IN MEZZO AL GUADO

In mezzo al guado

In mezzo non significa necessariamente ritenere di essere a metà del percorso incominciato a suo tempo. Più semplicemente vuol dire, per chi scrive, trovarsi in posizione scomoda con la volontà di non tornare all’inizio e la marcata percezione di non poter finire la traversata in modo accettabile.

Se noi consideriamo la nostra esistenza quotidiana così come ci appare caratterizzata da un complesso variamente ordinato (o disordinato?) di funzioni, pensieri e attività, e cerchiamo di trovare un senso, un significato a questo nostro vivere, non possiamo (credo) che derivarne una posizione scettica.

Possiamo considerare che mangiamo, dormiamo, esprimiamo dei sentimenti e dei pensieri, sentiamo delle sensazioni, ma senza un preciso significato di necessità e finalità. Per riempire questa nostra vita del meglio di noi stessi tendiamo a costruire un qualche cosa, cerchiamo di viverla nel miglior modo possibile e, chi ne ha le possibilità, per dare un aggancio alla propria azione, per poter agire per un qualche cosa che abbia un certo valore, cerca un ideale, il più elevato possibile, da raggiungere e da realizzare.

Se poi consideriamo più profondamente tale posizione, superando la nostra impostazione profana del vivere, per domandarci un perché della nostra vita, non rimangono (credo) che due possibilità: o rifugiarci in una posizione fideista di finalità trascendente, legata più o meno ad una ad una forma religiosa, oppure adattarci allo ‘ignoreremo sempre” dei più cercando di allontanare dalla nostra mente la domanda in questione (perché), e buttarci nella tensione di vivere il meglio possibile in una conquista di beni e soddisfazioni materiali: “che cos’è la vita non importa, cerco di viverla il meglio possibile”.

Ambedue queste conclusioni non possono soddisfare, in quanto lasciano un senso di vuoto e di inutilità. Noi che da tempo frequentiamo il Tempio (per alcuni da decenni) sentiamo che la nostra vita deve pur avere un qualche significato e che la nostra azione può e deve essere valida per realizzare la nostra esistenza.

E allora perché in mezzo al guado? Recentemente i Fratelli Gian Franco C. e Stefano C. hanno posto alla nostra attenzione le loro considerazioni su “iniziazione e ragione”, il primo, ‘razionale ed irrazionale”, il secondo. Si può pensare che anche loro, in qualche modo, si sentano “in mezzo”? Sentiremo. Personalmente penso sia molto improbabile poter modificare significativamente la situazione “ragionando”. Occorre aumentare la propria personale “cifra iniziatica”, cioè aumentare in saggezza (lo scrisse Armando Corona).

La Massoneria può formare i saggi, come nelle antiche Scuole Iniziatiche, ma non forma i Dotti. Saggi si diventa se si ha la natura appropriata; dotti si diventa purché ci si applichi nello studio. Sono due condizioni completamente diverse.

Ma come addivenire a tale realizzazione? Come e dove continuare a cercare per sperare di uscire dal “mezzo”? Non posso insegnare nulla a nessuno. Esprimo la mia convinzione e la speranza di essere sulla via più proficua.

Per seguire la via più proficua dobbiamo continuare ad affidarci a quel processo di scoperta e di continua realizzazione di noi stessi che possiamo ottenere solo attraverso la Ricerca Spirituale. Questa ricerca spirituale non può essere una scienza, ma un’arte, l’arte la più sublime; l’Arte Reale. L’Arte che mira a tramutare i metalli

vili in oro, attraverso processi di decantazione, purificazione, cioè attraverso la ricerca spirituale possiamo sperare di ritrovare la nostra essenza.

Ma ogni arte ha una tecnica ed ogni tecnica ha un carattere strettamente pratico. Infatti per mezzo di esso tendiamo a realizzare, con i mezzi più idonei, un determinato scopo. L’elaborazione della tecnica della ricerca spirituale è stata iniziata (si dice) dalla più remota antichità e perciò le sue fonti si confondono con il mito. Essa ha attraversato molte culture ed ognuna l’ha rivestita di simboli per adattarla a particolari esigenze. Però troviamo che si tratta dei simboli più antichi, che per il fatto di esserci tramandati sono ricchi di contenuto, i più idonei a raggiungere lo scopo.

Così nel simbolismo e nella ritualità dei lavori di Loggia noi troviamo e ritroviamo ad ogni tornata un insegnamento velato da parole che possono non significare “razionalmente” niente, ma che, oltre a darci un insegnamento simbolico, servono a frangere gli automatismi psicologici della vita usuale, a rompere il cerchio dell’egoismo personale per aprirci ad una nuova dimensione nella quale possiamo comprendere il più possibile della vita. E poiché è specialmente sul piano emozionale (irrazionale) dove si apre questo piano di comprensione, con la ritualità i concetti e le frasi già mentalmente comprese non destano più attenzione analitica, ma vengono seguite nel ritmo della cadenza e della voce del Fratello che le pronuncia. La mente, pur restando presente a se stessa, si disinteressa del significato logico, permettendo un’apertura a possibili intuizioni, non mediate dal pensiero (ragionamento) del significato vero del simbolo.

I gesti e gli atti sono sempre compiuti nello stesso modo, non essendo condizionati da una utilità materiale, aprono (o dovrebbero aprire) l’animo all’ascoltazione del significato trascendente aumentando le possibilità (speranze) di uscire dal “mezzo del guado”.

Si può sperare nell’intuizione improvvisa? L’intuizione che trascende il raziocinio? Credo sia lecito sperarlo a condizione (opinione personale) di lasciarsi “andare” fiduciosi alle influenze benefiche del rito ripetuto e vissuto senza voler “ragionevolmente razionalizzare” a tutti i costi

TAVOLA  DEL  FR.’. S. Pnt,

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ANCORA SUL SILENZIO

Il silenzio

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

tutti noi, in quanto Massoni, abbiamo subito ciò che noi stessi definiamo “morte profana”, la quale ci apre la nuova vita da Iniziati.

Una delle prime prove, se non la prima dell’Apprendista Libero Muratore, a mio avviso, è quella di rispettare e comprendere il perché non gli sia concessa la parola durante i lavori Rituali in Tempio.

Il Silenzio è quindi “l’argomento” che tenterò di approfondire con questo lavoro.

Ho tentato di riordinare con una sequenza spero scorrevole i miei pensieri e alcune personali osservazioni per rendervene partecipi.

Credo, che la domanda più comune che ci si possa essere posti, sia stata: “Perché devo stare in Silenzio? ‘

Siamo infatti tutti abituati dalla cosi detta “Età della Ragione” (?) a disporre in modo abbastanza autonomo dell’uso della parola.

Sarebbe però riduttivo pensare che sia l’unico modo per trasmettere un pensiero, infatti l’eloquenza di un sorriso in qualsiasi parte del pianeta credo sia fuori discussione.

Probabilmente allora, vale la pena provare a considerare che anche il Silenzio possa essere un sistema per imparare a trasmettere la parola o comunque, uno strumento per raggiungere tale scopo.

Per capire meglio o tentare di capire, forse è opportuno regredire con il pensiero alla sera della propria Iniziazione, per rivisitare le emozioni, le immagini e quell’intensa atmosfera magica che d’un tratto ognuno di noi credo abbia vissuto. Una sensazione di sereno disorientamento e smarrimento mi pervase, la mia attenzione era richiamata contemporaneamente all’analisi di un ambiente a me estraneo e a quanto vi accadeva in quegli istanti.

In quella circostanza nulla del reale significato dell’intera Iniziazione, mi fu comprensibile, troppe le emozioni e le novità alle quali i miei sensi venivano sottoposti, probabilmente un’intera vita non è sufficiente per comprendere a pieno il loro significato, ma credo che l’analizzare il Silenzio sia un buon punto di partenza per provarci.

Ritengo infatti, che nell’esecuzione rigorosa e curata nei dettagli dell’iniziazione di un Profano, confluiscano gli elementi e le forze necessarie per tentare di trasmettere un input al futuro Apprendista. L’apparente incomprensibilità del Rituale d’iniziazione, è quindi un elemento fondamentale della sua stessa ragione di esistere.

Sarebbe quindi un errore, attendersi dall’appartenenza ad una Scuola Iniziatica che si rifà ad insegnamenti che si perdono nella notte dei tempi, banali lezioni di comunicazione simbolica o un classico insegnamento didattico.

Molte quindi sono state e sono le riflessioni che il Silenzio mi ha stimolato; in prima analisi infatti può apparire elementare il suo significato: “Lo stato di quiete determinato dalla mancanza di ogni suono o rumore” (Dizionario della lingua italiana – Niccoli ) ed è fuori di dubbio che ciò corrisponda anche al vero ma da una ricerca più approfondita questa Lampante definizione, cela valori e significati simbolici che vedono il Silenzio direttamente o indirettamente collegato anche allo spirito che anima la nostra Istituzione.

E quindi necessario provare a riflettere su quanto il Silenzio sia invece eloquente sia nel mondo Profano che nella nostra Istituzione. Proviamo ad immaginare l’effetto che sortirebbe se durante un concerto di musica classica diretto da un grande direttore ed eseguito da “maestri” musicisti, “parlasse ” uno strumento suonato da uno studente al 1 0 anno che a mala pena conosce il proprio strumento e lo spartito.

Probabilmente creerebbe confusione e distrarrebbe i maestri dalla loro esecuzione oltre logicamente ad emettere suoni che poco hanno a che fare con l’armonia delle note.

Questo perché egli ancora non è “intonato” con il resto del gruppo.

L’analogia potrebbe essere quella di pensare alla Loggia in questi termini, i nostri lavori sono diretti dal Maestro Venerabile, dal 1 0 e 2 0 Sorvegliante, che non seguono uno spartito ma bensì un Rituale e l’armonia regna sovrana perché tutti i Fratelli sono invece “intonati” con quel luogo Sacro che è il Tempio.

Bisogna quindi familiarizzare con il concetto che esistono come nella vita anche in Massoneria delle tappe da fare, cercando di comprenderle a pieno (sempre che ciò sia possibile) per inserirsi volontariamente in quel circuito di pensieri non come un estraneo ma bensì come un altro anello della catena.

Sembra facile a dirsi, ma non 10 è quasi mai in realtà, fino a qualche ora prima la nostra Iniziazione eravamo più o meno abituati ad atteggiamenti vicini a quelli che dovrebbero distinguere un Iniziato da un E quindi necessario, quasi per tutti, un periodo di apprendistato scandito da regole e dal rispetto delle stesse.

Il non comprendere a pieno le motivazioni di tanto rigore, potrebbero portare all’insorgere di frustrazioni o sensazioni di insofferenza che danneggerebbero sicuramente il rapporto particolare che contraddistingue i Fratelli, oltre al mancare al primo appuntamento: inserirsi.

Ma è proprio con la Tolleranza e la Ragione che ci si deve distinguere come Iniziato, ia mia sensazione è che in Massoneria poco o nulla sia lasciato al caso, intendo dire che a tutto ciò che ci viene chiesto di fare vi è una o più ragioni che il singolo può andarsi a ricercare.

In una società che viene descritta come arida di iniziative ed obbiettivi, direi che la nostra condizione volontaria di Iniziati, ci ponga nelle condizioni di sentire uno stimolo per tentare di realizzare un passo verso il cambiamento.

Partendo da questo personale presupposto, tutto mi risulta più chiaro e stimolante, una porta aperta verso la ricerca interiore e il perfezionamento.

Sono rimasto affascinato e contemporaneamente colpito analizzando il Silenzio (per quanto sicuramente lo abbia fatto in modo ancora troppo superficiale); innumerevoli le strade e i pensieri che si intrecciano tra di loro come i fili di una ragnatela, e noi come il ragno potremmo riuscire a tessere con quella precisione architettonica i nostri pensieri.

