IL MIO AMICO

II mio amico

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

Il mio amico sta a letto con un pappagallo, intendo quell’affare che serve per pisciare.

Il mio amico sta sdraiato sulla schiena e guarda nel vuoto. Ogni tanto lo girano su un fianco per lavarlo. Qualche ora al giorno lo mettono in carrozzella e lo portano alla sua vecchia scrivania, così può leggere il giornale. Difficile altrimenti, quando si dispone di una mano sola.

Una volta il mio amico era forte. Ha fatto quasi tutti i 4000 della Val d’Aosta. Era anche un dirigente industriale. Un giorno il suo cuore ha fabbricato un trombo arterioso, che è andato a fermarsi nel posto sbagliato. Ha passato tanto tempo in un centro di riabilitazione, con poco miglioramento. Era già vedovo e adesso non ha molta compagnia, ma c’è una buona donna che lo accudisce, contro ragionevole compenso.

Il mio amico non è musulmano, bensì cattolico, e il suo pianto comunque non è un piàlnto mistico di questo tipo. È il pianto disperato di un uomo che pensa quel che è stata la sua vita, quello che è e quello che sarà.

A tratti conversa piacevolmente, ma poi improvvisamente può avere una crisi di pianto. C’era una mistica musulmana, Rabi’a, della quale i biografi dicono che piangeva sempre. Un giorno le fu chiesto perché piangi? Di quale dolore ti lamenti? Rispose: “Ahimè, la mia malattia è tale che nessun medico può guarirla: l’unica medicina è la visione di Dio”.

È il ricordo del mio amico che mi ha ispirato queste riflessioni sull’eutanasia. Se il mio amico mi chiedesse di portargli una pastiglia letale, so che seguirei il mio impulso, e gliela porterei. Ma lui non lo fa, forse perché è cattolico, o forse per qualche altro motivo. Forse la vita gli riserva ancora sufficienti gratificazioni (quali gratificazioni?). Forse la vita è un’abitudine dalla quale non siamo capaci di staccarci.

Non so se il mio atteggiamento sia giusto. Forse no, ma vorrei mi dicessero qualcosa di più convincente della solita banalità che “la vita è sacra” (chi l’ha detto? Non il popolo, che la “dissacra”, diciamo così, da sempre, non i grandi iniziati, non i fondatori delle religioni, non Abramo, né Gilgamesh, né Mosè, né Pitagora, né Platone).

Ma noi siamo degli iniziati, e dovremmo cercare di porci il problema in un’ottica iniziatica. Allora i criteri sono altri, e non possiamo accontentarci della solita formula stereotipa. Dovremmo chiederci cosa è vita, e che cosa è via iniziatica, e che cosa ci aspettiamo al terrnine di questa via. Cosa vale la vita? Ho detto il mio atteggiamento nei confronti dell’amico profano. Ma cambierebbe se fosse un iniziato?

Anni fa, insieme al fratello Silvano, ci eravamo posti un problema solo apparentemente diverso da quello del quale sto parlando, ispirato a entrambi dalla stessa situazione, quella di avere un padre in avanzato rimbecillimento. Una cosa è avere un’idea solamente teorica del rimbecillimento, una cosa è toccarlo, conviverci. Avevamo fatto una tavola a quattro mani ed ecco cosa scrivevo nel mio contributo:

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“Guardando allo spettacolo del decadimento, diciamo pure dello sfacelo fisico e soprattutto mentale indotto dalla vecchiaia, l’iniziato si chiede: ma allora che ne è, che ne sarà delle conquiste spirituali che vado faticosamente cercando, della strada che vado percorrendo, dei miei piccoli passi, del mio sforzo di perfezionamento? È tutto questo registrato in modo effimero, come nella memoria labile di un calcolatore, che si svuota quando stacco la corrente?”

“Che cosa è realizzazione iniziatica? E un cambiamento ontologico? È solo un progresso, magari un salto di qualità, delle nostre facoltà conoscitive?”

“Cosa si deve pensare del vecchio massone che rincoglionisce? Si deve pensare che ha fallito nella sua ricerca? L’Illuminato, lo Svegliato dovrebbe sfuggire alla decadenza. Dovrebbe scegliere, o almeno prevedere il momento della morte. La tradizione ci insegna che questo è successo solo a pochissimi santi ed illuminati”

“O forse invece il rimbecillimento è un dono divino. La molta conoscenza è un fardello, e perderla è necessario. In termini alchemici, anche essa deve putrefare”.

Eccetera eccetera.

La morte, quella morte, la morte del mio amico per intenderci, sarebbe solo l’ultimo atto del decadimento. Ecco allora il nesso tra l’eutanasia e il mio problema di anni fa. È tutto registrato in modo effimero, come nella memoria labile di un calcolatore? mi chiedevo quella volta. Molto dipende dalla risposta che diamo a questa domanda. Se la risposta è positiva, non ho dubbi: fornirò la pastiglia all’amico che me la chiede. Sono sicuro di non rubargli niente. Ma forse invece gli rubo quel dono divino, quel passaggio alchemico del quale parlavo.

Ciascuno può scegliere la sua risposta, e farne discendere una certa valutazione morale e, quando il caso si ponesse, una scelta di comportamento. Importante è che l’iniziato si ponga il problema, e cerchi di inquadrarlo correttamente.

A proposito, il problema si può porre in termini di carità e si può porre in termini di conoscenza, ma non, io direi, in termine di morale. A un certo punto in questa tavola la parola “morale” è comparsa. Non so se abbia fatto a voi la stessa impressione che ha fatto a me. Un’impressione di “fuori luogo”. Ma questo aprirebbe un altro discorso, e questa sera desidero non andare oltre.

R. scch, 3 Marzo 1994 e . ..v..• (1 0 Grado)

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IL PREGIUDIZIO EVOLUZIONISTICO

IL PREGIUDIZIO EVOLUZIONISTICO

Premessa

Considero questo un argomento di importanza del tutto particolare poiché ritengo che il pregiudizio evoluzionistico svolga nel mondo moderno una precisa quanto nefasta funzione: quella di dirottare ogni possibile ricerca della spiritualità nella direzione sbagliata.

Questo perché chiunque voglia ricercare e conoscere la propria natura profondo, quindi spirituale, deve volgersi verso la propria origine, e non viceversa, cercando di risalire a ritroso il corso della manifestazione. Questo è il percorso del viaggio iniziatico (che mi sento di definire “il Viaggio” per eccellenza) di cui, come tutti i viaggi, è indispensabile innanzi tutto conoscere la direzione E evidente che più procediamo nella manifestazione, più ci allontaniamo dall’Origine, in regioni meno ricche di spiritualità e in cui si accentua la possibilità di deviazioni e di errori. Pensare di trovare nel presente o nel futuro un’evoluzione o un miglioramento rispetto al passato è, quindi, commettere un chiaro errore di valutazione.

Alcune considerazioni sui pregiudizi in generale

Mentre i giudizi sono il frutto di un lavoro di sintesi che effettua ogni individuo, per mezzo di intuizioni intellettuali prima, ed operazioni razionali poi, i pregiudizi nascono da influenze e da suggestioni che gli esseri ricevono in modo passivo dall ‘ambiente.

Essi si insinuano favoriti da un offuscamento e da un intorpidimento delle capacità discriminative (che può essere transitorio o anche durare per una vita intera, come spesso disgraziatamente avviene) grazie all’ingerenza di elementi di natura sentimentale e passionale nella sfera intellettuale.

Questo processo non è esente naturalmente da responsabilità personali. La pigrizia mentale svolge un ruolo di primo piano, favorita dalle tendenze alla passività e dalla mancanza di desiderio di verità che caratterizzano oggi disgraziatamente la maggior parte degli individui.

Ci si può chiedere legittimamente da dove provengono i pregiudizi. La risposta non può che essere netta: sono le correnti di pensiero controiniziatiche che se ne servono per formare la mentalità delle masse, che potranno poi influenzare e dirigere con maggior facilità.

I meccanismi con cui i pregiudizi vengono inculcati sono ben congegnati: suggestioni esercitate con tutti i mezzi di comunicazione; affermazioni presentate come conquiste sociali del pensiero facendo appello alla cultura ufficiale e ai suoi rappresentati; procedimenti discorsivi (libri, conferenze, congressi, ecc.) realizzati da presunti specialisti che lasciano, in un pubblico normalmente impreparato, impressioni di grande razionalità e intellettualità.

Un grosso ruolo in questo processo lo svolgono gli obblighi a cui è sottoposto l’uomo moderno per adempiere a quelli che potremo definire “doveri sociali” con infinite complicazioni di carattere burocratico e formale la cui osservanza conduce ad enormi perdite di tempo e di energie. In parallèlo, troviamo le tentazioni, innumerevoli, che vanno dalla televisione, agli spettacoli sportivi, alla pornografia, alla droga, ai mille richiami della pubblicità.

Questo autentico bombardamento psichico conduce al risultato di assorbire l’attenzione degli individui, ne affievolisce le capacità critiche, orientandoli verso scopi che nulla hanno a che vedere con la spiritualità, rinchiudendoli così in un autentico letargo intellettuale.

Quando i pregiudizi acquisiscono una particolare cronicità, oppure diventano fenomeni collettivi investendo intere popolazioni e caratterizzando dei periodi storici, li si può definire “superstizioni”. In questo senso René Guénon nella sua opera “Oriente e Occidente”, capitolo “La superstizione della scienza”, traccia magistralmente il quadro di uno dei pregiudizi che caratterizzano la mentalità modema. Così egli si esprime: “La civiltà occidentale ha, fra le altre pretese, quella di essere essenzialmente scientifica; sarebbe opportuno precisare meglio che cosa si intenda con tale parola, ma di fatto questo generalmente non si fa, poiché essa è una di quelle a cui i nostri contemporanei sembrano annettere una sorta di potere misterioso, indipendentemente dal loro significato. La Scienza, con la maiuscola, come il Progresso, la Civiltà, il Diritto, la Giustizia e la Libertà, è anch’essa una di quelle entità che è meglio non cercare di definire e che rischiano di perdere tutto il loro prestigio non appena si incominci ad esaminarle un po’ troppo da vicino. Tutte le cosiddette conquiste, di cui il mondo moderno va tanto fiero, si riducono così a grandi parole dietro le quali non c’è nulla, o molto poco: suggestione collettiva, abbiamo detto; illusione che, per essere condivisa da tanti individui e mantenersi come fa, non può essere spontanea …”l

Il pregiudizio non fa distinzione di razza e di religione, di età e di cultura. Colpisce chiunque non abbia la sufficiente difesa da opporgli. Può esserci un pregiudizio religioso (da parte di chi, ad esempio, si applica troppo alla lettura di certi dettami trascurandone lo spirito) e può esserci il pregiudizio antireligioso, da parte di chi è prevenuto nei confronti della religione ed arriva a stravolgerne il significato. Si possono citare ad esempio correnti di pensiero quali il materialismo che nega l’esistenza delle realtà spirituali, o della psicanalisi che atfribuendo le realtà spirituali al subconscio arriva a negare la trascendenza.

