrebbero fare di lui un uomo saggio. Supera le Colonne d’Ercole, il limite massimo a cui ogni navigatore poteva giungere, e procede nel suo viaggio alla ricerca dell ‘essenza iniziatica dell’uomo. Chi vuol scoprire nella Commedia il valore superiore a quello prettamente letterario che vi è contenuto, non può non rimanere affascinato dalla potenza di questa immagine poetica del viaggio verso l’ignoto al di là delle Colonne d’Ercole, limite del comune scibile umano, e viene colpito dall’incisiva scultorea rappresentazione della nave inghiottita dai gorghi dell’ignoto e dell’irraggiungibile Verità, quando ormai essa si profilava all’orizzonte, lontana sotto forma di «… una montagna bruna per la distanza Le scuole esoteriche forniscono un metodo e non possono insegnare. Così fu ed è tuttora per qualsiasi scuola iniziatica. Il tema può essere costituito da forme diverse, ma il fine sarà lo stesso. Come grande era l’angoscia provocata al neofita dell’antico Egitto attraverso le prove a cui veniva sottoposto, così grande è l’angoscia e l’orrore che il neofita di Dante prova davanti alla contemplazione delle varie forme di peccato di cui l’Inferno dà realmente un’orrida visione. II neofita dantesco con paura discende la voragine infernale e quando teme di più si aggrappa alle «fidate spalle» di Virgilio, cioè la ragione che lo deve sempre sorreggere per trarlo dallo spaventoso baratro infernale e permettergli di uscire fuori «a riveder le stelle». Dante attribuisce un profondo valore ai numeri, come già insegnavano le antiche scuole iniziatiche e, primo di tutti, Pitagora, allievo dei Misteri Egiziani. Per i commentatori di Dante i numeri 3 e 4 si riferiscono generalmente alle tre virtù teologali ed alle quattro virtù cardinali. Tre sono le Cantiche della Commedia, trentatré i canti di ciascuna cantica, escluso il canto introduttivo. L’ingresso al Purgatorio avviene dopo la salita di tre gradini, uno bianco, equivalente al riconoscimento della colpa o del proprio essere; uno grigio che costituisce la fiducia e la consapevolezza del potere delle proprie capacità spirituali per il raggiungimento dei piani superiori; ed uno rosso, la vittoria e la potenza per avere apprese attraverso  

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la  virtù della modestia, della temperanza e della tolleranza le capacità di dominio sul proprio  essere. La soglia a cui si giunge è di diamante, su cui poggiano i piedi di un  Angelo. Quest’angelo rappresenta il soccorso e I ‘aiuto che d’ora in poi accompagneranno con l ‘iniziato nella realizzazione delle sue azioni e dei suoi pensieri se manterrà una fermezza rigorosa ed incorruttibile delle proprie idealità volte a diffondere intorno a sé il bene e la luce acquisiti.

La Vita Nova costituisce un disegno architettonico di numeri assai interessante. Al centro dell’opera trovasi la canzone <<Donna pietosa e di novella etate» che fornisce la visione della donna morta. Prima e dopo di essa sono le due canzoni della lode e della morte; poi dieci composizioni minori, 9 sonetti più 1 ballata, innanzi alla prima; e dieci, 9 sonetti più 2 stanze di canzone, dopo l’ultima. Questa morte inserita al centro dell’opera, rappresenta il transito simbolico attraverso cui il neofita deve passare per giungere all’iniziazione. L’inserzione di visioni, apparizioni, sogni e presagi, tutti analizzabili sotto significati simbolici; le dissertazioni erudite e gli avvertimenti didascalici; talune citazioni bibliche; il parlare latino, specie di Amore; il simbolismo numerico, mirano a spiegare che Beatrice è un «nove», cioè un miracolo, il numero perfetto per lo stato beato dell’uomo iniziato che si è accostato alle massime conoscenze.

Il numero 9 ricorre 9 volte nelle vicende della Vita Nova: dal primo incontro con Beatrice, cioè il desiderio di apprendere della ragione; alla seconda visione di Beatrice, cioè la costanza del pensiero rivolto al proprio progresso spirituale; poi al saluto di Beatrice cioè che conduce ai primissimi approcci verso la beatitudine; alla prima visione di  è Amore, cioè la necessità di realizzare gli stati superiori dell’essere; al riconoscimento del  valore di questa beatitudine che si illumina man mano che si sviluppano le personali capacità  di saggezza e sapienza; finalmente alla sesta apparizione del numero 9 si ha la terza  visione di Amore sublimandosi nei suoi significati più spirituali; che al 70 , 8 0 e 90  ritorno col numero nove si realizzano nei tre ultimi stadi di perfezione della beatitudine portata da Beatrice morta, dal momento della morte di Beatrice e dalla penultima visione di Beatrice che rappresenta la rinascita dell’iniziato beato.

Il numero nove per Dante significa la massima elevazione spirituale raggiungibile ed il tre ne è il sottomultiplo con cui opera per il raggiungimento dell’iniziazione.

La Vita Nova merita attenzione, poiché tocca argomenti di altissimo valore iniziatico.

Dante mira ad indicare all’uomo il percorso che deve seguire per diventare una pietra quadrata da inserire nella costruzione del Tempio dell’umanità. Per lui la vera saggezza si consegue in una ricerca di quei valori cui si accede con l’uso della Ragione ed a questa si aggiungerà ad un certo momento l’intuizione, che supera il potere della Ragione. Dante ha presentato al mondo medievale e cattolico la forza dell’intuizione con il simbolo della Fede che costituisce l’accettazione di dogmi non dimostrabili con la ragione. Sarà

.

Beatrice a rappresentare questa verità intuita che accompagnerà il neofita in Paradiso, mentre Virgilio l’avrà accompagnato fino al termine del Purgatorio, per cui, se la Fede intesa nel senso Cattolico implica l’accettazione di

principi religiosi indiscutibili, per l’iniziato essa vale come fiducia nell’esistenza di una verità insita nell’uomo,

una conoscenza che la ragione fa sentire sotto forma di convinzione intima, una certezza dell’esistenza di una scintilla di luce nell’uomo che è in grado di illuminare la sua vera essenza e la sua destinazione.

Il Paradiso, ricchissimo di contenuto spirituale, raggiunge profondità di significato atte a suscitare la massima elevazione del pensiero e tocca i più sublimi gradi della perfezione a cui si possa giungere. Le conversazioni di Dante con Beatrice e con Piccarda mettono in evidenza lo scopo finale pratico dell’iniziazione. La conoscenza e la saggezza costituiscono non solo i valori da acquisire per se stessi, ma soprattutto per il progresso morale e materiale dell’umanità.

 nostra carità non serra porte / a giusta voglia, e non come quella / che vuol simile a sé tutta sua corte» dice Piccarda Donati; al che Dante conferma: («chiaro mi fu allor come ogni dove / in cielo è paradiso, etsi la grazia / del sommo ben d’un modo non vi piove».

In altra parte Beatrice piega che l’iniziato spande intorno a sé differenti gradi di luminosità, per cui potrebbe intendersi che la sua capacità di comunicazione col mondo deve essere impiegata a guidare   ‘umanità a seconda dell’intensità luminosa che sa diffondere. L’iniziato rivolge all’esterno le sue esperienze, ne fa partecipi gli altri, le utilizza praticamente nel consorzio umano per il bene universale.

L’umanità si trova oggi fra il mondo del passato che sta morendo ed un futuro che prolifera turbinoso e disorientato, senza nulla di rassicurante per la pace e l’equilibrio nell’animo umano. L’ Istituzione, da qualche parte, rivela tendenze che hanno cessato di essere spiritualmente investigative o iniziatiche. Gli studi esoterici, trascurati o svolti solo marginalmente, vi risentono della maniera di chi, servendosi delle spiegazioni dei moderni studiosi, ne vede la radice nei movimenti sociali ed economici o in più o meno astratti motivi filosofici. Dante ci riconduce a quegli stessi misteri attraverso scritti di valore inestimabile e, per gran parte dell’umanità, ancora da scoprire.

TAVOLA  DEL  FR .’.  Jo Feyles

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DIABOLOGIA DANTESCA

DIABOLOGIA DANTESCA

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

ho voluto titolare questa mia tavola usando, di proposito, il termine diabologia e non quello di demonologia, per qualificare il più rigorosamente possibile la natura dell’indagine, per collocarla in un certo senso in posizione antinomica con la teologia.

La demonologia, infatti, rivolge di preferenza la sua attenzione alle arti magiche, alla stregoneria ed anche ai mostri (nell’inferno dantesco sono demoni Carontc e Minosse). La diabologia, invece, e specificatamente quella dantesca, si prefigge di scandagliare la natura e l’essenza del terribile protagonista che Dio ha fatto precipitare dal cielo sulla terra, di individuare la causa e quindi anche la colpa della sua caduta, di scoprire la sua attuale condizione.

Recensendo il diavolo di Papini e raffrontandolo con le più ragguardevoli diavolerie del Novecento, dall’Histoire du diable di Turmel a Satana del cattolicissimo De Libero fino alle meditazioni esistenzialistiche di Sarte su le diable e le bon Dieu, Raimondo Folengo vi ha indicato alcuni interessanti elementi di calcolo storico sul Diavolo:

“la questione è antichissima e ciononostante è tuttora insoluta. Nel Satana ebraico-cristiano si condensano precedenti concezioni pagane, dal Set egiziano che, nemico degli dei della luce Ra e Horus, uccise cainamente suo fratello Osiride, al Tifone greco, figlio di Gea e del Tartaro; dal persiano Amramainyu, all’indiano Metya o Mara che tentò Buddha mentre meditava sotto il fico”.

“La sua più pregnante accezione è, comunque, quella di essere principe di questo mondo come chiaramente Io rivelò Gesù che ne aveva patito le tentazioni, quando nel deserto lo aveva accettato come suo solo compagno”.

“Si comprende pertanto come, dalle fumose elucubrazioni medioevali in cui il demonio si dava al mago e lo stregone al demonio, si è passati progressivamente ad una sorta di apologetica del Diavolo della quale, secondo alcuni furono sintomi ragguardevoli persino il principe di Macchiavelli, l’Anticristo di Nietzsche e persino l’uomo-verme di Kafka”.