Durante l’iniziazione, il Profano privato del senso della Vista, simbolicamente è invitato a realizzare il suo stato di buio intellettuale, contemporaneamente viene stimolato un altro senso: l’udito.

L’uso della parola gli viene concesso dal Maestro Venerabile unicamente per rispondere a quesiti.

Questo apparente stato coercitivo di privazione risulta invece essere ai miei occhi un insegnamento.

Il futuro Apprendista, il termine lo chiarisce da se, deve apprendere e quindi dovrà dimostrare il proprio reale intendimento di rinascita da uomo purificato ed essere disposto all’apprendimento dell’Arte Reale. Colui che deve apprendere lo deve fare anche in Silenzio.

Sempre durante l’iniziazione, il neofita viene invitato a prestare una Promessa Solenne sulla coppa delle libagioni, un altro Simbolo collegato al Silenzio e all’inevitabile tradimento che ne risulterebbe dal non rispettarlo. Successivamente gli viene insegnato il Segno, anche lui collegato al Silenzio: Preferisco aver tagliata la gola, che rivelare i Segreti dell’Istituzione.

I Fratelli quindi sono invitati a cogliere e far propria l’arte del saper controllare la parola.

L’uomo saggio sa controllarsi e non parla a “sproposito”.

D’altro canto i compiti dell’Apprendista risultano essere molto chiari, egli deve Ascoltare, Imparare, Obbedire, Mantenere il Segreto, Rispettare la Legge; deve insomma, come recita il catechismo del suo grado, Vincere le sue passioni, Sottomettere la sua Volontà. A tal proposito la posizione di Squadra e Compasso durante i lavori nel grado, indicano con chiarezza questo percorso.

Ed è altresì comprensibile, anche se dibattuta, la possibilità dell’Apprendista di interrompere il suo stato di silenzio, durante i lavori Rituali, su concessione e a discrezione del Venerabile , solo per porre quesiti.

Raramente mi è accaduto di ricevere risposte o chiarimenti diretti, un secondo intervento di un Fratello potrebbe celare, magari simbolicamente, un indizio.

L’ Apprendista è così invitato a proseguire individualmente un percorso di ricerca e approfondimento di quanto udito durante i lavori. L’isolamento per quanto possa apparire, non è totale.

Saper controllare la parola e rispettare il Silenzio, credo sia l’equivalente del trovare un equilibrio con noi stessi e con gli altri, può significare un primo passo molto importante verso un cambiamento anche radicale della persona, saper riordinare le idee e i pensieri, essere insomma sulla strada verso l’armonia interiore e contemporaneamente verso una crescita spirituale.

Capita a volte di trovarsi sulla vetta di una montagna, in mezzo al mare o comunque isolati dal caos della vita quotidiana e soffermarsi ad apprezzare oltre alla

perfezione della natura anche l’incredibile sensazione di pace e armonia che si fondono con il Silenzio.

Questo solitamente provoca un senso di tranquillità e benessere che invadendo il nostro essere ci consente meditazioni che, almeno personalmente, diversamente sarebbero meno profonde.

Mi sovviene di conseguenza, di trovare un collegamento tra Silenzio e Armonia.

I mesi successivi alla mia Iniziazione e al mio Silenzio in Loggia, sono stati sicuramente una delle esperienze più particolari della mia vita.

L’iniziare a imparare stando in Silenzio, e cercando di intuire il mondo nel quale ci “catapultiamo” lavorando con il Rituale, è affascinante e impegnativo ma contemporaneamente estremamente didattico.

La principale sensazione che per prima feci mia, fu quella di essere stato messo comunque nelle condizioni di erudirmi, apprezzando e valorizzando con il Silenzio anche la promessa fatta in merito al Segreto.

Ecco dunque un’ulteriore anello di collegamento con il Silenzio: Il Segreto. Il rispetto di entrambi ci viene chiesto come impegno per l’appartenenza all’Istituzione.

Può apparire banale, se taccio non rivelo, ma il divieto della parola limitato ai lavori in Tempio all’Apprendista, viene successivamente esteso in un passo finale del rituale di chiusura dei lavori in 1 0 grado, a tutti i Fratelli con la promessa di segretezza sui lavori compiuti, è necessario saper amministrare il Silenzio nella vita profana con senso di responsabilità ed intelligenza. Tutti noi sappiamo che in qualsiasi libreria è possibile acquistare libri eloquenti su quanto da noi taciuto, ma il vero significato a mio avviso si rivela nella Morale e nelle Virtù che ognuno di noi deve ricercare.

Sta poi al singolo approfondire, studiare, confrontare, lavorare insomma la propria pietra per eliminare quelle impurità profane che impediscono di percorrere la via Iniziatica con serenità e profitto.

Ad occhi profani probabilmente risulterebbe molto più semplice (ma non in Massoneria) se ci fosse un maestro che ci guidasse in questo percorso, erudendoci su questo o quell’argomento, Simboli, significati Esoterici e quant’altro ma il bizzarro è che i Fratelli accogliendoci nell’Istituzione la sera dell’iniziazione, ci hanno fornito e mostrato proprio in quell’occasione tutti gli strumenti per lavorare, lo hanno fatto rendendoci parte integrante della Loggia con il Rituale, i Simboli, il Tempio.

Deve quindi essere un percorso individuale dove ognuno ha la possibilità applicandosi di divenire un libero pensatore senza seguire Dogmi o Verità rivelate.

Quindi non deve essere vista (la privazione della parola) come un castigo o quant’altro, ma anzi come un dono, fatto da una Scuola Iniziatica che con questo “strumento” ci permette se ben utilizzato di lavorare su noi stessi come diversamente, probabilmente, non potremmo fare, con Metodo, Perseveranza e Vigilanza ma anche insegnandoci che la cosciente gestione personale del Silenzio ci aiuta sicuramente a valorizzare e rispettare il Segreto.

Anche nel mondo profano la privazione della parola è sinonimo di prevenzione contro sproloqui che poco hanno a che vedere con l’argomento trattato, la differenza sostanziale a mio avviso è che la saggezza della nostra Istituzione la porta inevitabilmente a prevenire piuttosto che a curare.

11 Silenzio può essere Fedeltà, Saggezza, Ordine, Astuzia, Rispetto e contemporaneamente Tradimento, Ignoranza, Caos, Stupidità, Disprezzo …

Dunque anche il Silenzio è soggetto ad una considerazione dualistica; è affidato alle mani del singolo a lui la scelta e la gestione coerente di uno strumento così delicato.

Il valore del Silenzio ed il rigore che impone sono motivo di riflessione, penso a tal proposito a quando durante la commemorazione di un defunto si invitano i presenti ad osservare in piedi qualche istante di raccoglimento, egli regola il termine della giornata per i militari, è sinonimo di austerità e rispetto nei conventi, chiese e templi, è amico della solitudine e compagno della riflessione è parte integrante della vita di uomini e donne che portando un handicap, comunque sono attivi nella società e ancora molte altre cose, ma soprattutto è uno strumento che ci accompagnerà nella nostra vita a tratti forse invadente e in altre circostanze prezioso.

Vorrei in ultimo riallacciarmi al precedente riferimento con il Segreto, il Silenzio infatti si potrebbe vedere come una cassaforte all’interno della quale celiamo i più reconditi segreti personali, le confidenze, tutto quanto rivesta particolare importanza e che con gelosa cautela proteggiamo da tutto quanto potrebbe nuocere loro.

Un passo degli Antichi Doveri, riguardante il comportamento di un Massone in presenza di profani, cita: “Sarete cauti nelle vostre parole e nel vostro portamento affinché l’estraneo più accorto non possa scoprire o trovare quanto non è conveniente che apprenda …”

Credo quindi che moralmente ognuno di noi sia stato investito di una grande responsabilità se è corretta la mia analisi, l’autorizzazione alla parola è una prova ben più ardua che quella di tacere, ci viene infatti chiesto di dimostrare di conoscere la Giustizia e saper amministrare da uomini Liberi e di Buoni Costumi la fiducia che è stata riposta in noi.

La conoscenza del Segreto che giustamente viene rivelata con i passaggi di grado, è quindi collegata al Silenzio con invisibili fili che solo la ragione e l’ordine psicologico possono vedere.

L’amministrazione corretta del Silenzio e del Segreto sono quindi a mio modesto avviso un dovere e non una scelta facoltativa.

Non sono certo, Maestro Venerabile e Fratelli carissimi di essere riuscito nell’intento di comprendere il Silenzio senza commettere errori, è sì vero che sbagliando si impara, ma temo anche di poter aver perso un’altra buona occasione per fare Silenzio.

TAVOLA DEL  FR.’. C. Blb,  

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RAZIONALE E IRRAZIONALE

Razionale ed irrazionale

Il rapporto ragione-intuizione, razionale-irrazionale è già stato oggetto della tavola “Iniziazione e Ragione” scolpita dal Fratello G. F. C.

II discorso è ampio per cui mi permetto di riprenderlo nuovamente, utilizzando un’ottica differente.

All’interno della nostra Istituzione si studia la Bibbia, i Vangeli riconosciuti o apocrifi, gli Gnostici, la Cabala, l’Ermetismo, la Magia, Ill.nduismo, lo Zen, il Tao, i Ching, il Buddismo, l’Astrologia, René Guénon, l’Alchimia, Rosacroce, la Filosofia, il Simbolismo Massonico e molte altre cose ancora. In tutti questi argomenti esistono differenti correnti, posizioni contrastanti. E ancora, gli scritti sono talora enigmatici o criptici o cifrati; valga, ad esempio, un qualunque testo di Alchimia.

E possibile occuparsi di un solo argomento: La Bibbia, l’astrologia, l’alchimia, escludendo gli altri, oppure non seguirne nessuno in particolare, ma, leggendo i testi di qualcuno di questi, mettere in risalto le analogie e le contraddizioni.

Pur inserendomi nel secondo gruppo, sono convinto che, se il lavoro viene fatto con intelligenza, il risultato non cambi e la scelta dipenda solo da attitudini individuali.

Il problema è che senso ha tutto ciò. La nostra convinzione è che i grandi del passato abbiano lasciato dei segni che ci aiutino ad uscire dal labirinto.

Sulla nostra capacità-volontà di leggere tali segni ci sarebbe molto da dire, ma si aprirebbe un discorso troppo vasto.

Sta di fatto, che se non sono osservati con un’ottica diversa, questi segni, sono assolutamente incomprensibili.

Per noi Massoni essi sono molto confusi, non univoci, di difficile comprensione, ma talora riusciamo ad avere qualche barlume di intuizione.

Essi seguono una logica non “razionale”, o “sovrarazionale” come talora si preferisce dire.

Quando affermiamo con la “Tavola smeraldina” che: “ciò che è inferiore è come ciò che è superiore e ciò che è superiore è come ciò che è inferiore per perpetuare le meraviglie della cosa una”, usiamo una logica in apparenza assurda, ma con un significato percepibile.

In questi discorsi non è possibile utilizzare il sillogismo. La ragione, che utilizza tale logica, si perde e si annoda sui grandi quesiti. Non è in grado di dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio; la presenza o meno del Libero Arbitrio; la stessa percezione di una realtà esterna.

Ecco perché abbiamo bisogno di un’altra logica e di un altro linguaggio.

Il nostro non può essere un linguaggio descrittivo fatto di parole e di ragionamenti, con una causalità lineare assolutamente inattaccabile; noi dobbiamo utilizzare un linguaggio simbolico, mitico o artistico.

           La nostra logica è, o dovrebbe essere, analogica.        