Avviene così che chi considera una certa mentalità viziata da pregiudizi, può essere affetto da pregiudizi egli stesso; di qualità differente, ma sempre relativi allo stesso soggetto e con lo stesso effetto di distorcere la vera natura di ciò di cui si tratta.

Per comprendere la gravità degli effetti dei pregiudizi, basta osservare le ripercussioni che ha comportato la perdita della Tradizione da parte delle attuali società profane. Gli effetti credo siano visibili con facilità da chiunque! (Se dovessero servire delle conferme, sarebbe sufficiente sfogliare un qualsiasi quotidiano o accendere un apparecchio radio o televisivo, per avere l’idea del degrado a cui è pervenuta la società di oggi!).

Presupposti del pregiudizio evoluzionistico

Il pregiudizio evoluzionistico basa la sua ragione d’essere sul presupposto che dal meno possa scaturire il più: questo asserto di così vistosa assurdità è il perno su

Chi desiderasse approfondire la varietà dei pregiudizi moderni ne troverà esauriente trattazione nell ‘opera di René Guénon “11 regno della quantità e i segni dei tempi”

cui poggia tutta la teoria evoluzionistica. Un colosso dai piedi d’argilla, dunque? Evidentemente; ma grazie all ‘apparato che ne ha sostenuto e continua a sostenerne l’esistenza, riesce a sedurre molti spiriti, anche tra quelli animati dalle più sincere intenzioni.

Secondo questa teoria, il mondo vegetale scaturirebbe dal minerale, quello animale dal vegetale, l’uomo dalla scimmia, l’intelligente dallo stupido; gli organismi si adatterebbero alle modificazioni dell’ambiente in cui vivono grazie ad un lento e costante mutamento del patrimonio genetico, reso possibile dal trascorrere di un numero inverosimile di anni. Si fa appello alle leggi del caso, alla selezione naturale, escludendo I ‘intervento di una qualsiasi intelligenza ordinatrice.

Le ragioni del successo

Questa teoria di così chiara audacia e illogicità non è sicuramente frutto del caso; come già detto i pregiudizi non nascono mai soli; essa difatti, una volta accettata, consente all’uomo di “liberarsi” dall’idea di Dio e quindi dall’obbligo etico e metafisico di sottomettersi a Lui. Questo spiega il successo incontrato dall’evoluzionismo ai suoi tempi (sembra che quando Darwin pubblico il primo dei suoi libri sull’argomento “l’origine della specie” nel 1859, la prima edizione andò esaurita in un solo giorno). Era esattamente ciò che la borghesia di allora aspettava per potersi meglio esprimere, eliminando dei freni inibitori. Da quel momento, qualunque iniziativa si giustificava in funzione di un ipotizzato quanto certo perfezionamento futuro, cosa che rendeva più accettabili a tutti rinunce e sacrifici (spontanei o imposti); un invito a produrre (industria moderna con gli aspetti quantitativi che ben conosciamo e con la negazione dell’antico mestiere visto come mezzo di realizzazione spirituale – la Massoneria operativa tra questi) e a creare sistemi di pensiero che dovevano essere per definizione più evoluti di quelli precedenti. Era il germe della teoria del superuomo e la sconfitta delle antiche tradizioni, destinate a diventare, da quel momento, pure superstizioni del passato! Complice tutt’altro che trascurabile la soddisfazione di sentirsi uomini evoluti e perfezionati, al cospetto dei quali gli antichi apparivano come dei poveri imbecilli!

Tutto ciò quando è noto, da fonti scientifiche stesse, che la probabilità che una modifica casuale del patrimonio genetico rappresenti qualcosa di positivo per un essere vivente e non una semplice aberrazione o malformazione, è praticamente inesistente (qualcuno ha scritto che corrisponde alla probabilità che il vento, passando per un deposito di rottami, monti i pezzi di un’automobile!).

Le posizioni antitetiche delle dottrine tradizionali

Sulla base delle dottrine tradizionali si può dire invece che ogni specie è caratterizzata da un insieme di qualità le quali, una volta manifestate, possono essere trasmesse alla propria discendenza, ma non possono essere alterate, salvo pregiudicare la sopravvivenza della specie stessa.

Inoltre, le possibilità che si manifestano per prime in ordine temporale sono quelle di ordine superiore poiché è la manifestazione che si irradia da Dio, analogamente alle onde concentriche di un sassolino caduto nell’acqua. Poiché le prime forme manifestate sono quelle più vicine al Principio, è evidente che riceveranno maggiormente la sua influenza (spirituale), rispetto a quelle che verranno manifestate in tempi successivi.

Psicologia dell’evoluzionista

Chi è affetto dal pregiudizio evoluzionistico è convinto che l’uomo di oggi vive una vita qualitativamente progredita, risultato di un perfezionamento e di una evoluzione tuttora in corso, il cui fine, ammesso che esista, riserverà all’uomo gioie immense.

Interpreta le contraddizioni che emergono dal confronto con la realtà come dei trascurabili incidenti di percorso; un inevitabile prezzo da pagare per chi è in lotta per il proprio perfezionamento. Accetta con supina rassegnazione la vita frenetica di oggi: la delinquenza, la corruzione, la disoccupazione, lo stato di malattie diffuse grazie, altre che allo stress, all’alimentazione sbagliata e all ‘inquinamento dell’ambiente; la mancanza di un’etica che non sia il proprio tornaconto individuale; le divisioni e i disaccordi dovuti alla mancanza di principi comuni, che vanno dalla sfera della famiglia, a tutti i centri detentori di potere, alla società intera.

Tutto questo (l’elenco potrebbe continuare a lungo) viene giustificato in nome dell ‘evoluzione.

Credo si possa legittimamente esclamare: potenza del pregiudizio!

L’evoluzionismo in Massoneria

Mi soffermerò ora sulle ripercussioni (e sulle contraddizioni) che emergerebbero se il pregiudizio evoluzionistico venisse applicato in seno alla nostra Istituzione.

Perché parlare ancora in questo caso di Tradizione in generale, e massonica in particolare, dal momento che questa ci perverrebbe attraverso uomini inferiori a noi? Che senso avrebbe inoltre:

  • ricercare la parola perduta?
  • ricercare le proprie origini?
  • ricercare il significato dei simboli trasmessici?
  • attenersi al Rituale, cercando di conservarlo e di interpretarlo, vivificandolo nella sua integrità?

Conclusioni

Le considerazioni sopra riportate dovrebbero essere sufficienti a chiunque per vanificare il pregiudizio evoluzionistico. Il primo passo consiste sicuramente in una presa di coscienza.

Ma chi ne è affetto, vorrà o saprà farlo?

TAVOLA  DEL  FR.’. R. My,

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EVOLUZIONISMO

EVOLUZIONISMO

L’evoluzionismo, in una qualche sua forma, è la dottrina ufficiale della moderna biologia e, potremmo quasi dire, del moderno pensiero scientifico. Non è una teoria scientifica. Infatti, ha ricadute che investono il problema di fondo di ogni iniziato: chi siamo, dove andiamo, donde veniamo.

In realtà, la parola “evoluzionismo” viene usata per designare due cose molto diverse, che sono una scientifica, figlia del dott. Charles Darwin, e una ipotesi speculativa.

Cominciamo dalla prima. È basata sullo studio dei fossili, ed è la teoria secondo la quale, all ‘interno di ogni gruppo di organismi animali o vegetali, si riconoscono dei cambiamenti sviluppatisi col passare del tempo (e fin qui è semplicemente un dato di osservazione), cambiamenti che paiono andare nel senso di una maggiore adattabilità all’ambiente, e quindi di una maggiore probabilità di sopravvivenza. Di solito vanno anche nel senso di una crescente complessità, ma non necessariamente: non mancano organismi semplici e perfettamente adattati, che esistono da un tempo lontanissimo, e non hanno subito nessuna evoluzione. L’evoluzionismo che ho definito “scientifico” è tutto qui. La constatazione sulla quale si basa non è contestata da nessuno che prima abbia passato qualche ora a guardare i fossili in un museo di scienze naturali.

La teoria comincia quando si passa a proporre meccanismi evolutivi. Vorrei ricordarne almeno uno, quello delle catastrofi successive, perché è storicamente interessante. Sappiamo che nella storia della Terra migliaia e migliaia di specie animali si sono estinte, presto sostituite da altre. Secondo l’ipotesi catastrofista, che attualmente gode di molto credito, queste estinzioni sarebbero state determinate da eventi catastrofici e in particolare dall’impatto della Terra con grandi meteoriti. La possibilità di questo scontro era già sostenuta alla fine del 1600 dall’astronomo Halley (quello della cometa) in contrasto con Newton. La ragione dell’opposizione di Newton, secondo alcuni storici era probabilmente di opportunità, o se si preferisce di opportunismo. Per la chiesa, quel tipo di catastrofe era paragonabile alle “cause prime”, e quindi la teoria era da condannare come eretica. Meglio non correre rischi. Era ancor fresco il ricordo della vicenda di Galileo.

Qualunque sia il modello adottato, resta comunque il fatto che il prodotto di un processo evolutivo a priori non va pensato né migliore né peggiore di quel che lo ha preceduto. Sarà semplicemente più adatto a sopravvivere. In un sistema naturale, Mike Tyson ha una probabilità di sopravvivere certo superiore a quella di Madre Teresa di Calcutta.

Fin qui l’evoluzione delle forme di vita che conosciamo, perché ci sono state conservate allo stato fossile. Uno può chiedersi quale è stata la storia della vita più antica ed addirittura la storia pre-biotica, cioè anteriore alla vita, ed è qui che comincia l’altro evoluzionismo, quello che ho chiamato speculativo, perché non è più basato su una documentazione scientifica, ma solo su ipotesi. Utilizzando in modo discutibile una logica evoluzionista, qualcuno è arrivato alla conclusione che l’apparizione della vita è stata determinata da processi perfettamente casuali. Collisioni di atomi sono andate producendo molecole e composti via via più complessi, fino alle grosse molecole dei composti organici e fino agli amminoacidi che sono, per così dire, i mattoni costitutivi delle cellule viventi. Questa teoria è oggi contestata anche su base scientifica, come vedremo.

II meccanismo dell’evoluzione può prescindere da un creatore, anche se non è necessariamente cosi (Darwin stesso era credente). Per questo motivo l’idea è stata considerata empia, e scomunicata da tutte le chiese, come è ben noto.

Interessante la storia recente di questa polemica, quale si è sviluppata negli Stati Uniti, dove esiste una attenzione molto forte per le problematiche che investono aspetti etico-religiosi. Ebbene, c’è tutta una corrente di opinione la quale non ha mai accettato che, nella scuola, l’insegnamento delle scienze lasci spazio solo all’ipotesi evoluzionista, e che non venga parallelamente proposta anche quella creazionista.