Come si può notare, di Dante e della sua versione diabologica nessun cenno. Mi pare quindi opportuno tentare di ovviare a questa lacuna con un’indagine che ci permetta di rilevarne l’importanza e l’originalità.

La parola Diavolo, nel significato di Satana, Re dell’Inferno, non compare nella Divina Commedia, compie una fugace apparizione nel De Monarchia dove è indicato come il pater Diabolus.

Dante preferisce usare il termine Lucifero, o quello di Dite o anche di Belzebù, deformazione dispregiativa di origine ebraica di ba ‘alzebùl, nome di una divinità venerata come signora del mondo infernale.

Inoltre ciò che importa rilevare è la somma di attribuzioni significanti con cui il Diavolo viene raffigurato. Già la parola Lucifero (= lucem fero) lo qualifica come l’essere luminoso per eccellenza o, come dice Dante, con una perifrasi

“la creatura ch’ebbe ‘l bel sembiante ” (Inf XXXIV, 18)

A questa qualità luminosa il poeta aggiunge un’altra attribuzione non meno significativa:

. colui che fu nobil creato più ch’altra creatura … ” (Pur. XII, 25-26)

E che cosa si debba intendere per nobiltà è detto chiaramente nel Convivio: “dico adunque che, se volemo riguardo avere alla comune consuetudine di parlare, per questo vocabolo nobiltà s’intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa. Onde non pur dell’uomo è predicata, ma eziandio di tutte le cose; ché l’uomo chiama nobile pietra, nobile pianta, nobile cavallo, nobile falcone, qualunque in sua natura si vede essere perfetto. E però dice Salomone nell’Ecclesiaste: Beata la terra lo cui re è nobile, che non è altro a dire se non lo cui re è perfetto, secondo la perfezione dell’anima e del corpo; e così manifesta per quello che dice dinanzi quando dice: Guai a te, terra, lo cui re è pargolo, cioè non perfetto uomo; e non è pargolo uomo pur per etade, ma per costumi disordinati e per difetto di vita, siccome ammaestra il Filosofo nel primo dell’Etica” (IV, 16).

Luce e perfezione: ecco dunque le essenziali e qualificanti attribuzioni con cui

Dante indica l’originaria natura de “l ‘imperador del doloroso regno

Con la caduta dal cielo della luce egli però viene ad assumere dei tratti mostruosi: “S ‘el fu sì bel com’elli è ora brutto” (Inf. XXXIV, 34).

Mi viene qui in mente una frase collocata sotto un quadro di Goya:

“Quando all’uomo viene meno la luce della ragione, allora nascono i mostri ‘

Il capo di Lucifero, uno e trino, diviene il rovescio, l’antitesi simbolica della trinità di Dio ed anche la diversa colorazione delle tre facce (una rossa, l’altra livida, la terza nera) è chiaramente allusiva di alcune tipiche componenti negative, quali l’odio e l’ignoranza, che la privazione della luce provoca nell’animo dei dannati.

In corrispondenza di ciascuna faccia fuoriescono due ali e perciò Lucifero ha sei ali, come i quattro animali che stanno intorno al trono di Dio secondo l’Apocalisse.

E un’immagine piuttosto frammentaria di Satana, una raffigurazione fatta con particolari simbolici più validi per effetto d’antitesi che per significazione propria. Dice il De Sanctis: “La poesia qui è quasi naufragata nei particolari simbolici entro i quali si perde l’attenzione. Domina l’allegoria. Il lettore non distratto da alcuna impressione estetica, è tutto dietro a cercare il senso di ciascun particolare; sicché i giganti e Lucifero sono piuttosto segni di idee che proprie e vive realtà. Perché Lucifero ha tre facce? Perché ciascuna faccia ha un colore proprio? E che significano quei colori? Pullulano infiniti perché, lasciati alle dispute dei commentatori e rimasti il solo interesse in queste rappresentazioni inestetiche”.

Improvvisamente però questa figurazione, immobile nella sua grandiosa mostruosità, si anima:

“con sei occhi piangea e per tre menti

gocciava ‘l pianto e sanguinosa bava ” (Inf. XXXIV, 53 – 54).

L’elemento umano sembra ricostruire, d’un tratto, l’immagine di un Diavolo che rinnova eternamente, con il pianto, il dramma della sua colpa. Quale essa sia Dante lo ha già chiaramente espresso:

“e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia ” (Inf. XXXIV, 35).

Ma fu soltanto un “non serviam” la causa della sua caduta?

Dante ci fornisce a questo punto una teoria sua, originale:

. Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto

non poté suo valor sì fare impresso in tutto I ‘universo, che ‘l suo verbo non rimanesse in infinito eccesso.

E ciò fa certo che ‘l primo superbo che fu la somma d’ogne creatura per non aspettar lume cadde acerbo ” (Par. XIX, 40 – 48)

Alcune immagini rientrano nell’ambito di quella tradizione di origine cattolica cui Dante ha mostrato di volersi attenere: l’espressione il primo superbo che ripropone quella dell’orgoglio di Lucifero, e la sua condizione di somma d’ogni creatura con quella precedentemente indicata di nobil creato.

Che però egli sia caduto anzi tempo (acerbo), per un atto di impazienza, per non aver voluto o saputo attendere la luce (per non aspettar lume) è una visione che non compare nella diabologia tradizionale.

Qualcuno è giunto ad ipotizzare che Dante intendesse dire che Lucifero si ribellò … “prima chefosse compiuto il periodo assegnato come prova agli Angeli”.

Un Dio che impone a delle creatura perfette come gli angeli un periodo di apprendistato prima di concedere un supplemento di luce mi pare una grottesca trasposizione di elementi terreni, stavo per dire massonici, nella sfera del divino. E l’immagine del sesto (compasso), di cui Dio si serve per definire gli estremi confini del mondo, potrebbe avvalorare tale ipotesi!

Per questo uno scrittore cattolico si domanda preoccupato: “È mai possibile che l’angelo più perfetto avesse bisogno di una successiva illuminazione per meglio comprendere l’unicità e l’onnipotenza del Creatore? È possibile che Dio non abbia dato alle creature angeliche, fin dal primo momento, tutta quella luce della quale voleva illuminarle? [1]E Dio, nel caso contrario accennato dal poeta, avrà fatto sapere ai suoi angeli che solo in futuro, dopo un certo tempo, avrebbe concesso loro quel tanto di lume che ancora mancava alla loro perfezione? E nel caso che gli angeli non siano stati avvertiti di questo supplemento di grazia che dovevano attendere con pazienza, si può accusare Lucifero di non aver voluto aspettare e di essere, perciò, acerbo?”

Sono interrogativi a cui e teologi non sanno rispondere, a maggior ragione non voglio caricare io il discorso di eccessiva responsabilità … diabologica.

Quello che tuttavia mi pare di poter sostenere è che la più grave colpa di Lucifero, per Dante beninteso, non è tanto l’orgoglio quanto l’impazienza, dalla quale solo in seguito e come logica e inevitabile conseguenza, è maturato il peccato di superbia.

Un’ultima e non meno sconcertante e demistificante immagine di Satana è quella raffigurata nel Canto XXVII del Paradiso e che Dante pone sulla bocca di Pietro:

“Quelli c ‘usurpa in terra il luogo mio il luogo mio, il luogo mio che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio

fatt ‘ha del cimiterio mio cloaca del sangue e de la puzza; onde il perverso che cadde di qua sù, là giù si placa ‘

È l’immagine di un perverso soddisfatto, beato, assaporante con un ghigno beffardo l’amara soddisfazione di vedere un pontefice a lui somigliante (Bonifacio VIII da Jacopone da Todi definito Lucifero novello) che fa del Vaticano la fogna entro cui si versano tutte le lordure e le immondizie della curia.

TAVOLA  DEL  FR.’. G. Bltt


[1]  

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FUORI DAL MONDO

FUORI DAL MONDO

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

gli psicologi usano dire che l’uomo cresce attraverso le relazioni con i suoi simili, ma quando i rapporti si interrompono a causa di eventi negativi e collocano questa persona al di là dell’umano, essi formano il vuoto nell’anima di chi li ha vissuti.

In situazioni come queste viene annientato il fondamento che consente di vivere insieme agli altri: mi riferisco in particolare alla fiducia nelle cose, nelle persone, nella vita,

Parlo di fiducia perché normalmente non possiamo dirci fiduciosi, magari inconsapevolmente, negli atti e nelle relazioni della nostra vita quotidiana: fiducia in se stessi e nelle possibilità creative proprie.

Cosa succede quando la nostra psiche ha sperimentato offese alle quali non può opporre alcuna resistenza?

Viene spezzata questa immagine che ognuno di noi si porta si porta dentro ed allora vivere diventa impossibile.

L’uomo a questo punto è libero di decidere della propria esistenza.

In fondo, la nostra esistenza, è veramente “nostra”.

Qualsiasi argomento che voglia seriamente dimostrare il contrario si fonda su verità non verificabili.

Certe condizioni fisiche e psichiche, sono così intollerabili che i veri “malati” si possono dimostrare coloro che decidono, loro malgrado, di continuare a vivere.

Condizioni di prevaricazione, ingiustizia, ricatto, si reggono sul fatto che gli uomini verso i quali queste azioni vengono rivolte hanno neanche più la forza di darsi la

morte.

Queste non sono enunciazioni astratte o filosofiche. Sono problemi di ogni uomo che è “costretto” a vivere nonostante che il senso della vita e le sue gratificazioni siano del tutto scomparsi.

Sfuggire ad una vita senza dignità.

Chi stabilisce il limite di “dignità”? Chi potrà dire ad altre persone di mantenersi in vita se questa sta vivendo un’esistenza priva di quelle dignità che possono rendere la vita degna di essere vissuta?

Non è crudele invocare la ricerca di verità interiori o di conforti religiosi?

La maggior parte delle persone desidera essere amata o almeno accettata e vuole amare o almeno accettare gli altri.

Se questo desiderio è stato spezzato da esperienze crudeli ritengo sia doveroso non emettere giudizi e lasciare che la disperazione umana scelga il proprio personale destino.

