GIUSEPPE MAZZINI
(Massone)
da: “I Savoia e il Massacro del Sud”, Grandmelò,
1996
Annoverato dal regime tra i padri della patria, fu iniziato
alla carboneria tra il 1827 ed il 1829, divenendo presto uno dei discepoli di
Mr. Picke. Nel 1864 il Grande Oriente di Palermo gli accorda il 33° grado. Il 3
giugno 1868 fu proclamato venerabile perpetuo ad onorem della Loggia Lincoln di
Lodi e lo si propose alla carica di Gran Maestro. Il 24 luglio fu nominato
membro onorario della Loggia La Stella d’Italia di Genova ed il 1° ottobre
1870, della Loggia La Regione dello stesso Oriente (*).
(*) Dictionnaire Universel de la Franc-Maçonnerie, Tomo II,
1974.
Dio
L’origine dei vostri Doveri sta in Dio. La definizione dei
vostri doveri sta nella sua Legge. La scoperta progressiva e l’applicazione
della sua Legge appartengono all’Umanità.
Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo:
tentarlo ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste perché noi
esistiamo. Dio vive nella nostra coscienza, nella coscienza dell’Umanità, e
nell’Universo che ci circonda. La nostra coscienza lo invoca nei momenti più
solenni di dolore e di gioia. L’Umanità ha potuto trasformarne, guastarne, non
mai sopprimerne il santo nome. L’Universo lo manifesta coll’ordine,
coll’armonia, colla intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. Non vi sono
atei fra voi: se ve ne fossero, sarebbero degni non di maledizione, ma di
compianto. Colui che può negare Dio davanti ad una notte stellata, davanti alla
sepoltura de’ suoi più cari, davanti al martirio, è grandemente infelice o
grandemente colpevole. Il primo ateo fu senz’alcun dubbio un uomo che avea
celato un delitto agli altri uomini e cercava, negando Dio, liberarsi
dell’unico testimonio a cui non poteva celarlo e soffocare il rimorso che lo
tormentava: forse fu un tiranno che avea rapito colla libertà metà dell’anima
a’ suoi fratelli e tentava sostituire l’adorazione della Forza brutale alla
fede nel Dovere e nel Diritto immortale. Dopo lui, vennero qua e là, di secolo
in secolo, uomini che per aberrazione di filosofia insinuarono l’ateismo, ma
pochissimi e vergognosi: – vennero, in momenti non lontani da noi, moltitudini,
che per irritazione contro un’idea di Dio falsa, stolta, architettata a proprio
benefizio da una casta o da un potere tirannico, negarono Dio medesimo; ma fu
un istante, e in quell’istante adorarono, tanto avevano bisogno di Dio, la dea
Ragione, la dea Natura. Oggi, vi sono uomini che aborrono da ogni religione,
perché vedono la corruzione nelle credenze attuali e non indovinano la purità
di quelle dell’avvenire; ma nessun tra loro osa dirsi ateo: vi sono preti che
prostituiscono il nome di Dio ai calcoli della venalità, o al terrore dei
potenti: vi sono tiranni che lo imposturano invocandolo a protettore delle loro
tirannidi; ma perché la luce del sole ci viene spesso offuscata e guasta da sozzi
vapori, negheremo il sole o la potenza vivificatrice del suo raggio
sull’universo? Perché dalla libertà i malvagi possono talvolta far sorgere
l’anarchia, malediremo alla libertà? La fede in Dio brilla d’una luce immortale
attraverso tutte le imposture e le corruttele che gli uomini addensano intorno
a quel nome. Le imposture e le corruttele passano, come passano le tirannidi:
Dio resta, come resta il Popolo, immagine di Dio sulla terra. Come il popolo,
attraverso schiavitù, patimenti e miserie, conquista a grado a grado coscienza,
forza, emancipazione, il nome santo di Dio sorge dalle rovine dei culti
corrotti a splendere, circondato d’un culto più puro, più fervido e più
ragionevole.
Io dunque non vi parlo di Dio per dimostrarvene l’esistenza,
o per dirvi che dovete adorarlo: voi lo adorate, anche non nominandolo, ogni
qualvolta voi sentite la vostra vita e la vita degli esseri che vi stanno
intorno: ma per dirvi come dovete adorarlo; per ammonirvi intorno a un errore
che domina le menti di molti tra gli uomini delle classi che vi dirigono, e,
per esempio loro, di molti tra voi: errore grave e rovinoso quanto è l’ateismo.
Questo errore è la separazione più o meno dichiarata, di Dio
dall’opera sua, dalla Terra sulla quale voi dovete compire un periodo della
vostra vita.
Avete, da una parte, una gente che vi dice: “Sta bene:
Dio esiste; ma voi non potete più che ammetterlo ed adorarlo. La relazione tra
lui e gli uomini, nessuno può intenderla o dichiararla. È questione da
dibattersi fra Dio medesimo e la vostra coscienza. Pensate intorno a questo ciò
che volete, ma non proponete la vostra credenza ai vostri simili; non cercate
d’applicarla alle cose di questa terra. La politica è una cosa, la religione
un’altra. Non le confondete. Lasciate le cose del Cielo al potere spirituale
stabilito, qualunque ei siasi, salvo a voi di non credergli, se vi pare ch’ei
tradisca la sua missione: lasciate che ognuno pensi e creda a suo modo; voi non
dovete occuparvi in comune che delle cose della terra. Materialisti o spiritualisti,
credete voi nella libertà, o nell’eguaglianza degli uomini? volete il ben
essere per la maggiorità? volete il suffragio universale? Riunitevi per
ottenere codesto intento; non avete bisogno per questo d’intendervi sulle questioni
che riguardano il cielo.”
Avete d’altra parte uomini che vi dicono: “Dio esiste;
ma così grande, troppo superiore a tutte le cose create, perché voi possiate
sperar di raggiungerlo coll’opere umane. La terra è fango. La vita è un giorno.
Distaccatevi dalla prima quanto più potete: non date valore che non merita alla
seconda. Che sono mai tutti gli interessi terreni a fronte della vita immortale
dell’anima vostra? Pensate a questa: guardate al Cielo. Che v’importa se voi
vivete quaggiù in un modo o in un altro? Siete destinati a morire; e Dio vi
giudicherà secondo i pensieri che avrete dato, non alla terra, ma a Lui.
Soffrite? Benedite al Signore che vi manda quei patimenti. L’esistenza terrena
è una prova. La vostra è terra d’esilio. Sprezzatela ed innalzatevi. Di mezzo ai
patimenti, alla miseria, alla schiavitù, voi potete rivolgervi a Dio, e
santificarvi nell’adorazione di Lui, nella preghiera, nella fede in un avvenire
che vi compenserà largamente, e nel disprezzo delle cose mondane.”
Di quei che così vi parlano, i primi non amano Dio; i
secondi non lo conoscono.
L’uomo è uno, direte ai primi. Voi non potete troncarlo in
due, e far sì ch’egli concordi con voi nei principii che devono regolare
l’ordinamento della Società quand’ei differisca intorno all’origine sua, ai
suoi destini e alla sua legge di vita quaggiù. Le religioni governano il mondo.
Quando gli uomini dell’India credevano d’essere nati, gli uni dalla testa,
altri dalle braccia, altri dai piedi di Brama, Divinità loro, ordinavano la
Società secondo la divisione degli uomini in caste, assegnavano agli uni ereditariamente
il lavoro intellettuale, ad altri la milizia, ad altri le opere servili, e si
condannavano a una immobilità che ancor dura e durerà, finché la credenza in
quel principio non cada.
Quando i Cristiani dichiararono al mondo, che gli uomini erano
tutti figli di Dio e fratelli di Lui, tutte le dottrine dei legislatori e dei
teosofi dell’antichità, che stabilivano l’esistenza di due nature negli uomini,
non valsero ad impedire l’abolizione della schiavitù, e quindi un ordinamento
radicalmente diverso nella Società. Ad ogni progresso delle credenze religiose,
noi possiamo mostrarvi corrispondente alla storia dell’Umanità un progresso
sociale: alla vostra dottrina d’indifferenza in fatto di religione, voi non
potete mostrarci altra conseguenza che l’anarchia. Voi avete potuto
distruggere, non mai fondare: smentiteci, se potete. A forza d’esagerare un
principio contenuto nel Protestantesimo, e che oggi il Protestantesimo, pur
sente il bisogno di abbandonare – a forza di dedurre tutte le vostre idee unicamente
dall’indipendenza dell’individuo – voi siete giunti, a che? all’anarchia, cioè
all’oppressione del debole, che non ha mezzi, né tempo, né istruzione per
esercitare i propri diritti, nell’ordinamento politico; all’egoismo, cioè
all’isolamento e alla rovina del debole che non può aiutarsi da sé nella
morale. Ma noi vogliamo Associazione: come ottenerla sicura se non da fratelli
che credono negli stessi principii regolatori, che s’uniscono nella stessa
fede, che giurino nell’istesso nome? Vogliamo educazione: come darla o
riceverla, se non in virtù d’un principio che contenga l’espressione delle
nostre credenze sull’origine, sul fine, sulla legge di vita dell’uomo su questa
terra? Vogliamo educazione comune: come darla o riceverla, senza una fede comune?
Vogliamo formare Nazione: come riescirvi, se non credendo in uno scopo comune,
in un dovere comune? E donde possiamo noi dedurre un dovere comune? se non
dall’idea che ci formiamo di Dio e della sua relazione con noi? Certo: il
suffragio universale è cosa eccellente; è il solo mezzo legale col quale un
paese possa, senza crisi violente ogni tanto, governarsi; ma il suffragio
universale in un paese dominato da una fede darà l’espressione della tendenza,
della volontà nazionale; in un paese privo di credenze comuni, cosa mai potrà
esprimere se non l’interesse numericamente più forte e l’oppressione di tutti
gli altri? Tutte le riforme politiche in ogni paese irreligioso, o non curante
di religione, dureranno quanto il capriccio o l’interesse degli individui
vorranno e non più. L’esperienza degli ultimi cinquanta anni ci ha
addottrinati, su questo punto, abbastanza.
Agli altri che vi parlano del Cielo, scompagnandolo dalla
Terra, voi direte che cielo e terra sono, come la via e il termine della via,
una cosa sola. Non dite che la terra è fango: la terra è Dio: Dio la creava
perché per essa salissimo a Lui. La terra non è un soggiorno di espiazione o di
tentazione: è il luogo del nostro lavoro per un fine di miglioramento, del
nostro sviluppo verso un grado d’esistenza superiore. Dio ci creava non per la
contemplazione, ma per l’azione: ci creava ad immagine sua, ed egli è Pensiero
ed Azione, anzi non v’è in lui pensiero che non si traduca in azione. Noi
dobbiamo, dite, sprezzare tutte le cose mondane e calpestare la vita terrena,
per occuparci della celeste; ma cos’è la vita terrena, se non un preludio della
celeste, un avviamento a raggiungerla? non v’avvedete che voi benedicendo
l’ultimo gradino della scala per la quale noi tutti dobbiamo salire, e maledicendo
al primo, ci troncate la vita?
La vita d’un’anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo
terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev’essere
preparazione all’altro, ogni sviluppo temporaneo deve giovare allo sviluppo
continuo ascendente alla vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e
nella Umanità complessiva che cresce coll’Opera di ciascuno di noi. Or Dio v’ha
messo quaggiù sulla terra: v’ha messo intorno milioni di esseri simili a voi,
il cui pensiero si alimenta del vostro pensiero, il cui miglioramento
progredisce col vostro, la cui vita si feconda della vostra vita: v’ha dato, a
salvarvi dai pericoli dell’isolamento, bisogni che non potete soddisfar soli, e
istinti predominanti sociali che dormono nei bruti e che vi distinguono da
essi: v’ha steso intorno quel mondo che voi chiamate Materia, magnifico di
bellezza, pregno di vita, d’una vita che, non dovete dimenticarlo, si mostra
per ogni dove tanto che vi si vegga il segno di Dio, ma aspetta nondimeno
l’opera vostra, dipende nelle sue manifestazioni da voi, e si moltiplica di
potenza quanto più la vostra attività si moltiplica: v’ha posto dentro simpatie
inestinguibili, la pietà per chi geme, la gioia per chi sorride, l’ira contro
chi opprime la creatura, il desiderio incessante del Vero, l’ammirazione pel
Genio che scopre qualche parte del vero, l’entusiasmo per chi lo traduce in
azione giovevole a tutti, la venerazione religiosa per chi, non potendo farlo
trionfare, muore martire, portando col proprio sangue testimonianza per esso –
e voi negate, sprezzate questi indizii della vostra missione che Dio v’ha
profuso d’intorno, anzi cacciate l’anatema sui segni suoi, chiamandoci a
concentrare tutte le nostre forze in una opera di purificazione interna,
imperfetta, impossibile quando è solitaria! Or Dio non punisce chi la pensa
così? Non degrada egli lo schiavo? Non sommerge egli negli appetiti sensuali,
negli istinti ciechi di quella che voi chiamate materia, metà dell’anima del
povero giornaliero costretto a consumare, senza lume d’educazione, in una serie
d’atti fisici, la vita divina? Trovate fede religiosa più viva nel servo Russo
che non nel Polacco combattente le battaglie della patria e della Libertà?
Trovate amore più fervente di Dio nel suddito avvilito d’un Papa e d’un Re
tiranno, che non nel repubblicano Lombardo del dodicesimo secolo e nel
repubblicano Fiorentino del decimoquarto? Dov’è lo spirito di Dio ivi è la
libertà, ha detto uno dei più potenti Apostoli che noi conosciamo; e la
religione ch’ei predicava decretò l’abolizione della schiavitù; chi può
intendere e adorare convenientemente Dio strisciandosi ai piedi della sua
creatura? La vostra non è religione, è setta d’uomini che hanno dimenticato la
loro origine, le battaglie che i loro padri sostennero contro una società
incadaverita, e le vittorie che riportarono trasformando quel mondo terrestre
ch’oggi voi, o contemplatori, sprezzate. Qualunque forte credenza sorga fra le
rovine delle vecchie esaurite, trasformerà l’ordinamento sociale esistente,
perché ogni forte credenza cerca applicarsi a tutti i rami dell’attività umana;
perché la terra ha cercato sempre, in ogni epoca, conformarsi al cielo in cui
essa credeva; perché tutta intera la storia dell’Umanità ripete, sotto forme
diverse e a gradi diversi, secondo i tempi, la parola registrata nella Orazione
Domenicale del Cristianesimo: Venga il tuo regno sulla terra, o Signore,
siccome è nel cielo.