Nella discussione che ha seguito la tavola “Iniziazione e ragione” il Fratello G. P. ha affermato che Intuizione e Ragione non sono due valori antitetici, ma complementari: “esiste un ambito per la ragione ed un ambito per l’intuizione”.

Giustissimo.

Il difficile, e cito la tavola, del Fratello G. F. C. è “trovare il giusto equilibrio tra questi valori”.

Qual è l’ambito della ragione? È necessaria? È sufficiente? È indispensabile? È controproducente?

Credo che il nostro compito di esseri umani sia non solo quello di crescere e moltiplicarsi ma di “seguir virtute e conoscenza”.

Per fare ciò abbiamo bisogno di ogni nostra capacità, che per puri motivi di comodità descrittiva abbiamo diviso in capacità sensitive, razionali, ed intuitive.

Non penso si tratti di fenomeni separati con delle semplici interconnessioni. Si tratta, a mio parere, dell’unità Uomo che noi, incapaci di comprendere in toto, preferiamo descrivere in parti staccate. Pertanto ai nostri fini la capacità di ragionare è assolutamente indispensabile, ma non può essere sufficiente.

Mi sembra che la progressione all’interno della nostra Via, avvenga per salti, per piccole illuminazioni, per intuizioni; non è un processo culturale di apprendimento che si manifesta in modo lineare; la Ragione rende possibile la successiva capacità di analisi e di interpretazione delle esperienze personali. In un secondo tempo sempre grazie alla Ragione sarà possibile comunicare le nostre intuizioni attraverso un linguaggio inadeguato, confuso, ma comunque uno dei pochi mezzi a nostra disposizione.

I mistici, in particolare quelli orientali, hanno altre tecniche; molto noto è il pensiero Zen “Nell’istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge”.

ln Massoneria temo che, privati delle parole, avremmo delle grandi difficoltà.

Senza un adeguato uso della ragione si rischia di parlare a vanvera; di seguire pseudo intuizioni assolutamente staccate da ogni contesto; di usare la logica sbagliata al momento sbagliato. Si diventa facilmente fideistici ed acritici.

Usando solo la ragione si strutturano splendide analisi, discorsi molto eleganti, ma, credo, non si vada da nessuna parte.

Allora ricapitolando: argomenti molto vasti e numerosi, testi poco comprensibili, difficoltà di comunicazione, linguaggio non analitico, differenti logiche da seguire; nonostante questi presupposti pensiamo di avanzare lungo la nostra Via: dunque siamo pazzi.

Un gruppo di individui adulti, di sesso maschile, che si riunisce una sera fissa della settimana, muniti di grembiule e guanti bianchi, ripetendo rituali di incerta origine può suscitare qualche preoccupazione di ordine psichiatrico.

Io penso che uno dei fondamenti della nostra Via di saggezza risieda nella assoluta apparente pazzia.

Seguire l’unica via di fuga dal carcere, anche se ad occhi profani essa sembra folle è, evidentemente, segno di profonda saggezza.

Il quid che fa scattare l’intuizione potrà essere il Caso (?), la Grazia Divina, o la Forza Interiore. Ben difficilmente sarà uno studio logico e ragionato.

Credo che il nosüo compito sia di metterci nelle migliori condizioni possibili di ricezione. E qui, in Tempio, dovremmo avere delle grandi possibilità, se ben utilizzate.

Comprendere al di là della ragione, vedere al di là della vista, ascoltare il linguaggio dei simboli; questi sono i mezzi che permettono la fuga dal carcere.

Se davvero questo è il nostro comune obbiettivo allora: BUON VIAGGIO FRATELLI

TAVOLA DEL FR.’. S. Clnn,

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INIZIAZIONE E RAGIONE

Iniziazione e ragione

Nel corso del rito di iniziazione allorquando il Maestro Venerabile illustra al profano i principi su cui si basa la Libera Muratoria viene affermato che tali principi sono “fondati sulla ragione” cioè “sulla capacità di saper giudicare rettamente e poter distinguere il bene dal male” (Cartesio).

Il riferimento a Cartesio è inevitabile quando si voglia discutere queste cose perché è con lui che la “ragione” nella civiltà occidentale, ha assunto il peso e l’importanza di una divinità.

È dunque la “ragione” il filo di Arianna capace di far distinguere a chiunque la differenza fra il bene ed il male e, a noi Massoni, il vero significato di parole come tolleranza, fratellanza, uguaglianza?

Credo che, prendendo alla lettera il detto di Cartesio, con la ragione noi saremmo in grado di arfivare financo alla verità perché colui che veramente fosse in grado di distinguere il bene dal male o sapesse giudicare rettamente non sarebbe forse depositario della “Conoscenza” o, perlomeno, molto vicino ad Essa?

Ora, a prescindere da altre considerazioni che cercherò di sviluppare più avanti, si deve arguire che la “ragione” sia per gli uomini esattamente come la “verità” cioè un oggetto sconosciuto e misterioso a giudicare dall’uso che ne è stato fatto dal 1637 in poi.

Già perché a prescindere da convinzioni evoluzionistiche o meno mi sembra che tale sensazionale scoperta abbia portato l’uomo a migliorare sé stesso e nei suoi rapporti con gli altri uomini e nei suoi rapporti con la natura.

Mi sembra, in verità, tutto il contrario.

A meno che non si voglia spacciare per migliorare sé stessi il fatto di aver sconfitto il colera, o di aver scoperto l’infinitamente piccolo, o di aver fatto socialmente grandi progressi perché si potrebbe facilmente obiettare che ora ci sono l’aids e il buco nell’ozono e che circa due terzi della popolazione mondiale soffre la fame.

No non mi sembra proprio che con 1a ragione l’uomo abbia raggiunto significativi traguardi.

E questo perché o l’uomo non sa cosa sia la ragione oppure la ragione “da sola” non basta a dare risposte ai misteri della vita.

E, d’altra parte, se la ragione fosse sufficiente a svelare ciò che è nascosto, a cosa servirebbe dover morire per rinascere ad una nuova vita attraverso un rito che si chiama “iniziazione”?

Può la ragione spiegare un “simbolo”?

Può quindi la Massoneria far sua una visione del mondo esclusivamente razionalistica sino ad affermare che i suoi principi sono fondati sulla ragione?

E se la ragione “da sola” non basta a spiegare i misteri della vita quale altra forza può aiutarla sulla strada della ricerca?

Nel corso dei riti di apertura e chiusura dei lavori o durante le iniziazioni ed i passaggi di gado a “lavori aperti” in definitiva siamo, credo, tutti d’accordo nell’affermare che esiste “una nuova disposizione interiore” che fa sì che il modo di essere, di comportarci, di muoverci, di prendere la parola, di ciascuno di noi sia diverso da quello che comunemente siamo soliti tenere.

Perché avviene questo?

È di nuovo il nostro “raziocinio” come ha sostenuto qualche tempo fa un fratello che ci impone un comportamento “diverso” o è il caso di pensare che qualcosa di “non razionale” avvenga in quei momenti come, ad esempio, la discesa di una influenza spirituale evocata e richiamata dai simboli e dai riti che andiamo compiendo?

E, d’altra parte, se fosse solo la ragione a muovere tutto il marchingegno che bisogno avremmo di tutta quella pletora di simboli di cui ci circondiamo, perché mai non potremmo passare dal primo al terzo grado saltando il secondo guadagnando così un sacco di tempo, perché mai daremmo un sacco di legnate (metaforiche ma pur sempre legnate) al profano che vuol entrare in mezzo a noi? E, lo sapete, quante altre potremmo elencarne!

Non basterebbe forse sederci intorno ad un tavolo e dire: fratelli, ragioniamo, anzi: amici, ragioniamo.

Non sono sicuro che non basterebbe.

Possiamo quindi arguire che simboli ed influenza spirituale non sono alla portata della “ragione” ma sono forze che l’uomo può solo intuire.

Con l’intuizione posso arrivare al simbolo, con l’intuizione posso accettare l’idea di una influenza spirituale che scende, a date condizioni, ad illuminare i nostri lavori.

Ecco allora che 1a ragione sta alla materia come l’intuizione sta a ciò che è fuori dal tempo e dallo spazio.

Tornando quindi alla frase che ha dato il via a queste riflessioni possiamo quanto meno affermare che essa è incompleta non riconoscendo alcun ruolo all’intuizione ma basando tutta la possibilità di comprensione sulla ragione.

Ma qualche riflesso di quanto è detto è percepibile anche all’interno della nostra Officina.

Ho già detto dell’affermazione che la nostra diversa disposizione interiore dipenderebbe unicamente dalla nostra volontà anziché da influenze evocate dai riti compiuti.

Ma ciò che maggiormente mi preoccupa all’interno della nostra Officina è che, per tentare di combattere un certo dogmatismo dottrinale a volte irritante per le certezze assolute che propina che non mi sento di condividere ma che comunque rispetto, si cada nell’errore opposto che consiste nel voler ricondurre tutto al razionalismo più spinto.

Così mi spiego affermazioni tese a delegittimare a tutti i costi il possibile ricollegamento iniziatico della Massoneria a forme tradizionali antiche soltanto perché non è scritto da nessuna parte ed i documenti a nostre mani non ne parlano.

Il fatto che non sia scritto non mi basta per sostenere che non esista.

Ecco la ragione all’opera per distruggere tutto ciò che non è codificato e che sfugge all ‘approccio scientifico razionale e metodico.

È proprio impossibile ipotizzare che i nostri padri costruttori abbiano frovato la forza per realizzare le innovazioni tecniche che stanno alla base dello stile gotico non soltanto da calcoli e misurazioni ma anche da intuizioni e conoscenze non codificate.

Di forte alla bellezza quasi “non umana” di simili realizzazioni è pensare che ciò sia solo frutto di calcoli matematici’?

Ho la sensazione che seguendo la strada della razionalizzazione della Massoneria la priviamo dei fondamenti che la costituiscono relegandola al ruolo di un qualsiasi Rotary o Lion con tutto il rispetto per queste associazioni fra l’altro di ispirazione massonica.

È il caso di ricordare il simbolo del tappeto a scacchi con l’obiettivo, per l’iniziato, di saper camminare sulla linea che divide il bianco dal nero che significa perfetto equilibrio, controllo delle passioni, capacità di discernere senza pregiudizi.

Ma fra “ragione” ed “intuizione” quale sia questo equilibrio è tutto un altro discorso.

P. S.: pensiero letto sulla Stampa del 24/1/97: “Non il sonno, ma l’insonnia della ragione genera i mostri”

TAVOLA DEL FR,’, G. F. Cmmrcc,

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SIMBOLOGIA E FINALITA’ DEL 2° GRADO

Simbologia del 20 grado

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

la Libera Muratoria ha per meta la fratellanza universale e quindi indirizza l’attività dei Fratelli verso la pratica della bontà e della virtù allo scopo di fare di ognuno di essi un uomo saggio e colto. Perciò essa pretende da lui soltanto la fede nell ‘esistenza del GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO, ma non intesa dogmaticamente.

Al materialista che dubita dell ‘esistenza di un Supremo Creatore o Coordinatore, le porte del Tempio non saranno precluse, ma certo difficile, se non impossibile, sarebbe per lui il procedere nell’ascesa spirituale. Si vuole cioè giungere alla fede per la strada della meditazione, della ragione, pur consapevoli che la mente umana, in materia sovrannaturale, non potrà mai pervenire, con ogni probabilità, a conoscenza certa,

La Muratoria svolge tale suo proprio istituzionale compito spirituale cercando di aprire ai propri adepti questa via elevata con insegnamenti nelle Logge, con l’esempio dei Maestri e con la pratica indefettibile del bene operare, della solidarietà e della riflessione. Questo inscgnamento si esplica, immediatamente dopo l’iniziazione, nel corso dei tre Gradi.