TAVOLA DEL D^FR.’. C. A. Cst,

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MUSICHE RITUALI

MUSICHE RITUALI

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

la rapida diffusione della Massoneria in Francia, a partire dal 1730, fu accentuata dall’atteggiamento illuministico dell’epoca e dalle tendenze umanitarie dell’Istituzione.

Dopo le dure vicissitudini sofferte durante il regno di Luigi XV, la Massoneria aveva a poco a poco acquistato, già dall’avvento di Luigi XVI, una situazione di stabilità. Le Logge erano frequentate dai più brillanti rappresentanti del secolo dei Lumi; saggi, pensatori, scrittori, artisti, borghesi, militari di ogni rango, funzionari ed ufficiali reali, aristocratici ed ecclesiastici, vi si incontravano su un piano di assoluta uguaglianza.

L’ Orient de la Cour, a Versailles, aveva avuto una Loggia fin dal 1746; col nome di Loge de la Chambre du Roy, essa raggruppava numerosi funzionari di palazzo, valletti di camera, paggi, parecchi ufficiali e commessi dei ministeri e, soprattutto, musicisti e cantori della Cappella.

Sembra che essa sia scomparsa verso il 1756, senza che si conoscano bene le ragioni della sua decadenza. Nel 1775, la Loggia Militare Des Trois Frères Unis aveva riacceso la fiaccola cercando di riunire l’antico pie-di-lista della Loggia de la Chambre du Roy, rafforzandolo con ufficiali della Guardia Reale e principi; né il re, né i principi suoi fratelli, che pure le avevano esplicitamente accordato il loro patrocinio, risulta vi abbiano aderito.

Nel 1780-1782 ci furono due gemmazioni che portarono alla fondazione delle Logge Le Patriotisme e La Concorde. La Loggia Le Patriotisme, che ci interessa qui in modo particolare per le sue attività musicali, aveva ben presto contato diverse centinaia di membri, e tra questi una quarantina di musicisti e cantori della Cappella, dell’Orchestra del re e delle fanfare reggimentali; vale a dire che aveva ampiamente modo di sostenere le proprie tornate con esecuzioni musicali.

Il Fratello François Giroust, all’epoca in cui chiese di essere iniziato presso la Loggia Le Patriotisme, era sovrintendente dell’Orchestra del re. Conosciuto per le numerose composizioni di musica religiosa, egli ha lasciato anche una produzione massonica importante, vale a dire una ventina di opere. Depositati presso la biblioteca del Conservatorio, i manoscritti venivano prestati ai responsabili delle Logge che desideravano utilizzarli, col risultato che tutte le composizioni sono andate perdute, ad eccezione di una che, paradossalmente, ha beneficiato di un errore di classificazione.

Il Rituale massonico funebre, sottotitolato Il Diluvio, fu scritto dal Fratello Giroust nel 1784 per una cerimonia solenne della Loggia in memoria di un Fratello passato all’Oriente Eterno, la cui personalità è rimasta sconosciuta. Il testo, che segue senza notevole modificazione il cerimoniale delle tenute funebri, fu messo in versi dal poeta Félix Nogaret, Maestro Venerabile della stessa Loggia. È qui importante notare che questa opera è l’unica, di tutta la storia della musica e della Massoneria, ad illustrare in modo esplicito una cerimonia massonica integrale.

L’orchestra entra ripetendo con un rullo di timpani i tre colpi di maglietto dei Dignitari che segnano l’apertura rituale dei Lavori. Poi inizia una evocazione sinfonica di carattere terrificante e caotico che si trova anche in altre composizioni d’ispirazione massonica (inizio dell’ouverture de Il Flauto Magico e del Quartetto delle Dissonanze di Mozart, l’ouverture di Zaroastre di Rameau, il preludio de La Creazione di Haydn, eccetera). “Essa ha – scrive il librettista – per motivo il terrore causato dall’idea della distruzione totale Segue un lungo monologo di Corifeo (basso cantante) che riprende esplicitamente la descrizione apocalittica affidata prima all’orchestra, poi termina con una frase carica di speranza e di conforto. “Dio appare … davanti a Lui i cieli sono aperti’ .

Il secondo pezzo esprime l’angoscia dell’uomo bruscamente messo a confronto con la maestà del Grande Architetto dell’Universo. Dopo un nuovo monologo di Corifeo, l’orchestra riprende il rullo ternario dell’ouverture che assume qui un valore simbolico più profondo: ricorda l’ora del giuramento. Segue un lungo silenzio commentato da una voce solista, poi il coro (che rappresenta l’insieme dei Massoni viventi), condotto da un tenore, esprime l’inquietudine del mondo terrestre di fronte all’al di là.

Il terzo pezzo inizia con una pagina sinfonica di carattere calmo e sognante (solo di fagotto). Corifeo, dopo un presupposto svenimento per aver contemplato in viso l’Essere Supremo, si sveglia e scopre, nella scena di desolazione prevista dal rituale, il cenotafio del Fratello defunto. Il coro risponde esprimendo la sua fiducia nella giustizia divina. Due personaggi (tenori) continuano la descrizione della desolazione del Tempio e il coro, infine, si unisce a loro per piangere la morte del Fratello.

Nel corso del quarto pezzo, esclusivamente sinfonico, il Maestro Venerabile ed i Fratelli che siedono all’Oriente, lasciati i loro scanni, compiono un giro intorno al cenotafio spargendovi dei fiori; quindi riprendono i loro posti. I Sorveglianti, accompagnati dai Fratelli che siedono nelle rispettive colonne, eseguono anch’essi il mesto pellegrinaggio.

Il Maestro Venerabile comanda di formare una Catena d’Unione a simboleggiare che il Fratello scomparso è considerato ancora membro di essa. Il quinto pezzo (trio e coro) accompagna questo rito.

La cerimonia si conclude con la rituale chiusura dei Lavori, durante la quale come per l’apertura – la musica non interviene.

Caduto in disuso dal 1789, questo rituale è stato ripreso dalla Gran Loggia di Francia il 20 giugno 1970 in occasione di una cerimonia funebre alla memoria dei Fratelli deportati durante la seconda guerra mondiale.

Poco dopo la rivoluzione francese i paesi germanici avevano accordato alla Massoneria la stessa situazione di fatto di quella conquistata in Francia. La musica assume in queste Logge un’importanza almeno uguale a quella che occupava nelle riunioni massoniche francesi. Non vi è nulla di sorprendente, quindi, nella domanda di ammissione presentata nel 1784 da Mozart alla Loggia La Beneficenza. Il fervore massonico del compositore del Flauto Magico e le sue conseguenze musicali sono stati oggetto di una precedente tavola, dal titolo Musiche Massoniche, presentata in questa Officina. Le quattro composizioni che qui trattiamo meritano la nostra considerazione poiché caratteristiche della pratica musicale delle Logge viennesi alla fine del XVIII secolo.

La melodia del Gesellenreise (Il viaggio del Compagno), scritta da Mozart in occasione dell’aumento di salario del padre Leopoldo, sviluppa il simbolismo del Secondo Grado: il viaggio e la rivelazione della Stella Fiammeggiante.

Il duo Zum schluss der Loge (per la chiusura della Loggia) si canta al termine dei Lavori, durante la Catena d’Unione; il lied O heiliges Band (O sacro vincolo) può essere utilizzato allo stesso modo. Il secondo ha la particolarità di essere stato composto nel 1772, molto prima dell’iniziazione di Mozart.

La cantata Dir, Seele des Weltalls (A Te, Anima dell’Universo) è un inno al Sole e alla Luce, la cui esecuzione si presta per la festa del Solstizio d’estate o, anche, al termine della cerimonia di iniziazione al Primo Grado quando il neofita, superate le prove simboliche, riceve la Luce.

Se l’appartenenza di Beethoven alla Massoneria non è mai stata del tutto provata, pure esiste una serie di concomitanze che autorizzano una “quasi certezza “. Molte delle sue melodie sono state utilizzate a posteriori per testi massonici, col consenso del compositore, dall’amico Wegeler, la cui appartenenza all’Istituzione è certa.

Alcuni ritengono che la Marcia in si be molle maggiore fosse destinata ad accompagnare le sfilate dei granatieri del principe Esterhazy. E invece assai più probabile la destinazione massonica. Presenta infatti dei caratteri ricorrenti nelle marce che accompagnano l’entrata e l’uscita dal Tempio dei Dignitari: la relativamente breve durata (si tratta del tempo per attraversare il Tempio dirigendosi all ‘Oriente), poco adatta a marce militari, e l’ottimismo che la impronta.

L’Opferlied Die Flamme lodert (La fiamma arde), che evoca i sacrifici delle antiche religioni, i simboli di quattro elementi e la lotta per la libertà, è stato musicato varie volte da Beethoven. Alla seconda redazione, del 1798 circa, il già citato Fratello Wegeler adattò nel 1810 un testo massonico più formale, ad uso della propria Loggia, per farne una specie di inno propiziatorio per l’iniziazione dei neofiti.

II Maurerlied (il canto del Muratore) si riallaccia alle Logge istituite nelle Corti tedesche. È stato scritto in occasione di una visita del re di Prussia, Federico Guglielmo III, alla Gran Loggia di Rito Scozzese di Berlino, il 21 gennaio 1798. L’autore, Friedrich Heinrich Himmel, era Maestro di Cappella di corte e membro attivo della Loggia.

Discendente della celebre famiglia di costruttori di clavicembali e pianoforti, Joseph Taskin aveva iniziato la sua carriera come paggio musicale della Cappella di Luigi XVI. Compositore e pianista, dedicò il suo talento migliore alla musica massonica. Egli fu prima Maestro Venerabile, poi Maestro Venerabile d’onore della Loggia Les Frères Unis-lnséparables, alla quale lasciò tutti i suoi manoscritti, oggi depositati alla Biblioteca Nazionale di Parigi. La sua marcia funebre poteva avere molte destinazioni, tra le quali: accompagnare l’entrata e l’uscita dal Tempio dei Dignitari in cerimonie di cordoglio o la sfilata dei Fratelli Maestri nel rito di iniziazione al Terzo Grado.