Fin che tale istanza è stata portata avanti su base di fede religiosa, per gli oppositori è stata facile respingerla, anche semplicemente facendo appello alla ben nota laicità della costituzione degli Stati Uniti. Ma ora viene portata avanti in modo assai più “insidioso” (come dicono gli avversari), e cioè su base scientifica. II concetto (di per sé vecchissimo, ma ora argomentato scientificamente) è che taluni aspetti dei meccanismi biologici sono di tale perfezione e complessità, da rendere impossibile una loro origine casuale: devono quindi essere il prodotto di un “progetto intelligente” (è questo il nome dato al modello). L’esempio che viene fatto più comunemente è quello dell’occhio: un apparato capace di prestazioni così straordinarie, che il più perfetto prodotto della nostra tecnologia ottica non riesce nemmeno a avvicinarglisi.

Quanto alla evoluzione pre-biologica, o comunque a livello molecolare, esiste una critica al modello, che ho già citato in un articolo su Hiram (1993, n. 5). In una semplice proteina, composta da un centinaio di amminoacidi, i modi in cui essi possono combinarsi sono dell’ordine di IO elevato alla centotrentesima, ovvero un numero inimmaginabilmente alto. La possibilità che una proteina si formi in modo casuale è quindi così bassa da risultare “miracolosa”. E una cellula anche primitiva, per funzionare, deve possedere qualche migliaio di proteine appropriate. Per arrivare all ‘Uomo occorre una serie di miracoli, ma allora il biologo credente commenta che, miracolo per miracolo, preferisce tenersi i suoi.

Gli studiosi che dedicano tempo ed energie alla confutazione di queste obiezioni sono soprattutto i genetisti. La contro-obiezione è che l’esistenza di un “progetto intelligente” potrebbe ritenersi provata se il nostro DNA, ovvero il disegno del progetto, fosse perfetto. Il che non è. La mappa del DNA, se pure ancora imperfettamente conosciuta, ci rivela che esso è pieno di geni i quali sono praticamente dei rottami biologici. Infatti, non hanno nessuna funzione, proprio come se fossero il frutto di esperimenti evolutivi falliti. Questi “pseudogeni” si spiegano quindi in una logica evolutiva, mentre è impossibile attribuirli a un “progettista” di suprema intelligenza. Vi risparmio la ricca esemplificazione genetica.

Argomenti analoghi vengono portati anche a livello fisiologico. Ad esempio, la splendida struttura dell’occhio dei vertebrati (noi compresi) ha un “difetto di progettazione”: l’apparato neuronale sta davanti ai fotorecettori, così opacando la visione. Per fare un paragone automobilistico, è come se ci fosse un tergicristallo messo dentro l’auto invece che fuori. Questo difetto (assente in organismi inferiori) si spiega (dicono i fisiologi) su base evoluzionistica. Invece, un buon progettista avrebbe disegnato l’occhio in un altro modo. Personalmente, mi sentirei di avanzare una contro-contro-obiezione, e cioè che se c’è un “progettista intelligente”, è così supremamente intelligente da aver fatto un progetto nel quale entrano anche i nostri limiti di comprensione.

La controversia americana è riassunta in un articolo di un biologo (Kenneth R. Miller in ‘Technology Review”, edizione italiana, n. 68-69, 1994), il quale sostiene che gli argomenti antievoluzionisti non hanno validità scientifica. Ma vale la pena di riportare la chiusa dell’articolo.

“Chi è profondamente religioso può guardare all’evoluzione non come a una sfida, ma come alla vera dimostrazione della potenza e dell’ingegnosità del Creatore. La vastità e le implicazioni dell’evoluzione non possono che amplificare il senso di ammirazione per un creatore che ha saputo mettere in moto un simile meccanismo. Forse il grande architetto dell ‘universo (notare il linguaggio! n.d.r.) non si è curato di scrivere ogni singola base acida del DNA nel genoma umano, ma ciò non toglie nulla alla sua incredibile intelligenza”.

A questo punto ci si può porre una prima domanda, e cioè: c’è conflitto tra evoluzione e fede religiosa? La risposta di Miller, è chiaramente negativa. Ma il conflitto era negato da Darwin stesso che , nell”‘Origine della Specie”, scriveva:

“Grande è la maestosità di questa visione della vita, con i suoi molteplici poteri, insufflata dal Creatore in poche o forse in una sola forma; e che, mentre il nostro pianeta girava in accordo con le sempiterne leggi della gravità, si è evoluta e continua ad evolversi, da un si umile inizio, in una infinità di forme, tra le più splendide e meravigliose”.

Che l’evoluzione possa essere vista come il mezzo della creazione, è anche la posizione di almeno una corrente di pensiero della Chiesa di Roma: quella semieretizzante di Theilard de Chardin. Ma ecco allora la seconda domanda. È compatibile l’evoluzionismo con una visione tradizionale, e diciamo pure massonica?

In tutte le tradizioni compare in una qualche forma il mito della Perfezione degli Inizi, secondo il quale lo stato attuale rappresenta una caduta da uno stato edenico. Si parli di Paradiso Terrestre, o di Età dell ‘Oro, o di Krta Yuga, la diversità dell’espressione simbolica non nasconde la unicità della visione. Il traguardo di perfezione al quale la ricerca mira è appunto la restaurazione di quello stato edenico, o l’inizio di un nuovo ciclo. L’adepto ricerca il Graal, la Gerusalemme Celeste la Pietra Filosofale, la Parola Perduta.

E chiaro quindi che c’è incompatibilità se con “evoluzione” si intende qualcosa come “progresso”, ma questa è solo la visione marxiana. A questo proposito c’è un passo di Darwin molto significativo, che ho trovato citato in uno scritto di Ceronetti. Dice così: “Le nostre facoltà sono più adatte a riconoscere la meravigliosa struttura di uno scarafaggio che di un universo. E l’intelletto dell’uomo non è diventato superiore a quello dei Greci: questo va contro l’idea di uno sviluppo progressivo. L’intelletto dell’Uomo può degadarsi, ridursi a funzioni miserabili e automatiche. Nella mia teoria non c’è alcuna tendenza assoluta al progresso”. Davvero, non trovo niente di antitradizionale in queste parole. Che sono di Darwin, non di qualche mediocre suo interprete o adepto.

E comunque c’è un altro aspetto che è il più importante. Io penso che incompatibilità non c’è, in quanto i concetti della Tradizione e quelli della Scienza si collocano in due diversi sistemi di riferimento. La scienza è un linguaggio con la sua grammatica e la sua sintassi: si basa pertanto su convenzioni, che sono tuttavia perfettamente compatibili con i nostri apparati neuronali, e bene funzionali per una lettura del mondo fisico, e per soddisfare le nostre necessità.

Le verità della Tradizione sono invece atemporali e qualitative. Sono la descrizione di un altro aspetto del reale. Quando ne facciamo oggetto di calcoli e di datazioni, che vogliamo inserire nell’altro sistema di riferimento, il marchingegno non funziona. Per usare una moderna metafora, un sistema lavora in DOS e l’altro in Macintosh.

Se le tradizioni mi dicono che in illo tempore c’era uno stato edenico, ha senso che mi chieda in quale tempo e in quale luogo? Qualcuno mi dice che il Kaly yuga dura 1800 anni. Qualcuno mi dice che la “Notte di Brahma” dura 20 milioni di anni. E veramente importante mettersi ad analizzare se questi due dati sono compatibili, e se ci soddisfano su base storica? Per me, no. Se mi pongo in questa ottica, concludo che la Tradizione non è in conflitto né con l’evoluzione né più generalmente con la scienza moderna.

In chiusa di questo articolo, vorrei tornare al biologo Miller, al suo dio e alla chiusa del suo articolo.

Quel creatore che il biologo chiama “Grande Architetto” può andar bene. Ha perfino un profumo massonico.

Non muove né amore né odio.

Per quel dio nessuno ucciderebbe.

Ma conta?

E conoscibile?

È adatto a concedermi la Grazia?

Come si pone in confronto al dio sanguigno di San Pio V e del Vecchio Testamento, per il quale uomini uccidevano?

Sono tutte domande alle quali ogni massone può rispondere come gli piace, senza uscire dalle pietre di confine. Deo Gratias.

TAVOLA DEL FR.’. R. Scch,

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LO SCIMMIONE NUDO

LO SCIMMIONE NUDO

Il titolo è l’argomento di questa tavola mi sono stati suggeriti da due eventi distanti tra loro nel tempo, ma che adesso si sono ravvicinati pur mantenendo una diversità (e gravità) enormi.

Il più siglificativo, sono i fatti di guerra alle nostre porte che in modo così ripetitivo, eclatante, tragico, ci porta nelle case i suoi echi.

Sarebbe riduttivo però parlare di quanto sta accadendo a noi senza ricordare ai Fratelli che di guerra (palesi od occulte) se ne stanno svolgendo più di cento, attualmente, nel mondo.

Il secondo evento, remoto, è che i fatti di cui ho accennato mi hanno fatto tornare in mente un testo dell’antropologo Lévy Strauss intitolato appunto “La Scimmia Nuda”.

Perché proprio adesso la mia mente ha collegato uno scritto con ciò che mi accade intorno?

Non sono sicuro di saperlo, Fratelli: spero di avere le idee più chiare con il vostro aiuto.

Cercherò di rendere sintetico un volume che ricordo piuttosto corposo.

L’antropologo afferma che esistono centosessantacinque specie di scimmie viventi, con coda o senza coda.

Di queste, centosessantaquattro sono coperte di pelo.

Unica eccezione uno scimmione nudo che si è autonominato “homo sapiens”.

Con l’autoimposizione del nome scelto, la scimmia nuda vuole rivelare anche il proprio carattere. Vuole mostrare una immagine di sé positiva, accattivante.

Le qualità negative le passa sotto silenzio. Mal che vada, sostiene che non sono sue, ma degli altri.

Perdendo il pelo gli uomini hanno acquisito un vizio: l’ipocrisia.

Chi è il responsabile di tutto il male che facciamo?

Le risposte sono sempre pronte e ce n’è una per ogni occasione: gli dei, il fato, la natura, la storia, la classe sociale … ciascuno può adottare quella che crede. Ma soprattutto il responsabile è il “Nemico”. Non noi, noi siamo buoni.

Esistono nemici buoni?

La risposta è che tutti gli uomini sono buoni a patto che siano uguali a noi.

Un gorilla (con il pelo) meno presuntuoso riconosce sempre un altro gorilla, un suo simile.

La scimmia nuda, invece, può vedere in un ‘altra scimmia nuda tutti quei difetti che non può ammettere di avere lei stessa. Perciò le nega la qualità di homo sapiens. La chiama: barbaro = diverso.

Barbari sono gli altri popoli, altre razze, ma anche i tifosi della squadra avversaria, chi non ci dà precedenza nel traffico, chi ha il colore della pelle diverso …

Barbari sono altri popoli, quelli che pretendono da noi comprensione, solidarietà.

Se l’altro non è più considerato uomo, appartiene ad altra specie e quindi ci sentiamo autorizzato ad ucciderlo, a fargli guerra.