E qui, al neofita, trovandosi di fronte ad un compito arduo, necessariamente si impongono doveri la cui osservanza si pone quale presupposto indispensabile per poter proseguire sul cammino iniziatico intrapreso. Appena entrato, e quindi nel periodo di permanenza nel primo grado, quando lavorando nella colonna che gli è destinata, deve solo pensare a studiare e conoscere se stesso; compiere quindi un lavoro eminentemente riflessivo allo scopo di notare e confessare a se stesso, con severo realismo e senza reticenze, i vizi che lo disturbano nell ‘impegnativo cammino intrapreso.

Il segno dell’Apprendista sta appunto ad indicare il distacco fra la mente ed il corpo che consente alla prima di dedicarsi, nella serena aünosfera del Tempio, a questo compito introspettivo. Senza questo distacco totale egli non potrà avere la piena conoscenza e la volontà di non indulgere, di non scendere a compromessi. Conseguentemente, senza questa volontà, non potrà mai divenire un buon Muratore.

Ne deriva che il dovere dell’Apprendista è quello di applicarsi a questo lavoro interiore con tenace volontà e quindi con forza. Non è a caso, pertanto, che per il primo grado sia stata attribuita una parola sacra tratta dal Vecchio Testamento il cui significato suona colla forza, in forza, quella forza che appunto deve avere l’Apprendista nello scalpellare se stesso, simbolicamente paragonato alla pietra grezza. Quella forza necessaria all’ Apprendista per provvedere alla sua formazione interiore liberandosi dalle scorie profane. Egli deve, in altre parole, porsi in condizione di formarsi una nuova

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conoscenza che senta il bisogno di estrinsecarsi attraverso il male e che, aggiungerei, consenta di sentirsi libero da servitù, intolleranza, ipocrisia.

Il dovere dell’Apprendista si può così compendiare nel dovere di rieducarsi. E egualmente partendo dalla parola sacra attribuita al secondo grado che si può passare a considerare i doveri in senso etico del Compagno d’Arte.

Si legge che la parola significa stabilità, fermezza, perseveranza c, talvolta, passività. Stabilità, fermezza e perseveranza che, si intende, deve avere il Compagno nell ‘intraprendere, o meglio, nel proseguire il cammino nella via della perfezione.

Come detto la parola significa anche passività. E in tale accezione il termine, secondo la Dottrina Massonica, sta ad indicare quella condizione interiore, di particolare rinuncia, cui deve pervenire il Compagno pcr raggiungere il massimo grado di perfezione morale ed intellettuale, per rinnovarsi compiutamente e passare, attraverso l’iniziazione, ad un’altra vita; perché possa realizzarsi in lui la catarsi, la vcra c propria palingenesi. La reale rinascita del Muratore alla nuova vita, che ha per meta la fratellanza universale, postula il possesso di superiori qualità morali, ossia di quelle qualità che gli consentono in ogni circostanza di indirizzare la propria ed altrui attività verso la pratica costante e proficua della bontà e della virtù.

In questo grado il Libero Muratore deve dunque cominciare a svolgere quel compito concreto, proprio della Massoncria, mantenere la sua mente sulla via della costruzione di un Tempio che raccolga il vero, il bello ed il giusto. Perciò, avendo a disposizione i nuovi strumenti di cui è stato simbolicamente dotato e l’aiuto fratemo dei Fratelli Maestri, dovrà essere costantcmcnte impegnato nel lavoro tenace di trasformare la pietra, che ha dimostrato di aver saputo dirozzare nel primo grado, in pietra cubica e conferrnare quindi la capacità del proprio apporto concreto alla erezione del Tempio.

Egli ha, in conclusione, il dovere di raffinare la propria perfezione intellcttualc c morale. Solo con l’osservanza di questo specifico dovere egli potrà sentirsi pronto ad essere ricevuto nel grado superiore: divenire Maestro.

      G. Bltt, 26 gennaio 1989 e :.       (2 0 Grado)

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APPRENDISTA FRA I SMBOLI

L’apprendista fra i simboli

Maestro Venerabile, Fratelli Carissimi,

dalla prefazione di un testo di Zimmer, scritta dallo stesso autore, ho intuito un messaggio interessante per la strada iniziatica, tanto che ho voluto “tradurlo sostituendo nel testo originale parole e frasi e trasformarlo così in una tavola per apprendisti.

L’apprendista fra i simboli

La maggior parte del retaggio di conoscenza ci è giunto da epoche remote e da lontani, sconosciuti, angoli del mondo attraverso la lettura di simboli disseminati sulla strada dell ‘uomo dai Maestri che ci hanno preceduti.

Ogni iniziato vi aggiunge qualcosa della sostanza, delle proprie intuizioni, ed i semi dei simboli così nutriti riprendono a vivere ed a produrre nuova conoscenza.

La facoltà di germinare dei simboli è perenne, attende solo di essere stimolata dalla nostra ricerca. La progressiva conoscenza proietta un raggio indagatore sulle immagini simboliche portando alla luce fondamentali elementi strutturali che prima erano immersi nelle tenebre.

L’unica difficoltà di lettura del messaggio sta nel fatto che l’interpretazione delle forme scoperte non può essere mai ridotta ad un sistema sicuro; perché nei veri simboli vi è qualcosa che non si può circoscrivere, essi sono inesauribili nel loro potere di evocare e di istruire.

I contenuti scopribili delle immagini simboliche, ampiamente disseminate nel Tempio, continuano a subire, davanti ai nostri occhi, mutazioni incessanti ed i significati devono essere costantemente riletti e ricompresi per evitare interpretazioni aride risultanti da un lavoro di metodo.

Se si abbandona l’atteggiamento di ricerca nei confronti dei simboli e si diventa certi della loro corretta interpretazione ci si priverà del contatto vivificante, dell ‘assalto stimolante e ispiratore che è effetto della virtù intrinseca del simbolo. Perdendo l’umiltà e la disponibilità dovuta a ciò che deve essere oggetto di continua ricerca, l’ Apprendista rischierà di rifiutare l’interpretazione di ciò che non verrà mai detto a chiare lettere né a lui né a nessun altro.

Il tentativo di classificare il contenuto del messaggio simbolico in categorie e capitoli già noti impedirebbe l’emergere di qualsiasi nuovo significato e rallenterebbe il cammino sulla strada iniziatica fatta di ricerca e di conoscenza.

Il potere “fertilizzante ” del simbolo si attiva proprio mediante l’interpretazione dell’innocenza e dell’umiltà interiore e la ricerca esteriore, evitando di ridurre ciò che non ci è famigliare in cose note attraverso uno sterilizzante dogmatismo avviluppato nell ‘autocompiacimento mentale.

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Solo un atteggiamento “umilmente ” ricettivo e la disponibilità a lasciarsi momentaneamente sbilanciare da una nuova concezione rivelatrice rimbalzata dall ‘urto con i simboli, consente di conversare con l’intimo, con l’Essere Supremo che è in noi ed csserc fecondati, come la terra d’Egitto dalle acque del Nilo, dalla conoscenza delle immagini dei simboli che resistono, perché vive, rinnovate, imprevedibili eppure coerenti, a tutti i tentativi di sistematizzazione.

Se l’intelligenza indagatrice rifiuta di accettare la possibilità di imparare qualcosa dall’aspetto vivente dell ‘oggetto sottoposto alla sua attenzione, l’approccio mentale all’enigma del simbolo, il progetto di sottrargli il segreto della sua profondità non può che fallire.

I simboli sono gli estremi oracoli della vita. Devono essere interrogati e consultati daccapo ad ogni epoca cd in ogni Tcmpio, ed in ogni epoca e Tempio saranno avvicinati dagli iniziati con il loro tipo di ignoranza e di incomprensione, diverse da quelle delle epoche e degli iniziati precedenti.

Le trame della vita, iniziatica e profana, che noi, nel nostro tempo, dobbiamo tessere non sono quelle di nessun ‘altra epoca; i fili da intrecciare ed i nodi da sciogliere sono sempre diversi da quelli del passato e le risposte già date ci possono servire solo se interpretate e adattate al percorso della nostra vita.

I simboli devono essere riconsultati direttamente, I ‘Apprendista ha il compito di apprendere, oltre quel che si dice abbiano già detto, il modo di avvicinarsi a loro, il modo di evocare da loro nuove parole e poi capirle. L’apprendere deve liberare l’intuizione creativa, permettendole di vivificarsi al contatto dell’affascinante scrittura delle figure simboliche.

La conoscenza che si acquisisce nel rileggere i simboli permette di misurare fino a che punto la vita, a contatto con loro, abbia condotto lo spirito verso la ricerca costante e produttiva.

E solo alimentando questa ricerca l’ Apprendista sarà sempre pronto a ricominciare daccapo e sarà in lui che i semi prodigiosi dei simboli metteranno radici c cresceranno meravigliosamente.

G. Frsn, 19 gennaio 1989 e :. v :. (1 0 Grado)

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CERIMONIA PER LA FESTA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

CERIMONIA PER LA FESTA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

M.V.   – FRATELLI CARISSIMI, CELEBRIAMO AL SOLSTIZIO D’ESTATE LA FESTA DI GIOVANNI BATTISTA. EGLI AFFERMÒ DI NON ESSERE LA LUCE, MA DI ESSERE VENUTO A RENDERE TESTIMONIANZA DEL GRANDE MIRACOLO DELLA LUCE, CHE SEMPRE TRAMONTA PER SORGERE DI NUOVO, CHE ILLUMINA CHIUNQUE VENGA AL MONDO, ELARGENDO A TUTTI VITA ED ENERGIA.

FRATELLI CELEBRIAMO OGGI, SECONDO LA TRADIZIONE, IL RICORDO DI GIOVANNI BATTISTA, MENTRE IL SOLE SI ELEVA AL SUO PUNTO MASSIMO E PER NOI HA TERMINE L’ANNO DI LAVORO MASSONICO.

NOI SIAMO QUI RIUNITI PER ACCENDERE INSIEME IL FUOCO, SIMBOLO DELLA FESTA DI SAN GIOVANNI E SIMBOLO DELLA LUCE DELLO SPIRITO, CHE DEVE ILLUMINARE NOI TUTTI E GUIDARE LA NOSTRA FATICA NEL DIUTURNO IMPEGNO PER LA COSTRUZIONE DEL TEMPIO: QUELLO INTERIORE E QUELLO DELL’ UMANITÀ.

Il maestro delle cerimonie accende al testimone lo stoppino e lo consegna al M.V. che sceso dal trono, dà fuoco al braciere.

M.V.   – POSSA IL FUOCO ESSERE RINNOVATO SUL NOSTRO ALTARE. POSSA LA FIAMMA ARDERE SEMPRE.

VICINO A ME IL SIMBOLO DELLA SAPIENZA, ALLA MIA DESTRA LA COLONNA DELLA FORZA, ALLA MIA SINISTRA LA COLONNA DELLA BELLEZZA, AL CENTRO LA MAGNIFICENZA FIAMMEGGIANTE.

Il M.V. accende la candela sul tavolo.

M.V.   – POSSA IL FUOCO ESSERE RINNOVATO SUL NOSTRO ALTARE PER LA MASSONERIA UNIVERSALE. POSSA LA FIAMMA RIMANERE SEMPRE ACCESA.

Oratore –     E DIO DISSE: SIA LA LUCE! E LA LUCE FU.

Il Maestro delle cerimonie porge al M.V. la ciotola del grano.

Il M.V. getta alcuni chicchi di grano nel braciere.

M.V.   – IL GRANO NUTRE IL CORPO, TEMPIO DELLO SPIRITO. OFFRENDO QUESTO GRANO CONSACRIAMO LA FORZA CHE VENNE DEDICATA ALLA COSTRUZIONE DEL TEMPIO DELLA SAPIENZA. SPERIAMO CHE TUTTI COLORO CHE ENTRERANNO NELLE NOSTRE LOGGE POSSANO TROVARVI IL NUTRIMENTO CHE CERCANO.