TAVOLA DEL FR.’.  B.Bltt

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IDEALI CAVALLERESCHI: VIZI E VIRTU’ UMANE

IDEALI CAVALLERESCHI: VIZI E VIRTU’ UMANE

Commomorazione per il decennale della R.’. L.’. G.GARIBALDI n° 1436                             Or.’. di FOLLONICA

Mi piace immaginare la Libera Muratoria come un “corso d’acqua luminoso e colorato” che scorre, con un movimento lento, perennemente verso un non-luogo, alimentato da affluenti che hanno trasportato, nel corso dei millenni, tutti i valori più alti del pensiero umano. Quest’ultimi si sono stratificati, con il passare del tempo, nel suo alveo dorato. I pesci che in questo magico fiume, nuotano liberi, sono anch’essi imbibiti di questi ideali rivolti al bene e al progresso dell’Umanità. Il Pensiero Libero Muratorio, infatti, rappresenta il punto di convergenza di tutte i principi più virtuosi che sono stati espressi dagli uomini di tutti i tempi, da quando hanno cominciato a manifestare la loro vera essenza: quella “umana”; cioè ad avere “cura” (curam in senso latino/amore) di sé stessi, degli altri e del mondo. L’acquisizione di questa “responsabilità morale” — come la definiva Charles Darwinè stata uno dei meccanismi che ha garantito la continuità e la sopravvivenza delle specie Homo. Il Pensiero Libero Muratorio è, quindi, il concentrato della parte migliore del pensiero del mondo Occidentale e Orientale: di quello greco-romano, giudaico-cristiano, medievale, rinascimentale, illuminista, romantico, fino a quello moderno e post-moderno. ln Occidente, ad esempio, il cristianesimo delle origini ha introdotto il “sistema” religioso della Carità e dell’Amore, valori poi declinati, molti secoli dopo, nel “sistema” laico illuminista nel celebre motto: Libertà, Uguaglianza e Fratellanza.

Gli ideali della Libera Muratoria si richiamano a quelli Cavallereschi, a partire dalle gesta dei Cavalieri del re Carlo Magno (Imperatore del Sacro Romano Impero; incoronato in San Pietro dal Papa Leone III nel Natale dell’800) definiti anche Palatini (termine che deriva da Palatium, perché stavano dentro il Palazzo reale; rappresentavano la guardia nobile del Re ed avevano la funzione di proteggerlo militarmente) fino a quelle dei Cavalieri Templari (Ordine Religioso Cavalleresco Cristiano Medioevale che aveva il compito di difendere i luoghi santi e proteggere le persone che, da tutta Europa, si recavano in pellegrinaggio in Terra Santa – al Santo Sepolcro a Gerusalemme- perché venivano frequentemente assalite dai musulmani, subendo perfino crudeli atti di cannibalismo (D. Esposito, La Chanson de Jèrusalem: l’epopea dei Crociati cannibali. Carocci editore, 2023). La nascita dell’Ordine dei Templari avvenne dopo la prima crociata, attorno al 1100, che si concluse, dopo un mese e mezzo di assedio, con la conquista di Gerusalemme, fino ad allora in mano ai turchi. Le gesta eroiche e gli ideali nobili cavallereschi si diffusero ampiamenti in tutta Europa, specialmente in Francia, in Spagna ed in Italia. Un altro contributo fu apportato dai poemi cavallereschi francesi del ciclo Carolingio, come la Chanson de Roland (scritto nella seconda metà del XI secolo) e da quelli del ciclo Bretone, che trattavano del Re Artù, della tavola Rotonda, della. ricerca del Santo Graal. Quest’ultime leggende furono riprese nell’Italia meridionale dai cantastorie a Napoli e dal Teatro dei Pupi in Sicilia. Un’ulteriore divulgazione di questi ideali fu apportata – a partire dalla seconda metà del XV secolo, in pieno Rinascimento- dai tre grandi poemi cavallereschi italiani: l’Orlando Innamorato, scritto da Matteo Maria Boiardo della corte degli Estensi a Ferrara; l’Orlando Furioso scritto dal Ludovico Ariosto, anch’esso della Corte di Ferrara e la Gerusalemme Liberata (1575) scritta dal sorrentino Torquato Tasso. Il ciclo della letteratura cavalleresca, si chiuse definitivamente, un secolo dopo, nel 1615, con la pubblicazione Don Chisciotte scritto da Miguel de Cervantes (capolavoro della letteratura mondiale; il romanzo più venduto con 500 milioni di copie). Infatti, la finalità del romanzo, come dichiara esplicitamente nel prologo lo stesso autore, fu quello di ridicolizzare il mondo cavalleresco medioevale tramite il “folle” personaggio di don Chisciotte. Merita di essere menzionato, perché viene spesso evocato nei Nostri lavori, anche il leggendario Ordine dei Cavalieri Rosacroce: una confraternita apparsa in Germania intorno alla prima metà del 1600, di probabile derivazione templare. Le prove storiche della reale esistenza di questo Ordine sono scarse. ln letteratura esistono solamente tre pubblicazioni, definiti “manifesti”: (Fama Fraternitatis, Confessio Fraternitatis e le Nozze chimiche). Il primo si riferisce alla sua nascita e al suo fondatore Christian Rosenkreutz; il secondo è un appello ai sapienti dell’Europa per una riforma universale di tipo utopistico su tutti i campi dello scibile umano, dalle arti alla scienza, dalla filosofia alla teologia, per il miglioramento dell’umanità; il terzo illustra un processo di perfezionamento dell’uomo basato sulla simbologia alchemica.