Venga il regno di Dio sulla terra, siccome è nel cielo: sia
questa, o fratelli miei, meglio intesa e applicata che non fu per l’addietro,
la vostra parola di fede, la vostra preghiera: ripetetela e operate perché si
verifichi. Lasciate ch’altri tenti persuadervi la rassegnazione passiva,
l’indifferenza alle cose terrene, la sommissione ad ogni potere temporale anche
ingiusto, replicandovi, male intesa, quell’altra parola: “Rendete a Cesare
ciò ch’è il Cesare e ciò ch’è di Dio a Dio”.
Possono dirvi cosa che non sia di Dio? Nulla è di Cesare se
non quanto è conforme alla Legge Divina. Cesare, ossia il potere temporale, il
governo civile non è che il mandatario, l’esecutore, quanto le sue forze e i
tempi concedono, del disegno di Dio: dove tradisce il mandato, è vostro, non
diremo diritto, ma dovere mutarlo. A che siete quaggiù, se non per affaticarvi
a sviluppare coi vostri mezzi e nella vostra sfera il concetto di Dio? A che
professare di credere nell’unità del genere umano, conseguenza inevitabile
dell’Unità di Dio, se non lavorate a vivificarla combattendo le divisioni
arbitrarie, le inimicizie che separano tuttavia le diverse tribù formanti
l’Umanità? A che credere nella Libertà umana, base della umana responsabilità,
se non ci adoperiamo a distruggere tutti gli ostacoli che impediscono la prima
e viziano la seconda? A che parlare di Fratellanza, pur concedendo che i nostri
fratelli siano ogni dì conculcati, avvinti, sprezzati? La terra è la nostra
lavoreria: non bisogna maledirla; bisogna santificarla. Le forze materiali che
ci troviamo d’intorno sono i nostri strumenti di lavoro; non bisogna
ripudiarli, bisogna costantemente, ardentemente dirigerli al bene.
Ma questo, voi, senza Dio, non potete. V’ho parlato di
Doveri: v’ho insegnato che la sola conoscenza dei vostri Diritti non basta a
guidarci durevolmente sulle vie del bene, non basta a darvi quel miglioramento progressivo,
continuo, nella vostra condizione, che voi cercate: or bene, senza Dio, donde
il Dovere? senza Dio, voi, a qualunque sistema civile vogliate appigliarvi, non
potete trovare altra base che la Forza cieca, brutale, tirannica. Di qui non
s’esce. O lo sviluppo delle cose umane dipende da una legge di provvidenza che
noi tutti siamo incaricati di scoprire e di applicare, o è affidato al caso,
alle circostanze del momento, all’uomo che sa meglio avvalersene. O dobbiamo
obbedire a Dio, o servire ad uomini, uno o più non porta. Se non regna una
mente suprema su tutte le menti umane, chi può salvarci dall’arbitrio dei
nostri simili, quando si trovino più potenti di noi? Se non esiste una Legge
santa, inviolabile, non creata dagli uomini, quale norma avremo per giudicare
se un atto è giusto o non lo è? In nome di chi, in nome di che protesteremo
contro l’oppressione e l’ineguaglianza? Senza Dio, non v’è altro dominatore che
il Fatto: il Fatto davanti al quale i materialisti s’inchinano sempre, abbia
nome Rivoluzione o Bonaparte: il Fatto del quale i materialisti anch’oggi, in
Italia ed altrove, si fanno scudo per giustificare l’inerzia anche dove
concordano teoricamente coi nostri principii. Or, comanderemo noi loro
sacrificio, il martirio in nome delle nostre opinioni individuali? Cangeremo,
in virtù solamente dei nostri interessi, la teorica in pratica, il principio
astratto in azione? Disingannatevi. Finché parleremo a individui, in nome di
quanto il nostro intelletto individuale ci suggerisce, avremo quel ch’oggi
abbiamo: adesione a parole, non opera. Il grido che suonò in tutte le grandi
rivoluzioni, il grido Dio lo vuole! Dio lo vuole! delle Crociate, può solo
convertire gl’inerti in attivi, dar animo ai paurosi, entusiasmo di sacrifizio
ai calcolatori, fede a chi respinge col dubbio ogni umano concetto. Provate
agli uomini che l’opera d’emancipazione e di sviluppo progressivo alla quale
voi li chiamate, stia nel disegno di Dio: nessuno si ribellerà. Provate loro
che l’opera terrestre da compirsi quaggiù è essenzialmente connessa colla loro
vita immortale: tutti i calcoli del momento spariranno davanti all’importanza
dell’avvenire. Senza Dio, voi potete imporre, non persuadere: potete essere
tiranni od oppressori alla volta vostra, non Educatori ed Apostoli.
Dio lo vuole, Dio lo vuole! È grido di popolo, o fratelli; è
grido del vostro popolo, grido nazionale Italiano. Non vi lasciate ingannare, o
voi che lavorate con sincerità d’amore per la vostra Nazione, da chi vi dirà
forse che la tendenza Italiana non è che tentazione politica, e che lo spirito
religioso s’è dipartito da essa. Lo spirito religioso non si dipartì mai
dall’Italia finché l’Italia, comunque divisa, fu grande ed attiva; si dipartì,
quando nel secolo decimosesto, caduta Firenze, caduta sotto le armi straniere
di Carlo V, e sotto i raggiri dei Papi ogni libertà di vita Italiana, noi
cominciammo a perdere tendenze nazionali e a vivere spagnuoli, tedeschi e
francesi. Allora i nostri letterati incominciarono a far da buffoni ai principi
e ad accarezzare la svogliatezza dei padroni, ridendo di tutti e di tutto.
Allora i nostri preti, vedendo impossibile ogni
applicazione di verità religiosa, incominciarono a far
bottega del culto, e a pensare a se stessi, non al popolo ch’essi dovevano
illuminare e proteggere. E allora il popolo, sprezzato dai letterati, tradito e
spolpato dai preti, esiliato da ogni influenza nelle cose pubbliche, cominciò a
vendicarsi ridendo dei letterati, diffidando dei preti, ribellandosi a tutte le
credenze, poi che vedeva corrotta l’antica e non poteva presentire più in là.
Da quel tempo in poi, noi ci trasciniamo tra le superstizioni comandate
dall’abitudine o dai governi e la incredulità, abietti e impotenti. Ma noi
vogliamo risorgere grandi ed onorati. E ricorderemo la tradizione Nazionale.
Ricorderemo che col nome di Dio sulla bocca e colle insegne della loro fede nel
centro della battaglia, i nostri fratelli lombardi vincevano, nel dodicesimo
secolo, gl’invasori tedeschi, e riconquistavano le loro libertà manomesse. Ricorderemo
che i repubblicani delle città toscane si radunavano al parlamento nei templi.
Ricorderemo gli Artigiani Fiorentini che, respingendo il partito di
sottomettere all’impero della famiglia Medici la loro libertà democratica,
elessero, per voto solenne, Cristo capo della Repubblica – e il frate
Savonarola predicante a un tempo il dogma di Dio e quello del popolo – e i
Genovesi del 1746 liberatori, a furia di sassate, e del nome di Maria
protettrice, della loro città dall’esercito tedesco che la occupava, e una
catena d’altri fatti simili a questi, ne’ quali il pensiero religioso protesse
e fecondò il pensiero popolare Italiano.
E il pensiero religioso dorme, aspettando sviluppo, nel
nostro popolo: chi saprà suscitarlo, avrà fatto più per la Nazione che non con
venti sette politiche. Forse all’assenza di questo pensiero negli imitatori
delle costituzioni e tattiche monarchiche forestiere che condussero i tentativi
passati d’insurrezione in Italia, tanto quanto all’assenza d’uno scopo
apertamente popolare, è dovuta la freddezza con che il popolo guardò finora a
quei tentativi. Predicate dunque, o fratelli, in nome di Dio. Chi ha cuore
italiano vi seguirà.
Predicate in nome di Dio. I letterati sorrideranno:
dimandate ai letterati che cosa hanno fatto per la loro patria. I preti vi
scomunicheranno: dite ai preti che voi conoscete Dio più ch’essi non fanno, e
che tra Dio e la sua Legge, voi non avete bisogno d’intermediari. Il popolo
v’intenderà e ripeterà con voi: “Crediamo in Dio Padre Intelletto ed amore,
Creatore ed Educatore dell’Umanità”. E in quella parola, voi e il Popolo
vincerete.
La Legge
Voi avete vita: dunque avete una legge di vita. Non c’è vita
senza legge. Qualunque cosa esiste, esiste in un certo modo, secondo certe
condizioni, con una certa legge. Una legge d’aggregazione governa i minerali:
una legge di sviluppo governa le piante: una legge di moto governa gli astri:
una legge governa voi e la vostra vita: legge tanto più nobile ed alta quanto
più voi siete superiori a tutte le cose create sulla terra. Svilupparvi, agire,
vivere secondo la vostra legge è il primo, anzi l’unico vostro dovere.
Dio v’ha dato la vita; Dio v’ha dunque data la legge; Dio è
l’unico Legislatore della razza umana. La sua legge è l’unica alla quale voi
dobbiate ubbidire. Le leggi umane non sono valide e buone se non in quanto vi
si uniformano, spiegandola ed applicandola: sono tristi ogni qualvolta la
contradicono o se ne discostano: ed è non solamente vostro diritto, ma vostro
dovere disubbidirle e abolirle. Chi meglio spiega ed applica ai casi umani la
legge di Dio, è vostro capo legittimo: amatelo e seguitelo. Ma da Dio in fuori,
non avete, né potete, senza tradirlo e ribellarvi da lui, avere padrone.
Nella coscienza della vostra legge di vita, della LEGGE DI
DIO, sta dunque il fondamento della morale, la regola delle vostre azioni e dei
vostri doveri, la misura della vostra responsabilità: in essa sta pure la
vostra difesa contro le leggi ingiuste che l’arbitrio d’un uomo o di più uomini
può tentare d’imporvi. Voi non potete, senza conoscerla, prender nomi o diritti
d’uomini. Tutti i diritti hanno la loro origine in una legge, e voi, ogni
qualvolta non potete invocarla, potete essere tiranni o schiavi, non altro:
tiranni se siete forti, schiavi dell’altrui forza se siete deboli. Ad essere
uomini, vi bisogna conoscere la legge che distingue la natura umana da quella
dei bruti, delle piante, dei minerali, e conformarvi le vostre azioni.
Or, come conoscerla?
È questa la dimanda che in tutti i tempi l’Umanità ha
indirizzato a quanti hanno pronunziato la parola: legge, doveri; e le risposte
sono anch’oggi diverse.
Gli uni hanno risposto mostrando un Codice, un libro e
dicendo: “Qui dentro è tutta la legge morale.” Gli altri hanno detto:
“Ogni uomo interroghi il proprio core; ivi sta la definizione del bene e
del male.” Altri ancora, rigettando il giudizio dell’individuo, ha
invocato il consenso universale, e dichiarato che dove l’umanità concorda in
una credenza, quella è la vera.
Erravano tutti. E la storia del genere umano dichiarava
impotenti, con fatti irrecusabili, tutte queste risposte.
Quei che affermano trovarsi in un libro o sulla bocca d’un
solo uomo tutta quanta la legge morale, dimenticano che non v’è codice dal
quale l’Umanità, dopo una credenza di secoli, non si sia scostata per cercarne
e ispirarne un altro migliore, e che non v’è ragione, oggi specialmente, di
credere che l’Umanità cangi di metodo.
A quel che sostengono la sola coscienza dell’individuo
essere la norma del vero e del falso, ossia del bene e del male, basta
ricordare, che nessuna religione, per santa che fosse, è stata senza eretici,
senza dissidenti convinti e presti ad affrontare il martirio in nome della loro
coscienza.
Oggi il Protestantesimo si divide e suddivide in mille sette
tutte fondate sui diritti della coscienza dell’individuo; tutte accanite a
farsi guerra tra loro, e perpetuanti l’anarchia di credenze, vera e sola
sorgente della discordia che tormenta socialmente e politicamente i popoli
dell’Europa.
E d’altra parte, agli uomini che rinnegano la testimonianza
della coscienza dell’individuo per richiamarsi unicamente al consenso
dell’Umanità in una credenza, basta ricordare come tutte le grandi idee che
migliorano l’Umanità, cominciarono a manifestarsi in opposizione a credenze che
l’Umanità consentiva, e furono predicate da individui che l’Umanità derise,
perseguitò, crocefisse.
Ciascuna dunque di queste norme è insufficiente a ottenere
la conoscenza della LEGGE DI DIO, della Verità! E nondimeno, la coscienza
dell’individuo è santa: il consenso comune dell’Umanità è santo: e chiunque
rinunzia a interrogare questo o quella, si priva d’un mezzo essenziale per
conoscere la verità. L’errore generale fin qui è stato quello di volerla
raggiungere con un solo di questi mezzi esclusivamente: errore decisivo e
funestissimo nelle conseguenze, perché non si può stabilire la coscienza
dell’individuo, sola norma della verità, senza cadere nell’anarchia; non si può
invocare come inappellabile il consenso generale in un momento dato, senza
soffocare la libertà umana e rovinare nella tirannide.