Tutti – COSÌ SIA!

Il Maestro delle cerimonie porge al M.V. l’ampolla con il vino.

Il M.V. versa alcune gocce di vino nel braciere.

M.V.   – OFFRIAMO IL VINO COME SIMBOLO DELLA ISPIRAZIONE DELLO SPIRITO CREATIVO DEL G.·.A.·.D.·.U.·..

POSSANO IL SUO CALORE E LA SUA GIOIA PERVADERE SEMPRE IL NOSTRO ESSERE.

Tutti – COSÌ SIA!

Il Maestro delle cerimonie porge al M.V. l’ampolla con l’olio.

Il M.V. versa alcune gocce d’olio nel braciere.

M.V.   – OFFRIAMO L’OLIO CONSACRANTE COME SIMBOLO DELLA PACE E DELL’ARMONIA. COSÌ OFFRIAMO NOI STESSI AL SERVIZIO DEL G.·.A.·.D.·.U.·..

POSSANO REGNARE PACE E SERENITÀ DENTRO E FUORI I NOSTRI TEMPLI.

M.V.   – MAESTRO DELLE CERIMONIE DATEMI LA PERGAMENA DELL’ANNO TRASCORSO.

Il Maestro delle cerimonie porge la pergamena al M.V..

M.V.   – FRATELLI, ABBIAMO SCRITTO IL NOSTRO NOME SU QUESTA PERGAMENA CHE RAPPRESENTA L’ANNO TRASCORSO. CON ESSA DIAMO ALLE FIAMME TUTTO IL FARDELLO DELL’ANNO PASSATO CON I SUOI ERRORI, OMISSIONI, SCONFITTE, AMAREZZE, CONFLITTI E CON TUTTO CIÒ CHE IN NOI È CONTRARIO ALLA LUCE DELLA FIAMMA DELLO SPIRITO.

POSSA  TUTTO INCENERIRSI NEL CENTRO DI QUESTO TEMPIO, IN MODO CHE NESSUNA TRACCIA DI RICORDO POSSA PIÙ OPPRIMERCI.

QUESTO ATTO DI PURUFICAZIONE E DI RINNOVAMENTO DIVENTI TESTIMONIANZA DELLA NOSTRA UNIONE FRATERNA E CHE ESSA POSSA ESTENDERSI AD ABBRACCIARE TUTTI I LIBERI MURATORI CHE NEL MONDO, ALLO ZENIT DELL’ANNO, ACCENDONO LO STESSO FUOCO.

TUTTO QUESTO SIA OFFERTO COME ESPIAZIONE PER L’INTERA UMANITÀ, POICHÉ NOI APPARTENIAMO AD UN SOLO GENERE UMANO.

Tutti – COSÌ SIA!

Il M.V. dà fuoco alla pergamena.

M.V.   – VIENI SPIRITO DIVINO, FUOCO PURIFICATORE, RAGGIANTE D’AMORE NEI CUORI. CONSUMA IL PASSATO CHE CI RENDE GREVI, CON TUTTO IL SUO MALE. NE RESTI SOLO CENERE BIANCA.

Il M.V. lascia cadere la pergamena nel braciere e ritorna sul trono.

M.V.   – MAESTRO DELLE CERIMONIE CONSEGNATE AD OGNI FRATELLO UNA SPIGA.

Il Maestro delle cerimonie esegue e consegna ad ogni F.·. una spiga di grano.

M.V.   – OGNUNO DI NOI SIA COME UNA UBERTOSA SPIGA, DA CUI SI POSSANO STACCARE ALMENO DIECI CHICCHI. FACCIAMO CHE QUESTI SEMI SIANO BEN VIVI. DA UNA SPIGA, SE NOI VOGLIAMO, PUÒ NASCERE UN CAMPO DI GRANO, CHE DARÀ PANE A NUTRIMENTO DI TUTTI GLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ.

PER SIGILLARE LA NOSTRA UNIONE FORMIAMO ORA LA CATENA VIVENTE ATTORNO AL FUOCO CHE ARDE NEL MEZZO DI QUESTO TEMPIO.

POSSA OGNUNO TACENDO RINNOVARE IL SUO TEMPIO SACRO.

VOGLIAMO AMARE I NOSTRI FRATELLI E IL NOSTRO PROSSIMO COME NOI STESSI ED ESSERE LIBERI MURATORI GIUSTI E PERFETTI.

Tutti formano la catena.

Oratore – RICORDATE CHE OGNUNO DI NOI È COME UNA SPIGA, OGNUNO DI NOI È PRINCIPIO DI FUOCO, OGNUNO DI NOI È PRINCIPIO DI LUCE.

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L’ARMONIA DELLE SFERE

L’ARMONIA DELLE SFERE

L’Unità, principio di tutti i numeri, li contiene tut­ti e non è generata da alcuno di essi. I numeri incor­porati e raggruppati all’infinito nello spazio, sono i membri dell’Universo e gravitano intorno all’Unità sforzandosi di rientrare in essa.

L’insieme di questi sforzi costituisce l’armonia. Pi­tagora, istruito nella sacra scienza di Tebe, affermava, venti secoli prima di Copernico, la rivoluzione degli astri intorno ai loro centri solari, e provava che le danze siderali si compiono in mezzo agli accordi ce­lesti.

«Dall’Uno centrale si sviluppa una sfera che avvol­ge il mondo. I corpi celesti danzando nell’etere è chiaro che essi vi generano degli impulsi, cioè dei suoni; e poiché le loro velocità di rotazione sono dif­ferenti, essi producono dei suoni tra loro differenti e degli accordi, che compongono l’armonia delle sfere che i nostri deboli sensi non possono percepire». (E. CI-IAIGNET – Studi su Pitagora).

Il  racconto di Er, l’Armeno (RepubbL libro V) con ferma questa teoria: «Alle estremità di questa linea che attraversa la circonferenza del cielo, è sospeso il fuso della Necessità che dà il movimento a tutte le ri­voluzioni celesti. Su ognuno dei cerchi planetari è posta una Sirena che gira insieme a Lui cantando su di una sola nota, in modo che da queste sette note diffe­renti risulta un accordo perfetto».

La lira aveva (OMERO – Inno ad Ermete) sette corde, e le sette note della gamma diatonica corrispondono, come i sette colori del prisma, ai sette pianeti princi­pali.

Tutte le stelle hanno un loro colore particolare nella gamma infinita delle sfumature, i colori prisma­tici dei pianeti sono condensati e riassunti nel colore bianco di Giove che è il pianeta benefico per eccel­lenza.

Così come il movimento generale genera la luce, i diversi e particolari movimenti generano luci diffe­renti, ognuna delle quali ha una azione differente.

Le rivoluzioni degli astri, mediante i loro multipli effetti, producono così le armonie della Natura.

Dalla scoperta delle analogie colleganti le creazio­ni terrestri al mondo immateriale la scienza trae sin­golari chiarezze.

Secondo Aristotele (Intorno al Mondo), «l’Universo è l’armonia del Cielo e della terra, il concatenamento di tutte le creazioni della natura, che contiene rac­chiuse in se stesso. È l’armonia e la disposizione di tutte le cose create ed è soggetto alle divinità che lo governano. Il Cielo è l’abitacolo degli Dei».

Gli Antichi riportavano ogni cosa ad una causa unica, ad un motore supremo, al Dio Uno.

«Omnes Sibyllae unum Deum proedicant». (LAT­TANZIO – De falsa religione).

«Non ci sono, dice Giuseppe de Maistre, delle cau­se fisiche o materiali, poiché la materia non agisce che a mezzo del movimento, e non può esservi movi­mento senza un motore primo, anima o volontà. Ke­plero giunse alla sua scoperta immortale seguendo non so quale idea mistica di numeri e di celesti armo­nie, idee che vanno perfettamente d’accordo con il suo carattere religioso» (Soirées de Saint Pétersbourg).

La stessa etimologia della parola Universo, ci rivela che ogni cosa converge verso l’Uno, verso la Causa Unica.

Secondo Swedenborg (La sapienza angelica) il no­me che gli Antichi davano all’uomo (microcosmo) èstato ricavato dalla scienza delle analogie e delle cor­rispondenze; e il Zohar nella descrizione delle parti del microprosopo dice: “egli è rivestito della forma dell’Antico dei giorni”, idea questa conforme alla espressione «E Dio fece l’uomo a sua immagine e so­miglianza».

Quindi, l’uomo che non si è degradato e che pre­senta nelle sue proporzioni l’armonia originale, è ri­vestito della forma divina.

In astrologia i dodici segni dello zodiaco si divido­no il dominio di tutte le parti del corpo umano; solo la testa, sede dell’intelligenza, è sotto l’influsso diret­to dei pianeti la cui azione, come vedremo più innan­zi, è tanto potente nelle cose umane.

Ma torniamo allo studio delle armonie siderali. L’impulso primitivo generà il calore, poi la luce, da cui ebbe origine la vita, ed infine l’attrazione e la re­pulsione dei corpi e degli spiriti. È facile dimostrare che dal movimento derivano il calore, la luce, ed an­che il sole.

Se si prende un disco e lo si fa girare con moto continuo ed accelerato, esso si riscalderà emettendo un ronzio più o meno distinto e, a lungo andare, una specie di chiarore. Inoltre con lo sfregamento si pos­sono ottenere, in determinate condizioni, delle pro­prietà magnetiche e di attrazione.

Analogamente per i corpi celesti: a causa della diversità delle loro masse e delle velocità delle loro rivoluzioni essi producono delle luci differenti ed ema­nano differenti influenze e differenti melodie, dando luogo nel loro insieme alla sublime sinfonia, ascolta­ta in ispirito da Pitagora, da Platone e dai saggi dell’Egitto.

La natura intesa con il suo procedere infinito, i suoi continui mutamenti è il risultato del moto e del­le influenze delle sfere celesti.

E lì che bisogna cercare la spiegazione dei suoi mi­steri. Tutte le proprietà dei corpi, la loro azione reci­proca, oggetto della fisica, non sono che la somma dei fatti naturali, che chiamiamo fenomeni, e la loro  coordinazione è il loro legame al tutto ed alla Causa Prima.

D’altra parte lo studio della combinazione e della separazione degli elementi, l’analisi delle sostanze atomiche, il loro substratum e le loro trasmutazioni, la scienza dello spagirismo e quella dell’Alchimia ed infine della chimica moderna, provano che tutti gli elementi della materia, per la loro essenza, le loro qualità, le loro particolarità, obbediscono ad una leg­ge generale e concorrono all’armonia universale.

Infine, tutte le scienze umane che noi abbiamo ar­bitrariamente divise e rese estranee le une alle altre, ma che gli Antichi avevano riunite sotto il nome di musica, devono darsi la mano e formare un coro maestoso per elevarsi fino a Dio Uno salendo tutti i gradini della scala della sapienza.

«Zeus oudìapxns, motore supremo, principio della sostanza, creò dai diversi elementi i sette astri erranti che hanno in se stessi le proprietà del Destino e dai quali provengono tutte le cose pantomorfe e le leggi della Natura Eterna, varia e mutevole’>. (ERMETE TRISMEGISTO – Lettera ad Asclepio).

I pianeti sono dunque dotati di queste virtù sottili che poi emanano, nel raggio della loro azione, pro­ducendo le varietà e le trasformazioni della Natura.

Da ciò può inferirsi che ogni ciclo solare racchiude dei pianeti aventi proprietà differenti e, per conse­guenza, generanti altre forme ed altre varietà della materia animata o inanimata, e così sino ai limiti della sfera dell’Universo.