Noi, Iniziati Libero Muratori, sentiamo ancora vivi nel nostro animo gli ideali cavallereschi medioevali, come: il Coraggio, la Lealtà, l’Onore, la Fedeltà (nei confronti non solo del Re ma anche nei confronti della propria fede religiosa), la Nobiltà d’animo, la Cortesia, l’Umiltà, la Difesa dei più deboli, la Liberalità (disprezzo per il denaro), la Magnanimità (donare anche prima che ti sia chiesto), la Comprensione e la Tolleranza. Sono questi i valori che gli adepti Liberi Muratori hanno perseguito fino dalle loro origini; l’appellativo stesso di “Gran Maestro” evoca il più alto membro nella gerarchia di un Ordine Cavalleresco o Militare. Per questo motivo il Nostro Ordine Iniziatico viene definito un “Ordine Cavalleresco”… un Ordine Militare”; perché anche Noi, come i Cavalieri Templari che difendevano, con il cuore e la spada, il “Tempio di Gerusalemme”, difendiamo il nostro “Tempio Interiore”. E, questa battaglia è sempre in corso… una lotta quotidiana che avviene all’interno della nostra coscienza: tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra il vero e il falso, per fare sì di arrivare al trionfo del bene, del giusto e del vero. E, l’arma che noi usiamo per la lotta si chiama “Libero Arbitrio”: quella capacità che dimora nella nostra coscienza e che ci permette di scegliere tra il bene e il male. Purtroppo, oggi il male nel mondo… il male nell’animo umano… sta dominando sempre più sul bene e la nostra battaglia, sia interiore che esteriore, sta diventando sempre più dura. L’uomo post-moderno sembra aver smarrito completamente le virtù cavalleresche che hanno, indirettamente, influenzato anche tutti gli aspetti profani socioculturali. È venuto meno il Coraggio, specialmente nelle nuove generazioni – la cosiddetta generazione Z: nativi dal 1997 al 2012- di affrontare le difficoltà del vivere, che richiedono, invece, per essere superate un impegno e un sacrificio costante. L’uomo oggi non vuole più prendersi delle responsabilità e non contrasta la realtà ostile, non si oppone alle devianze esistenziali. Si sente tutto sommato a suo agio nel suo sentirsi identico a tutti gli altri. E venuta meno la Nobiltà d’animo, la “cortesia”, la “magnanimità”, la “difesa verso i deboli”… il “rispetto per il prossimo”, l”‘agire retto” (ortopràssi) nei confronti di se stesso e degli altri…è venuto meno il “senso di fratellanza”. L’esempio più triste e eclatante, che ferisce quotidianamente la nostra coscienza, è l’orrore della guerra, un vero e proprio “Infantilismo bellico”- come lo ha definito Papa Francesco, nel suo appello all’Unione Europea, lanciato in Ungheria il 28 aprile 2023, sullo sfondo del nazionalismo crescente e della guerra in Ucraina-. Oggi nella società domina l’individualismo, il narcisismo egocentrico, e chi ascolta solo il proprio “ego” tende a pensare solo a sé stesso, desidera solo ciò che può fargli piacere e agisce unicamente per il proprio interesse. Al contrario i Cavalieri medievali agivano uniti uno accanto all’altro, difendendosi contro un nemico comune; essi non agivano in modo individuale ma in modo collettivo. Assistiamo oggi ad un Materialismo Selvaggio…altro che “liberalità”, oggi domina l’ossessione, tutta fanciullesca, del denaro. Viviamo in una crisi di civiltà dominata dal potere onnipresente del profitto. ln più si associa un”‘Eclissi della Spiritualità”… una Perdita della Fede nei confronti della religiosità. Solamente un terzo dei giovani, tra i 18 e 25 anni, ha un interesse verso la trascendenza e crede in un “Essere Superiore” (Springtide Research Institute, dati del 2023). Prima del trionfo del cristianesimo (nel 380 d.c. — Editto di Tessalonica – il cristianesimo fu adottato come la sola religione nell’Impero Romano) fu annunciata la morte degli dèi dell’Olimpo; net 1882 Nietzsche annunciava nel suo celebre aforisma in La Gaia Scienza: la morte di Dio; ucciso dall’indifferenza dell’uomo mediocre. Lo abbiamo ucciso noi uomini, sottolinea il filosofo nel suo racconto: l”Uomo Foll, che accese una lanterna alla chiara luce del mattino e si mise a gridare “Cerco Dio, cerco Dio!”. Anche la rivista Time, pubblicata negli Stati Uniti d’America, nel 1966 si domandava in copertina “Se Dio fosse morto?” (“Is good Dead?”). La mia impressione è che l’indifferenza umana difronte alla trascendenza stia sempre di più uccidendo Dio. Dovremmo, da ora in poi, avere fiducia nell’intelligenza artificiale… nei “robot religiosi antropomorfi”! – come ha intitolato il Corriere della Sera, La Lettura, il 30 aprile 2023 – Ma che cosa ne penseranno i fedeli di tutto il mondo di questa nuova religiosità legata all’intelligenza artificiale…e all’immensa potenza dimostrata da ChatGpt (un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano. Uno strumento di elaborazione del linguaggio naturale, che può essere utilizzato per la creazione di una vasta gamma di applicazioni personalizzate; in grado di comprendere e rispondere a imput in linguaggio naturale. Il termine Chatbot o Chatterbot è stato coniato da Michael Mauldin nel 1994, per descrivere questi programmi di conversione). Nonostante le perplessità, questo sistema altamente tecnologico si sta espandendo senza incontrare nessuna difficoltà. Se non ci sarà un’inversione di tendenza nei confronti della spiritualità gli uomini non saranno altro che un aggregato di tribù in lotta tra loro, senza anima, senza umanità, senza moralità e, anche, senza libero arbitrio: perché ormai siamo diventati moralmente passivi, abbiamo finito per delegare la questione morale agli esperti e ai tecnici…abbiamo lasciato il diritto di scegliere agli altri…ma gli altri non è detto che abbiano la saggezza per comprendere ciò che è migliore o peggiore per il nostro bene o per il bene comune. Assistiamo oggi, a un venir meno del senso della Tolleranza, della Consapevolezza, cioè della capacità di essere partecipi e attenti a ciò che accade nel momento presente…non solo nel mondo esterno ma anche nel mondo interno. Non siamo più capaci di ascoltare e giudicare i propri pensieri, le proprie emozioni e i propri comportamenti; non riusciamo più a dare un senso a ciò che stiamo facendo. Ci stiamo disabituando alla complessità della vita, al dubbio, alla riflessione profonda, al pensiero critico, al legame tra il particolare e l’universale… tra il micro e il macrocosmo. L’uomo, oggi, sembra privo della volontà di progredire e di partecipare al processo evolutivo della società, perché è attratto dagli aspetti esistenziali più frivoli, che spesso si disvelano per quello che sono: solo illusioni…Sirene che trascinano tra le onde chiunque le ascolti. L’uomo moderno sembra comportarsi come i Cavalieri o Paladini del Re Carlo Magno descritti nel poema dell’Orlando Furioso- che, attratti da vani e frivoli desideri, abbandonarono il loro Re, scappando lontani da Parigi, venendo meno ai loro doveri: di combattere, di difendere e di proteggere il Re e la Francia. Anche il Palazzo Incantato del mago Atlante, che ritroviamo nell’Orlando Furioso, è la “metafora dell’esistenza dell’uomo”: destinato ad inseguire i fantasmi del proprio desiderio, beni materiali che sfuggono al suo possesso e incapace di dare una chiara direzione al proprio itinerario nella vita; è la “metafora del destino umano”: gli uomini si affaticano dietro alle loro passioni, ai loro desideri che spesso si rivelano soltanto dei miraggi; è la “metafora dell’insoddisfazione umana”: una ricerca senza fine di qualcosa che desideriamo che bramiamo ma che non lo raggiungeremo mai. Tutti coloro che entrano nel Palazzo Incantato accettano una copia più colorata e vivace, dove l’oggetto del desiderio si materializza dinanzi a loro, ma non viene mai raggiunto. Questo simboleggia che il movimento dell’uomo è inconsistente…tutto risulta alla fine vano… tutto è vanitas…tutto è inseguire il vento, come ci ricorda il racconto sapienziale dell’Antico Testamento: Qoèlet o Ecclesiaste (Qoe 2:1-11). L’uomo è sempre all’inseguimento di un qualcosa di materiale – che reputa il mezzo per giungere alla felicità- ma che in realtà non trova mai. Ariosto sapeva benissimo che gli uomini possono rimanere prigionieri dei loro desideri e delle loro illusioni, come succedeva a tutti coloro che entravano nel suo Palazzo Incantato. Il PALAZZO INCANTATO DEL MAGO ATLANTE (Orlando Furioso XII, 4-23) Orlando come tanti altri paladini — racconta Italo Calvino (Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, raccontato da Italo Calvino, Feltrinelli, 2016) – che avevano abbandonato le armi e i loro doveri, alla ricerca della bellissima Angelica, arriva al Palazzo Incantato – maestoso, sontuoso, fatto di marmo, con fregi d’oro, di tappeti, di arazzi, di letti di seta verde- che mostra a chiunque entra, quello che è il suo desiderio, ma senza mai raggiungerlo. Ogni paladino, che entrava in quel palazzo — veniva attratto dalla “visione” di ciò che ricercava… desiderava… bramava: d’una donna amata, d’un cavallo rubato, d’un nemico irraggiungibile, d’un oggetto perduto. Sentono le loro voci, le loro richieste di aiuto ma non riescono mai a raggiungerlo. I “paladini cercatori” corrono per i grandi androni, corridoi e scale del palazzo come all’interno di un labirinto, ma non riescono a raggiungere ciò che desiderano. Il loro desiderio è una corsa verso il nulla. Il palazzo è deserto di quel che si cerca ma popolato solo da coloro che cercano. Una volta entrati nel Palazzo Incantato nessun paladino non poteva più uscire. Anzi tutti alla fine venivano uccisi sotto un colpo di mazza del Gigante. Alla fine della storia, arriva all’interno del Palazzo di Atlante il paladino Astolfo che insegue il ladruncolo e il suo cavallo “Rabicano”. Ma per Astolfo non c’è incantesimo che tenga, egli possiede un “Libretto Magico”, regalato dalla fata Logistilla, in cui è spiegato come far cessare ogni incantesimo. Egli legge che basta sollevare una lastra di marmo della soglia per far cessare l’incantesimo e mandare in fumo tutto il Palazzo. Così fece. L’incantesimo cessò e una folla di Cavalieri — Paladini quasi tutti amici suoi- che erano entrati là dentro ritornarono liberi. Il Palazzo, ragnatela di sogni e di desideri si disfa: ossia cessa d’essere uno spazio esterno a noi, con porte e scale e mura, per ritornare a celarsi nella nostra mente, nel labirinto dei nostri pensieri.

E Noi… Iniziati Liberi Muratori dobbiamo continuare a nuotare, come pesci liberi, nelle acque limpide e luminose di quel fiume fantastico -simbolo del Nostro “Ordine Iniziatico Libero Muratorio”— impregnate dai più “alti valori della storia del pensiero umano rivolti verso il bene”; orgogliosi di possedere, non solo un prezioso “Metodo” per interpretare il mondo che ci circonda, ma anche un “Libretto Magico” – come aveva il paladino Astolfo- su cui è spiegato come risolvere, al momento opportuno, ogni incanto…ogni situazione esistenziale, bella o brutta, che sia. Quel “Libretto” ci insegna – se riusciamo a leggere con attenzione tra le sue righe… ad andare “oltre” le sue parole – un’altra stupenda magia: quella di trasformare la vana realtà in qualcosa di migliore… a trasformare i metalli in oro … la tristezza in gioia … la materia in spirito … la morte in vita eterna.

TAVOLA     SCOLPITA   DAL   FR.’. C.  S.                                                                                                                         R.’. LOGGIA  G. Garibaldi n o 1436 all’Oriente di Follonica

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LA VIA MASSONICA È UNA VIA DI SERENITÀ?

LA VIA MASSONICA È UNA VIA DI SERENITÀ?

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

da poco più di due anni sono stato accolto in Massoneria, periodo di tempo sicuramente breve, ma sufficiente a trarre qualche valutazione.

La prima di esse è l’entusiasmo. Questa sensazione che mi coinvolge sin dall’inizio, associata al desiderio di partecipare ai nostri lavori, non può essere giustificata da banale curiosità, voglia di novità o possibilità di incontrare persone “culturalmente” interessanti.

Non so valutare se sono migliorato, se la mia coscienza è realmente cresciuta, tuttavia riconosco che la mia vita è cambiata. In meglio?

Nei miei sogni giovanili, affascinato da pseudo teorie orientaleggianti, avevo erroneamente associato la via di conoscenza ad una via di serenità e di pace interiore.

L’avere intravisto da lontano una potenziale da seguire può invece creare enormi difficoltà.

Nei discorsi salottieri ho sempre affermato che la carriera, la posizione sociale, il successo, il divertimento sono falsi obiettivi che un uomo deve saper rifiutare per affrontare ricerche più serie. Belle affermazioni che contraddistinguono il mio personaggio, ma che all’atto pratico restavano sterili.

Adesso non posso più fingere di non sapere. Sia pur in maniera molto nebulosa, io so cosa devo fare. Ma in pratica? La mia vita è davvero cambiata oppure mi piace affermarlo da vanti a voi?

Come è possibile che tra tutte le attività che svolgo, il lavoro, i “giochi”, il riposo, io dedichi alla mia ricerca un tempo così misero? Perché trascuro ciò che ritengo fondamentale? Da cosa dipende questa dicotomia tra quello che vorrei essere e quello che in realtà sono?

Le risposte sono tante:

  • la pigrizia, difetto che purtroppo mi contraddistingue, ma “sono fatto” così;
  • la società profana che mi condiziona con falsi obiettivi;
  • il demonio che mi rende schiavo delle “tentazioni”;
  • un certo tipo di “infantilismo” che non mi permette di distinguere ciò che è veramente importante.

Sono sempre stato bravissimo a trovarmi degli alibi.   La domanda che da il titolo a questa tavola non è dunque per niente retorica.

La finta serenità “del lavoro compiuto”, del “leggere il giornale la domenica mattina”, del “Natale in  in famiglia” non esiste più. In realtà non è mai esistita; una delle molle che mi ha spinto a chiedere di entrare è senza dubbio la profonda insoddisfazione di fronte ad una vita tutto sommato cretina, ma ora non posso più credere che “le cose si sistemeranno”.

Indietro non si torna. Il bluff non regge più. Ora si deve lavorare. Nella vita profana il lavoro del muratore è sinonimo di grande fatica fisica; solo adesso incomincio ad intuire come sia faticoso il lavoro del Libero Muratore.

Trovo veramente difficile eliminare la netta separazione tra i vari personaggi che mi compongono: il medico, il marito, l’amico, il massone.