Così – e cito questi esempi per mostrare come da queste
prime basi dipenda, più che generalmente non si crede, tutto quanto l’edifizio
sociale – così gli uomini, servendo allo stesso errore, hanno ordinato la
società politica, gli uni sul rispetto unicamente dei diritti dell’individuo,
dimenticando interamente la missione educatrice della società; gli altri
unicamente sui diritti, sociali, sacrificando la libertà e l’azione
dell’individuo. E la Francia dopo la sua grande rivoluzione, e l’Inghilterra
segnatamente, c’insegnarono come il primo sistema non conduca che alla
ineguaglianza e all’oppressione dei più; il Comunismo, fra gli altri, ci mostrerebbe,
se potesse mai trapassare allo stato di fatto, come il secondo condanni a
pietrificarsi la società togliendone ogni moto e ogni facoltà di progresso.
Così gli uni, considerando che i pretesi diritti
dell’individuo hanno ordinato, o meglio, disordinato il sistema economico, gli
danno per unica base la teoria della libera concorrenza illimitata; mentre gli
altri, non guardando che all’unità sociale, vorrebbero fidare al governo il
monopolio di tutte le forze produttrici dello Stato: due concetti, il primo de’
quali ci ha dato tutti i mali dell’anarchia, il secondo ci darebbe l’immobilità
e tutti i mali della tirannide.
Dio v’ha dato il consenso dei vostri fratelli e la vostra
coscienza, come due ali per innalzarvi quanto è possibile sino a lui. Perché
v’ostinate a troncarne una? Perché isolarvi, assorbirvi nel mondo? Perché voler
soffocare la voce del genere umano? Ambe sono sacre: Dio parla in ambe.
Dovunque s’incontrano, dovunque il grido della vostra coscienza è ratificato
dal consenso dell’Umanità, ivi è Dio, ivi siete certi di avere in pugno la
verità: l’uno è la verificazione dell’altro.
Se i vostri doveri non fossero che negativi, se
consistessero unicamente nel non fare il male, nel non nuocere ai vostri
fratelli, forse, nello stato di sviluppo in cui oggi sono anche i meno educati,
il grido della vostra coscienza basterebbe a dirigervi. Siete nati al bene, e
ogni qual volta voi operate direttamente contro la Legge, ogni qual volta voi
commettete ciò che gli uomini chiamano delitto, v’è tal cosa in voi che
v’accusa, tale una voce di rimprovero che voi potrete dissimulare agli altri,
ma non a voi stessi. Ma i vostri più importanti doveri sono positivi. Non basta
il non fare: bisogna fare. Non basta limitarsi a non operare contro la Legge:
bisogna operare a seconda della Legge. Non basta il non nuocere, bisogna
giovare ai vostri fratelli. Pur troppo finora la morale s’è presentata ai più
fra gli uomini in una forma più negativa che affermativa. Gl’interpreti della
Legge hanno detto: “non ruberai, non ammazzerai”; nessuno o pochi,
hanno insegnato gli obblighi che spettano all’uomo, e il come egli debba
giovare ai suoi simili e al disegno di Dio nella creazione. Or questo è il
primo scopo della Morale; né l’individuo, consultando unicamente la propria
coscienza, può raggiungerlo mai.
La coscienza dell’individuo parla in ragione della sua
educazione, delle sue tendenze, delle sue abitudini, delle sue passioni. La
coscienza dell’Irochese selvaggio parla un linguaggio diverso da quello
dell’Europeo incivilito del XIX secolo. La coscienza dell’uomo libero
suggerisce doveri che la coscienza dello schiavo non sospetta nemmeno.
Interrogate il povero giornaliero Napoletano o Lombardo, al quale un cattivo
prete fu l’unico apostolo di morale, al quale, s’ei pur sa leggere, quella del
catechismo Austriaco fu l’unica lettura concessa, egli vi dirà che i suoi
doveri sono lavoro assiduo a ogni prezzo per sostenere la sua famiglia,
sommissione illimitata senza esame alle leggi quali esse siano, e il non
nuocere altrui: a chi gli parlasse di doveri che lo legano alla patria e
all’Umanità, a chi gli dicesse: “voi nuocete ai nostri fratelli,
accettando di lavorare per un prezzo inferiore all’opera, voi peccate contro
Dio e contro all’anima vostra, obbedendo a leggi che sono ingiuste”, ei
risponderebbe, come chi non intende, inarcando le ciglia. Interrogate l’operaio
Italiano, al quale circostanze migliori o il contatto con uomini di più educato
intelletto hanno insegnato più parte del vero; ei vi dirà che la sua patria è
schiava, che i suoi fratelli sono ingiustamente condannati a vivere in miseria
materiale e morale, e ch’ei sente il dovere di protestare, potendo, contro
questa ingiustizia. Perché tanto divario fra i suggerimenti della coscienza in
due individui dello stesso tempo e dello stesso paese? Perché fra dieci
individui appartenenti in sostanza alla stessa credenza, quella che impone lo
sviluppo e il progresso della razza umana, troviamo dieci convinzioni diverse
sui modi d’applicare la credenza alle azioni, cioè sui doveri? Evidentemente,
il grido della coscienza dell’individuo non basta, in ogni stato di cose e
senz’altra norma, a rivelargli la Legge. La coscienza basta solo a insegnarvi
che una legge esiste, non quali sono questi doveri. Per questo il martirio non
s’è mai, e comunque l’egoismo predominasse, esiliato dall’Umanità; ma quanti
martiri non sacrificarono l’esistenza per presunti doveri, a beneficio d’errori
oggi patenti a ciascuno!
V’è dunque bisogno d’una scorta alla vostra coscienza, d’un
lume che le rompa d’intorno la tenebra, d’una norma che ne verifichi e ne
diriga gl’istinti. E questa norma è l’Intelletto e l’Umanità.
Dio ha dato intelletto a ciascun di voi, perché lo educhiate
a conoscere la sua Legge. Oggi, la miseria, gli errori inveterati da secoli e
la volontà dei vostri padroni, vi contrastano fin la possibilità d’educarlo; e
per questo v’è necessario rovesciare quegli ostacoli colla forza. Ma
quand’anche gli ostacoli saranno tolti di mezzo, l’intelletto di ciascun di voi
sarà insufficiente a conoscere la legge di Dio, se non appoggiandosi
all’intelletto dell’umanità. La vostra vita è breve: le vostre facoltà individuali
sono deboli, incerte, e abbisognano d’un punto d’appoggio. Or Dio v’ha messo
vicino un essere la cui vita è continua, e le cui facoltà sono la somma di
tutte le facoltà individuali che si sono, da forse quattrocento secoli,
esercitate; un essere che attraverso gli errori e le colpe degli individui
migliora sempre in sapienza e moralità: un essere nel cui sviluppo Dio ha
scritto e scrive ad ogni epoca una linea della sua Legge.
Quest’essere è
l’Umanità.
L’Umanità, ha detto un pensatore del secolo scorso, è un
uomo che impara sempre. Gl’individui muoiono; ma quel tanto di vero che essi
hanno pensato, quel tanto di buono ch’essi hanno operato non va perduto con
essi: l’Umanità lo raccoglie e gli uomini che passeggiano sulla loro sepoltura
ne fanno lor pro. Ognuno di noi nasce in oggi in una atmosfera d’idee e di
credenze elaborata da tutta l’Umanità anteriore: ognuno di noi porta, senza pur
saperlo, un elemento più o meno importante alla vita dell’Umanità successiva.
La educazione dell’Umanità progredisce come si innalzano in Oriente quelle
piramidi alle quali ogni viandante aggiunge una pietra. Noi passiamo, viandanti
d’un giorno, chiamati a compiere la nostra educazione individuale altrove;
l’educazione dell’Umanità si mostra a lampi in ciascuno di noi, si svela
lentamente, progressivamente, continuamente nell’umanità.. l’Umanità è il verbo
vivente di Dio. Lo spirito di Dio la feconda, e si manifestò sempre più puro,
sempre più attivo d’epoca in epoca in essa, un giorno per mezzo d’un individuo,
un altro per mezzo d’un popolo. Di lavoro in lavoro, di credenza in credenza,
l’Umanità conquista via via una nozione più chiara della propria vita, della
propria missione, di Dio e della sua Legge.
Dio s’incarna successivamente nell’umanità. La legge di Dio
è una, sì come è Dio; ma noi lo scopriamo articolo per articolo, linea per
linea, quanto più s’accumula l’esperienza educatrice delle generazioni che
precedono, quanto più cresce in ampiezza e in intensità l’associazione fra le
razze, fra i popoli, fra gl’individui. Nessun uomo, nessun popolo, nessun
secolo può presumere di scoprirla intera: la legge morale, la legge di vita
dell’umanità tutta quanta raccolta in associazione, quando tutte le forze,
tutte le facoltà che costituiscono l’umana natura saranno sviluppate e in
azione. Ma intanto, quella parte dell’Umanità ch’è più inoltrata
nell’educazione c’insegna col suo sviluppo parte della legge che noi cerchiamo.
Nella sua storia leggiamo il disegno di Dio; ne’ suoi bisogni i nostri doveri:
doveri che mutano o per dir meglio crescono coi bisogni, perché il nostro primo
dovere sta nel concorrere a che l’Umanità salga prontamente quel grado di
miglioramento e di educazione al quale Dio e i tempi l’hanno preparata.
Voi dunque, a conoscere la legge di Dio, avete bisogno
d’interrogare non solamente la vostra coscienza, ma la coscienza, il consenso
dell’Umanità; a conoscere i vostri doveri, avete bisogno d’interrogare i
bisogni attuali dell’Umanità. La morale è progressiva come l’educazione del
genere umano e di voi. La morale del Cristianesimo non era quella dei tempi
Pagani: la morale del secolo nostro non è quella di diciotto secoli addietro.
Oggi i vostri padroni, colla segregazione dell’altre classi, col divieto d’ogni
associazione, colla doppia censura imposta alla stampa procacciano di
nascondervi, coi bisogni dell’Umanità, i vostri doveri. E nondimeno, anche
prima del tempo in cui la Nazione v’insegnerà gratuitamente dalle scuole di
educazione generale la storia dell’Umanità nel passato e i suoi bisogni presenti,
voi potete, volendo, imparare in parte almeno la prima e indovinare i secondi.
I bisogni attuali dell’Umanità emergono in espressioni più o meno imperfette,
dai fatti che occorrono ogni giorno nei paesi ai quali non è legge assoluta
l’immobilità del silenzio. Chi vi vieta, fratelli delle terre schiave, saperli?
Qual forza di sospettosa tirannide può lungamente contendere a milioni
d’uomini, moltissimi dei quali viaggiano fuori d’Italia e rimpatriano, la
conoscenza dei fatti europei? Se le associazioni pubbliche vi sono in quasi
tutta Italia vietate, chi può vietar le segrete, quand’esse fuggano i simboli e
le organizzazioni complicate, e non consistano che d’una catena fraterna stesa
di paese in paese fino a toccare alcuno tra gli infiniti punti della frontiera?
Non troverete voi sopra ogni punto della frontiera terrestre e marittima,
uomini vostri, uomini che i vostri padroni hanno cacciato fuori di patria per
aver voluto giovarvi, che vi saranno apostoli di verità, che vi diranno con
amore ciò che gli studi e le tristi facilità dell’esilio hanno loro insegnato
sui voti presenti e sulla tradizione dell’Umanità? Chi può impedirvi, solo che
voi vogliate, di ricevere alcuno degli scritti che i vostri fratelli stampano
qui nell’esilio per voi? Leggeteli e ardeteli, sì che il giorno dopo,
l’inquisizione dei vostri padroni non li trovi fra le vostre mani e non ne
faccia argomento di colpa alle vostre famiglie; ma pur leggeteli e ripetete,
quel tanto che avrete potuto serbare a mente, ai più fidati dei vostri amici.
Aiutateci colle offerte ad allargare la sfera dell’Apostolato, a compilare, a
stampare per voi manuali di storia generale e di storia patria. Aiutateci,
moltiplicando le comunicazioni, a diffonderli. Convincetevi che senza
istruzione, voi non potete conoscere i vostri doveri: convincetevi che dove la
Società vi contende ogni insegnamento, la responsabilità d’ogni colpa è non
vostra, ma sua: la vostra incomincia dal giorno in cui una via qualunque allo
insegnamento v’è aperta, e la negligete: dal giorno in cui vi si mostrano mezzi
per mutare una società che vi condanna all’ignoranza, e voi non pensate ad
usarne. Non siete colpevoli perché ignorate; siete colpevoli perché vi
rassegnate a ignorare – perché mentre la vostra coscienza v’avverte che Dio non
v’ha dato facoltà senza imporvi di svilupparle, voi lasciate dormire nell’anima
vostra tutte le facoltà del pensiero – perché, mentre pur sapete che Dio non
può avervi dato l’amore del vero senza darvi i mezzi di conseguirlo, voi,
disperando, rinunziate a farne ricerca e accettate, senza esame, per verità
l’affermazione del potente e del sacerdote venduto al potente
Dio, Padre ed educatore dell’Umanità, rivela nello spazio e
nel tempo la sua legge all’Umanità. Interrogate la tradizione dell’Umanità, il
Consenso dei vostri fratelli, non nel cerchio ristretto di un secolo o d’una
setta, ma in tutti i secoli e nella maggiorità degli uomini passati e presenti.
Ogni volta che a quel consenso corrisponde la voce della vostra coscienza, voi
siete certi del vero, certi d’avere una linea della legge di D
Noi crediamo nell’Umanità, sola interprete della legge di
Dio sulla terra; e dal consenso dell’umanità in armonia colla nostra coscienza,
deduciamo quanto andrò via via dicendovi intorno ai vostri doveri.