Dopo, ci convinciamo che è (o meglio, era) lui il responsabile del male che ci affliggeva. Essendo noi gli uomini è nostro diritto conquistare il mondo e questo ci autorizza ad eliminare i nostri nemici.

Tutto contro il male ed in Nome del Bene.

Cosa fare?

Fratelli, noi tutti viviamo una vita profana in cui giornalmente siamo cosfretti a delle scelte, delle opzioni; veniamo in contatto con altre scimmie nude.

Le nostre azioni, le nostre scelte sono (alcune volte dovrebbero essere) guidate dalla nostra condizione di Massoni.

I concetti di tolleranza, fratellanza ed uguaglianza di cui ci sentiamo portatori sono dei concetti reali.

Messi di fronte a fatti della cui gravità spero siamo tutti consapevoli, cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo operare?

La forza di questi eventi e la volontà che li promuove, sono modificabili, migliorabili, influenzabili ricorrendo esclusivamente all’assiduo lavoro di miglioramento di noi stessi e facendo sì che questo influenzi “QUESTO” mondo?

Operare “per il bene ed il progresso dell’Umanità” può voler significare qualcosa di diverso?

La stupidità umana, mascherata dal passaggio casuale e non continuo di grandi idee, grandi uomini, grandi eventi mi fa sentire solo e con una fastidiosa sensazione di freddo.

Mi viene la tentazione di andare a cercare la pelliccia lasciata tanto, tanto tempo fa.

Mi trattiene la consapevolezza che senza la Massoneria, probabilmente, sarebbe peggio.

TAVOLA  DEL  FR.’. C. A.  Cst,

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SCIENZA E CONOSCENZA

SCIENZA E CONOSCENZA

Maestro Venerabile e carissimi Fratelli,

si tratta di un argomento estremamente vasto, non ho pertanto la pretesa di essere esauriente, cercherò di proporre spunti e di esporre dubbi personali.

Possono le scoperte scientifiche aiutare la ricerca di un individuo verso la Conoscenza?

La Ricerca esoterica e la ricerca scientifica procedono su due piani paralleli che non si incontrano mai?

Qualora dati scientifici siano in netto contrasto con conoscenze tradizionali dobbiamo rifiutarli a priori?

Vorrei parlare di quella fisica che, negli ultimi 70 anni, ha elaborato una visione della “realtà” estremamente affascinante. E un nuovo mondo dove si entra solo se si è disposti ad abbandonare concetti, schemi mentali che hanno costituito la base di molti nostri ragionamenti. Idee come spazio, tempo, materia, causa ed effetto, leggi universali sono state così radicalmente rivoluzionate da giungere ad affermazioni apparentemente assurde tuttavia sperimentalmente ineccepibili.

E oramai completamente scomparsa la visione perfetta e meccanicistica della fisica di Newton basata su particelle solide ed indistruttibili che si muovono nel vuoto.

Secondo la fisica attuale, quando scendiamo a livello subatomico le cose non sono ben distinguibili: le particelle non sono più considerate come i più piccoli componenti della materia, immutabili, legate alle altre particelle da leggi universali e come tali dal comportamento prevedibile.

Tali particelle sono rappresentate come una forma particolare di energia; ovvero, suddividendo la materia in elementi sempre più piccoli, non si giunge, come pensava Newton, a corpuscoli simili a palle di biliardo o a granellini di sabbia. In realtà, si ottengono particelle in grado di trasformarsi in un “miliardesimo” di secondo in energia (quindi a massa zero ) e di ritrasformarsi in massa in un secondo tempo.

Questi processi di “creazione” e di annichilazione della materia furono previsti da Dirac negli anni 30 e, da allora, sono stati osservati migliaia di volte.

Il cambiamento non riguarda soltanto il concetto di particella e quindi di materia, ma anche e forse soprattutto il concetto di vuoto.

Il vuoto non esiste, al concetto di vuoto si è sostituito quello di campo energetico; ovvero, quello spazio apparentemente privo di materia e quindi “vuoto” è in grado di generare materia “dal nulla” per diffusione di energia sia elettromagnetica o gravitazionale.

Attualmente è possibile considerare la materia come regione dello spazio nelle quali il campo energetico è particolarmente intenso.

Dunque i concetti classici di vuoto, materia, energia non esistono, non sono mai esistiti dipendono esclusivamente dalla illusione dei nostri sensi. In pratica si tratta di mera apparenza e non realtà.

Molto bene si potrebbe obbiettare ma cosa ci interessa?

A me questi dati, sebbene così mal espressi, hanno dato molto da meditare. Risulta evidente la dinamicità della realtà.

Tutta la materia è in continua costante modificazione. Le separazioni nette e definite tra materia, vuoto ed energia sono schematismi utili a spiegare gli avvenimenti semplici, ma non sono la realtà.

Il concetto che l’universo è una unità inseparabile tanto che, l’energia presente in ogni “campo” è direttamente legata all ‘energia presente ovunque, rende la “materia” assai meno arida e dotata di un interesse del tutto particolare.

Queste idee presentano elementi che prevaricano  la semplice scoperta scientifica, ma a mio parere rivestono importanza anche per un iniziato.

È ovvio che si tratta di piani differenti. Ma siamo proprio sicuri che tali piani non si incontrino mai?

“Alla Forza dell’Intelletto dovrete aggiungere la Bellezza dell’Immaginazione perché possa suscitarsi in voi l’intuizione che trascendc il Raziocinio …”.

“Le arti liberali di cui avete letto i nomi suggeriscono che la mente deve indagare liberamente in ogni campo della conoscenza, evitando qualsiasi dogmatismo limitatore …”.

Perché dunque ho trovato utili tali argomentazioni: in primis perché annullano qualsiasi tipo di preconcetto e presunzione di “conoscere” la realtà da parte della scienza.

Tale conoscenza come è noto non può essere né sensoriale né strumentale poiché la realtà finale è indescrivibile ed inconoscibile per via razionale ma, eventualmente, solo per via intuitiva.

La sostanziale interconnessione dell ‘universo. Tutto ciò che si è potuto studiare come materia (atomi, pietre, uomini, stelle) appare composto di pochissime particelle essenziali. Tuttavia tali particelle ed i fenomeni fondamentali ai quali prendono parte sono tutti in rapporto reciproco, interconnessi ed interdipendenti. Essi non possono essere compresi come entità isolate ma solo come parti integranti del tutto.

La possibilità di trasformazione materia/energia rende la realtà materiale assai effimera, illusoria ed inafferrabile. Soprattutto tenendo conto che tali aspetti vanno interpretati in modo dinamico: materia ed energia si mutano incessantemente uno nell’altro.

Trovo inoltre molto interessante la descrizione apparentemente caotica delle interazioni tra particelle, priva di quelle leggi fisse ed immutabili come piacevano ai positivisti dell’800. Il risultato finale di tale caos è in realtà una natura molto ordinata con stagioni che si susseguono, semi che macerano e germogliano, ghiacciai che si formano e si sciolgono …

“Ed Elohim vide tutto ciò che egli aveva fatto. Ed ecco che era molto buono”.

Seguendo le precedenti descrizioni, sembra difficile riconoscere in essa, quella materia bruta e malvagia che “imprigiona” lo spirito.

La riconosco più simile a quella materia che creata sostanzialmente buona compone la Natura. Lo studio di tale Natura, effettuato con scienza e coscienza senza dogmatismi limitatori, potrebbe permettere allo studioso di giungere ad una conoscenza più alta: quella del suo Creatore.

In questo ambito mi sembra ragionevole porsi una serie di domande. Ma noi esseri viventi e pensanti di cosa siamo fatti?

La separazione che noi tendiamo ad accettare tra corpo, mente e spirito è una separazione reale ed assoluta, o è una suddivisione di funzioni che definiamo così per migliore comprensione.

Cos’è l’Energia? Anche la fisica moderna a questo proposito è piuttosto vaga.

Come agisce sulla nostra mente, sui nostri pensieri, sulle nostre intuizioni?

Non voglio, ovviamente, introdurre il metodo scientifico in Massoneria, né affermare che l’unicità dell ‘universo è reale perché dimostrato dalla meccanica quantistica.

Al contrario sono d’accordo con chi constata che la descrizione della realtà, evidenziata dalla fisica di questo secolo, rassomiglia molto a quella descritta dalla mistica orientale.

“11 compasso, con la sua apertura variabile, esprime la possibilità di accrescere l’apertura della propria mente nella conoscenza di se stesso e dell’Universo

In questo ambito credo che conoscenze di questo tipo non vadano accantonate come false o inutili.

TAVOLA  DEL FR.’. S. Clnn ,  

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FICHTE – CHE COSA OPERA LA CULTURA MASSONICA NEL MASSONE

Che cosa opera la cultura massonica nel Massone: l’immagine dell’uomo maturo

Il nostro primo quesito sarà pertanto: che cosa opera l’Ordine nel Massone? Il secondo [invece]: quale azione esercita esso sul mondo? Mi stringerò in breve, e potrò così accontentarmi di [dare] fruttuosi accenni.

Se l’associazione non è interamente vana ce inattiva, colui che vi si trova deve però, senza dubbio, stia pure egli a quel livello della cultura che più gli talenta, avvicinarsi alla maturità assai più che non avrebbe fatto lo stesso individuo, fuori dell’associazione. Nel caso dell’uomo sveglio e pronto ciò vale anzi per ogni nuova relazione in cui egli entra. Io prendo qui maturità e pienezza di cultura

universalmente umana per termini equivalenti, e a buon diritto. La cultura unilaterale è sempre immaturità: quand’anche da una parte dovesse essere eccesso di maturità, dall’altra però sarebbe certamente, appunto a tal uopo, aspra e acerba immaturità.

Il principale segno distintivo della maturità è la forza mitigata dalla grazia. Tutti quei suoi potenti corrucci, quei larghi impeti e assalti sono le prime e anche necessarie tirate e scosse della forza che si sta sviluppando; ma  essi non si constatano più, dopo che è compiuto lo sviluppo e si è pienamente  realizzata la bella forma spirituale. O per dirla coi termini retorici della scuola: una volta venuta la maturità, l’ardita poesia si disposa alla chiarezza della mente e alla rettitudine del cuore, e la bellezza entra in connubio con la saggezza e la fortezza.

Questa è l’immagine dell’uomo maturo ed evoluto, qual io lo concepisco: la sua mente è del tutto chiara e libera da pregiudizi d’ogni specie. Egli signoreggia il regno dei concetti e stende il suo sguardo sul dominio della verità umana più lungi ch’è possibile. Ma la verità è per lui, interamente, soltanto una, solo un tutto unico e indivisibile; nessuna parte di essa egli antepone ad un’altra. Anche la stessa cultura dello spirito è tuttavia per lui solo una parte dell’intera cultura: e tanto poco gli va a genio di farla finita esclusivamente con quella, quanto meno gli verrà in mente di fame a meno. Vede benissimo, e non si fa ritegno di convenirne, quanto altri siano in ciò più addietro di lui; ma non si sdegna per questo, poiché sa quanto dipenda anche in ciò dalla fortuna. Non impone a nessuno la sua luce, e tanto meno la mera apparenza della sua luce; sebbene egli sia sempre pronto a darne, secondo le sue capacità, a ciascuno che lo desideri, e a dargliela in quella singola forma che gli è più gradita.