Essere me stesso in Tempio come fuori, sapere di essere un iniziato sempre ed ovunque mi riesce quasi impossibile.

Nonostante la sensazione frequente di non sopportarmi quando perdo tempo in idiozie o in attività stupide, mi rendo conto di come le banali “scoperte”, l’intuizione di particolari sempre guardati e mai visti, la speranza di capire giustifichino ampiamente, e tutto sommato valorizzino, fatiche e delusioni.

Un Fratello tempo fa mi ha detto che bisogna avere il coraggio di rimettersi in discussione tutti i giorni, anche se talora può farci soffrire. Ebbene penso che questa sofferenza sia “sana”, “positiva”, “finalizzata”. Ben differente da una pseudo serenità grigia e talora disperata.

La serenità e la pace interiore di cui si parlava prima, dunque, esistono e ogni tanto si riesce anche a sfiorarle, ma sono solo lampi di brevissima durata. Spesso tali lampi si accendono in Tempio.

L’essere sballottato tra intuizioni “geniali” e miserie quotidiane non è un indice di grande maturità, né di realizzazione spirituale; temo che questo sia essere “una pietra grezza”.

Ho veramente bisogno di voi, Fratelli.

TAVOLA  DEL  FR.’.  Stefano Clnn,

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LIBERTÀ, TRASPARENZA E RISERVATEZZA

LIBERTÀ, TRASPARENZA E RISERVATEZZA

“Libertà ch’è sì bella che sola rende la vita degna d’essere vissuta”.

Maestro Venerabile, Fratelli tutti carissimi,

PREMESSA:

Il tema che ci viene prospettato va visto come un Trinomio e non, quindi, come tre concetti separati. Ci deve essere insomma una consequenzialità tra questi termini. Rilevante diventa allora fare questa considerazione: trattando di libertà, trasparenza e riservatezza è pressoché fatale sconfinare nella politica poiché non si parla più, come abitualmente facciamo, dei principi, ma ci si deve fatalmente inoltrare nel terreno del confronto con chi ci sta intorno e con il “potere”.

Perché la trasparenza e la riservatezza sono dimensioni squisitamente politiche e, considerato il tema datoci, anche la libertà finisce per essere inquadrata nella stessa ottica.

La libertà, intesa in relazione agli altri due termini, non può che inquadrarsi nell’ottica delle possibilità che lo Stato DEVE garantire ad ogni singolo cittadino, poiché ogni essere umano è detentore di un diritto naturale. Questo concetto fu fatto proprio dalla nostra Costituzione ove, guarda caso, uno dei nostri Confratelli fu, tra i compilatori, uno degli elementi di maggior spicco!

La libertà va intesa come composta di tre aspetti distinti:

  • la prima è quella dal senso più ampio: parla di libertà di coscienza, di pensiero , di sentimento; ovvero la più assoluta libertà di opinioni in ogni campo (pratico, speculativo, scientifico, teologico o morale);
  • la seconda è la possibilità di agire come meglio vogliamo senza essere ostacolati e con le conseguenze che dal nostro fare ne derivano. Con le limitazioni derivanti dal non dover danneggiare terzi;
  • la terza consiste nella possibilità di associarsi e di unirsi con altre persone con qualsiasi scopo che non rechi danno al prossimo.

Possiamo aggiungere, in proposito, ciò che scrisse J. Stuart Mill: nessuna società che non rispetti queste regole nel loro complesso, in maniera assoluta ed incondizionata può legittimamente definirsi LIBERA!

Passando alla nostra Istituzione possiamo affermare che le parole del nostro Rituale: “Profano, per noi la libertà è il potere di compiere o di non compiere certi atti secondo la determinazione della nostra volontà. È il diritto di fare tutto ciò che non è contrario alla legge morale ed alla libertà altrui” evidenziano una diversa e maggiore ampiezza al problema, inserendo un concetto di morale (direi meglio di etica) al solo e semplice aspetto del non danneggiamento altrui previsto dal Mill.

Scendendo ora nel pratico e nel concreto, possiamo dire che la libertà che noi desideriamo relativamente alla nostra appartenenza all’ordine massonico consiste nella possibilità di percorrere tutte quelle vie che non siano contrarie al nostro Ordinamento giuridico.

Di riunirsi con chi più ci aggrada, effettuando tutti quegli studi o/e quei riti che si ritengano idonei, o anche solo propizi, allo scopo che ci siamo proposti quando siamo entrati o che, modificando via via le nostre mire, ci si prefigge.

La Costituzione della Repubblica Italiana, all’art. 18 recita: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione per fini che non sono vietati dalla legge penale”.

E, si badi bene, al solo secondo comma aggiunge:” Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”.

Il legislatore riconosce dunque al cittadino la possibilità di associarsi, mentre pone dei limiti alle associazioni: i soggetti sono due, con ruoli e diritti-doveri ben chiari e distinti!

ANCORA QUALCHE DEFINIZIONE

Allo scopo di rendere più chiaro tutto il contenuto del termine LIBERTÀ vorremmo qui ricordare il detto evangelico “la verità vi farà liberi” sottintendendo che la libertà deve essere considerata quale bene supremo dell’individuo, ponendo la verità come mezzo e la libertà addirittura come fine.

Libertà è la possibilità di scelta. L’uomo può definirsi libero quanto più viene messo in grado di scegliere; ed avere le informazioni sulla scelta da fare dev’essere considerato un importante elemento di libertà.

Ecco qualche possibile e schematica interpretazione del temine LIBERTÀ:

LIBERO come contrapposizione a SCHIAVO

LIBERO E Dl BUONI COSTUMI si oppone a CON PREGIUDIZI E SCHIAVO DEI METALLI

LIBERO CONOSCENDO LA VERITÀ come fine ultimo dell’uomo

LIBERO Dl

LIBERO DA

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA RISERVATEZZA.

Altro aspetto che ho cercato di evidenziare sopra: poter fare ciò che ci garba, e nel modo che riteniamo migliore, nei luoghi più adatti con lo scopo che ci prefiggiamo. Quindi sia in luoghi appartati che alla piena luce del sole!

In una precedente tavola sul Rituale si sosteneva che, come già per la preghiera, i nostri lavori hanno necessità di essere compiuti lontano dal rumore e fuori da sguardi …indiscreti. Le persone (che noi, in questo caso con molta ragione, definiamo profani) o non capirebbero assolutamente i nostri riti, e li irriderebbero, vuoi per loro intrinseca incapacità, vuoi per il porsi in una angolazione sbagliata. Altri infine li capiscono anche troppo bene!

Questo spiega, almeno in parte, il concetto ed il bisogno di riservatezza.

In ogni società la vita dell’individuo si polarizza in due aspetti: il pubblico ed il privato.

A seconda della prevalenza di una sfera sull’altra avremo sistemi assolutisti e totalitario o il liberalismo e, sua forma estrema, l’anarchia. Nel primo caso lo Stato pone il più possibile delle cose sotto la propria tutela e non lascia spazio all’iniziativa del cittadino, nel secondo ci sono pochissime regole, lasciando all’individuo la scelta sulle decisioni e sui suoi comportamenti.

Sembrerebbe che la forma migliore si ottenga dall’equilibrio tra queste due forme. L’obiettivo che si pone ogni tipo di governante è l’eliminazione dei conflitti tra le due sfere!

La riservatezza consente che ogni aspetto del privato sia un ambito esclusivo del singolo cittadino, mentre la trasparenza lo rende aperto e visibile a chiunque!

Possiamo identificare il “privato”, e quindi la riservatezza, come il proprio giardino: dotato di limiti invalicabili (i Landmarks). Al suo interno albergano le nostre libertà individuali.

Riservatezza quindi non significa nient’altro che poter decidere LIBERAMENTE se dichiarare la PROPRIA APPARTENENZA alla nostra Istituzione. Beneficio che, tra l’altro, finora, ( intendo alla nostra generazione), qui in Italia, personalmente ci è sempre stato garantito.

Se si pone questo quesito è Perché considerando il livello di cultura e di pregiudizi che coesistono nel nostro Paese in questo momento storico, pochi tra noi credono che rivelare a chicchessia la propria appartenenza all’Istituzione sia opportuno Essere Massoni non necessariamente significa avere la vocazione per essere martiri. E Perché io dovrei far sapere al mio portinaio che sono Massone? Quale beneficio io o l’Istituzione ne potremmo trarre? Ed il mio portinaio?

L’intimità dei propri convincimenti e delle proprie emozioni è una delle tante conquiste, o situazioni, che sono riservate all’uomo libero. Al contrario, proprio all’uomo in prigionia sovente queste non sono concesse, e la prigionia può considerarsi tanto più dura quanto più gli vengono negate queste intimità.

Sovviene, a questo proposito, il famoso libro di Orwell “1984” in cui il Grande Fratello riesce ad eliminare ogni forma di riservatezza e di intimità. Ogni individuo, sempre, è obbligato al massimo della “trasparenza”. Nessun sentimento “privato” gli è concesso.

Il rischio è insomma quello di vedere il nostro Stato Italiano trasformarsi da uno stato di diritto ad uno di Polizia ove non sia più possibile, chiudendo il cancello del giardino, sentire che siamo a casa nostra, c che possiamo, per legge, fare ciò che meglio crediamo !

Il nostro sacrosanto diritto a operare in pace, lontano dagli occhi indiscreti di chiunque, ma pure sottostando a tutte le norme giuridiche di un Paese di diritto, facendo conoscere alle autorità preposte luoghi e giorni di riunione con i nomi dei partecipanti, non contraddice affatto il concetto di trasparenza.

Diritto che, giova ricordarlo, negli ultimi anni la magistratura ha esercitato con una certa ampiezza!!

 E, a quanto mi risulta, con la massima disponibilità da parte della nostra Istituzione.

In ogni società la vita dell’individuo si polarizza in due aspetti: il pubblico ed il privato.

A seconda della prevalenza di una sfera sull’altra avremo sistemi assolutisti e totalitario o il liberalismo e, sua forma estrema, l’anarchia. Nel primo caso lo Stato pone il più possibile delle cose sotto la propria tutela e non lascia spazio all’iniziativa del cittadino, nel secondo ci sono pochissime regole, lasciando all’individuo la scelta sulle decisioni e sui suoi comportamenti.