Doveri verso
l’umanità
I vostri primi doveri, primi non per tempo ma per importanza
e perché senza intendere quelli non potete compiere se non imperfettamente gli
altri, sono verso l’Umanità. Avete doveri di cittadini, di figli, di sposi e di
padri, doveri santi, inviolabili, dei quali vi parlerò a lungo tra poco; ma ciò
che fa santi e inviolabili quei doveri, è la missione, il Dovere che la vostra
natura d’uomini vi comanda. Siete padre per educare uomini al culto e allo
sviluppo della Legge di Dio. Siete cittadini, avete una Patria, per potere
facilmente, in una sfera limitata, con concorso di gente già stretta a voi per
lingua, per tendenze, per abitudini, operare, a beneficio degli uomini quanti
sono e saranno, ciò che mal potreste operare perduti, voi soli e deboli,
nell’immenso numero dei vostri simili. Quei che v’insegnano morale, limitando
la nozione dei vostri doveri alla famiglia o alla patria, v’insegnano, più o
meno ristretto, l’egoismo, e vi conducono al male per gli altri e per voi
medesimi. Patria e Famiglia son come due circoli segnati dentro un circolo
maggiore che li contiene; come due gradini d’una scala senza i quali non
potreste salire più in alto, ma sui quali non è permesso arrestarvi.
Siete uomini: cioè creature ragionevoli, socievoli e capaci,
per mezzo unicamente dell’associazione, d’un progresso, a cui nessuno può
assegnar limiti: e questo è quel tanto che oggi sappiamo dalla Legge di vita
data all’Umanità. Questi caratteri costituiscono la umana natura, che vi
distingue dagli altri esseri che vi circondano e che è fidata a ciascuno di voi
come un seme da far fruttare. Tutta la vostra vita deve tendere all’esercizio e
allo sviluppo ordinario di queste facoltà fondamentali della vostra natura.
Qualunque volta voi sopprimete o lasciate sopprimere, in tutto o in parte, una
di queste facoltà, voi scadete dal rango d’uomini fra gli animali inferiori o
violate la legge della vostra vita, la Legge di Dio.
Scadete fra i bruti e violate la Legge di Dio, qualunque
volta voi sopprimete o lasciate sopprimere una delle facoltà che costituiscono
l’umana natura in voi o in altri. Ciò che Dio vuole, è non già che la sua legge
s’adempia in voi individui – se Dio non avesse voluto che questo, ei vi avrebbe
creato soli – ma che s’adempia su tutta quanta la terra, fra tutti gli esseri
ch’egli creava a immagine sua. Ciò ch’egli vuole è che il pensiero di
perfezionamento e d’amore, da lui posto nel mondo, si riveli e splenda più
sempre adorato e rappresentato. La vostra esistenza terrestre, individuale,
limitatissima com’è per tempo e per facoltà, non può rappresentarlo che
imperfettissimo e a lampi. L’Umanità sola, continua per generazioni e per
intelletto, che si nutre dell’intelletto di tutti i suoi membri, può svolgere
via via quel divino pensiero e applicarlo e glorificarlo. La vita vi fu dunque
data da Dio perché ne usiate a benefizio dell’Umanità, perché dirigiate le
vostre facoltà individuali allo sviluppo delle facoltà dei vostri fratelli,
perché aggiungiate con l’opera vostra un elemento qualunque all’opera
collettiva di miglioramento e di scoperta del vero, che le generazioni,
lentamente ma continuamente promuovono. Dovete educarvi ed educare,
perfezionare. Dio è in voi, non v’è dubbio; ma Dio è pure in tutti gli uomini
che popolano con voi questa terra: Dio è nella vita di tutte le generazioni che
furono, sono e saranno, e hanno migliorato e miglioreranno progressivamente il
concetto che l’Umanità si forma di Lui, della sua Legge, e dei nostri Doveri.
Dovete adorarlo e glorificarlo per tutto ov’Egli è. L’Universo è il suo Tempio.
Ed ogni profanazione non combattuta, non espiata, del Tempio di Dio, ricade su
tutti quanti i credenti. Poco importa che voi possiate dirvi puri: quando anche
poteste, isolandovi, rimanervi tali, se avete a due passi la corruzione e non
cercate combatterla, tradite i vostri doveri. Poco importa che adoriate
nell’anima nostra la Verità: se l’errore governa i vostri fratelli in un altro
angolo di questa terra che ci è madre comune, e voi non desiderate e non
tentate, per quanto le forze vostre vel concedono, rovesciarlo, tradite i
vostri doveri. L’immagine di Dio è sformata nell’anime immortali dei vostri
simili. Dio vuole essere adorato nella sua Legge, e la sua Legge è fraintesa,
violata, negata d’intorno a voi. L’umana natura è falsata nei milioni d’uomini
ai quali, siccome a voi, Dio ha fidato l’adempimento concorde del suo disegno.
E voi rimanendovi inerti, osereste pure chiamarvi credenti?
Un popolo, il Greco, il Polacco, il Circasso, sorge con una
bandiera di patria e d’indipendenza, combatte, vince, o muore per quella. Cos’è
che fa battere il vostro cuore al racconto delle sue battaglie, che lo solleva
nella gioia alle sue vittorie, che lo contrista alla sua caduta? Un uomo,
vostro o straniero, si leva, nel silenzio comune, in un angolo della terra,
preferisce alcune idee, ch’ei crede vere, le mantiene nella persecuzione e fra
i ceppi, e muore, senza rinnegarle, sul palco. Perché lo onorate col nome di
Santo e di Martire? Perché rispettate e fate rispettare dai vostri figli la sua
memoria?
E perché leggete con avidità i miracoli di amor patrio
registrati nelle storie Greche e li ripetete ai figli vostri con un senso
d’orgoglio quasi fossero storie dei vostri padri? Quei fatti Greci son vecchi
di due mila anni, e appartengono a un’epoca d’incivilimento che non è la
vostra, né lo sarà mai. Quell’uomo che chiamate Martire, moriva forse per idee
che non sono le vostre, e troncava a ogni modo colla morte ogni via al suo
progresso individuale quaggiù. Quel popolo che ammirate nella vittoria o nella
caduta, e popolo straniero a voi, forse pressoché ignoto; parla un linguaggio
diverso, e il modo della sua esistenza non influisce visibilmente sul vostro:
che importa a voi se chi lo domina è il Sultano o il Re di Baviera, il Russo o
un governo escito dal consenso della nazione? Ma nel vostro cuore è una voce
che grida: “Quegli uomini di due mila anni addietro, quelle popolazioni
ch’oggi combattono lontane da voi, quel martire per le idee del quale voi non
morreste, furono, sono fratelli vostri: fratelli non solo per comunioni di
origine e di natura, ma per comunione di lavoro e di scopo. Quei Greci antichi
passarono; ma l’opera loro non passò, e senza quella voi non avreste oggi quel
grado di sviluppo intellettuale e morale che avete raggiunto. Quelle
popolazioni consacrarono col loro sangue una idea di libertà nazionale per la
quale voi combattete. Quel martire insegnava morendo che l’uomo deve
sacrificare ogni cosa e, occorrendo, la vita a quel che egli crede essere la
Verità. Poco importa ch’egli e quanti altri segnano col loro sangue la fede
tronchino qui sulla terra il proprio sviluppo individuale: Dio provvede altrove
per essi. Importa lo sviluppo dell’Umanità. Importa che la generazione ventura
sorga, ammaestrata dalle vostre pugne e dai vostri sacrifici, più alta e più
potente che voi non siete nella intelligenza della Legge, nell’adorazione della
Verità. Importa che, fortificata dagli esempi, la natura umana migliori e
verifichi più sempre il disegno di Dio sulla terra. E in qualunque luogo la
natura migliori, in qualunque luogo si conquisti una verità, in qualunque parte
si mova un passo sulla via dell’educazione, del progresso, della morale, è
passo, è conquista che frutterà presto o tardi a tutta quanta l’Umanità. Siete
tutti soldati d’un esercito che move per vie diverse, diviso in nuclei diversi,
alla conquista d’un solo intento. Oggi, voi non guardate che ai vostri capi
immediati; le diverse assise, le diverse parole d’ordine, le distanze che
separano i corpi d’operazione, le montagne che celano gli uni al guardo degli
altri, vi fanno spesso dimenticare questa verità e concentrano esclusivamente
la vostra attenzione sul fine che v’è più prossimo. Ma v’è più alto di tutti
voi, chi abbraccia l’insieme e dirige le mosse. Dio solo ha il segreto della
battaglia e saprà raccogliervi tutti in un campo e sotto una sola bandiera.
Quanta distanza tra questa credenza che fermenta nelle anime
nostre e sarà base alla morale dell’Epoca che sta per sorgere, e quelle che
davano per base alla loro morale le generazioni che oggi chiamano antiche! E
com’è stretto il legame che passa fra l’idea che noi ci formiamo del Principio
Divino e quella che ci formiamo dei nostri doveri! I primi uomini sentivano
Dio, ma senza intenderlo, senza più cercare d’intenderlo nella sua Legge: lo
sentivano nella sua potenza, non nell’amore: concepivano confusamente una
relazione qualunque fra Lui e il proprio individuo, non altro. Poco atti a
staccarsi dalla sfera degli oggetti sensibili, lo sostanziavano in uno di
quelli, nell’albero che avevan veduto colpito dal fulmine, nella pietra presso
alla quale avevano innalzata la loro tenda, nell’animale che s’era offerto
prima al loro occhio. Era il culto che nella storia della religione si
distingue col nome di feticismo. E allora gli uomini non conobbero che la
famiglia, riproduzione in certo modo del loro individuo: oltre il cerchio della
famiglia, non v’erano che stranieri, o più generalmente, nemici; giovare a sé e
alla famiglia, era l’unica base della morale. Più appresso, l’idea di Dio
s’ampliò. Dagli oggetti sensibili l’uomo risali timidamente all’astrazione:
generalizzò. Dio non fu più il protettore della famiglia, ma dell’associazione
di più famiglie, della città, della gente. Al feticismo successe il politeismo,
culto di molti Dei. Allora la morale ampliò anch’essa il suo cerchio d’azione.
Gli uomini riconobbero l’esistenza dei doveri più estesi della famiglia e
lavorarono all’incremento della gente, della nazione. Pur nondimeno, l’Umanità
s’ignorava. Ogni nazione chiamava barbari gli stranieri, li trattava siccome
tali, e ne cercava colla forza e coll’arte la conquista o l’abbassamento. Ogni
nazione aveva stranieri o barbari nel suo seno, uomini, milioni di uomini, non
ammessi ai riti religiosi dei cittadini, creduti di natura diversa, e schiavi
fra i liberi. L’unità del genere umano non poteva essere ammessa che come
conseguenza dell’unità di Dio. E l’unità di Dio, indovinata da alcuni rari
pensatori dell’antichità, manifestata altamente da Mosè, ma colla restrizione
funesta che un solo popolo era l’eletto di Dio, non fu riconosciuta che verso
lo scioglimento dell’impero Romano, per opera del Cristianesimo; Cristo pose in
fronte alla sua credenza queste due verità inseparabili: non v’è che un solo
Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio; e la promulgazione di queste due
verità cangiò aspetto al mondo e ampliò il cerchio morale sino ai confini delle
terre abitate. Ai doveri verso la famiglia e verso la patria, s’aggiunsero i
doveri verso l’Umanità. Allora l’uomo imparò che dovunque ei trovava un suo
simile, ivi era un fratello per lui, un fratello dotato d’un’anima immortale
come la sua, chiamata a ricongiungersi al Creatore, e ch’ei gli dovea amore,
partecipazione della fede, e aiuto di consiglio e d’opera, dov’egli ne abbisognasse.
Allora, presentimento d’altre verità contenute in germe nel Cristianesimo,
s’udirono sulla bocca degli Apostoli parole sublimi, inintelligibili
all’antichità, male intese o tradite anche dai successori; siccome in un corpo
sono molte membra, e ciascun membro eseguisce una diversa funzione, così,
benché molti, noi siamo un corpo solo, e membra gli uni degli altri. E vi sarà
un solo ovile e un solo pastore. Ed oggi, dopo diciotto secoli di studi ed
esperienze e fatiche, si tratta di dare sviluppo a quei germi: si tratta
d’applicare quella verità, non solamente a ciascun individuo, ma a tutto
quell’insieme di facoltà e forze umane e presenti e future che si chiama
l’UMANITÀ: si tratta di promulgare non solamente che l’Umanità, è un corpo solo
e deve essere governato da una sola legge, ma che il primo articolo di questa
Legge è: Progresso, progresso qui sulla terra dove dobbiamo verificare quanto
più possiamo del disegno di Dio ed educarci a migliori destini. Si tratta
d’insegnare agli uomini che, se l’Umanità è un corpo solo, noi tutti, siccome
membra di quel corpo, dobbiamo lavorare al suo sviluppo e a farne più armonica,
più attiva e più potente la vita. Si tratta di convincersi che non possiamo
salire a Dio, se non per l’anime dei nostri fratelli, e che dobbiamo
migliorarle e purificarle anche dov’esse nol chiedano. Si tratta, dacché
l’Umanità intera può sola compiere quella parte del disegno di Dio ch’ei volle
si compiesse quaggiù, di sostituire all’esercizio della carità verso
gl’individui, un lavoro d’associazione tendente a migliorar l’insieme, di
ordinare a siffatto scopo la famiglia e la patria. Altri doveri più vasti si
riveleranno a noi, nel futuro, secondo che acquisteremo una idea meno
imperfetta e più chiara della nostra Legge di vita. Così Dio Padre, per mezzo
d’una lenta, ma continua educazione religiosa, guida al meglio l’Umanità, e in
quel meglio il nostro individuo migliora anch’
Migliora in quel meglio, né senza un miglioramento comune
voi potete sperare che migliorino le condizioni morali o materiali del vostro
individuo. Voi, generalmente parlando, non potete, quando anche il voleste,
separare la vostra vita da quella dell’Umanità, vivente in essa, d’essa, per
essa. L’anima vostra, salve le eccezioni dei pochissimi straordinariamente
potenti, non può svincolarsi dalla influenza degli elementi fra i quali si
esercita; come il corpo, comunque costituito robustamente, non può sottrarsi
all’azione d’un’aria corrotta che lo circondi. Quanti fra voi vorranno, colla
sicurezza di cacciarli incontro alle persecuzioni, educare i figli ad una
sincerità senza limiti, dove la tirannide e lo spionaggio impongono di tacere o
mentire i due terzi delle proprie opinioni? Quanti vorranno educarli al
disprezzo delle ricchezze in una società dove l’oro è l’unica potenza che
ottenga onori, influenza, rispetto, anzi che protegga dall’arbitrio e
dall’insulto dei padroni e dei loro agenti? Chi è di voi che per amore e colle
migliori intenzioni del mondo non abbia mormorato ai suoi cari in Italia: diffidate
degli uomini; l’uomo onesto deve concentrarsi in sé stesso e fuggire la vita
Pubblica; la carità comincia da casa; e sì fatte massime evidentemente
immorali, ma suggeritevi dall’aspetto generale della società? Qual’è la madre
che, sebbene appartenente a una fede che adora la Croce di Cristo, martire
volontario dell’umanità, non abbia cacciato le braccia intorno al collo del
figlio, e tentato svolgerlo da tentativi pericolosi pel bene de’ suoi fratelli?