«Le creazioni terrestri, dice Proclo, corrispondono esattamente alle figure celesti dalle quali procedono secondo verità l’armonia e la fine di tutte le cose. Poi­ché esse sono connesse all’Unità secondo l’ordine e le influenze celesti che discendono e si spandono su ogni cosa per Volontà divina, ed ogni cosa regolano nelle creazioni inferiori».

Così con l’autorità di Ermete e dei suoi saggi e sa­pienti discepoli ed eredi della sua dottrina, sono state stabilite le affinità secrete che uniscono il cielo alla terra, come tutti gli astri di uno stesso mondo plane­tario.

È la potenza magica comunicata all’origine del Principio primo che, creando la natura proteica, ha connesse tutte le cose mediante reciproci perpetui rapporti, il che è proprio del Destino.

«Il principio di ragionamento, dice Bossuet, fa uscire l’anima dal suo corpo, per stendere lo sguardo sul resto della Natura e comprendere la concatena­zione delle parti che compongono un così grande Tutto».

L’armonia dell’Universo è la conseguenza di que­sti rapporti che legano, con innumerevoli ed invisibi­li fili, tutte le creazioni fisiche e spirituali e produco­no così le diverse manifestazioni della Vita e della Bellezza.

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UN TRIANGOLO

UN TRIANGOLO

    Abbiamo visto tre punti simbolici concernenti la rosa in un approccio psico-spirituale, dunque un triangolo, con:

al 1° punto, la rosa come simbolo del desiderio spirituale di realizzazione del Sé;

al 2° punto, la rosa come simbolo del “saper dare” e del “saper ricevere”;

al 3° punto, la rosa come simbolo dell’apertura del cuore.

    Tre punti simbolici che favoriscono la sensazione dell’unità. Tre in Uno.

– Sensazione di unità che può essere tradotta anche da questa rosa al centro della croce.

– Sensazione di unità in se stesso, mediante l’armonizzazione dei differenti componenti del nostro essere.

– Sensazione di unità col nostro ambiente, con la nostra cerchia immediata poi più lontana, con la natura, il mondo minerale, vegetale, animale, ma anche con i mondi superiori.

– Sensazione di unità con coloro che vivono lo stesso ideale mistico e, a questo riguardo, noi conosciamo il ruolo svolto dall’Egregori.

– Sensazione di unità con gli esseri alla ricerca spirituale in senso generale.

– Sensazione di unità con l’insieme dell’umanità con la quale siamo solidali a livello delle gioie e delle pene.

– E un giorno, sensazione di unità con l’infinità…

    L’unità attraverso l’Amore e la Conoscenza, aiuta a edificare nuovi valori.

A tutto ciò ci invita il simbolo della rosa che irradia nel senso spirituale del termine, ma anche nel senso psicologico con i cambiamenti dei valori e dei comportamenti che questo induce nel mondo del pensiero e, beninteso, nel senso quotidiano con le applicazioni pratiche, concrete, pragmatiche nella vita di ogni giorno. Dunque una irradiazione sui tre piani spirituale, psicologico e quotidiano.

Conclusione

    Si può dire che il cammino spirituale e la psicologia del profondo che vi si riferisce (cioè quella che tiene conto della dimensione spirituale), introducono il concetto di viaggio interiore. Ognuno ha in sé una particella dell’immensità cosmica, dell’infinità, e cerca di ritrovare questa armonia possibile con il Cosmico. Il viaggio interiore consiste in questo ritrovarsi con se stesso, in questo matrimonio alchemico interiore, in questa unificazione, effettuato un circuito completo che, come Ulisse, ci riporta al punto di partenza, ma con una coscienza più grande e con le molteplici esperienze che avranno segnato le nostre vite successive come altrettante tappe necessarie.

    Il cammino iniziatico è un immenso viaggio d’Amore come quello intrapreso da tutti gli alchimisti e noi tutti siamo, come dice l’Ordine, degli alchimisti spirituali. È un immenso poema d’Amore per la vita, in questa ricerca dell’Assoluto, un viaggio attraverso i piani di coscienza, le stelle (perché no?), attraverso il quotidiano che rimane il nostro vero Laboratorio, per scoprire passo a passo la realtà cristica dell’Amore e della Luce, un po’ come diceva Jacob Boehme quando affermava che siamo di natura terrestre e che in seno a questa natura dobbiamo scoprire la nostra esistenza celeste.

    Socrate, poi Platone, al loro tempo, desideravano stimolare gli uomini al fine di risvegliare in loro le tracce delle conoscenze accumulate lungo il viaggio dell’anima in modo che potesse servire da fonte interiore di verità. La tradizione iniziatica, come hanno fatto Socrate, Platone e molti altri, poggia sul fatto che le risorse di saggezza, d’amore e di conoscenza si nascondono nelle profondità dell’essere e sono proprio queste a svilupparsi in modo significativo quando sarà permesso loro si esprimersi totalmente. Nel mondo della psicologia contemporanea, sono sempre più numerosi quelli che ammettono questa realtà, da cui i tentativi di modelli psicologici o psicoterapeutici a scopo spirituale per rispondere ai nostri bisogni moderni.

    Nel 1889, Edouard Schuré, autore del libro “I grandi Iniziati”, così scriveva nel capitolo su Pitagora: “Questa sarà, secondo noi, la via del futuro, rendere alle facoltà trascendenti dell’anima umana la loro dignità e la loro funzione sociale riorganizzandole con l’aiuto della scienza e su basi universali aperte a tutte le verità. Allora la scienza rigenerata arriverà, ad occhi aperti, a quelle sfere in cui la filosofia speculativa erra con occhi bendati e a tentoni. Sì, la scienza diverrà chiaroveggente e redentrice a misura che aumenteranno in essa la coscienza e l’amore dell’umanità”. (La scienza con coscienza e non più la scienza senza coscienza).

    Allora la rosa, la cui importanza storica non è più da dimostrare, sarà un autentico simbolo della più grande coscienza di essere e di istruzione spirituale. Cosa desiderare di più per l’umanità del XXI secolo della speranza di vederla espandere il proprio campo di coscienza e la sua capacità d’amore?

    Per concludere, un’ultima immagine simbolica: nei manoscritti alchemici dei secoli passati, la rosa è stata spesso identificata come il Fiore dei Saggi e nel corso dei loro matrimoni mistici la rosa rossa era conferita al re e la rosa bianca alla regina. Fissiamo questa immagine nel pensiero in quanto Fiore dei Saggi e come simbolo di apertura della coscienza.

    La coscienza è una questione di qualità e non di quantità, della tecnica che si conosce e il Fiore dei Saggi si riconosce, beninteso, dalla sua qualità…

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RIFLESSIONE SULLA MORTE O TRANSIZIONE

RIFLESSIONE SULLA MORTE O TRANSIZIONE

Introduzione

    Per l’uomo la morte ha rappresentato un mistero, un enigma, sin dall’inizio della sua esistenza. Alcune antiche civiltà hanno compreso il carattere sacro e mistico della morte in quanto ponte tra i mondi visibile e invisibile. La nostra concezione della morte dà tutto il suo senso alla vita.

“Per quanto paradossale possa sembrare, la morte dà alla vita sulla Terra tutto il suo significato profondo, il suo peso specifico, nonché il suo valore spirituale e morale. Il disordine e il caos della vita moderna, con la sua cacofonia e bruttezza, provengono dall’incomprensione del fenomeno della morte.”

    Dietro la comprensione della morte si nascondono tutti i valori morali dell’esistenza. Così, con la comparsa del pensiero materialista che, si dice, si situa verso l’epoca del Rinascimento, i valori spirituali precipitano nell’oblio, si elude la morte, la si teme e così nasce la superstizione. I piaceri effimeri, essendo più tangibili, predominano. Non ci si sorprende di vedere che la criminalità, il suicidio, la droga e tutti i problemi di questo genere sono in crescita.

“Se la riflessione sul carattere positivo e sacro della morte penetrasse di nuovo la coscienza dell’uomo, senza dubbio sarebbe diverso. “Risvegliandosi”, l’umanità prenderebbe coraggiosamente le misure… contro il suo smarrimento così prolungato”.

    Ciò di cui ha bisogno il nostro mondo è di essere istruito nella vera Conoscenza: “Il grande problema dell’umanità è l’ignoranza a tutti i livelli” (Dalai Lama).

    Quando si comprende la legge del Karma, o legge di causa ed effetto, le nostre azioni cambiano. Quando si riconosce l’ispirazione e l’intuizione, oltre a tutte le possibilità di proiezione del pensiero, i limiti dell’invisibile si dissolvono. Quando attraverso la fede, sostenuta dalla conoscenza e l’esperienza, l’immortalità diventa una certezza, non vi è più posto per la paura dell’ignoto, della solitudine e della sofferenza, né per la superstizione. Allora il termine transizione assume il suo vero significato e, come per il giorno e la notte, vita e morte diventano inseparabili complementi, eterni innamorati abbracciati.

I – La transizione: un ‘iniziazione

    La morte e la nascita sono le due fasi “chiave” del nostro passaggio sulla Terra. Una ne segna l’inizio, l’altra la fine, a meno che non costituiscano entrambe una transizione della coscienza da un piano d’esistenza a un altro.

    Come Rosacrociani siamo particolarmente interessati a questo processo della morte o transizione. Quello che gli conferisce tutta la sua importanza e significato è l’impatto che ha sulla nostra coscienza. Ecco perché la chiamiamo iniziatica.

    Il nostro mondo ha perso tutto il senso iniziatico della morte e quindi della vita. Quando sapremo riconoscere che l’avvenimento importante o significativo della nostra esistenza è un’iniziazione, allora la vita e la morte assumeranno il loro vero significato.

    Con la comprensione delle leggi spirituali, si possono comprendere meglio le leggi materiali, essendo sottomesse alle prime, al punto che diventa possibile il dominio dei due piani; poiché tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto e viceversa.

Il – Preparazione alla morte

    Prepararsi alla transizione comprendendola meglio non la fa anticipare. Questo soggetto risulta ancora un tabù per molte persone, poiché tocca le fondamenta e i valori più profondi dell’essere umano. Ciò che consideriamo tabù spesso è qualcosa che abbiamo paura di affrontare, gli elementi che non vogliamo riconoscere in noi. Preferiamo avvolgere di mistero ciò che non possiamo spiegare e che, per ignoranza, crea in noi paura e superstizione. E vero che desideriamo conoscere tutti i misteri dell’Al di là, ma solo l’esperienza interiore può svelarceli.

1) La morte, un viaggio

    La preparazione alla transizione è paragonabile ai preparativi per un viaggio. Prima di partire bisogna documentarsi, conoscere i luoghi e sapere come si vive. Anche al grande momento della transizione ci si dovrebbe preparare.

    Ma, soprattutto, perché attendere tanto prima di pensarci? Questa prospettiva aiuterebbe sicuramente a vivere la transizione in modo meno angosciante, più sereno e cosciente. Può sembrare paradossale, ma più si addomestica la morte, più si apprezza la vera vita e si sente la Vita in noi. Senza questa visione, vita e morte sono degli opposti che non hanno alcun reale significato.

2) Le diverse morti

    Durante la nostra vita viviamo numerose morti o transizioni. Ognuna necessita distacco, accettazione e adattamento a un nuovo modo di vivere, a una nuova comprensione. C’è la morte di un essere caro, la separazione da un congiunto, un amico, la perdita di un arto, di un impiego, un trasloco, la rovina sociale o economica, la pensione, il passaggio delle diverse età della vita, la morte dell’ego e infine la morte del corpo fisico.