Sembrerebbe che la forma migliore si ottenga dall’equilibrio tra queste due forme.

L’obiettivo che si pone ogni tipo di governante è l’eliminazione dei conflitti tra le due sfere! !

La riservatezza consente che ogni aspetto del privato sia un ambito esclusivo del singolo cittadino, mentre la trasparenza lo rende aperto e visibile a chiunque!

Possiamo identificare il “privato”, e quindi la riservatezza, come il proprio giardino: dotato di limiti invalicabili (i landmarks). Al suo interno albergano le nostre libertà individuali.

Riservatezza quindi non significa nient’altro che poter decidere LIBERAMENTE se dichiarare la PROPRIA APPARTENENZA alla nostra Istituzione. Beneficio che, tra l’altro, finora, ( intendo alla nostra generazione), qui in Italia, personalmente ci è sempre stato garantito.

Se si pone questo quesito è Perché considerando il livello di cultura e di pregiudizi che coesistono nel nostro Paese in questo momento storico, pochi tra noi credono che rivelare a chicchessia la propria appartenenza all’Istituzione sia opportuno Essere Massoni non necessariamente significa avere la vocazione per essere martiri. E Perché io dovrei far sapere al mio portinaio che sono Massone? Quale beneficio io o l’ Istituzione ne potremmo trarre? Ed il mio portinaio?

L’intimità dei propri convincimenti e delle proprie emozioni è una delle tante conquiste, o situazioni, che sono riservate all’uomo libero. Al contrario, proprio all’uomo in prigionia sovente queste non sono concesse, e la prigionia può considerarsi tanto più dura quanto più gli vengono negate queste intimità.

Sovviene, a questo proposito, il famoso libro di Orwell “1984” in cui il Grande Fratello riesce ad eliminare ogni forma di riservatezza e di intimità. Ogni individuo, sempre, è obbligato al massimo della “trasparenza”. Nessun sentimento “privato” gli è

concesso.

Il rischio è insomma quello di vedere il nostro Stato Italiano trasformarsi da uno stato di diritto ad uno di Polizia ove non sia più possibile, chiudendo il cancello del giardino, sentire che siamo a casa nostra, e che possiamo, per legge, fare ciò che meglio crediamo!

Il nostro sacrosanto diritto a operare in pace, lontano dagli occhi indiscreti di chiunque, ma pure sottostando a tutte le norme giuridiche di un Paese di diritto, facendo conoscere alle autorità preposte luoghi e giorni di riunione con i nomi dei partecipanti, non contraddice affatto il concetto di trasparenza.

Diritto che, giova ricordarlo, negli ultimi anni la magistratura ha esercitato con una certa ampiezza!! E, a quanto mi risulta, con la massima disponibilità da parte della nostra Istituzione.

TRASPARENZA.

Brutto termine, che ricorda gli ultimi tempi dell ‘Unione Sovietica, quando la gente chiedeva a gran voce di sapere cosa si facesse nella stanza dei bottoni.

In Italia nei riguardi della Massoneria (Perché ancora credo che il tema vada letto in questo senso) non esiste questo gran vociare della massa, quanto piuttosto un ben orchestrato movimento, guidato dai Partiti politici di sinistra con…. l’appoggio della Santa Romana Chiesa, attraverso i mass media. Longa manus di tutto questo è la Magistratura: se non proprio tutta quanta, quasi!!.

Infatti, stabilita una certa incompatibilità tra la Chiesa (per decisione di questa!) e la Massoneria già dal tardo 1700, con il passare degli anni l’insofferenza verso la nostra Istituzione si allargò mano a mano che l’ideologia (versione atea della fede cristiana) si affermava nei vari Paesi. Così sia i regimi totalitari ed illiberali (italiani tedeschi, spagnoli o cileni) che i regimi marxisti (russi cinesi ecc.) ci bandirono: E non basta: anche i vari stati islamici hanno seguito la stessa strada!!.

Un solo breve accenno al fatto che sono molte le associazioni come la nostra, ma non si sa, nonostante i vari scandali, che i giudici facciano indagini sui nomi e sugli iscritti del partito Socialista o della DC.

E neppure sugli aderenti all’ANA o sugli ex marinai!

E neppure si è mai letto che qualcuno auspichi che ciò venga fatto!

Quindi, riassumendo: nessuna opposizione alla trasparenza, ma pretesa che venga rispettata la nostra privacy. Rifiuto dell’assioma che se si sta riservati sia per compiere cose poco lecite. Se tra noi qualcuno sbaglia, e ciò purtroppo è senz’altro possibile, lo fa individualmente. Noi per primi dobbiamo essere intransigenti ed agire conformemente alle nostre regole, che certo non tollerano gli atteggiamenti contra-legem. Solo ci chiedono, quando un Fratello sbaglia, di coprirlo con il mantello della tolleranza. Ma tolleranza verso chi è in buona fede, chiaramente! La nostra Istituzione ha tutto l’interesse a che chi si pone volutamente fuori legge venga colpito.

Non è giusto che gli errori dei pochi siano sufficienti a cancellare un diritto dei più. Ed è molto grave che, grazie alla inefficienza dello Stato, siccome qualcuno ha abusato del diritto alla riservatezza ora si proponga di sopprimere il diritto di associarsi in Massoneria.

Quale può essere allora il giusto confine tra trasparenza e riservatezza?

Una risposta semplice in base a quanto finora detto potrebbe essere: ”riservatezza per tutto quanto attiene al privato e trasparenza per tutto quanto attiene al pubblico”.

Insomma, il Dio che voglio pregare, ed il modo del come farlo non può né deve essere soggetto a “trasparenze” di sorta, verso chicchessia e per nessun motivo.

Viceversa, ogni qualvolta decido di fare un qualche cosa di pubblico, allora esiste un giusto interesse della collettività a voler sapere chi sono e quali intendimenti ho: tipico esempio di questa seconda situazione è rappresentata dalla candidatura alle elezioni politiche o amministrative.

Tentando di riassumere al massimo, schematizzando:

LIBERTÀ la vogliamo, poiché ci spetta;

TRASPARENZA auspichiamo una legge che chiarisca in modo netto quali debbano essere le regole da seguire impegnandoci ad attenerci con scrupolo;

RISERVATEZZA ci spetta e la pretendiamo.

LAVORI RIEPILOGATIVI DELLA COMMISSIONE FORMATA DAI FRATELLI:

MAESTRO A. Bgg

MAESTRO G. Bltt

COMPAGNO E. Dmt

APPRENDISTA R. My,

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3 INIZIAZIONE, ETICA, COMPORTAMENTO

                            3   INIZIAZIONE, ETICA, COMPORTAMENTO

Venerabile Maestro, cari Fratelli,

richiamandomi agli insegnamenti del fratello Maestro René Guénon, credo che per parlare di Iniziazione sia utile prendere atto della differenza fra il Sacro ed il profano che ad Essa ritengo siano strettamente connesse.

In ogni Tradizione integrale che si rispetti, vi è ogni cosa nella sua completezza, sia concepita che degna di manifestarsi; non manca cioè nulla, sia nella forma, che nella sostanza. Ne deriva che per ogni manifestazione, e per gli elementi che la compongono, la Tradizione è fonte di vitale importanza. Cosa succede però al di fuori, nell’ambito cioè della profanità? In un certo modo, per potersi barcamenare nel giusto mezzo, in un clima occidentale più che mai antitradizionale, si è costretti, nel contesto della Tradizione medesima, a fare delle concessioni, sconfinando così da un sistema regolare e legittimo.

La Tradizione, quindi, come un Tempio, contiene si se elementi il cui carattere può essere solo Sacro e legittimato dal Divino, elementi che a loro volta ne assicurano il regolare funzionamento; pertanto tutto ciò che è al di fuori di Essa, con pretese di spiritualità illegittime, riveste carattere esclusivamente profano. Infatti, con questo termine, si vuol definire ed esclusivizzare tutto ciò che è fuori dalla Tradizione e, quindi, dal Tempio, quindi non fa parte di Esso né tantomeno ne assicura il funzionamento.

Inoltre, un fattore non trascurabile della Tradizione è sicuramente tutto ciò che comporta lo sviluppo e l’applicazione dell’intelletto e dello Spirito, cosa che nella profanità non è solo trascurata, ma sempre più esclusa, non più governata dal pensiero e dalla riflessione, a vantaggio di tutto ciò che comporta l’azione e la manipolazione della materia in tutti i suoi stati, fino alla solidificazione più completa. Qual è, dunque, il pericolo della situazione profana? Indubbiamente, facendo concessioni alla profanità, essa prende non solo il sopravvento sulla Tradizione, ma tende a sostituirvisi completamente, facendo spazio a quanto è più corrotto. Se il Tempio della Tradizione si apre all’esterno, verso la profanità, comincia a verificarsi, per gli elementi che la compongono, una sorta di degenerazione graduale e progressiva in senso discendente, fino al più completo e totale dissolvimento che ha il suo culmine nel caos.

Pervenendo a questo stato di decadenza, entra in causa l’iniziazione, di cui un tempo, quando gli elementi costitutivi della Tradizione, cioè la specie umana, erano strettamente a contatto con Dio, loro Origine, non se ne sentiva la necessità.

Ecco dunque perché oggi se ne parla, intendendola come strumento per ricevere la trasmissione di possibilità di ricerca di un qualcosa avente carattere di valore fondamentale che è andato perso e quindi come una sorta di legittimazione che, mediante la morte a un determinato stato di cose e conseguente rinascita, in vista di una ulteriore elevazione, soprattutto spirituale, avente anche riflessi morali o fisici, sancisce il collegamento ad una regola tradizionale. Ed è per queste motivazioni di decadenza della specie che vengono poste le premesse richieste agli iniziandi: particolari qualificazioni intellettuali nonché determinazione e convincimento nell’intraprendere la via che è stata indicata.