Tuttavia egli si tiene contento anche quando nessuno ha brama dei suoi lumi. È integralmente retto; coscienzioso, forte contro se stesso nel suo intimo, senza dare esteriormente la minima importanza alla sua virtù, né imporne agli altri la contemplazione mediante affermazioni della propria onorabilità e sacrifici clamorosi e affettazione di alta serietà. La sua virtù è tanto priva di artificio e, direi quasi, pudica, quanto la sua sapienza; il suo sentimento dominante presso le debolezze degli altri uomini è di benevola compassione, non già, affatto, di sdegnoso corruccio. Egli vive fin di quaggiù nella fede in un mondo migliore, e questa fede soltanto conferisce agli occhi suoi valore, significato e bellezza alla sua vita su questa terra; ma egli non impone menomamente questa fede a nessuno, bensì la porta in sé, come un tesoro nascosto.

Questa è l’immagine dell’uomo perfetto, ideale del Massone. Né egli bramerà una perfezione maggiore di quella che l’uomo possa raggiungere, né vorrà vantarsene: la sua perfezione non può essere altro che umana, e l’umana. Ciascun uomo deve esser compreso del dovere di accostarsi sempre più sicuramente a questa mèta; se l’Ordine ha anche soltanto un poco di attività, ciascun membro deve

essere preso da questo moto di accostamento in forma ognora più visibile e con piena coscienza; questa immagine deve ondeggiargli innanzi come ideale prefisso e ben prefisso e ben vicino al suo cuore: dev’essere parimenti la natura in cui egli vive e respira.

È ben possibile che non tutti, anzi forse nessuno singolarmente di coloro, che si chiamano massoni, raggiungano questa perfezione. Ma chi ha mai misurato la bontà di un ideale, o anche solo di un’istituzione, da ciò che effettivamente ne conseguono gli individui?

L’importante si è ciò che questi possono conseguire nelle condizioni stabilite; quanto poi l’istituzione vuole e addita con ogni mezzo a sua disposizione, questo i suoi membri debbono conseguire. Né io affermo che i massoni siano necessariamente migliori di altri uomini: tanto meno che non si possa conseguire la medesima perfezione anche fuori dell’Ordine. Ben sarebbe possibile che un uomo, non mai entrato a far parte dell’associazione dei Liberi Muratori, somigli all’immagine sopra delineata: e proprio in questi istanti ondeggia innanzi agli occhi della mia mente la figura di un uomo, nel quale io la trovo eccellentemente attuata, e che pure conosce l’Ordine tutt’al più di nome. Malo stesso uomo, se fosse diventato nell’Ordine, e per mezzo di questo, ciò che egli è diventato nella grande società umana, sarebbe meglio capace di innalzare anche altri allo stesso suo grado, e tutta la sua cultura sarebbe più socievole, più comunicabile e quindi anche nell’intimo suo essenzialmente modificata. Ciò che sorge nella società ha maggior vita e forza perla prassi che non quanto vien generato nella solitudine.

Questi sono gli accenni che volevo dare intorno all’attività dell’associazione dei Liberi Muratori sopra i suoi membri. E essa, deve operare il felice avvicinamento all’ideale più sopra determinato, o nulla [deve] affatto: [perché] quanto sta più in alto di quello non può in generale essere attuato, e quanto sta più in basso, può dappertutto essere attuato. Masi capisce da sé che i membri debbono essere sensibili al suo benefico influsso; e, del pari, che le istituzioni debbono essere di tal natura, che tanto il più quanto il meno sensibile si avvantaggi però e progredisca nella sua giusta proporzione.

E ora si presenta ancora il problema, se questa associazione operi anche sul mondo.

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LA VESTE DI DIO

LA VESTE DI DIO

Premessa :

Questo breve testo contiene in maniera sintetica il nuovo insegnamento che viene dato al mondo e che svela quello che era oggetto di segreto nelle antiche iniziazioni nelle Scuole dei Misteri, dalle quali sono derivate in seguito religioni, filosofie e ordini iniziatici che conservarono in parte gli antichi miti e gli antichi simboli, perdendo però di vista il significato reale di essi. Questo saggio è stato composto come elemento di sintesi per le varie scuole di indirizzo spirituale, ed ognuna di essa potrà scorgere un aggancio che le è proprio. Proprio per la sua composizione, e per il motivo che il mondo è sconvolto dalle divisioni che mettono fratello contro fratello anche se la ricerca e lo scopo è comune a tutti, questo testo scontenterà tutti. Credo però che il ricercatore sincero della verità, se è chiamato a ciò, rileverà dei dubbi nella sua granitica conformazione, ed in base a ciò vorrà per lo meno verificare prima di condannare. A tal scopo è stato scritto il libro “Insegnamento iniziatico” (Hermes Edizioni – Roma) di Dario F. Atena.

(lo si può trovare sul sito: www.trigono.com )

Esiste uno strumento “karmico” che ha molteplici usi e molteplici aspetti. Esso è la “veste dell’anima”.

Per capirci dobbiamo concepire la realtà sotto due aspetti (ne ha molti altri in verità) : il mondo dell’anima e il mondo della personalità. Ogni mondo è triadico, composto cioè da tre sfere, o piani, indipendenti tra loro ma comunicanti. Quando siete ad esempio in stato di veglia, e provate una passione, in quel momento vivete ed agite anche in quel piano, il piano astrale. Così quando formulate pensieri concreti, oggettivi, un vostro veicolo è funzionante sul piano della mente inferiore. I mondi della personalità (che potremmo chiamare “inferno”, cioè inferi, o inferiori – dove le personalità sono i diavoli che tengono prigioniera l’anima – da qui la difficoltà di parlare alle anime…) sono il riflesso speculare dei mondi dell’anima, chiamati anche “regno di Dio”. I mondi dell’anima vengono chiamati in sanscrito Atma, Buddhi e Manas, che corrispondono nell’ordine al piano fisico, al piano astrale ed al piano mentale. Quindi : Atma-fisico, Buddhi-astrale, Manas-mentale. Ecco perché, ad esempio, quando un devoto usa il plesso solare (l’emozione) nell’adorazione di un maestro o di un ideale, si connette al piano Buddhico e può ricevere da lì le grazie che cerca. In pratica l’emozione si trasforma in sentimento (centro cardiaco). L’uomo è salito di un gradino verso Dio.

Il mondo delle anime è analogo a quello fisico nel quale ci troviamo ora, nel cosiddetto “stato di veglia” : ci sono corpi, paesaggi, ecc. Il pavimento di quel luogo di “sogno”, è il nostro cielo. Quando un anima s’incarna, scende letteralmente sotto terra. La vita del suo veicolo sul piano fisico è per lungo tempo il suo inconscio. Anche qui accade la stessa cosa riguardo la famigerata ottava sfera, il regno delle anime perdute.

Esiste un assioma esoterico che dice : <<Quando un uomo muore sul piano fisico, egli nasce nel modo delle anime, e quando muore nel mondo delle anime, egli nasce nel mondo fisico>>. Vita e morte sono il dramma del cosiddetto “samsara” che durerà , con la sua croce di dolori e piaceri, fino al termine del viaggio iniziatico, dopo il quale egli non sarà più un “prigioniero del pianeta”.

Possiamo chiamare il mondo delle anime “mondo soggettivo”, ed “oggettivo” l’altro.

I due mondi, quello degli uomini e quello delle anime (che è il quinto regno di natura) per ora hanno tenui legami, ma un giorno, molto prossimo, si fonderanno in uno solo ed allora “Dio camminerà di nuovo tra gli uomini”. Dio ci ha voltato le spalle ai tempi di Atlantide a causa della nostra cattiveria e delle nostre menzogne che si erano trasformate in magia nera, che perdura ancora da parte della Loggia Nera che cerca di impedire che l’uomo si salvi e lo asserve sempre più spingendolo a vivere una vita alienante fatta di illusioni e di annebbiamenti che sono parte del Guardiano della Soglia che l’iniziato in particolare e l’umanità in generale devono prima o poi affrontare e vincere se vogliono ritornare felici.

Voglio ricordare un assioma occulto :<<Al male fu concesso di governare, e l’uomo dovette sottostare alla legge di partecipazione al male, che presto sarà sostituita dall’antica legge del bene dominante, che sottostà a tutto ciò che Dio ha fatto>>.

Dice l’Apocalisse che un Angelo verrà portando in una mano la chiave dell’abisso, e nell’altra le catene per legare i malvagi. Questo è il primo passo della trasformazione del mondo, e sta già avvenendo. Anche le sciagure annunciate per la fine del kali yuga, compresi i falsi maestri che pullulano ovunque, sono davanti a noi, e ne vediamo chiaramente i segni minacciosi. La chiave è la conoscenza dei misteri dell’iniquità ed il funzionamento della veste dell’anima.

Quale sarà lo strumento, in grande, che verrà usato dal Bianco Cavaliere che numerose profezie di popoli diversi attendono ? Sarà la Veste di Dio, la veste “magica” del potere divino. Lo stesso strumento che in piccolo gli uomini stessi, anche i più comuni possiedono : la veste dell’anima. È una vera e propria veste di tessuto eterico fabbricato nelle “alte sfere” e che nessun potere terrestre può danneggiare. Quello che invece i malvagi possono fare è di sconnetterlo dal corpo fisico a predeterminate condizioni.

Ora mi spiego.

L’anima, quando intende fare esperienza dell’altra metà della creazione (la manifestazione), e per “salvare” la personalità (che dai teosofi viene chiamata “corpo lunare”), indossa una veste fatta dagli angeli (deva) con un materiale tratto dal piano mentale superiore. Essa è allo stesso tempo : un corpo ; un trasmettitore delle energie dell’anima (vari tipi di prana) al veicolo fisico, dandogli così salute fisica e psichica che lo mettono in grado di funzionare ad un livello superiore a quelle dell’animale ; permette che i chakras (che sono porte dal duplice scopo : sono ricevitori e trasmettitori di energie di piani diversi della coscienza, o mondi, e sono vere e proprie porte di accesso per l’ego in quei mondi, dove egli possiede già, o crea, il veicolo adatto per percepirli e agire in essi), collegati al corpo fisico attraverso le ghiandole a secrezione interna, possano funzionare.

La veste ricopre il corpo fisico ed ha speciali relazioni magnetiche con esso. Però, sotto la spinta delle frecce dell’odio, essa si svelle dal corpo fisico. Le frecce sono vere e proprie spine di diversa grandezza costruite con materiale eterico cristallizzato, che è a livello vibratorio vicinissimo alla materia atomica. Le spine sono, per usare il linguaggio del Mahabharata, “missili mantrici”. Quando la veste viene sconnessa, le spine, tranne qualche improvvisa fitta, non vengono avvertite, come ad esempio un uomo non avverte nel sonno quando un ratto gli rosicchia il naso, perché i denti secernono una speciale sostanza anestetizzante. Si avvertono solo malesseri, cali improvvisi ed inspiegabili di forza, di coscienza, d’intelletto, ecc.