E dov’anche trovaste in voi la forza d’insegnare il contrario, la società
intera non distruggerebbe essa colle mille sue voci, coi mille suoi tristissimi
esempi, l’effetto della vostra parola? Potete voi stessi purificare, innalzare
l’anima vostra, in un’atmosfera di contaminazione e d’avvilimento? E scendendo
alle vostre condizioni materiali, pensate possano migliorare stabilmente per
altra via che quella del miglioramento comune? Milioni di lire sterline sono
spese annualmente qui in Inghilterra, ov’io scrivo, dalla carità dei privati a
sollievo degli individui caduti in miseria; e la miseria cresce annualmente, e
la carità verso gli individui è provata impotente a sanar le piaghe, e la
necessità di rimedi organici collettivi è più sempre universalmente sentita.
Dove il paese è minacciato continuamente in virtù delle leggi ingiuste che lo
governano, d’una lotta violenta fra gli oppressori e gli oppressi, credete
possono rifluire i capitali e abbondare le imprese vaste, lunghe, costose? Dove
i dazi e le proibizioni stanno nel capriccio d’un governo assoluto che non ha
chi lo moderi, e le cui spese di eserciti di spie. d’impiegati o di pensionati
crescono coi bisogni della sua sicurezza, credete l’attività dell’industria e
della manifattura possa ricevere uno sviluppo progressivo, continuo?
Risponderete che basta ordiniate meglio il governo e le condizioni sociali
nella patria vostra? Non basta. Nessun popolo vive in oggi esclusivamente dei
propri prodotti. Voi vivete di cambi, di importazioni e d’esportazioni.
Una nazione straniera che impoverisca, nella quale
diminuisca la cifra dei consumatori, è un mercato di meno per voi. Un commercio
straniero che, in conseguenza dei cattivi ordinamenti, soggiaccia a crisi o a
rovina, produce crisi o rovina nel vostro. I fallimenti d’Inghilterra o
d’America trascinano fallimenti Italiani. Il credito è in oggi istituzione non
nazionale, ma Europea. E inoltre, ogni tentativo di miglioramento nazionale che
voi farete avrà nemici, in virtù delle Leghe contratte dai principi, primi ad
accorgersi che la quistione è in oggi generale, di tutti i governi. Né v’è
speranza per voi se non nel miglioramento universale, nella fratellanza fra
tutti i popoli dell’Europa e, per l’Europa, dell’umanità.
Voi dunque, o fratelli, per dovere e per utile vostro, non
dimenticherete mai che i primi vostri doveri, doveri, senza compiere i quali
voi non potete sperare di compiere quei che la patria e la famiglia comandano,
sono verso l’Umanità. La parola e l’opera vostra siano per tutti, sì come per tutti
è Dio, nel suo amore e nella sua Legge. In qualunque terra voi siate, dovunque
un uomo combatte pel diritto, pel giusto, pel vero, ivi è un vostro fratello:
dovunque un uomo soffre, tormentato dall’errore, dall’ingiustizia, dalla
tirannide, ivi è un vostro fratello, Liberi e schiavi SIETE TUTTI FRATELLI. Una
è la vostra origine, una la legge, uno il fine per tutti voi. Una sia la
credenza, una l’azione, una la bandiera sotto cui militate. Non dite: il
linguaggio che noi parliamo è diverso: le lagrime, l’azione, il martirio
formano linguaggio comune per gli uomini quanti sono, e che voi tutti
intendete. Non dite: l’Umanità è troppo vasta, e noi troppo deboli. Dio non
misura le forze, ma le intenzioni. Amate l’Umanità. Ad ogni opera vostra nel
cerchio della Patria o della famiglia, chiedete a voi stessi: se questo ch’io
fo fosse fatto da tutti e per tutti, gioverebbe o nuocerebbe all’Umanità? e se
la coscienza vi risponde: nuocerebbe, desistete, desistete quand’anche vi
sembri che dall’azione vostra escirebbe un vantaggio immediato per la Patria e
per la Famiglia. Siate apostoli di questa fede, apostoli della fratellanza
delle Nazioni e della unità, oggi ammessa in principio, ma nel fatto negata,
del genere umano. Siatelo dove potete e come potete. Né Dio né gli uomini
possono esigere più da voi. Ma io vi dico che facendovi tali – facendovi tali,
dov’altro non possiate, in voi stessi – voi gioverete all’umanità. Dio misura i
gradi di educazione ch’ei fa salire al genere umano sul numero e sulla purità
dei credenti. Quando sarete puri e numerosi, Dio che vi conta, v’aprirà il
varco all’azione.
Doveri verso la
Patria
I primi vostri Doveri, primi almeno per importanza, sono,
com’io vi dissi, verso l’Umanità. Siete uomini prima d’essere cittadini o
padri. Se non abbracciaste del vostro amore tutta quanta l’umana famiglia – se
non confessaste la fede nella sua umanità, conseguenza dell’unità di Dio, e
nell’affratellamento dei Popoli che devono ridurla a fatto – se ovunque geme un
vostro simile, ovunque la dignità della natura umana è violata dalla menzogna o
dalla tirannide, voi non foste pronti, potendo, a soccorrere quel meschino o
non vi sentiste chiamati, potendo, a combattere per risollevare gli ingannati o
gli oppressi – voi tradireste la vostra legge di vita e non intendereste la
religione che benedirà l’avvenire.
Ma che cosa può ciascuno di voi, colle sue forze isolate,
fare pel miglioramento morale, pel progresso dell’Umanità? Vi potete esprimere,
di tempo in tempo, sterilmente la vostra credenza; potete compiere, qualche
rara volta, verso un fratello non appartenente alle vostre terre, un’opera di
carità; ma non altro. Ora la carità non è la parola della fede avvenire. La
parola della fede avvenire è l’associazione, la cooperazione fraterna verso un
intento comune, tanto superiore alla carità, quanto l’opera di molti fra voi
che s’uniscono a inalzare concordi un edifizio per abitarvi insieme è superiore
a quella che compireste innalzando ciascuno una casupola separata e limitandovi
a ricambiarvi gli uni cogli altri aiuto di pietre, di mattoni, di calce. Ma
quest’opera comune voi, divisi di lingua, di tendenze, d’abitudini, di facoltà,
non potete tentarla. L’individuo è troppo debole e l’Umanità troppo vasta. Mio
Dio, – prega, salpando il marinaio della Bretagna – proteggetemi: il mio
battello è sì piccolo e il nostro Occano così grande! E quella preghiera
riassume la condizione di ciascun di voi, se non si trova un mezzo di
moltiplicare indefinitivamente le vostre forze, la vostra potenza d’azione:
Questo mezzo Dio lo trovava per voi, quando vi dava una Patria, quando, come un
saggio direttore di lavori distribuisce le parti diverse a seconda delle
capacità, ripartiva in gruppi, in nuclei distinti l’Umanità sulla faccia del
nostro globo e cacciava il germe delle nazioni. I tristi governi hanno guastato
il disegno di Dio che voi potete vedere segnato chiaramente, per quello almeno
che riguarda la nostra Europa, dai corsi dei grandi fiumi, dalle curve degli
alti monti e dalle altre condizioni geografiche: l’hanno guastato colla
conquista, coll’avidità, colla gelosia dell’altrui giusta potenza; guastato di
tanto che oggi, dall’Inghilterra e dalla Francia in fuori, non v’è forse
Nazione i cui confini corrispondano a quel disegno. Essi non conoscevano e non
conoscono Patria, fuorché la loro famiglia, la dinastia, l’egoismo di casta. Ma
il disegno divino si compirà senza fallo. Le divisioni naturali, le innate
spontanee tendenze dei popoli, si sostituiranno alle divisioni arbitrarie
sancite dai tristi governi. La Carta d’Europa sarà rifatta. La Patria del
Popolo risorgerà delimita dal voto dei liberi, sulle rovine della Patria dei
re, delle caste privilegiate. Tra quelle patrie sarà armonia, affratellamento.
E allora, il lavoro dell’umanità verso il miglioramento comune, verso la
scoperta e l’applicazione della propria legge di vita, ripartito a seconda
delle capacità locali e associato, potrà compirsi per via di sviluppo
progressivo, pacifico: allora, ciascuno di voi, forte degli effetti e dei mezzi
di molti milioni d’uomini parlanti la stessa lingua, dotati di tendenze
uniformi, educati dalla stessa tradizione storica, potrà sperare di giovare
coll’opera propria a tutta quanta l’Umanità.
A voi, uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi
prediligendovi, la Patria meglio definita dell’Europa. In altre terre, segnate
con limiti più incerti o interrotti, possono insorgere questioni che il voto
pacifico di tutti scioglierà un giorno, ma che hanno costato e costeranno forse
ancora lagrime e sangue: sulla vostra, no. Dio v’ha steso intorno linee di
confini sublimi, innegabili: da un lato, i più alti monti d’Europa: l’Alpi;
dall’altro: il Mare, l’immenso Mare. Aprite un compasso: collocate una punta al
nord dell’Italia, su Parma; appuntate l’altra agli sbocchi del Varo e segnate
con essa, nella direzione delle Alpi, un semicerchio: quella punta che andrà,
compito il semicerchio, a cadere sugli sbocchi dell’Isonzo, avrà segnato la
frontiera che
Dio vi dava. Sino a quella frontiera si parla, s’intende la
vostra lingua: oltre quella, non avete diritti. Vostre sono innegabilmente la
Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e le isole minori collocate fra quelle e la
terra ferma d’Italia. La forza brutale può ancora per poco contendervi quei
confini, ma il consenso segreto dei popoli li riconosce d’antico, e il giorno
in cui, levati unanimi all’ultima prova, pianterete la vostra bandiera
tricolore su quella frontiera, l’Europa intera acclamerà, sorta e accettata nel
consorzio delle Nazioni, l’Italia. A quest’ultima prova dovete tendere con tutti
gli sforzi.
Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né
diritti, né battesimo di fratelli tra i popoli. Siete i bastardi dell’umanità.
Soldati senza bandiera, israeliti delle Nazioni, voi non otterrete fede né
protezione: non avrete mallevadori. Non v’illudete a compiere, se prima non vi
conquistate una Patria, la vostra emancipazione da una ingiusta condizione
sociale: dove non è Patria, non è Patto comune al quale possiate richiamarvi:
regna solo l’egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba, dacché non
v’è tutela comune a propria tutela. Non vi seduca l’idea di migliorare, senza
sciogliere prima la questione Nazionale, le vostre condizioni materiali: non
potrete riuscirvi. Le vostre associazioni industriali, le consorterie di mutuo
soccorso son buone com’opera educatrice, come fatto economico: rimarranno
sterili finché non abbiate un’Italia. Il problema economico esige
principalmente aumento di capitale e di produzione; e finché il vostro paese è
smembrato in frazioni – finché, separati da linee doganali e difficoltà
artificiali d’ogni sorta, non avete se non mercati ristretti dinanzi a voi –
non potete sperar quell’aumento. Oggi – non v’illudete – voi non siete la
classe operaia d’Italia: siete frazione di quella classe: impotenti, ineguali
al grande intento che vi proponete. La vostra emancipazione non potrà iniziarsi
praticamente, se non quando un Governo Nazionale, intendendo i segni dei tempi,
avrà inserito, da Roma, nella dichiarazione di Principii, che sarà norma allo
sviluppo della vita Italiana, le parole: Il lavoro è sacro ed è la sorgente
della ricchezza d’Italia.
Non vi sviate dunque dietro a speranze di progresso
materiale che, nelle vostre condizioni dell’oggi sono illusioni. La Patria
sola, la vasta e ricca patria Italiana, che si stende dalle Alpi all’ultima
terra di Sicilia, può compiere quelle speranze. Voi non potete ottenere ciò che
è vostro diritto se non obbedendo a ciò che vi comanda il Dovere. Meritate ed
avrete. Oh miei fratelli! amate la Patria. La Patria è la nostra casa: la casa
che Dio ci ha data, ponendovi dentro una numerosa famiglia, che ci ama e che
noi amiamo, colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che non
con altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la natura omogenea
degli elementi che essa possiede, è chiamata a un genere speciale d’azione. La
Patria è la nostra lavoreria; i prodotti della nostra attività devono stendersi
da quella a beneficio di tutta la terra; ma gli istrumenti del lavoro che noi
possiamo meglio e più efficacemente trattare, stanno in quella e noi non
possiamo rinunziarvi senza tradire l’intenzione di Dio e senza diminuire le
nostre forze. Lavorando, secondo i veri principii per la Patria, noi lavoriamo
per l’Umanità: la patria è il punto d’appoggio della leva che noi dobbiamo
dirigere a vantaggio comune. Perdendo quel punto d’appoggio, noi corriamo
rischio di riuscire inutili alla Patria e all’Umanità. Prima d’associarsi colle
Nazioni che compongono l’Umanità, bisogna esistere come Nazione. Non v’è
associazione che tra gli eguali; e voi non avete esistenza collettiva
riconosciuta.
L’Umanità è un grande esercito, che move alla conquista di
terre incognite, contro nemici potenti e avveduti. I popoli sono diversi corpi,
le divisioni di quell’esercito. Ciascuno ha un posto che gli si è confidato:
ciascuno ha un’operazione particolare da eseguire; e la vittoria comune dipende
dall’esattezza colla quale le diverse operazioni saranno compite. Non turbate
l’ordine della battaglia. Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede.