    Ciascuna di queste perdite comporta un dolore. Come placarli? Non è un paradosso cercare di trovare una soluzione a una situazione senza uscita e inaccettabile? Così questa perdita ci pone davanti a due scelte, accettare o negare:

– accettare = adattamento = visione del futuro = vita,

– negare = stagnazione = ritorno al passato = morte.

    La capacità di adattamento e accettazione determina la durata del dolore. Accettare di perdere per meglio ritrovare! In realtà le tappe vissute da chi trapassa sono le stesse per i congiunti che sopravvivono, con la sola differenza che uno cambia di piano mentre gli altri continuano su questo. Sia per l’uno che per gli altri c’è transizione, iniziazione, elevazione di coscienza. Solo il tempo e lo spazio li separano.

– tempo = durata di persistenza della tristezza,

– spazio = frontiera tra i mondi visibile e invisibile delimitata dalle vibrazioni materiali e spirituali.

    Una visione più spirituale riduce i limiti tra il mondo dei viventi e quello dei morti. Le persone trapassate non sono degli scomparsi, ma degli invisibili. E risaputo che per molti che hanno perso un essere caro, il contatto con lui, durante un sogno o mediante una proiezione psichica, agisce come una terapia. Spesso questo contatto privilegiato dà la certezza che la persona trapassata esiste sempre, dando così fiducia nella credenza in un mondo superiore o almeno al di là di questo. Inoltre tale contatto reca solitamente un messaggio che conforta o permette di attenuare le colpe, le angosce o le paure. Sovente lascia una forte impressione d’amore e di compassione, oltre a una sensazione di pace profonda; il che permette alla persona contattata di concepire la propria vita in modo più sereno e fiducioso.

3) La morte dell’Ego

   La morte dell’ego o, se si vuole, del “vecchio uomo”, con i suoi falsi desideri di possesso, di potere e di prestigio, costituisce un elemento centrale del sentiero iniziatico e particolarmente dell’esperienza della transizione. Dal punto di vista della psicologia moderna, l’ego è lo strumento, l’agente di ogni crescita (qualunque ne sia la sorgente). Paradossalmente è anche il freno di questa crescita a causa delle debolezze del suo sviluppo.

    D’altra parte, secondo i buddisti tibetani, l’ego è un concetto illusorio che non ha reale sostanza. Sarebbe la fonte di tutti i nostri problemi poiché è sinonimo di attaccamento. Solo sviluppando la compassione possiamo arrivare ad annullare l’ego. La compassione non è l’amicizia, ma l’amore disinteressato, poiché distrugge l’attaccamento.

    Secondo la visione Rosacrociana, possiamo considerare che il fatto di inviare buoni pensieri, in modo disinteressato e non personale, rappresenta una forma di compassione.

    Il corpo soffre quando muore poiché non vuole riconoscere quest’altra dimensione dell’io vero. Non sa dove va e non vuole lasciare la presa. Il suo mondo è quello della materia. Viviamo in un corpo fintanto che abbiamo bisogno di proiettarci in esso al fine di comprendere, e infine riconoscere, la nostra vera natura spirituale. Soltanto allora avremo acquisito la convinzione che non possiamo perdere alcunché abbandonando il corpo fisico.

    Per tutta la vita siamo stati più volte davanti alla morte dell’ego, ma gli abbiamo detto no: “Ho paura di perdere qualche prerogativa. Sono attaccato ai miei pensieri, ai miei beni, agli esseri cari”. Tanto che abbiamo dimenticato questi momenti di richiamo della coscienza. Credendo di aver detto no alla morte, noi abbiamo detto no alla vita. Ma dato che i nostri meccanismi di difesa sono sempre allerta, perseveriamo finché, un bel giorno, comprenderemo chi è questo vero Io in noi, chi è questo Maestro interiore. Egli non è altri che il Saggio che noi siamo e che, nella sua grande saggezza, attende di essere riconosciuto e ascoltato.

“Tutti ricerchiamo un titolo, chi quello di “signore”, chi quello di “presidente”, di “figlio”, di “ricco” o chissà quale altro. Volere tali titoli prova il nostro attaccamento al corpo, poiché possono essere applicati solo ad esso. Il primo passo verso la realizzazione spirituale consiste nel realizzare che siamo distinti dal corpo. Il solo modo per sottrarci a queste influenze è praticare il distacco, abbracciare il servizio di devozione al Signore.”

III – La solitudine di fronte alla morte

    Non è la nostra anima che teme la transizione, ma l’io razionale in noi. Temiamo la sofferenza che gli ultimi momenti possono causarci, temiamo di diventare un peso per gli altri, perdere la nostra autonomia, dover dipendere. E, soprattutto, temiamo la solitudine. Poiché in quel grande momento saremo soli.

    Perché paventare la morte con paura, angoscia, incertezza e a volte persino come un nemico da combattere, mentre è la nostra più grande alleata? La notte non è infatti salutare per il riposo e per la rigenerazione che ci procura?

    Questa dimensione della solitudine è una fase importante nell’accettazione della morte e della vita. Tale solitudine e tale silenzio si vivono anche nello stato immediato della morte, dai tibetani chiamato “tra-due” o “Bardo”. Quest’ultimo consente all’essere di confrontarsi con se stesso, di riconoscere il proprio Sé e differenziarlo dal corpo dal quale si è appena separato. Poi di prendere coscienza della sua vera identità e quindi chiedersi dove va, cosa farà e così uscire dallo stato tra-due. Se in vita ha già riconosciuto questa dimensione del Sé, non vive più questa solitudine e questa paura nello stesso modo. Il passaggio agli altri piani di coscienza è senza dubbio molto accelerato e più felice poiché più cosciente.

IV – La meditazione come modello della transizione

    La morte è per molti aspetti simile al processo della meditazione. E la più bella e sublime meditazione che l’essere possa raggiungere. Perché? Perché libera da una fase dell’evoluzione limitata nel tempo riportandoci alla nostra dimensione spirituale, continua ed eterna. Dimensione definitiva, almeno fino all’incarnazione successiva.

    Per meglio capire o immaginare questo processo della transizione, mettiamo in correlazione le varie fasi della meditazione e della transizione nel prospetto che segue:

CORRISPONDENZA TRA

MEDITAZIONE E TRANSIZIONE

MEDITAZIONE   TRANSIZIONE

CONCENTRAZIONE

Fase attiva con focalizzazione

Perdita oggettiva dei 5 sensi

Perdita degli attributi vitali del corpo fisico

Focalizzazione del pensiero verso un altro piano di coscienza

L’anima lascia il corpo fisico

CONTEMPLAZIONE

Fase passiva senza focalizzazione

I pensieri si spiegano davanti alla coscienza        

La vita si spiega davanti alla coscienza

Esperienza soggettiva della vita                 

LASCIAR ANDARE

MEDITAZIONE

Armonizzazione con la coscienza cosmica

Fusione con la coscienza cosmica

Pace, gioia, ispirazione,

illuminazione      

Unione, unità     

RITORNO

Ritorno alle attività quotidiane Reincarnazione

Rigenerazione attraverso l’influsso cosmico

  Le tre tappe della meditazione corrispondono a 3 livelli:

  Vita (volontà) – Concentrazione

  Amore (coesione) – Contemplazione

    Luce (unità) – Meditazione

    Al momento di cominciare una meditazione, il corpo si calma, si rilassa e perde coscienza dell’ambiente circostante. Quando moriamo, il cuore cessa di battere, il corpo perde i suoi attributi vitali e la coscienza lo abbandona.

    Poi sfilano in noi tutti i pensieri e le azioni vissuti nelle ore e nei giorni precedenti, i più belli e i meno belli, quelli gioiosi e quelli tristi, ecc. Parimenti al momento della transizione passa davanti a noi tutta la nostra vita.

    A questo punto della meditazione possiamo sia precipitare nell’intelletto continuando a razionalizzare i nostri pensieri, sia perderci nel gioco delle emozioni che fanno suscitare in noi. Questo stato, dopo la morte, corrisponde al Bardo. In esso, o si stagna o si è assorbiti perché non riconoscendo la luce divina non ci si può fondere in essa. In questo modo raggiungiamo molto difficilmente il vero stato di meditazione, o quanto meno sarà più lungo raggiungere la calma mentale propizia alla meditazione.

    Tuttavia questo processo è a volte necessario per chiarire i pensieri e le emozioni che affiorano in noi. In seguito, sopraggiunta la calma, iniziamo le tappe verso la vera meditazione.

    Nella meditazione il punto più importante è il “lasciar andare”, ossia abbandonare ogni attaccamento, desiderio, conformismo, per arrivare a uno stato di vuoto. Svuotata la dimensione materiale, ci riempiamo della dimensione spirituale. Questo è anche il punto più importante nel processo della transizione. Nella meditazione il lasciar andare significa perdita dell’io oggettivo, perdita delle illusioni e delle attese, l’essere ricettivo, disponibile per armonizzarsi, fondersi. Nella transizione lasciar andare significa separazione dall’essere fisico, perdita dell’ego o personalità esteriore, staccarsi da ogni attaccamento, persona, cosa, desiderio; essere disponibile, abbandonarsi senz’altra attesa se non quella di unirsi a Dio, fondersi con la Coscienza universale.

    Lasciar andare è sempre la fase più importante. Allora si opera la transizione verso quell’altro piano di coscienza. La tecnica dovrebbe essere un sostegno per scoprire il proprio metodo di meditazione.

    Non abbiate alcun timore che la meditazione sulla morte anticipi la transizione. Al contrario, vi ispirerà come vivere meglio. La Vita è indipendente dagli stati di vita e morte.

    Se siamo animati dai più alti ideali, le emozioni più materiali e intellettuali lasciano rapidamente posto agli stati d’animo più elevati. Sale in noi la preghiera dell’anima con la quale affermiamo di volerci fondere con la nostra natura divina. Animati da tale volontà di raggiungere questo stato, siamo guidati verso i piani superiori. Allora raggiungiamo il vero stato di meditazione: l’armonizzazione e l’unione con la coscienza cosmica, da cui provengono pace, gioia e ispirazione o illuminazione.

    Per colui che è trapassato viene il momento di fondersi con il grande Tutto. Completamente libero dagli aspetti materiali, raggiunge il piano di coscienza corrispondente al suo livello. Alla luce della sua natura divina e con l’aiuto dei Signori del Karma, comprende le sue azioni passate che determineranno quelle future. Poi si reincarnerà e, rigenerato attraverso questa unione cosmica, continuerà la sua evoluzione in un corpo fisico.

    Dopo aver ricevuto l’influsso cosmico durante la meditazione, ritorniamo alle occupazioni quotidiane rigenerati dal contatto.

    Perciò, se giorno dopo giorno mettiamo a profitto i nostri insegnamenti e meditiamo, al momento della transizione saremo più facilitati a staccarci dai possessi materiali, dagli esseri che ci sono cari, dalla nostra mente. E poiché la nostra vita è stata vissuta in funzione dei nostri ideali, al momento della grande iniziazione il nostro cuore e la nostra anima potranno essere pieni soltanto di gioia.

    In tutta la nostra saggezza sapremo che non tutto forse è stato perfetto come avremmo voluto o forse non abbiamo avuto il tempo di portare a termine alcuni progetti. Ma conoscendo la legge del Karma, sapremo che potremo completare l’opera in un’altra incarnazione alla luce dell’esperienza e della comprensione acquisite.

V – La morte e le grandi tradizioni

    Chi non si è già posto le domande: Che succede e cosa diventiamo dopo la morte? Dove si va? C’è veramente qualcos’altro? E se tutto ciò non fosse vero? Perché si deve morire?

    Abbiamo l’abitudine di dire: “Non lo sappiamo, nessuno è mai ritornato a dircelo”. Ma, secondo il grado di interesse e nella misura in cui l’argomento ha importanza per noi, a suo tempo, il nostro Essere interiore ci rivelerà questi segreti.