Quando la veste, che possiamo anche chiamare “corpo causale”, viene sconnessa da qualche parte del corpo fisico, si crea una debolezza, detta anche “vizio”. A lungo andare i centri di energia, i chakras, smettono di funzionare. Le “ruote” si fermano e l’ego nel corpo fisico diventa spiritualmente impotente ed occultamente cieco e sordo.

Questa è la situazione umana.

Quando l’uomo ha percorso tutte le 777 incarnazioni, ha esperito tutto ciò che la sua anima doveva esperire ; quando l’uomo è sazio ed il desiderio materiale e la brama di vita si è spenta, egli è smarrito ed entra in crisi. È la “lunga notte dell’anima ” che i mistici conoscono.

A questo punto l’uomo, controvoglia, diventa un occultista e ricerca nel mondo la via che lo può portare veramente alla liberazione.

La liberazione è un fatto complesso che non può essere spiegato in poche parole, anche perché è necessaria una piccolissima preparazione teorica di base che la teosofia può dare. Possiamo solo dire questo : mentre l’individuo procede nel suo processo di “omeopatia karmica”, che possiamo anche chiamare “purificazione”, mediante gli eventi prestabiliti dal karma/destino, mentre egli si dedica anche allo studio dei testi sacri ed alla meditazione, gli angeli preposti a ciò e guidati dai Maestri che lavorano sotto la guida di Cristo, lavorano sui suoi corpi sottili e soprattutto sulla sua veste, “lavandola e stirandola” affinchè l’anima possa di nuovo riunirsi alla personalità ed ritornare come il figliol prodigo nel “regno di Dio”, la sua vera casa. Questo processo iniziatico è ben raffigurato nel libro di Giobbe, al qual testo ne corrisponde uno precedente babilonese. L’angelo anima ha vinto il diavolo personalità e l’uomo, dopo essere passato per il purgatorio entra in paradiso. Questa è chiamata “iniziazione cristica” e vari miti la ricordano, quali quelli di Ercole in Grecia (che simboleggia il ritorno dell’eroe, mentre la sua caduta viene ricordata dal mito di Narciso), di Attis a Roma, di Osiride in Egitto, di Quetzalcoatl in America Centrale, ecc.ecc.

Questa antica iniziazione veniva praticata nei templi di Iside ed Osiride in Egitto, dove Gesù passò tanti anni, ma veniva praticata ovunque, e forse la sua “sede” centrale era in India, dove tutte le tracce, per il sopravvenire del kali yuga furono del tutto cancellate e rimase pubblica solo la mistica delle upanishad e la filosofia trascendentale non-duale

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VIRTUDE, CONOSCENZA E FRASI FATTE

VIRTUTE, CONOSCENZA E FRASI FATTE

Sono in Massoneria per cercare la Luce, e questo sta scritto nel Rituale, che tra i documenti massonici è forse il meno lontano dalle fonti antiche. I Rituali di cento o duecento anni fa sono diversi dai nostri per molti aspetti minori, ma non per questo simbolismo. A me sembra che la luce sia ovviamente un simbolo di conoscenza. Nella luce vedo, quindi so, conosco.

Nel ventiseiesimo canto dell’Inferno il Poeta rievoca il viaggio dell’eroe Ulisse oltre le colonne d’Ercole e in quelle terzine ci dice perché inseguire la conoscenza, con le parole che mette in bocca a Ulisse: “Considerate la vostra semenza. Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtude e conoscenza”. Poco più avanti, Dante ci dice altro: c’è tutto in quelle terzine. Ci dice in modo simbolico l’oggetto e il modo della ricerca. Ulisse vuole conoscere le stelle dell’altro emisfero. “Tutte le stelle già dell’altro polo vedea la notte”. Ecco il fascino che su tanti esercita la Croce del Sud. E per conoscerle si avventura nell’oceano con poveri strumenti: “Dei remi facemmo ali al folle volo”. Sono i logori arnesi di cui parla Kipling: poveri strumenti i remi per attraversare l’oceano, maneggiati da uomini già vecchi, ma non paghi, come Ulisse ci descrive i suoi compagni, che altrove significativamente chiama fratelli. “Io e’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi”.

Prima ho scritto “Dante ci dice perché inseguire la conoscenza”. Ma è proprio così? forse ci dice soltanto perché Ulisse perseguiva la conoscenza. Certo è che, per il supercattolico Dante, il folle volo poteva solo finire in un naufragio. Presa dal turbine la nave girò tre volte e poi affondò, “come altrui piacque, infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso”. Notare il rispetto e il ritegno di quell”‘altrui”: il Dio che non si nomina.

Per la ricerca di Ulisse, Dante ha rispetto, ma, a avviso di alcuni, nessuna simpatia. Comunque, la condanna come frutto di orgoglio satanico. E quel satana, io credo, che aveva in mente il Fratello Carducci quando scrisse il suo “Inno a Satana”, che scandalizzò i benpensanti e peggiorò i nostri rapporti col Vaticano. Ed è in quella condanna che sta, a mio avviso, la differenza di fondo tra la via iniziatica e quella devozionale.

Per me, comunque, quelle terzine sono sufficienti: c’è dentro il motivo per cui io cerco luce.

Tomiamo alle finalità del nostro lavoro. Nei testi massonici non trovo altro se non questo: la ricerca della luce. Poi trovo delle raccomandazioni di carattere morale e comportamentale e rituale e metodologico. Una soprattutto, quella di squadrare la propria pietra, simbolismo così chiaro che non mi ci soffermo anche perché, se il simbolismo è semplice, le implicazioni però sono complesse e prenderebbero molto tempo. Diciamo che per me squadrare la pietra significa avvicinarsi a quella “virtude” senza la quale la conoscenza diventa inaccessibile.

Cosa intendevo per “testi massonici”? Rituali, Landmarks, Antichi Doveri nonché il vasto corpus di scritti che Massoni hanno dedicato alla dottrina e che costituiscono il corrispondente massonico di quello che la Chiesa chiama consenso dei fedeli, o qualcosa del genere.

In tutto questo corpus non ho trovato altro e, in particolare, non ho trovato affatto che l’obiettivo proposto al Massone sia quello di “diventare dio”: di questo infatti si tratta quando nel nostro tempio usiamo il temine “realizzazione”. Non ho mai trovato questo, se si fa eccezione per l’opera di un uomo che nella Massoneria passò come una meteora.

Diventare dio sarà forse possibile, non ho elementi per negarlo. A me non è dato e se anche fosse lo sarebbe a un prezzo così alto, che non sono disposto a pagarlo. Ben più alto che non il prezzo ridicolo che adesso sto offrendo: venire qui una volta alla settimana a chiacchierare con voi piacevolmente, e a praticare, in modo molto imperfetto, dei rituali che non ho avuto nemmeno la buona volontà di imparare a memoria, cosa che sarei perfettamente in grado di fare, se solo avessi sufficiente buona volontà.

Se quella fosse la mia intenzione, non mi consolerei certo con formulette stereotipe come ne sento ogni tanto. Ricordo una sera che si parlava di egoismo. Il Fr. Scld era uscito con uno dei suoi paradossi. Anche fare’ del bene può essere una forma di egoismo, se nel fare del bene io trovo gratificazione, disse. Obbiettai che ovunque si può vedere dell’egoismo, anche nella ricerca della realizzazione iniziatica. Dopo di che un fratello apprendista mi spiegò che questo è impossibile, perché realizzazione significa dissoluzione dell ‘ego, e quindi dell’egoismo.

Personalmente, dispero di dissolvere il mio ego, convinto come sono che questa operazione comporta solventi di potenza straordinaria, attualmente non reperibili su questo mercato. La frase del Fratello apprendista era perfettamente illogica, in quanto se anche ammettiamo che “realizzazione” comporti “dissolvimento dell’ego”, fino a quando tale traguardo non ho raggiunto, le mie azioni sono determinate dal mio ego e quindi dai miei egoismi. Ma assai più dell’illogicità mi preoccupava l’accettazione acritica di una frase fatta: cosa dalla quale sopra ogni altra il Libero Muratore dovrebbe imparare a rifuggire.

Se con gli strumenti ridicolmente inadeguati dei quali dispongo, mi propongo di diventare dio, il risultato non può essere che fallimento e frustrazione. E questa frustrazione è stata certamente già sperimentata da fratelli anche di questa loggia, ed è causa di crisi passate e future.

Se non frustrazione, certamente confusione. Me ne sono accorto una sera quando, alla fine di una discussione sulle opere dei Massoni, un altro Fratello apprendista mi ha detto “in fin dei conti, Buddha mica costruiva ospedali ed asili notturni”. Il che è verissimo, e sarebbe pertinente se Buddha fosse un massone e se la Massoneria avesse qualcosa a che fare col Buddhismo.

In conclusione, essenzialmente, resto in Massoneria perché credo che nel nostro bagaglio simbolico e nel nostro metodo ci siano barlumi di una sapienza antica, che può portarmi avanti in un cammino di conoscenza. Ma ci sono ragioni sussidiarie e che ritengo niente affatto ignobili. Una è che qui incontro uomini di desiderio, il che significa uomini di qualità superiore, di buona semenza, per usare le parole di padre Dante. E penso che la mia qualità umana sia stata migliorata dal contatto con questi uomini. Un’altra ragione è che il modo e la disciplina del lavoro massonico sono un potente strumento di affinamento anche semplicemente a livello mentale. Un pre-requisito per squadrare la propria pietra.

Molti anni fa (certamente qualcuno se ne ricorda), un Fratello ci raccontò un famoso apologo di Ciuang Tzè intitolato “La Quaglia e l’Uccello Peng”. Eccolo, per chi non c’era.

Nel nudo e gelido settentrione è un uccello che si chiama Peng: Il suo dorso pare il monte Tai, le sue ali le nuvole che vengono dal cielo. In un turbine sale a gran ruote per centomila miglia fin dove terminano aria e nuvole e sul suo dorso è solo l’azzurro nero del cielo. Allora volge il suo volo al sud verso l’oceano. Sulla sponda di una palude una quaglia rise di lui e disse: “O dove vuole andare? Io frullo su per qualche metro e torno giù per i cespugli della macchia: questa è la perfezione del volo. Ma quella creatura dove vuole andare?”

Ecco, se un giorno abbandonerò il tempio, sarà perché si sono affievoliti sia il mio desiderio di vedere le stelle dell’altro emisfero, sia la forza di remare e dei remi fare ali “al folle volo”. Chissà che non possa consolarmi come la quaglia dell’apologo.