Dovunque vi trovate, in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino,
combattete per la libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete
come Italiani, così che il sangue che verserete frutti onore ed amore, non a
voi solamente, ma alla vostra Patria. E Italiano sia il pensiero continuo
dell’anime vostre: Italiani siano gli atti della vostra vita: Italiani i segni
sotto i quali v’ordinate a lavorare per l’Umanità. Non dite: io, dite: noi. La
Patria s’incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi, si senta, si faccia
mallevadore dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far si che in lui sia
rispettata ed amata la Patria.
La Patria, è una, indivisibile. Come i membri d’una famiglia
non hanno gioia della mensa comune se un d’essi è lontano, rapito all’affetto
fraterno, così voi non abbiate gioia e riposo finché una frazione del
territorio sul quale si parla la vostra lingua è divelta dalla Nazione.
La Patria è il segno della missione che Dio v’ha dato da
compiere nell’umanità. Le facoltà, le forze di tutti i suoi figli devono
associarsi pel compimento di quella missione. Una certa somma di doveri e di
diritti comuni spetta ad ogni uomo che risponde al chi sei? degli altri popoli:
sono Italiano. Quei doveri e quei diritti non possono essere rappresentati che
da un solo Potere uscito dal vostro voto. La patria deve aver dunque un solo
Governo. I politici che si chiamano federalisti, e che vorrebbero far
dell’Italia una fratellanza di Stati diversi, smembrano la Patria e non ne
intendono l’Unità. Gli stati nei quali si divide in oggi l’Italia non sono
creazione del nostro popolo: uscirono da calcoli d’ambizione di principi o di
conquistatori stranieri, e non giovano che ad accarezzare la vanità delle
aristocrazie locali, alle quali è necessaria una sfera più ristretta della
grande Patria. Ciò che voi, popolo, creaste, abbelliste, consacraste coi vostri
affetti, colle vostre gioie, coi vostri dolori, col vostro sangue, è la Città,
il Comune, non la Provincia o lo Stato. Nella Città, nel comune dove dormono i
vostri padri e vivranno i nati da voi, s’esercitano le vostre facoltà, i vostri
diritti personali, si svolge la vostra vita d’individuo. È della vostra Città
che ciascuno di voi può dire ciò che cantano i Veneziani della loro: Venezia la
xe nostra: – l’avemo fatta nu. In essa avete bisogno di libertà, di Comune e
Unità di patria, sia dunque la vostra fede. Non dite Roma e Toscana, Roma e
Lombardia, Roma e Sicilia, dite Roma e Firenze, Roma e Siena, Roma e Livorno, e
così per tutti i comuni d’Italia: Roma per tutto ciò che rappresenta la vita
italiana, la vita della Nazione; il vostro comune per quanto rappresenta la
vita individuale. Tutte le altre divisioni sono artificiali, e non s’appoggiano
sulla vostra tradizione Nazionale.
La Patria è una comunione di liberi e d’uguali affratellati
in concordia di lavori verso un unico fine. Voi dovete farla e mantenerla tale.
La Patria non è un aggregato, è una associazione. Non v’è dunque veramente
Patria senza un Diritto uniforme. Non v’è Patria dove l’uniformità di quel
Diritto è violata dall’esistenza di caste, di privilegi, d’ineguaglianze – dove
l’attività d’una porzione delle forze e facoltà individuale è cancellata o
assopita – dove non è principio comune accettato, riconosciuto, sviluppato da
tutti; vi è non Nazione, non popolo, ma moltitudine, agglomerazione fortuita
d’uomini che le circostanze riunirono, che circostanze diverse separeranno. In
nome del vostro amore alla Patria, voi combatterete senza tregua l’esistenza d’ogni
privilegio, d’ogni ineguaglianza sul suolo che v’ha dato vita. Un solo
privilegio è legittimo: il privilegio del genio, quando il Genio si mostri
affratellato colla Virtù; ma è privilegio concesso da Dio e non dagli uomini –
e quando voi lo riconoscerete seguendone le ispirazioni, lo riconoscerete
liberamente esercitando la vostra ragione, la vostra scelta. Qualunque
privilegio pretende sommessione da voi in virtù della forza, dell’eredità, d’un
diritto che non sia diritto comune, è usurpazione, è tirannide; e voi dovete
combatterla e spegnerla. La Patria deve essere il vostro Tempio. Dio al
vertice, un Popolo d’eguali alla base; non abbiate altra formola, altra legge
morale, se non volete disonorare la Patria e voi. Le leggi secondarie che
devono via via regolare la vostra vita siano l’applicazione progressiva di
quella Legge suprema.
E perché lo siano, è necessario che tutti contribuiscano a
farle. Le leggi fatte da una sola frazione di cittadini non possono, per natura
di cose e d’uomini, riflettere che il pensiero, le aspirazioni, i desideri, di
quella frazione: rappresentano, non la Patria, ma un terzo, un quarto, una
classe, una zona della patria. La legge deve esprimere l’aspirazione generale,
promuovere l’utile di tutti, rispondere a un battito del core della Nazione. La
Nazione intera dev’essere, dunque, direttamente o indirettamente, legislatrice.
Cedendo a pochi uomini quella missione, voi sostituite l’egoismo d’una classe
alla Patria, che è l’unione di tutte classi.
La Patria non è un territorio; il territorio non ne è la
base. La Patria è l’idea che sorge su quello; è il pensiero d’amore, il senso
di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio. Finché un
solo tra i vostri fratelli non è rappresentato dal proprio voto nello sviluppo
della vita nazionale – finché un solo vegeta ineducato fra gli educati – finché
uno solo, capace e voglioso di lavoro, langue per mancanza di lavoro nella
miseria – voi non avrete la Patria come dovreste averla, la Patria di tutti, la
patria per tutti. Il voto, l’educazione, il lavoro, sono le tre colonne
fondamentali della Nazione; non abbiate posa finché non siano per opera vostra
solidamente innalzate.
E quando lo saranno – quando avrete assicurato a voi tutti
il pane del corpo e quello dell’anima – quando liberi, uniti, intrecciate le
destre come fratelli intorno a una madre amata, moverete in bella e santa
armonia allo sviluppo delle vostre facoltà e della missione Italiana –
ricordatevi che quella missione è l’unità morale d’Europa: ricordatevi
gl’immensi doveri ch’essa v’impone. L’Italia è la sola terra che abbia due
volte gettato la grande parola unificatrice alle nazioni disgiunte. La vita
d’Italia fu vita di tutti. Due volte Roma fu la Metropoli, il Tempio del mondo
Europeo: la prima, quando le nostre aquile percorsero conquistatrici da un
punto all’altro le terre cognite e le prepararono all’Unità colle istituzioni
civili; la seconda, quando, domati dalla potenza della natura, dalle grandi
memorie e dall’ispirazione religiosa, i conquistatori settentrionali, il genio
d’Italia s’incarnò nel Papato e adempì da Roma la solenne missione, cessata da
quattro secoli, di diffondere la parola Unità nell’anima ai popoli del mondo
Cristiano. Albeggia oggi per la nostra Italia una terza missione: di tanto più
vasta quanto più grande e potente dei Cesari e dei Papi sarà il POPOLO
ITALIANO, la Patria Una e Libera che voi dovete fondare. Il presentimento di
questa missione agita l’Europa e tiene incatenati all’Italia l’occhio ed il
pensiero delle Nazioni.
I vostri doveri verso la Patria stanno in ragione
dell’altezza di questa missione. Voi dovete mantenerla pura d’egoismo,
incontaminata di menzogna e delle arti di quel gesuitismo politico, che
chiamano diplomazia.
La politica della patria sarà fondata per opera vostra
sull’adorazione a’ principii non sull’idolatria dell’Interesse o
dell’opportunità. L’Europa ha paesi pei quali la Libertà è sacra al di dentro,
violata sistematicamente al di fuori: popoli che dicono: altro è il Vero, altro
l’Utile, altra cosa è la teorica, altra è la pratica. Quei paesi espieranno
lungamente, inevitabilmente la loro colpa nell’isolamento, nell’oppressione e
nell’anarchia. Ma voi sapete la missione della nostra Patria e seguirete altra
via. Per voi l’Italia avrà, sì come un solo Dio nei cieli, una sola verità, una
sola fede, una sola norma di vita politica sulla terra. Sull’edifizio che il
popolo d’Italia innalzerà più sublime del Campidoglio e del Vaticano, voi
pianterete la bandiera della Libertà e dell’Associazione, sì che rifulga sugli
occhi a tutte le Nazioni, né la velerete mai per terrore di despoti o libidine
d’interessi d’un giorno. Avrete audacia sì come fede. Confesserete altamente il
pensiero che fermenta in core alla Italia davanti al mondo e a quei che si
dicono padroni del mondo. Non rinnegherete mai le Nazioni sorelle. La vita
della Patria si svolgerà per voi bella e forte, libera di paure servili e di
scettiche esitazioni, serbando per base il popolo, per norma le conseguenze dei
suoi principii logicamente dedotte e energicamente applicate, per forza la
forza di tutti, per risultato il miglioramento di tutti, per fine il compimento
della missione che Dio le dava. E perché voi sarete pronti a morire per
l’Umanità, la vita della Patria sarà immortale.
Doveri verso la
famiglia
La famiglia è la Patria del core. V’è un Angiolo nella
Famiglia che rende, con una misteriosa influenza di grazie, di dolcezza e
d’amore, il compimento dei doveri meno arido, i dolori meno amari. Le sole
gioie pure e non miste di tristezza che sia dato all’uomo di goder sulla terra,
sono, merce quell’Angiolo, le gioie della Famiglia. Chi non ha potuto, per
fatalità di circostanze, vivere, sotto l’ali dell’Angiolo, la vita serena della
famiglia, ha un’ombra di mestizia stesa sull’anima, un vuoto che nulla riempie
nel core! ed io che scrivo per voi queste pagine, lo so. Benedite Iddio che
creava quell’Angiolo, o voi che avete le gioie e le consolazioni della
Famiglia. Non la tenete in poco conto, perché vi sembri di poter trovare
altrove gioie più ferventi o consolazioni più rapide ai vostri dolori. La
famiglia ha in sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la durata. Gli
affetti, in essa, vi si stendono intorno lenti, inavvertiti, ma tenaci e
durevoli siccome l’ellera intorno alla pianta: vi seguono d’ora in ora:
s’immedesimano taciti colla vostra vita. Voi spesso non li discernete, poiché
fanno parte di voi; ma quando li perdete, sentite come un non so che d’intimo,
di necessario a vivere vi mancasse. Voi errate irrequieti e a disagio! potete
ancora procacciarvi brevi gioie o conforti; non il conforto supremo, la calma,
la calma dell’onda del lago, la calma del sonno della fiducia, del sonno che il
bambino dorme sul seno materno.
L’Angiolo della Famiglia è la Donna. Madre, sposa, sorella,
la donna è la carezza della vita, la soavità dell’affetto diffusa sulle sue
fatiche, un riflesso sullo individuo della Provvidenza amorevole che veglia
sull’umanità: sono in essa tesori di dolcezza consolatrice che bastano ad
ammorzare qualunque dolore. Ed essa è inoltre per ciascun di noi l’iniziatrice
dell’avvenire. Il primo bacio materno insegna al bambino l’amore. Il primo
santo bacio d’amica insegna all’uomo la speranza, la fede nella vita; e l’amore
e la fede creano il desiderio del meglio, la potenza di raggiungerlo a grado a
grado, l’avvenire insomma, il cui simbolo vivente è il bambino, legame tra noi
e le generazioni future. Per essa, la Famiglia, col suo mistero divino di
riproduzione, accenna all’eternità.
Abbiate dunque, o miei fratelli, sì come santa la Famiglia.
Abbiatela come condizione inseparabile della vita, e respingete ogni assalto
che potesse venirle mosso da uomini imbevuti di false e brutali filosofie o da
incauti che irritati in vederla sovente nido d’egoismo e di spirito di casta,
credono, come il barbaro, che il rimedio al male sia nel sopprimerla.
La Famiglia è concetto di Dio, non vostro. Potenza umana non
può sopprimerla. Come la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è un
elemento della vita.
Ho detto più assai che la Patria. La Patria sacra in oggi,
sparirà forse un giorno quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza la
legge morale dell’umanità; la Famiglia durerà quanto l’uomo. Essa è la culla
dell’umanità. Come ogni elemento della vita umana, essa deve essere aperta al
Progresso, migliorare d’epoca in epoca le sue tendenze, le sue aspirazioni; ma
nessuno potrà cancellarla.
Far la famiglia più sempre santa e inanellata più sempre
alla Patria, è questa la vostra missione. Ciò che la Patria è per l’umanità, la
Famiglia deve esserlo per la Patria. Come io v’ho detto che la parte della
Patria è quella d’educare gli uomini, così la parte della Famiglia è quella di
educare i cittadini: Famiglia e Patria sono i due punti estremi d’una sola
linea. E dove non è così, la Famiglia diventa Egoismo, tanto più schifoso e
brutale quanto più prostituisce, sviandola dal vero scopo, la cosa più santa:
gli affetti. Oggi, l’egoismo regna spesso pur troppo e forzatamente nella
Famiglia. Le tristi istituzioni sociali lo generano. In una società fondata su
spie, birri, prigioni e patiboli, la povera madre, tremante ad ogni nobile
aspirazione del figlio, è sospinta ad insegnargli la diffidenza, a dirgli:
bada! l’uomo che ti parla di Patria di Libertà d’Avvenire, e che tu vorresti
stringerti al petto non è forse che un traditore! In una società nella quale il
merito è pericoloso, e la ricchezza è la sola base della potenza, della
sicurezza, della difesa contro la persecuzione e il sopruso, il padre è
trascinato dall’affetto a dire al giovane anelante la Verità: bada! la
ricchezza è la tua tutela: la Verità sola non può esserti scudo contro l’altrui
forza, contro l’altrui corruttela. Ma io vi parlo d’un tempo in cui, col vostro
sudore e col vostro sangue, avrete fondato ai figli una Patria di liberi,
costituita sul merito, sul bene che ciascuno di voi avrà fatto ai suoi
fratelli. Fino a quel tempo, voi pur troppo non avete innanzi che una sola via di
miglioramento, un solo supremo dovere da compiere: ordinarvi, prepararvi,
scegliere l’ora opportuna e combattere a conquistarvi coll’insurrezione la
vostra Italia. Allora soltanto potrete soddisfare senza gravi e continui
ostacoli agli altri vostri doveri. E allora, mentr’io sarò probabilmente
sotterra, rileggete queste mie pagine: i pochi consigli fraterni ch’esse
contengono vengono da un core che v’ama e sono scritti colla coscienza del
vero.
Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un
conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà
intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità:
non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato, con una educazione
disuguale e una perenne oppressione di leggi, quell’apparente inferiorità
intellettuale, dalla quale oggi argomentano per mantenere l’oppressione. Ma la
storia delle oppressioni non v’insegna che chi opprime si appoggia sempre sopra
un fatto creato da lui? Le caste feudali contesero a voi, figli del popolo, fin
quasi ai nostri giorni, l’educazione; poi, dalla mancanza d’educazione,
argomentarono e argomentano anche oggi per escludervi dal santuario della
città, dal recinto dove si fanno le leggi, dal diritto di voto che inizia la
vostra missione sociale. I padroni dei Neri in America dichiarano radicalmente
inferiore e incapace d’educazione la razza e perseguitano intanto qualunque
s’adoperi a educarla. Da mezzo secolo i fautori delle famiglie affermano noi
italiani mal atti alla libertà, e intanto con le leggi e con la forza brutale
d’eserciti assoldati mantengono chiusa ogni via, perché possa da noi vincersi,
se pure esistesse l’ostacolo, come se la tirannide potesse mai essere
educazione alla libertà. Or noi tutti fummo e siamo tuttavia rei d’una colpa
simile verso la donna. Allontanate da voi fin l’ombra di quella colpa; però che
non è colpa più grave davanti a Dio, di quella che divide in due classi l’umana
famiglia e impone o accetta che l’una soggiaccia all’altra. Davanti a Dio Uno e
Padre non v’è uomo né donna ma l’essere umano, l’essere nel quale, sotto
l’aspetto d’uomo o di donna, s’incontrano tutti i caratteri che distinguono
l’Umanità dall’ordine degli animali: tendenza sociale, capacità d’educazione,
facoltà di progresso. Dovunque si rivelano questi caratteri, ivi esiste l’umana
natura, uguaglianza quindi di diritti e doveri. Come due rami che muovono
distinti da uno stesso tronco, l’uomo e la donna muovono varii da una base
comune, che è l’umanità. Non esiste disuguaglianza fra l’uno e l’altra; ma come
spesso accade fra due uomini, diversità di tendenze, di vocazioni speciali. Son
due note d’un accordo musicale, disuguali o di natura diversa! La donna e
l’uomo sono due note senza le quali l’accordo umano non è possibile; hanno
doveri e diritti generali diversi due popoli chiamati dalle loro tendenze
speciali o dalle condizioni in cui vivono, l’uno a diffondere il pensiero
dell’associazione umana per via di colonie, l’altro a predicarlo colla
produzione di capolavori d’arte o di letteratura universalmente ammirati! Ambi
quei Popoli sono apostoli, consapevoli o no, dello stesso concetto divino,
eguali e fratelli in esso. L’uomo e la donna hanno, come quei due Popoli,
funzioni distinte nell’Umanità; ma quelle funzioni sono sacre egualmente,
necessarie allo sviluppo comune; ambe rappresentanze del Pensiero che Dio
poneva, come anima, nell’universo. Abbiate dunque la Donna siccome compagna e
partecipe, non solamente delle vostre gioie e dei vostri dolori, ma delle
vostre aspirazioni, dei vostri pensieri, dei vostri studi e dei vostri
tentativi di miglioramento sociale. Abbiatela eguale nella vostra vita civile e
politica. Siate le due ali dell’anima umana verso l’ideale che dobbiamo
raggiungere. La Bibbia Mosaica ha detto: Dio creò l’uomo e dall’uomo la donna,
ma la vostra Bibbia, la Bibbia dell’avvenire dirà: Dio creò l’Umanità,
manifestata nella donna e nell’uomo.
Amate i figli che la Provvidenza vi manda; ma amateli di
vero, profondo, severo amore; non dell’amore snervato, irragionevole, cieco,
ch’è egoismo per voi, rovina per essi. In nome di ciò che v’è di più sacro, non
dimenticate mai che voi avete in cura le generazioni future, che avete verso
quell’anime che vi sono affidate, verso l’umanità, verso Dio, la più tremenda responsabilità
che l’essere umano possa conoscere: voi dovete iniziarle, non alle gioie o alle
cupidigie della vita, ma alla vita stessa, ai suoi doveri, alla Legge morale
che la governa. Poche madri, pochi padri, in questo secolo irreligioso,
intendono, segnatamente nelle classi agiate, la gravità, la santità della
missione educatrice: poche madri, pochi padri pensano che le molte vittime, le
lotte incessanti e il lungo martirio dei nostri tempi son frutto in gran parte
dell’egoismo innestato trenta anni addietro nell’animo da madri deboli o da
padri incauti, i quali lasciarono che i loro figli s’avvezzassero a considerare
la vita non come dovere e missione, ma come ricerca di piacere e studio del
proprio benessere. Per voi, uomini del lavoro, i pericoli sono minori; i più
fra i nati da voi imparano pur troppo la vita dalle privazioni. E minori sono
d’altra parte in voi, costretti dalla povera condizione sociale a continue
fatiche, le possibilità d’educare come importerebbe. Pur nondimeno potete anche
voi compiere in parte l’ardua missione. Lo potete coll’esempio e colla parola.
Lo potete
com’esempio.
“I vostri figli sono simili a voi, corrotti o virtuosi,
secondo che sarete voi stessi virtuosi o corrotti.
Come mai sarebbero essi onesti, pietosi, umani, se voi
mancate di probità, se siete senza viscere pei vostri fratelli? come
reprimerebbero i loro grossolani appetiti, se vi vedono abbandonati
all’intemperanza? come serberebbero intatta l’innocenza nativa, se voi non
temete d’oltraggiare davanti ad essi il pudore con atti indecenti o con oscene
parole?
Voi siete il vivente modello sul quale si formerà la
pieghevole loro natura. Dipende da voi che i vostri figli riescano uomini o
bruti.”
E potete educare colla parola. Parlate loro di Patria, di
ciò ch’essa fu, di ciò che deve essere. Quando, la sera, dimenticate, fra il
sorriso della madre e l’ingenuo favellio dei fanciulli seduti sulle vostre
ginocchia, le fatiche della giornata, ridite ad essi i grandi fatti dei
popolani delle antiche nostre repubbliche; insegnate loro i nomi dei buoni che
amarono l’Italia e il suo popolo e per una via di sciagura, di calunnie e di
persecuzioni, tentarono migliorarne i destini. Instillate nei loro giovani
cuori, non l’odio contro gli oppressori, ma l’energia di proposito contro
l’oppressione. Imparino dal vostro labbro e dal tranquillo assenso materno,
come sia bello il seguire le vie della Virtù, come sia grande il piantarsi
Apostoli della verità, come sia santo il sacrificarsi, occorrendo, pei propri
fratelli. Infondete nelle tenere menti, insieme ai germi della ribellione
contro ogni autorità usurpata e sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera,
all’unica Autorità, l’autorità della Virtù coronata dal Genio. Fate che
crescano, avversi egualmente alla tirannide ed all’anarchia, nella religione
della coscienza inspirata, non incatenata dalla tradizione. La Nazione deve
aiutarvi in quest’opera. E voi avete, in nome dei vostri figli, diritto di
esigerlo. Senza educazione Nazionale non esiste veramente Nazione.
Amate i parenti. La Famiglia che procede da voi non vi
faccia mai dimenticare la famiglia dalla quale procedete. Pur troppo sovente i
nuovi vincoli allentano gli antichi, mentre non dovrebbero essere se non un
nuovo anello nella catena d’amore che deve annodare in uno tre generazioni
della Famiglia. Circondate d’affetti teneri e rispettosi sino all’ultimo giorno
le teste canute della madre, del padre. Infiorate ad essi la via della tomba.
Diffondete colla continuità dell’amore sulle loro anime stanche un profumo di
fede e d’immortalità. E l’affetto che serbate inviolato ai parenti vi sia pegno
di quello che vi serberanno i nati da voi.
Parenti, sorelle e fratelli, sposa, figli, siano per voi
come rami collocati in ordine diverso sulla stessa pianta. Santificate la
Famiglia nell’unità dell’amore. Fatene come un Tempio dal quale possiate
congiunti sacrificare alla Patria. Io non so se sarete felici; ma che così
facendo, anche di mezzo alle possibili avversità, sorgerà per voi un senso di
pace serena, un riposo di tranquilla coscienza, che vi darà forza contro ogni
prova, e vi terrà schiuso un raggio azzurro di cielo in ogni tempesta.
Doveri verso se
stesso
Io v’ho detto: voi avete vita; dunque avete una legge di
vita… Svilupparsi, agire, vivere secondo la legge di vita, è il primo, anzi
l’unico vostro Dovere. Vi ho detto che per conoscere quale sia la legge della
vostra vita, Dio v’ha dato due mezzi: la vostra coscienza e la coscienza
dell’Umanità, il consenso dei vostri fratelli. V’ho detto che ogni qualvolta,
interrogando la vostra coscienza, troverete la sua voce in armonia colla grande
voce del genere umano trasmessavi dalla storia, voi siete certi d’avere la
verità eterna, immutabile in pug
Voi potete oggi difficilmente interrogare a dovere la grande
voce che l’umanità vi tramanda attraverso la Storia: vi mancano finora libri
buoni davvero e popolarmente scritti, e vi manca il tempo; ma gli uomini che
per ingegno e coscienza meglio rappresentano, da oltre un mezzo secolo, gli
studi storici e la scienza dell’Umanità, hanno raccolto da quella voce alcuni
caratteri della nostra Legge di Vita; hanno raccolto che la natura umana è
essenzialmente adunabile, essenzialmente sociale: hanno raccolto che, come non
vi è né può esservi che un solo Dio, non v’è né può esservi che una sola Legge
per l’uomo individuo e per l’umanità collettiva, hanno raccolto che il
carattere fondamentale, universale di questa Legge, è PROGRESSO. Da queste
verità oggimai innegabili, perché confermate da tutti i rami dell’umano sapere,
scendono tutti i vostri doveri verso voi stessi, e scendono pure tutti i vostri
diritti, i quali sommano in uno: il diritto di non essere menomamente inceppati
e d’essere, dentro certi limiti, aiutati nel compimento dei vostri doveri. Voi
siete e vi sentite liberi. Tutti i sofismi d’una misera filosofia, che vorrebbe
sostituire una dottrina di non so quale fatalismo al grido della coscienza
umana, non valgono a cancellare due testimonianze invincibili a favore della libertà:
il rimorso e il martirio. Da Socrate a Gesù, da Gesù fino agli uomini che
muoiono ogni tanto per la Patria, i Martiri di una Fede protestano contro
quella servile dottrina, gridandovi: “noi amavamo la vita; amavamo esseri
che ce la facevano cara e che ci supplicavano di cedere: tutti gl’impulsi del
nostro cuore dicevano vivi! a ciascuno di noi, ma per la salute delle
generazioni avvenire, scegliemmo morire”. Da Caino alla spia volgare dei
nostri giorni, i traditori dei loro fratelli, gli uomini che si son messi sulla
via del male, sentono nel fondo dell’anima una condanna, una irrequietezza, un
rimprovero che dice a ciascun d’essi: perché t’allontanasti dalle vie del bene?
Voi siete liberi e quindi responsabili. Da questa libertà morale scende il vostro
diritto alla libertà politica, il vostro dovere di conquistarvela e mantenerla
inviolata, il dovere altrui di non menomarla.
Voi siete educabili. Esiste in ciascun di voi una somma di
facoltà, di capacità intellettuali, di tendenze morali, alle quali l’educazione
sola può dar moto e vita, e che, senza quella, giacerebbero sterili, inerti,
non rivelandosi che a lampi, senza regolare sviluppo.
L’educazione è il pane dell’anima. Come la vita fisica,
organica, non può crescere e svolgersi senza alimenti, così la vita morale,
intellettuale, ha bisogno per ampliarsi e manifestarsi, delle influenze esterne
e d’assimilarsi parte almeno delle idee, degli effetti, delle altrui tendenze.
La vita dell’industria s’innalza, come la pianta, varietà dotata d’esistenza
propria e di caratteri speciali, sul terreno comune, si nutre degli elementi
della vita comune. L’individuo è un rampollo dell’UMANITÀ e alimenta e rinnova
le proprie forze nelle sue. Quest’opera alimentatrice, rinnovatrice, si compie
coll’Educazione che trasmette direttamente o indirettamente all’individuo i
risultati dei progressi di tutto quanto il genere umano. È dunque non solamente
come necessità della vostra vita, ma come una santa comunione con tutti i
vostri fratelli, con tutte le generazioni che vissero: cioè pensarono ed
operarono prima della vostra, che voi dovete conquistarvi, nei limiti del
possibile, educazione: educazione morale ed intellettuale, che abbracci e
fecondi tutte le facoltà che Dio vi dava siccome deposito da far fruttare, e che
istituisca e mantenga un legame tra la vostra vita individuale e quella
dell’Umanità collettiva.