    È bene tuttavia ricordarsi che le grandi tradizioni ci hanno lasciato numerosi scritti sugli stati postumi. Una breve sintesi dei punti più importanti potrà senza dubbio alimentare la nostra riflessione.

1) Il libro dei morti tibetano o Bardo Thòdol

    Questo libro è un trattato scientifico che descrive in modo razionale le differenti tappe del viaggio dell’anima dal momento della morte a quello della rinascita.

“Questo libro appartiene alla categoria dei testi che insegnano la tecnica e l’arte di morire. Il suo interesse è centrato sul momento del “passaggio” e sui giorni e le settimane che seguono (1).”

    Il termine “Bardo Thòdol” significa “Liberazione mediante comprensione nel piano che segue la morte”. Il libro contiene un insegnamento di grande saggezza. Alcuni passaggi vanno letti al defunto per consentirgli di liberarsi più rapidamente dei suoi attaccamenti materiali e umani e così riconoscere la pura luce. Se, sin dai primi giorni, il defunto non ha saputo riconoscere la chiara luce e fondervisi, dovrà iniziare il suo viaggio nei vari Bardos, che simbolicamente durano quarantanove giorni. In breve, in questi Bardos la coscienza del defunto sarà confrontata col mondo delle illusioni. Queste non sono altro che le illusioni, paure, chimere e fantasmi propri. Quanto più in fretta saprà riconoscerli, tanto prima si libererà allo scopo di reintegrare il suo stato divino (o fondersi col Buddha) oppure di reincarnarsi.

    Il Karma determina le condizioni dell’esperienza che quest’anima vivrà. Il grande messaggio trasmesso da questa tradizione buddista tibetana è che dobbiamo liberarci da ogni illusione e attaccamento per poter raggiungere lo stato di Buddha.

“Il termine Buddha designa ogni persona che si è completamente risvegliata dall’ignoranza e si è aperta al suo vasto potenziale di saggezza. Un Buddha è colui che ha messo termine definitivamente alla sofferenza e alla frustrazione scoprendo una felicità e una pace durevoli, incrollabili (4).”

“E ciò può essere realizzato in questa incarnazione.”

    Secondo tale tradizione, lo stato di Buddha si raggiunge attraverso il non attaccamento. Un buon mezzo per arrivare a questo distacco o morte dell’ego è lo sviluppo della compassione.

2) Il libro dei morti degli antichi Egizi

    Il suo titolo esatto in verità è: “Uscita verso la luce del giorno.”

    Nella tradizione egizia i simboli hanno un posto preminente come mezzo di trasmissione degli insegnamenti. Questo non sempre è semplice da comprendere né necessariamente esatto nell’ordine cronologico degli avvenimenti. I riti funebri erano molto elaborati.

“Lo scopo era di permettere alla coscienza Ka di riunirsi all’anima spirituale Ba.”

“La mummificazione serviva a conservare la coesione delle membra. Simbolicamente significa che l’anima conserva la sua identità e il dominio della Coscienza”.

“La conoscenza dei misteri dipende dalla riunificazione della Coscienza.”

“La descrizione della vita dopo la morte costituisce il carattere essenziale del Libro dei morti Egiziano.”

“Una parte del libro era usata come guida dai candidati all’iniziazione; la nozione di morte, in questo caso, diventava un termine tecnico che indicava il passaggio dal piano di coscienza quotidiano a quello della super coscienza.”

    La lettura degli incantesimi trasmette forza e determinazione a colui che li legge. Questi testi danno l’impressione che sia l’anima in tutta la sua onnipotenza e onniscienza a parlare attraverso il lettore. La lettura di questo libro sarà senza dubbio di grande ispirazione, sapendo che questa Tradizione fa parte delle origini dei nostri insegnamenti rosacrociani.

“L’iniziato partiva dal principio che il fenomeno della morte fisica era solo una metamorfosi della coscienza. Per lui l’anima, dopo aver varcato la soglia, percorreva le tappe successive di un’evoluzione normale.”

“Gli antichi Egizi ritenevano che nascendo sulla Terra, l’uomo moriva per il mondo dell’Al di là; le sue potenzialità sovrumane subivano un eclissi. La morte terrestre era invece una nuova nascita, una rinascita nello spirito, un ringiovanimento dell’io profondo. Il defunto diventava un neonato. Il piano nel quale approdava dopo il passaggio della soglia era la regione dell’assoluta possibilità. Libero dalla prigione materiale poteva vivere l’esperienza di una libertà totale.”

    Il punto importante in questa Tradizione è che soltanto la Vita è reale e assoluta, non la morte. La metamorfosi è l’elemento chiave del pensiero egizio sapendo che consiste in molteplici trasformazioni. Questo sottintende evoluzione.

3) Lo Zohar

    È’ il “Libro dello splendore” della tradizione giudaica.

    Un’idea interessante dello Zohar è il paragone tra il sonno e la morte. Ogni notte, vi si legge, l’anima compie lo stesso viaggio che farà quando lascerà il corpo definitivamente. Lasciando il corpo vivere unicamente delle sue funzioni vitali, l’anima si eleva verso le regioni superiori. Se è pura non si lascerà sedurre dalle potenze impure e raggiungerà il regno celeste. Gli angeli le comunicheranno le verità e poi, al mattino, rinascerà rinnovata. Se gli stati di veglia sono stati impuri, l’anima dimorerà con gli spiriti impuri che la indurranno in errore. E, venuto il mattino, ritornerà al corpo che si sveglierà. Nel nostro Ordine, in modo analogo, ci è raccomandato di elevare i nostri pensieri verso il Cosmico prima di addormentarci.

4) Il Vedanta

    Nato dalla tradizione indù, significa letteralmente: “La fine del Veda”.

“Secondo l’induismo, la Vita dell’Universo visibile e invisibile non è altro che illusione cosmica, maya, un gioco, Lila, entrambi sprovvisti di senso e realtà; solo la morte, realtà assoluta, può essere presa sul serio.”

    Il messaggio offerto da questa Tradizione è che dobbiamo pervenire all’unità o alla non dualità. Solo l’illusione può velarci la realtà. Il nostro desiderio deve essere di unirsi a Brahman, poiché siamo ciò che pensiamo.

“Si diventa ciò che si è, secondo i propri atti e la propria condotta.”

“In verità si deve con zelo purificare questo pensiero che è il ciclo stesso delle rinascite. Si diventa identico a ciò che si pensa: ecco l’eterno mistero.”

“Secondo la Bhagavad-Gita gli esseri avvolti dall’ignoranza (tamas) sono incatenati dalla negligenza, l’indolenza e l’inerzia e rinascono dopo la morte in matrici di esseri privi di conoscenza. Coloro che ostentano il desiderio e l’azione (raja) sono attaccati al frutto delle loro opere e rinascono al mondo dell’azione (pitri-yana). Coloro che si attaccano alla conoscenza (sattawa) si assoggettano alla felicità e alla purezza e appartengono al Mondo senza macchia di quelli che conoscono i principi supremi (deva-yana). Ma coloro che non partecipano ad alcuna di queste tre tendenze (gunas) e che sono fermamente stabili al di sopra della conoscenza, dell’azione e dell’ignoranza, che considerano allo stesso modo la felicità e la sofferenza, l’onore e l’insulto, l’amico e il nemico, questi diventano il Brahman.”

VI – Esperienze di morte imminente (EMI, o NDE “near death cxperience”)

    Gli scritti di queste Tradizioni sono oggi confermati dai racconti delle persone che hanno provato la morte clinica. Queste persone considerano la loro esperienza ineffabile, incommensurabile, un mondo di luce indefinibile. Una sensazione di estremo benessere, pace e calma con una delusione per essere ritornati alla vita sulla Terra. Hanno anche provato una sensazione di umiltà davanti all’ampiezza dell’avvenimento unita alla sensazione di far parte di un Tutto.

    Dopo l’esperienza rimane un punto in comune: tutti hanno una profonda convinzione della realtà spirituale. “Questa esperienza li ha avvicinati a Dio e non alla Chiesa.” (N. Giroux). Secondo Sogyal Rinpoché, l’aspetto più importante della morte imminente è il cambiamento che reca scomparsa della paura della morte. Il Dr. Kenneth Ring dice che si è constatato un cambiamento di valore, un comportamento meno materialista, più aperto alla spiritualità, una diminuzione della paura della morte. Dopo questa esperienza non più il 50%, ma la totalità delle persone, credeva nella reincarnazione. Non si tratta semplicemente di credere, si dice, ma della certezza di sapere, una conoscenza assoluta. Tutti coloro che hanno vissuto una EMI sono concordi nel dire che quando il corpo sta per morire loro non stanno per morire. I suicidi che hanno vissuto la stessa esperienza e sono ritornati, hanno vissuto lo stesso cambiamento e non vogliono più uccidersi di nuovo.

    Il Dr. F. Smith riferisce che parecchi ricercatori hanno constatato che lo stesso tipo di esperienza può sopraggiungere in molte altre circostanze: rilassamento profondo, meditazione, stress intenso, sogno.

    Vita e morte sono indissociabili. La nostra morte sarà ciò che è stata la nostra vita. Noi reagiamo di fronte alla nostra transizione nello stesso modo in cui abbiamo reagito davanti a tutti i grandi avvenimenti prodottisi durante la nostra vita. Il dopo morte non è altro che il seguito continuo di ciò che siamo stati in vita.

    Tutte le Tradizioni sembrano d’accordo sul fatto che un’anima pura raggiungerà rapidamente i piani più elevati, mentre un’anima meno pura stagnerà più a lungo, poiché confrontata con le sue paure, passioni, desideri, emozioni, che ritardano la sua ascesa spirituale.

    L’Ordine Rosa-Croce dice che alla transizione raggiungeremo il piano di coscienza a noi più adatto. Senza dubbio la meditazione, i pensieri, le parole e le azioni di natura elevata e altruista contribuiscono all’armonizzazione e all’elevazione del nostro essere.

    Ogni Tradizione porta un insegnamento prezioso. Anche se talvolta sembrano opposte, esprimono ciascuna a suo modo quei principi che convergono verso una stessa realtà.

Conclusione: confronto con la Sfinge

    La nostra visione della morte, non potrebbe essere rappresentata dalla Sfinge egizia che è il contrario della morte? La Sfinge è scolpita nella pietra che rappresenta la terra su cui poggiano le sue zampe di toro pronte ad agire. Il corpo di leone rappresenta l’animale in noi, l’animale domato, il leone riportato alla Vita. Le ali d’aquila le permettono di elevarsi per vedere dall’alto; è il simbolo dell’essere spirituale in noi. Poi quel viso umano che esprime la vita dopo che ha trasceso la morte, il tempo e lo spazio. Il suo sguardo è vivo e trafigge ogni coscienza. Infine, la Sfinge esprime l’eterna giovinezza o la vita eterna, poiché non ha età né sesso. Sembra dirci:

“Svegliatevi, non affondate nella materia, non spaventatevi delle vostre realtà; ridiventate coscienti di ciò che siete realmente: un Essere divino in possesso della vita eterna. Guardatemi! Io ho attraversato i secoli e sono sempre qua a ricordarvi chi siete…”.

    In effetti la morte non esiste realmente. E’ soltanto una transizione verso un altro stato. La morte è una condizione terrestre e materiale; solo la Vita esiste. Molti mistici e poeti hanno descritto questo stato e lo hanno chiamato “Illuminazione”, “Coscienza Cosmica” o “Rigenerazione”.

   Da questo punto di vista è facile immaginare fino a che punto la nostra morte sarà meravigliosamente cosciente. Essa, in realtà, non sarà mai una morte, ma la Vita nella sua piena realtà.

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