TAVOLA  SCOLPITA  DAL  FR.’. R. Scch

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IL SIMBOLISMO NEL QUADRO DI LOGGIA

Il simbolismo nel Quadro di Loggia

Venerabile Maestro, Cari Fratelli,

le prime indicazioni che in grado di apprendista furono indirizzate a me e, conseguentemente, a tutti i fratelli componenti la colonna degli apprendisti da un fratello maestro furono le seguenti: guardare il pavimento a scacchi bianchi e neri e il Quadro di Loggia, durante la sua posa in opera da parte del fratello officiante, Maestro dei Riti, oggi purtroppo sminuito di questa sua reale funzione, sostituita da quella di Maestro delle Cerimonie. Qui già le due posizioni sarebbero in una situazione antitetica e discutibile, non fosse altro perché queste due finzioni si differenziano fra loro, e perché in Massoneria ciò che disciplina ciascuna tornata in qualsiasi grado è denominato rituale e non cerimoniale.

Per Rito, infatti, s’intende l’essere conformi all’ordine cosmico, e questa conformità viene disciplinata e quindi garantita dalla comunione con il Grande Architetto per mezzo della meditazione.

Per Cerimonia s’intende, invece, l’aspetto esteriore del Rito, caratterizzato da una grande pomposità e da un vasto spiegamento di tutti i mezzi, atti a conferire sontuosità e a sottolineare l’importanza del Rito vero e proprio.

Ho voluto, con quanto scritto, puntualizzare l’interrelazione tra il Maestro delle Cerimonie e il Quadro di Loggia. Quest’ultimo, è il simbolo che riveste fondamentale importanza; esso fa da supporto, inoltre, per gli altri simboli figurati, che ne determinano la sua composizione. Il Quadro di Loggia è in pari tempo il cuore del Tempio e dell’uomo; in Esso converge l’Influenza Spirituale emanata dal Grande Architetto, e poiché quando ogni credente si trova raccolto in preghiera e quindi in Rito lo fa in un’area circoscritta alle influenze esterne, questo Quadro rappresenta il cuore di tale area in cui il fratello officiante compie il Rito della Tracciatura.

Secondo il Rituale, il Quadro di Loggia viene definito “il Quadro del Tempio, tracciato al centro del pavimento a scacchi bianchi e neri con tratti che si possono cancellare”. L’esecuzione di detto Quadro, sempre secondo il Rituale, sarebbe realizzabile mediante la sua pittura su di una tela, da collocarsi al centro del Tempio per la sola durata dei lavori. Oggi, però, assistiamo nella nostra Istituzione a opinabili prese di posizione per quanto riguarda la tracciatura del Quadro di Loggia. Tali incurie, infatti, vengono alla luce in diverse officine con il mero spiegamento di Quadri di Loggia, la cui esecuzione è già stata predisposta a priori, non si sa da chi, non si sa per quali ragioni, non si sa se secondo giusti canoni. Risulterebbe addirittura un caso di officina in cui il Quadro di Loggia è totalmente assente; non escludo, peraltro, che tale mancanza possa essere estesa ad altre logge.

Un fratello non della nostra Loggia, con cui ebbi occasione di scambiare opinioni in proposito, mi disse che il Quadro di Loggia altro non è se non il progetto di una costruzione. Ciò è indubbiamente vero; non si tratta però di un progetto qualunque, ma di quello unico, riguardante la costruzione simbolica del tempio avallata dal G.•.A

I simboli del Quadro (che per un massone è il Quadro Sacro per eccellenza, poiché rappresenta il Grande Architetto medesimo), sono tutti gli elementi formali da cui si sviluppa l’intero Universo, per cui essi sono propriamente: “il Piano deL G.’. A.’” Ora, dal punto di vista rituale operativo, niente è più importante dell’esecuzione di tale Quadro Sacro, perché in assenza di ciò e quindi in seguito all ‘abbandono completo, totale e definitivo di tale pratica rituale, le nostre facoltà si rilassano, precludendosi qualsiasi possibilità di sviluppo e, conseguentemente, la discesa dell ‘Influenza Spirituale.

Fare perciò una Tornata rituale senza avere tracciato il Quadro Sacro sarebbe come costruire un Tempio senza avere realizzato il progetto.

Il Quadro Sacro è un’opera d’arte universale, che rappresenta il piano architettonico del  il suo prolungamento e quindi i “Principi” su cui poggia la costruzione del Tempio Massonico.

Ci si potrebbe chiedere, ed è più che legittimo: perché l’esecuzione del Quadro rivestirebbe un ruolo di sì primaria importanza? Innanzitutto, come già visto, essa implica un Rito, che determina la trasmissione della Influenza Spirituale da parte del G:.A:.D:.U e la trasmissione delle funzioni di fratello officiante ad un altro fratello, da parte del fratello che ne è stato fino al momento il detentore o depositario.

Tutto ciò è l’applicazione sul piano iniziatico di ciò che parimenti sul piano profano può essere l’applicazione di un mestiere, poiché quest’ultimo in genere procede con l’apprendimento e la presa di possesso delle nozioni e degli elementi principali che costituiscono detto mestiere da parte del novizio; costui, in seguito, comincerà ad applicare questi elementi non più uno alla volta, ma in simultaneità fra loro, dando così luogo all’arte vera e propria costituente il mestiere in cui diverrà esperto, e quindi in grado di comunicarlo a chi ancora non ne fosse in possesso.

Se dunque questa trasmissione a catena viene a mancare a causa della trascuratezza e dell’oblio di coloro che ne sono i detentori, a chi spetterà l’impegno di conservare ciò che è andato perso o che corre questo rischio, per poterlo degnamente trasmettere alla posterità?

L’esecuzione del Quadro di Loggia, che comporta la corretta disposizione degli elementi che lo compongono, è di riflesso, poiché speculativa (dal latino speculum, cioè specchio), una messa a punto degli elementi nel nostro interiore microcosmico, dove per microcosmo s’intende il mondo con tutto ciò che lo costituisce, in questo caso all’interno di noi stessi, in accordo quindi con Severino Boezio, il quale afferma in una sua massima che: “l’uomo è un mondo in miniatura”, e perciò in accordo anche con René Guénon, ritenuto in questo kali yuga tra le massime autorità e i migliori interpreti dell ‘esoterismo tradizionale secondo la dottrina indù. Tale messa a punto degli elementi, giustifica il suo aspetto speculativo nel fatto che essi, riflettendosi nel cuore del Tempio, risultano capovolti, sebbene perfetta ne sia la loro impostazione. Ciò costituisce un ‘altra valida motivazione che giustifica, assieme alle altre, l’importanza del Quadro di Loggia.

Se ci si dovesse dilungare sui simboli, credo sicuramente che ciascuno di essi meriterebbe una trattazione specifica. Forse però non sarà impossibile fare ad essi tutti o in parte un accenno sulle loro funzioni, assieme a qualche piccola considerazione. Credo però sia prima utile fare nel possibile qualche accenno storico al Quadro di Loggia; penso che si possa tranquillamente affermare che le sue origini risalgono al declino della Massoneria operativa tradizionale, e conseguentemente alla presa di posizione della Massoneria speculativa, cioè quella contemporanea. Questa iniziò ad illustrare l’attività massonica operativa mediante simboli rifacentisi alla composizione dell ‘Universo e del suo Costruttore, alla composizione del progetto inerente la costruzione, alle funzioni di coloro che la sovrintendevano nel Suo Nome, alle funzioni dei subalterni dei sovrintendenti che erano principalmente di operare nella costruzione, nonché, agli attrezzi di cui allo scopo essi si servivano.

A questo proposito René Guénon ci dice in Studi sulla Franco-Massoneria e il Compagnonaggio: “I primi responsabili di questa deviazione, a quanto pare, sono i pastori protestanti Anderson e Desaguliers, che redassero le Costituzioni della Gran Loggia d’Inghilterra, pubblicate nel 1723, e fecero sparire tutti i documenti antichi sui quali poterono mettere le mani, perché non ci si accorgesse delle innovazioni che introducevano, e anche perché quei documenti contenevano delle formule che essi ritenevano molto imbarazzanti, come l’obbligo di fedeltà a Dio, alla Santa Chiesa e al Re, segno incontestabile dell’origine cattolica (universale) della Massoneria. Questo lavoro di deformazione, i protestanti l’avevano preparato mettendo a profitto i quindici anni che trascorsero tra la morte di Cristopher Wren, ultimo Gran Maestro della Massoneria antica (1702), e la fondazione della nuova Gran Loggia d’Inghilterra (1717). Tuttavia, essi lasciarono sussistere il simbolismo senza sospettare che esso, per chiunque lo comprendesse, testimoniava contro di loro altrettanto eloquentemente che i testi scritti, che essi non erano d’altronde riusciti a distruggere interamente”.

Ruggero di Castiglione, storico contemporaneo, nel Corpus Massonicum sostiene ampiamente René Guénon nei concetti sopra esposti sul simbolismo. Nei simboli tracciati nel Quadro della nostra Loggia si rileva però quanto segue: il cordone di cui si parla è composto da sette nodi. Come mai allora nel rituale di apprendista ve ne sono tre, ed in quello di compagno cinque?

Esiste per esso un’unica disposizione valida per tutti i gradi, oppure ciascun grado ha una disposizione sua propria di appartenenza? Il pavimento a scacchi bianchi e neri è previsto all ‘interno del Tempio; come mai, allora, lo si fa risultare all’esterno, cioè nella sala dei passi perduti e quindi prima dei tre gradini che conducono al Tempio stesso? I gradini che conducono al Tempio sono rispettivamente tre, sia nel rituale di apprendista che in quello di compagno, e così vengono riportati nel grado di apprendista; nel grado di compagno sono invece previsti in numero di cinque, messi in modo tale da formare una scala ricurva che, secondo il rituale, dovrebbe condurre alla camera di mezzo. Questi gradini si riscontrano in certi Quadri di Loggia in numero di sette indipendentemente dal grado. Tutto ciò induce a perplessità circa la loro giusta disposizione numerica: tre, cinque o sette gradini? Nel delta che sovrasta la porta del Tempio è prevista una scritta che rappresenta il nome dell’Ineffabile. In pratica, tuttavia, inspiegabilmente essa manca. Le due colonne, secondo il Libro della Sacra Legge, erano vuote e prevedevano entrambe sia il globo, probabilmente con funzioni differenti, sia le melegrane; infatti, per quanto riguarda l’arredamento del Tempio, il primo Libro dei Re si esprime come segue: “Così Hiram terminò di eseguire tutte le commissioni di Salomone per il Tempio del Signore: due colonne; due globi per i capitelli delle colonne; due reticolati da rivestirne i globi dei capitelli delle colonne; quattrocento melegrane per i due reticolati, due fili di melegrane per ogni reticolato.” (1 0 Re, 7/40-42).

Circa l’ordine dello stile architettonico con cui vengono eseguite le colonne e i capitelli, esso potrebbe essere l’emblema di un’unica realtà, espressa però in differenti forme. A quest’ordine non viene accordata l’importanza che gli è dovuta.