E perché quest’opera educatrice si compisse più rapidamente,
perché la vostra vita individuale s’inanellasse più certamente e più
intimamente colla vita collettiva di tutti, colla vita dell’Umanità, Dio v’ha
fatto esseri essenzialmente sociali. Ogni essere al disotto di voi può vivere
da per sé, senz’altra comunione che colla natura, cogli elementi del mondo
fisico: voi nol potete. Avete a ogni passo necessità dei vostri fratelli e non
potete soddisfare ai più semplici bisogni della vita senza giovarvi dell’opera
loro. Superiori ad ogni altro essere mercé l’associazione coi vostri simili,
siete, se isolati, inferiori di forza a molti animali, e deboli e incapaci di
sviluppo e di piena vita. Tutte le più nobili aspirazioni del vostro core come
l’amor della Patria, e anche le meno virtuose come il desiderio di gloria e
dell’altrui lode, accennano alla tendenza ingenita in voi ad accomunare la
vostra vita colla vita dei milioni che vivono intorno a voi. Voi siete dunque
chiamati all’associazione. Essa centuplica le vostre forze: fa vostre le idee
altrui, vostro l’altrui progresso; e innalza, migliora e santifica la vostra
natura cogli affetti e col sentimento crescente dell’unità dell’umana famiglia.
Quanto più sarà vasta la vostra associazione coi vostri fratelli, quanto più
intima e complessiva, tanto più innanzi sarete sulla via del vostro
miglioramento. La Legge della vita non può compirsi tutta se non dal lavoro
riunito di tutti. E ad ogni grande progresso, ad ogni scoperta di un frammento
di quella Legge, corrisponde nella Storia un allargamento dell’associazione
umana, un contatto più vasto fra popolo e popoli. Quando i primi Cristiani
vennero a proclamare l’unità della natura umana di fronte alla filosofia pagana
che ammetteva due nature, di padroni e di schiavi, il popolo Romano aveva
portato le sue aquile a passeggiare fra tutti i popoli noti d’Europa. Prima che
il Papato – dannoso in oggi, utile nei primi secoli dell’istituzione – venisse
a dire: il potere spirituale è superiore al temporale, gli invasori chiamati
Barbari avevano messo in contatto violento il mondo Germanico col mondo Latino.
Prima che l’idea di Libertà applicata ai popoli promovesse il concetto di
nazionalità che agita in oggi l’Europa e trionferà, le guerre della Rivoluzione
e dell’Impero avevano suscitato e chiamato in azione un elemento fino allora
appartato, l’elemento Slavo.
Voi siete,
finalmente, esseri progressivi.
Questa parola PROGRESSO, ignota all’antichità, sarà d’ora
innanzi una parola sacra per l’Umanità. Essa racchiude tutta una trasformazione
sociale, politica, religiosa.
L’antichità, gli uomini delle vecchie religioni Orientali e
del Paganesimo, credevano nel Fato, nel Caso, in una Potenza arcana, inintelligibile,
padrona arbitraria delle cose umane, creatrice e distruggitrice
alternativamente senza che l’uomo potesse intenderne, promoverne, o accelerarne
i bisogni. Credevano l’uomo impotente a fondare cosa alcuna durevole,
permanente, sulla nostra terra. Credevano che i popoli, condannati ad aggirarsi
nel cerchio descritto dagl’individui quaggiù, sorgessero, salissero a potenza,
poi volgessero a vecchiaia, e fatalmente, irrevocabilmente, perissero. Con un
orizzonte d’idee e di fatti assai ristretto davanti e senza conoscenza di
Storia fuorché della loro nazione e spesso della loro città, guardavano al
genere umano unicamente come un aggregato di uomini, senza vita e legge
propria, e non derivavano i loro pensieri fuorché dalla contemplazione
dell’individuo. La conseguenza di siffatte dottrine era una tendenza ad
accettare i fatti predominanti senza curare o sperar di mutarli. Dove le
circostanze avevano impiantato una forma repubblicana, gli uomini di quei tempi
erano repubblicani; dove signoreggiava il dispotismo, erano schiavi noncuranti
di progresso e sommessi. Ma poi che dappertutto, sotto la forma repubblicana
come sotto la tirannide, trovavano divisa la famiglia umana o in quattro caste,
come in Oriente, o in due, di cittadini liberi e di schiavi, come nella Grecia,
accettavano la divisione delle caste o la credenza in due nature diverse
d’uomini; e l’accettarono i più potenti intelletti del mondo Greco, Platone e
Aristotele. L’emancipazione della vostra classe era, tra siffatti uomini, una
impossibilità.
Gli uomini che fondarono, sulla parola di Gesù, una
Religione superiore a tutte le credenze del vecchio Oriente e del Paganesimo,
intravidero, non conquistarono, la santa idea contenuta in questa parola:
Progresso. Intesero l’unità della razza umana, intesero l’unità della Legge,
intesero il dovere di perfezionamento nell’uomo: non intesero la potenza data
da Dio all’uomo per compirlo, né la via per la quale si compie. Si limitarono
essi pure a desumere le norme della vita dalla contemplazione dell’individuo:
l’Umanità come corpo collettivo, rimase loro ignota. Conobbero la Provvidenza e
la sostituirono alla cieca Fatalità degli antichi; ma la conobbero come
protettrice dell’individuo, non come Legge dell’Umanità. Collocati fra
l’immensità dello scopo di perfezionamento che intravedevano e la breve povera
vita dell’individuo, sentirono il bisogno d’un termine intermediario tra l’uno
e l’altro, fra l’Uomo e Dio, e non possedendo l’idea dell’Umanità collettiva,
ricorsero a una incarnazione divina: dichiararono che la Fede in essa era
sorgente unica di salute, di forza, di grazia, all’uomo.
Non sospettando la rivelazione continua che scende da Dio
sull’uomo attraverso l’Umanità, credettero in una rivelazione immediata, unica,
scesa ad un tempo stesso determinato, e per favore speciale di Dio. Videro il
legame che annoda gli uomini in Dio, non videro quello che li annoda qui sulla
terra nell’umanità. Poco importava la serie delle generazioni a chi non sentiva
come l’una agisse sull’altra; s’avvezzarono dunque a non contemplarle;
s’adoprarono a staccar l’uomo dalla terra, dalle cose concernenti l’Umanità
intera, e finirono per mettere in opposizione la terra, che abbandonarono ad
ogni Potere di fatto e che chiamarono soggiorno d’espiazione, e il cielo a cui
l’uomo poteva, per virtù di grazia e di fede, salire e dal quale esiliarono per
sempre chi ne mancasse. La rivelazione essendo per essa immediata ed unica in
un dato periodo, ne dedussero che nulla poteva aggiungervisi e che i depositari
di quella rivelazione erano infallibili. Dimenticavano che il fondatore della
loro religione era venuto, non ad annientare la Legge ma a continuarla,
aggiungendovi. Dimenticavano che in un solenne momento e con sublime istinto
dell’avvenire, Gesù aveva detto: Io vi dico le cose che voi potete in oggi
intendere e praticare; ma verrà dopo me lo spirito di verità, e vi parlerà per
autorità propria ma raccogliendo l’ispirazione da tutti, l’ispirazione
collettiva(10). È in quelle parole la profezia dell’idea del Progresso e della
rivelazione continua del Vero per mezzo dell’Umanità: v’è la giustificazione
della formola che Roma ridesta propose all’Italia colle parole Dio e il popolo,
scritte in fronte a’ suoi decreti repubblicani. Ma gli uomini delle credenze
del medioevo non potevano intenderla. Non erano maturi i tempi.
Tutto l’edifizio delle credenze che successero al Paganesimo
posa, a ogni modo, sulle basi or ora accennate. È chiaro che neppur su queste
poteva fondarsi la vostra emancipazione qui sulla terra.
Mille trecento anni a un dipresso dopo le parole di Gesù or
citate, un uomo Italiano, il più grande fra gl’Italiani che io mi conosca, scriveva
le verità seguenti: “Dio è uno; l’Universo è un pensiero di Dio;
l’Universo è dunque uno esso pure. Tutte le cose partecipano, più o meno, della
natura divina, a seconda del fine pel quale sono create. L’uomo è nobilissimo
fra tutte le cose: Dio ha versato in lui più della sua natura che non
sull’altre. Ogni cosa che viene da Dio tende al perfezionamento del quale è
capace. La capacità di perfezionamento nell’uomo è indefinita. L’Umanità è Una.
Dio non ha fatto cosa inutile; e poiché esiste una Umanità, deve esistere uno
scopo unico per tutti gli uomini, un lavoro da compiersi per opera d’essi
tutti. Il genere umano dovrebbe dunque lavorare unito, sì che tutte le forze
intellettuali diffuse in esso, ottengano il più alto sviluppo possibile nella
sfera del pensiero e dell’azione. Esiste dunque una Religione universale della
natura umana”.
Quell’uomo aggiungeva che questa religione universale,
questa Unità del mondo doveva avere chi la rappresentasse: e accennava a Roma,
la Città Santa, le di cui pietre, ei diceva, erano meritevoli di riverenza.
L’uomo che scriveva quelle idee aveva nome DANTE. Ogni città
d’Italia quando l’Italia sarà libera ed una, dovrebbe innalzargli una statua,
però che quelle idee contengono in germe la Religione dell’Avvenire. Egli le
scriveva in libri latini e italiani che s’intitolavano: Della Monarchia e
Convito, difficili a intendersi ed oggi negletti anche dagli uomini che si
dicono letterati. Ma le idee, cacciate una volta che siano nel mondo
dell’intelletto, non muoiono più. Altri le raccoglie, anche dimenticandone la
sorgente. Gli uomini ammirano la quercia: chi pensa al germe dal quale esciva?
Il germe che Dante cacciava fruttò. Raccolto e fecondato di
tempo in tempo da qualche potente intelletto, si svolse in pianta sul finire
del secolo passato. L’idea del Progresso siccome Legge della Vita accettata,
sviluppata, verificata sulla storia, confermata dalla scienza, diventò bandiera
dell’avvenire. Oggi non v’è ingegno severo che non lo ponga a cardine dei suoi
lavori.
Oggi sappiamo che la legge della Vita è PROGRESSO. Progresso
per l’individuo, progresso per l’Umanità. L’Umanità compie quella Legge sulla
terra; l’individuo sulla terra ed altrove. Un solo Dio; una sola Legge. Quella
legge s’adempie lentamente, inevitabilmente, nell’Umanità fin dal primo suo
nascere. La verità non s’è mai manifestata tutta o ad un tratto. Una
rivelazione continua, manifestata d’epoca in epoca, un frammento della Verità,
una parola della Legge. Ognuna di quelle parole modifica profondamente, sulla
via del Meglio, la vita umana e costituisce una credenza, una Fede. Lo sviluppo
dell’idea religiosa è dunque indefinitamente progressivo; e quasi colonne d’un
Tempio, le credenze successive, svolgendo e purificando più sempre quell’idea,
costituiranno un giorno il Panteon della nostra Terra. Gli uomini benedetti da
Dio di Genio e di singolare Virtù ne sono gli Apostoli: il Popolo, il senso
collettivo dell’umanità, ne è l’interprete; accetta quella rivelazione di
Verità, la trasmette da una generazione all’altra, e la rende pratica,
applicandola ai diversi rami, alle diverse manifestazioni della vita umana.
L’Umanità è simile ad un uomo che vive indefinitamente e che impara sempre. Non
v’è dunque, né può esservi casta privilegiata di depositari ed interpreti della
Legge: non v’è, né può esservi necessità d’intermediario tra Dio e l’uomo,
dall’Umanità infuori. Dio, prefiggendo un disegno provvidenziale d’Educazione
progressiva all’Umanità, ponendo l’istinto del progresso nel core d’ogni uomo,
ha messo pure nell’umana natura le facoltà e le forze necessarie a compierlo.
L’uomo individuo, creatura libera e responsabile, può usarne e abusarne a
seconda ch’ei si mantiene sulla via del Dovere, o cede alle cieche seduzioni
dell’Egoismo; ei può indugiare o accelerare il proprio progresso; ma il disegno
provvidenziale non può cancellarsi da forza umana. L’educazione dell’umanità
deve compiersi; noi vediamo quindi escire dalle invasioni barbariche che
sembravano spegnere la civiltà, un nuovo incivilimento superiore all’antico e
diffuso su più ampia zona di terra: vediamo dalla tirannide, esercitata dagli
individui, escire subito dopo un più rapido sviluppo di libertà.
La legge, il Progresso, devono compirsi, come altrove, qui
sulla terra. Non v’è opposizione fra terra e cielo; ed è bestemmia il supporre
che l’opera di Dio, la casa ch’egli ci ha dato, possa, senza peccato,
sprezzarsi, abbandonarsi ai Poteri, quali essi siano, alle influenze del Male,
dell’Egoismo e della Tirannide. La Terra non è soggiorno di espiazione; è
soggiorno di lavoro a prò dell’ideale, del Vero e del Giusto che ciascun di noi
ha in germe nell’anima; gradino verso un Miglioramento che noi non possiamo
raggiungere se non glorificando, coll’opere, Iddio nell’Umanità, e
consacrandoci a tradurre in fatto quanta più parte possiamo del suo disegno. Il
giudizio che s’adempirà su ciascun di noi, e che ci farà inoltrare sulla scala
del Perfezionamento o ci condannerà a trascinarci nuovamente nello stadio
tristamente e sterilmente percorso, si fonderà sul bene che avremo fatto ai
nostri fratelli, sul grado di progresso che avremo aiutato altri a salire.
L’associazione più sempre intima, più e più sempre vasta, coi nostri simili è
il mezzo per cui si moltiplicano le nostre forze, il campo sul quale si
compiono i nostri Doveri, la via per ridurre in atto il Progresso. Noi dobbiamo
tendere a far dell’intera Umanità una Famiglia, ogni membro della quale
rappresenti in sé, a beneficio degli altri, la Legge morale. E come il
perfezionamento dell’umanità si compie d’epoca in epoca, di generazione in
generazione, il perfezionamento dell’individuo si compie d’esistenza in
esistenza, più o meno rapidamente a seconda dell’opere nostre
Son queste alcune delle verità contenute in quella parola
Progresso, dalla quale escirà la Religione dell’Avvenire. In essa solo può
compiersi la vostra emancipazione.