Nel Vangelo di San Giovanni, la vicenda del colloquio notturno di Nicodemo con Gesù richiama in maniera più che attendibile l’iniziazione e viene evidenziata quando Gesù risponde a Nicodemo: “In verità, in verità ti dico, nessuno seppure non nasce di nuovo, può vedere il Regno di Dio”. E Nicodemo a Lui: “E come può uno nascere, essendo vecchio? Può forse entrare da capo nel seno di sua madre e così rinascere?” E Gesù gli rispose: “In verità, in verità ti dico, nessuno se non nasce per acqua e Spirito può entrare nel Regno di Dio. Ciò che è generato dalla carne è carne, e ciò che è generato dallo Spirito è Spirito”. È interessante rilevare, inoltre, che sia l’acqua che lo Spirito, forse inteso come Soffio, cioè come Etere, sono, il primo, uno dei quattro elementi che regolano le esistenze, il secondo, quello che li contiene tutti. Quando poi Gesù dice: “E nessuno ascese in cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo”. È possibile che in quanto a Figlio dell’uomo si riferisca alla parte più alta dell’umana personalità, cioè quella spirituale, ascesa a tale condizione in seguito alla nascita dalla sua parte più vile, ed assurta allo spirituale per mezzo dell’elaborazione e dell’elevazione di se stessa. Ora, tutti questi passaggi come sarebbero potuti avvenire se non vi fosse stata un’Iniziazione. ossia una morte ad un certo stato di esistenza ed una successiva rinascita ad uno stato superiore?

L’iniziazione riveste carattere di virtualità nella forma, ed effettiva nella sostanza. Nel primo caso si può dire che all’iniziato vengono conferite formalmente delle influenze, o meglio dei germi di esse; nel secondo è invece l’iniziato che, con appropriato lavoro di approfondimento delle concezioni contenute in dette influenze, procede successivamente ad un loro ampliamento, dopo averle assimilate e le trasmette, a sua volta, quando a ciò ne sia abilitato, continuando così quella catena nel tempo, atta a tramandare fedelmente a coloro che ne sono degni, insegnamenti e segreti di cui solo l’iniziato può essere fedele tramite e depositario.

Quali prerogative ha un iniziato rispetto ad un profano? Indubbiamente tutte quelle che vengono trasmesse da una regolare Iniziazione, concessa in seguito alla verifica delle qualificazioni non solo intellettuali dell’iniziando. Succede anche che vi siano profani molto più degni di essere iniziati rispetto a coloro che già lo sono, ma evidente mente preferiscono molto di più mantenersi in una condizione di ristagno virtuale, se non peggiore, anziché addentrarsi, come dovrebbero, verso ulteriori elevazioni qualitative della propria personalità, concretizzando l’aforisma massonico V.l.T.R.I.O.L., che contiene il significato fondamentale o essenziale del lavoro del libero muratore, cioè quello sulla materia che noi siamo, al fine di trovare i tesori nascosti in essa.

Quale sarà allora il prezzo da pagare per questi tesori, per questo pane così prezioso? È scritto nella Genesi; il Signore Iddio dice ad Adamo: “Perché hai ascoltato la voce di tua moglie e mangiato dall’albero che io ti avevo proibito di mangiare: maledetto il terreno per cagion tua; con travaglio ne trarrai il vitto in tutti i giorni della tua vita. Triboli e spine ti produrrà; tu ti nutrirai delle erbe campestri, e con sudore del tuo volto mangerai il pane, finché tu tomi alla terra, dalla quale fosti tratto; poiché polvere sei tu e in polvere ritornerai”.

Ora, noi siamo fatti di terra, ovvero di materia, ed ogni volta che diventiamo esecutori di un operato, sia corporeo, che intellettuale, compiamo un lavoro, sia esteriore che interiore, in quanto esso si riflette, o meglio i suoi effetti si riflettono, su di noi eliminando, sotto forma di acqua e di sale, tutte quelle scorie che sarebbero di impedimento alla sua realizzazione.

Come già rilevato, l’acqua è uno dei quattro elementi che in questo veicola verso l’esterno di noi stessi quel sale che, secondo il concetto espresso da René Guénon, in quanto trasmettitore abilitato dalla regola tradizionale per eccellenza, è “il prodotto della cristallizzazione risultante dall’azione interiore dello zolfo e dalla reazione esteriore del mercurio; ed in una applicazione meno ristretta corrisponde all’individualità intera”. Esso è dunque uno di quei tre elementi di cui detto, già incontrati durante il primo viaggio nel gabinetto di riflessione nella fase pre iniziatica, ed è indicativo rilevare che lo si incontra anche nel Battesimo cristiano, che a parità di significato dovrebbe costituire, per i suoi aderenti, una sorta di Iniziazione rivolta però a dei piccoli misteri, così come a sua colta la Cresima, rivolta però ai grandi misteri.

Trovo perciò alquanto immorale e contrario allo spirito etico parlare di autolesionismo intellettuale, in un contesto per di più iniziatico, poiché ciò rappresenta un motivo valido per venir meno all’impegno solenne contratto all’atto dell’investitura iniziatica, che a tale fine è rivolta. Il quinto Titolo generale degli Antichi Doveri trovo, del resto, che si esprima abbastanza chiaramente a tale riguardo quando dice: “Gli uomini dell’Arte devono evitare ogni cattivo linguaggio e non chiamarsi fra loro con alcun nome spregevole, ma Fratello o Compagno; ed essere cortesi fra loro, sia dentro, che fuori dalla Loggia”. L’lniziazione, l’etica ed il comportamento sono, secondo me, strettamente correlati fra loro poiché la Prima costituisce la condizione determinante dell’etica, la quale è considerata come rapporto fra l’uomo ed il Divino ed esprime formalmente la Sua Volontà, che viene attuata con il comportamento. Vien da chiedersi, allora, come sarà questo rapporto, se buono oppure no, ed in che cosa consista.

A questo si potrebbe rispondere che è precostituito da un insieme di norme la cui corretta osservanza con il comportamento permette la conformità alla volontà del Divino.

Ma come si potrà parlare di corretta osservanza delle norme quando si fa sempre più strada, a ritrno incalzante, un prospetto unicamente disfattista e demolitore di esse? Quando tutto ciò che si vede attualmente mira unicamente alla loro totale inosservanza?

In tale modo i rapporti tra l’uomo e il Divino non possono che essere funesti, a causa delle bassezze in cui l’umana specie, pur con tanto di legge divina, si è lasciata trascinare. Quali giustificazioni allora per essa di fronte al Divino, quando i mezzi sussistenziali per la sue elevazione al Sacro Cospetto non le mancavano?

Tutto si sarebbe potuto risolvere, ed ancora non è troppo tardi, con un po’ di buona volontà.

TAVOLA  SCOLPITA  DAL  FR .’. L. Orlnd,

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2 INIZIAZIONE, ETICA, COMPORTAMENTO

2  INIZIAZIONE, ETICA, COMPORTAMENTO

Nell’affrontare il tema proposto mi viene più semplice invertire l’ordine dei termini, cominciando cioè dal comportamento e poi, attraverso l’etica, arrivarE all’iniziazione. Questo perché, in tal modo, mi sembra di ripercorrere una strada nota, già fatta, quella che mi ha condotta alla Pedemontana.

Il comportamento, cioè l’agire quotidiano, è la prima molla attraverso la quale si determina in “individui qualificati” una sorta di insofferenza esistenziale verso il conformismo e la vacuità della vita ordinaria; dall’insofferenza si passa facilmente all’insoddisfazione e l’insoddisfazione porta alla ricerca di qualcosa di diverso su cui confrontare e valutare la propria esistenza.

Se questo è vero sorge però subito una questione e cioè che il comportamento di un “individuo qualificato” dovrebbe differire già in modo sensibile da quello degli altri individui. Il modo di condurre la propria esistenza, il modo di pensare, l’approccio con il mondo non possono essere gli stessi di coloro che fanno del conformismo e della vita ordinaria la loro sola ragion d’essere. Citando le scritture questo “individuo qualificato” è colui che non da scandalo in un modo in cui lo scandalo è necessario.

Se volessimo tentare di dare una risposta al quesito potremmo dire che il comportamento di un “individuo qualificato” è quello di essere guidato da una “MORALE” che può essere religiosa o laica, ma è comunque un insieme di regole che si adattano ai tempi, ai luoghi ed alla cultura di un determinato periodo storico.

Sono comportamenti ispirati dall’ esterno e che fanno presa sulla mente.

Parrebbe, a questo punto, che la strada per questo “individuo qualificato” potrebbe essere quella dell’exoterismo, della pratica religiosa soprattutto se possiede il dono della fede. Solo successivamente, e ribadisco solo successivamente, qualora le risposte religiose non siano più sufficienti, potrà incamminarsi sulla strada dell’iniziazione,

Già perché i comportamenti dell’iniziato dovrebbero far riferimento ad una “ETICA” universale che, in quanto tale, è immodificabile nel tempo e nello spazio.

Sono comportamenti ispirati dall’interno e che fanno presa sul cuore.

Cari Fratelli, provate a pensare, ad esempio, come diverso può essere, a seconda delle due impostazioni descritte, il rapporto con il denaro od il senso da dare alla vita ed alla morte.

Intuisco che il Fratello Lino sorride sotto i baffi a sentir parlare di etica e di morale in termini contrapposti e debbo dirvi, cari Fratelli, che. la sensazione che tutte queste

siano solo “parole” è viva anche in me, ma mi chiedo e vi chiedo quale altro “comportamento” sia necessario tenere quando sappiamo che il nostro “lavoro” è costituito essenzialmente da parole? Se avessi usato al posto di morale ed etica, ad esempio, punto di vista profano e punto di vista iniziatico sarebbe stato molto diverso?

Ma poi scopro che non sempre le parole sono opinabili e creano trabocchetti; basta ricordare una frase della BHAGHAVAD-GITA in cui il senso dell’iniziazione è racchiuso in pochissime righe:

“Colui che abbandona ogni attaccamento ai frutti dell’azione è sempre in pace, per cui non cerca rifugio in nessuna cosa”.

Provate ora ad applicare, o meglio, ipotizzate di poter applicare tale regola a tutte le cose che ci siamo detti e forse sarà più facile capire la differenza fra ciò che si è e ciò che si dovrebbe essere, fra contingente e universale, fra etica e morale, e si può forse tentare di concludere dicendo che, probabilmente, non è la strada che è difficile da percorrere; difficile è fare il primo passo.

TAVOLA  DEL  FR.’.  G. F. Cmmrcc,

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