La pietra grezza e la pietra squadrata vengono poste rispettivamente a lato della colonna alla quale si riferiscono, la prima a lato della colonna degli apprendisti, la seconda a lato della colonna dei compagni. Si potrebbe pensare, anche se non è evidente, all’esistenza di una terza pietra posta all’oriente del Tempio, la quale non è più pietra ma opera compiuta.

Sulla pietra grezza sono collocati un maglietto e uno scalpello incrociati, che forse erroneamente vengono raffigurati sotto il compasso e la squadra; sulla pietra squadrata è prevista l’ubicazione di una tavola da tracciare, anch’essa mancante. La pietra squadrata, inoltre, dovrebbe terminare con una piramide sulla cui punta è posta una scure.

Vediamo inoltre la luna a sinistra e il sole a destra, più sotto una stella a cinque punte, un compasso e una squadra posti secondo il grado lavorativo. Accanto ad essi vi dovrebbe essere un regolo e una leva; ai loro lati, che sono anche quelli delle due colonne, la presenza del filo a piombo per la colonna B, unito anche ad una squadra per la colonna J. Non sono visibili le tre finestre poste rispettivamente a levante, a meridione e a ponente aventi specifica funzione di cui così parla il Libro Sacro: “Si fecero al Tempio delle finestre con grate sporgenti fisse.” (1 0 Re, 6/4).

Di questi elementi fin qui descritti alcuni mancano, altri sono male impostati. Tutto ciò fa pensare, oltre all’oblio dei simboli e della loro funzione, alla loro inversione, e poiché, in tali condizioni qualunque cosa non può che avviarsi alla dissoluzione, il Quadro di Loggia, in quanto cuore dell’uomo e del Tempio, riflette tale caotica situazione negli intelletti.

Sarebbe mio desiderio potermi esprimere in modo esauriente, circa la funzione dei simboli del Quadro di Loggia, che costituiscono non solo il Piano del ma anche il Suo linguaggio. Ognuno di essi, come già visto, richiederebbe una specifica trattazione, corrispondente allo spiegamento delle facoltà di ciascun simbolo, così come per ciascun essere nella sua evoluzione; mi limiterò perciò a fare, ad essi tutti o almeno in parte, qualche accenno su ciò che io vedo rappresentato, posticipando più ampie vedute a migliore occasione in altra sede.

Il cordone indica l’Unione Universale della Fratellanza; i suoi nodi, detti “nodi d’amore”, sono simboli di “tutto ciò che non muore”, che è appunto il significato di “amore”, in relazione a tutto ciò che rappresenta la verità e che con essa s’identifica.

Il pavimento a scacchi bianchi e neri rappresenta il Bene e il Male in tutte le cose, distribuiti in modo uguale o differente.

La Porta del Tempio può rappresentare, sia nel Tempio esteriore che nel nostro Tempio interiore, la barriera che si frappone fra questi due aspetti, governandoci così dalle cattive influenze.

Il Delta Sacro, che sovrasta la Porta del Tempio con il nome dell’Ineffabile, indica ovunque la Sua presenza, la Sua potenza, la Sua scienza. Le due colonne, secondo il Libro della Sacra Legge, avevano un significato – oltre che artistico anche simbolico espresso nei loro nomi Jachin e Boaz che, presi insieme, vogliono dire “Egli” (Dio) dà stabilità con “forza”.

La presenza dei due globi indica la relaziona tra due diverse realtà: una terrestre – si potrebbe anche dire corporea -, l’altra celeste, e conseguentemente spirituale, e la loro complementarità.

Le melegrane sono indice, oltre che della Fratellanza Universale, dello spiegamento distinto delle nostre facoltà; per questo motivo, infatti, credo che i grani rossi che le compongono nei vari comparti siano separati da quelle pellicole bianche che determinerebbero, appunto, tale distinzione.

La pietra grezza e la pietra squadrata sono la nostra anima in due condizioni differenti, la prima implicante un lavoro di sgrossatura; la seconda un lavoro di definizione e perfezionamento.

Il maglietto e lo scalpello rappresentano, rispettivamente, la potenza e l’intensità con cui viene condotto il lavoro sulla nostra pietra.

La tavola da tracciare sembra avere, invece, la funzione di supporto per gli schemi costituenti l’alfabeto massonico.

La scure, posta al vertice della piramide costituente la pietra squadrata, può indicare la volontà umana di fendere la pietra dopo averla definita, per scoprire il tesoro che essa contiene.

La Luna ed il Sole rappresentano rispettivamente la prima il nostro mentale, che è animato dalla luce solare; il secondo è l’intelligenza, cioè la Luce vera e propria che nel mentale si riflette.

Il compasso e la squadra sono indicativi il primo dell ‘ampiezza spaziale, con cui l’intelletto recepisce il messaggio divino del  e la seconda della definizione della prospettiva, al fine della migliore e corretta interpretazione di questo messaggio.

Il regolo e la leva servono a misurare l’intensità della forza applicata per rimuovere gli ostacoli, e a fare forza per rimuoverli.

Il filo a piombo, dissociato dalla squadra, indica l’Influenza Spirituale che noi riceviamo; associato alla squadra, anche qui definisce la Sua prospettiva e la regola.

Questa è dunque l’ottica secondo la quale interpreto le funzioni del Quadro di Loggia e dei simboli che lo compongono.

L. Orlnd, 25 maggio 1995 e.•.v.•. (1 0 Grado)

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PAURA DI VOLARE

Paura di volare

L’idea di scolpire questa tavola mi è venuta allorquando il Maestro Venerabile, incaricandomi di preparare la consueta relazione sulla riunione di Miasino, mi informò di possibili tensioni che tale iniziativa stava creando all’interno della Loggia.

Successive chiarificazioni sembrerebbero aver ridimensionato il problema, tuttavia la “cosa” mi ha colpito tanto da indurmi a scrivere queste brevi note.

Al termine della mia tavola su Maguzzano di qualche anno fa auspicavo che tale iniziativa potesse divenire una iniziativa della Loggia tutta e non di quella di un certo numero di Fratelli che vedevano nell’idea la possibilità di realizzare qualcosa che mirasse a colmare taluni possibili vuoti creati dalla semplice frequentazione del giovedì.

Si trattava e si tratta di rinforzare la conoscenza reciproca, creare la possibilità di amicizia, permettere ai neofiti di meglio amalgamarsi fra loro e con gli altri e, perché no, lavorare nelle migliori condizioni possibili su temi congeniali all’obiettivo che la nostra Loggia e I ‘Istituzione propugnano.

Tutte cose evidentemente non strettamente necessarie dal punto di vista della Loggia in quanto tale, ma che, ad avviso dei fautori dell’iniziativa, potevano aiutare in quel difficile percorso rappresentato dalla ricerca della verità o, più semplicemente, di noi stessi.

La ricerca del consenso all’interno della Loggia traeva origine dal fatto che non pochi fra i Fratelli che non aderivano all’iniziativa la vedevano, invece, come qualcosa di fuorviante rispetto all ‘Istituzione e portatrice, in prospettiva, di fenomeni trasversali e disgregatori.

Agli occhi di un semplice e di un idealista come il sottoscritto la tesi pareva (e pare tuttora) paradossale e cervellotica e, pur rispettando le idee altrui, si è continuato ad organizzare le riunioni nella segreta speranza di riuscire infine a convincere anche i più restii circa la bontà e l’assoluta buona fede dell ‘idea.

Rimane, in fondo, un poco di amarezza per non essere riusciti a trasmettere I ‘idea, a convincere che nulla di trasversale può nascere quando le intenzioni sono pure e che, invece, da tali incontri possono nascere spunti di lavoro per l’Officina, tutta alle prese, specialmente negli ultimi tempi, con una sorta di stanchezza intellettuale derivante, a mio avviso, da una domanda che un po’ tutti, specialmente i più anziani, cominciano a porsi: “ma cosa stiamo facendo?”

Questa sorta di stanchezza intellettuale di quasi tutta la Loggia, questa delegittimazione di Miasino un poco strumentale mi hanno convinto che il problema della Loggia possa riassumersi in quella che nel titolo di questo lavoro ho definito “paura di volare”.

Tutto ciò che è nuovo viene guardato con diffidenza come foriero di chissà quale maleficio, mentre non ci si rende conto che il vero problema da affrontare è la stanchezza e la mancanza di idee.

Ho la sensazione che per la maggioranza di noi il giovedì sera sia una “bella abitudine” ormai consolidata da anni di esperienza, ma senza più le pulsioni interiori dei primi anni, dedicati a cercare di capire, a cercare di fare.

La nostra conquista è dunque questa “bella abitudine” e nulla più?

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Distolti dal consueto tran-tran ci sentiamo perduti e cominciamo a filosofeggiare se la cosa sia aderente alle Costituzioni, se arrechi grave danno alla Loggia o, peggio ancora, se ciò sia iniziatico o meno.

L’abitudine, il tran-tran, questo l’obiettivo di una Loggia di quasi tutti Maestri?

Già tentai nella mia ultima tavola di trasmettere un messaggio che mi stava a cuore e cioè: “sviluppiamo al meglio le capacità dei Fratelli di questa Officina per tentare un lavoro collettivo che possa rendere tangibili gli effetti delle nostre conquiste e delle nostre conoscenze”.

Credevo e credo tuttora che questo sia il modo migliore per realizzare lo scopo che il rituale ci assegna che è quello di “lavorare al bene ed al progresso dell’Umanità”.

Comincio a pensare che molto più di noi fanno quei Fratelli che dedicandosi ad attività paramassoniche come gli Asili Notturni, L’Università Popolare o la Socrem realizzano con i fatti, anziché tante vuote parole, l’obiettivo che la nostra Istituzione si pone.

Ma se fino ad oggi non mi sono dedicato che molto marginalmente a tali attività è perché la mia idea, forse velleitaria, è quella che la Loggia deve cogliere dai suoi Lavori lo spunto per realizzare qualcosa che vada al di là del semplice confronto dialettico che si sviluppa nelle tornate.

Solo così tale confronto dialettico non rimarrà fine a sé stesso, non rimarrà solo “parole e parole”, ma potrà rappresentare la sintesi del meglio che la Loggia ha saputo realizzare negli anni.

Ed è questa capacità di darsi, almeno a livello di Maestri, obiettivi più ambiziosi, forse più concreti, certamente più difficili, che io definisco “paura di volare”.

Sembra quasi che la nostra Officina, dopo aver realizzato solide fondamenta, manche della capacità, o della forza, o della volontà per realizzare l’intero edificio.

Bravi nel realizzare la parte nascosta della costruzione (l ‘Officina è forte e non ha subito che piccoli contraccolpi dalle vicende esterne dell’associazione), ma incapaci di terminare l’opera (la realizzazione di un qualcosa che tale forza dimostri).

Queste, cari Fratelli, sono le mie considerazioni sulla salute della Loggia.

È Possibile che il problema sia soltanto mio. In questo caso perdonatemi si vi ho tediati.

TAVOLAQ DEL FR.’. G. F. Cmmrcc,

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